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Polittico smembrato con la Madonna col Bambino e i Santi Lucia, Maurizio, Bartolomeo
from Niccolò di Segna e suo fratello Francesco: pittori nella Siena di Duccio, di Simone e dei Lorenzetti
La meditata revisione di Bacci non ha tuttavia dato adito a ulteriori immediati approfondimenti e la figura di Niccolò è stata nuovamente considerata in senso critico solo dopo circa un ventennio da Enzo Carli, a cui si deve un articolato tentativo di inquadramento, che però continua a risentire della definizione ancora sfuggente di un corpus condiviso di Niccolò, che si riverbera nel rifiuto dell’attribuzione del polittico n. 38 e nell’assegnazione invece di due opere poi ricondotte nei cataloghi di Simone Martini e Ugolino di Nerio: la problematica Madonna della Misericordia di Vertine e la grande Croce della basilica di Santa Maria dei Servi di Siena19. Ne risulta un parere positivo su Niccolò, tuttavia falsato da accostamenti in questo caso eccessivamente fiduciosi. Contemporaneamente Gertrude Coor Achenbach ne riconosceva la sottostimata qualità in un contributo decisivo per la chiarificazione e il corretto incremento della sua produzione20. La studiosa, partendo dall’analisi della Santa Lucia conservata a Baltimora, ha aggiunto alla lista la tavola n. 37 della Pinacoteca con San Bartolomeo (già considerata opera dello stesso autore del polittico n. 38 da numerosi studiosi prima di Bacci, pur senza precisarne l’identità)21 e di conseguenza le altre tavole relative allo stesso polittico (cat. 16), insieme alla Madonna Cini di Venezia, che viene attribuita a Niccolò per la prima volta, e inoltre al trittico di San Giovanni d’Asso (cat. 12). Tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta del secolo scorso diverse opere si sono aggiunte alla spicciolata al catalogo di Niccolò per merito di Federico Zeri22, Henk van Os23, Luisa Vertova, Hayden Maginnis e Miklós Boskovits: questi ultimi tre studiosi in particolare hanno riconosciuto rispettivamente la sua mano nelle Madonne col Bambino di Locko Park, Cortona e della collezione Berenson a Villa I Tatti presso Firenze24 (cat. 9-10, 16a). Se Vertova – come già Carli – sottolineava la necessità di valutare attentamente le attribuzioni a Niccolò per evitare che sotto il suo nome venissero collocate opere di varia mano, stilisticamente comprese tra Segna e i Lorenzetti, Maginnis esprimeva di nuovo un giudizio non troppo lusinghiero su Niccolò, definendolo un pittore minore e conservatore, poco abile e fondamentalmente ripetitivo nella costruzione e nella resa delle figure, seppur ravvivato dall’esempio dei principali maestri dell’epoca. Escluso dalla lista di Bacci e assegnato ipoteticamente a Francesco di Segna da Coor, seguita pure da Ferdinando Bologna25, il polittico della Resurrezione di Sansepolcro era ritenuto da Roberto Longhi il capolavoro di Niccolò26. Proprio la sostenuta qualità dell’opera ha dato adito al persistere di dubbi sulla sua attribuzione e alla creazione da parte di James Stubblebine nel 1979 di un parallelo “Sansepolcro Master”, definito il migliore dei contemporanei di Niccolò, a cui assegnare una parte delle opere già ricondotte a Niccolò stesso e in seguito riconfermategli27, staccandole da quelle ritenute
19 Carli 1955a, pp. 59-64. Per la complessa vicenda critica delle due opere, ancora aperta in particolare per la prima, si rimanda ai recenti contributi di Pier Luigi Leone De Castris (2003, p. 344) e Aldo Galli (in Duccio 2003, pp. 358-360). 20 Coor Achenbach 1954-1955, pp. 79-80. 21 Jacobsen 1907, p. 24. Weigelt 1911, p. 264. G. De Nicola, in Mostra 1912, p. 37, cat. 85. Lusini 1912, p. 135; van Marle 1924, II, p. 94; Idem 1934, II, p. 95. 22 Zeri 1967, p. 477; Idem 1978, p. 149. Nei due interventi vengono riferiti a Niccolò, rispettivamente, otto tavolette con santi a mezzo busto divise in varie collezioni europee e americane, tre tavolette con i Santi Caterina, Vittore e Orsola, poi ricondotte alla predella del polittico n. 38, e la cimasa col Redentore ora in collezione Salini (cat. 11, 19, 23). 23 Van Os 1972, pp. 78-88; lo studioso assegna a Niccolò le tre cuspidi con Redentore e due Angeli dei musei di Raleigh e Cleveland (cat. 13). 24 Vertova 1968, pp. 24-25, figg. 3-5. Maginnis 1974, pp. 214-218. Boskovits 1975, pp. 14-15. 25 Bologna 1961, p. 36. 26 Longhi 1946, p. 158; Idem 1951, p. 54. 27 Stubblebine 1979, I, pp. 153-156; II, figg. 527-545. Ritenendo il Maestro di Sansepolcro appena più tardo di Niccolò, in quanto attivo in particolare nel quinto decennio del Trecento, gli assegna il polittico n. 38, le Madonne di Cortona e dei
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autografe28. Stubblebine è inoltre il primo a cercare di ricostruire anche la fase giovanile di Niccolò, riferendogli tuttavia poche opere troppo antiche, da ricondurre semmai a Segna29 . Nello stesso anno non ha contribuito a fare chiarezza il volume di Cristina De Benedictis, che ha ripartito (come Bologna) le opere riconducibili a Niccolò tra lui e Francesco, al quale la studiosa ha generalmente riferito i prodotti più tardi e migliori, tra cui il polittico della Resurrezione, confermando una certa sfiducia ancora riservata al più noto dei figli di Segna30. I dubbi sull’attribuzione del capolavoro biturgense allo stesso Niccolò sono stati finalmente superati grazie ai documenti reperiti da Polcri, che attestano almeno la presenza del pittore a Sansepolcro in anni perfettamente compatibili con lo stile espresso dal polittico. Anche al di là dell’interessante postilla di Cooper, l’opera è ormai concordemente riferita a Niccolò e rappresenta un elemento essenziale per la comprensione della sua personalità artistica e per la ricostruzione su basi stabili della sua attività, che aveva già visto, tra l’altro, riconfermata da parte di Piero Torriti l’attribuzione del polittico n. 38 nell’ultima redazione del catalogo della Pinacoteca Nazionale di Siena (1990), superando i dubbi dell’edizione del 197731 . La valutazione di Niccolò di Segna ha dunque conosciuto forti oscillazioni, certamente dovute all’incertezza di un catalogo che è stato a lungo in fase di definizione e la cui stessa ricostruzione d’altra parte appare, a sua volta, in balìa proprio dei giudizi (o pregiudizi) riguardo a un pittore ritenuto da molti poco abile, ma al quale è invece possibile accostare un corpus di opere vasto e coerente, caratterizzato da una certa varietà di tendenze, elaborate attraverso l’appropriazione di diverse sollecitazioni, sotto cui sono però sempre riconoscibili i tratti peculiari di un artista che non perde di qualità nel corso della carriera e anzi raggiunge alti risultati proprio nella sua fase estrema, anche passando attraverso prove meno felici, che tuttavia si possono leggere nell’ottica delle sperimentazioni che hanno poi condotto a esiti qualitativi troppo spesso ingiustamente rifiutati in riferimento al suo nome. Negli anni Ottanta del Novecento sono stati accostati a Niccolò diversi pezzi minori, riferibili alla sua fase precoce32, e l’attività di frescante è stata presa in considerazione in particolare da Paolo Torriti33 . La critica più recente ha poi contribuito a dare definizione al catalogo e alla cronologia – tuttavia non ancora perfettamente condivisa – e si è concentrata sulla precisazione delle ricostruzioni e delle provenienze. Hanno svolto un ruolo fondamentale in questo senso Beatrice Franci e Machtelt Israëls34: la prima in particolare ha riunito criticamente in un corpus coerente le opere assegnate a Niccolò,
Tatti, il polittico di San Giovanni d’Asso, le tre cuspidi di Raleigh e Cleveland, gli scomparti di predella coi Santi Vittore e Orsola, le tavolette con santi già trattate da Zeri (1967). Sono invece da escludere due cuspidi con Angeli. L’autore ha peraltro avanzato l’ipotesi che dietro il Maestro di Sansepolcro potesse celarsi Francesco di Segna. 28 Stubblebine 1979, I, pp. 153-154; II, figg. 473-498. Oltre alle opere firmate, lo studioso americano inserisce in questo catalogo il polittico ricostruito da Coor, compresa la Madonna Cini, insieme a quelle di Locko Park e n. 44; inoltre la cimasa Salini e la tavoletta di predella con Santa Caterina; viene anche precisata una vaga ma brillante attribuzione a Niccolò della Croce di Bibbiena proposta da Margherita Moriondo nel 1950 (cat. 7). Da escludere la cuspide con Redentore del Metropolitan Museum di New York, l’Incoronazione della Vergine del Museo Szépművészeti di Budapest (per la quale si veda V. Schmidt, in Duccio 2003, p. 262, che la assegna genericamente alla bottega di Duccio) e le tavole sorelle delle Sante Lucia e Margherita di Budapest e Portland (per cui cfr. infra). 29 Stubblebine 1979, I, pp. 138-139; II, figg. 332-334. 30 Diverse opere sono comunque da espungere dal catalogo di Niccolò (a parte alcune da ricondurre allo stesso Francesco): tra le altre, la Madonna di Vertine e la Croce dei Servi, la Crocifissione n. 68 della Pinacoteca senese del Maestro di Monteoliveto, la tavoletta con la Crocifissione e i due ladroni della Società di Esecutori di Pie Disposizioni di Siena, che non appartiene neanche a Francesco, come invece pensa Alessandro Bagnoli (2009b, p. 442). 31 Torriti 1977, p. 83; Idem 1990, p. 39. 32 Si tratta del trittichino di Esztergom, della cuspide di Philadelphia, della tavoletta ex Thyssen-Bornemisza, dell’Annunciazione Martello, assegnatigli da Boskovits (cat. 2-3, 5-6), e della tavoletta con le sante Caterina, Maddalena e Margherita di Stoccarda, restituitagli da August Rave (cat. 4). 33 Torriti 1999, pp. 39-61. Cat. 20-21. 34 Franci, in Duccio 2003, pp. 354-355; Eadem, in La Collezione 2009, I, p. 89; Eadem 2013. M. Brüggen Israëls, in The Bernard and Mary 2015, pp. 498-499.