
7 minute read
2. La ricomposizione del corpus
from Niccolò di Segna e suo fratello Francesco: pittori nella Siena di Duccio, di Simone e dei Lorenzetti
la stessa opera destinata agli Agostiniani dall’agosto del 1348. Secondo lo studioso inglese va collegata alla sua attività anche una carta di commissione del 5 febbraio 1348, da lui rintracciata, per un’opera destinata all’altare maggiore della cattedrale biturgense di San Giovanni Evangelista, che ha proposto di riferire al polittico della Resurrezione (a cui erroneamente Polcri collegava i documenti da lui reperiti, relativi invece a un polittico perduto; cat. 22)8 . A queste notizie si può aggiungere anche la testimonianza di un’ulteriore firma di Niccolò su un polittico già presente nella chiesa vallombrosana di San Michele in Poggio San Donato a Siena, pubblicata nel 1652 dal francescano Nicolò Catalano su indicazione di Antonio Maria Lisi (1648), che legge in modo inesatto “Nicolaus Segie de Senis” e la data 12609. Nonostante le incongruenze della trascrizione, dovute probabilmente alla cattiva conservazione dell’epigrafe, numerosi indizi consentono di avanzare l’ipotesi di identificazione dell’opera con il polittico n. 38 della Pinacoteca Nazionale di Siena, completato al centro dalla Madonna col Bambino della Galleria Cini di Venezia10 (cat. 11). Le informazioni disponibili consentono di collocare la data di nascita di Niccolò verso i primi anni del XIV secolo, tenuto conto che, in quanto titolare di una bottega, egli doveva avere almeno ventun’anni al momento della stipula del contratto d’affitto del 1331. A quella data Niccolò dimostra in ogni caso la capacità di una produzione già matura, coerentemente con una commissione prestigiosa come quella vallombrosana che, come si cerca di dimostrare in questo volume, risulta ormai preceduta da una serie di opere assegnabili a una fase più sperimentale e formativa, in contatto col padre Segna di Bonaventura, ma probabilmente pure con Ugolino di Nerio. Del resto l’apertura di una bottega a proprio nome può essere stata dettata dalla contingenza della morte del padre e forse dello stesso Ugolino. La vita di Niccolò di Segna si svolge dunque nella prima metà del Trecento. I documenti di Sansepolcro – in particolare quello plausibilmente legato alla commissione del polittico della Resurrezione – contribuiscono a smentire la tradizionale convinzione che egli fosse scomparso nel corso della pestilenza del 134811: tuttavia l’assenza di opere a lui riferibili nella seconda parte del secolo fanno presumere che Niccolò non sia sopravvissuto a lungo dopo la conclusione del polittico della Resurrezione e la data 1350 della tavoletta della Biccherna che gli viene attribuita (cat. 34) può essere considerata un valido termine convenzionale in riferimento alla sua morte poco dopo.
A lungo il giudizio su Niccolò si è basato necessariamente sul pressoché esclusivo riferimento della Croce del 1345, che per diversi aspetti risulta poco rappresentativa del suo stile e delle sue capacità, dando adito a pareri a volte sostanzialmente negativi12, ma che in ogni caso non hanno impedito a Giovan Battista Cavalcaselle di accostargli precocemente il notevole polittico di Sansepolcro e poco
Advertisement
“lascite a condizione” e d’altri affari economici della Fraternita di San Bartolomeo, compilato nel 1343 e continuato fino al 1386, cc. 28, 179v-181v. 8 Cooper 2004, pp. 125, 128 nota 2. ASFi, Notarile Antecosimiano, n. 2263, filza testamenti, n. 34. 9 Catalano 1652, p. 477. Franci 2013. 10 La probabile destinazione di quest’opera nell’abbazia in Poggio San Donato potrebbe del resto essere considerata in riferimento al documento del 1331, da cui la bottega affittata da Niccolò per due anni risulta posta nell’area prossima al complesso monastico e che fornisce un riferimento compatibile con la cronologia proposta in questo volume per il polittico n. 38. D’altronde gli stessi documenti del 1346 e 1348 contribuiscono ad attestare che la realizzazione di un polittico a più ordini richiedesse circa un paio d’anni di lavoro. 11 Bacci (1935, p. 12) ne aveva supposto la morte verso il 1345, cosicché avrebbe lasciato incompiuta la Croce n. 46. 12 Cfr. De Nicola 1912, p. 147.
dopo le tavole del polittico n. 38 e il San Bartolomeo n. 37 della Pinacoteca senese13. Del resto Frederick Mason Perkins, dopo una prima lettura del percorso di Niccolò nell’esclusivo solco della lezione di Duccio (1913), aveva compreso che la Croce n. 46 non potesse valere come esempio assoluto della sua varia e all’epoca ancora incerta produzione (1933)14, nella quale prima di lui Curt Weigelt – che pure gli attribuisce alcune opere non pertinenti – e Raimond van Marle avevano intuito i caratteri evolutivi essenziali, martiniani e lorenzettiani, innestati sul substrato duccesco mediato dall’esempio attivo di Segna15. La comprensione di Niccolò è stata tuttavia condizionata fino al primo terzo del XX secolo da una grande incertezza di attribuzioni e gli sono state accostate le opere più varie, spesso non confermate dalla critica successiva, maggiormente consapevole. Ne è una testimonianza efficace il giudizio di Cesare Brandi, che, basandosi su un corpus formato in gran parte da opere riconducibili al fratello Francesco di Segna e da cui vengono escluse tutte quelle più significative di Niccolò conservate in Pinacoteca (il San Bartolomeo n. 37, il polittico n. 38, la Madonna col Bambino n. 44), lo definisce uno stanco duccesco “decadente e ritardatario”16; e così gli indici di Bernard Berenson, comprendendo quello del 1932 solo sei pezzi su diciotto effettivamente riconducibili a Niccolò, oltre ad alcune opere di Francesco e alla Croce n. 21 di Segna, praticamente tutte riconfermate nel 1936 – al di là dell’assegnazione della Madonna della Misericordia di Vertine – nonostante l’aggiunta fondamentale della Madonna col Bambino di Montesiepi del 1336 sulla scia dell’articolo di Pèleo Bacci17 . La conoscenza di Niccolò e gli elementi costitutivi del suo corpus hanno potuto difatti precisarsi a seguito dell’individuazione della Madonna ora nel Museo di Chiusdino, che ha costituito per lo stesso Bacci l’occasione di una riconsiderazione del pittore alla luce della critica precedente, con un tentativo riuscito di dare definizione ad un primo coerente, per quanto esiguo, gruppo di opere, composto dall’affine Madonna col Bambino n. 44 (cat. 14) – già assegnatagli da Emil Jacobsen e Bernard Berenson ma decisamente negata da Cesare Brandi18 – e dal più antico polittico n. 38, nel quale Bacci individua in particolare il segno della transizione rispetto alla tradizione paterna. Nell’analizzare quest’opera lo studioso, che già aveva sottolineato caratteristiche tecniche peculiari di Niccolò come la pastosità del colore, funzionale all’ottenimento di forti chiaroscuri, coglie anche gli elementi psicologici, oltre che formali, tipici della maggior parte delle sue figure, “un po’ tristi, assorte”.
13 Nel secondo volume della prima edizione della sua opera sulla storia della pittura italiana, edito nel 1864, Cavalcaselle cita la Croce n. 46, riportando la firma di Niccolò, il polittico della Resurrezione, visto nella sacrestia di Santa Chiara con le tavolette della predella e delle “cuspidi” sul parapetto della cantoria, e pezzi già in collezione Ramboux, tra cui alcuni santi dall’ordine superiore del polittico di San Maurizio (Cavalcaselle-Crowe 1864, II, pp. 58-59). I nn. 37 e 38 della Pinacoteca Nazionale sono menzionati nel terzo volume dell’edizione italiana del 1885, in cui lo studioso nota caratteri tipici della maniera di Niccolò (Cavalcaselle-Crowe 1885, II, pp. 34-35). Langton Douglas aggiunge, riferendoli a Segna o al suo ambito, il polittico di San Giovanni d’Asso e le Madonne n. 44 ed ex Locko Park, oltre a quella di Roma, data in questo volume a Francesco (Douglas, in Cavalcaselle-Crowe 1908, III, pp. 28-29). Edward Hutton, da par suo, indica il polittico n. 38 e il San Bartolomeo n. 37 come opere della scuola di Niccolò (E. Hutton, in Cavalcaselle-Crowe 1909, II, pp. 22-24). 14 Perkins 1913, p. 36; Idem 1933a, p. 53. 15 Weigelt 1911, p. 263; il giudizio di Weigelt è però falsato dalle attribuzioni a Niccolò della Croce dei Servi di Ugolino, della Croce di Arezzo di Segna, dei Santi Ansano e Galgano di Bartolomeo Bulgarini e dei Santi Francesco e Ludovico di Lippo Memmi della Pinacoteca Nazionale di Siena (Torriti 1990, pp. 54-56). Van Marle 1924, II, pp. 157-161; Idem 1934, II, pp. 150-153. 16 Brandi 1933, pp. 22-27, 223-225, 278-281. Niccolò non viene preso in considerazione in Idem 1951. 17 Berenson 1932, pp. 396-397; Idem 1936, pp. 340-341. Nella lista postuma del 1968 di Berenson, la cui autorialità è però incerta, sono accolte le aggiunte di Gertrude Coor (cfr. infra) e vengono inoltre avanzate alcune proposte pertinenti insieme ad altre errate, in un elenco ancora disorganico: Idem 1968, I, pp. 299-300. 18 Jaconbsen 1907, pp. 23-24; lo studioso tedesco non gli assegna invece le tavole nn. 37 e 38, mentre gli dà i Santi Ansano e Galgano di Bartolomeo Bulgarini. Berenson 1932, p. 397.