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Santo Vescovo (Gregorio?), San Giovanni Evangelista, San Giacomo, Sant’Agostino
from Niccolò di Segna e suo fratello Francesco: pittori nella Siena di Duccio, di Simone e dei Lorenzetti
8. Niccolò di Segna (e bottega), Croce (dettaglio cat. 18), Siena, Pinacoteca Nazionale
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9. Niccolò di Segna (e bottega), Croce (dettaglio cat. 18), Siena, Pinacoteca Nazionale 10. Niccolò di Segna (e bottega), Croce (dettaglio cat. 18), Siena, Pinacoteca Nazionale
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dimostra una maggiore vicinanza a quello più tardo, con cui ha in comune tra l’altro l’accentuazione dell’ombreggiatura data dalle sopracciglia e uno sguardo più diretto. Simili considerazioni valgono per il San Giovanni Battista di San Giovanni d’Asso, dalla posa e dall’aspetto sofferto analoghi al Precursore già in collezione Ramboux (dal polittico di San Maurizio); tuttavia la resa della pelliccia della veste, definita nelle singole ciocche di pelo, rimanda più direttamente alla figura del polittico n. 38. Lasciano ancora un margine di dubbio le cuspidi col Redentore e due Angeli dei musei di Raleigh e Cleveland (cat. 13), tradizionalmente riferite al trittico ora a Pienza, anche in virtù dell’appartenenza verso l’inizio del Novecento alla collezione dei fratelli Pannilini, patroni della pieve di San Giovanni d’Asso38. Le tre tavole mostrano d’altra parte interessanti contatti con le figure del polittico n. 38, con cui condividono la resa di alcuni panneggi e la delicatezza delle fisionomie, particolarmente evidente nella figura del Cristo, dalle caratteristiche sopracciglia arcuate. I pezzi sono stilisticamente così vicini che in un primo momento ne avevo ipotizzato la provenienza dal complesso vallombrosano. Se la prudenza suggerisce di non sbilanciarsi verso accostamenti indimostrabili, è vero che, se le cuspidi fossero effettivamente pertinenti al polittico pientino, segnerebbero un importante trait-d’union rispetto all’opera precedente, suggerendo una collocazione cronologica a ridosso della conclusione del lavoro per i Vallombrosani. Proprio la comparazione tra il Redentore americano, il maturo omologo della cimasa in collezione Salini che viene dalla Croce n. 4639 e il Risorto di Sansepolcro rimarca lo sviluppo dello stile di Niccolò
38 Franci 2013. 39 De Marchi, in Siena 2017, p. 50.
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11. Niccolò di Segna, Transito di San Giovanni Evangelista (dettaglio cat. 21), Siena, basilica di Santa Maria dei Servi
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12. Niccolò di Segna, Storie di Santa Caterina (dettaglio cat. 20), Monticchiello (Pienza), pieve dei Santi Leonardo e Cristoforo
in direzione di una più meditata e padroneggiata costruzione volumetrica, ottenuta sia attraverso la dilatazione delle forme sia con l’impiego di efficaci trapassi chiaroscurali, con cui il pittore declina un modello fisiognomico di base che subisce superficialmente poche modifiche, le quali tuttavia contribuiscono a chiarire la lettura conseguente della sua produzione. Del resto lo stesso avviene anche per le Madonne col Bambino, che si conformano a uno schema precocemente acquisito, variando, al di là delle pose del Bambino, alcune caratteristiche della costruzione dei volti e dei panneggi. Così non è difficile individuare nelle tavole di Cortona e di Figline (ora a Fiesole; cat 8) gli indizi di un’esecuzione precoce, precedente al polittico n. 38, e nella Madonna ex Locko Park (cat. 10) una sorta di punto di snodo dell’attività di Niccolò dalla fase giovanile alla maturità, come si vedrà più avanti. Sulla già analizzata strada della ricerca volumetrica si incontra la controversa Croce n. 46 del 1345, che nel suo insieme pare effettivamente trapassare la misura tipica di Niccolò. Tuttavia l’appesantirsi delle forme, più dilatate e ombreggiate, non compromette la compostezza del Cristo (fig. 8) e ciò che risulta semmai più spiazzante – tanto da catalizzare l’attenzione e influire sul giudizio complessivo dell’opera – sono i due Dolenti (figg. 9-10), che in effetti hanno poco in comune con la più nota maniera di Niccolò e potrebbero essere riferiti alla bottega del pittore. L’attività di un atelier sembra del resto potersi leggere in trasparenza nella riproposizione quasi palmare delle figure di un’opera giovanile: la Croce ora nella propositura dei Santi Ippolito e Donato a Bibbiena, rispetto al cui sottile Crocifisso quello della Pinacoteca è del resto ancora fratello (si confrontino anche i due perizomi) e le differenze in termini di trattamento delle masse corporee sono il segno naturale dei circa vent’anni di attività che separano le due tavole. Sono questi gli anni a cui si riferisce l’attività di frescante di Niccolò, di cui sono note solo due testimonianze40. È possibile che egli, a differenza del fratello, si sia dedicato a questa tecnica solo occasionalmente e, d’altronde, in particolare le figure del ciclo nella pieve dei Santi Leonardo e Cristoforo a Monticchiello presso Pienza (cat. 20) paiono meno ben padroneggiate rispetto alle prove su tavola. Pur mantenendo riconoscibili le caratteristiche tipiche delle fisionomie di Niccolò, gli affreschi di questa pieve mostrano un’evidente dilatazione dei profili e un uso più sostenuto della linea di contorno per la costruzione delle figure. Anche per questo è possibile supporre che quella di Monticchiello sia stata, almeno tra quelle rimaste, la prima prova di pittura a fresco. Infatti i protagonisti del Transito di San Giovanni Evangelista della cappella ex Spinelli di Santa Maria dei Servi a Siena (cat. 21) – riferibile alla metà degli anni Quaranta e unico brano che si può davvero riferire a Niccolò tra quelli che decorano la basilica – hanno forme e tratti più controllati e il pittore si sforza di conferire ai volti (anche quelli dei tondi delle fasce di contorno) specifiche caratterizzazioni. Più in generale, la scena è inserita in un contesto architettonico che, sebbene non del tutto compreso, segna un passo ulteriore rispetto alle figure isolate di Monticchiello, con l’eccezione delle due scene narrative dedicate a santa Caterina d’Alessandria, con cui del resto si possono instaurare i migliori confronti fisiognomici e strutturali rispetto alla scena della chiesa servita (figg. 11-12). Il tempo intercorso tra le due prove sembra dunque breve, lasciando supporre che anche la campagna pientina non sia anteriore al quinto decennio. Niccolò deve aver svolto un ruolo di primo piano nella decorazione in compagnia forse con Niccolò di Ser Sozzo della cappella Spinelli, dove gli spettano anche le figure di santi in piedi presso le finestre e un numero consistente di tondi con santi e beati serviti, collocati in posizione più elevata rispetto a quelli attribuibili all’autore del Banchetto di Erode. Gli affreschi offrono alcuni dei rari esempi di scene narrative prodotte da Niccolò, oltre alla predella del polittico della Resurrezione e a
40 Non spetta a Niccolò l’affresco con il Redentore e due Angeli del catino absidale di Santa Maria a Moriano presso Lucca, che gli assegna Alessandro Bagnoli (2003, p. 276 nota 26; inoltre Franci 2013), ma che va riferito al Maestro di San Frediano, come pensava Boskovits (comunicazione orale riportata da Flavio Boggi 1997, p. 171), confermato da De Marchi (1998, p. 402) e Tartuferi (1998, p. 44).