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2. Crocifissione, San Giovanni Battista, Stigmate di San Francesco
from Niccolò di Segna e suo fratello Francesco: pittori nella Siena di Duccio, di Simone e dei Lorenzetti
2. Niccolò di Segna Crocifissione, San Giovanni Battista, Stigmate di San Francesco Esztergom, Keresztény Múzeum (inv. 55.145) 1325 ca.
Tempera e oro su tavola Cm 40,5 x 49 (centrale cm 40,5 x 24; anta sinistra cm 40,3 x 12,8; anta destra cm 40,4 x 11,7) Provenienza: Siena; Colonia, Johann Anton Ramboux (1832/1842-1866); Eger (?), Pest, Besztercebánya, Nagyvárad, Arnold Ipolyi (1867-1886); Nagyvárad, lascito Ipolyi (1886-1920). Iscrizioni: “EC(C)E AGNUS DEI | EC(C)E QUI TOL[LIT]” (Gv 1,29), sul cartiglio di san Giovanni Battista.
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L’opera si compone di tre tavolette rettangolari con venatura del legno verticale, che allo stato attuale non risultano tra sé incernierate. Lo scomparto centrale mostra la Crocifissione alla presenza dei Dolenti e della Maddalena. A sinistra è raffigurato san Giovanni Battista sullo sfondo di un paesaggio roccioso e a destra si svolge la scena della stigmatizzazione di san Francesco. Le parti a tempera appaiono in buono stato di conservazione, al contrario dell’oro del fondo, la cui abrasione ha lasciato a vista il bolo sulla quasi totalità della superficie. I nimbi dei santi Giovanni e Francesco sono ben conservati e ben leggibili nella decorazione punzonata con stampi a fiore, mentre le aureole della tavola principale sono molto compromesse. Il piccolo trittico risulta essere stato sottoposto a restauro nel 19691, momento a cui devono risalire le integrazioni dei margini interni delle tavole laterali e alcuni risarcimenti della superficie pittorica a tratteggio, percepibili soprattutto nei laterali. L’opera fu acquistata tra il 1832 e il 1842, durante gli anni del secondo soggiorno italiano di Johann Anton Ramboux (1790-1866). Appartenne alla sua collezione di Colonia ed è descritta nel catalogo del 1862 e in quello di vendita del 1867 come pezzo proveniente da Siena2. Fu acquistata, insieme a numerose altre opere della raccolta tedesca, dal vescovo ungherese Arnold Ipolyi (1823-1886), la cui collezione seguì i suoi spostamenti da Eger a Pest a Besztercebánya, fino a Nagyvárad. Avendo egli disposto che alla sua morte la raccolta fosse donata ad un museo cristiano, anche il trittico fu acquisito dal Keresztény Múzeum di Esztergom nel 19203 . Dopo una prima insostenibile attribuzione a Giottino nel catalogo Ramboux4, il trittico è stato inquadrato come opera senese fin dal 1928 e attribuito a Barna da Tibor Gerevich5. Miklós Boskovits dal 1964 è tornato più volte a considerare l’opera, precisandone via via la lettura, da un’attribuzione a un artista di metà Trecento influenzato da Ugolino di Nerio e Simone Martini6 e poi all’ambito di Segna di Bonaventura – a cui si attiene Mária Prokopp7 –
1 Prokopp, in Christian Museum 1993, p. 218. Il restauro è stato eseguito da Dezső Varga. 2 Katalog 1862, p. 50, n. 302. Heberle 1867, pp. 50-51, n. 302. Il catalogo delle opere della collezione Ramboux è riportato in Lust und Verlust II 1998, pp. 536-605. Prima di arrivare a Colonia, dove Ramboux fu nominato curatore del Wallraf Museum nel 1843, la collezione transitò probabilmente da Treviri (Sallay 2015, p. 21). Colgo l’occasione per ringraziare Dóra Sallay per lo stimolante confronto e le numerose precisazioni fornitemi sulle opere senesi e sui dipinti di Niccolò di Segna conservati in Ungheria. 3 Cfr. Sallay 2011, pp. 111-114, 118 nota 43. Eadem 2015, pp. 13-67: 13-34 per le collezioni Ramboux e Ipolyi. Quest’ultima raccolta fu probabilmente a Eger nel 1867-1869 circa; a Pest, dove Ipolyi la rese accessibile al pubblico in uno dei corridoi del seminario di cui era stato nominato rettore, nel 1869-1871; a Besztercebánya nel 1871-1886; giunse infine a Nagyvárad nel 1886, poco prima della morte del vescovo. 4 Heberle 1867, ibidem. 5 Gerevich 1928, p. 224; Idem 1948, p. 61. Cfr. Prokopp, in Christian Museum 1993, ibidem. Si avvicina a questa posizione anche E. Vavra, in 800 Jahre 1982, pp. 541-542, cat. 10.09. 6 Boskovits, in Boskovits-Mojzer-Mucsi 1964, pp. 42-43. 7 Boskovits 1966, cat. 16-18. Prokopp, in Christian Museum 1993, ibidem.
fino all’assegnazione alla fase giovanile di Niccolò di Segna suggerita nel 19828, accolta più recentemente da Alessandro Bagnoli, Beatrice Franci e da chi scrive9 . L’attribuzione ad un momento precoce dell’attività di Niccolò è sostenuta dall’aspetto sottile e allungato dei personaggi, simile a quello riscontrabile nella piccola Incoronazione della Vergine (cat. 1). Altre opere a lui spettanti offrono confronti puntuali, come quello tra il Cristo al centro del trittico e il Crocifisso dello scomparto di predella conservato al Museo Horne di Firenze, elemento centrale dello zoccolo del polittico n. 38 della Pinacoteca Nazionale di Siena, includente la Madonna col Bambino della Galleria di Palazzo Cini di Venezia (cat. 11). Le due figure hanno le medesime membra lunghe ed esilissime, il torso stretto, la stessa mite espressione dolorosa; anche i perizomi risulterebbero quasi sovrapponibili, se non fosse per la traccia di uno svolazzo nella versione ungherese, che sembra ispirato a stilemi martiniani e si confronta col Cristo crocifisso della tavoletta ora nel Fogg Art Museum, Harvard University, di Cambridge (Mass)10. Altrettanto valido, nel percorso di Niccolò, il confronto col pinnacolo della collezione Johnson di Philadelphia (cat. 3) per la composizione della scena, le fisionomie dei soggetti e i loro panneggi. Le caratteristiche del Cristo sono inoltre rintracciabili, nonostante il notevolissimo scarto di dimensioni, anche nella Croce ora nella chiesa dei Santi Ippolito e Donato a Bibbiena (cat. 7). La forma regolare del trittico riprende una tipologia in uso in Toscana dalla seconda metà del XIII secolo. Tra le scarse attestazioni di ambito senese si può ricordare quello ora conservato al Metropolitan Museum di New York, composto da una Crocifissione con i dolenti e i Santi Chiara e Francesco, attribuita a Ugolino di Nerio, e dalle due ante con Storie della Vergine e Santi, assegnate al Maestro di Monteoliveto e forse realizzate in un momento successivo rispetto al centrale, ma comunque prossimo al 132011. Victor Schmidt ha inoltre ipotizzato che la cosiddetta Madonna dei Francescani di Duccio potesse costituire l’elemento principale di un simile trittico, data la forma regolare della tavola e le tracce di cardini sui due lati12. Più frequente è questo formato nella produzione fiorentina a cavallo tra Due e Trecento, come attestano, tra gli altri, gli altaroli del Maestro di Santa Maria Primerana ora a Princeton (University Art Gallery), del Maestro della Maddalena del Metropolitan Museum di New York e di Grifo di Tancredi della Gemäldegalerie di Berlino, tutti raffiguranti al centro la Madonna col Bambino e nelle ante Storie di Cristo e Storie della Vergine, con cui il trittichino di Niccolò ha in comune anche le dimensioni13 . Ad un ambito fiorentino parrebbe rimandare, oltre la presenza del patrono san Giovanni Battista, anche la figura di san Francesco stigmatizzato, ritratto in un atteggiamento di torsione che non si riscontra in altre attestazioni senesi del soggetto e richiama invece la pittura murale di Giotto della cappella Bardi in Santa Croce (fig. 81), riferita generalmente alla prima metà del terzo decennio del Trecento14, dando adito all’ipotesi che Niccolò abbia potuto trarre ispirazione direttamente dall’illustre modello durante un possibile soggiorno fiorentino, magari al seguito di Ugolino di Nerio.
Bibliografia Katalog 1862, p. 50, cat. 302; Heberle (Lempertz) 1867, pp. 50-51, cat. 302; Gerevich 1928, p. 224; Leopold 1930, p. 50; Gerevich 1948, p. 61; Boskovits, in Boskovits-Mojzer-Mucsi 1964, pp. 42-43; Boskovits 1966, cat. 16-18; Mucsi 1975, p. 35; Vavra, in 800 Jahre 1982, pp. 541-542, cat. 10.09; Boskovits 1982, p. 502; Boskovits 1985b, p. 126; Cséfalvay-Ugrin 1989, p. 103; Prokopp, in Christian Museum 1993, p. 218, cat. 69; Kontsek, in Lust und Verlust 1995, p. 580; Lust und Verlust II 1998, p. 583, n. 302; Bagnoli 2003, pp. 271-272; Matteuzzi 2008, p. 323; Franci 2013; Bagnoli, in Ambrogio 2017, p. 230.
8 Boskovits 1982, p. 502. Idem 1985b, p. 126. 9 Bagnoli 2003, pp. 271-272; Idem, in Ambrogio 2017, p. 230 (dove l’opera viene considerata un prodotto maturo). Matteuzzi 2008, p. 323. Franci 2013. 10 Inv. 1919.51; cm 24,8 x 13,4. Cfr. Leone De Castris 2003, p. 364. L’autore ritiene che la tavola fosse destinata alla devozione privata e la considera opera autografa ma tarda. 11 Stubblebine 1979, I, pp. 100, 178-179; II, figg. 228-234, 442. Masignani, in Duccio 2003, p. 345; tuttavia Masignani, come altri autori prima di lui, arretra eccessivamente il periodo di attività di questo anonimo, secondo quanto mi indica De Marchi. Cfr. infra §3. 12 Schmidt, in Duccio 2003, pp. 158-160. 13 Cfr. Tartuferi 1990, pp. 83, 92, 107. La tavola centrale del Maestro di Santa Maria Primerana misura cm 33 x 20; la tavola centrale del trittico del Maestro della Maddalena misura cm 40,6 x 28,3 e la tavole laterali cm 38,1 x 14; il centrale di Grifo di Tancredi cm 39 x 28,5. 14 Cfr. Bonsanti 2002, pp. 77-90.
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81. Giotto, Stigmate di San Francesco, Firenze, basilica di Santa Croce, cappella Bardi