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9. Madonna col Bambino

9. Niccolò di Segna Madonna col Bambino

Cortona, Museo Diocesano Fine terzo decennio del XIV secolo

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Tempera e oro su tavola Cm 102 x 67 Provenienza: Cortona, Santa Margherita; Cortona, Palazzo Vescovile. Iscrizioni: “[A]VE GRATI[A]”, sull’aureola della Vergine.

Si riferisce probabilmente a questa tavola la citazione di una Madonna col Bambino a fondo oro attribuita ad Ambrogio Lorenzetti nella sacrestia della chiesa cortonese di Santa Margherita, contenuta nell’elenco delle opere conservate presso quel santuario stilato da Domenico Bacci nel 19211. Prima di entrare nelle collezioni del locale Museo Diocesano l’opera fu ospitata nel Palazzo Vescovile di Cortona2 . Col restauro effettuato entro il 1955 dal Gabinetto Restauri della Soprintendenza alle Gallerie di Firenze furono rimosse le estese ridipinture che compromettevano la qualità cromatica e formale della tavola e fu riportata alla luce una superficie pittorica piuttosto ben conservata, nonostante alcune cadute di colore, evidenti in particolare sulla veste della Vergine3. A un’osservazione diretta la tavola appare assottigliata, ma conserva ancora i fori che dovevano alloggiare i cavicchi delle tavole laterali, componenti il possibile polittico di cui la Madonna doveva originariamente costituire il centrale. Dopo alcune generiche attribuzioni, Umberto Baldini notò nella Madonna di Cortona una forte somiglianza coi modi di Segna di Bonaventura e ne suggerì l’esecuzione all’interno della sua bottega. Hayden Maginnis ha accuratamente argomentato un’attribuzione al figlio di Segna, sottolineando la vicinanza tra la tavola di Cortona e altre Madonne col Bambino di Niccolò: la n. 44 della Pinacoteca Nazionale di Siena, quella in collezione Cini a Venezia e quella della Rotonda di Montesiepi, datata 13364. All’interno di questo gruppo Maginnis considera la Madonna di Cortona la più antica e la pone entro la prima metà del terzo decennio, scorgendovi più numerosi richiami alla pittura paterna, in particolare alle Madonne col Bambino del Seminario Arcivescovile di Siena e del North Carolina Museum di Raleigh. Rispetto a queste la Madonna di Cortona, come le altre figure di Niccolò, ha un atteggiamento più compassato e uno sguardo più distaccato, con una chiara tendenza alla regolarizzazione, che, seguendo ancora il ragionamento dello studioso americano, indicherebbe un’influenza di Ugolino e della sua cerchia, evidente anche da un confronto tra la Madonna di Cortona e la Madonna col Bambino del polittico di Ugolino conservato a Cleveland. La proposta attributiva di Maginnis, condivisa anche da chi scrive5, viene accolta da Cristina De Benedictis6 e Laura Speranza7, che inclinano per una datazione al quarto decennio con riferimento alla data 1336 della Madonna di Montesiepi, e più recentemente da Andrea Staderini, secondo cui l’opera sarebbe stata realizzata – Segna ancora vivente – entro il 13318 .

1 Bacci 1921, p. 63. Non si conservano a Cortona Madonne col Bambino riferibili ad Ambrogio. La provenienza da Santa Margherita è indicata anche nei cataloghi del museo: L. Speranza, in Il Museo 1992, pp. 36-37; Museo Diocesano 2012, pp. 40-41. Parla tuttavia di provenienza ignota Staderini 2007, pp. 60-70. 2 Cfr. Baldini 1955, p. 79. 3 Baldini 1955, ibidem. Un cenno a questo restauro si trova anche in Firenze restaura 1972, pp. 26, 131; l’opera tuttavia non fu inserita nell’esposizione. Alcune riproduzioni sono conservate presso il Gabinetto Fotografico della Soprintendenza fiorentina: nn. 96521, 96564, 96565. 4 Maginnis 1974, pp. 214-218. 5 Matteuzzi 2008, p. 330. 6 De Benedictis 1979, p. 94. Sulla sua scia anche Scapecchi 1980, p. 52. 7 Speranza, in Il Museo 1992, ibidem. Inoltre Mori 1995, p. 29; Museo Diocesano 2012, ibidem. 8 Staderini 2007, pp. 68-70.

Procede in parallelo a questa proposta l’ipotesi della paternità dell’altro figlio di Segna, Francesco, sostenuta da Alessandro Bagnoli sulla scorta dell’inserimento da parte di Luciano Bellosi nel 1970 della tavola cortonese nel corpus dell’autore della Madonna col Bambino del Museo Comunale di Lucignano9 (cat. 29). In questa direzione andava indirettamente anche la proposta di Serena Padovani di riferire la Madonna di Lucignano e in un primo momento anche quella di Cortona ad un gruppo di opere da lei riunite intorno alla Croce del Museo della Val d’Arbia a Buonconvento (cat. 26), per la quale era stato proposto il nome di Niccolò10, ma che la studiosa preferiva giustamente assegnare a un anonimo vicino anche a Segna e Ugolino, denominato Maestro della Croce di Buonconvento11, le cui opere sono state in gran parte ricondotte a Francesco dallo stesso Bagnoli. Peraltro James Stubblebine non escludeva una possibile identificazione proprio con Francesco del suo Maestro del Polittico di Sansepolcro12, a cui aveva attribuito anche la Madonna cortonese insieme ad altre opere in seguito date a Niccolò di Segna13 . Il nodo attributivo della Madonna di Cortona si lega all’annosa difficoltà di distinguere le personalità e definire le produzioni specifiche dei due figli di Segna, tra cui spesso sono rimbalzate le attribuzioni di varie opere. Definendo per Francesco un corpus non esiguo e sostanzialmente condivisibile, Bagnoli ha dato un contributo notevole per il riconoscimento degli elementi caratteristici della sua maniera, che per molti tratti si allontana da quella di Niccolò, più abile, pur denunciando modelli di riferimento analoghi e citazioni, soprattutto in riferimento alle opere giovanili di quest’ultimo. La tavola di Cortona presenta stringenti affinità compositive con la Madonna col Bambino conservata a Palazzo Barberini a Roma, da confermare a Francesco (cat. 32). La posa della Vergine, il suo velo e il gesto del Bambino che lo tiene con la destra sono quasi sovrapponibili; ricorre inoltre la scelta di avvolgere Gesù in un drappo, lasciandone il petto nudo. In entrambe le tavole l’aureola della madre è decorata con circoli contenenti alcune parole del saluto alla Madonna: nella tavola cortonese si legge “[A]VE GRATI[A]”, mentre in quella romana l’inserimento di due lettere in ciascun orbicolo permette di ottenere “AVE GRATIA PLENA”. Si tratta di una tipologia decorativa molto rara, a fronte del più consueto decoro fitomorfo che in effetti ritroviamo nei nimbi dei due Bambini, ma ottenuta con la tecnica della granitura a risparmio tipica di Niccolò, al quale rimanda anche il punzone a losanga che si ripete nel compasso esterno delle aureole della madre e del figlio. Le circonferenze della Madonna romana sono rifinite invece da più semplici punzoni circolari, all’esterno raggruppati a tre a tre a formare un decoro di gusto arcaico, che si trova anche in alcune delle opere estreme di Segna, ma che non ricorre nelle opere sicuramente riconducibili a Niccolò. Proprio il confronto tra queste due tavole rende a mio avviso palese la diversa paternità delle opere. Le figure del dipinto cortonese, molto allungate, sono caratterizzate da un segno raffinato e da una nettezza di forme che contrastano coi tratti più pesanti della tavola romana, le cui figure hanno fisionomie più marcate, segnate da linee spesse e da un chiaroscuro meno misurato. Diversa è anche l’intensità – si potrebbe dire anche l’intenzione – degli sguardi: la Vergine di Palazzo Barberini, come altre riferibili a Francesco, ricerca un incontro con l’osservatore, mentre gli occhi delle figure cortonesi lo sfuggono, alimentando così il senso di distacco già trasmesso dalla fissità delle pose e dalla staticità dei panneggi. Questa sorta di estremizzazione del verticalismo, che nella Madonna cortonese si traduce in un appiattimento delle figure, richiama le Madonne col Bambino della fase tarda di Segna, già segnalate nella scheda precedente e considerate da Maginnis. Dalla Madonna dei Servi potrebbe derivare il drappo violaceo con motivi cruciformi che avvolge il Bambino di Niccolò, ugualmente a torso nudo (fig. 23); ma in particolare la tavola di Cortona sembra rifarsi a quella segnesca ora a Raleigh (fig. 24), di cui emula la posizione della Vergine, pur con un esito di rigidità. In ciò si legge una relativa inesperienza e la volontà di rifarsi alle opere di Segna evitandone però le pose più complesse, a suggerire un’esecuzione precoce. Questa tavola e quella già a Figline potrebbero rappresentare dunque delle variazioni sui temi

9 Bellosi, in Arte in Valdichiana 1970, p. 9. Bagnoli 1997, p. 18 (con parere orale di Bellosi). Idem 2003, pp. 276-277 nota 26. Idem 2009b, pp. 440, 442. 10 Berenson 1932, p. 396. Inoltre De Benedictis 1979, p. 31. 11 Padovani, in Mostra 1979, p. 68. Eadem, in Mostra 1983, pp. 37-40. Sulla scorta della prima denominazione usata da Padovani, la tavola è riferita al Maestro della Madonna di Lucignano da Tafi 1989, p. 479. 12 Stubblebine 1979, I, pp. 154-155. 13 Cfr. Franci 2013.

paterni, con un’attenzione specifica per le novità martiniane, da parte di un pittore forse ancora in fase di formazione, che nelle opere successive si dimostra più sicuro nel trattamento delle figure e nel loro inserimento nello spazio. Un giovane pittore che, d’accordo con Maginnis, non è immune dall’ascendente di Ugolino di Nerio, il quale, oltre a trasmettere l’abitudine di realizzare aureole riccamente punzonate, contribuisce ad addolcire la gamma cromatica attraverso l’uso sapiente del chiaroscuro e a stemperare la fierezza degli sguardi delle figure di Segna, che invece rappresenta un’eredità specifica per Francesco.

Bibliografia Bacci 1921, p. 6; Bernardini-Castri 1951, p. 21; Baldini 1955, p. 79; Bellosi, in Arte in Valdichiana 1970, p. 9; Baldini, in Firenze restaura 1972, pp. 26, 131; Maginnis 1974; De Benedictis 1979, p. 94; Padovani, in Mostra 1979, p. 69; Stubblebine 1979, I, pp. 154-155; Scapecchi 1980, p. 52; Tafi 1989, p. 479; Speranza, in Il Museo 1992, pp. 36-37; Mori 1995, p. 29; Cannon-Vauchez 2000, p. 126 nota 108; Bagnoli 1997, p. 18; Bagnoli 2003, pp. 276-277 nota 26; Refice 2005, p. 81; Staderini 2007, pp. 68-70; Matteuzzi 2008, p. 330; Bagnoli 2009b, pp. 440, 442; Museo Diocesano 2012, pp. 40-41.

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