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10. Madonna col Bambino

10. Niccolò di Segna Madonna col Bambino

Collezione privata 1330 ca.

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Tempera e oro su tavola Cm 88 x 52,5 (con cornice cm 94 x 58,5) Provenienza: Locko Park (Regno Unito), William Drury Lowe (1840/1865-1995); Londra, Sotheby’s (6 dicembre 1995); Londra, Bonham’s (4 luglio 2012).

L’opera rappresenta l’unico esempio nella produzione nota di Niccolò in cui il Bambino interagisce con lo sguardo con la Madre, guardandola in volto mentre, in una posa altrettanto inedita, le appoggia una manina sul petto, in corrispondenza del velo; Maria non ricambia questa attenzione e volge gli occhi verso lo spettatore. Il rapporto affettivo tra i due personaggi è espresso, più tipicamente, dal contatto tra le loro mani. Sul retro della tavola sono presenti tre traverse non originali. Le recenti indagini radiografiche hanno evidenziato la presenza di due fori per cavicchi su ciascun lato1, che ne indicano la pertinenza ad un polittico, di cui costituiva certo il centrale. Purtroppo non è stato possibile individuare tavole ipotizzabili come laterali del complesso originario, che potrebbe essere stato una delle prime importanti commissioni affidate a Niccolò, come suggerisce l’impiego del lapislazzulo per gli strati superiori del manto della Vergine, dove la più economica azzurrite è relegata agli strati inferiori2 . L’opera entrò a far parte della collezione di William Drury Lowe (1803-1877) durante uno dei suoi viaggi in Italia tra il 1840 e il 1865, nel corso dei quali egli si procurò opere del Tre e Quattrocento nelle città del centro Italia, in particolare a Roma, Pisa e Firenze; i “primitivi” furono acquistati in gran parte nella prima metà degli anni Sessanta3. Rimasta nel Derbyshire fino alla vendita di parte della raccolta alla fine del 19954, la tavola è rientrata in Italia nel 2012. Alla collezione Drury Lowe si riferisce il numero di inventario 214 riportato sulla placchetta metallica originariamente fissata allo zoccolo del “tabernacolo” ottocentesco; al momento del restauro, quando lo zoccolo è stato rimosso, la placchetta è stata trasferita sul retro della tavola. Più difficile stabilire a cosa si riferisca il cartellino circolare col numero 319 e le lettere “F” e “HAB” ugualmente visibile sul retro. Nel 1968 la Madonna faceva parte della selezione di opere della raccolta di Locko Park esposte presso la Nottingham University Art Gallery, che contribuì a far conoscere a un pubblico più vasto la collezione Drury Lowe, fino a quel momento poco nota, e inoltre rappresentò l’occasione per celebrare l’attività di restauro dei dipinti e della struttura che li accoglieva, avviata da circa un decennio5. Poiché tuttavia non sono note fotografie che mostrino la Madonna prima di questa data, non è possibile precisare la portata degli eventuali interventi a cui fu sottoposta la tavola. La prima attribuzione a Niccolò di Segna, su suggerimento di James Stubblebine, rimanda proprio a questa mostra6 . In precedenza nel catalogo della raccolta inglese redatto nel 1901 da Jean Paul Richter, che non fornisce indizi sulla

1 I cavicchi sono distanti tra loro, su entrambi i lati, cm 46; rispetto alla base della tavola si trovano a cm 6 e cm 52,5 circa. Machtelt Brüggen Israëls, che ringrazio sentitamente per il proficuo scambio di pareri su questa e altre opere di Niccolò di Segna, mi indica la presenza in antico di un battente, segnalato da un foro di chiodo posto sull’asse mediano della tavola a circa 83,5 cm dal fondo. 2 Si vedano le relazioni dei restauratori londinesi consultati dall’attuale proprietario: Sarah Walden (2013), Katherine Ara (2014) e David Chesterman (s.d.). 3 Vertova 1968, p. 23. Anche Sebag Montefiore 1995, s.p. L’incertezza dei contesti di acquisizione delle opere della collezione Drury Lowe è menzionata anche da George Hughes Hartman nell’introduzione del catalogo della mostra di Nottingham del 1968: Pictures 1968, s.p. L’opera non è inserita tra quelle citate da Waagen a seguito di una visita a Locko Park poco dopo la metà dell’Ottocento: Waagen 1857, pp. 496-408. 4 Old Master 1995, lotto 14. 5 Cfr. Cornforth 1968, p. 404: “a great deal has been done to improve the condition and appearence of the pictures”. 6 Pictures 1968, cat. 4, tav. IV.

sua provenienza, l’opera veniva ricondotta all’ambito di Duccio7; nel 1908 Robert Langton Douglas aveva suggerito il nome di Segna di Bonaventura8, seguito da Raimond van Marle, che tuttavia preferiva un più generico riferimento alla sua scuola9. L’attribuzione a Niccolò è stata in seguito sempre condivisa10 e precisata da Luisa Vertova con una proposta di collocazione cronologica anteriore al 1336 della Madonna col Bambino da Montesiepi11. In generale tuttavia le proposte di datazione sono meno unanimi: curiosamente Stubblebine propone due date differenti all’interno dello stesso volume, l’una precoce, verso il 1325, in riferimento alla vicinanza con lo stile di Segna, ma comunque in relazione con la Madonna da Montesiepi e con la n. 44 della Pinacoteca Nazionale di Siena, l’altra verso il 1335134012. A quest’ultima proposta si attengono i cataloghi d’asta Sotheby’s e Bonham’s13, mentre tornano ad arretrare l’opera entro la prima metà del quarto decennio Beatrice Franci e chi scrive14 . Finora il giudizio sull’opera è stato basato sull’osservazione di dati “esteriori”, come la posa dei due protagonisti e l’aspetto delle mani, facilmente paragonabili ad altre Madonne di Niccolò, e inoltre sull’analisi di una superficie dipinta ritenuta genuina15 ma in realtà in gran parte ritoccata prima che venisse acquistata da Drury Lowe, quando sono stati anche applicati un nuovo fondo oro e la cornice con lo zoccolo. La pulitura effettuata dopo l’ingresso nella nuova collezione (fig. 87) ha eliminato le superfetazioni che alteravano diversi dettagli, permettendo così di precisare il giudizio sull’opera. Il confronto tra la fotografia scattata dopo il restauro e l’immagine nota fino al 2012 (fig. 86) mostra come si sia intervenuti a rimuovere la vecchia cornice con lo zoccolo e alcuni strati superficiali di pittura, pertinenti ad interventi passati: sono state ad esempio eliminate alcune dorature dei galloni delle vesti e le perdite, notevoli soprattutto alla base della tavola, sono state colmate a tratteggio. La rimozione del fondo oro – incongruo per la presenza di una fascia a raggiera e altri dettagli punzonati insoliti delle aureole primo-trecentesche e rimontante in più punti sopra il colore – ha rivelato una sottostante doratura tuttavia neanch’essa originaria perché ugualmente sovrapposta in alcuni punti al colore16 . L’intervento più significativo è stato però compiuto sul volto della Madonna, che ha riacquisito i suoi tratti originali, addolciti e appiattiti dai precedenti ritocchi: come il Bambino, meglio preservato, adesso presenta un chiaroscuro più marcato e ha ritrovato il suo profilo originale vagamente aquilino – elementi tipici di una fase più avanzata di Niccolò – e i suoi occhi morbidi e carnosi, dalle palpebre spesse, prossimi a quelli della Madonna col Bambino Cini ma anche della successiva n. 44 della Pinacoteca senese (cat. 11a, 14). Un certa rigidità delle pose e la lontananza da opere più tarde come la Madonna conservata a Villa I Tatti a Firenze (cat. 16a) suggeriscono in ogni caso una datazione non troppo avanzata e ancora vicina alla fase giovanile del pittore. La tavola ex Locko Park sarà allora da confermare entro la prima metà del quarto decennio e tuttavia non è possibile ritenerla successiva rispetto alle diverse componenti del ricostruito polittico n. 38 della Pinacoteca Nazionale di Siena, di cui faceva parte anche la più matura Madonna Cini. In questo senso è condivisibile la considerazione di Franci che questa Madonna vada intesa come un’importante tappa del percorso di evoluzione stilistica di Niccolò, che conduce ad esempio alla Madonna di Montesiepi del 1336.

Bibliografia Richter 1901, p. 86, cat. 214; Douglas, in Cavalcaselle-Crowe 1908, III, p. 28 nota 1; van Marle 1924, II, p. 156 nota 2; Pictures 1968, cat. 4, tav. IV; Cornforth 1968, p. 404; Smart 1968, p. 206, fig. 3; Vertova 1968, pp. 24-26; Calvocoressi 1976, p. 141; De Benedictis 1979, p. 94; Stubblebine 1979, I, pp. 138, 154, II, tav. 478; Old Master 1995, lotto 14; Franci, in Duccio 2003, p. 364; Matteuzzi 2008, p. 330; Old Master 2012, lotto 33; Franci 2013; Matteuzzi, in La Galleria 2016, p. 46.

7 Richter 1901, p. 87, cat. 214. 8 Douglas, in Cavalcaselle-Crowe 1908, p. 28 nota 1. 9 Van Marle 1924, II, p. 156 nota 2. 10 Cornforth 1968, ibidem. Smart 1968, p. 206, fig. 3. Calvocoressi 1976, p. 141. De Benedictis 1979, p. 94. Stubblebine 1979, I, pp. 138, 154; II, tav. 478. 11 Vertova 1968, pp. 24-26, fig. 3. 12 Stubblebine 1979, I, pp. 139, 154. 13 Old Master 1995, lotto 14. Old Master 2012, lotto 33. 14 Franci, in Duccio 2003, p. 364; Eadem 2013. Matteuzzi 2008, p. 330. 15 Vertova 1968, p. 25. Stubblebine 1979, I, p. 139. 16 Le relazioni dei restauratori (cfr. nota 2) non accennano a questo elemento.

86. Cat. 10, ante restauro

87. Cat. 10, dopo la pulitura, prima del restauro pittorico

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