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Cristo Crocifisso, due Santi Vescovi e i Santi Vittore, Caterina, Donato(?), Orsola, Francesco (predella

11. Niccolò di Segna Polittico smembrato con la Madonna col Bambino e i Santi Benedetto, Michele Arcangelo, Bartolomeo, Nicola (ordine principale); i Santi Lucia, Lorenzo, Andrea, Giovanni Battista, Giovanni Evangelista, Giacomo, Giovanni Gualberto, Maria Maddalena (ordine superiore); Cristo crocifisso, due Santi Vescovi e i Santi Vittore, Caterina, Donato(?), Orsola, Francesco (predella) 1330-1335 ca.

11a

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Madonna col Bambino

Venezia, Galleria di Palazzo Cini (inv. 6677)

Tempera e oro su tavola Cm 76,4 x 49,6 Provenienza: Siena, San Michele in Poggio San Donato (?); Prato, San Francesco; New York, collezione privata (1940/1945 ca.); New York, Julius H. Weitzner; Londra, collezione privata; Firenze, Giovanni Salocchi; Venezia, Vittorio Cini (1959); Venezia, Yana Cini Alliata di Montereale (1977-1981).

11b.

Santi Benedetto, Michele Arcangelo, Bartolomeo, Nicola; Santi Lucia, Lorenzo, Andrea, Giovanni Battista, Giovanni Evangelista, Giacomo, Giovanni Gualberto, Maria Maddalena Siena, Pinacoteca Nazionale (inv. 38)

Tempera e oro su tavola Cm 115,5 x 168 (singola tavola cm 43,5) Provenienza: Siena, San Michele in Poggio San Donato (?). Iscrizioni: “S(ANCTUS) BENEDICTUS”, “S(ANCTUS) MICHAEL”, “S(ANCTUS) BARTHOLOMEUS”, “S(ANCTUS) NICHOLAUS”, sotto i quattro santi dell’ordine maggiore; “S(AN)C(T)A LUCIA”, “S(ANCTUS) LAURE(N)TIU(S)”, “S(ANCTUS) ANDREAS”, “S(ANCTUS) IOH(ANN)E(S) B(AP)T(ISTA)”, “S(ANCTUS) IOH(ANN)ES EVA(N)G(ELISTA)”, “S(ANCTUS) IACOBUS”, “S(ANCTUS) IOH(ANN)ES ABB(AS)”, “S(AN)C(T)A MARIA M(ADDALENA)”, a fianco degli otto santi dell’ordine superiore; “ECCE AGNUS DEI” (Gv 1, 29), cartiglio di san Giovanni Battista.

11c.

Cristo crocifisso

Firenze, Museo Horne (inv. 58)

Tempera e oro su tavola Cm 26 x 20,2 Provenienza: Siena, San Michele in Poggio San Donato (?).

Cat. 11a

11d-e.

San Donato(?) e Santo Vescovo

Gallico (Asciano), collezione Salini

Tempera e oro su tavola Cm 26 x 20,4 (11d); cm 25 x 20,4 (11e) Provenienza: Siena, San Michele in Poggio San Donato (?); collezione privata francese; mercato antiquario fiorentino (1992).

11f.

Santo Vescovo

Mercato antiquario

Tempera e oro su tavola Cm 25,4 x 20 Provenienza: Siena, San Michele in Poggio San Donato (?); mercato antiquario americano (1995); collezione privata italiana.

11g.

Santa Caterina d’Alessandria

Siena, Pinacoteca Nazionale (inv. 24)

Tempera e oro su tavola Cm 22 x 16,5 Provenienza: Siena, San Michele in Poggio San Donato (?).

11h-i.

Sant’Orsola e San Vittore

Digione, Musée des Beaux-Arts (inv. D 23 A-B)

Tempera e oro su tavola Cm 25 x 20 ciascuna Provenienza: Siena, San Michele in Poggio San Donato (?); Digione, Pichot l’Amabilais, poi Dard (fino al 1916).

11l.

San Francesco

Pisa, Museo Nazionale di Palazzo Reale

Tempera e oro su tavola Cm 25,8 x 20 Provenienza: Siena, San Michele in Poggio San Donato (?); Roma, Schiff-Giorgini (1950); collezione privata (fino al 1973); Pisa, Museo Nazionale di San Matteo (depositi).

Alle tavole n. 38 della Pinacoteca di Siena, laterali di un polittico smembrato, sono state in anni recenti accostate prima una serie scomparti di predella raffiguranti santi a mezzo busto e un Cristo crocifisso1 e, successivamente, una Madonna col Bambino conservata presso la Galleria di Palazzo Cini a Venezia2. È stato possibile così proporre la parziale ricostruzione di un pentittico di notevole impegno, ancora mancante di alcune tavolette dello zoccolo e delle cinque cuspidi3 . Le quattro tavole del cosiddetto polittico n. 38 conservano la loro struttura originaria con ordine principale centinato e ordine superiore, dove a ciascuna figura maggiore corrispondono due minori sotto archetti. Alla base di ciascuna tavola una fascia contiene l’iscrizione col nome del santo principale e alcune decorazioni a sgraffito, che ornano anche gli spazi di risulta degli archi in entrambi gli ordini. Queste parti appaiono le peggio conservate, mentre la superficie pittorica vera e propria è in buone condizioni, nonostante alcuni movimenti della struttura lignea abbiano causato delle fenditure verticali, la principale visibile a metà della tavola con San Benedetto. Le cornici sono in gran parte autentiche, mentre l’oro potrebbe essere stato ritoccato4 e tuttavia gli elementi punzonati delle aureole sono originali. Il gruppo è stato riferito a Niccolò di Segna sullo scorcio del XIX secolo da Giovan Battista Cavalcaselle5, che ha così superato la generica attribuzione ad un pittore duccesco utilizzata fin dalla prima redazione del catalogo della Pinacoteca Nazionale di Siena del 18426. La proposta non ha trovato immediata accoglienza e Jacobsen, Perkins, Weigelt e van Marle hanno mantenuto il riferimento generico a un seguace di Duccio, pur concordando con Cavalcaselle in merito alla comune paternità del laterale di polittico con San Bartolomeo e i Santi Giovanni Evangelista e Nicola della stessa Pinacoteca (n. 37)7, come risulta anche in occasione della mostra dedicata a Duccio nel 19128; così inoltre Cesare Brandi, che respinse la proposta di Cavalcaselle ma sottolineò la qualità delle tavole e la vicinanza ai modi di Simone Martini9. Berenson aveva invece fatto poco prima il nome di Segna di Bonaventura, ma accettò poi l’attribuzione a Niccolò10 sulla scorta del fondamentale articolo di Pèleo Bacci del 193511, dopo il quale questo nome è stato raramente messo in discussione (Hueck, Stubblebine, Torriti)12 . Non c’è concordanza invece sulla cronologia di queste tavole, per le quali Beatrice Franci suggerisce, come già a suo tempo Brandi, un’esecuzione verso il 1320 circa, agli esordi della carriera del pittore, notando l’ancora forte dipendenza da Segna e valorizzando gli elementi martiniani rilevati anche da Irene Hueck13. Per contro Machtelt Brüggen Israëls ritiene le tavole pertinenti alla prima metà del quinto decennio, in rapporto con quelle del polit-

1 Matteuzzi 2008, pp. 321-330. 2 Matteuzzi, in La Galleria 2016, pp. 43-47, cat. 4. Questa proposta ricostruttiva è accolta da Bagnoli, in Ambrogio 2017, p. 231 nota 22. 3 Diversamente da quanto altrove proposto (Matteuzzi, in La Collezione 2009, I, p. 96), vanno probabilmente espunte da questo ideale riassemblamento le tre cuspidi con il Redentore e due Angeli (Raleigh, North Carolina Museum; Cleveland, Museum of Art; cat. 13), tradizionalmente accostate al trittico di San Giovanni d’Asso. La proposta ricostruttiva presente nel catalogo della collezione Cini, errata nel mantenimento della cuspide del Redentore (Matteuzzi, in La Galleria 2016, fig. a p. 46), è emendata da De Marchi e Fattorini nella ricostruzione inserita nel catalogo della recente mostra senese della collezione Salini (De Marchi, in Siena 2017, p. 48, fig. 7). 4 Franci, in Duccio 2003, p. 366. 5 Cavalcaselle-Crowe 1885, III, p. 35. Inoltre Cavalcaselle-Crowe 1908, III, p. 29 nota 4; Hutton, in Cavalcaselle-Crowe 1909, II, p. 23 nota 4. 6 [Pini] 1842, p. 4. [Milanesi] 1852, p. 10. Catalogo 1860, p. 13 (anche Catalogo 1864, p. 13; 1872, p. 11; 1895, p. 18; 1903, p. 18; 1909, p. 13). 7 Jacobsen 1907, p. 24. Perkins 1908, p. 51; Idem 1913, p. 37. Weigelt 1911, p. 198. Van Marle assegna il polittico n. 38 al Maestro di Montalcino: van Marle 1924, II, p. 94; Idem 1934, II, p. 95. 8 De Nicola, in Mostra 1912, pp. 36-37, cat. 86. Lusini 1912, pp. 135-136. 9 Brandi 1933, p. 23. Idem 1951, p. 155. Anche Perkins aveva notato influssi di Simone Martini (Perkins 1913, ibidem). 10 Berenson 1932, p. 524. Idem 1936, p. 341. Idem 1968, I, p. 300. 11 Bacci 1935, pp. 10-11. 12 Irene Hueck (1968, pp. 45, 59) ha pensato ad un collaboratore di Simone Martini, mentre Stubblebine (1979, I, p. 155) ha inserito le tavole nel catalogo della personalità da lui creata del Maestro di Sansepolcro, le cui opere sono quasi tutte da ricondurre a Niccolò; Torriti (1977, p. 83; 1990, p. 39) inizialmente era tornato all’attribuzione generica ad un anonimo senese, per poi accogliere il nome di Niccolò. Per le voci favorevoli all’attribuzione a Niccolò cfr. bibliografia specifica. 13 Franci, in Duccio 2003, pp. 364, 366; Eadem 2013. Per un riferimento al 1325 circa anche Baldini, in Arte a Figline 2010, pp. 120-121, cat. 6.

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Cat. 11b

tico ricostruito da Gertrude Coor e da lei stessa (cat. 16). Tuttavia entrambe le proposte non sono soddisfacenti. Il confronto con quest’ultimo complesso mostra, al di là delle affinità nella struttura generale delle tavole e nella decorazione delle aureole, una diversa resa delle figure: quelle del polittico n. 38 hanno tratti caratterizzati da una più sensibile volumetria, ottenuta grazie alle sfumature del chiaroscuro (e del sottostante verdaccio) e alle pennellate di luce che modellano i tratti dei volti leggermente foschi; diversamente, i personaggi dell’altro polittico smembrato hanno una stesura più distesa e dettagli più marcati, come ad esempio gli occhi segnati da linee scure. D’altra parte un confronto con la Croce di Bibbiena, chiamata da Franci ad avvalorare la sua ipotesi cronologica, indica piuttosto la posteriorità delle tavole senesi, caratterizzate da un linguaggio più sicuro e maturo, che consente a Niccolò di strutturare corpi più volumetrici e padroneggiare con maggior sicurezza la resa delle fisionomie, che hanno acquisito molti degli elementi più caratteristici della produzione di questo pittore. Tuttavia ha ragione chi nota nelle figure del polittico n. 38 richiami a Simone Martini, ricorrenti in particolare in alcune delle opere più antiche di Niccolò. Così pare pertinente collocare il gruppo senese in quella che potremmo definire la prima maturità di Niccolò, quando il suo stile inizia ad acquisire tratti peculiari, ma sono ancora vicine le sperimentazioni nel solco di Segna e, appunto, di Simone Martini14; sembra pertanto appropriata una datazione entro la metà degli anni Trenta. La tavola della Madonna col Bambino conservata a Venezia è assottigliata e ridotta a forma regolare per la decurtazione della centina e dei lati. Al momento dell’acquisto da parte del conte Vittorio Cini nel 1959 la tavola probabilmente si presentava già con l’aspetto attuale15, che può ritenersi quello originario per quanto riguarda la superficie dipinta; una fotografia storica Brogi riferibile ai primi decenni del XX secolo16 la testimonia invece integrata di uno scapolare e un anello all’anulare destro della Vergine – dettaglio ancora in essere – e ritoccata sui panneggi e sugli occhi di entrambe le figure (fig. 88). La doratura è quasi completamente perduta e il fondo ha il colore rosso-aranciato del bolo; le punzonature delle aureole sono in ogni caso ben conservate. La rimozione delle superfetazioni, riferibili ai decenni a cavallo tra XVII e XVIII secolo17, potrebbe essere avvenuta al momento dell’immissione dell’opera sul mercato negli anni della Seconda Guerra Mondiale, a seguito della cessione da parte dei frati del convento di San Francesco a Prato18, dove la tavola fu vista negli anni Trenta da Perkins e Berenson. I due autori hanno proposto inizialmente un riferimento alla scuola di Duccio, che Berenson ha poi precisato con un’attribuzione a Segna di Bonaventura19. Gertrude Coor è stata la prima a suggerire il nome di Niccolò di Segna, in seguito sempre riproposto20. All’epoca delle ricerche di questa studiosa la tavola era ancora dispersa e nota attraverso la fotografia Brogi; fu Luisa Vertova nel 1968 a riconoscerla nella Madonna in collezione Cini21. Coor ha inoltre ipotizzato che la tavola veneziana costituisse il centrale del polittico da lei idealmente ricostruito con le tavole di San Bartolomeo della Pinacoteca Nazionale di Siena, di Santa Lucia della Walters Art Gallery di Baltimora e di Santa Caterina d’Alessandria e San Maurizio dell’High Art Museum di Atlanta, per il quale Gabriele Fattorini ha convincentemente suggerito la provenienza dalla chiesa senese di San Maurizio22. La condivisa proposta della studiosa americana è stata tuttavia recentemente confutata da Machtelt Brüggen Israëls, che ha dimostrato in meniera definitiva la pertinenza a questo complesso della Madonna col Bambino di Villa I Tatti a Firenze23 .

14 Cfr. cat. 9. 15 Negli archivi della collezione Cini non sono documentati interventi di restauro. È possibile che al suo arrivo la tavola avesse già la parchettatura, invece non è chiaro quando sia stata applicata la cornice moderna. 16 Fototeca Zeri, n. 14252. La fotografia risulta genericamente databile tra il 1900 e il 1940. 17 Perkins 1932a, p. 46. 18 Coor Achenbach 1954-1955, p. 90. 19 Perkins 1932a, ibidem. Berenson 1932, p. 524. Idem 1936, p. 450 (l’opera viene definita “ritoccata”). Con la prima generica indicazione l’opera entra nella collezione veneziana. 20 Coor Achenbach 1954-1955, ibidem. Per gli autori favorevoli a questa attribuzione cfr. bibliografia specifica, con la parziale eccezione di Torriti che inizialmente esprime qualche riserva (Torriti 1977, p. 84). 21 Notizia inserita in Berenson 1968, I, p. 300; più sfumata in Vertova 1968, p. 25. 22 Fattorini 2008a, pp. 177-178. 23 Brüggen Israëls, in The Bernard and Mary 2015, pp. 500-504, cat. 80.

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In virtù dell’antico accostamento la Madonna in collezione Cini è stata spesso riferita al quinto decennio, datazione che conviene al polittico di San Maurizio24; tuttavia l’opera, non diversamente da quanto si osserva per le tavole del polittico n. 38, non sembra ancora toccata dal progressivo accostamento alla lezione lorenzettiana riscontrabile in quel complesso e nelle opere mature di Niccolò. Persistenze duccesche nelle fisionomie e nel trattamento del chiaroscuro avvicinano la nostra tavola alle Madonne riferibili al quarto decennio, quali quella ex Locko Park, la n. 44 della Pinacoteca senese e quella di Montesiepi (cat. 10, 14-15), con la quale la Madonna Cini ha in comune anche lo schema e i motivi decorativi delle aureole. Rispetto all’opera del 1336, d’altra parte, gli sguardi delle due figure veneziane, liberati dagli antichi ritocchi, mostrano una consistenza più languida e carnosa, più prossima alle altre due tavole mariane, a cui si avvicina anche la qualità sfumata degli incarnati. Una datazione anticipata entro la metà del quarto decennio sembra conveniente anche per la Madonna Cini. La concordanza stilistica delle sue componenti pone questo complesso in un momento piuttosto precoce della carriera di Niccolò, in cui il pittore sperimenta la fusione della salda formazione duccesca con alcune delle innovazioni di Simone. Rispetto alla Madonna col Bambino di Cortona, dove questo tentativo è ugualmente attuato, le componenti del polittico dimostrano l’acquisizione di una maggiore abilità nella gestione delle due tendenze in un linguaggio più sicuro ed equilibrato, che supera alcuni schematismi attraverso la reale assimilazione dei vari elementi da cui risulta il suo stile caratteristico, riconoscibile nel corso della sua carriera al di là delle sue numerose evoluzioni. Le otto tavolette con santi a mezzo busto provengono senza dubbio dallo stesso contesto, date la concordanza delle misure e le loro comuni caratteristiche formali e materiali. Si tratta di tavole rettangolari a venatura orizzontale che conservano, ad eccezione della Santa Caterina, una cornice a gola applicata sulla faccia anteriore a delimitare la superficie dipinta e interessate – almeno per quelle di cui si è preso visione diretta25 – da un discreto inarcamento. Inoltre le tavole con Santo Vescovo volto a destra, San Vittore, Santa Caterina e il Santo Vescovo frontale presentano a

24 Per gli autori concordi su questa datazione, confermata anche da Brüggen Israëls (in The Bernard and Mary 2015, ibidem), cfr. Zeri, in Dipinti 1984, pp. 12-13, cat. 8; inoltre Franci 2013. 25 Il Cristo crocifisso del Museo Horne, la Santa Caterina della Pinacoteca senese e i due Santi Vescovi in collezione Salini.

Cat. 11g Cat. 11h

circa metà della loro altezza una profonda fenditura orizzontale di andamento continuo e discendente, che ne conferma la provenienza da una stessa asse lignea e permette di congetturare la sequenza. Federico Zeri formulò per primo, seguito da Marguerite Guillaume, l’ipotesi della provenienza da una stessa predella per le tre tavole allora note con Santa Caterina, San Vittore e Sant’Orsola26. Solo recentemente la proposta è stata definitivamente accolta e precisata27, superando lo scetticismo dovuto alla forma regolare provvista di cornicette sui quattro lati, del tutto insolita, di questi scomparti di predella con santi28 . Al centro dello zoccolo, seguendo la consuetudine di inserirvi una Imago pietatis, doveva trovarsi il Cristo crocifisso del Museo Horne29, come nell’imponente predella frammentaria di Ugolino di Nerio conservata nel Museo Nazionale di Villa Guinigi a Lucca30 (fig. 16), dove ricorre l’arcaismo della croce blu e l’insolita assenza dei Dolenti. La nota

26 Zeri 1978, p. 149. Anche De Benedictis 1979, p. 94 e Guillaume 1980, p. 77; Eadem, in L’art gothique siennois 1983, p. 87. L’accostamento delle due tavole francesi alla Santa Caterina di Siena, con proposta di pertinenza a un medesimo complesso, era già stata avanzata nel 1955 da Michel Laclotte nella sua tesi di laurea (Les peintres siennois et florentins des XIVe et XVe siècles dans le Musées de province français, Thèse pour le Diplome d’Études Supérieures de l’École du Louvre, ms., Paris, 1955, p. 4, cat. 41-42) e confermata tramite una comunicazione scritta a Enzo Carli nel 1969, come riporta Guillaume (1980, ibidem). 27 Matteuzzi 2008. 28 Ancora in anni recenti Beatrice Franci esprime incertezza sulla pertinenza delle quattro tavolette da lei considerate (Santa Caterina, San Vittore, Sant’Orsola e San Francesco) ad uno stesso complesso e ancor di più nell’identificare quest’ultimo con una predella (Franci, in Duccio 2003, pp. 370-372); la studiosa ha concordato in seguito con la proposta ricostruttiva (Eadem 2013). 29 La superficie pittorica appare coperta da una patina di sporcizia e interessata da una consistente craquelure e da numerose abrasioni. Conserva su tre lati (in alto, in basso, a destra) la cornice originale; sul lato sinistro invece il listello è stato sostituito, forse verso il 1912 se, come sembra, si riferisce a questo intervento una nota di pagamento per il restauratore Carlo Coppoli per l’esecuzione di una “piccola cornice a gola per una crocifissione su fondo d’oro”: Firenze, Fondazione Herbert P. Horne, Archivio (d’ora in poi Archivio Horne). 30 L. Bertolini Campetti, in Museo Nazionale 1968, pp. 140-141, inv. 300. L’attribuzione a Ugolino è di Berenson (1932, p. 538), confermata più recentemente da Tartuferi (1998, p. 44).

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d’acquisto da parte di Herbert Horne nel 1904 costituisce la prima notizia relativa al piccolo Cristo31, di cui non si conoscono i precedenti spostamenti. L’attribuzione dell’opera alla scuola di Duccio proposta da Carlo Gamba nel primo inventario della collezione32 e quella a un seguace di Simone Martini proposta da Berenson33 resistettero a lungo senza che si cercasse di precisare l’identità dell’autore, prima che Miklós Boskovits notasse l’affinità tra questo Crocifisso e l’altrettanto esile Cristo dello scomparto centrale del piccolo trittico del Keresztény Múzeum di Esztergom (cat. 2), che in seguito attribuirà a Niccolò di Segna34. La tavoletta Horne è stata assegnata esplicitamente a questo pittore da chi scrive, su indicazione di Andrea De Marchi35 . La Santa Caterina d’Alessandria è la tavola più nota della serie, essendo citata nei cataloghi della Pinacoteca di Siena fin dal 1842, ma senza indicazioni di provenienza. Le attribuzioni più antiche sono alla maniera di Duccio36 o al maestro stesso37 o alla sua bottega38, oppure all’ambito di Segna di Bonaventura39; Brandi e successivamente Torriti hanno sottolineato tuttavia anche una componente martiniana40. Una dubbiosa intuizione di Perkins, che aveva suggerito il nome di Niccolò di Segna colto in una fase giovanile41, venne finalmente precisata quasi mezzo secolo più tardi da

31 Le carte d’archivio riportano la nota, redatta da Coppoli, del probabile atto di compravendita: “venduta una crocifissione dipinta in tavola su fondo d’oro” (Archivio Horne, Segn. K.I.1., Anno 1904, c. 9). 32 Gamba 1921, p. 11. Van Marle 1925, V, p. 448. Gamba 1961, p. 26. Rossi 1968, p. 137. 33 Berenson 1932, p. 529; Idem 1936, p. 454; Idem 1968, I, p. 404. 34 Boskovits 1966, cat. 16. Idem 1985b, p. 126. 35 Matteuzzi 2008, p. 321. 36 [Pini] 1842, p. 4. [Milanesi] 1852, p. 9. Catalogo 1860, p. 11. 37 Catalogo 1872, p. 10. Catalogo 1895, p. 13. Catalogo 1903, p. 13. 38 Jacobsen 1907, p. 23. Van Marle 1924, II, pp. 75-77. 39 Lusini 1912, p. 131. Dami 1924, p. 11. Berenson 1932, p. 524. Idem 1936, p. 451. 40 Brandi 1933, pp. 195-196. Torriti 1990, p. 60. 41 Perkins 1908, p. 49 (come approfondimento dell’attribuzione all’ambito di Segna); Idem 1928, pp. 103-104.

Michel Laclotte nella sua inedita tesi del 1955, in cui prima di Zeri aveva accostato la tavola a quelle con San Vittore e Sant’Orsola del Musée des Beaux-Art di Digione42, già genericamente assegnate alla scuola duccesca da van Marle e ad Andrea Vanni verso il 1400 da John Pope Hennessy43. Alla generale accoglienza della proposta44 fa in parte eccezione Stubblebine, che assegna la Santa Caterina e le tavolette francesi a due mani a suo parere diverse, la prima a Niccolò e le seconde al suo alter ego, il Maestro di Sansepolcro45. Le immagini pubblicate nel catalogo dello studioso americano46 testimoniano le cattive condizioni in cui versavano il San Vittore e la Sant’Orsola sul finire degli anni Settanta: le superfici apparivano scurite da uno spesso strato di sporcizia, abrase e graffiate; la tavola del San Vittore era inoltre spaccata a metà dalla fenditura orizzontale, che è stata in seguito sanata, così come si è provveduto alla pulitura e al consolidamento delle superfici dipinte e dorate e delle cornici (quella del San Vittore, assente nella fotografia storica, è stata integrata). In condizioni simili è la Santa Caterina, priva della cornice47 e con chiari interventi a tratteggio a colmare le perdite dovute in particolare alla fenditura. Abrasioni superficiali sono visibili, soprattutto nelle zone a oro, anche nella tavoletta raffigurante San Francesco d’Assisi, che tuttavia appare in migliori condizioni conservative. Prima di arrivare al Museo Nazionale di Palazzo Reale a Pisa la tavola apparteneva alla collezione Schiff-Giorgini di Roma, nel catalogo del cui sequestro è contenuta la sua prima menzione (1950). Probabilmente immessa nuovamente sul mercato, l’opera venne recuperata nel 1973 nel corso di un tentativo di espropriazione illecita e conseguente passaggio all’estero. Solo recentemente la tavola è stata considerata in senso critico da De Marchi che, seguito da Franci, vi ha riconosciuto la mano di Niccolò di Segna e la relazione con le tavole già citate, ma anche con il Santo Vescovo volto a sinistra comparso sul mercato antiquario nel 199548 e recentemente riapparsovi dopo un passaggio in collezione privata italiana49 . Concludono la serie due altri Santi Vescovi, l’uno speculare al precedente e rivolto verso destra, l’altro in posizione frontale. Comparse sul mercato antiquario nel 199250, prima di entrare in collezione Salini le opere erano state ricondotte a Niccolò di Segna e accostate alle altre da chi scrive, ancora su indicazione di De Marchi51. Le buone condizioni della superficie pittorica e, anche se in misura minore, delle parti dorate, già apprezzabili dalle immagini dei primi anni Novanta, sono state consolidate dal restauro a cura di Gianna Nunziati, immediatamente precedente l’ingresso nel castello di Gallico presso Asciano, che si è concentrato sulla riduzione delle fenditure orizzontali52 . L’ordine delle figure nella parte sinistra della predella è dettato dalla linea discendente della fenditura a partire dal Santo Vescovo volto a destra, che prosegue dopo un probabile pezzo mancante nel San Vittore, nella Santa Caterina e nel Santo Vescovo frontale, che viene a trovarsi a fianco del Cristo crocifisso. Le figure delle altre tavolette sono volte a sinistra e dunque trovano posto nella metà destra dello zoccolo, dove il Santo Vescovo di tre quarti avrà occupato, come l’altro, la posizione estrema; per la Sant’Orsola si è supposta una collocazione in pendant con l’altra santa mar-

42 Guillaume 1980, ibidem. 43 Van Marle 1934, II, p. 105. Pope Hennessy 1939, p. 96 nota 6. 44 Berenson 1968, I, p. 300. Frinta 1971, p. 306 nota 7. Zeri 1978, ibidem, con qualche dubbio. De Benedictis 1979, p. 94. Guillaume, in L’art gotique siennois 1983, p. 87. Franci, in Duccio 2003, pp. 370-372. 45 Peraltro Stubblebine individuava nella Sant’Orsola un sant’Ansano (1979, I, p. 156). Del resto per le figure francesi sono state proposte varie identificazioni: con san Leonardo e santa Margherita (Pope Hennessy 1939, ibidem), con san Giuliano e, effettivamente, sant’Orsola (De Benedictis 1979, p. 94). 46 Stubblebine 1979, II, figg. 539-540; Santa Caterina, fig. 479. 47 Al momento della mostra duccesca del 1912 la tavola aveva una cornice moderna: cfr. Lusini 1912, p. 131. 48 Important Old Master 1995, lotto 69. Everett Fahy esprime in questa occasione il parere che il pezzo vada riferito, con San Vittore, Sant’Orsola e Santa Caterina e al polittico n. 38; del resto De Marchi aveva già intuito il collegamento delle tavolette al complesso senese grazie a uno studio privato del 1992 (comunicazione orale). Franci, in Duccio 2003, p. 370. 49 Questa tavola è stata esposta recentemente alla fiera ModenAntiquaria dall’antiquario Moretti (Modena, 10-18 febbraio 2018): cfr. «Il Sole 24 Ore», supplemento domenicale, 4 febbraio 2018. 50 Firenze, Antichità Il Cartiglio, 1992. 51 Matteuzzi 2008. 52 Matteuzzi, in La Collezione 2009, I, pp. 90-97. Sul retro del Santo Vescovo frontale si vede un numero di inventario presumibilmente riferibile al XIX secolo, che sembrerebbe indicare l’appartenenza di almeno questa tavola ad una collezione purtroppo impossibile da identificare.

tire, sulla base di esempi forniti dalle predelle integre, cioè essenzialmente su quella di Simone Martini per il polittico di Santa Caterina a Pisa (fig. 15), dove i santi sono disposti in corrispondenze simmetriche (vergini, martiri, vescovi, diaconi); con lo stesso criterio si è pensato che al San Vittore corrispondesse una tavola non pervenuta con un altro santo avvocato di Siena e che il San Francesco potesse trovarsi nella posizione corrispondente alla lacuna a sinistra che potrebbe aver previsto un altro santo mendicante53. L’ultimo pezzo mancante è a destra del Cristo crocifisso, specularmente al Santo Vescovo frontale. Dunque la predella completa doveva essere composta da undici scomparti, compatibilmente con un pentittico in cui alle tavole laterali corrispondessero in basso due santi e tre alla centrale. Nella lettura formale delle tavolette ricorre la considerazione della compresenza di elementi legati a Duccio e a Segna di Bonaventura, che ne costituiscono il fondamento stilistico, e di un linguaggio che richiama Simone Martini. Dalla tradizione duccesca derivano le morfologie dei santi e i forti contrasti chiaroscurali ottenuti grazie alla base scura a verdaccio. A Simone rimandano invece la resa delicata e armoniosa delle figure e il gusto decorativo dei dettagli e delle aureole punzonate54 . Le fisionomie dei piccoli santi, la resa chiaroscurale e la preziosità delle vesti corroborano l’accostamento di questo zoccolo al polittico n. 38 e del resto, degli altri grandi polittici noti di Niccolò quello di Sansepolcro conserva la predella originaria con Storie della Passione e quello virtualmente ricostruito di San Maurizio aveva documentatamente uno zoccolo con storie del santo titolare. L’accostamento tra le diverse opere a ricostruire idealmente il polittico si basa su diverse considerazioni di carattere formale e materiale. Un confronto tra la Madonna Cini e il San Michele evidenzia l’analoga resa dei volti dalle guance tondeggianti e rosate e dalle palpebre marcate da lumeggiature, che conferiscono agli occhi un aspetto leggermente rigonfio; simili sulle parti di carne il chiaroscuro fumoso e la disposizione dei tocchi di luce intorno alla bocca, sul mento e sulla canna nasale. Le vesti delle figure veneziane risultano in gran parte compromesse, tuttavia il risvolto del manto della Vergine intorno alla sua mano sinistra non sembra alterato ed è dunque confrontabile col panneggio in corrispondenza della mano sinistra del San Michele, ugualmente articolato. Più in generale, si nota nelle vesti della tavola Cini una ricchezza di finiture e una tavolozza raffinata che ben si accordano con l’aspetto prezioso di tutto il polittico n. 38. Le caratteristiche di queste figure si inseriscono positivamente tra le opere più antiche di Niccolò, riferibili al terzo decennio o poco oltre, e quelle più vicine agli anni Quaranta, in cui si accentua la definizione delle superfici e dei tratti a scapito della delicatezza degli incarnati e dell’articolazione dei dettagli. Con le tavole del polittico n. 38 la Madonna Cini del resto ha in comune anche le caratteristiche delle aureole, con ampia fascia centrale con motivi vegetali a risparmio su fondo granito e fasce marginali punzonate. Il motivo fitomorfo nel nimbo della Vergine corrisponde a quello del San Michele (figg. 89-90); inoltre in entrambe le figure e sull’aureola del Bambino è presente verso l’esterno una banda di punzoni a losanga55, che non compare nelle altre figure principali: una variatio forse introdotta per rimarcare la dignità del santo in posizione d’onore. Questa sorta di gerarchia decorativa può giustificare la diversa finitura esterna dei nimbi della Madonna e del Bambino, realizzata con un punzone a cuspide trilobata. L’aureola del Bambino contiene altri due punzoni rintracciabili nell’ordine superiore: il fiore a quattro petali frangiati e il fiore a sei petali con tondi inscritti decorano rispettivamente i nimbi del San Giovanni Gualberto e del Sant’Andrea56 (figg. 54-55). Le corrispondenze dei punzoni proseguono anche nelle tavolette della predella e rappresentano, insieme al dato stilistico, un importante elemento a sostegno alla proposta di accostamento di questa serie con le tavole principali. Il fiore a cinque petali con bocciolo centrale, presente nelle aureole del San Vittore, del San Francesco e del Santo Vescovo frontale, ricorre nell’ordine superiore nel San Giovanni Battista e nel San Giovanni Evangelista57 ,

53 L’assenza della fenditura sulle tavole del Cristo crocifisso e dei santi volti a sinistra suggerisce che il danno si sia manifestato dopo la separazione degli scomparti, in un momento non precisabile. 54 Cfr. in particolare Franci, in Duccio 2003, p. 370 e Matteuzzi 2008, p. 323. Ma anche Torriti 1990, p. 60, che attribuisce la Santa Caterina ad un “seguace di Duccio e di Simone Martini”. 55 Skaug 1994, I, p. 221; II, n. 48. Frinta 1998, p. 78, n. Ba8b. 56 Frinta 1971; Idem 1998, pp. 419, 507, nn. Jd55, La89a. Skaug 1994, II, n. 363 (fiore frangiato, con Ugolino). 57 Questa forma comune, che differisce per piccoli dettagli e pochi millimetri da molte altre frequentemente usate da pittori fiorentini e senesi, risulta di difficile individuazione tra quelle inserite da Skaug (1994) nel suo elenco di punzoni e da Frinta (1998) nella sua sezione K, nessuna direttamente riferita a Niccolò di Segna.

88. Cat. 11a, ante restauro

che ha la medesima decorazione con alternanza di coppie di piccole foglie cuoriformi del San Francesco58; foglie che si trovano, raccolte in una composizione di quattro elementi, nell’aureola della Santa Caterina (fig. 51) e del Santo Vescovo frontale ma anche nei giri esterni dei nimbi dei santi dell’ordine principale. La Santa Caterina ha inoltre una serie di punzoni a quadrilobo allungato che si trovano anche nel San Lorenzo dell’ordine superiore59 (fig. 50). Il Santo Vescovo rivolto a destra e la Sant’Orsola (fig. 53) presentano una serie di punzoni apparentemente ottenuti dall’accostamento di quattro cuspidi: lo stesso elemento del nimbo della Santa Lucia, che è rifinito con un solo circolo al centro, mentre nella predella le composizioni sono completate da cinque grandi punti60. Entrambi i gruppi di santi di piccole dimensioni hanno nimbi decorati con punzoni su fondo granito ma, a differenza di quelli dell’ordine superiore, che presentano un semplice giro di punzoni circolari tra due fasce lisce, le aureole dei santi della predella sono rifinite all’esterno con serie di piccoli stampi a fiore tra due di punzoni circolari, allo stesso modo – sebbene con elementi di diverse dimensioni – dei nimbi dei santi dell’ordine principale. La decorazione delle parti dorate assume dunque, nel complesso così ricomposto, l’aspetto di un gioco di rispondenze e variazioni incrociate tra i diversi ordini. Le osservazioni stilistiche e formali trovano purtroppo scarso sostegno nelle caratteristiche materiali delle carpenterie, principalmente per via delle compromesse condizioni del supporto del dipinto veneziano, poiché l’assottigliamento della tavola e la conseguente perdita degli alloggiamenti dei cavicchi non permette una verifica definitiva del nesso con i laterali senesi, che invece conservano tre doppie serie di fori, di cui solo i più piccoli e profondi probabilmente originali61 . Le misure note dei vari pezzi del polittico consentono in ogni caso di procedere a una ricostruzione ideale basata su alcuni dati certi. Alle quattro tavole laterali possono essere abbinati i pezzi della predella, che, larghi circa 20 cm, hanno lo spazio sufficiente per inserirsi a coppie sotto ciascuna di esse, larga circa 43,5 cm (compresi gli antichi alloggiamenti dei contrafforti). In particolare, in base alla già proposta sequenza dello zoccolo, dovrebbero essere complete le coppie da porre sotto la tavola di San Nicola e sotto quella di San Michele, con la Santa Caterina mancante però della cornice; così facendo e integrando le parti mancanti con riquadri di 20 x 25 cm (in media con le minime variazioni delle dimensioni delle tavolette superstiti), si ottiene uno spazio di scansione dei riquadri sotto ciascuna coppia di tavole laterali di circa 2,2 cm, da applicare a tutta la sequenza, compresi quindi i tre scomparti corrispondenti alla tavola maggiore. A giudicare dagli scarsi resti di colore scuro che si osservano sui lati dei due Santi Vescovi Salini e del Cristo crocifisso Horne, questi spazi di raccordo dovevano essere decorati con delle pitture di riempimento, in linea con le decorazioni degli spazi di risulta delle tavole maggiori, ma necessariamente più semplici. Al centro, è possibile ottenere le dimensioni della superficie dipinta originaria della Madonna col Bambino ricostruendo la linea curva grazie ai tratti di circonferenza pertinenti alla centina, conservati su entrambi gli angoli superiori della tavola. Completando dunque l’arco si ottiene un’altezza totale di 83,3 cm dalla chiave dell’intradosso della centina alla base della tavola e un’integrazione sui due lati di poco meno di 6 cm62, per una larghezza complessiva di 55,3 cm. Queste misure sono da intendersi prive della cornice della centina stessa, che deve andare a integrare ulteriormente la ricostruzione della tavola, secondo la forma di quelle laterali – alla medesima altezza delle quali si imposta convenzionalmente quella centrale – e in proporzione maggiore63. È impossibile tuttavia risalire a una misura precisa e sicura dell’ampiezza della tavola veneziana, che deve comprendere, oltre allo spazio corrispondente alla cornice, gli alloggiamenti dei contrafforti. I tre scomparti centrali della predella, comprensivi degli spazi di

58 Skaug 1994, II, n. 650 (con Ugolino). Frinta 1998, p. 320, n. I66a. 59 Skaug e Frinta non schedano questo punzone di Niccolò di Segna insieme a quelli simili usati da altri artisti. 60 Skaug 1994, II, tav. 7.3, n. 347. Frinta 1998, p. 392, n. Jb76. 61 Sulla tavola del San Michele, misurando dalla spalla in alto, si trovano, oltre a un tassello quadrato a 9 cm, un foro grande a 13,5 cm e uno piccolo a 17 cm (occluso); uno grande a 50,5 cm e uno piccolo a 57 cm; uno piccolo a 97 cm e uno grande a 105 cm; così i tre fori piccoli, profondi circa 6 cm, si trovano a una distanza costante di 40 cm, mentre i tre più grandi, profondi circa 1,7 cm, sono distanti 37 e 54,5 cm. Sulla tavola del San Bartolomeo si trovano un foro grande a 12 cm e uno piccolo a 17 cm (occluso); uno grande a 54 cm (occluso) e uno piccolo a 61 cm; uno piccolo a 97 cm (occluso) e uno grande a 104 cm; così i tre fori piccoli, l’unico libero profondo 4,5 cm, si trovano a una distanza di 44 e 36 cm, mentre i tre più grandi, profondi circa 1,5 cm, sono distanti 40 e 50 cm. 62 Cm 2,5 circa a sinistra e cm 3,3 a destra. 63 In corrispondenza dell’imposta le cornici degli archi delle figure laterali abbandonano la linea precisa della loro circonferenza per scendere brevemente con andamento lineare.

scansione, forniscono un’indicazione di larghezza di 65 cm, con una differenza di circa 10 cm rispetto alle dimensioni ricavate per la sola superficie dipinta. L’approssimazione, necessaria in assenza di dati materiali stringenti, è plausibile. Tuttavia non è da escludere che, come in altri contemporanei esempi senesi, lo zoccolo del polittico n. 38 fosse costituito non da una semplice tavola incernierata alla zona inferiore delle tavole principali, ma da una cosiddetta “predella-box”, cioè da un elemento indipendente realizzato come una sorta di scatola lignea, su cui poggiava il complesso maggiore: una sorta di corpo avanzante che poteva superare ai lati le tavole principali, rendendo meno stringenti le misure ricavabili dalla sua ricostruzione, senza tuttavia smentire l’accostamento64. Pur avendo preferito mantenere nella ricostruzione grafica il referimento alla misura in ogni caso meno aleatoria fornita dalla predella, bisogna tenere presente che la Madonna col Bambino centrale potrebbe aver avuto un’ampiezza un poco inferiore, forse meglio proporzionata all’intero complesso. Su questa base la tavola centrale, posizionata al di sopra di uno “scalino” di 9 cm che, come in quelle laterali, doveva contenere un’iscrizione, è stata idealmente integrata dell’ordine superiore e delle parti decorative e di raccordo, ancora una volta adattando alle sue dimensioni maggiori gli stessi rapporti dimensionali dei corrispondenti elementi delle tavole laterali (fig. 91). L’indagine delle relazioni strutturali dello schema così ricomposto ha fatto emergere precise scansioni compositive (fig. 92). Nei laterali, completamente analizzabili nei loro elementi originali e nelle loro misure reali, i rapporti sono ricavati dalla struttura lignea e dalle componenti decorative della carpenteria, comprese in particolare le cornici. L’ordine principale – intendendo lo spazio compreso tra la linea superiore del titulus e la linea inferiore della cornice orizzontale che separa i due ordini di figure – risulta scandito in senso verticale secondo una suddivisione in tre parti uguali (linee rosse): un terzo dell’altezza è destinato alla centina, i restanti due terzi compongono il resto della tavola. Il rapporto si riduce alla metà di questo terzo nell’ordine superiore, considerando la superficie dipinta compresa tra la base degli scomparti e la chiave dell’intradosso degli archetti (linee blu). Ciascun terzo della scansione delle figure principali corrisponde al diametro di una circonferenza perfettamente sovrapponibile ai compassi esterni delle aureole dei quattro santi principali e inoltre coincidente con l’altezza delle tavole della predella, che risulta dunque impostata sullo stesso rapporto costruttivo delle corrispettive tavole in alto. Un rapporto per terzi, ma di diversa natura, informa anche la tavola integrata della Madonna col Bambino, in cui sono contenute una circonferenza intera – corrispondente all’arco della centina65 – e una semicirconferenza di pari diametro, tangente al punto inferiore della prima e perfettamente inserita entro la base nota della pala (linee verdi). Ciò suggerisce che la superficie dipinta non prevedesse in basso ulteriori integrazioni al di là della fascia dell’iscrizione, immediatamente sottostante. I rapporti costruttivi, comprensivi anche delle mezzerie di ciascuna tavola (linee grigie), risultano inoltre scandire la disposizione delle figure, dimostrando di essere state considerate da Niccolò al momento della realizzazione dei vari santi, che si adattano agli schemi da esse dettati. La linea ideale del terzo superiore dell’ordine principale (linea C) – che coincide con le strutture d’imposta delle centine – corrisponde al mento dei Santi Michele e Bartolomeo, più prossimi alla Madonna. Quella del terzo inferiore (linea B) limita la zona delle mani dei quattro santi: risulta tangente alla destra del San Benedetto e alla sinistra dell’arcangelo, il gallone della cui manica destra poggia subito sopra, così come la mano benedicente dell’apostolo; inoltre, la stessa linea corre parallela e molto prossima al libro retto dal San Nicola. Se la mezzeria della tavola del San Michele (linea 2) segue la linea del gallone verticale della sua veste, le scansioni ideali dell’ordine superiore sembrano individuare più semplicemente le aree della testa, del tronco e delle mani delle piccole figure. È di grande interesse notare come le linee orizzontali delle tavole laterali abbiano una corrispondenza anche su quella centrale: come per i santi maggiori, la linea del terzo superiore (C) passa in

64 Cfr. De Marchi 2009, p. 86. La predella della Maestà di Duccio era incernierata, mentre il polittico di Simone Martini per Santa Caterina a Pisa potrebbe aver avuto una “predella-box”. Secondo Norman Muller (1994, pp. 53-60) tale era il caso del polittico di Santa Croce di Ugolino di Nerio, per cui questo elemento di carpenteria avrebbe dovuto servire anche come sostegno dei contrafforti laterali. Non permettono di chiarire la questione le tracce di preparazione bianca intervallate dai segni di due battenti verticali a distanza di circa 10 cm sul retro delle tavolette dei due Santi Vescovi Salini (Matteuzzi 2008, p. 321; Eadem, in La Collezione 2009, I, p. 90), in cui è difficile individuare gli elementi di rinforzo tipici della “predella-box” piuttosto che i rompitratta delle predelle piatte. Sul retro del Cristo crocifisso non sono stati rilevati segni particolari. 65 Il diametro è 55,3 cm.

corrispondenza del mento del Bambino, mentre la linea del terzo inferiore (B) attraversa con precisione il punto in cui le mani della Madre e del Figlio si incontrano. Gli stessi riscontri ricorrono tra le linee pertinenti alla Madonna rispetto alle tavole laterali. La proiezione orizzontale del diametro del cerchio corrispondente alla centina (linea L), che incrocia la mezzeria della tavola sul mento della Vergine, corre esattamente lungo la linea degli occhi del San Michele e del San Bartolomeo. Questo schema di correlazioni incrociate, insieme alla coerenza dimensionale e alla ricorrenza dei rapporti costruttivi, sopperisce all’assenza di sicuri dati materiali con cui confermare la pertinenza della Madonna Cini al polittico n. 3866. Corrispondenze legate alla ricostruzione della struttura della tavola centrale offrono in questo senso un ulteriore contributo: dal disegno si nota come la chiave dell’arco che delimita la superficie dipinta sia coincidente con la linea ideale del terzo inferiore dell’ordine superiore (linea F). Nella ricostruzione del complesso, le cui tavole dovevano essere scandite dalla presenza di contrafforti, testimoniata dalle tracce degli alloggiamenti ancora visibili sui pezzi conservati in Pinacoteca, resta incerta l’identificazione degli elementi superiori. L’inclinazione della sommità delle tavole laterali del polittico n. 38 lascia presumere la loro prosecuzione in una forma triangolare con una misura di base di circa 25 cm, il cui vertice viene a cadere su una delle linee che proseguono la scansione ideale dell’ordine superiore. Si tratta dunque di elementi analoghi alle cuspidi con Angeli di Cleveland, già proposti per un accostamento insieme al Redentore di Raleigh, ma più tradizionalmente riferiti al polittico di San Giovanni d’Asso (cat. 12-13)67 . Il polittico così ricomposto doveva raggiungere una larghezza di circa 248 cm e un’altezza di circa 230 cm68 . Sulla questione della provenienza delle tavole laterali del polittico n. 38 si è espressa Anna Padoa Rizzo, che, grazie al riconoscimento della figura di san Giovanni Gualberto tra i santi dell’ordine superiore, ha potuto suggerire una pertinenza vallombrosana. Anche in considerazione del fatto che il complesso fu inserito tra le collezioni dell’Accademia delle Belle Arti di Siena (poi Pinacoteca Nazionale) almeno dal 1842, quando fu redatto il primo catalogo69, la studiosa ha ritenuto plausibile la provenienza dall’area cittadina, individuando la probabile sede originaria del polittico nella badia di San Michele in Poggio San Donato, da cui viene documentatamente anche la Croce n. 46 del 1345 (cat. 18); proposta corroborata dalla presenza dell’arcangelo in posizione d’onore a destra dell’immagine centrale e di san Benedetto, a volte citato come cotitolare dell’abbazia senese70 . Recentemente una conferma indiretta di questa ipotesi è stata individuata in un testo seicentesco: nel corso di una ricerca sulle fogge dell’abito francescano pubblicata nel 1652 da Nicolò Catalano, fra’ Antonio Maria Lisi nel 1648 riproduce e commenta la figura di san Francesco (fig. 93) tra quelle di un’opera con varie immagini di santi posta sul fianco sinistro della chiesa senese di San Donato, leggendovi la firma “Nicolaus Segie de Senis” accompagnata dalla data

66 Dalle radiografie recentemente realizzate presso la Fondazione Cini si può ricavare almeno quella che pare essere la traccia di un foro di chiodo alla sommità del capo della Vergine (a circa 5 cm dal bordo superiore della tavola): un analogo elemento era servito a Machtelt Brüggen Israëls (che ringrazio per la squisita disponibilità a condividere riflessioni e informazioni), con l’aiuto del dato di un cavicchio, per accertare la pertinenza della Madonna dei Tatti al polittico ricostruito da Coor per la corrispondenza col battente orizzontale che nella tavola con San Bartolomeo della Pinacoteca senese (n. 37) corre a circa metà dell’altezza dell’ordine superiore. In questo caso il presunto foro di chiodo non sembra corrispondere a tracce di battenti e, se originale, potrebbe semmai essere pertinente ad un perduto elemento di rinforzo o sostegno del polittico. Non è stato possibile prendere visione del retro delle tavole della Pinacoteca, sulle quali tuttavia si rilevano due alloggiamenti di battenti ricavati nello spessore del legno, entrambi di 8,5 cm: l’uno in corrispondenza dell’ordine superiore, a circa 8 cm dalla spalla in alto; l’altro in basso, che sorpassa di poco il limite del titulus. Nei due casi l’alloggiamento ospita una traversa di legno per circa la metà dell’altezza: posta in corrispondenza del margine inferiore in alto, viceversa in basso. 67 Matteuzzi, in La Collezione 2009, I, pp. 96-97; successivamente Eadem, in La Galleria 2016, p. 43. Le dimensioni delle punte di Cleveland risultano peraltro perinenti alle tavole laterali n. 38 e inserendole con le giuste proporzioni nel disegno ricostruttivo si può osservarne l’effettiva corrispondenza rispetto alle linee del decoro pittorico inserito tra gli estradossi degli archetti dell’ordine superiore, da integrare con circa 2 cm di cornice lignea perduta nei pezzi ora in America, ma presente sulle tavole senesi. 68 Le ricostruzioni grafiche e le relative riflessioni non sarebbero state possibili senza il contributo fondamentale dell’Arch. Lorenzo Matteoli, al quale devo anche l’intuizione dell’utilità di analizzare i rapporti strutturali delle tavole e la mediazione visiva di queste indagini, realizzata con paziente competenza. 69 Cfr. [Pini] 1842, p. 4, cat. 32. 70 Padoa Rizzo 2002, pp. 72-73.

126071. Beatrice Franci, a cui si deve la valorizzazione di questa notizia, ha identificato il san Francesco con lo scomparto della predella qui ricomposta e l’intero complesso con le tavole laterali del polittico n. 38 di Niccolò, collocandolo nella chiesa della badia di San Michele72. Un passaggio di Fabio Chigi dimostra in effetti come almeno nel XVII secolo la denominazione San Donato potesse essere applicata, come una sorta di contrattura, alla badia vallombrosana, che il religioso cita nel 1625-1626 come “Abbadia a San Donato”73, riportando inoltre un interessante elenco delle opere qui conservate: tra queste una “tavola de la Madonna con quattro Santi Duccius Boninsegnae 1310”74. Credo sia possibile, nonostante la firma illustre, che proprio col polittico n. 38 si possa identificare quest’opera e che Chigi possa aver travisato e integrato l’iscrizione probabilmente guasta, come indica anche l’errore di Lisi: mi sembra possibile che il futuro papa Alessandro VII abbia potuto fraintendere la firma, forse ben leggibile solo nella parte finale “Segne” (o, meno probabilmente, “Segnae”), completandola con un nome più prestigioso di quello di Niccolò75. Che i due autori stiano descrivendo la stessa opera è poi tutt’altro che smentito dalla lettura delle date, solo apparentemente discrepanti: supponendo che solo una parte delle lettere si fosse conservata, è possibile che in questo caso Chigi sia stato più preciso nel leggervi “MCCCX”, mentre Lisi avrebbe travisato la penultima cifra ottenendo “MCCLX”; ad ogni modo, il seguito dell’iscrizione era probabilmente abraso di almeno altre due X. Così dunque, sebbene probabilmente spostato dall’originaria collocazione sull’altare maggiore, più pertinente che non quella laterale tramandata da Lisi, il polittico si trovava nel Seicento ancora in quello che doveva essere il suo contesto primitivo ed era verosimilmente ancora integro se, come probabile, la perduta firma di Niccolò era posta in calce alla tavola centrale, laddove in quelle laterali si trova il nome dei quattro santi maggiori, come già nel polittico di Santa Croce di Ugolino di Nerio, secondo la testimonianza del disegno pubblicato da Henri Loyrette (Vat. Lat. 9847, f. 92r)76, e in quello di Arezzo di Pietro Lorenzetti. Nel 1683 la badia di San Michele in Poggio San Donato passò all’Ordine dei Carmelitani Scalzi, che a partire dal 1691 avviò una profonda campagna di rimaneggiamenti al complesso monastico e alla chiesa di San Michele77. L’ondata di rinnovamento potrebbe aver comportato interventi anche sul polittico. La superfetazione già presente sulla Madonna col Bambino di Venezia viene ad essere un elemento chiave della proposta di ricostruzione e collocazione del polittico n. 38, costituendo un importante legame coi nuovi proprietari dell’abbazia, che potrebbero aver smembrato la tavola centrale o almeno provveduto al suo rimaneggiamento pittorico per adeguare l’immagine a quella propria della Madonna del Carmelo con l’aggiunta dello scapolare, dono della Vergine a san Simone Stock e perciò attributo tradizionale carmelitano78. Pur non potendone precisare l’epoca, la resecatura della tavola veneziana suggerisce una sua ridestinazione devozionale, separata dalle altre componenti del polittico, il che potrebbe spiegare il diverso destino del centrale, che non fu acquisito dalla Pinacoteca nel XIX secolo e restò probabilmente ancora presso i Carmelitani di Siena.

71 Catalano 1652, p. 477. “In Ecclesia, que dicitur Ecclesia Sancti Donati, huius civitati Senarum, in latere sinistru, ab ingressu, reperitur unicum altare ligneum, et pictum varijs imaginibus Sanctorum, iter quas adest imago S. P. N. Francisci, prout iacet, cum Caputio ab habitu distincto, cum verbis charactere antiquissimo, scilicet. Nicolaus Segie de Senis, me pinxit anno 1260”. 72 Franci 2013. 73 La chiesa di San Michele acquisirà poi, effettivamente, la dedicazione a San Donato nel 1816, dopo la soppressione della vicina parrocchia intitolata al vescovo martire in via dei Montanini. Di recente, smentendo erroneamente Franci, avevo peraltro supposto che proprio a questa chiesa si riferisse Lisi, ipotizzando uno spostamento del polittico dalla chiesa abbaziale sulla base del secolare rapporto tra San Donato e la badia di San Michele, a cui la chiesa in via dei Montanini era legata fin dal tempo della fondazione del monastero senese nel 1109 per volontà della badia di San Michele Arcangelo a Passignano nel Chianti (Tavarnelle Val di Pesa): ne costituì il nucleo originario, pur restandole esterna e venendone presto separata dalla costruzione della cerchia muraria del XII secolo (Venerosi Pesciolini 1932, pp. 256-257; Liberati 1959, pp. 178-182; Fiorini 1991, pp. 37, 131-132; inoltre I ‘sunti’ 2003, I, p. 139). Cfr. Matteuzzi, in La Galleria 2016, p. 44. 74 Bacci 1939, p. 319. 75 Sulla scorta di questa iscrizione Gabriele Fattorini (in The Alana, in cds) scarta l’ipotesi che la nota seicentesca si riferisca al polittico di Luca di Tommè, da lui considerato per quella scheda del catalogo della collezione Alana di New York. 76 Loyrette 1978, pp. 15-23, fig. 21. Muller 1994, p. 46 nota 7, fig. 1. La proposta di identificare san Donato nel vescovo in posizione frontale della predella deriva dalla posizione preminente a fianco del Cristo crocifisso, con cui si sarebbe reso onore al luogo su cui sorgeva l’abbazia (Matteuzzi, in La Collezione 2009, I, pp. 90-97). 77 Vasaturo 1962, pp. 473-474. 78 Cfr. Roschini O.S.M 1961, p. 452. Matteuzzi, in La Galleria 2016, p. 44.

89. Cat. 11b, dettaglio dell’aureola di San Michele Arcangelo 90. Cat. 11a, dettaglio dell’aureola della Vergine

La provenienza della Madonna Cini da San Francesco a Prato non è in effetti probante per una sua presenza ab antiquo presso quel convento e in generale quella città, come puntualizzava già Federico Zeri nel primo catalogo della collezione veneziana79. Le descrizioni sei-sette-ottocentesche della chiesa di San Francesco non contengono riferimenti a un’opera accostabile alla nostra Madonna80, di cui non si fa cenno neppure nei diversi interventi del volume dedicato ai restauri neogotici dell’edificio del 1902-1904, attenti invece a valorizzarne gli elementi più antichi ancora presenti o solo documentati81. Promotore del ripristino fu Elia Tarabella (1865-1936), frate dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, insediati a San Francesco dal 1818, dopo il periodo trascorso presso la chiesa della Pietà fin dal loro arrivo a Prato nel 1699. Se, alla luce di quanto detto, appare improbabile che la trasformazione barocca della Madonna Cini possa essere imputata alla comunità carmelitana pratese – che avrebbe dovuto avere a disposizione un’opera senese di cui non si hanno notizie antiche, non essendo peraltro documentata l’attività di Niccolò a Prato –, la pertinenza a quest’Ordine rappresenta un interessante trait-d’union con il convento senese e può contribuire a giustificare l’arrivo della Madonna a Prato, magari dopo la riapertura novecentesca della chiesa già francescana. Lo stesso Tarabella, che

79 Zeri, in Dipinti 1984, pp. 12-13. 80 La più antica descrizione risale a dopo il 1655 ed è contenuta in una miscellanea conservata presso la Biblioteca Olivetana di Pesaro (ms. 1687, d, Descrizione della chiesa di Prato, cc. 332r-337v): Marchini 1956, pp. 33-44; insieme a questa, altre descrizioni successive sono riportate in Gurrieri 1968, pp. 24-31 (cfr. Matteuzzi, in La Galleria 2016, p. 43). Inoltre la storia e le descrizioni dal XIII al XX secolo sono ripercorse in Nannini Berti 1982, pp. 9-98. 81 Si occupa in particolare di questo aspetto l’intervento di Gaetano Guasti (La chiesa 1904, pp. 7-18).

91. Proposta di ricostruzione del polittico n. 38 di Niccolò di Segna (elaborazione grafica Arch. Lorenzo Matteoli)

92. Grafico dei rapporti strutturali e compositivi del polittico n. 38 di Niccolò di Segna (elaborazione grafica Arch. Lorenzo Matteoli)

93. Riproduzione della figura di San Francesco d’Assisi (Catalano 1652)

lasciò Prato prima del 1915, quando gli fu affidata la parrocchia di Roccastrada (Grosseto), potrebbe aver avuto un ruolo decisivo: plausibilmente in contatto con la casa senese, il carmelitano avrebbe potuto richiedere l’opera con lo scopo di abbellire la chiesa da lui rinnovata con opere di stile pertinente oppure, più prosaicamente, già a scopo di vendita, anche alla luce della sua nota attività di ricettatore, che durante il soggiorno pratese lo portò ad esempio a vendere una Madonna col Bambino all’antiquario e mercante Elia Volpi82 . I risultati di questa riflessione permettono infine, a corollario, di riconsiderare criticamente l’ipotesi della provenienza dalla badia di San Michele in Poggio San Donato dello smembrato polittico giovanile di Luca di Tommè riferibile al 1360 circa, ipotizzata da Gaudenz Freuler in occasione dello studio dedicato alla sua ricostruzione83 (fig. 94). La proposta dello studioso svizzero si basava in particolare sulla presenza in posizione d’onore, anche in questo caso,

82 Marchini 1956, p. 35. Quest’opera non può corrispondere alla Madonna di Niccolò perché i due contraenti morirono prima dello scoppio della Seconda Guerra, Tarabella nel 1936 e Volpi nel 1938. Tarabella perpetrò le sue attività illecite anche dopo aver lasciato Prato, come riporta la nota redatta nel 2012 per conto della Diocesi di Grosseto: http:// www.sanminiato.chiesacattolica.it/pls/cci_dioc_new/v3_s2ew_consultazione.mostra_pagina?id_pagina=14200 83 Freuler 1997, pp. 23-25. Le parti recuperate raffigurano: nell’ordine principale San Giovanni Gualberto (collezione privata), San Michele Arcangelo (New York, collezione Alana), San Giovanni Evangelista (Los Angeles, J.P. Getty Museum), San Bernardo degli Uberti (collezione privata); nell’ordine superiore, di cui sono state individuate solo due coppie di santi, due Apostoli e i Santi Pietro e Paolo (rispettivamente presso la Fondazione Longhi a Firenze e in collezione privata); nella predella, ancora mancante dell’ultimo scomparto, la Natività (collezione privata), l’Adorazione dei Magi (Madrid, collezione Thyssen-Bornemisza), la Crocifissione (San Francisco, Fine Art Museum), la Presentazione al Tempio (collezione privata); inoltre è stato accostato a questo complesso il Cristo benedicente del North Carolina Museum of Art di Raleigh (ex Kress n. 1741).

dell’arcangelo titolare dell’abbazia ed è stata sostenuta, pur dubitativamente, anche dopo che Padoa Rizzo aveva individuato nel polittico n. 38 una plausibile alternativa84. Per quanto vicino alle posizioni di Freuler, Fattorini si è recentemente soffermato anche sulla possibilità che l’opera di Luca fosse in realtà destinata alla Badia di Passignano, citando la succinta notizia riportata da Nicola Vasaturo dell’arrivo qui di un polittico da Siena nel 135885, data perfettamente convincente per il complesso di Luca di Tommè, che precede di poco quello degli Umiliati in collaborazione con Niccolò di Ser Sozzo del 1362. Lo studioso ha inoltre osservato che i documentati furti perpetrati in quel periodo dagli stessi monaci ai danni del patrimonio dell’abbazia di Poggio San Donato, insieme al dissesto morale dovuto alla scandalosa condotta di alcuni di loro, non avrebbero garantito il terreno adeguato alla commissione di un polittico di tale importanza86 . A sostegno di questa congettura è possibile oggi portare la suggestiva prova “visiva” offerta dall’affresco della Ricognizione delle reliquie di San Giovanni Gualberto nel ricetto della cappella dedicata al santo a sinistra della cappella maggiore della chiesa di San Michele della Badia di Passignano (fig. 96), realizzato alla fine del XVI secolo da Giovanni Maria Butteri, collaboratore di Alessandro Allori, attivo qui con la sua bottega alla decorazione del nuovo sacello destinato ad accogliere le spoglie del fondatore dell’Ordine, già conservate nella cripta87 . Nella scena, che ricorda l’evento dell’8 novembre 1580, immediatamente precedente alla realizzazione dell’affresco, un gran numero di monaci affolla la stessa zona presbiteriale della chiesa, colta nel corso della completa ristrutturazione avviata nella seconda metà del Cinquecento88. Sullo sfondo, in alto a destra, è riprodotto un grande pentittico a più ordini nei cui scomparti si riconoscono i contorni di alcune figure di santi e profeti e della Madonna col Bambino al centro (fig. 95), che di lì a poco avrebbe lasciato il posto nella cappella maggiore alle tele del Passignano. Solitamente trascurato, questo dettaglio della figurazione è stato interpretato come la riproduzione del polittico commissionato dai monaci di Passignano nel 1372 a Jacopo di Mino del Pellicciaio89 , eventualità smentita da un’attenta rilettura del documento trascritto da Gaetano Milanesi, che nel relativo cappello introduttivo affermava erroneamente che l’opera citata nel testo era destinata all’altare maggiore dell’abbazia chiantigiana90. In realtà il documento, ricco di informazioni, testimonia l’allogagione al pittore senese di un trittico con al centro la Pentecoste affiancata dai santi Caterina e Antonio Abate, nelle cuspidi (o nell’ordine superiore) Dio Padre e la coppia dell’Annunciazione e nella predella quattro storie di santa Caterina. La descrizione non corrisponde all’immagine dell’affresco e in ogni caso nel documento non si accenna alla destinazione sull’altare maggiore, bensì su un altare ancora da individuare da parte dell’abate91. Peraltro non è neanche sicuro che il polittico di Jacopo sia stato effettivamente eseguito92. Nello spazio presbiteriale della chiesa si può dunque immaginare un’altra opera, che il confronto tra l’affresco e la proposta ricostruttiva del polittico di Luca di Tom-

84 S. D’Argenio, in La Fondazione 1980, p. 242. S. Chiodo, in Caravaggio 2009, p. 70; la studiosa propone anche come alternativa minoritaria la provenienza dall’Abbazia Nuova di Siena. Fattorini, in The Alana, in cds. In alternativa De Marchi aveva supposto che il polittico di Luca di Tommè potesse aver sostituito quello di Niccolò sull’altare maggiore della chiesa abbaziale vallombrosana di Siena a pochi decenni di distanza: De Marchi 2009, p. 85. 85 N. Vasaturo, in La Badia 1988, p. 6. Fattorini, in The Alana, in cds. 86 Venerosi Pesciolini 1932, pp. 263-264. I ‘sunti’ 2005, II, p. 273. Fattorini, in The Alana in cds. 87 Cherubini 2014, pp. 13-30. 88 Moretti 2014, pp. 137-154. 89 La Badia 1988, p. 21. Cherubini 2014, p. 22. 90 Milanesi 1854, I, pp. 269-272, doc. 71. I ‘sunti’ 2005, II, p. 280. 91 Il documento recita: “[tabulam] pictam, positam et actam super altare dicti Monasterii [Passignano], super quo idem domnus Martinus Abbas predictus deputaverit ponendam vel locandam”. Dovevano inoltre completare l’opera piccole figure delle sante Maria Maddalena e Agnese ai lati della predella e quelle dei santi Pancrazio, Gregorio, Lorenzo, Benedetto, Brigida e Nicola nei contrafforti. Cfr. Milanesi 1854, I, p. 270; I ‘sunti’ 2005, II, p. 280. 92 Me lo conferma Giovanni Giura, che a questo pittore ha dedicato un capitolo di approfondimento all’interno della sua tesi di dottorato: G. Giura, San Francesco ad Asciano. Un osservatorio per lo studio delle chiese minoritiche toscane, Tesi di Perfezionamento, Scuola Normale Superiore di Pisa, 2017. Da questo lavoro è tratto il volume: San Francesco di Asciano. Opere, fonti e contesti per la storia della Toscana francescana.

94. Proposta di ricostruzione del polittico di Luca di Tommè (Freuler 1997)

95. Giovanni Maria Butteri, La ricognizione delle reliquie di San Giovanni Gualberto (dettaglio fig. 96). Tavarnelle Val di Pesa, Badia a Passignano, chiesa di San Michele Arcangelo

mè spinge a individuare proprio in quest’ultimo93. Collimano infatti la forma delle tavole, rastremate in alto in corrispondenza dell’ordine superiore, la forma trilobata inscritta nell’ogiva degli archi dell’ordine maggiore (resi in modo più compendiario nelle tavole laterali), la presenza di “oculi” decorativi tra le coppie di archi dei santi superiori, i dentelli a rifinire i profili superiori delle tavole (come si vede in particolare nel più dettagliato scomparto esterno a sinistra), in parte conservati nella coppia di apostoli dell’ordine superiore della Fondazione Longhi, e i gattoni lignei a decorare la sommità delle tavole, di cui resta una piccola traccia sul pezzo con i Santi Pietro e Paolo94. La dispersione delle componenti del complesso, separate in numerosi pezzi, non ha permesso ancora di rintracciare la tavola principale e le cuspidi, se non quella centrale col Redentore, che tuttavia non trova una sicura corrispondenza nell’affresco, dove il pinnacolo centrale sembra decorato con una Crocifissione. La commissione del polittico di Luca di Tommè potrebbe essere legata alla figura dell’abate Niccolò Federighi da Siena, che nel 1352 aveva ottenuto – primo tra gli abati di Passignano – il titolo vescovile, per celebrare il quale comprò una mitria e fece realizzare alcune suppellettili liturgiche95. La presenza tra i santi principali di un altro vescovo

93 Alessandro Bagnoli è giunto indipendentemente alla stessa conclusione (comunicazione orale). 94 Secondo Chiodo (in Caravaggio 2009, ibidem) questa coppia si trovava sopra la tavola centrale perché più ampia di quella con la coppia di Apostoli; nelle cuspidi sarebbero stati raffigurati gli Evangelisti, per completare la serie di Apostoli che avrebbe occupato l’ordine superiore. A giudicare dall’affresco, dovevano essere a figura intera. 95 Venerosi Pesciolini 1932, pp. 265-266. I ‘sunti’ 2005, II, p. 272. Già Fattorini (in The Alana, in cds) aveva accennato

96. Giovanni Maria Butteri, La ricognizione delle reliquie di San Giovanni Gualberto, Tavarnelle Val di Pesa, Badia a Passignano, chiesa di San Michele Arcangelo

vallombrosano, Bernardo degli Uberti, potrebbe voler alludere proprio al prestigio acquisito dall’abate. Non è infine da escludere, visto il legame tra la Badia di Passignano e quella in Poggio San Donato, che il polittico di Niccolò sia stato preso come riferimento per quello di Luca96 .

Bibliografia 11a Berenson 1932a, p. 524; Perkins 1932a, p. 46, tav. 6; Berenson 1936, p. 450; Coor Achenbach 1954-1955, p. 90, fig. 10; Shapley 1966, p. 17; Berenson 1968, I, p. 300, tav. 53; Vertova 1968, p. 25, fig. 5; Sienese Paintings 1969, cat. 30-31; Frinta 1971, p. 306 nota 7; van Os 1972, p. 79; Maginnis 1974; Zeri 1976, I, p. 37; Torriti 1977, p. 84; De Benedictis 1979, pp. 9, 95; Stubblebine 1979, I, pp. 138, 153, II, fig. 480; Zeri, in Dipinti 1984, pp. 12-13, cat. 8; Portheine, in The early Sienese 1989, p. 111; Torriti 1990, p. 40; Frinta 1998, pp. 78, 245, 297, 419, 451, 507; Cateni-Lippi Mazzieri 2003, p. 96; Franci, in Duccio 2003, pp. 364-365; Padoa Rizzo 2002, p. 72; Fattorini 2008a, pp. 177-178; Matteuzzi 2008, p. 326; Franci, in La Collezione 2009, I, p. 89; Franci 2013; Brüggen-Israëls, in The Bernard and Mary 2015, p. 504 nota 2; Matteuzzi, in La Galleria 2016, pp. 43-47, cat. 4; De Marchi, in Siena 2017, pp. 48-49; Bagnoli, in Ambrogio 2017, p. 230; Fattorini, in The Alana, in cds.

Bibliografia 11b [Pini] 1842, p. 4; [Milanesi] 1852, p. 10; Catalogo 1860, p. 13; Catalogo 1864, p. 13; Catalogo 1872, p. 11; Cavalcaselle-Crowe 1885, III, p. 35; Catalogo 1895, p. 18; Catalogo 1903, p. 18; Jacobsen 1907, p. 24; Cavalcaselle-Crowe 1908, III, p. 29 nota 5; Hutton, in Cavalcaselle-Crowe 1909, II, p. 23 nota 4; Perkins 1908, p. 51; Catalogo 1909, p. 18; Weigelt 1911, p. 198; Lusini 1912, pp. 135-136; Mostra 1912, pp. 36-37, cat. 86; Perkins 1913, p. 37; Dami 1924, p. 12; Regia Pinacoteca 1924, pp. 33-34; van Marle 1924, II, p. 94; Berenson 1932, p. 524; Brandi 1933, p. 23; van Marle 1934, II, p. 95; Bacci 1935, pp. 10-11; Berenson 1936, p. 341; Brandi 1951, p. 155; Toesca 1951, p. 515; Sandberg Vavalà 1953, p. 116; Carli 1955a, p. 61; Coor Achenbach 1954-1955, p. 87; Carli 1958, p. 42; Berenson 1968, I, p. 300; Hueck 1968, pp. 45, 59; van Os 1972, p. 80; Maetzke, in Arte nell’Aretino 1974, p. 43; Maginnis 1974, p. 214; ad vocem Niccolò di Segna 1975, pp. 139-140; De Benedictis 1976, p. 88; Maginnis 1977, p. 283; Torriti

ad un legame della commissione a Luca con l’abate Niccolò. 96 Cfr. in questa scheda nota 73.

1977, p. 83; Zeri 1978, p. 149; De Benedictis 1979, p. 94; Stubblebine 1979, I, p. 155; Damiani, in Il Gotico a Siena 1982, p. 92; Torriti 1982, p. 40; Damiani, in L’art gotique siennois 1983, p. 86; Rave 1985, p. 9; Leoncini, in La pittura in Italia 1986, II, p. 642; Guiducci, in Restauri 1988, p. 17; Torriti 1988, p. 172; Torriti 1990, p. 39; van Os 1992, pp. 290-291; Museo 1998, p. 26; Padoa Rizzo 2002, pp. 72-73; Franci, in Duccio 2003, pp. 364, 366; Matteuzzi 2008, pp. 324-326; De Marchi 2009, pp. 84-85; Franci, in La Collezione 2009, I, p. 90; Matteuzzi, in La Collezione 2009, I, pp. 92-96; Baldini, in Arte a Figline 2010, pp. 120-121; Franci 2013; Brüggen-Israëls, in The Bernard and Mary 2015, pp. 498-499; Matteuzzi, in La Galleria 2016, pp. 43-46; De Marchi, in Siena 2017, pp. 48-49; Bagnoli, in Ambrogio 2017, p. 230; Fattorini, in The Alana, in cds.

Bibliografia 11c Gamba 1921, p. 11; van Marle, 1925, V, p. 448; Berenson 1932, p. 529; Berenson 1936, p. 454; Gamba 1961, p. 26; Boskovits 1966, cat. 16; Rossi 1966, p. 137; Berenson 1968, I, p. 404; Le carte 1988, pp. 303-304; Matteuzzi 2008, p. 321; Matteuzzi, in La Collezione 2009, I, pp. 90-91; Franci 2013; Matteuzzi, in La Galleria 2016, p. 43; De Marchi, in Siena 2017, pp. 48-49; Bagnoli, in Ambrogio 2017, p. 230.

Bibliografia 11d-e Matteuzzi 2008, pp. 321-322; Matteuzzi, in La Collezione 2009, I, pp. 90-97; Franci 2013; Matteuzzi, in La Galleria 2016, p. 43; De Marchi 2017, pp. 48-49; Bagnoli, in Ambrogio 2017, p. 230.

Bibliografia 11f Important Old Master 1995, lotto 69; Franci, in Duccio 2003, pp. 370-372; Matteuzzi 2008, pp. 321-322; Matteuzzi, in La Collezione 2009, I, pp. 90-92; Franci 2013; Matteuzzi, in La Galleria 2016, p. 43; De Marchi, in Siena 2017, pp. 48-49; Bagnoli, in Ambrogio 2017, p. 230.

Bibliografia 11g [Pini] 1842, p. 4; [Milanesi] 1852, p. 9; Catalogo 1860, p. 11; Catalogo 1872, p. 10; Catalogo 1895, p. 13; Catalogo 1903, p. 13; Jacobsen 1907, p. 23; Perkins 1908, p. 49; Catalogo 1909, p. 13; Olcott 1909, p. 385; Lusini 1912, p. 131; Perkins 1913, p. 6; Dami 1924, p. 11; Regia Pinacoteca 1924, p. 18; van Marle 1924, II, pp. 75-77; Perkins 1928, pp. 103-104; Berenson 1932, p. 524; Brandi 1933, pp. 195-196; Berenson 1936, p. 451; Sandberg Vavalà 1953, p. 116; Carli 1958, p. 36; Berenson 1968, I, p. 300; Torriti 1977, p. 95; Zeri 1978, p. 149; De Benedictis 1979, p. 94; Stubblebine 1979, I, p. 154; Torriti 1982, p. 18; Rave 1985, p. 9; Torriti 1990, p. 60; Franci, in Duccio 2003, pp. 370-372; Matteuzzi 2008, pp. 321-322; Matteuzzi, in La Collezione 2009, I, pp. 90-91; Franci 2013; Matteuzzi, in La Galleria 2016, p. 43; De Marchi, in Siena 2017, pp. 48-49; Bagnoli, in Ambrogio 2017, p. 230.

Bibliografia 11h-i Van Marle 1934, II, p. 105; Pope Hennessy 1939, p. 96 nota 6; Frinta 1971, p. 306 nota 7; Zeri 1978, p. 149; De Benedictis 1979, p. 94; Stubblebine 1979, I, p. 155; Guillaume 1980, p. 77; Guillaume, in L’art gothique siennois 1983, p. 87; Torriti 1990, p. 60; Matteuzzi 2008, pp. 321-322; Matteuzzi, in La Collezione 2009, I, pp. 90-91, 96; Franci 2013; Matteuzzi, in La Galleria 2016, p. 43; De Marchi, in Siena 2017, pp. 48-49; Bagnoli, in Ambrogio 2017, p. 230.

Bibliografia 11l Catalano 1652, p. 477; Franci, in Duccio 2003, pp. 370-372; Matteuzzi 2008, pp. 321-322; Matteuzzi, in La Collezione 2009, I, pp. 90-92, 95; Franci 2013; Matteuzzi, in La Galleria 2016, pp. 43-44; De Marchi, in Siena 2017, pp. 48-49; Bagnoli, in Ambrogio 2017, p. 230.

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