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22. Polittico della Resurrezione

22. Niccolò di Segna Polittico della Resurrezione - Cristo risorto e i Santi Caterina d’Alessandria, Giovanni Evangelista, Benedetto, Agnese (ordine principale); i Santi Bartolomeo e Cecilia(?), due Vescovi, Lorenzo e Ansano, Maria Maddalena e Scolastica, quattro Evangelisti (ordine superiore); i Santi Pietro, Giovanni Battista, Paolo, Romualdo, Mauro(?), Placido(?) (attuali cuspidi); Storie della Passione di Cristo: Flagellazione, Salita al Calvario, Crocifissione, Deposizione dalla croce, Deposizione nel sepolcro (predella) Sansepolcro, cattedrale di San Giovanni Evangelista 1348 ca.

Tempera e oro su tavola Cm 350 x 250 Provenienza: Sansepolcro, badia camaldolese poi cattedrale di San Giovanni Evangelista; Sansepolcro, chiesa di Santa Chiara (già Sant’Agostino); Sansepolcro, Museo Civico; Firenze, Galleria dell’Accademia, depositi (1942-1946 ca.); Sansepolcro, cattedrale di San Giovanni Evangelista (dal 1955 ca.); Sansepolcro, Museo Civico (fino al 1979).

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Nell’ampia tavola centrale del pentittico, conservatosi pressoché integro, è raffigurato il momento della Resurrezione di Cristo, il quale regge il vessillo e pone un piede sul bordo del sepolcro, davanti a cui stanno quattro soldati addormentati. A ciascuno dei quattro santi laterali dell’ordine principale corrisponde in quello superiore una coppia di figure entro archi a sesto acuto, nei cui spazi di risulta si inseriscono le figure degli Evangelisti, mentre all’esterno delle cornici dei santi maggiori si trovano coppie di angeli1. La predella è composta da cinque scomparti con Storie della Passione, con la Crocifissione al centro più ampia. Sei tra santi e monaci camaldolesi a figura intera sono posti a coronamento del complesso, a mo’ di cuspidi. I fondi oro e le aureole di ciascuna tavola sono riccamente decorati, come tipico in Niccolò: è stata utilizzata in particolare la tecnica della granitura con elementi vegetali a risparmio, mentre i punzoni sono impiegati soprattutto per la definizione dei bordi delle fasce così decorate. Prima che Stubblebine ne facesse l’opera eponima del Maestro di Sansepolcro2, la probabile paternità di Niccolò di Segna era stata indicata da Cavalcaselle3, la cui intuizione fu sostenuta più tardi da Roberto Longhi4, che esprimeva grande apprezzamento per il polittico e rifiutava le tradizionali generiche attribuzioni ad anonimi senesi di retaggio duccesco o lorenzettiano, che d’altronde continuarono a essere proposte anche in seguito5. Coor suggerì poi un’attribuzione alternativa al fratello di Niccolò, fatta propria da De Benedictis, che generalmente ha assegna-

1 Resta controversa l’identificazione di alcuni dei santi minori, in particolare i due vescovi corrispondenti al San Giovanni Evangelista, per i quali recentemente Liletta Fornasari (in Il Duomo di Sansepolcro 2012, pp. 236-238, cat. 8) ha proposto i nomi di Ambrogio e Agostino e che invece Christa Gardner von Teuffel (1999, pp. 171, 202 nota 51) aveva messo in relazione con i vescovi di cui l’abbazia camaldolese possedeva delle reliquie: Biagio, Martino e Nicola. Seguendo quest’ultimo criterio, che permette anche di giustificare la presenza dei santi Lorenzo e Maddalena, si potrebbe cercare di riconoscere nella seconda figura da sinistra santa Cecilia, di cui ugualmente l’abbazia aveva delle reliquie. Gardner von Teuffel ha anche proposto per i tre santi camaldolesi delle “cuspidi” i nomi di san Romualdo e, con più incertezza, san Mauro e san Placido. 2 Stubblebine 1979, I, pp. 155-156. 3 Cavalcaselle-Crowe 1864, II, p. 59. 4 Longhi 1946, p. 158; Idem 1951, p. 54. Un poco pertinente accostamento all’ambito di Taddeo di Bartolo era stato proposto da Berenson (1936, p. 454). Perkins (1930, pp. 248-254) rifiuta la proposta di Cavalcaselle, pur riconoscendo nell’opera caratteristiche derivate da Segna di Bonaventura, arricchite con l’esempio di Pietro Lorenzetti. 5 Cfr. Refice 2005, pp. 87-89. Per le attribuzioni antecedenti all’intervento di Longhi si rimanda alla bibliografia specifica (influssi di Pietro Lorenzetti sono segnalati in particolare da Perkins e Chiasserini).

to a Francesco le opere di qualità più sostenuta del catalogo di Niccolò6. Sul nome del fratello più noto si sono comunque attestati i pareri più recenti, con rare eccezioni7, confortati anche dai documenti pubblicati da Franco Polcri che testimoniano la commissione di un polittico per la chiesa di Sant’Agostino di Borgo Sansepolcro nel 1346 e il pagamento a Niccolò nel 13488. Polcri ha creduto di poter riferire queste notizie proprio al polittico della Resurrezione, che effettivamente fu in quella chiesa per diversi secoli, quand’era ormai passata alle Clarisse. Tuttavia l’opera non ha un’iconografia agostiniana9: la presenza nell’ordine principale di san Benedetto in veste bianca, come i monaci delle cuspidi, e di altre figure care alla spiritualità camaldolese (come santa Scolastica) chiarisce l’origine in seno a quest’Ordine, a cui apparteneva l’abbazia intitolata – regolarmente dal 1340, anno della riconsacrazione seguita alla parziale riedificazione attuata dal 1300 circa – a san Giovanni Evangelista, che occupa nel polittico la posizione d’onore, confermando così la provenienza dall’attuale cattedrale (titolo acquisito nel 1520)10 . Il soggetto centrale, che rimanda all’antica intitolazione dell’abbazia e al nome stesso della città, esplicita inoltre il valore civico dell’opera. Una “cappella de legnamine” commissionata al legnaiolo Muccio di Cecco nel 1402 per l’altare maggiore di San Giovanni Evangelista, citata in un documento reperito da Matteo Mazzalupi, doveva servire dunque a contenere l’opera di Niccolò11 . Nel 1979 il polittico è stato ricollocato sull’altare originario, dal quale era stato rimosso nel XVI secolo per essere trasferito nella clausura della chiesa di Sant’Agostino12, intitolata nel frattempo a Santa Chiara per l’avvicendamento coatto delle Clarisse agli Agostiniani, voluto da Cosimo I de’ Medici nel 155513. Del resto entro il 1509 per l’altare maggiore di San Giovanni Evangelista era stata realizzata l’Ascensione del Perugino14. È possibile, come crede Polcri, che corrisponda al polittico della Resurrezione la descrizione riportata in una visita pastorale del 1635 di un “altare supra quod sunt nonnulle imagines et xanti pretiosi et antiqui” in Santa Chiara15. Cavalcaselle nel 1864 lo vide in ogni caso nella sacrestia di questa chiesa, mentre le tavolette della predella e delle “cuspidi” erano state poste sulla cantoria16. Sullo scorcio del secolo Mary Smith Costelloe (futura signora Berenson) descrive nella stessa posizione le tavole minori e le principali sulla parete sinistra della chiesa17. Una fotografia contenuta nel quaderno di ritagli di Helen Clay Frick del 1924 mostra il polittico – segnalato ancora in Santa Chiara – riunito alla predella e coronato dalle sei tavolette con santi a figura intera18. Il complesso fu trasferito di lì a poco nel Museo Civico e, dopo diversi passaggi nel corso del Novecento, fu definitivamente ricollocato nella sua sede attuale.

6 Coor Achenbach 1954-1955, p. 90. De Benedictis 1979, p. 83. Inoltre Carli 1981, p. 74. 7 Casciu 1992, pp. 34-36 (Maestro di Sansepolcro). 8 Polcri 1995, pp. 35-40, con trascrizione dei documenti. Anche Idem 1996, p. 74. Nel 1322 Fuccio di donna Imeldina stanzia per la realizzazione di una pala per l’altare della chiesa di Sant’Agostino una somma di denaro che risulta disponibile dal 1346 e due anni più tardi servirà per il compenso di Niccolò di Segna (cfr. infra §1). 9 Gardner von Teuffel 1977, pp. 34-36. Eadem 1999, p. 201 nota 35. A smentire l’ipotesi di Polcri, dopo Gardner von Teuffel, è tornato anche Banker 2001, p. 214. 10 Cfr. Pincelli 2012, pp. 44-45. Notizie sui Camaldolesi di Sansepolcro furono raccolte da Mittarelli-Costadoni 1755-1773. 11 Di Lorenzo-Martelli-Mazzalupi 2012, p. 104. 12 Cfr. Israëls 2013, pp. 55-56. 13 Gli Agostiniani si stabilirono presso la pieve di Santa Maria: cfr. Mattei O.S.A. 2009, pp. 75-77. 14 Casciu 1998, pp. 11-42. Gardner von Teuffel 1999, pp. 170 e ss. 15 Polcri 1995, pp. 36, 39 nota 19. L’autore porta la notizia a supporto della pertinenza del polittico della Resurrezione a Sant’Agostino, non tenendo conto degli spostamenti subiti dall’opera. 16 Cavalcaselle-Crowe 1864, II, ibidem. Ancora in Santa Chiara il polittico è citato in Cavalcaselle-Crowe 1908, III, pp. 29-30; risulta ricomposto nella cappella accanto alla sacrestia in Hutton, in Cavalcaselle-Crowe 1909, II, p. 23. Gli scomparti della predella erano già stati notati nel 1832 da Giacomo Mancini (p. 272), che li assegnava a Pietro Lorenzetti; così anche Longhi 1963, pp. 127, 221. 17 Cfr. Israëls 2013, p. 56, fig. 26. In un appunto conservato nell’Archivio Berenson (Mary Berenson Art Notebook, “Umbria”, 1897-1899) con la riproduzione del polittico e la disposizione delle tavolette sul parapetto della cantoria, l’americana attribuisce l’opera a Segna di Bonaventura. 18 Cfr. Silver 2013a, p. 18, fig. 5.

L’importanza dei documenti trecenteschi reperiti da Polcri non è comunque sminuita dalle rettifiche alla loro lettura, poiché essi forniscono utili conferme sulla presenza di Niccolò a Sansepolcro verso la metà del Trecento, dove avrebbe dunque realizzato due polittici, come già hanno sostenuto Christa Gardner von Teuffel e James Banker19. In effetti un testamento del 5 febbraio del 1348, rintracciato da Donal Cooper, documenta che “Gherus q(uondam) Ugutii de Robertis” aveva stanziato una somma di 100 lire, di cui l’abate di San Giovanni Evangelista avrebbe dovuto disporre per la realizzazione di un ornamento per l’altare maggiore, che giustamente lo studioso identifica con il polittico della Resurrezione, in relazione indiretta coi pagamenti per il polittico per Sant’Agostino documentati nel corso dello stesso 134820. Niccolò, contrariamente a quanto spesso sostenuto, deve essere sopravvissuto alla peste e aver portato a compimento la commissione negli anni immediatamente successivi. Del polittico riferito dai documenti alla chiesa di Sant’Agostino invece non resta nulla se, come proposto di recente, si preferisce non riferirvi le otto tavolette con santi a mezzo busto ora conservate in diverse collezioni americane ed europee21 (cat. 23). Esso dovette comunque essere sostituito dal polittico commissionato nel 1454 a Piero della Francesca dagli Agostiniani, che lo portarono con sé quando dovettero lasciare la loro sede storica a metà del Cinquecento. Per quest’opera Piero utilizzò la carpenteria già destinata a un polittico per la chiesa di San Francesco, esemplata a sua volta sulla struttura del polittico della Resurrezione (probabilmente simile a quello di poco precedente per Sant’Agostino) come quella del polittico francescano poi effettivamente realizzato dal Sassetta22; la ricostruzione ideale del complesso di Piero consente di sostenere la presenza originaria anche nell’opera di Niccolò di contrafforti laterali poggianti a terra ai lati dell’altare su cui era posta l’opera23. A questi pilastri sono state ricondotte le sei figure di santi ora poste sulla sommità delle tavole principali come cuspidi, che dovevano invece essere disposte tre per lato in verticale24 . Fin dalle prime osservazioni critiche è stato facilmente riconosciuto nelle figure del polittico un forte richiamo alla maniera di Pietro Lorenzetti. I principali modelli della produzione del maestro a cui Niccolò attinge per la sua opera datano ad alcuni decenni prima: il ciclo assisiate delle Storie della Passione, che comprende le analoghe scene della Resurrezione e della Deposizione, citate nella predella, e la Pala del Carmine, realizzata per la chiesa senese dell’Ordine nel 1329, ora alla Pinacoteca Nazionale di Siena, da cui Niccolò riprende la struttura del complesso, con la tavola centrale dilatata e di forma approssimativamente rettangolare25. L’evidenza volumetrica delle figure dei santi, che si inseriscono in maniera sempre più convincente nello spazio con movimenti armoniosi, si accompagna a fisionomie aggraziate in cui i tratti marcati tipici della produzione del quinto decennio sono mitigati da un ritorno all’uso sapiente del chiaroscuro. Un linguaggio che porta a compimento, superandolo, il processo caratterizzato dalla ricerca di tridimensionalità attraverso l’ingrossarsi delle linee e l’inasprirsi delle ombre nella Croce n. 46 (cat. 18) e che risulta sostanzialmente in linea con la produzione a fresco dello stesso decennio, in particolare col ciclo della chiesa dei Santi Leonardo e Cristoforo a Monticchiello (cat. 20). Con le figure dei due santi titolari della pieve pientina sono confrontabili rispettivamente il San Lorenzo dell’ordine superiore e il Risorto, che tuttavia mostrano tratti più raffinati, tipici appunto della produzione estrema di Niccolò. Ancora da Pietro, segnatamente dalla probabile Sant’Agata ora a Le Mans ma già parte del polittico della stessa chiesa di Monticchiello, pare ripreso il gesto informale di trattenere

19 Gardner von Teuffel 1977, pp. 34-36; Eadem 1999, pp. 167-171. Banker 2001, pp. 214-215. Così anche Israëls 2013, pp. 51-52. 20 Cooper 2004, pp. 125, 128 nota 2. Per il testamento: ASFi, Notarile Antecosimiano, 2263, filza testamenti, n. 34. L’abate in questione è da identificare con Francesco, in carica dal 1338 al 1350, per cui si veda Agnoletti 1976, p. 90 (cfr. Gardner von Teuffel 1999, pp. 169, 201 nota 32). 21 Brüggen Israëls, in The Bernard and Mary 2015, pp. 498-499. Laclotte (in La Collezione 2009, I, pp. 158-161) ha inoltre smentito l’ipotesi di Gardner von Teuffel (1999, p. 195) di riconoscere come parti del perduto complesso agostiniano le due coppie di santi provenienti dall’ordine superiore di uno stesso polittico, ora in collezione Salini presso Asciano, assegnate dallo studioso francese a Pietro Lorenzetti. 22 Di Lorenzo 1996, pp. 13-15, 24-27, 36. Banker 2001, p. 214. Israëls 2013, pp. 55-56. 23 Gardner von Teuffel 1977, ibidem. Banker 1991, p. 17. 24 Gardner von Teuffel 1979, pp. 34-35. De Marchi 2004, p. 35; Idem 2009, p. 86. Israëls 2013, p. 52, fig. 25; Eadem, in The Bernard and Mary 2015, ibidem. 25 Cfr. Volpe 1989, pp. 60-64, 77, 84, 135-148.

in alto la veste con una mano, proposto nella Sant’Agnese di Sansepolcro, che per altri versi ricorda quella a figura intera della Pala del Carmine26 . Anche la decorazione delle parti dorate dimostra la volontà di proporre nuove soluzioni, con l’aggiunta delle fasce perimetrali con granitura a risparmio, la stessa tecnica usata per le aureole, dove l’impiego dei veri e propri punzoni risulta più marginale, ad eccezione dei nimbi di quattro dei sei santi dei contrafforti27. Se la ricchezza della decorazione e l’eleganza della tavolozza risultano tradizionali elementi identificativi di Niccolò, resta in questo polittico l’unica effettiva testimonianza del cimentarsi del pittore in scene narrative, che guardano ai modelli dei principali maestri senesi e testimoniano la sua capacità di gestione spaziale e registica, che ancora una volta sembra debitrice a Pietro Lorenzetti28 .

Bibliografia Mancini 1832, p. 272; Cavalcaselle-Crowe 1864, II, p. 59; Cavalcaselle-Crowe 1885, III, p. 35; Coleschi 1886, p. 180; Franceschi Marini 1904; Cavalcaselle-Crowe 1908, III, p. 29; Cavalcaselle-Crowe 1909, II, p. 23; Franceschi Marini 1912, pp. 174-175; van Marle 1924, II, p. 156; Perkins 1930, pp. 248-254; Berenson 1936, p. 454; Longhi 1946, p. 158; Mostra 1947, p. 33; Moriondo, in Mostra 1950, p. 78; Chiasserini 1951, pp. 11-18; Longhi 1951, p. 54; Coor Achenbach 1954-1955, p. 90; Longhi 1963, pp. 127, 199, 221; Zeri 1967, p. 477; Salmi 1971, pp. 81, 91 nota 18; Agnoletti 1977, pp. 23-24; Gardner von Teuffel 1977, pp. 34-36 nota 40; De Benedictis 1979, p. 83; Gardner von Teuffel 1979, pp. 34-35; Stubblebine 1979, I, pp. 155-156; Carli 1981, p. 74; Damiani, in Il Gotico a Siena 1982, p. 95; Agnoletti 1984, pp. 45-49; De Benedictis 1986, p. 337; Leoncini, in La pittura in Italia 1986, II, pp. 571, 642; Banker 1991, p. 17; Casciu 1992, pp. 34-36; Polcri 1995, pp. 35-40; Di Lorenzo 1996, pp. 24-27, 36; Polcri 1996, p. 74; Casciu 1998, p. 34; Gardner von Teuffel 1999, pp. 167-171; Torriti 1999, pp. 49, 62; Banker 2001; Banker 2003, pp. 175, 193; Franci, in Duccio 2003, p. 365; Cooper 2004, pp. 125, 128 nota 2; Banker 2005, pp. 11-12; Gardner von Teuffel 2005, pp. 432-433; Refice 2005, pp. 87-89; Matteuzzi 2008, p. 326; Banker 2009, p. 567; De Marchi 2009, p. 86; Franci, in La Collezione 2009, I, p. 89; Israëls 2009, pp. 248-249; Di Lorenzo-Martelli-Mazzalupi 2012, p. 104; Fornasari, in Il Duomo di Sansepolcro 2012, pp. 236-238, cat. 8; Mazzalupi 2012, pp. 14-15; Franci 2013; Israëls 2013, pp. 51-56; Silver 2013a, p. 18, fig. 5; Silver 2013b, pp. 32-33, 38-40; Brüggen Israëls, in The Bernard and Mary 2015, pp. 498-499; Bagnoli 2017, p. 468.

26 Cfr. Volpe 1989, p. 113. 27 Il tetralobo dei nimbi dei Santi Paolo e Giovanni Battista è rintracciabile anche nella Madonna col Bambino in collezione Berenson del polittico di San Maurizio (Frinta 1998, p. 396, n. Jb98, come possibile Francesco di Segna) ed è simile a quello usato da Ugolino di Nerio e Bartolomeo Bulgarini (Skaug 1994, II, n. 347). 28 Si vedano ad esempio le scene della predella della Pala del Carmine e la tavoletta raffigurante San Savino con i suoi diaconi Marcello ed Esuperanzio dinanzi al governatore Venustiano ora alla National Gallery di Londra, riferita alla Natività della Vergine per l’altare di San Savino nel Duomo di Siena (Volpe 1989, p. 155).

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