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clipei); San Gregorio(?), Sant’Ambrogio(?), San Gioacchino, San Giuseppe
from Niccolò di Segna e suo fratello Francesco: pittori nella Siena di Duccio, di Simone e dei Lorenzetti
21. Niccolò di Segna Transito di San Giovanni Evangelista; San Filippo Benizi, San Leonardo, Santo Stefano, Beato Gioacchino Piccolomini, San Lorenzo, San Filippo, San Michele Arcangelo, San Bernardo (clipei); San Gregorio(?), Sant’Ambrogio(?), San Gioacchino, San Giuseppe Siena, basilica di Santa Maria dei Servi 1345 ca.
Pittura a fresco
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Il presbiterio della basilica di Santa Maria dei Servi a Siena ospita cinque cappelle: quelle esterne appartenevano alle famiglie Spinelli e Petroni e sono decorate a fresco con ampie scene narrative e figure di santi. La cappella Petroni, a destra, era dedicata a san Lorenzo e conserva la scena della Strage degli Innocenti e la figura di Sant’Agnese (fig. 104). La Spinelli, a sinistra, era dedicata ai santi Giovanni Battista ed Evangelista e le pareti laterali del sacello sono decorate con loro storie (fig. 102): a destra il Banchetto di Erode e la decollazione del Battista (fig. 103), a sinistra il Transito di San Giovanni Evangelista. Le fasce perimetrali a fiorami sono cadenzate da tondi contenenti uno stemma araldico (partito: nel primo d’argento; nel secondo di azzurro alla banda d’oro) e busti di beati serviti e santi cari all’Ordine1 . La terminazione poligonale della cappella è decorata con quattro santi a figura intera, di cui si conservano i probabili San Gregorio e Sant’Ambrogio in basso2 e il San Gioacchino in alto sopra quest’ultimo, mentre la figura di San Giuseppe – identificata dall’iscrizione in basso – è appena intuibile. L’episodio dedicato all’Evangelista si focalizza sull’ascensione del vecchio Giovanni, accolto in Cielo da Cristo, che appare a mezzo busto da uno squarcio di nubi insieme ad alcuni apostoli, tra cui si riconoscono Pietro e Bartolomeo; in basso la figura femminile inginocchiata con velo bianco è da identificare, secondo l’iscrizione, con Drusiana, resuscitata da Giovanni. La scena è ambientata all’interno della chiesa di Efeso, rappresentata come un edificio coperto con volte a crociera impostate su pilastri a fascio, con frontone a destra in corrispondenza dell’altare, presso cui stanno un vescovo e tre diaconi in veste bianca. Vicino a loro, verso il centro della composizione, assiste al prodigioso evento una coppia di laici, al cui sgomento fa eco quello del gruppo di quattro anziani nella metà sinistra del riquadro, mentre altri due si chinano verso la fossa vuota dalla quale Giovanni è asceso. La decorazione della cappella fu recuperata entro l’8 maggio 1892 sotto uno scialbo risalente all’epoca barocca3. Si riconoscono integrazioni in particolare nelle fasce perimetrali e diverse lacune all’interno delle scene e in corrispondenza dei santi a figura intera: nel Transito sono andate perdute ampie zone della figura dell’Evangelista e la testa di uno dei diaconi e in generale i colori risultano impoveriti e abrasi e sono praticamente scomparsi quelli delle vesti dei vecchioni a sinistra.
1 I tondi si inseriscono anche nello spessore dell’arco di accesso. In corrispondenza della scena del Battista, partendo dal basso a sinistra e procedendo in senso orario, si vedono: san Basilio, san Lorenzo, san Filippo, san Michele, san Bernardo, san Giorgio e i beati Pellegrino da Forlì e Andrea da Borgo San Sepolcro (cioè Pellegrino Laziosi e Andrea Dotti, posti in basso). Dal basso a sinistra nel Transito si trovano: il beato Filippo da Firenze (san Filippo Benizi, V Generale dell’Ordine dei Servi), san Leonardo, il probabile beato Francesco Patrizi, santa Caterina (rifatta), santo Stefano, il beato Gioacchino Piccolomini, il beato Giovanni di Sassonia e il beato Tommaso da Massa. Sopra la monofora centrale, in posizione preminente, si trova il tondo con Bonfiglio Monaldi, capo dei Sette Santi Fondatori dei Servi e unico di essi raffigurato nella cappella, nonché omonimo del vescovo senese che nel 1250 concesse la licenza di fondare a Firenze la chiesa di Santa Maria di Cafaggio, poi SS. Annunziata, e negli stessi anni accolse a Siena la comunità servita e promosse la costruzione della loro chiesa (cfr. Dal Pino 1972, I, pp. 141, 204). In corrispondenza della Strage degli Innocenti si trovano figure monocrome, tre delle quali originali, oltre a un malridotto stemma Petroni: d’oro, al palo d’azzurro (resta solo la base a morellone), caricato di tre stelle. Ringrazio Laura Cirri per la corretta definizione dello stemma della cappella Spinelli. 2 Da scartare la proposta di Lamberto Crociani (1996) di identificare nel primo santo il papa Benedetto XI, che approvò l’Ordine Servita nel 1304: si tratta infatti di un pontefice legato piuttosto all’Ordine Domenicano, peraltro mai canonizzato. Crociani suggerisce anche di riconoscere Agostino nell’altro santo. 3 Brigidi 1897, p. 131.
Nel XVII secolo la cappella era stata destinata a sede della Confraternita del SS. Crocifisso e vi era stata trasferita dal 1635 la grandiosa Croce di Ugolino di Nerio, già sopra l’altare maggiore, poi spostata presso la controfacciata e finalmente nella zona destra del transetto4. Tuttavia il sacello risulta in precedenza sotto il patronato della famiglia Spinelli ed è plausibilmente da identificare con quello che Guidoccio di Accorso chiede di costruire per la propria sepoltura presso la cappella di Vitaleone Altimanni nel testamento del 9 novembre 1334, nel quale nomina suoi eredi Duccio e Cecco Spinelli. Nel 1406 Antonio di Bartolomeo Spinelli fa poi un lascito per la cappella dedicata ai Santi Giovanni Battista ed Evangelista, dove ancora risultano celebrate messe in sua memoria nel 1575, all’epoca della visita pastorale di monsignor Francesco Bossio, quando sull’altare viene descritta una tavola (probabilmente un polittico) con la Madonna e santi5. Vittorio Lusini riferiva a questo stesso sacello un documento del 1315 in cui si accenna a una somma di 300 fiorini da ottenere da messer Giovanni fiorentino per la costruzione di una cappella6. La pur generica notizia, che richiama il legame con la città d’origine del movimento servita, è in ogni caso importante per la vicenda costruttiva dell’ampliamento della fabbrica della chiesa senese avviato nei decenni precedenti, forse a un punto tale da consentire l’assegnazione dei primi altari privati, della cui effettiva costruzione non si hanno d’altra parte riscontri immediati7, mentre sembra più probabile che le cappelle presbiteriali siano state realizzate verso il quarto decennio del Trecento, compresa quella a destra concessa a Guglielmaccio Petroni. Grazie ai documenti rintracciati da Lusini è possibile seguire il procedere dei lavori di ingrandimento del transetto, con la conclusione oltre un secolo più tardi della cappella maggiore di patronato di Petrone Petroni (1441) e la creazione delle due dei Luti alle estremità dei bracci8. La ricostruzione della chiesa procedette fino al XVI secolo, ma le caratteristiche degli affreschi superstiti dimostrano che la decorazione delle cappelle presbiteriali fu attuata già entro la metà del Trecento, a breve distanza dal momento della loro probabile edificazione. Gli studiosi che hanno trattato degli affreschi dei due sacelli hanno concordemente sottolineato la loro matrice lorenzettiana, a volte indicando nell’uno o nell’altro dei due fratelli l’autore di uno dei riquadri di entrambe le cappelle: ad Ambrogio pensava Lusini per la Strage degli Innocenti della Petroni e a Pietro van Marle e Toesca, il quale gli riferiva entrambe le scene della Spinelli9. La mancata o inesatta distinzione delle diverse mani attive nelle due cappelle ha complicato la via verso una corretta assegnazione dei diversi affreschi ed è curioso che, sebbene molti studiosi abbiano rilevato la presenza di Niccolò nell’impresa, il suo intervento sia stato frainteso e riferito a brani che invece non gli sono pertinenti: già van Marle nel 1934 lo indicava come collaboratore per la figura di Sant’Agnese nella cappella Petroni, mentre nel 1961 Ferdinando Bologna, seguito vent’anni dopo da Giovanna Damiani, gli ha assegnato la Strage degli Innocenti, notando altresì negli affreschi della Spinelli un legame con l’autore del polittico della Resurrezione, per lui evidentemente distinto da Niccolò10. La stessa scena è creduta invece di Francesco di Segna da De Benedictis, che lo identifica col cosiddetto Maestro dei Servi e lo immagina all’opera insieme a Niccolò e ad altri seguaci di Pietro Lorenzetti, il quale avrebbe progettato gli affreschi di entrambe le cappelle11. Privato del riferimento al secondo figlio di Segna, il nome di questo anonimo è ripreso per entrambe le cappelle da Michel Laclotte, che rifiuta l’ipotesi della partecipazione di Niccolò12. Sebbene non manchi chi pensa ancora a
4 Cfr. Galli, in Duccio 2003, pp. 358-360, cat. 56. 5 Crociani 1996. L’autore cita documenti reperiti presso la Biblioteca Pubblica (Diplomatico) e l’Archivio di Stato di Siena (ASSi, Conventi, n. 2610, c. 37; n. 2611, c. 5v; n. 2612, cc. 35v-36), rispettivamente per la prima e la seconda data. 6 Lusini 1908, pp. 12, 53 nota 30. Anche Strehlke 2004, p. 339 nota 6. Non è d’aiuto lo stemma già descritto, che non corrisponde a quello degli Spinelli e non è stato possibile accostare a nessuna specifica famiglia o figura. 7 Il testamento di Vitaleone Altimanni risale al 1309 (Lusini 1908, p. 53 nota 35) e la sua cappella risulta compiuta all’epoca del testamento di Guidoccio del 1334 (Crociani 1996). 8 Lusini 1908, pp. 9-17. Per le tappe della ricostruzione della chiesa cfr. anche Pepi 1970, in particolare pp. 18-22, per l’ampliamento del presbiterio nel XIV secolo, con citazione delle notizie più antiche sulle cappelle (tra cui quella relativa a messer Giovanni fiorentino, di cui non è meglio precisata l’identità). La fondazione della cappella Spinelli da parte di Guidoccio di Accorso viene riferita al 1323 a p. 64. 9 Lusini 1908, pp. 40-41. Van Marle 1934, II, p. 150. Toesca 1951, p. 566 nota 88. A Pietro pensano anche Berenson, che gli assegna tutti gli affreschi di entrambe le cappelle, e Carli (cfr. bibliografia specifica). 10 Bologna 1961, p. 36. Damiani, in Il Gotico a Siena 1982, p. 95. 11 De Benedictis 1979, pp. 31, 83. 12 Laclotte-Mognetti 1976, cat. 160. M. Laclotte, in L’art gothique siennois 1983, p. 120. Lo studioso francese assegna
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un generico seguace di Pietro Lorenzetti attivo nei due sacelli13 , la critica più recente si è finalmente concentrata sulla scena del Transito di San Giovanni Evangelista, riconoscendovi la mano di Niccolò: così in particolare Paolo Torriti, Beatrice Franci14 e Andrea De Marchi, il quale inoltre, chiarita definitivamente la differenza delle mani attive nei riquadri affrescati, ha suggerito per l’episodio dedicato al Battista la paternità del giovane Niccolò di Ser Sozzo negli anni Quaranta15. L’intervento di Niccolò di Segna si può riconoscere anche in alcune delle figure entro tondi, localizzate perlopiù nelle zone superiori delle due scene, mentre quelle più basse sono riferibili al possibile Niccolò di Ser Sozzo: sono certamente del più anziano i Santi Leonardo, Stefano e Filippo Benizi e il BeatoGioacchino Piccolomini da una parte e i Santi Lorenzo e Bernardo dall’altra; qualche dubbio, a causa del cattivo stato di conservazione, sollevano le figure dei Santi Filippo e Michele e quella del probabile Beato Francesco Patrizi, quasi completamente perduto16. Si tratta dunque di un’impresa di compagnia, in cui i due pittori si consociano e si dividono equamente il lavoro. Relativamente al Transito, gli stessi studiosi fissano la cronologia al quinto decennio del Trecento. Strehlke e De Marchi aggiungono al dato stilistico anche l’osservazione della presenza, tra le figure nei clipei, di diversi frati serviti morti nella prima metà del XIV secolo e in particolare di Pellegrino Laziosi (o Lazise) da 102. Siena, basilica di Santa Maria dei Servi, Forlì, raffigurato come gli altri con l’aureola rotonda propria dei cappella ex Spinelli santi e beati non più in vita17. Il momento della sua morte, avvenuta probabilmente verso il 1345, può così essere considerato un congruo e probabilmente ravvicinato terminus post quem per la realizzazione del Transito18, che difatti si inserisce bene tra le opere della maturità di Niccolò, caratterizzate da figure più volumetriche ed espressive, risultando tuttavia più vicino al linguaggio della Croce n. 46 (cat. 18) che alle opere estreme legate all’Alta Val Tiberina (cat. 22-23). La presenza del beato Tommaso da Massa (ovvero, probabilmente, da Orvieto), raffigurato con le stesse caratteristiche, fornisce d’altronde, a rigore, un più preciso post quem al 1343, data della sua morte.
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al Maestro dei Servi un piccolo corpus di opere di carattere lorenzettiano: la piccola tavola con la Madonna col Bambino, Angeli e Santi del Musée du Petit Palais di Avignone e la Crocifissione dipinta nel chiostro di San Francesco a Montalcino. 13 Così Freuler (1997, p. 18), che propone inoltre di individuare l’intervento del giovane Biagio di Goro Ghezzi nella Sant’Agnese Petroni e in alcune figure del Banchetto di Erode Spinelli. Inoltre Galli, in Duccio 2003, pp. 358, 360. 14 Torriti 1999, pp. 49-50, 62 nota 24; l’autore dà a Niccolò anche i santi a figura intera e quelli nei clipei. Franci, in Duccio 2003, p. 365; Eadem, in La Collezione 2009, I, p. 89; Eadem 2013. Inoltre Brüggen Israëls, in The Bernard and Mary 2015, p. 498, e già Cateni 1982-1983. 15 Comunicazione orale, a seguito di un recente studio dello stesso De Marchi, che aveva già accennato all’intervento nella scena del Banchetto di un aiuto di Pietro, attivo nelle figure superiori del polittico di San Giusto, in Volpe 1989, p. 198. 16 L’iscrizione lascia intendere il nome “[Franc]iscus”, ma la testa incappucciata come quella del Beato Giovanni di Sassonia, insolita nell’iconografia trecentesca del santo di Assisi, fa propendere per l’identificazione col beato servita. 17 L’aureola è in realtà propria dei soli santi, ma non mancano esempi di beati già raffigurati col nimbo: un esempio su tutti è rappresentato da Nicola da Tolentino. 18 Strehlke 2004, p. 339 nota 6. Commento orale di De Marchi. Gli altri serviti a cui si fa riferimento sono, oltre a Tommaso da Massa, Gioacchino Piccolomini, Andrea Dotti e Francesco Patrizi, questi ultimi tre morti rispettivamente nel 1306, 1315 e 1328. Per la figura di Pellegrino Laziosi e l’incertezza della data di morte, per la quale generalmente si dà fede dalla fine del XVI secolo all’indicazione di fra’ Tommaso da Verona, cfr. Serra 1999, pp. 55-109, in particolare pp. 74-75, 81.
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103. Niccolò di Ser Sozzo (?), Banchetto di Erode e decollazione di San Giovanni Battista, Siena, basilica di Santa Maria dei Servi, cappella ex Spinelli
È facilmente individuabile la dipendenza iconografica della cappella Spinelli dalla decorazione realizzata da Giotto nella cappella Peruzzi in Santa Croce, ugualmente dedicata ai due san Giovanni, nei cui registri inferiori sono presenti entrambe le scene raffigurate a Siena. Come a Firenze, viene omesso il momento principale della vita del Battista, il Battesimo di Cristo, in favore della scena del Banchetto e si inserisce un evento controverso della leggenda dell’Evangelista quale è il Transito19 (fig. 105). A parte alcune varianti nell’aggiunta di rimandi ad altri episodi, gli impaginati sono affini, soprattutto per quest’ultima scena, molto rara e attestata per la prima volta proprio nella Peruzzi20, la cui datazione è tuttora dibattuta. Nonostante il lascito di Donato Peruzzi del 1292 e l’attestazione di un sepolcro di quella famiglia in Santa Croce nel 1303, Monciatti ha richiamato l’attenzione sulla mancanza di riferimenti sicuri per il momento dell’edificazione della cappella e della sua decorazione, che De Marchi ritiene, anche in base alla lettura organica di tutti gli affreschi del transetto, riferibile ai primi anni del terzo decennio21. Nella Spinelli dunque si riprendono a circa vent’anni di distanza affreschi fiorentini e c’è da chiedersi a chi si debba questa scelta, se al committente, alla comunità servita o al pittore responsabile dell’ideazione del complesso decorativo. Nel primo caso risulta suggestiva la notizia relativa al possibile coinvolgimento del “messer Giovanni da Firenze”, che nel 1315 dovrebbe aver contribuito all’erezione della cappella, per la coincidenza onomastica e la matrice fiorentina della doppia intito-
19 La particolarità della selezione agiografica fiorentina è sottolineata da Alessio Monciatti in Monciatti-Frosinini 2011, pp. 607-622: 613-614 (il contributo specifico di Monciatti, I Peruzzi e la loro cappella in Santa Croce. Appunti in vista di una riconsiderazione, è a pp. 607-617). 20 Tintori-Borsook 1965, pp. 26-28. 21 Monciatti, in Monciatti-Frosinini 2011, pp. 607-611. De Marchi 2010a, p. 17.
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104. Pittore senese della metà del XIV secolo, Strage degli Innocenti, Siena, basilica di Santa Maria dei Servi, cappella ex Petroni
lazione, sebbene la data del documento sia decisamente troppo precoce in riferimento alla decorazione del transetto dei Servi come di Santa Croce. Si potrebbe semmai pensare alla possibilità di un intervento iniziale del benefattore fiorentino per la costruzione di un sacello poi passato ad altri, pur mantenendo memoria dell’origine nella dedica di ascendenza francescana22. La stessa comunità dei Servi di Siena potrebbe del resto aver favorito la ripresa di una delle principali imprese artistiche della città d’origine dell’Ordine, così come potrebbe aver avuto una parte importante nell’ingaggio di Niccolò di Segna, essendosi già affidata al padre per un probabile polittico di cui resta la Madonna col Bambino ora esposta presso la cappella Petroni23 e a Ugolino di Nerio, altro pittore vicino al nostro. Guardando al percorso artistico di Niccolò, a cui si può proporre di assegnare un ruolo preminente nella gestione dei lavori della cappella Spinelli per l’estensione del suo intervento anche alle figure dei santi presso le finestre e alla collocazione più prestigiosa dei suoi tondi con santi, non si può escludere un qualche suo merito almeno nella scelta dei soggetti tratti dalla cappella fiorentina, che sono stati certamente il suo modello nel quinto decennio e che egli poteva avere già presenti per averli visti – da poco realizzati – al tempo dell’impresa di Ugolino per i francescani di Santa Croce.
22 Monciatti fa notare come la dedica ai santi Giovanni Battista ed Evangelista, apparsi a San Francesco insieme a Cristo e alla Vergine, sia ben pertinente alla chiesa di Santa Croce e a un ambito francescano (Monciatti, in Monciatti-Frosinini 2011, p. 613); meno stringente invece risulta in una chiesa servita, rimandando così con più forza al modello fiorentino. 23 Non sembra possibile identificare questo polittico perduto con quello citato nella cappella Spinelli nella visita pastorale del 1575 perché, seguendo il ragionamento di Luciano Cateni, che riferisce la cosiddetta “Madonna dei Servi” a un ingente pagamento del 1319, la pala sarebbe stata troppo grande, stando alla cospicua entità della somma stanziata; inoltre questa data precoce rispetto all’erezione del sacello rende improbabile che quell’opera di Segna fosse stata pensata fin dall’origine per quella sede (cfr. Cateni, in Duccio 2003, p. 324).
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105. Giotto, Transito di San Giovanni Evangelista, Firenze, basilica di Santa Croce, cappella Peruzzi
Bibliografia Brigidi 1897, p. 131; Lusini 1908, pp. 40-41; De Wald 1930, pp. 32-34; Berenson 1932, p. 294; Sinibaldi 1933, p. 184; van Marle 1934, II, p. 150; Berenson 1936, p. 253; Toesca 1951, p. 566 nota 88; Bologna 1961, p. 36; Tintori-Borsook 1965, pp. 26, 28; Berenson 1968, I, p. 221; Carli 1970, p. 22; Pepi 1970, p. 64; Laclotte-Mognetti 1976, cat. 160; Maginnis 1977, p. 293; De Benedictis 1979, pp. 31, 83; Carli 1981, pp. 163-166; Damiani, in Il Gotico a Siena 1982, p. 95; Cateni 1982-1983; Laclotte, in L’art gothique 1983, p. 120; De Benedictis 1986, p. 337; Volpe 1989, pp. 198, 207; Crociani 1996; Freuler 1997, p. 18; Torriti 1999, p. 49; Franci, in Duccio 2003, p. 365; Galli, in Duccio 2003, pp. 358, 360; Strehlke 2004, p. 339 nota 6; Franci, in La Collezione 2009, I, p. 89; Franci 2013; Brüggen Israëls, in The Bernard and Mary 2015, p. 498; Bagnoli 2017, p. 468.