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Sant’Ambrogio, Sant’Andrea, Sant’Antonio Abate, San Giuliano

23. Niccolò di Segna Santi

1348 ca.

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23a.

Santo Vescovo (Gregorio?) Firenze, collezione privata

Tempera e oro su tavola Cm 30 x 20 ca. Provenienza: Dublin (New Hampshire), Mrs. J. Lindon Smith.

23b-c.

San Giovanni Evangelista e San Giacomo Assisi, Museo Diocesano di San Rufino, collezione Perkins

Tempera e oro su tavola Cm 33 x 21 ca. Provenienza: Lastra a Signa (Firenze), Frederick Mason Perkins.

23d-e.

Sant’Agostino e Sant’Ambrogio Ubicazione ignota

Tempera e oro su tavola Cm 42 x 26 (con cornici) Provenienza: Genova, Gnecco; Milano, Bigli Art Broker.

23f-g.

Sant’Andrea e Sant’Antonio Abate

Fairfield (Connecticut), The Bellarmine Museum of Art (inv. K1224a-b)

Tempera e oro su tavola Cm 32,5 x 21 ca. Provenienza: Città di Castello, collezione privata; Firenze, Alessandro Contini Bonacossi; New York, Samuel H. Kress (dal 1939); Bridgeport (Connecticut), Museum of Art Science and Industry.

23h.

San Giuliano

Ubicazione ignota

Tempera e oro su tavola Cm 33 x 20 Provenienza: Roma, Sestieri; Roma, mercato antiquario (1949); Bruxelles, Cahen.

Cat. 23a

Le otto tavole raffigurano santi a mezzo busto entro una cornice con arco a sesto acuto, col fondo oro decorato lungo il perimetro con serie di punzoni a cuspide; le aureole sono ottenute con decoro fitomorfo a risparmio sulla granitura. Il San Giovanni Evangelista e il Santo Vescovo sono volti a destra, mentre le altre figure guardano più o meno decisamente dalla parte opposta, tranne il San Giacomo che si rivolge verso lo spettatore. Gli spazi di risulta della tavola rettangolare esterni all’ogiva sono decorati con intrecci trilobati o elementi circolari contenenti – dove visibile – piccoli animali, reali o fantastici. Che le tavole provengano dallo stesso contesto è confermato dall’identità della struttura, delle misure e della decorazione punzonata. Fu per primo Federico Zeri nel 1967 ad affermarne la reciproca pertinenza, aggiungendo

Cat. 23b

alle coppie di Sant’Andrea e Sant’Antonio Abate e di San Giovanni Evangelista e San Giacomo, rispettivamente già nelle collezioni Kress a New York e Perkins ad Assisi, le tavole dei tre Santi Vescovi e il San Giuliano (a lungo indicato come san Cristoforo), tutte relative a collezioni private1. Già assegnate genericamente alla scuola sene-

1 Zeri 1967, p. 477; Idem, in Fredericksen-Zeri 1972, p. 150. Per l’identificazione del presunto san Cristoforo col santo cavaliere dedito alla cura dei viandanti, a cui in effetti si addice la ricca veste con inserti di pelliccia, oltre alla palma del martirio, cfr. Brüggen Israëls, in The Bernard and Mary 2015, p. 499.

Cat. 23c

se dallo stesso Perkins oppure all’ambito di Pietro Lorenzetti da Shapley2, Zeri ha riferito le otto tavole all’autore del polittico della Resurrezione di Sansepolcro, da identificare a suo avviso con Niccolò o, meno probabilmente, con Francesco di Segna. A quest’ultimo le ha date De Benedictis, seguita da Leoncini, mentre Stubblebine le

2 Shapley 1966, p. 53, figg. 137-138. L’autrice cita inoltre le attribuzioni manoscritte a Pietro Lorenzetti e al suo ambito, o genericamente alla scuola senese, di Perkins, Suida, Longhi, Fiocco e Venturi.

Cat. 23d

ha assegnate al Maestro di Sansepolcro3. Franci ha poi riproposto il nome di Niccolò4, che è stato accolto dalla critica più recente5 . In effetti la vicinanza degli otto santi alle figure del polittico di Sansepolcro, per fisionomie, volumetria e decorazioni, confortano nell’assegnazione al suo autore in un momento molto ravvicinato. Un confronto convincente è

3 De Benedictis 1979, pp. 11, 83; Eadem 1986, pp. 336 e ss. Stubblebine 1979, p. 156. Leoncini, in La pittura in Italia 1986, II, p. 571. 4 Franci, in Duccio 2003, p. 365. 5 Vedi bibliografia specifica.

Cat. 23e

offerto dal Santo Vescovo ora a Firenze con l’omologo dell’ordine superiore del polittico biturgense e d’altronde il San Giacomo già Perkins è il gemello di quello proveniente dal polittico di San Maurizio, ora in Olanda (cat. 16g). Superata la tentazione di riconoscere in queste tavole elementi del perduto polittico per Sant’Agostino a Sansepolcro per la presenza di due vescovi identificabili con Agostino e Ambrogio, De Benedictis ne ha ipotizzato la pertinenza ad un polittico forse originario di Città di Castello6, da dove provengono i due pezzi ora a Bridgeport, venduti a Samuel Kress nel 1939 da Alessandro Contini Bonacossi7. Nulla si conosce invece delle più antiche pro-

6 De Benedictis 1979, ibidem. 7 Shapley 1966, ibidem.

Cat. 23f

venienze delle altre tavole, di molte delle quali, transitate sul mercato antiquario o in collezioni private europee e americane, si sono attualmente perse le tracce. Non si conoscono neppure le circostanze dell’acquisizione da parte di Frederick Mason Perkins delle due tavole che erano conservate nella sede assisiate della sua raccolta d’arte e poi nella sala della musica della sua abitazione a Villa Sassoforte a Lastra a Signa, presso Firenze, dove sono citate nell’inventario redatto dal collezionista nel 1947, edito a cura di Giuseppe Palumbo nel 19738. Molte opere sono

8 Palumbo O.F.M. 1973, pp. 71, 79, cat. 11-12. L’inventario è ripubblicato anche in Zeri 1988, p. 147. Durante la Seconda Guerra Mondiale furono sequestrati nel 1942 dalla villa di Lastra a Signa tre sculture e diciotto dipinti, solo

Cat. 23g tornate ad Assisi nella seconda metà degli anni Ottanta del secolo scorso presso il Museo del Tesoro della Basilica di San Francesco e il Museo Diocesano di San Rufino9, dove il San Giovanni Evangelista e il San Giacomo sono stati trasferiti più recentemente.

quattro di questi recuperati a Vienna nel 1948; tra il 1943 e il 1944 le opere assisiati furono conservate al sicuro all’interno del complesso di San Franscesco (Palumbo 1973, pp. 9, 12; le opere recuperate corrispondono nel catalogo ai nn. 54-57). 9 Cfr. Lunghi 1987; le due tavolette ora ad Assisi non vi sono schedate.

Cat. 23h

La venatura verticale del legno dei supporti fa escludere che gli otto pezzi fossero in origine scomparti di predella; in generale le caratteristiche delle tavole non favoriscono una univoca proposta di destinazione. Sulla base anche dei dati materiali raccolti dalle analisi sul Sant’Antonio Abate e sul Sant’Andrea da Jill Deupi, che ha rintracciato possibili cavicchi laterali e fori di chiodi forse riferibili a un antico battente, Israëls ha suggerito che le otto tavole potessero aver composto, insieme ad altri elementi analoghi, i contrafforti di un imponente polittico o – suggestivamente – aver fatto parte di un dossale a doppio ordine, simile a quello di Memmo di Filippuccio nella Pinacoteca di San Gimignano, così come al dossale di Cecco di Pietro in Santa Marta a Pisa. Questi complessi, tuttavia,

sono composti da pezzi più grandi e d’altra parte la disposizione degli otto santi di Niccolò, cinque dei quali volti decisamente a sinistra, presupporrebbe la presenza di tre doppie serie di figure su entrambi i lati della plausibile Madonna col Bambino centrale e dunque la perdita di almeno quattro pezzi. La studiosa olandese è tornata inoltre sull’ipotesi di una provenienza umbra e ha notato come la collocazione periferica che parrebbe spettare al Sant’Agostino giochi a sfavore dell’identificazione di questi pezzi con quelli del polittico citato nei documenti reperiti da Polcri10. Del resto, come argomentato in questo volume (cat. 22), il polittico agostiniano biturgense aveva probabilmente forme simili a quelle del polittico della Resurrezione, con cui le otto tavolette non paiono compatibili. Rimane tuttavia aperta la possibilità che componessero l’ordine superiore di un ulteriore polittico, non ostando la forma e le misure. Resta il fatto che Niccolò fu molto attivo nel territorio dell’Alta Val Tiberina verso la metà del Trecento, con una produzione di alto livello e probabilmente per commissioni importanti di grandi dimensioni. La qualità di queste otto tavole è analoga a quella del polittico della Resurrezione ed esse appaiono ugualmente sviluppate nel solco dell’esempio lorenzettiano, sebbene perfettamente riconoscibili come opere di Niccolò di Segna.

Bibliografia Berenson 1936, p. 340; Shapley 1966, p. 53, figg. 137-138; Zeri 1967, p. 477; Berenson 1968, I, 299; Fredericksen-Zeri 1972, p. 150; Palumbo O.F.M. 1973, pp. 71, 79; De Benedictis 1979, pp. 11, 83; Stubblebine 1979, I, p. 156; De Benedictis 1986, pp. 336 e ss.; Leoncini, in La pittura in Italia 1986, II, p. 571; Zeri 1988, p. 147; Franci, in Duccio 2003, p. 365; Franci 2013; Israëls 2013, pp. 51-52; Israëls, in The Bernard and Mary 2015, pp. 498-499.

10 Israëls 2013, pp. 51-52, nota 45. Le indagini condotte da Deupi furono realizzate nel 2011-2012 presso l’Institute of Fine Arts Conservation Department della New York University, con la supervisione di Diane Modestini. Inoltre Eadem, in The Bernard and Mary 2015, pp. 498-499; Franci 2013. Cfr. cat. 22.

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