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Il cuore oltre i 40 chilometri di L’allievo
Sono trascorsi circa otto mesi dal giorno in cui ho varcato la porta del Comsubin, otto mesi di duro allenamento, oggi è il giorno più temuto, la prova che segna uno sparti acque tra il prima e il dopo. Ho già affrontato tante prove per diventare un incursore di Marina, è il test conclusivo della “fase terra” del corso: la marcia operativa di 40 Km. Mancano poche ore alla partenza, aspetto con ansia la cerimonia dell’ammaina Bandiera che rappresenterà, di fatto, l’inizio di questa lunga e faticosa notte. Tra poco, al briefing pre-partenza, i nostri istruttori ci daranno gli ultimi consigli utili per trovare il giusto equilibrio mentale. So che, in questi mesi, ho lavorato duramente per prepararmi a questo momento. Ho visto il mio fisico adattarsi e trasformarsi giorno dopo giorno, proprio per sostenere questa prova, ma nonostante questa consapevolezza, la tensione fa crescere in me, un particolare senso di ansia. Fallire adesso significherebbe dover tornare a casa. I ricordi scorrono veloci, i minuti meno, sembra quasi che il tempo abbia deciso di rallentare. Guardo impazientemente l’orologio e nella testa risuonano le parole degli istruttori, quelle dei miei compagni di corso e le mie, che continuano a ripetermi che ce l’avrei fatta. Sta per iniziare la cerimonia. Schierati sotto la Bandiera ci siamo solo noi allievi con i nostri istruttori. Il silenzio prevale su tutto, gli sguardi persi alla ricerca della giusta concentrazione in un momento, che è solo nostro. Gli sguardi concentrati ed i muscoli tesi, suggellano un’atmosfera carica di attesa e di tensione.
“Ammaina Bandiera!”. Sono immobile. I pensieri volano lontano mentre vedo il drappo tricolore scendere ed adagiarsi lentamente tra le mani di un collega. Mi vengono in mente i discorsi fatti già i primi giorni del corso, quando avevo sentito parlare della 40 chilometri. Sembrava un ostacolo lontano ma adesso è arrivato. E’ il mio momento… sono pronto! Saliamo sull’automezzo campale per dirigerci verso il paese di Calice al Cornoviglio, a 40 chilometri di distanza dalla base del Varignano. I nostri volti sono sempre più tirati, siamo silenziosi e concentrati. Sappiamo che tra qualche minuto tutto quello che abbiamo imparato lo dovremo mettere in pratica. Sul veicolo avverto le forti pendenze della strada e le curve che si susseguono. Il paesaggio cambia, ormai siamo all’imbrunire e le tenebre stanno togliendo spazio alla luce. Sbircio dal retro del veicolo, la strada percorsa più in basso, sembra un serpente che si arrampica sulla montagna. Finalmente leggo il car-
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Il cuore oltre i 40 chilometri
Test finale prima fase Corso Ordinario Incursori
tello che indica che siamo arrivati a Calice al Cornoviglio, il piccolo borgo medioevale da dove inizieremo la marcia. Ad assistere alla partenza c’è qualche residente della zona che osserva movimenti e rituali che si ripetono uguali in questa notte d’estate da oltre 60 anni. Ormai manca poco, un’ultima assemblea sotto lo sguardo severo ma fiero dell’ammiraglio Comandante e il controllo dell’attrezzatura da parte degli istruttori sanciscono la solennità del rito che precede la partenza. Mi chiudo in me stesso per cercare ti spazzare via i dubbi, adesso non c’è più spazio per le indecisioni: so di essere stato addestrato anche per questa sera. I primi sono già partiti, il prossimo sarò io. Ricontrollo l’attrezzatura, stringo un po’ lo zaino, verifico i miei anfibi. 30 secondi, il cuore inizia a ruggire, pompando il sangue nei muscoli che scalpitano per liberarsi dall’adrenalina accumulata nelle ultime ore. 10 secondi, sono travolto dalle emozioni, adesso l’unica cosa che voglio è partire ed arrivare al Varignano nel tempo limite. Faccio un respiro profondo, chiudo gli occhi,“VIA”. Adesso tocca a me! Nei primi metri ho osservato il volto degli istruttori, uno sguardo fermo ma allo stesso tempo protettivo, proprio come quello di mio padre quando mi vide partire per la prima volta in vacanza coi miei amici. Stanotte li sento più vicini che mai: capisco solo ora che sono qui per noi, lavorano duramente tutto l’anno per trasformarci in incursori di Marina. “Lo abbiamo fatto noi lo farete anche voi” ci hanno ripetuto più volte, una frase diventata un mantra emotivo durante i momenti difficili che, ora più che mai, risuona nella mia testa. I primi 10 chilometri sono volati. Appena partito ho riscaldato bene le gambe, bloccate dalla tensione accumulata ed appesantite dai 20 kg di zavorra trasportate nello zaino, per adesso non rappresentano un problema da gestire. Il buio mi avvolge, la luna tiepida mi accompagna in questa impresa, sento il rumore degli anfibi sbattere sull’asfalto e il respiro deciso, incrocio qualche automobile che passa silenziosa nel bel mezzo del nulla strade deserte che percorrono valli e montagne di questi luoghi. Sono arrivato quasi a metà della distanza totale, ho sete fa caldo e inizio a sentire la fatica. Però non posso cedere adesso, la strada è ancora molto lunga e la parte difficile sta per iniziare, ora devo chiedere al mio corpo di non mollare di tenere duro e andare avanti. Poco più in là sento l’abbaiare dei cani mi segnala che probabilmente qualcuno dei miei “fratelli” è poco distante. Il mio ritmo è costante sto procedendo
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bene, a poche centinaia di metri intravedo un cialume, la luce di segnalazione attaccata sul posteriore del nostro zaino: è un mio compagno di corso che mi precede. Lo raggiungo poco dopo, gli chiedo se va tuttobene, ha i crampi, lo incoraggio e gli consiglio di bere, mi risponde con un cenno della testa. Proseguo e mi allontano, lo lascio alle mie spalle e un’ondata di emozioni contrastanti mi percuote, una parte di me gioisce perché si rende conto che sto procedendo bene, ma un’altra vorrebbe fermarsi ad aiutarlo. Non posso, devo procedere, devo divorare più strada possibile prima che arrivi la crisi fisica o mentale. La salita si fa sentire, ho le gambe in fiamme e il cuore in gola, alzo la testa intento a capire se più avanti ci sarà un tratto meno duro ma la risposta è pessima. Si affianca una macchina con due istruttori, “Tutto bene?” mi chiede, cosa potrei rispondergli, vorrei essere al mare con la mia ragazza ma sono qui per dimostrare di voler essere anche io uno di voi. Accenno con la testa per dirgli “si signore”, non parlo non voglio sprecare energie ne perdere il ritmo corsa respirazione, lui con tono severo mi dice “non mollare” e senza aggiungere altro chiude il finestrino scomparendo nell’oscurità della notte. Sento i polpacci stretti in una morsa, forse sto chiedendo troppo, le gambe pesano e la schiena fa male per la zavorra che devo trasportare. Credo sia il momento di rallentare, la strada da percorrere sembra infinita. In 10 minuti circa ho percorso poche centinaia di metri, procedo a rilento. “Fermati” mi sussurra una voce accogliente, tutto me stesso lo vorrebbe. “No!” mi sussurra nell’orecchio la stessa voce di prima. Chiudo gli occhi, sospiro e penso a quanta strada ho fatto quanti sforzi ho sostenuto, non posso mollare proprio adesso, riapro gli occhi e d’avanti a me compare l’immagine che per questa notte sarà la più bella della mia vita, il Golfo della Spezia! Ho svalicato! Sono a quasi due terzi del percorso, questo meraviglioso panorama mi inonda di pensieri positivi, vedere il Golfo scintillare non mi fa più sentire solo, mi dà energie per riprendere la corsa. La salita per adesso è finita, ora mi aspetta una lunga discesa fino all’Arsenale Marittimo. In men che non si dica arrivo a La Spezia e raggiungo la base navale, adesso mancano circa 10 chilometri, il problema è che sono nuovamente in salita e non è clemente. La vista dello skyline delle Grazie dovrebbe apparire a breve, proprio dopo quel tornante mi dico, quasi a convincermi che sono arrivato e nuovamente sono avvolto dall’oscurità. Ormai sono poco più di quattro ore in solitaria, il fallimento non è più un’opzione, devo gestire le forze, ho almeno altri cento minuti per chiudere la prova. Eccolo il meraviglioso cartello posto all’inizio del paesino: Benvenuti a Le Grazie. Vedo il profilo delle costruzioni tutte illuminate come se fosse natale: che gioia! Devo arrivare a Santa Maria altri pochi chilometri di salita e ci siamo. Ecco il corpo di guardia. Ad aspettarci ci sono gli istruttori e il personale sanitario a prendere nota del tempo e delle condizioni fisiche. Mancano pochi metri e sarò arrivato, le gambe ormai non le sento più, corono autonomamente, chissà se riuscirò a fermarle. Arrivo in poco meno di 5 ore, ma il test di oggi non è finito, mi dirigo in aula studi per affrontare altre due prove. “Se una lumaca sale di tre e scende di due, in quanto tempo...” non riesco a concentrarmi, forse sono disidratato, questa prova consiste nel rispondere a domande di logica matematica e aritmetica. Cerco di svuotarmi della fatica accumulata nelle cinque ore precedenti: ho fame, sete, sonno, ovvero sono distrutto, ma non è finita devo superare anche questa non meno importante prova, e devo farlo adesso. Torno sui banchi di scuola, cerco di ricordare le cose più elementari possibili, semplici ed efficaci, altrimenti proprio in questo momento, dopo tutto questo, dopo tutti questi mesi, rischio di tornare a casa ed è un lusso che non posso permettermi. Rileggo le domande con pazienza, avverto lo sguardo attento degli istruttori, siamo sempre sotto valutazione da parte loro, non posso mostrarmi confuso non devo esitare. Consegno il test, non sono certo delle risposte date. Adesso dovrò smontare e rimontare il mio M4, lo avrò fatto mille e più volte, ma incredibilmente esito. Per un attimo ho avvertito una doccia gelata scorrere sulla pelle, ma all’improvviso le mani autonomamente impugnano il fucile lo smontano e rimontano come se avessero memoria propria, il potere del duro lavoro fatto dà i suoi frutti, scarrello effettuo la prova di arma scarica e guardo soddisfatto l’istruttore che a sua volta mi guarda severo indicandomi una decina di pezzi di ferro. “Rimontala!” mi ordina senza sconti. Lo faccio in pochi secondi e lo guardo con aria soddisfatta. Mi aspetto un cenno di approvazione, dopo questa nottata è il minimo, me lo sono guadagnato, ma lui impassibile mi dice “Puoi andare”. So che dovrò abituarmi a non vivere di apprezzamenti, è un aspetto del nostro lavoro con il quale dovremo convivere prima o poi. Oggi il primo “mostro” lo abbiamo sconfitto, ma tra poche ore inizierà la fase più impegnativa del corso, la “fase acqua”, e mentre vado in cameretta sento sussurrarmi “lo abbiamo fatto noi lo farete anche voi”.
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L’allievo