(AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE:BZ N6/03DELL'11/04/2003)
POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTOPOSTALE - DL353/2003 (CONV.INL27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA1 NE/TN
Organo informativo ufficiale dell’associazione Pro Vita & Famiglia Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -
Nella speranza viva di una vera rinascita, per un 2021 colmo di bene per tutti!
ANNO IX GENNAIO 2021 RIVISTA MENSILE N. 92
P. 22
P. 15
P. 39
Giulia Tanel
Roberto Marchesini
Francesca Romana Poleggi
Un’altra scuola è possibile
Senza relazioni si muore
Aborto, pedofilia, laicità
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Notizie Pro Vita & Famiglia
L’Adorazione dei Magi Albrecht Dürer Galleria degli Uffizi Firenze
Abbiamo una “forza speciale” cui possiamo affidare noi, le nostre famiglie e la nostra comunità: la forza della Regina della Pace che celebriamo il primo di gennaio.
gennaio 2021
Editoriale
Comincia un nuovo anno e mai come questa
per non lasciarsi risucchiare nel vortice
volta vorremmo chiudere definitivamente
folle che tende a distruggere questa povera
alle nostre spalle quello vecchio, che è stato
umanità, e trovi la forza di alzarsi ancora in
davvero doloroso per tante, troppe persone.
piedi per difendere la vita, la famiglia, la verità
La pandemia, con la crisi economica e sociale
e la libertà.
causata dalle restrizioni conseguenti, ha sicuramente focalizzato la nostra attenzione distraendo non poco l’opinione pubblica dalle serie minacce che aleggiano sul rispetto dei valori e sulla salvaguardia dei principi non negoziabili che servono alla verità, alla libertà di tutti, alla tutela dei bambini prima e dopo
Abbiamo una “forza speciale” cui possiamo affidare noi, le nostre famiglie e la nostra comunità: la forza della Regina della Pace che celebriamo il primo di gennaio. È a Lei, Donna e Madre, che affidiamo i nostri bambini, le nostre famiglie e anche quelli di noi che
la nascita e alla protezione delle altre persone
hanno già visto tante primavere: perché Lei
fragili, vittime sacrificali della cultura dello
«non pur soccorre a chi domanda, ma molte
scarto…
fiate liberamente al dimandar precorre»
Il mio augurio per questo nuovo anno, perciò,
(Paradiso, XXXIII).
è che ciascuno di noi possa ritrovare la pace e
Quindi, per questo 2021, auguro a tutti voi un
la serenità necessarie per non lasciarsi andare,
mondo di bene spirituale e materiale.
Toni Brandi
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Sommario 3
Editoriale
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Lo sapevi che...
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Dillo @ Pro Vita & Famiglia
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Versi per la vita Silvio Ghielmi
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La cultura della vita e della famiglia in azione Mirko Ciminiello
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Senza relazioni si muore p. 15
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La maternità di Maria
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Suor Maria Gabriella Iannelli
Senza relazioni si muore
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Roberto Marchesini
“Fidanzate” di papà
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Teresa Moro
Il giorno di festa
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Claudio Vergamini
Un’altra scuola è possibile
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Giulia Tanel
Una scuola davvero controcorrente
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Jacopo Coghe
Uccide più il Covid o la fame?
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a cura della Redazione
Dall’eugenetica razzista all’aborto
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a cura di Claudio Forti
Aborto, pedofilia e laicità
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Editore Pro Vita & Famiglia Onlus Sede legale: via Manzoni, 28C 00185 Roma (RM) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio 3 39040 Salorno (BZ) www.provitaefamiglia.it Cell. 377.4606227 Direttore responsabile Toni Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Progetto e impaginazione grafica Co.Art s.r.l.
Francesca Romana Poleggi
Viktor Frankl e la ricerca di senso
RIVISTA MENSILE N. 92 — Anno IX Gennaio 2021
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Tipografia
Angela Pappalardo Distribuzione Caliari Legatoria
In cineteca
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In biblioteca
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Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Mirko Ciminiello, Jacopo Coghe, Claudio Forti, Silvio Ghielmi, Suor Maria Gabriella Iannelli, Roberto Marchesini, Teresa Moro, Angela Pappalardo, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel, Claudio Vergamini .
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Lo sapevi che... Non esiste “sesso sicuro” per i minori Il Vermont è recentemente diventato il primo Stato federato in Usa a imporre in tutte le scuole medie e superiori pubbliche la distribuzione di preservativi gratuiti, per ridurre le gravidanze tra le adolescenti e quindi gli aborti. La legge, però, così facendo normalizzerà e aumenterà i rapporti sessuali precoci tra gli adolescenti. Si presume che gli adolescenti siano sessualmente attivi, cosa non vera. I ragazzi di oggi sono più depressi, più ansiosi, si sentono più soli di qualsiasi generazione prima di loro. L’ultima cosa di cui hanno bisogno sono adulti che dicano loro che il sesso “senza vincoli” è una buona idea. Gli adolescenti sessualmente attivi hanno maggiori probabilità di essere depressi rispetto agli altri. È più probabile che tentino il suicidio. Due terzi dei ragazzi che hanno riferito di aver fatto sesso al liceo hanno detto ai ricercatori, in uno studio del 2000, che se ne sono pentiti. Mentre, statisticamente, quelli che si astengono dal sesso precoce hanno maggiori probabilità di andare al college. I preservativi gratuiti porteranno solo più solitudine, più isolamento e più dolore.
Rugby per donne, per sole donne Le linee guida del rugby mondiale corredate da 45 rapporti scientifici rilevano che non è né sicuro, né giusto che i giocatori trans biologicamente maschi giochino nel rugby femminile. Quando un maschio si scontra con una femmina crea un minimo del 20-30% di rischio in più di incidenti gravi alla testa e al collo. Le associazioni sportive nazionali, però, prese dalla smania dell’inclusione e dal terrore di essere accusate di “omotransfobia” ignorano le suddette linee guida. Rugby Australia, per esempio. Le sue linee guida sono emerse completamente dal nulla, dopo una consultazione segreta e a porte chiuse con esperti dell’associazione Pride Sport, senza il conforto di alcuna ricerca scientifica, e hanno presentato alle loro giocatrici il risultato come un fatto compiuto.
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No al suicidio assistito in carcere Il difensore civico del sistema carcerario canadese ha raccomandato una moratoria assoluta sulla fornitura di “morte assistita” all’interno dei penitenziari. Nel suo rapporto annuale, Ivan Zinger ha riscontrato una serie di errori, ritardi ed errata applicazione della legge nei casi verificatisi in questi ultimi due anni. Un condannato, recidivo, ma non violento, scontava una condanna a solo due anni. La decisione di negargli la libertà condizionale per un solo giorno è stata quasi
certamente la causa della sua richiesta di morte. Un secondo caso riguardava un pericoloso delinquente, malato di mente, malato terminale che però secondo l’ombudsman non era in grado di fare una libera scelta autodeterminata. Chissà: sarà forse un escamotage ipocrita per ripristinare la pena di morte in Paesi che democraticamente l’hanno abolita perché la considerano esecrabile?
Non esistono geni del transessualismo Una ricerca del team diretto dal professor Lombardo, del Primo Dipartimento di Medicina Sperimentale, del Policlinico Umberto I - Università di Roma La Sapienza, ha chiarito i dati controversi che vorrebbero una correlazione tra transessualismo e mutazioni genetiche. Dopo aver valutato il profilo ormonale e genetico di 30
transessuali di età compresa tra 24 e 39 anni (operati e non), tutti trattati con ormoni in modo efficace, hanno concluso che il disturbo di genere non sembra essere associato ad alcuna mutazione molecolare dei principali geni coinvolti nella differenziazione sessuale.
La madre non può diventare padre sull’atto di nascita del figlio Nel Regno Unito una donna trans ha perso la sua battaglia legale con la quale chiedeva di essere registrata all’anagrafe come padre di suo figlio. I giudici hanno riconosciuto prevalente il diritto del figlio di conoscere la realtà biologica della sua nascita, rispetto
al diritto del genitore di essere registrato sul certificato di nascita nel suo genere legale (diverso dal sesso biologico). La madre scornata ha detto che si rivolgerà alla Corte europea dei diritti umani a Strasburgo.
Sexy doll per pedofili Se da un po’ vengono prodotte bambole gonfiabili, per giochi erotici, con le fattezze di bambine e bambini veri (alcune di età approssimativa di cinque anni), è perché c’è domanda, sul mercato internazionale. Negli Stati Uniti è stata avanzata una proposta di legge che ne vieterebbe la vendita e il possesso, poiché incoraggiano la pedofilia. Infatti, dapprima possono essere un modo per far sfogare i pedofili in modo innocuo, ma poi le bambole di plastica non bastano più: certi impulsi vanno governati e repressi, non assecondati, secondo il National Center on Sexual Exploitation. Le bambole, che non danno alcun tipo di feedback emotivo, inoltre, aumentano anche l’insensibilità degli abusanti nei confronti dei bambini, visti sempre più come oggetti, come “merce sessuale”. Recentemente, una madre ha scoperto che un’immagine del viso di sua figlia di 8 anni era stata usata su una bambola venduta su Internet, sia da Amazon che da Wish.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Dillo @ Pro Vita & Famiglia
Cara Redazione, su una rivista di qualche tempo fa (aprile 2019) mi ha colpito l’atteggiamento egoista, estremamente possessivo, invidioso della coppia dei “genitori di intenzione”, citati a p. 35: esso è conforme al narcisismo di chi ha i soldi e può spenderne tanti per soddisfare il desiderio frustrato di una gravidanza normale. Ma perché la sterilità di coppia è in aumento? Ci si decide a concepire un figlio in tarda età perché prima la coppia vuole fare carriera, vuole essere “libera”, vuole “divertirsi”, vuole “sperimentare” ed altri verbi idioti, che coprono la realtà di forme di libertinaggio, che necessitano il ricorso a sistemi contraccettivi. Questi possono alterare la funzione riproduttiva, o addirittura sfociano in uno o più procurati aborti, che, oltre a provocare alterazioni psichiche ed ormonali, rovinano sicuramente la struttura uterina. Infine la coppia (o la donna) ad età avanzata rispetto alla fisiologia riproduttiva “deve ricorrere” a sistemi artificiali eticamente e praticamente dannosi. Una società ben costruita dovrebbe educare convenientemente la gioventù, favorire la formazione di famiglie regolari ad età ragionevole (corsi di studio non prolissi, lavoro adeguato), sostenere economicamente le famiglie lasciando alle medesime quelle disponibilità economiche che vengono invece assorbite dallo statalismo e dirottate ad istituzioni che sottraggono i bambini ai genitori (a cominciare dagli asili nido). La legislazione dovrebbe rafforzare il sano vincolo coniugale e familiare anziché favorirne la disgregazione (e fornire poi supporto di psicologi, anch’essi pagati con i soldi sottratti alle famiglie). Leo
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Versi per la vita LIBERA SCELTA Libera scelta, pessimo andamento e infine illimitato nocumento. Tempo ci fu di onore o d’indecenza, poi sopravvenne libera licenza a cui supplì sconsiderata legge secondo volontà di chi ci regge. Fosse pure una tragedia enorme ci basta l’osservar le norme. E, per esempio, non è più un dramma quell’evitar di diventare mamma, facendo un omicidio con i guanti, dicendo che è un banale andare avanti. Anche se invece, è proprio andare indietro, verso un futuro ignominioso e tetro.
SILVIO GHIELMI classe 1926, laureato in chimica a Milano, Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa della verità e della vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
La cultura della vita e della famiglia in azione a cura di Mirko Ciminiello Questo spazio è dedicato ad alcune tra le principali attività svolte dai circoli di Pro Vita & Famiglia a ottobre e novembre 2020. Siamo grati a tutti i volontari che si sono prodigati per trasformare “la cultura della vita e della famiglia in azione”.
Il 2 ottobre, a Lavena Ponte Tresa (VA), abbiamo patrocinato e distribuito materiale al convegno Autodeterminazione: anticamera dell’eutanasia, organizzato dai Giuristi per la Vita. Relatore Gianfranco Amato, con don Aurelio Pagani, parroco di Lavena Ponte Tresa. Ancora il 2 ottobre, a Roseto degli Abruzzi (TE), Jacopo Coghe ha partecipato al convegno Ddl Zan: Rischi e derive di una legge inutile e liberticida. Tra i relatori, oltre a politici e amministratori degli enti locali, la senatrice Isabella Rauti, responsabile nazionale del Dipartimento
Roma, 17 ottobre 2020
pari opportunità, famiglia e valori non negoziabili di Fratelli d’Italia. Il 3 ottobre, a Roma, PVF ha presentato, al Teatro Sala Raffaello, lo spettacolo Petali di spine, una commedia tragicamente comica scritta e diretta da Saverio Di Giorgio, con Saverio Di Giorgio, Monica Marini e Noemi Crespo Hellin. Il 16 ottobre, a Genova, i volontari del locale circolo di PVF hanno organizzato una manifestazione silenziosa contro la pdl Zan sull’omotransfobia. Il 17 ottobre, a Roma, manifestazione #RestiamoLiberi contro la pdl Zan, per promuovere la libertà educativa e di pensiero, e per difendere i bambini e le famiglie dalla manipolazione che arriverà anche nelle scuole. Il 20 e il 27 ottobre, sempre a Roma, abbiamo partecipato ai sit-in di protesta contro la pdl Zan organizzati da Militia Christi davanti a Montecitorio. Il 24 ottobre, a Vicenza, era prevista la partecipazione di Jacopo Coghe al convegno Dove sta andando l’Italia?, organizzato dall’Unione Movimenti Liberazione con il patrocinio di PVF,
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poi annullato in seguito al Dpcm del 18 ottobre 2020 che ha sospeso le attività convegnistiche e congressuali. I relatori hanno quindi video-registrato il proprio intervento. Altri relatori: Filippo Sciortino, presidente dell’UML; Valentino Cirivello, consulente della presidenza della Federazione Popolo Sovrano; Alessio Arusa, segretario politico di Orgoglio Partite Iva; Alicia Erazo, Alto Commissario Internazionale dei Diritti Umani CIDHU per Europa, Asia e Oceania; Pasquale Mario Bacco, medico e docente di igiene del lavoro. Sempre il 24 ottobre, a Bologna, i volontari del locale Circolo di PVF hanno allestito un banchetto per la Vita e la Famiglia, con distribuzione di materiale e raccolta firme per varie petizioni. Il 27 ottobre, a Bari, la nostra volontaria Manuela pubblica il libro Virologocrazia - Potere ai virologi assieme al giornalista Bruno Volpe e al professor Giulio Tarro. Il 3 novembre, a Ravenna, grazie al nostro volontario Simone, PVF ha organizzato, assieme all’Associazione Meter Onlus e all’Associazione Culturale San Michele Arcangelo, una campagna di sensibilizzazione sul tema degli abusi sui minori, realizzata mediante l’affissione di 200 manifesti. Il 12 novembre, a Roma, abbiamo lanciato la campagna “SOS Disabili”, una rete di associazioni e persone impegnata a far valere concretamente i diritti dei disabili, creata da PVF, dal Centro Studi Rosario Livatino e da Suor Anna Monia Alfieri, attivista per i diritti dei portatori di handicap. Queste le principali iniziative poste in essere: ▪ intervento, anche a livello politico, a Massarosa (LU), per aiutare una mamma a ottenere l’insegnante di sostegno per il figlio disabile, ▪ aiuto legale a un padre di Fano (PU), sempre per aiutarlo a ottenere
l’insegnante di sostegno, ▪ aiuto economico e legale in favore di un giovane diversamente abile di Potenza, ▪ aiuto e coordinamento con la madre di un bambino disabile di Milano, che contestualmente gestisce una rete di genitori bisognosi di aiuti su queste tematiche, ▪ aiuto e collaborazione con una giovane attivista prolife non udente, ▪ coordinamento e collaborazione con l’Associazione Ruota Libera, per monitorare altri casi di disabili o bambini disabili bisognosi di assistenza, ▪ donazione a una mamma di tre figli, di nuovo in dolce attesa, il cui primogenito è affetto da encefalopatia mitocondriale. Il 13 novembre, sempre a Roma, Jacopo Coghe è intervenuto all’evento Ddl Zan: reprimere in nome dei diritti, organizzato dal Centro Studi Machiavelli. Altri relatori: Luca Marcolivio, giornalista; Simone Pillon, senatore della Lega; Daniele Scalea, presidente del Centro Studi Machiavelli. Il 15 novembre, a Milano, i volontari di PVF hanno manifestato di nuovo contro la pdl Zan sull’omotransfobia nell’ambito della campagna #RestiamoLiberi. Il 16 novembre, a Pistoia, la nostra volontaria Maria Teresa ha denunciato i percorsi formativi de “Le Chiavi della città”, alcuni affidati alla associazione “IREOS - Comunità queer autogestita“, che con il pretesto del contrasto alle discriminazioni e al bullismo puntano a introdurre il gender nelle scuole toscane. Sempre il 16 novembre, a Roma, un gruppo di associazioni pro-life e pro-family, tra cui PVF, ha presentato un appello al presidente della repubblica Sergio Mattarella, al presidente del senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e al presidente del consiglio Giuseppe Conte affinché la legge di bilancio riconosca l’educazione come priorità.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
La Madre delle madri Suor Maria Gabriella Iannelli
Abbiamo da poco vissuto la gioia del Natale, di Dio che si fa Bambino: in questi giorni festeggiamo l’Epifania, che nella tradizione orientale è un’altra grande festa mariana. Questa riflessione di una Suora Francescana dell’Immacolata è perciò un gradito regalo per noi e per tutti voi, cari Lettori.
Maria santissima è la Madre di Dio e la Madre nostra, la Madre del Verbo incarnato e la Madre universale, è la Madre per eccellenza, la Madre delle madri. Se la verginità è la virtù che rifulge in Lei in maniera abbagliante e la sponsalità è uno dei suoi misteri più sublimi, la maternità, si potrebbe dire, è la sua identità, ciò che le è più connaturale e che la identifica: quando si pensa alla Madonna, ciò che viene subito alla mente è la sua materna dolcezza, il suo amore di mamma. La Madre è colei che dona la vita: Maria è la madre di Gesù in quanto gli ha donato la vita fisica come uomo, è madre nostra in quanto ci ha donato la vita soprannaturale in qualità di corredentrice, con il parto doloroso del Calvario, con il quale, come afferma la Lumen gentium «è divenuta per noi Madre nell’ordine della grazia» (n. 61). Essendo Madre di Dio, Maria è madre a misura di Dio, vale a dire degna Madre del Dio incarnato. L’oggetto dell’ineffabile amore materno di Maria è stato anzitutto Gesù, a cominciare dal momento dell’Incarnazione;
appena Maria ha sentito nascere in sé la vita del Figlio divino ha cominciato ad amarlo con tenerezza materna e amore adorante, sia in quanto figlio suo, sia in quanto Dio. Tra Lei, la madre, e Gesù, il figlio, si è creata subito un’unione strettissima, dolcissima, indissolubile: non erano più due, ma uno, viventi l’uno nell’altro di un’unica vita. Ogni mamma avverte nel proprio grembo la vita del figlio, e ancor più, ogni figlio vive della vita di colei che lo porta nel grembo, del suo nutrimento, delle sue emozioni, delle sue ansie, dei suoi dolori e delle sue gioie, tant’è che il periodo della gestazione è di fondamentale importanza nella formazione fisica e psicologica del piccolo, che risentirà di tutto ciò che la mamma vive e gli comunica. Se tale è il legame che unisce ogni mamma e figlio, quale legame si instaurò tra Maria e Gesù durante quei nove mesi di gestazione? Tra loro non vi era solo un semplice legame fisico e psicologico, ma un’unione tutta spirituale e divina, non solo perché erano due persone
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entrambe dotate di ragione, ma perché l’una era il Figlio di Dio e l’altra era l’Immacolata predestinata dall’eternità ad essere la Madre divina, piena di grazia e di amore. Tra loro vi era uno scambio reciproco: Maria trasmetteva al Figlio la sua vita fisica, il suo sangue, il suo nutrimento, il suo amore, la sua pace, la sua gioia interiore; il Figlio donava alla Madre la ricchezza della sua vita divina, con le sue virtù e le sue perfezioni, attraverso l’azione vivificante dello Spirito Santo. Se ogni buona madre vive tutta in funzione del figlio, lo copre di baci, di carezze e di attenzioni, cosa sarà stata Maria per Gesù Bambino, dopo averlo dato alla luce? È bello pensare alla Madonna che stringe al cuore Gesù, imprimendo sulla sua guancia caldi baci, che allatta al suo seno verginale il piccolo Gesù e lascia che egli si addormenti sul suo Cuore... Maria era una madre perfetta, una madre secondo il disegno di Dio, una madre che rispondeva perfettamente all’ideale di maternità così come è nel disegno di Dio.
Fin dal III-IV secolo, le icone della Natività bizantine - e poi russe - come questa della scuola di Rublev (1410-1430), conservata presso la Galleria Tretjakov di Mosca, erano un “libro”, leggibile anche dagli analfabeti, che riassumeva la storia della salvezza con al centro il mistero dell’Incarnazione e il «sì» di Maria, la Theotokos, la Madre di Dio. Il Bambino è posto in una culla che sembra un sarcofago è «la luce che splende nelle tenebre» (Gv 1,5), avvolto nelle fasce che saranno segno del risorto per le donne, per Pietro e per Giovanni davanti al sepolcro vuoto. Si pone come cibo per il bue e l’asino che rappresentano tutta l’umanità. La madre di Dio è distesa su di un manto rosso fuoco, simbolo del sangue, della vita e dell’amore divino. Guarda verso di noi. Il suo grembo è nello stesso asse di simmetria della stella e del bambino perché diventata Madre di Dio, è diventata Madre di tutti gli uomini. Le tre stelle sul suo manto sono simbolo della sua verginità prima, durante e dopo il parto.
La donna moderna, alla luce della maternità di Maria, dovrebbe riscoprire innanzitutto il valore della maternità come dono di Dio da accogliere sempre con la più profonda gratitudine, ben lungi dal considerarla, come spesso avviene davanti ad una maternità indesiderata, una “disgrazia”, un “peso insostenibile”, un “limite” alla possibilità di affermazione e successo personale... Quale capovolgimento di valori! Nella maternità dell’Immacolata ogni donna può trovare un modello stupendo di come essere madre: una madre che accoglie con amore la vita che nasce nel proprio grembo, che alimenta questa vita non solo col proprio sangue, ma con l’amore, la gioia dell’attesa, il calore della bontà materna. Ella è la stella luminosa che può illuminare e guidare ogni mamma nello svolgere questa alta e sempre più difficile “vocazione”. In questo periodo natalizio che porta incastonata, all’inizio del nuovo anno, la dolce festa della Madre di Dio, vogliamo contemplare Maria proprio come la Madre delle madri, modello per ogni mamma, e vogliamo pregarla perché aiuti la donna di oggi a vivere il prezioso dono della maternità.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
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La cultura della vita x 1 000 e della famiglia in azione a Pro Vita e Famiglia Dona il tuo
CODICE FISCALE DEL BENEFICIARIO
94040860226
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Senza relazioni si muore Roberto Marchesini
Siamo «animali sociali». Ecco perché le distanze che il Covid-19 impone non sono naturali e, anzi, rischiano di creare molti danni, soprattutto nei bambini e nei giovani.
L’uomo, ha scritto Aristotele (384 o 383 a.C.-322 a.C.), è un animale sociale. Significa che il suo ambiente naturale è fatto di relazioni. È vero che, ai nostri tempi, lo stagirita non gode di buona stampa; tuttavia, credo che avesse ragione. Una conferma ce la dà una cronaca medievale, quella di fra Salimbene da Parma (1221-1288), cronista dell’ordine dei francescani. Il suo lavoro è un’importante fonte di informazioni su quegli anni e sui loro protagonisti. Ad esempio, su Federico II di Svevia (1194-1250), lo stupor mundi. Volendo egli conoscere - così narra la cronaca - quale fosse la lingua originaria dell’uomo, prima che intervenga chiunque ad insegnarne un’altra, prese dei neonati e li rinchiuse in un’alta torre. Poi ordinò a delle balie di nutrire e pulire quotidianamente quei bambini; senza, tuttavia, parlare, cantare o avere nei loro confronti alcun gesto di affetto. Fra Salimbene ci dice che quei bambini (accuditi per quanto riguarda i bisogni biologici) morirono tutti. Come si può, direte voi, credere ad una cronaca medievale? Ha la stessa attendibilità di un bestiario illustrato… Bene, allora prendiamo in considerazione il lavoro del dottor Luther Emmett Holt (1855-1924), fondatore e presidente (per due volte) dell’American Pediatric Association, medico di chiara fama e inventore della cartella clinica. Incidentalmente era anche un eugenetista e lavorò per la Rockefeller Foundation, ma non è
«Con la distanza non stiamo facendo un favore ai nostri bambini»
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Notizie Pro Vita & Famiglia
questo il punto. Il punto è che, in un suo libro del 1894, teorizzò come buona prassi l’evitare qualunque gesto di affetto nei confronti dei bambini. Bene. Qualcuno ha notato che, nei primi anni del Novecento, la mortalità infantile in alcuni orfanotrofi statunitensi si impennò bruscamente. Sì, a quei tempi la mortalità infantile era alta; ma in quegli anni, in alcuni orfanotrofi, rasentava il 100% prima del compimento del primo anno d’età! Eppure, quegli orfanotrofi erano puliti, riscaldati, i bambini nutriti… Indovinate? Esatto: erano proprio gli orfanotrofi della East Coast, più ricchi e avanzati, quelli che avevano adottato le indicazioni del dottor Holt, ad avere quella mortalità assoluta. Così, tra i grandi luminari della pediatria, cominciò a farsi strada l’ipotesi che i bambini avessero bisogno di contatto fisico, di socialità, in una parola: di amore. Lo psicologo Harry Harlow (1905-1981) ideò un esperimento; piuttosto crudele, per la verità. Sottrasse alle loro madri alcune piccole scimmiette di Rhesus, appena nate. Tutti i cuccioli svilupparono comportamenti autistici. Allora decise di fornire a queste povere bestie una madre surrogata, anzi: due. Una era un pupazzo con un biberon, in grado quindi di fornire cibo; l’altra era coperta di un morbido panno. Le scimmiette passavano il tempo aggrappati alla “madre” morbida; si recavano da quella in grado di allattare solo il tempo necessario per nutrirsi. Quindi, a quanto pare, aveva ragione Aristotele; a maggior ragione se si parla di bambini. Una spiegazione di questo fenomeno ce la fornisce lo psicoanalista Jacques Lacan (1901-1981). Nel 1936, Lacan teorizzò la celebre «fase dello specchio». Consiste in quella fase della vita del bambino nella quale egli, guardandosi allo specchio, si riconosce e giubila. Secondo Lacan, la gioia del bambino è dovuta al riconoscersi come un insieme strutturato e dotato di senso; in altri termini, una persona. Il pediatra Donald Winnicott (1896-1971) approfondì questo concetto sovrapponendo lo specchio alla figura materna: è attraverso lo sguardo della madre che il bambino si percepisce non come un caos, ma come un essere umano degno di accudimento e di amore. Nel mio piccolo, anche io posso confermare l’importanza dell’accudimento primario nella crescita del bambino. Durante
«I bambini hanno bisogno di contatto, di carezze, di coccole. Hanno bisogno di vicinanza sociale, mentre noi stiamo dando loro distanza a-sociale»
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gli anni di lavoro presso i servizi sociali ho avuto la fortuna (professionale) e sfortuna (personale) di incontrare dei bambini ai quali non erano state fornite adeguate cura parentali durante i primi mesi di vita. Bene, la sensazione che avevo al cospetto di questi bambini era la stessa descritta da Bruno Bettelheim (1903-1990) nel suo libro dedicato all’autismo e intitolato La fortezza vuota. Cioè la sensazione di trovarsi davanti a un essere umano al quale manca un “io”, un centro. Forse è il bambino-caos precedente la fase dello specchio di Lacan. Insomma, tutta questa pappardella per dire una cosa che dovrebbe essere chiara come il sole di luglio: i bambini hanno bisogno di contatto, di carezze, di coccole. Hanno bisogno di vicinanza sociale, mentre noi stiamo dando loro distanza a-sociale. Mi perdonerete se non uso il neologismo “distanziamento”, ma l’italiano ha già una parola per indicare la distanza (ed è “distanza”). Invece di dare loro un ambiente accogliente, diamo loro un ambiente spoglio. Invece di contatto e rassicurazione, diamo loro distanza e solitudine. Vietata la prossimità e la solidarietà, considerato che non è possibile passarsi la penna o scambiarsi la merendina. Cos’altro? Ah, sì: la maestra (che dovrebbe essere una vice-mamma) non passa nemmeno tra i banchi. L’altro non è fonte di gioia, sicurezza, calore e rassicurazione: è fonte di pericolo, malattia, morte. E la cosa più assurda è che, una volta usciti di scuola, tutte queste regole non ci sono più: possono (grazie a Dio) giocare, fare gruppo, stare vicini. Che senso ha tutto questo? D’accordo, non è tutto chiaro, a proposito di questa epidemia: ci sono molti punti oscuri che ne riguardano anche la gestione. Una cosa, però, mi sembra abbastanza chiara: non stiamo facendo un favore ai nostri bambini. Il 25 novembre scorso, su La Nuova Bussola Quotidiana, ho esposto i dati relativi ai danni prodotti dalla didattica a distanza: stiamo assistendo a qualcosa che, così mi pare, non ha precedenti né pari nella storia dell’umanità. Però possiamo ipotizzare che non ne verrà nulla di buono. Forse stiamo preparando quella che tutti i media chiamano «la nuova normalità» e che ancora non abbiamo ben chiaro come sia. Una cosa, però, la possiamo ipotizzare: non sarà nulla di buono.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
“Fidanzate” di papà Teresa Moro
La chiave delle relazioni future sta nel legame padre-figlia
Il sentire comune lo afferma da tempo: il legame che c’è tra un padre e una figlia è spesso molto forte e importante, come d’altronde si sostiene esserlo quello tra una mamma e un figlio. Una questione, questa, oramai avvalorata anche dalla scienza, la quale per esempio - scrive il professor Timothy Rarick su Institute for Family Studies - riconosce che «i padri hanno un profondo impatto sull’immagine corporea delle loro figlie, sulla depressione clinica, sui disturbi alimentari, sulla loro autostima e soddisfazione di vita», etc. Tuttavia, in tutto questo c’è un aspetto ancora poco studiato, nonostante il suo impatto sui singoli e sulla società nel suo complesso: il fatto che la relazione padre-figlia risulta essere determinante anche nelle scelte che le giovani donne fanno a livello di sessualità e di relazioni sentimentali.
«La relazione padre-figlia è determinante nelle scelte delle giovani donne a livello di sessualità e di relazioni sentimentali»
In quali termini? Beh, dagli studi emerge che le giovani che hanno potuto godere di una sana relazione paterna - ancora più se fondata su una comunicazione aperta, su un clima di fiducia e su un bilanciato contatto anche fisico - mostrano di avere una sorta di protezione rispetto a una iniziazione
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sessuale precoce, a comportamenti sessuali rischiosi, a gravidanze non desiderate e a violenze negli appuntamenti. «Purtroppo», afferma ancora Rarick, «molte ragazze adolescenti nel nostro mondo occidentale iper-sessualizzato oggi si trovano in una tragica situazione. Le condizioni nella nostra cultura di sfrenata mancanza di padri e di promiscuità sessuale sono incompatibili con la formazione di relazioni sicure e sane con i ragazzi, nonché con la creazione di famiglie stabili per la generazione successiva. Lo sviluppo sessuale di una giovane può superare in modo significativo il suo sviluppo neurologico ed emotivo, che invece è necessario per guidare le sue scelte sessuali». In sintesi, dunque, a beneficio dei singoli e dell’intera società, bisognerebbe fare in modo di favorire un solido attaccamento e una sana intimità tra i padri e le figlie, le quali è bene che passino anche attraverso la fase in cui la
figura paterna diventa il loro “primo amore”. Questo appunto perché, come riassunto in una frase dalla docente Linda Nielsen: «Il padre ha un impatto maggiore sulla capacità della figlia di fidarsi, divertirsi e relazionarsi bene con i maschi nella sua vita». O, detto in altri termini da Rarick: «Il modo in cui un padre tratta sia sua figlia, sia la madre della figlia può aiutare una giovane donna a sentirsi al sicuro nei suoi rapporti con i ragazzi e gli uomini della sua vita, compreso il suo futuro marito. […] La relazione padre-figlia è quella che insegna meglio alle giovani donne il vero amore e l’intimità, l’autostima e il rispetto». Ecco quindi un altro tassello da curare nell’ottica di dare vita a un futuro migliore: non solo rimettere al centro l’importanza della figura paterna in quanto portatrice di regole e di slancio verso il mondo, ma anche in qualità di costruttore di sane, solide e generative relazioni future.
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Il giorno della festa In quest’anno così particolare, ci piace pubblicare questa testimonianza: una famiglia presente, i legami di sangue, hanno una forza tangibile, che non va sottovalutata.
Claudio Vergamini I giorni di festa sono occasioni che ci riservano varie opportunità, anche per poter riflettere sulla nostra esistenza. Ricordo quando andavo all’ospedale per attendere che mio padre terminasse la fisioterapia per poterlo far uscire, grazie al permesso concessogli dalla struttura: nella camera vuota, e con i silenzi spesso interrotti dalle voci dei pazienti e delle infermiere, non potevo fare a meno di pensare a cosa può rappresentare la domenica, giorno di festa, occasione per potersi ritrovare con i propri cari, o con amici, e passare insieme una giornata. Si sta perdendo il senso sacrale della domenica. La pandemia ha peggiorato la situazione rendendoci tutti un po’ più soli. C’è addirittura chi pensa che ritrovarsi in famiglia sia solo ipocrisia, un modo di far finta di vedere volentieri gente che si detesta, e quindi, al massimo, apprezza il fatto di non dover fare l’alzataccia per andare al lavoro: opinione che decisamente non condivido. Io credo che sia sempre molto bello, ogni tanto, fermarsi ed interrompere il tran tran, stare insieme alle persone care e rendere una giornata speciale, anche se di lì a poche ore ci si dovrà congedare, ed ognuno tornerà alla propria vita. Ritrovarsi tutti, anche se a volte si fa finta di essere felici, rappresenta, secondo me, qualcosa di cui, chi più chi meno, tutti abbiamo bisogno, ne sentiamo il fascino, e nessuno, in fondo in fondo, vuole mai farne a meno. Chissà quanto apprezzerebbero una bella giornata speciale quegli ospiti della clinica dove era mio padre che non avevano un familiare lì ad aspettarli per portarli con sé: ho visto quanto dolore c’era negli occhi di chi sapeva che nessuno li sarebbe andati a salutare e a dire loro: «Dai che ci stanno aspettando» e che la “giornata speciale” l’avrebbero trascorsa lì, tra quei corridoi, più silenziosi del solito, come silenziose erano le loro camere, con il
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tempo che non passa mai, con la luce gioiosa della mattina che lascia il posto a quella meno gioiosa del pomeriggio, e poi alla tristezza del tramonto e della sera, che porta il buio e appesantisce ulteriormente una giornata passata in solitudine. Chissà quanto avrebbe voluto passare una giornata particolare quella donna anziana che, quando stavo prendendo l’ascensore con mio padre, ci chiamò e dopo averci salutati ci disse: «Io ho 4 figlie femmine, e nessuna viene oggi. Io starò qui da sola. Non si fa così». Non ho potuto fare a meno di ripensare a mia mamma, alle domeniche e ai giorni di festa trascorsi sempre in famiglia e con amici, ai suoi ultimi giorni con almeno uno dei suoi cari accanto a lei, con tutta la sua famiglia accanto nelle sue ultime ore. Chissà quanto sarebbe stato bello averla ancora qui, seduta al tavolo con noi, anche senza speciali parole, ma solo con quella atmosfera tipica delle nostre belle feste, patrimonio della nostra cultura che non dobbiamo mai sottovalutare né dimenticare. I nostri cari, i nostri familiari, anche se non sono perfetti, anche se ce ne combinano qualcuna ogni tanto, anche se ci fanno arrabbiare, sono poi quelli di cui veramente abbiamo bisogno. Loro ci saranno sempre: la famiglia è un punto fisso di riferimento. I legami familiari non sono meteore come, invece, purtroppo, tante amicizie, che sembrano belle e profonde, ma si rivelano fuochi di paglia. Senza un legame di sangue ad unirci, purtroppo svaniscono, e restano solo nell’album dei ricordi. Pensiamoci sempre, non dimentichiamo mai il valore del calore della famiglia, soprattutto quando si inneggia alla “indipendenza”, si reclama il bisogno “dei propri spazi”, della “autonomia” e ci si fa sedurre dal mito del “vivere soli”. Ripenso sempre al dolore di quei pazienti che, arrivata la domenica, avevano sì “i loro spazi”, la loro “autonomia”, ma ne avrebbero fatto volentieri a meno.
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Un’altra scuola è possibile Giulia Tanel
La pandemia in atto ha portato alla ribalta un dato noto da tempo, ma spesso ignorato, a dispetto della sua importanza: la scuola italiana è in crisi. Tuttavia, le alternative ci sono.
Scuola pubblica, scuola paritaria, scuola parentale, homeschooling… le possibilità per educare e istruire le giovani generazioni sono diverse. Dobbiamo a questo periodo storico di forte crisi, a vari livelli, il merito di averle rimesse al centro della discussione, assieme al fondamentale tema della responsabilità genitoriale. Il panorama è tuttavia complesso e di difficile lettura per chi non è addentro a questa questione: per fare chiarezza, quindi, abbiamo contattato Stefano Fontana, direttore del Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa, rivista trimestrale dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân. Dottor Fontana, in questo ultimo periodo, anche in relazione all’emergenza sanitaria in atto, vediamo un considerevole aumento di genitori che decidono di non mandare i propri figli “a scuola”, bensì che optano per l’homeschooling o che si riuniscono con altre famiglie per dare vita a una scuola parentale. Come legge questo fenomeno?
«Lo leggo positivamente. È un fenomeno promettente, ma nello stesso tempo devo notare che può essere dettato da motivi contingenti. Ritengo che l’occasione vada sfruttata per rafforzare le motivazioni e permettere quindi al fenomeno di avere una consistenza e una durata che vada ben oltre l’emergenza. Le difficoltà legate al Covid e ai ritardi della scuola di Stato sono il motivo pressante al momento; la critica allo statalismo nell’educazione e il recupero dei motivi fondanti la responsabilità educativa dei genitori permetteranno di proseguire anche se in futuro l’emergenza Covid dovesse (ammesso e non concesso) finire». Alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, il diritto/dovere dei genitori di educare i propri figli non può essere disgiunto dal diritto/dovere “sopraeminente” della Chiesa di educare. Cosa significa? «Vediamo prima di tutto il rapporto tra il diritto dei genitori a educare i propri figli e il loro
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dovere di farlo. Cominciamo dal diritto. I figli sono dei genitori e non dello Stato, si dice giustamente. Questo principio vale perché è il diritto naturale a dirci che la procreazione dei figli continua con l’educazione, sicché i genitori che li hanno procreati sono per natura anche i primi responsabili di quella “seconda nascita” che si fa con l’educazione. La famiglia - come insegna già la Rerum novarum - è una società vera che precede lo Stato e ha quindi compiti propri nei cui confronti eventualmente lo Stato deve essere sussidiario. Il diritto dei genitori, però, non si fonda su se stesso, perché il diritto naturale non dà ai genitori il diritto di educare i figli in qualsiasi modo essi vogliano, ma per il loro bene morale e religioso, in modo che raggiungano il loro fine naturale e soprannaturale. Il punto decisivo è quindi questo: il diritto è fondato sul dovere, e il dovere naturale è fondato sul dovere soprannaturale. Non i genitori e meno che meno lo Stato, ma la Chiesa ha il primordiale dovere/diritto pubblico di educare. Pio XI nell’enciclica Divini illius Magistri parlava di un dovere/diritto “sopraeminente” della Chiesa». Quindi, dei genitori che oggi decidessero di dare vita a una scuola parentale o di fare homeschooling in ottica cattolica, quali punti fermi dovrebbero considerare imprescindibili? «Dovrebbero secondo me non pensare solo di esercitare un diritto, magari appellandosi alla Costituzione, ma andare al dovere che ne sta alla base e al suo fondamento ultimo che è Dio. In altre parole dovrebbero pensare che attraverso la loro azione di educatori è la Chiesa stessa che si riappropria di una sua funzione essenziale che la secolarizzazione le ha sottratto. La Chiesa esercita una “maternità soprannaturale” che le assegna un compito educativo pubblico essenziale. Pubblico, non privato e nemmeno come espressione di una agenzia sociale. So bene che oggi la Chiesa stessa non la pensa più così e che i vescovi spagnoli - per fare un esempio recente - hanno chiesto allo Stato di inserire la religione cattolica nella materia della educazione ai valori. Ma ormai capita spesso che i laici cattolici debbano fare scelte per la Chiesa anche se non hanno il sostegno ecclesiastico».
Stefano Fontana
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Tuttavia, ancora oggi, per molti, la scolarizzazione promossa dallo Stato rimane l’unica via percorribile. Quali sono i principali limiti di questa visione? E quali quelli della scuola di Stato in sé? «Purtroppo la mentalità comune è che all’educazione deve provvedere lo Stato. Oggi consegniamo allo Stato i nostri figli dall’asilo nido all’università senza nemmeno chiedere cosa esso ne voglia fare. Si pensa che l’educazione sia buona in quanto statale, e statale in quanto pubblica. Come mai la massa la pensa così? Perché da quando, due secoli fa, lo Stato sottrasse alla Chiesa l’educazione si è formato un centralismo statale in molti campi, e non solo in quello educativo, per cui i cittadini sono abituati al fatto che le leggi, il fisco, l’assistenza al disagio, la sanità e così via siano servizi in capo allo Stato. Ma non è sempre stato così e non è giusto che sia così. Lo Stato è a servizio della comunità politica, la quale viene prima dello Stato ed è articolata al proprio interno in società naturali come la famiglia, in corpi sociali intermedi, in comunità territoriali che hanno il dovere di operare in prima persona per il loro bene comune e non devono essere sostituiti, semmai aiutati a farlo, dallo Stato». A inizio ottobre, dalla Francia, è arrivata la notizia che il presidente Emmanuel Macron sarebbe intenzionato a vietare le scuole parentali e l’homeschooling. In molti hanno commentato soffermandosi sul venir meno della libertà di scelta dei genitori: condivide questa posizione o la trova lacunosa? «La valutazione è giusta ma non completa. Facciamo un esempio. Ammettiamo che in una classe la volontà dei genitori sia di lasciare le cose in mano allo Stato: anche in questo caso sarebbe rispettata la libertà educativa. Oppure poniamo il caso che la volontà dei genitori sia di avere insegnamenti sistematici di omosessualismo e gender in
«Lo Stato è a servizio della comunità politica, la quale viene prima dello Stato ed è articolata al proprio interno in società naturali come la famiglia, e altri corpi intermedi. Questi hanno il dovere di operare liberamente per il loro bene comune e non devono essere prevaricati, ma semmai aiutati, dallo Stato»
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aula. In questi casi la libertà dei genitori esprimerebbe un astratto diritto non radicato in un dovere, che è di educare i figli non in qualsiasi modo ma secondo la morale naturale, la retta ragione e la vera religione. Come non è sovrano lo Stato in campo educativo, non lo sono nemmeno i genitori. Certo hanno una priorità verso lo Stato, ma non un diritto assoluto di fare quello che vogliono dei figli. Si vede qui la differenza tra un diritto dei genitori inteso in senso liberale, ossia senza limiti, e un diritto inteso nel senso dell’etica naturale e della visione cattolica, vale a dire come conseguente a un dovere». Ad ogni modo, la realtà rimanda a un dato di fatto: per motivi contingenti (che siano i vaccini, il gender, o altro), ma anche per non venir meno alla propria responsabilità, oggi i genitori si trovano di fronte a un compito molto impegnativo. Dove possono trovare le risorse per non soccombere? «A sentire più di tutti questo problema sono i genitori cattolici, perché la fede ha la capacità straordinaria di svegliare anche la ragione. Partire con esperienze di scuola parentale o homeschooling è oneroso, perché tutta l’organizzazione della società e del lavoro dei coniugi rema contro. Inoltre, il potere politico o mette i bastoni tra le ruote oppure addirittura vieta questi fenomeni. Anche le democrazie conoscono forme di dittatura. A ciò bisogna aggiungere che la Chiesa di oggi non ci crede, anzi ostacola questi fenomeni. La teologia pastorale di oggi rifiuta l’etichetta cattolica sulle iniziative sociali perché la considera erroneamente una forma di ideologia. Nonostante queste difficoltà, però, il fenomeno è in aumento perché molti sentono la necessità di costruire delle arche nel diluvio, per la salvezza dei loro figli. Le cose più importanti sono due: andare al fondo delle motivazioni, perché nelle difficoltà solo motivazioni forti ci possono sostenere, e poi collegarsi, non solo per consigli operativi ma anche per sostenersi a vicenda nell’impresa».
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Una scuola davvero controcorrente I nostri Lettori in passato hanno avuto modo di conoscere la scuola parentale G.K. Chesterton. A distanza di anni, vogliamo parlarne di nuovo e mostrare qualche testimonianza sul loro modo di vivere la scuola, decisamente anticonformista.
La Scuola libera Chesterton segue ideali cattolici e ama la tradizione, crede nella centralità della famiglia, nella vera libertà e rifugge dal conformismo.
Jacopo Coghe
L’idea della scuola parentale è nata nell’estate del 2008. L’avvocato Marco Sermarini leggeva il grande scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton che metteva in guardia da un grande pericolo: l’omologazione per bassi standard (standardization by low standards). Condivideva con alcuni amici l’idea che bassi standard formativi, ma soprattutto bassi standard educativi sono il problema della nostra gioventù, soprattutto in questo momento in cui le famiglie e i nostri ragazzi sono sottoposti a un bombardamento mediatico-ideologico da ogni parte e su tanti fronti. Chesterton nel 1930 scriveva: «La gente è inondata, accecata, resa sorda e mentalmente paralizzata da un’alluvione di volgare e insipida esteriorità, che non lascia tempo per lo svago, il pensiero o la creazione dall’interno di sé». Nello stesso periodo papa Benedetto XVI metteva in guardia a proposito dell’«emergenza educativa» in atto. Il rimedio a tutto questo sono famiglie vive e giovani veri, educati da uomini e donne che prendono sul serio la loro vita. Perciò è nata la Scuola Libera G.K. Chesterton, che vuole dare a tutti questa opportunità. Un gruppo di famiglie ha costituito la società cooperativa sociale “Capitani Coraggiosi”, che da molti anni si occupa dell’educazione dei ragazzi attraverso doposcuola, centri ricreativi estivi, “circolini” e tante altre positive esperienze che l’hanno resa un punto di riferimento nel panorama educativo della zona intorno a San Benedetto del Tronto, nelle Marche.
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Gli insegnanti sono lieti di fare questo lavoro, che è per loro una scelta vocazionale, non un mestiere come un altro.
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Gli insegnanti sono lieti di fare questo lavoro, che è per loro una scelta vocazionale, non un mestiere come un altro. La scuola ha la sua sede a Porto d’Ascoli, in locali accoglienti e facilmente raggiungibili dai mezzi pubblici. Usufruisce anche del palazzetto dello Sport di Martinsicuro e della splendida area sportiva e agricola di Santa Lucia a San Benedetto del Tronto. Segue ideali cattolici e ama la tradizione, crede nella centralità della famiglia, nella vera libertà e rifugge dal conformismo. Nella scorsa primavera hanno dovuto anche loro ricorrere alla didattica a distanza. Quest’anno, fino al momento in cui questa Rivista è andata in stampa, sono riusciti a non chiudere, rispettando - ovviamente - tutte le regole necessarie per garantire la salute di docenti e discenti. La professoressa Bernardi fa sue le parole di Alessandro D’Avenia (Corriere.it, 14 settembre 2020):
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«La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che nascono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, fa violenza al suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Nella crisi emerge il meglio di ognuno». Il primo giorno di scuola scrivo alla lavagna queste parole che vorrei illuminassero l’anno da inaugurare e costringo i miei alunni a impararle a memoria, perché
«La gente è inondata, accecata, resa sorda e mentalmente paralizzata da un’alluvione di volgare e insipida esteriorità».
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ricordino le coordinate della rotta in ogni istante della navigazione. L’anno scorso avevo scelto Sant’Agostino: «Nutre la mente soltanto ciò che la rallegra». Quest’anno, dato il clima poco allegro, ho scelto invece le parole di un fisico che amava studiare, ma non amava la scuola: Albert Einstein. Mi sembrano perfette per affrontare la paura che ci sta paralizzando e per trasformarla in una sfida. Le soluzioni fisiche non bastano mai, servono quelle metafisiche, perché l’epicentro dei terremoti esistenziali non è in superficie: o cambiamo visione del mondo o avremo sofferto invano. La vita si ribella a schemi e strutture che le imponiamo, soprattutto se, con il passare del tempo, questi schemi e queste strutture non sono più d’aiuto, anzi sono diventate una trappola. A scuola questo è ormai più che evidente. Crisi è un termine d’origine greca, κρίσις, che, fin dall’Iliade, indicava il gesto di separare, nelle spighe, il grano dalla pula: il primo darà pane, il secondo paglia. Un pensiero acritico, cioè privo di crisi, pasticcia tutto: non riconosce la differenza tra la pula e il chicco, tra un banco e un ragazzo. Si parla da mesi dei banchi e del loro distanziamento, necessità risolvibili con un po’ di competenza e buon senso, invece questi discorsi hanno occupato, fino al ridicolo, tutto lo spazio che dovevamo impegnare a raccogliere il grano, che a scuola è ciò che siamo impegnati a far crescere: le vite di maestri e studenti. L’epidemia dell’incompetenza, di fatto, a scuola c’è da anni, effetto di un sistema sempre in ritardo e non regolato sulle persone, ma su criteri asetticamente economici e interessi politici, avallati spesso da cittadini
«La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che nascono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie».
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disinteressati. Eppure la moltitudine di regole che ci sta soffocando in queste ore segnala il centro di gravità: proteggere la vita. Quale vita è stata protetta in questi anni, a scuola, con la stessa determinazione con cui si comprano banchi e mascherine? Anche se riusciremo a non fare ammalare nessuno, riusciremo a far crescere qualcuno? Quanti studenti si spengono perché nessuno si occupa veramente di loro, mettendoli in condizioni di imparare come si deve? Ricordiamoci però che le regole servono a proteggere la vita, non bastano a dare la vita, che nasce e cresce con relazioni generative e qualità professionale. Una scuola ridotta a intrattenimento mattutino, contenitore asettico di vite, distributore di pillole per cervelli senza corpo e futuro, non è un vivaio di vocazioni ma di frustrazioni. «La scuola deve educare al pensiero critico: lo avrete sentito dire sino alla nausea. Ma se «critico» non significa rendere capaci di trovare l’essenziale, la scuola educa solo al pensiero caotico e manipolabile».
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Aggiunge la professoressa: «Così scriveva Alessandro D’Avenia il 14 settembre 2020, giorno di inizio scuola. L’elogio dello spirito critico è stato magistralmente tessuto anche da padre Cassiano lo scorso 4 ottobre, alla presenza di insegnanti e genitori, nello splendido scenario di Santa Lucia: la verità va ricercata con determinazione, così come i cani da tartufo annusano e setacciano il terreno per dissotterrare il prezioso tubero. Noi insegnanti della Scuola Chesterton ci adoperiamo quotidianamente con tenacia e fiducia per trasmettere questo fondamentale atteggiamento mentale, per fare in modo che i ragazzi siano desti e vivi».
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Queste sono le parole di un’insegnante di scienze umane:
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Mi chiamo Ilaria e sono laureata in psicologia. Ho iniziato la mia esperienza nella cooperativa Capitani Coraggiosi grazie al servizio civile. Mi sono trovata subito a mio agio con gli altri educatori: potevo esprimere i miei pensieri e i miei desideri. Ho iniziato al doposcuola, mi sono appassionata al lavoro e ho deciso di fare un corso per tutor di ragazzi Dsa, con disturbi specifici dell’apprendimento. Ho fatto la mia prima esperienza ai centri estivi per poi realizzare il mio sogno, insegnare scienze umane nella scuola parentale gestita dalla cooperativa. Sto cercando di trasmettere ai ragazzi la passione per la cultura e l’importanza dei collegamenti per rendere lo studio più interessante possibile. Ho sempre voluto insegnare, è sempre stato il mio sogno poter fare qualcosa per cambiare, anche con una semplice parola o spiegazione, la giornata dei ragazzi. Ritengo che l’insegnamento sia la forma più grande e importante per favorire un cambiamento. Grazie mille a tutti quelli che hanno creduto in me, sperando di riuscire, nel mio piccolo, a favorire un’inclinazione positiva alla vita.
Chiara, invece è un’ex alunna:
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Mi chiamo Chiara e sono un’ex alunna della Scuola Chesterton: mi sono diplomata al Liceo delle scienze umane, indirizzo Socio-economico,
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nell’anno scolastico 2018-2019. È la prima volta che mi trovo a raccontare della mia esperienza non più da studentessa Chesterton, ma oramai universitaria. Ho sempre detto che la Scuola Libera mi ha insegnato la vera gratitudine nei confronti di ciò che mi viene donato. Per capirne le ragioni devo tornare un po’ indietro nel tempo, alla fine delle scuole medie e alla scelta dell’indirizzo delle scuole superiori. Il momento in cui i migliori della classe vanno ai Licei del centro città e chi se la cava nelle scuole di periferia. Tra le tante, gli amici di mia sorella mi proposero di provare alla Chesterton. Io da ragazzina testarda, quale sono sempre stata, declinai completamente l’invito ed andai dritta per la mia strada, scegliendo uno dei tanto osannati licei statali. Con lo studio me l’ero sempre cavata piuttosto bene ed ero convinta che la Chesterton fosse una scuola per chi avesse difficoltà scolastiche. Come previsto i miei risultati a scuola continuavano ad essere positivi, mi ero fatta tanti nuovi amici e i miei genitori erano fieri di me. Nonostante tutto, crescendo iniziavo a percepire un’insofferenza nei confronti non proprio dello studio, quanto del clima che veniva imposto intorno ad esso. Non ci avevo capito molto, ma qualcosa mi stonava. Notavo una grande incoerenza tra ciò che si cercava di trasmettere attraverso le parole e ciò che si viveva a scuola, soprattutto nei rapporti. Come se passassero mesi interi a raccontarti di quanto sia bella la neve, ma quando nevica davvero non si ha tempo di giocarci un po’ perché i tempi dei programmi ministeriali sono stretti e vanno rispettati così. Sapevo che il problema non riguardava soltanto il mio Istituto, ma il sistema complessivo.
«Se è vero che dalla Chesterton si esce preparati, è ancor più vero che si esce umani».
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Non a caso, in quel periodo avevo iniziato a prendere ripetizioni di matematica al doposcuola della Cooperativa Capitani Coraggiosi. Sapevo che molti degli insegnanti che prestavano servizio per il recupero didattico erano anche professori della Scuola Chesterton. Ancora una volta non sapevo dare un nome all’intuizione che stava nascendo in me, ma mi sembrava di aver trovato l’inizio di una risposta. Così decisi di buttarmi. Durante le vacanze di Natale del mio secondo anno convinsi la mia famiglia a farmi trasferire dal liceo statale alla scuola parentale che non ha nemmeno l’insegna davanti all’edificio. Fu una piccola battaglia che vinsi. Mi sono dilungata moltissimo, ma ciò per dire che sono fiera di essermi conquistata un banco nella mia futura scuola. A poco a poco ogni mio dubbio è stato chiarito, perché capivo che avevo trovato un posto autentico dove poter crescere. Ciò che è più evidente è come l’ottima preparazione scolastica degli alunni non sia dovuta esclusivamente ad un lavoro da parte di formatori specializzati nei vari settori, ma dalla preoccupazione che i professori hanno
«Una cosa morta va con la corrente, solo una cosa viva può andarvi contro».
e dall’amore nel far crescere umanamente ogni singolo ragazzo che incontrano. Se è vero che dalla Chesterton si esce preparati, è ancor più vero che si esce umani. Si respira un'aria di familiarità tra i banchi che mi ha permesso realmente di maturare il mio sguardo nei confronti della realtà. È proprio vero che nella Scuola Libera si torna bambini, perchè si riscopre la meraviglia nella quotidianità, e persino la tanto odiata matematica era diventata un piacere. È nata una grande amicizia con tutti i professori e con gli altri studenti, che tutt’ora sono i miei amici più stretti. Ed è proprio di tutto questo che sono grata. Riconosco e sottolineo che la Scuola Libera G.K.Chesterton è un dono tanto grande e bello che deve essere custodito e coltivato ogni giorno. Io voglio bene alla Scuola infinitamente e sono pronta a servirla. Credo si sia capito, ma lo dico di nuovo, la consiglierei a tutti!
”
Maddalena è attualmente sui banchi di scuola, in terzo superiore:
“
Mi chiamo Maddalena e frequento da
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diversi anni la scuola Chesterton! Quello appena iniziato è il sesto! Sono arrivata qui in prima media e già conoscevo qualcuno della mia classe ma questa bella realtà, che ora mi è familiare, allora mi era sconosciuta. Dei tre anni alle medie ho un ricordo davvero bellissimo: mi sono subito trovata bene sia con i professori che con i miei compagni di classe. «Una cosa morta va con la corrente, solo una cosa viva può andarvi contro»: questa frase dello scrittore e giornalista britannico Chesterton direi che costituisce l’identità della nostra scuola che mi ha subito affascinato perché mi sono resa conto che venivano messi al centro valori importanti, da me pienamente condivisi. La nostra scuola ha meno alunni rispetto alle altre ma proprio questo mi ha permesso, e mi permette tutt’ora, di conoscere e relazionarmi, in un ambiente sereno, anche con persone più grandi e di classi differenti. Quando ero in prima media i più grandi si occupavano di noi appena arrivati, informandosi sul nostro rendimento scolastico ma anche della nostra vita in generale e questo per noi costituiva una sorta di sicurezza perché non ci sentivamo soli nel percorso che stavamo facendo. Poi è arrivato il momento di scegliere
la scuola superiore e devo dire che per me non è stato semplicissimo. Mia madre, in cuor suo, avrebbe voluto che io andassi al liceo classico e anche io sono stata tentata nel farlo ma alla fine ho deciso di rimanere qui. Ho fatto questa scelta per gli stessi motivi che mi colpiscono tutt’ora: l’ambiente sereno, gli amici, i professori ma soprattutto il condividere la mia vita e i miei ideali con persone a cui voglio bene. Per me, la scuola è una specie di seconda famiglia, dove mi sento libera di esprimere qualsiasi mio pensiero, idea, proprio come se stessi a casa. Sin da subito qualcuno ha visto in me qualcosa di bello che forse anche io facevo fatica a vedere, mi sono sentita importante e amata. Questo percorso mi ha aiutato a crescere anche su alcuni lati del mio carattere. Infatti sono sempre stata una persona introversa e, in parte, lo sono tutt’ora però, grazie alla scuola, sono riuscita ad aprirmi con tante persone e ad esprimermi, cosa che magari non avrei fatto altrove. Mi fermo qui, ma potrei continuare a scrivere pagine intere su questa mia lunga e meravigliosa avventura che ancora deve finire e che spero possa ancora contribuire alla mia formazione in tutti i suoi aspetti.
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Uccide più il Covid o la fame? A cura della Redazione
Abbiamo raccolto delle testimonianze che vengono dal Kenya. Quello che ci riferiscono alcuni missionari sulla situazione conseguente alle restrizioni per il Covid ci fa rabbrividire: per fermare il contagio si è creata povertà e fame in un Paese ricco come l’Italia, possiamo immaginare cosa accade in un Paese come il Kenya? Abbiamo ricevuto una testimonianza diretta dalla Missione Holy Cross che conferma quanto scrive l’Agenzia Fides e l’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della Luiss. Dal mese di marzo il Kenya è sprofondato nella crisi. Milioni di persone hanno perso il lavoro. In un Paese che conta le più grandi baraccopoli d’Africa, la vita, prima precaria, ora è diventata miserabile. La Missione Holy Cross, che si trova al confine di una di questi baraccopoli, da numerosi mesi aiuta centinaia di persone senza cibo e senza casa, organizzando distribuzioni di cibo settimanali per le madri indigenti e le famiglie bisognose. In poco tempo, le persone non sono state più in grado di pagare l’affitto. All’inizio i proprietari hanno aspettato, ma dopo due o tre mesi, hanno messo un lucchetto alle serrature per impedire agli inquilini di tornare a casa e di prendere le loro cose, a meno che non paghino i canoni arretrati. La Missione ha aiutato diverse madri sole, con quattro o cinque bambini, anche pagando il loro affitto. La situazione in Kenya non può che peggiorare:
la prima fonte di ricchezza è il turismo, gli alberghi e i ristoranti. Tutti chiusi a causa del Covid e i turisti non ci sono più. Tutte le scuole sono chiuse dal mese di marzo e lo saranno fino a tutto questo mese di gennaio. Addirittura molte scuole si sono trasformate in fattorie per sopravvivere, ma gran parte dei professori non riceve un centesimo da mesi. Per gli studenti, poi, andare a scuola significava avere almeno un pasto assicurato al giorno. Pure i professori della scuola della Missione non possono più essere pagati (anche se la Missione fa del suo meglio per sostenerli). Dall’inizio di questo disastro, father James distribuisce più di 100 chili di farina di mais a settimana per aiutare le povere famiglie. Le persone cucinano questa farina nell’acqua per ottenere una sorta di polenta chiamata ugali, il cibo principale in Kenya. Questo cibo non costa molto ed è molto nutriente. Un pacchetto da due chili costa circa un euro. Le famiglie che vivono nelle baraccopoli di Nairobi stanno vivendo giorni drammatici. Centinaia di migliaia di persone sono costrette a “restare in casa” nel degrado, in baracche di pochi metri quadrati, senza risorse alimentari,
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né acqua, né elettricità. Manca il cibo, la tensione sociale è alle stelle. Ancora una volta i bambini sono le prime vittime di questo inferno.
Kenya ha seguito le indicazioni dell’Oms (lo dimostrano i comunicati stampa pubblicati sul sito istituzionale, health.go.ke).
Di fronte alle proteste popolari, la polizia kenyota non ha esitato a usare le maniere forti. Ci sono stati diversi morti e diverse denunce all’Autorità indipendente di controllo della polizia (IPOA). Un poliziotto, in particolare, è stato accusato dell’omicidio di un ragazzo di 13 anni mentre era in servizio per eseguire l’ordine del coprifuoco imposto dal governo.
D’altro canto l’Oms è anche intervenuta direttamente in Kenya con due milioni e mezzo di euro (stanziati dall’Unione Europea) per sostenere gli sforzi del governo per controllare la diffusione del virus, per formare gli operatori sanitari, per supportare la comunicazione mediatica del rischio su radio, TV, e piattaforme digitali al fine di coinvolgere i leader della comunità e il pubblico nel promuovere la politica del distanziamento sociale, della sanificazione delle mani e dei luoghi e dei tamponi.
La morte di Moyo ha causato proteste diffuse in tutto il Kenya, dove i cittadini hanno chiesto a gran voce la fine delle brutalità commesse dalla polizia. Gli attivisti per i diritti umani sostengono che sono 19 le persone, tra cui Moyo, tutte provenienti da zone a basso reddito, morte in seguito alla repressione attuata dalla polizia per far rispettare il coprifuoco. Human Rights Watch aveva accusato la polizia keniota di imporre il coprifuoco in modo caotico e violento, fin dall’inizio del lockdown, maltrattando, picchiando o usando gas lacrimogeni contro le persone per costringerle a lasciare le strade. Anche il ministro degli Interni, Fred Matiangi, ha criticato gli eccessi della polizia, ma ha altresì specificato che bisogna fare attenzione nel «dipingere l’intero servizio con lo stesso pennello». Tutto questo è avvenuto e sta ancora avvenendo perché in Kenya vi sono stati da inizio gennaio 2020 fino ad ora circa 70.000 casi di Covid con 1200 morti, secondo i dati dell’Oms. Questo su una popolazione di oltre 50 milioni di persone vuol dire che sono stati ufficialmente contagiati lo 0,14% della popolazione; e sono morti l’1,7% dei casi Covid registrati. In un Paese con tanti e tali problemi economici e sociali, siamo certi che l’epidemia di coronavirus sia una emergenza di carattere prioritario? Eppure il Ministero della Salute del
Un sondaggio del Kenya Bureau of Standards ha rilevato che il 100% della popolazione del Paese aveva sentito parlare del Covid. L’anziano Masai Julius Oloiboni ha mobilitato la sua comunità semi-nomade per istituire stazioni di lavaggio delle mani nel loro villaggio improvvisato, impedire ai membri della famiglia di interagire tra loro e fermare tutti i movimenti fuori dai villaggi tranne quelli dei mandriani. Sono state chiuse tutte le frontiere. Ma chi si occupa di dare da mangiare alla gente?
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Dall’eugenetica razzista, all’aborto Traduzione a cura di Claudio Forti
Pubblichiamo un estratto di una lunga intervista realizzata qualche tempo fa da Miklos Lukacs alla dottoressa Chinda Brandolino. L’intervista parte dall’analisi di cos’è un virus, per poi focalizzarsi sulla pandemia di Covid-19, dietro alla quale la dottoressa Brandolino ritiene vi sia un preciso progetto, portato avanti da diversi anni, che mira a fiaccare fisicamente, economicamente, umanamente e spiritualmente l’umanità. Riportiamo qui solamente la parte dell’intervista in cui la dottoressa mette insieme, in maniera precisa e chiara, diverse correnti di pensiero e diversi nomi che tutti conoscono ma che solitamente non vengono posti in relazione l’uno con l’altro e che hanno portato al dilagare dell’aborto negli Stati Uniti, e nel mondo. «La gente non vuol vedere. Troppa gente, purtroppo, non vuol vedere! A questo punto cito una famosa frase di Mark Twain: "È molto più facile ingannare la gente, che dimostrare che è stata ingannata". Sapete
«È molto più facile ingannare la gente, anziché dimostrare che è stata ingannata».
chi è Bill Gates? È il figlio di quello che fu un direttore dell’International Planned Parenthood Federation. Allora andiamo a fare un po’ di storia per i nostri ascoltatori. Risulta che tra i sudditi di Sua Maestà britannica, tra quelli che contano, è molto diffusa l’ideologia eugenetica malthusiana e darwinista. Malthus, un pastore luterano del XIX secolo, razzista, vedeva come durante la rivoluzione industriale i poveri morivano di fame e avevano molti figli. Non si preoccupava assolutamente dei poveri, ma si preoccupava del fatto che se i poveri avevano molti figli, le risorse non sarebbero cresciute nella stessa proporzione della popolazione e pertanto non ci sarebbe stato cibo sufficiente per tutti. Quindi non si poteva aumentare la produzione di cibo, ma piuttosto bisognava uccidere i commensali. Così invita i poveri, per la salvaguardia delle classi superiori della società, a non avere figli.
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Da lì è partita la catastrofe malthusiana. Stiamo parlando più o meno del 1850. Un grande ammiratore di Malthus era l’inglese Charles Darwin, il creatore dell’ipotesi dell’evoluzionismo. Anche lui disprezzava i poveri, i negri e le classi inferiori, ispirato da Malthus. Nel suo libro un po’ fantasmagorico, che è L’origine della specie, alla fine dice così: "Non si deve, per via di leggi o costumi, impedire ai migliori di avere il maggior numero di figli. In un futuro non molto lontano, le razze civilizzate stermineranno e rimpiazzeranno le razze selvagge". Darwin con questo criterio trova grande fortuna tra gli eugenisti anglosassoni, i quali considerandosi come razza superiore, abbracciano totalmente la sua teoria. Perché presero questa posizione? Perché l’Inghilterra doveva giustificare questa posizione e abbracciarla? Perché avrebbe giustificato la schiavitù della razza negra. Caro amico, per cinque secoli la razza negra è stata uno strumento gratuito di produzione nei Paesi anglosassoni. Cinque secoli. L’apartheid cadde in Sud Africa nel 1993. Lo ricordo come se fosse oggi. Quindi, ai tempi, appariva utile e necessario sfruttare in qualche modo gli individui di razza negra come manodopera gratuita per l’impero inglese. Pensate che per sostenere le teorie di Darwin furono falsificati i fossili sui quali si basò l’ipotesi dell’evoluzione. Fossili presentati da Teihard de Chardin, un sacerdote apostata che scrive Cristogenesis. Ho letto tutta la sua opera. Lui dice di aver trovato “l’anello mancante” [dell’evoluzione da scimmia a uomo] e lo presenta nel 1912 al Museo Britannico. Queste sue asserzioni vengono prese per sicure, ma nessuno poté verificarle, perché non erano fossili autentici. Fino a quando viene scoperta la genetica: tra il 1930 e il 1948, tre scienziati genetisti si fecero molte domande sull’ipotesi darwiniana. Allora chiesero di vedere i fossili e si accorsero che erano stati adulterati da mani esperte. Le uniche mani esperte, all’epoca, erano quelle di Teihard de Chardin. Guardate, per chi parla spagnolo c’è un bel libro intitolato Fósiles polémicos, di Raúl O. Leguizamón, che in Messico è considerato un esperto, un grande conoscitore dell’evoluzione.
Chinda Brandolino, medico, madre di 8 figli e grande pro life, è figlia di un medico che prima di emigrare in Argentina ha lavorato nella Casa Sollievo della sofferenza, fondata da Padre Pio. Recentemente è stata molto contestata, e persino offesa, per le sue posizioni politicamente scorrette, soprattutto in merito alle sue opinioni sul Covid-19 e su un eventuale vaccino.
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Insomma, queste due persone, Darwin e Malthus, danno origine in Inghilterra e negli Stati Uniti a quello che viene chiamato il “movimento eugenetico”, che si proponeva - e si propone - di migliorare la razza, per eliminare, come dice Darwin, quelli che erano considerati inferiori. A questo movimento si unisce Rockefeller e poi Francis Galton, che era cugino di Darwin. Questa gente era tanto ossessionata con la razza superiore, che, incrociandosi sempre e solo fra di loro, in due generazioni misero al mondo tutti bimbi ritardati. A tale livello di pazzia arrivava il loro razzismo. E Rockefeller è colui che finanzia la Rivoluzione comunista del 1917, e che ottiene la modifica della costituzione degli Stati Uniti per creare la Federal Reserve e la Banca Universale, come desiderava Karl Marx, visto che Rockefeller, come la Corona britannica, vedeva nel marxismo un regime politico capace di mettere in schiavitù tutto il mondo senza alcuna protesta. Dunque, finanzia la realizzazione della Federal Reserve, con l’apporto dei Rothschild. Hanno così creato il Council on Foreign Relations che
ancora oggi, con 1.000 ingegneri sociali, lavora per indirizzare la politica degli Stati Uniti. E naturalmente crea la Lega per l’eugenetica e il controllo delle nascite, che poi diventerà l’Ippf (International Planned Parenthood Federation) di Margareth Sanger. Ora vi dico chi era costei. Era una comunista, propagatrice della liberazione sessuale. Odiava la famiglia. Odiava avere figli. Inneggiava al sesso libero e alla droga. Morì sola, ubriaca e drogata, avendo perso tutto nella vita. Venne però finanziata dal signor Rockefeller con milioni e milioni di dollari per quel progetto. Questo avvenne nel 1916: al tempo in cui centinaia di migliaia di famiglie povere degli Stati Uniti furono prese e sterilizzate con la forza. Questa stessa donna, con il denaro ricevuto da Rockefeller, nel 1930, ad Harlem, fece costruire la prima clinica per aborti per i negri. E, come lei dice nella sua autobiografia, affinché i negri non sospettino di nulla impiega solo personale negro. Da lì cominciò un genocidio che non è ancora terminato. Un vero orrore. Un abominio contro Dio, nostro Signore!».
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Aborto, pedofilia e laicità Francesca Romana Poleggi
Un parroco di Macerata, don Andrea Leonesi, che ha avuto l’ardire di predicare il Vangelo e la dottrina cattolica durante un’omelia, è finito nel tritacarne mediatico della dittatura del pensiero unico.
Le affermazioni di don Andrea Leonesi, di Macerata, in difesa della sentenza della Corte Costituzionale polacca che ha dichiarato l’illegittimità dell’aborto eugenetico, hanno sollevato tanto scalpore da finire in Tv. Del caso si sono occupate persino Le Iene di Italia 1. Il servizio che abbiamo visto ci impone di condividere con i nostri Lettori alcune considerazioni. Prima considerazione: ma i laici sono davvero “laici”? In un convegno di partito, l’intervento dei relatori viene valutato e criticato dai membri del partito stesso. Eventualmente sarà sanzionato dal segretario o dal presidente del consesso. Coloro che militano in altri partiti è ovvio che non siano d’accordo: la loro critica sarà scontata. Ma laddove vige un briciolo di democrazia, mai si sognerebbero di dire che quel relatore ai suoi sodali quella cosa non poteva dirla. Questo ragionamento, mutatis mutandis, nonostante sia abbastanza semplice e scontato, non vale quando si tratta di sacerdoti della Chiesa cattolica (o Vescovi, o Papi): i non cattolici si arrogano sempre il diritto di censura.
La “laicità” di molti è vero “laicismo”, cioè intollerante e antidemocratica mancanza di rispetto della libera professione religiosa.
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Don Leonesi durante un’omelia ha scatenato l’inferno per aver chiesto se fosse più grave l’aborto o la pedofilia. La cosa ha tanto infastidito i maître à penser del pensiero unico, che è finito nel tritacarne mediatico (tanto da non poter uscire di casa per diverso tempo). Nel servizio de Le Iene citato, poi, Nina Palmieri ha più volte ribadito che è un insulto paragonare un crimine esecrabile come la pedofilia a un diritto delle donne, l’aborto, protetto da una legge dello Stato (n. 194 del 1978). Le Iene hanno poi inviato al malcapitato sacerdote una finta parrocchiana che - con una telecamera nascosta - ha cercato di metterlo alla berlina per un’altra “grave” sua affermazione dal pulpito: la lettera di San Paolo agli Efesini, capitolo 5, dove l’Apostolo parla della sottomissione della moglie al marito, e dell’amore del marito per la moglie. Ci chiediamo: dato che si tratta di discorsi rivolti ai suoi fedeli, presumibilmente cattolici praticanti, a Le Iene che si professano orgogliosamente “laiche” cosa interessa? Chi poteva sindacare era il Vescovo (che però ha difeso don Andrea). Il fatto è che forse la “laicità” non è - come vorrebbe l’accezione traslata del termine - una “razionale” equidistanza dalle convinzioni religiose: si tratta di vero e proprio “laicismo”, intollerante e antidemocratico, che non rispetta la libera professione della religione garantita a tutti dalla Costituzione. In tempi in cui c’è tanta “sensibilità” per il “sessismo”, il “razzismo” e “l’omotransfobia”, si considera normale, buona e giusta la “cristianofobia”. Siamo pronti al martirio? Ad ogni modo, aspettiamo con ansia un analogo servizio de Le Iene - con telecamera nascosta - a proposito delle prediche dell’imam di turno che spiega la condizione della donna nell’Islam.
In tempi in cui c’è tanta “sensibilità” per il “sessismo”, il “razzismo” e “l'omotransfobia”, si considera normale, buona e giusta la “cristianofobia”. Siamo pronti al martirio?
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La chiesa parrocchiale dell’Immacolata, dove don Leonesi ha avuto l’ardire di predicare secondo la dottrina cattolica.
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Seconda considerazione: «Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore... E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef 5, 22) Non sta a noi entrare nell’ambito dell’esegetica. Mi si perdonerà una piccola invasione di campo, perché da donna mi sento chiamata in causa dalle varie Nina Palmieri che si urtano per queste parole di san Paolo. Il fatto è che coloro che si scandalizzano non hanno idea di chi sia Gesù Cristo, di cosa sia la Chiesa (la Sua sposa!) e di cosa abbia fatto Lui per lei duemila anni fa, e che cosa faccia ancora oggi durante la celebrazione di ogni Santa Messa. Se ogni moglie si adoperasse per stare sottomessa al marito, e ogni marito si adoperasse per amare la sua sposa come Cristo ha amato la Chiesa (fino alla Passione e alla Croce), non avremmo più né una separazione né un divorzio e forse neanche una lite coniugale. Si tratta certamente di un ideale di perfezione che confina col Mistero. È già difficile per i credenti. I non credenti, per favore, non se ne interessino proprio. Terza considerazione: l’aborto e la pedofilia Non devo spiegare ai nostri Lettori che l’aborto è l’uccisione volontaria e premeditata di un bambino innocente. I “laici” tentano di giustificare la cosa perché ritengono che il piccoletto non sia una persona, così come, fino al 1865, si ritenevano i neri non-persone, negli Usa; o come si ritenevano non-persone gli Ebrei ai tempi del nazismo; oppure si ritiene che la madre abbia il diritto di disporre della vita dei figli, come nell’antica Roma quando c’era lo ius vitae ac necis del pater familias; oppure si ritiene che il principio di uguaglianza valga senza distinzioni di sesso, razza, lingua ecc., ma non valga in ragione dell’età. Insomma, di scuse per legalizzare l’aborto ce ne sono diverse, ma la sostanza dell’atto non cambia.
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Dopo don Leonesi, altri due sacerdoti sono finiti nel tritacarne mediatico della novella Inquisizione laicista (tutt’altro che “santa”): don Mario Martinengo di Cremona ha ribadito la dottrina cattolica di condanna degli atti di omosessualità; don Bruno Borelli ha pubblicato sul canale Youtube della sua parrocchia di San Maurizio, a Erba,le sue omelie: «Oggi verso il male c’è un pensiero debole, si dice che il peccato non è peccato, che il male è un bene, è un diritto, accettando azioni intrinsecamente cattive come l’aborto, il divorzio, l’omosessualità. Invece Giovanni Battista non si fa scrupolo a chiamare i peccatori “razza di vipere”». Indignata e scandalizzata, stavolta, è la Barbara D’Urso di Canale 5…
Il termine “laico” strettamente inteso indica tutte le persone che non sono sacerdoti, frati o suore. Ormai, però, ha assunto un significato traslato che va a coincidere con “ateo”: il “laico”, di solito, si vanta della sua razionalità e della sua equidistanza da ogni credo religioso.
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Porsi il problema se l’uccisione di un bambino sia peggiore o meno di un abuso sessuale è un assurdo (e l’intento di don Leonesi era certamente provocatorio). Certi abomini in quanto tali non sono graduabili. Anzi. A detta di don Fortunato Di Noto, che con l’associazione Meter, combatte la pedopornografia da più di trent’anni e si prodiga per il recupero dei bambini abusati, «la pedofilia è un omicidio psichico». Anche la pedofilia uccide, pur senza fermare fisicamente il cuore della vittima. «Il bambino è tradito, manipolato, può andare incontro a uno stato dissociativo, a una grave depressione, a sensi di colpa intensi che minano il senso della propria identità. Nei soggetti prepuberi, ciò che si va a colpire è l’evento trasformativo fisico e psichico dell’adolescenza.
Gli effetti di questo omicidio psichico sono permanenti e perduranti nelle relazioni affettive e sociali». Quindi, se ancora la pedofilia ci fa orrore, altrettanto orrore dovrebbe fare l’aborto: in tutti e due i casi c’è un “grande” che abusa di un “piccolo”. Quarta considerazione: il “diritto” all’aborto Il problema vero non è se la pedofilia sia più o meno grave dell’aborto. Il problema vero è che l’aborto è un abominio come la pedofilia. Ma la propaganda ha camuffato l’abuso in diritto: alla gentile Nina Palmieri bisognerebbe spiegare che una legge dello Stato che viola la legge naturale è una legge ingiusta, quindi non è
Fino al 1865, negli Usa, si ritenevano i neri non-persone; si ritenevano non-persone gli Ebrei ai tempi del nazismo; oggi è non-persona il bambino nel grembo: la madre ha lo ius vitae ac necis, come nell’antica Roma il pater familias: il principio di uguaglianza vale per il sesso, la razza, la lingua ecc., ma non vale in ragione dell’età.
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legge (lo diceva anche Marco Tullio Cicerone). Il diritto è un interesse protetto dalla legge. L’aborto, ammesso e non concesso che sia un interesse, è protetto da una non-legge, perciò non è affatto un diritto. Quinta considerazione: la legge 194 è la legge più maschilista degli ultimi cinquant’anni. Non solo. La propaganda abortista ha ingannato noi donne spacciando per nostra conquista quello che invece è un escamotage della società maschilista per deresponsabilizzare se stessa e il padre: sono incita e mi trovo in condizioni socioeconomiche tali per cui un figlio sarebbe un enorme peso? Invece di aiutarmi a risolvere
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i miei problemi, la legge consente al padre del bambino di eclissarsi e mi "offre" la possibilità di abortire - che si rivela una scelta obbligata, quindi non una “scelta”! Eliminato il bambino, mi ritrovo con gli stessi problemi socio-economici che avevo prima e in più sarò madre di un bambino morto: e il trauma profondo che ho inflitto a me stessa (ho violentato il mio ancestrale istinto materno) presto o tardi mi provocherà seri problemi psicofisici. Quindi, l’aborto non solo uccide un bambino, ma distrugge anche la donna (è stato definito un “suicidio differito” della madre). Alla brava conduttrice de Le Iene vorrei offrire lo spunto per un altro servizio (magari con telecamera nascosta): la legge 194 è la legge più maschilista degli ultimi 50 anni.
Aspettiamo con ansia un analogo servizio de Le Iene con telecamera nascosta - a proposito delle prediche dell’imam di turno che spiega la condizione della donna nell’Islam.
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Viktor Frankl e la ricerca di senso Angela Pappalardo
La logoterapia è quella branca della psicoterapia che ha come obiettivo primario la riscoperta del significato (logos) dell'esistenza dell'essere umano.
Viktor Emil Frankl (Vienna, 1905-1997), psichiatra e psicoterapeuta, è il padre della “logoterapia” (dal greco logos, significato). La logoterapia nacque perché Frankl si era reso conto che la psicoterapia classica e la psicoanalisi non bastavano a risollevare l’animo umano. Contrariamente ai suoi colleghi del tempo, egli riteneva che non poteva essere esaminato il comportamento dell’uomo solo nei suoi tratti esteriori, né si poteva individuare la fonte dei suoi disagi principalmente nella sua sessualità, o relegare la soluzione dei suoi problemi solo nell’esame del profondo inconscio. Frankl si era reso conto che non poteva essere ignorata una dimensione tipicamente
umana, quella noetica, cioè spirituale, che invece appariva assente in tante forme di “psicologismo”. Una dimensione spirituale che spinge l’essere umano a trovare uno scopo, una motivazione nella propria esistenza. La logoterapia è applicabile a prescindere dalla fede religiosa, sia per ciò che concerne il logoterapeuta stesso, sia per quanto riguarda il paziente. Frankl ha difeso l’autonomia della logoterapia da qualsiasi orientamento religioso, ma ha sempre riconosciuto la notevole importanza del senso religioso per ogni uomo. Lo psichiatra era pervenuto a questa conclusione nei suoi intensi anni di attività professionale, durante i quali aveva visto tanti pazienti afflitti, demotivati, e anche aspiranti al suicidio. Soprattutto aveva maturato la
Anziché lasciarsi andare alla disperazione, si può cercare di ricavare un minimo di bene possibile anche nella situazione più tragica, per dare un senso alla propria vita.
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consapevolezza della necessità per l’uomo di coltivare la propria dimensione spirituale durante gli anni in cui era stato internato nei campi di sterminio in quanto ebreo. Furono anni ovviamente molto duri, in cui ogni senso di umanità appariva definitivamente cancellato. Prima di essere internato Frankl era stato un brillante e famoso psichiatra, anche se la sua carriera universitaria era stata stroncata dai nazisti. Si è trovato prigioniero in un lager infernale, vestito di stracci, pativa la fame, il freddo ed ogni umiliazione; era stato anche privato dei suoi cari, mandati nella camera a gas. Eppure lo psichiatra viennese, in mezzo a tanta indicibile crudeltà, veniva colpito da alcuni gesti di grande abnegazione: qualcuno ad esempio si privava di un misero tozzo di pane per consegnarlo a chi appariva più affamato di lui. Gesti che lo colpivano profondamente, perché notava che potevano conferire un alto significato alla vita degli uomini che li compivano: avevano donato - sia pure temporaneamente e in misura non certo soddisfacente - un lieve sollievo alla sofferenza dei loro simili. Anche Frankl aveva trovato in quell’ambiente disumano uno scopo da realizzare: stava maturando difatti la sua idea di “logoterapia”, che avrebbe aiutato a sopravvivere lui stesso e i compagni.
Viktor Emil Frankl
Frankl si era reso conto che non poteva essere ignorata una dimensione tipicamente umana, quella noetica, cioè spirituale, che invece appariva assente in tante forme di “psicologismo”.
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Si era reso conto, infatti, che per resistere alla tentazione di varcare il filo spinato per condannarsi a morte, bisognava che ciascuno trovasse un senso a quei giorni di grande sofferenza. In quel frangente, infatti, non potevano essere esercitati dall’uomo né i valori creativi, né quelli esperienziali per conferire bellezza alla propria esistenza: non si poteva, ad esempio, realizzare qualche opera, o ammirare la bellezza del creato. Era possibile però adottare i “valori di atteggiamento”: anziché lasciarsi andare alla disperazione, si poteva cercare di ricavare un minimo di bene possibile da quella situazione, per dare un senso alla propria vita Frankl allora quando poteva cercava di riunire un gruppo dei suoi compagni di sventura, e li sosteneva psicologicamente. Aveva così trovato un senso a quelle giornate d’inferno: in quel momento era quello il suo compito, così come lo aveva trovato chi cercava di sollevare, per quel che poteva, i propri compagni di sventura. La logoterapia di Frankl indica infatti la necessità per ogni uomo di individuare un compito nella propria vita, che può essere quello di amare, di combattere per una idea, di promuovere un ideale. Come sottolinea con forza nel suo testo Logoterapia ed analisi esistenziale (Morcelliana, Brescia 2005, p. 92):
«Additare un compito ad un uomo è quanto di più adatto ci possa essere per fargli vincere ogni difficoltà interiore e ogni disgusto». Frankl con la sua vita, ancora così intensa per tanti anni dopo la liberazione dal lager, (ha ricevuto ben 27 lauree honoris causa), con i suoi famosi scritti, con le numerose conferenze, ha sempre voluto dimostrare quindi che anche nei momenti più tristi e difficili della vita, è possibile trovare uno scopo, “autotrascendendosi”, cioè proiettandosi al di là del proprio essere per andare incontro a qualcuno, per realizzare un’opera, per inseguire un ideale, per servire Dio. Sempre attuale quindi la logoterapia, specialmente se pensiamo ai tempi difficili che stiamo vivendo… Durante un lockdown, ad esempio, potremmo chiederci: «Ha ancora senso la mia vita? Rischio di perdere il lavoro, non posso godermi una passeggiata con le persone che amo, non posso coltivare i miei hobbies, non posso incontrare fisicamente i miei amici…». Eppure anche in queste situazioni sono proprio i “valori di atteggiamento” che devono ispirarci. Difatti, è inutile farsi sommergere dal “vuoto esistenziale”, ma è necessario ricercare il senso anche in questi frangenti. Ascoltare per esempio le persone della nostra famiglia con più pazienza ora che si può usufruire di un tempo più vasto; recuperare spazi di buona lettura e di preghiera, stare
La psicoterapia classica e la psicoanalisi non bastano a risollevare l’animo umano.
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vicino alle persone in difficoltà con una semplice telefonata, o con aiuti materiali se possibile, sono solo alcuni spunti per autotrascendersi, per non pensare solo ai propri problemi, ma proiettarsi al di là di se stessi, ed essere così più sereni. Inoltre Frankl individuerebbe un significato anche nelle situazioni estreme dei nostri tempi. Pensiamo per esempio agli ammalati gravi affetti da Covid-19, magari intubati, soli, lontani dai parenti: potrebbe essere difficile trovare un senso in questi momenti così dolorosi. Eppure nella mente annebbiata dalla sofferenza potrebbe sorgere una preghiera, un’invocazione, potrebbe essere passata velocemente in rassegna la propria vita per formulare nuovi propositi. Potrebbe addirittura sbocciare sul volto del malato un timido sorriso rivolto all’infermiere che si prende cura di lui, un incoraggiamento per l’operato di costui che lo renderebbe più disponibile anche verso altri ammalati. Nella vita, quindi, c’è sempre la possibilità di trovare un senso, anche nelle condizioni più precarie: ce lo ha dimostrato Frankl , lo “psicologo del lager” che ribadisce: «Ogni giorno, ogni ora si presentano con un nuovo significato, e per ogni uomo c’è un diverso significato che lo attende» (La sofferenza di una vita senza senso, ElleDiCi, Torino 1982, p. 30)
Agli antipodi della logoterapia, la cultura mainstream che oggi imperversa punta al nichilismo e svuota le cose e la vita di senso. In questa direzione vanno i messaggi “culturali” che arrivano alle nuove generazioni. Un esempio - purtroppo molto seguito e stimato - è Vasco Rossi, che canta: «Voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l'ha».
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In cineteca
Segnaliamo in questa pagina film che trasmettono almeno in parte messaggi valoriali positivi e stimolano il senso critico rispetto ai disvalori che vanno di moda. Questo non implica l’approvazione o la promozione globale da parte di Pro Vita & Famiglia di tutti i film recensiti.
Changeling Una storia vera Titolo: Changeling Produzione: Stati Uniti d'America, 2008 Regia: Clint Eastwood Genere: storico, thriller, drammatico Durata: 140 min.
È un film del 2008 magistralmente diretto da Clint Eastwood, scritto da J. Michael Straczynski e interpretato da Angelina Jolie e John Malkovich. Un bambino scompare, la madre non si rassegna nel volerlo cercare. La vicenda, di cui non vogliamo anticipare nulla ai possibili spettatori, si intreccia con la corruzione di alcuni funzionari della polizia locale e con il tragico caso di cronaca nera dei Wineville Chicken Coop Murders. È un film davvero tremendo, che dà un bel colpo nello stomaco, quindi adatto a un pubblico adulto, ma merita d’essere visto. Non solo per il prodotto artistico in sé, ma anche perché è basato su una storia vera accaduta a Los Angeles nel 1928. Il problema dei bambini scomparsi è vivo ora come allora. Il problema dell’abuso dei grandi
e di chi ha il potere sui piccoli e sui fragili è ancora, purtroppo, attuale, ma a volte non ci inorridisce più di tanto: sembra quasi che ci facciamo l’abitudine (basti pensare all’aborto). Quindi, il suddetto pugno nello stomaco è quanto mai salutare. Inoltre, il film fa meditare sulla grandezza della maternità e sulla potenza di quel legame ancestrale che nulla può spezzare. E qui va fatto un plauso alla protagonista, Angelina Jolie, che è nota per essere bella - e lo è -, ma che dimostra ancora una volta d’essere davvero brava. Come bravissimo è John Malkovich: un pastore che - vivaddio - è un personaggio positivo a tutto tondo, il che non guasta in tempi in cui si tende a presentare i religiosi e la religione sempre in modo dispregiativo.
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In biblioteca Niente di ciò che soffri andrà perduto Mistica della vita quotidiana
Costanza Miriano Sonzogno
Il tuo lavoro ha un senso? Un percorso terapeutico per migliorare la vita lavorativa
Stefano Parenti Sugarco Edizioni
La felice penna della giornalista perugina della Rai è tornata in libreria con un nuovo testo, anche questa volta su un tema impegnativo: la sofferenza. Nel libro, scritto con il consueto stile che sa unire eventi spiccioli della quotidianità a riflessioni molto profonde, la Miriano guida il lettore attraverso diverse testimonianze per mostrare come, anche in situazioni umanamente incomprensibili e difficili da sopportare, vi possa essere “un di più”, uno stimolo per guardare Oltre.
Lo psicologo e psicoterapeuta Stefano Parenti si avventura, con questo volume, in un ambito tanto comune alla vita di ognuno di noi, quanto poco approfondito e compreso. Perché un tempo si lavorava con il sorriso sulle labbra, mentre oggi nelle maggior parte dei casi lo si fa perché costretti, senza alcun entusiasmo e con una buona dose di stress e insoddisfazione, non solo sotto il profilo retributivo? Il lavoro è un bisogno dell’uomo? Lavorare può contribuire a educare la propria umanità? Quali sono i vizi e le virtù dei lavoratori di oggi e di ieri? È giusto fare gli straordinari? Esiste una retribuzione corretta?... queste e molte altre domande trovano, in questo libro, una (non scontata) risposta.
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Diretto da Maurizio Belpietro