12 minute read
Donne violate, rinascono madri
Traduzioni a cura di Sara Affuso
Uno degli argomenti che gli abortisti considerano invincibili è il mettere l’interlocutore davanti alla tragedia dello stupro da cui sia poi derivata una gravidanza: come si fa a non permettere alla donna violentata di abortire, in una circostanza del genere? E in effetti la fattispecie è davvero inquietante. Nessuno, davvero, ha il diritto di giudicare. Nessuno ha titolo per dire a una donna che abbia vissuto una così atroce esperienza cosa deve o cosa non deve fare. Nessuno, tranne le stesse donne che - dopo una violenza - si sono ritrovate incinte. Lasciamo loro la parola: sia a chi dopo lo stupro ha abortito (e se ne è pentita amaramente), sia a chi ha avuto il coraggio di portare a termine la gravidanza e ha dato il bambino in adozione o - addirittura - lo ha tenuto con sé. Queste testimonianze sono state tratte dai siti web delle associazioni Choices4Life e Save the 1, che sono nate proprio per sostenere le vittime di stupro e i loro figli.
Advertisement
Chi fa violenza sulle donne merita il carcere duro. Gli stupratori meritano forse di peggio. Le donne violentate meritano aiuto, sostegno, cura e comprensione, non meritano altra violenza… Nei rarissimi casi in cui a seguito della violenza viene concepito un bambino, quel bambino merita la morte? Che colpa ha?
Meritano d’esser sentite le persone come Rebecca Kiessling, che sono state concepite durante una violenza carnale e che sono, sì, profondamente grate alle madri che hanno dato loro la possibilità di vivere, ma si sentono fortemente discriminate e stigmatizzate perché - secondo l’opinione comune - avrebbero dovuto essere abortite: questo costa loro non pochi problemi psico-sociali e di autostima. Le testimonianze di persone come Rebecca le offriremo ai nostri Lettori in un’altra occasione.
La fondatrice di Choices4life, Juda Myers, a destra, con Christina Bray. La Myers è stata concepita durante uno stupro. Data in adozione, da grande è stata in grado di rintracciare la madre naturale per ringraziarla di non averla abortita. Ha deciso, quindi, di sfatare gli stereotipi che si dicono a proposito dei bambini concepiti in caso di stupro: «Nessuna donna potrebbe guardare in faccia quel figlio, le ricorderebbe lo stupro»; «Quel bambino viene da un seme malvagio, sarà come lo stupratore»; «È meglio che la donna se ne sbarazzi e non ci pensi più». A costoro la Myers risponde che nessuno si deve permettere di parlare al posto delle vittime di stupro e dei loro figli. E questi figli hanno diritto alla libertà, a essere vivi e alla ricerca della felicità: «Nella nostra società “tollerante” il bambino concepito da uno stupro viene trattato come un criminale, dovrebbe non esistere».
CHRISTINA BRAY
Dopo una vita davvero travagliata, tra violenze e servizi sociali, Christina si trova a fare da babysitter ai gemelli di una sua amica. Rientra in casa il marito e le fa delle avances pesanti: «Non avrebbe accettato un “No” come risposta, così mi ha tenuto giù sul divano. Ho provato a togliermelo di dosso, ma mi ha bloccato le braccia in basso. Quando ha finito mi sono alzata e sono corsa alla doccia per cercare di togliere via quella brutta sensazione di essere stata violentata. Mi sono seduta nella vasca da bagno con la doccia aperta, le ginocchia al petto e ho pianto. Ho pianto per aver permesso a me stessa di essere stuprata, ho pianto per il fatto che non potevo dirlo alla mia famiglia. Quando andavo a letto la sera, piangevo fino ad addormentarmi e continuavo a ripetermi quanto stavo male. Poi ho iniziato a sentirmi male ogni giorno. Gli odori mi facevano star male e i cibi che amavo mi davano la nausea. Così, ho scoperto di essere incinta. Ero così spaventata. Ho deciso di dirlo ai miei genitori. Qualcuno mi diceva di abortire e alcuni mi dicevano che non avrei dovuto tenerlo, che avrei dovuto darlo in adozione. Ma solo due settimane prima di essere violentata mi avevano detto che non sarei stata in grado di concepire a causa di un’anomalia del mio utero. Così con quella gravidanza ho visto la vita sotto una luce completamente nuova. Avevo una vita dentro
di me, una vita viva che respirava dentro di
me. La mia bambina era bellissima. Mi sono innamorata come non avrei mai pensato di poter fare! L’ho chiamata Phoenix Rose (sono stata ispirata dalla leggenda dell’uccello. Si dice che fosse in grado di sopravvivere a qualsiasi
JESSICA
«Sono stata violentata nel febbraio 2006: ero rimasta fino a tardi a scuola per una lezione di recupero. Ho provato l'aborto. “Provato”, nel senso che ci ho provato, ad abortire. Ero
già sdraiata sul lettino della clinica e mi sono detta “No”, non potevo farlo. Era sbagliato.
L’abortista mi ha detto che stavo sragionando, ma ho ripetuto ancora “No”, mi sono alzata e sono tornata a casa. Però ho capito che non potevo fare la madre. Se l’amore fosse sufficiente sarebbe una bella cosa. Dovevo ancora finire di studiare. Avevo solo 20 anni quando è successo. Avrei dovuto fare tre lavori per mantenere un figlio… Ora ho una bellissima
bambina che non è solo la luce della mia vita, ma anche la luce del mondo dei suoi genitori
adottivi. Poi Dio mi ha toccato il cuore e mi ha guarita: ho perdonato quell’uomo e prego che qualcuno sulla sua strada gli dia il Vangelo della Buona Novella!»
«L’aborto costringe una madre a rivoltarsi contro la sua stessa carne e il suo stesso sangue. È autodistruttivo come nessun altro trauma - le cicatrici scendono veloci in profondità. Anche lo stupro è traumatico, senza dubbio. Ma l’aborto ferisce di più le vittime di stupro; non le aiuta affatto»
cosa. La leggenda dice che anche quando viene bruciato rinasce dalle sue ceneri, e la rosa è il fiore più forte e più difficile da uccidere). Dio mi ha benedetto come non avrei mai potuto immaginare!»
BECCA CRUZE
«Sono cresciuta in una casa molto violenta. Non mi piacevano i ragazzi e non facevo sesso. A 14 anni, andai dal dottore. E con mia sorpresa mi disse che ero incinta. Che cosa!? Come poteva essere?! Non avevo idea che mio padre facesse sesso con me. Sapevo solo che era una cosa orribile e non mi piaceva. Cosa avrei fatto, ora, con un bambino? Mi sentivo così sola e imbarazzata. I miei genitori mi hanno nascosta da tutti i miei familiari. Ero come l’uomo invisibile. Nel marzo dell’anno seguente ho dato alla luce una bambina. Non sapevo come amarla. Come fa una quindicenne maltrattata ad amare? Non sapevo amare, ero piena di odio. Il tempo è passato e la vita mia e di mia figlia è stata molto tribolata, ma ora le cose si sono sistemate. Sappiamo che quello
che mi è successo è stato fatto con intenti malvagi, ma Dio ha cambiato il male in bene.
Io amo Rowena e lei ama me. Ci piace vivere la nostra vita insieme. Rowena è stato un dono di Dio, in mezzo alla violenza e all’incesto. Lo so che molti non capiranno come posso dire queste cose. Ma non era colpa di Rowena se mio padre mi abusava. Meritava la vita e ringrazio Dio per avermi dato la forza di farla nascere e di tenerla con me. Lei è il segno dell’amore di Dio per me, nonostante tutte le tribolazioni che ho passato».
NICOLE COOLEY E MORGAN
Drogata e violentata. Anche Nicole è stata abusata dal ragazzo con cui usciva. Anche lei ha seguito il consiglio di chi le diceva di abortire. «La prima volta che ho condiviso pubblicamente la mia testimonianza, una donna è venuta da me in seguito e mi ha detto: "Grazie per la condivisione. Mia madre mi ha costretto ad abortire quando avevo 16 anni. Ho sempre pensato che fosse sbagliato. Tu sei la prima persona a convalidare ciò che ho sempre saputo”». «Penso che fosse dipendente dalla pornografia. Non posso spiegare razionalmente il suo comportamento in altro modo: mi ha drogata e mi ha stuprata. Ho dei ricordi vaghi, come in un incubo. Per diversi giorni ho creduto di aver sognato. Lui mi rassicurava che non era successo niente». «Due test di gravidanza positivi mi hanno costretto a una realtà che non ero preparata ad affrontare». «Sappiate che dire a qualcuno in crisi: "Qualunque cosa tu voglia fare, ti sosterrò" non è di alcun aiuto. Chi chiede un consiglio ha bisogno di sentirsi dire: "So che è orribile e non sai come superare questa cosa, ma so che ce la farai. Camminerò con te a ogni passo. Ce la farai. Tu sei forte. Puoi farlo. So che nove mesi sembrano un’eternità, ma in realtà non lo sono. Non prendere una decisione oggi di cui ti pentirai per il resto della tua vita. Scegli la vita. È la scelta migliore per entrambi”. «Tutti, compreso il pastore della mia chiesa, mi hanno consigliato di abortire. Sentivo di non avere scelta. Ero convinta che nessuno avrebbe adottato il mio bambino con il 50% di possibilità di portare il gene della neurofibromatosi (una malattia che aveva mio padre). Ho iniziato a prepararmi per l'aborto. Mi
sentivo come un agnello portato al macello.
Non credevo di avere scelta». «Dopo l'aborto, ho imparato che c'è qualcosa di peggio dell’essere violentata. Con l’aborto
mi è sembrato di essere stata violentata di
nuovo, ma peggio, perché questa volta avevo acconsentito. In entrambi i casi, degli uomini mi hanno aggredito fisicamente. Il secondo trauma, l’aborto, mi ha bloccata emotivamente, mi ha messo fuori gioco. Ho negato per anni il lutto». «Ci sono voluti quattro anni per iniziare il lento sentiero che conduce alla guarigione in Cristo. Se non fosse stato per il meraviglioso marito che Dio mi ha mandato, non so se sarei qui oggi». «Ora lavoro con il Center for Bio-Ethical Reform, faccio conferenze prolife nei campus universitari in Virginia e nel sud-est. Un giorno, ho cominciato il mio discorso dicendo che le mie parole non avevano lo scopo di condannare nessuno. Avendo abortito io stessa, comprendo troppo bene quel senso di colpa mal riposto. Ho spiegato le ragioni pro life, ho mostrato immagini di aborti del primo trimestre... non
avevo idea che quel giorno tra il pubblico ci fosse una vittima di stupro incinta: Morgan.
Morgan mi ha detto due mesi dopo che lei era lì, seduta tra il pubblico. La notte in cui era stata violentata, era sgattaiolata fuori di casa per uscire con gli amici. Stuprata da un gruppo di balordi mentre tornava a casa, non disse niente a nessuno. Quando ha scoperto di essere incinta, i suoi amici del liceo le hanno preso appuntamento per un aborto il sabato successivo. Ma poi, ha ascoltato la mia testimonianza e ha visto le immagini e ha capito di non poterlo fare. Morgan ha così avuto il coraggio di raccontare ai suoi genitori quello che era successo - nonostante si vergognasse di essere sgattaiolata fuori di casa e di aver pianificato un aborto a loro insaputa. I suoi l’hanno sostenuta. Ha scelto l’adozione per il suo bambino. Durante la gravidanza, ha conosciuto Save The 1 e si è unita al loro gruppo Facebook privato frequentato da donne che avevano subito la sua stessa esperienza. Tramite la chiesa ha trovato la famiglia perfetta per la sua bambina: l’ha chiamata Justice, Giustizia».
«Il dolore per la perdita di mio figlio è il più grande rimpianto della mia vita. Mi ha schiacciato. L’aborto costringe una madre a
rivoltarsi contro la propria carne e il proprio
sangue. È autodistruttivo come nessun altro trauma: le cicatrici sono profonde. Anche lo stupro è traumatico, senza dubbio. Ma è sbagliato sommare il trauma dello stupro con un secondo trauma, quello dell'aborto. L’aborto è un’ulteriore ferita per le vittime di stupro; non aiuta, mai. La scelta migliore per una donna che ha concepito durante uno stupro è continuare la gravidanza, circondata e sostenuta da familiari e amici, e magari da un Centro di aiuto alla vita. Per me, la storia di Morgan è stata una grazia di Dio. Il mio bambino è morto e il mio cuore si è
spezzato, ma il mio dolore e la mia sofferenza e la mia dolorosa testimonianza hanno salvato la vita alla piccola Justice, e sua madre vive senza
il rimpianto dell’aborto. In effetti, quando salvi il bambino, salvi effettivamente due persone: madre e figlio. Il nostro gruppo si chiama “Save The 1”, ma quando “salvi 1”, salvi anche la madre: salvi entrambi».
LAURAN BUNTING CON ISABELLA
Lauran è stata violentata da un ragazzo che conosceva. Suo padre avrebbe voluto farla abortire. Lei si è rifiutata e - alla fine - ha rifiutato anche di dare in adozione Isabella. «Le donne che subiscono violenza hanno bisogno di speranza. Hanno bisogno di sentire che per le vittime di stupro c’è una possibilità di non abortire e di amare i loro bambini.
L’aborto in caso di stupro aggiunge violenza alla violenza: e la vittima - oltre al bambino - è
sempre la donna».
LESLEY MCASKIE
Lesley è stata violentata a 13 anni dal ragazzo con cui usciva. Tutti le hanno consigliato di abortire e lei l’ha fatto. «L’aborto ha rovinato la mia vita per 37 anni. Ho superato la violenza, ma non ho mai superato l’esperienza dell’aborto». «Se una donna si trova incinta in seguito
a uno stupro, ha davvero bisogno di
ricevere cure. Ha bisogno di compassione, ha bisogno di consulenze, ha bisogno di un grande sostegno. Non ha bisogno di un altro atto di violenza come l’aborto». «Donna, non andare ad abortire perché è una soluzione rapida, non lo è! L’orrore di quell’aborto rimarrà con te per il resto della tua vita».
BETTY MICHAEL ESENE CON DESTINY
«Non volevo quel figlio. Non sono riuscita ad abortire per mancanza di soldi, ma avrei voluto ucciderlo con tutta me stessa. Poi alla fine di una gravidanza molto travagliata, ho partorito». «Nel momento in cui l’ho tenuto
tra le braccia, ho sentito una grande pace
interiore. Ora lo guardo e mi chiedo come avrei mai potuto rifiutare una benedizione così gloriosa: è il regalo più meraviglioso e più dolce che la vita mi abbia fatto! Il suo sorriso mi dà una ragione per essere forte e andare avanti con la mia vita. Capisce ogni mio stato d’animo e il nostro legame è così forte! Adesso ha cinque mesi e non me ne separerei mai.
Non è il prodotto dello stupro; piuttosto, lo
vedo come un figlio del destino e questo è il motivo per cui l’ho chiamato Destiny». «Il mio bambino non ha alcuna colpa. Ha il diritto di vivere - ogni bambino ha una vita da vivere, anche i bambini nati da uno stupro. Hanno un grande futuro e un creatore - Dio - che non è stato stupido ad averli mandati sulla terra. Non sono il prodotto dello stupratore, ma l’opera creativa di Dio. Sono nati per uno scopo e per compiere un destino, proprio come mio figlio!».