Notizie Pro Vita & Famiglia_marzo 2021_ Giornata mondiale sindrome di Down

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(AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE:BZ N6/03DELL'11/04/2003)

POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTOPOSTALE - DL353/2003 (CONV.INL27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA1 NE/TN

Organo informativo ufficiale dell’associazione Pro Vita & Famiglia Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -

«OGNI VITA È UN DONO» Giornata Mondiale della Sindrome di Down

ANNO IX MARZO 2021 RIVISTA MENSILE N. 94

p. 12

p. 16

P. 22

Enrica Perucchietti

Silvana De Mari

Francesca Romana Poleggi

L’8 marzo ai tempi del gender

Donne, cioè dominae, reginae, annientate

La Giornata mondiale della sindrome di Down


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Notizie Pro Vita & Famiglia

Ci sono due date nel mese di marzo che non ci possono lasciare indifferenti: la Festa della donna e la Giornata mondiale della sindrome di Down


marzo 2021

Editoriale

Ci sono due date nel mese di marzo che non ci possono lasciare indifferenti: la Festa della donna e la Giornata mondiale della sindrome di Down, a cui abbiamo perciò dedicato buona parte delle pagine di questa rivista. Nei confronti delle donne, da uomo, nutro una profonda ammirazione: vorrei avere la capacità di affrontare i mille problemi che la vita ci pone dinanzi ogni giorno con la forza, l’intelligenza, lo spirito pratico che hanno le donne. Vorrei saper coltivare i rapporti umani con la sensibilità, la capacità di calarsi nei panni altrui che hanno le donne… Lo testimoniano gli antichi: dall’VIII al XIV secolo, durante “l’oscuro” Medioevo le donne sono state regine, comandanti di eserciti, sante, filosofe, scienziate. Fu poi l’umanesimo “laico”, imbevuto di diritto greco-romano, che le relegò in ruoli di secondo piano: peccato che le femministe moderne la storia non l’abbiano studiata.

Mi dispiace e mi indigna profondamente la mentalità prevalente (abortista e contraccettivista) che con la menzogna di una falsa emancipazione umilia le donne - come scrive Silvana De Mari - le degrada, dalla condizione di “dominae”, regine, in cui le ha poste la natura umana (o meglio, il Creatore), a mero oggetto sessuale. Riguardo alle persone con trisomia 21, avrete modo di leggere - tra l’altro dell’impegno che Pro Vita & Famiglia profonde, con la nostra campagna SOS Disabili, perché vengano riconosciuti in modo sostanziale i loro diritti che - quando ci sono - stanno solo sulla carta. Senza dimenticare, però, che per i disabili, come per tutti gli esseri umani, è profondamente ipocrita parlare di diritti se non viene loro riconosciuto innanzitutto il diritto alla vita. 

Toni Brandi

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Notizie Pro Vita & Famiglia

Sommario 3

Editoriale

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Lo sapevi che...

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Dillo @ Pro Vita & Famiglia

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Versi per la vita Silvio Ghielmi

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Giornata Mondiale della Sindrome di Down p. 22

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La cultura della vita e della famiglia in azione

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L’8 marzo ai tempi del gender

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Donne, cioè dominae, reginae, annientate

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Mirko Ciminiello

Enrica Perucchietti

Silvana De Mari

Le baccanti e l’aborto

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Giornata Mondiale Sindrome di Down

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Roberto Marchesini

Francesca Romana Poleggi

Nessuno si senta al sicuro

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Il peccato originale nella società odierna (parte I)

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La favola di mamma e papà

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Tommaso Scandroglio

Veronica Zanini

Clemente Sparaco

Ministoria di un virus e di un laboratorio cinese

RIVISTA MENSILE N. 94 — Anno IX Marzo 2021 Editore Pro Vita & Famiglia Onlus Sede legale: via Manzoni, 28C 00185 Roma (RM) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio 3 39040 Salorno (BZ) www.provitaefamiglia.it Cell. 377.4606227 Direttore responsabile Toni Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi

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Francesco Avanzini

Progetto e impaginazione grafica Co.Art s.r.l. Tipografia

In cineteca

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In biblioteca

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Distribuzione Caliari Legatoria Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Francesco Avanzini, Mirko Ciminiello, Silvana De Mari, Silvio Ghielmi, Roberto Marchesini, Enrica Perucchietti, Francesca Romana Poleggi, Tommaso Scandroglio, Clemente Sparaco, Veronica Zanini.

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Notizie Pro Vita & Famiglia

Lo sapevi che... Liberi di farsi amputare L'apotemnofilia, meglio nota come BIID, Body Integrity Identity Disorder, cioè disturbo dell'identità e dell'integrità corporea, è una rara condizione psichiatrica in cui le persone fisicamente sane “sentono” che un loro organo non fa parte della loro identità; lo vogliono amputato, anche se si rendono conto che diventeranno disabili. Spesso poi indossano una protesi per recuperare almeno in parte la funzionalità dell'arto perduto. In un provocatorio articolo su The New Bioethics, Richard Gibson, dell’Università di Manchester, nel

Regno Unito, si chiede cosa ci sia di sbagliato in tutto ciò, soprattutto se la protesi moderna fornisse una funzionalità uguale o migliore dell'arto amputato. In tal caso, il medico non sarebbe più tenuto eticamente a rifiutarsi di amputare l'arto sano, perché la cosa non nuocerebbe al paziente. Nel momento in cui si abbandona l'idea di natura umana e di stato di salute naturale, è difficile resistere alla follia di voler “riconfigurare” il corpo umano. Il transgenderismo ha già aperto la strada in tal senso.

La “bioetica dello stupore” Aristotele diceva che è attraverso la meraviglia che gli uomini iniziano a filosofare. Sulla rivista Ethics & Behaviour, la bioeticista australiana Margaret Somerville ha parlato della "Wonder Equation", l’equilibrio dello stupore che dovrebbe pervadere la riflessione bioetica. Etichettata come “conservatrice” su temi come l'eutanasia, l'aborto, le tecnologie riproduttive e il matrimonio tra persone dello stesso, la Somerville sostiene che non vuole proteggere posizioni morali superate e superflue, ma piuttosto far tesoro della saggezza accumulata nel corso

dei millenni dalla società umana e di ciò che l'individuo ha maturato nel corso della sua vita e della sua storia personale. Con questo bagaglio umano «dovremmo essere aperti a sperimentare "stupore, meraviglia e incanto" in quante più situazioni e il più spesso possibile». Per esempio, se ci fermiamo a contemplare la meraviglia dello sviluppo di un bambino nel grembo, è probabile che percepiremo il mistero che lo circonda e saremo indotti a escludere l'aborto o l'infanticidio. 

Italiani in via di estinzione Nel 2019 in Italia ci sono state 420.000 nascite, il numero più basso dal 1861. Nel 2020 sono state circa 408.000. Secondo Gian Carlo Blangiardo, presidente dell'Istat, questo ulteriore calo delle nascite è dovuto al clima di paura e incertezza e alle crescenti difficoltà di

natura materiale generate dai recenti eventi legati alla pandemia. A parte il virus, il tasso di disoccupazione del Paese è destinato a salire, nel 2021, all'11%. Adesso c'è un bambino italiano ogni cinque persone sopra i 65 anni. 


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Il primo libro di Tim Tebow incoraggia i bambini con bisogni speciali Tim Tebow, ex campione di football americano, ha scritto il suo primo libro per bambini, Bronco & Friends: A Party to Remember: Bronco, il cane, è quasi cieco, Ethan l'uccello non può volare, Alexis la capra non riesce a smettere di starnutire e Chelsie il coniglio si preoccupa

che le sue grandi orecchie continuano a intralciarlo: come faranno ad andare alla festa? Si incoraggiano a vicenda e imparano a vedere se stessi, le loro differenze e anche i loro limiti in modo completamente nuovo. 

Twitter censura tutti quelli che vuole, meno che i pedofili Una vittima di abusi sessuali ha denunciato Twitter per un video che riprendeva le violenze da lui subite quando aveva 13 anni. Il video è stato rimosso solo dopo l’intervento del Department of Homeland Security, ma ormai aveva già accumulato oltre 165.000 visualizzazioni e 2.223 retweet.

Alle prime, ripetute segnalazioni della madre della vittima, Twitter aveva risposto: «Grazie per la segnalazione. Abbiamo esaminato il contenuto e non abbiamo riscontrato alcuna violazione delle nostre norme, quindi non verrà intrapresa alcuna azione in questo momento». 

Le complicanze dell’aborto chimico continuano a essere sottostimate Il governo ha affermato che in Inghilterra e Galles, tra aprile e giugno 2020, gli aborti casalinghi "fai da te'' sono stati 23.061 e che c’è stato solo un evento avverso. Se fosse vero, significherebbe che il tasso medio di complicanze per gli aborti farmacologici fatti sotto supervisione medica negli ultimi cinque anni è stato più di diciassette volte superiore a quello registrato in quei tre mesi: bisognerebbe, allora, avviare un’indagine sulle cliniche per l'aborto! È molto più verosimile, invece, che

gli episodi avversi (infezioni ed emorragie gravi, soprattutto) che si verificano con gli aborti casalinghi non vengano segnalati. Coloro che stanno spingendo per la normalizzazione dell'aborto “fai da te” sanno bene i pericoli che comporta. Contrariamente alla loro retorica, gli abortisti sembrano essere più preoccupati di espandere l'accesso all'aborto, piuttosto che di garantire la salute delle donne. 

2.000 bambini salvati dalla morte per Ru-486 L'Abortion Pill Rescue Network, che offre l’antidoto contro la Ru486, alla fine dell'ottavo anno di attività ha salvato la vita di più di 2.000, nati sani nonostante le madri avessero iniziato il processo di aborto chimico. E il numero continua a crescere. La hotline, aperta 24

ore su 24, 7 giorni su 7, indirizza le donne che hanno preso il mifepristone, ma non ancora le prostaglandine, presso un medico, che con massicce dosi di progesterone interrompe il processo abortivo. 

Giochi mortali A Palermo una bambina di dieci anni è morta per un gioco, una sfida, una prova di soffocamento estremo, il Blackout challenge, che gira su TikTok, uno dei social più seguiti dagli adolescenti. Dove sono i “censori”

che si arrogano il diritto di decidere cosa può essere pubblicato sui social e cosa no? E dove sono gli “educatori”? Bisogna dare per forza i cellulari ai bambini, perché “ce l’hanno tutti”? 


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Notizie Pro Vita & Famiglia

Dillo @ Pro Vita & Famiglia

Cara Redazione, in uno speciale sui fatti dell'Olocausto hanno detto che il numero che veniva tatuato sul braccio ai prigionieri, cancellando loro il nome, aveva come scopo ultimo quello di fare il primo passo per cancellarli dall'Umanità. Il secondo fu quello di sterminarli per la teoria dello spazio vitale. Ecco, questo mi ha fatto riflettere su quello che sta succedendo oggi, nello stesso modo, con la cancellazione della definizione di “padre” e “madre” per sostituirli con i numeri: “genitore 1” e “genitore 2”. Non sarà il primo passo per cancellare i genitori della famiglia dall'Umanità? Il secondo sarà quello di sterminarli, in nome di una nuova filosofia dello spazio vitale? Aldo


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Versi per la vita PESTE SOVRANA Tempo di sorti orribili e funeste. Si parla del Covid come una peste che, allegramente, scorre ed incorona e anziani inefficienti non perdona. Ma c’è una peste molto più efficace di cui qualcuno ignoto si compiace. È silenziata e domina sovrana. È la globale peste malthusiana, e i morti conteggiati son milioni chiamati “volontarie interruzioni”. Si tratta qui del secolo allargato con quei decessi fatti a perdifiato, continui, in un silenzio compattato, laddove i “capi” piegano la schiena donando come farmaco approvato la pillola “civile” che avvelena.

SILVIO GHIELMI classe 1926, laureato in chimica a Milano, Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa della verità e della vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.

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Notizie Pro Vita & Famiglia

La cultura della vita e della famiglia in azione #AttiviamociPerIlBeneComune a cura di Mirko Ciminiello

Come di consueto presentiamo ai nostri Lettori un resoconto delle principali attività svolte dai nostri circoli territoriali. Come sempre, il nostro grazie giunga a tutti i volontari che in tutta Italia hanno reso possibile trasformare la cultura della vita e della famiglia in azione. Il 22 dicembre abbiamo organizzato la prima di una serie di riunioni via Zoom con gli amici più attivi di Pro Vita & Famiglia, per fornire aggiornamenti sulle nostre campagne e per scambiarci idee, critiche, opinioni. Il 29 dicembre, a Roma, una piccola delegazione (dovuta alle direttive antiCovid) ha partecipato davanti a piazza Montecitorio a #LiberiDiEducare2, un’iniziativa a sostegno della libertà educativa della famiglia. Ha fatto poi seguito, il 30 dicembre, il flash mob virtuale, in diretta streaming, “#Liberidieducare: la maratona per la famiglia!”, con la partecipazione di Maria Rachele Ruiu. Hanno partecipato anche suor Anna Monia Alfieri, Massimo Gandolfini, Domenico Menorello, Giusy D’Amico, Chiara Iannarelli, padre Luigi Gaetani e ha moderato Rosa Criscuolo. Il 12 gennaio abbiamo aderito all’appello in favore dell’istruzione degli alunni con disabilità e contro la bozza del nuovo modello PEI, diramato dai gruppi Facebook “Non c’è PEI senza condivisione”, “Sostegno:

Normativa per l’inclusione” e “CIIS, Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno”, e sottoscritto da numerose altre associazioni. Il 16 gennaio, Pro Vita & Famiglia, tramite il suo braccio operativo, Generazione Famiglia, ha espresso al direttore dell’USR Lazio, Pinneri, e all’Assessore regionale alla scuola Di Berardino, le preoccupazioni e le richieste dei genitori in relazione alla ripartenza e al buon funzionamento della scuola in presenza. Il 20 gennaio, a Roma, Pro Vita & Famiglia ha partecipato, assieme ad altre associazioni prolife e pro-family quali Family Day, Non si tocca la Famiglia e CitizenGO, al flash mob davanti al Viminale organizzato per protestare contro la reintroduzione dei termini “genitore 1” e “genitore 2” sulle carte d’identità dei minori di 14 anni. Sempre il 20 gennaio ha avuto inizio la campagna di affissioni e camion vela #stopaborto, #ioscelgolavita, ideale prosecuzione della campagna #dallapartedelledonne contro la pillola RU486.


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Campagna di sensibilizzazione promossa da Pro Vita & Famiglia Onlus per la tutela del diritto fondamentale alla vita (art. 2 Cost.) sull’incoerenza del pensiero abortista e sull’umanità del concepito. Questa grafica costituisce espressione del diritto alla manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) finalizzata a suscitare un dibattito plurale e la riflessione critica. Non è idonea a ledere diritti e libertà positivamente previsti dalla legge.

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In tutta Italia, i nostri circoli hanno collaborato attivamente non solo alla realizzazione della campagna, ma hanno anche agito in modo rapido e incisivo quando i manifesti sono stati strappati incivilmente o censurati dalle autorità locali. Hanno scritto proteste, organizzato manifestazioni e inviato comunicati stampa che sono stati ripresi dalla stampa e dai media locali: il dibattito sull’aborto si sta riaprendo, ed è questa una grande vittoria che si sta concretizzando.

I diritti umani iniziano nel grembo materno. #ioscelgolavita

Quanto al nostro impegno sociale nei confronti delle famiglie meno fortunate, il 29 gennaio abbiamo organizzato un’altra distribuzione di pacchi di generi alimentari presso il nostro ufficio di Roma. Campagna di sensibilizzazione promossa da Pro Vita & Famiglia Onlus per la tutela del diritto fondamentale alla vita (art. 2 Cost.) sull’incoerenza del pensiero abortista e sull’umanità del concepito. Questa grafica costituisce espressione del diritto alla manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) finalizzata a suscitare un dibattito plurale e la riflessione critica. Non è idonea a ledere diritti e libertà positivamente previsti dalla legge.


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Notizie Pro Vita & Famiglia

L’8 marzo ai tempi del gender Enrica Perucchietti

Che senso ha la Festa della donna in un mondo che permette le battaglie femministe solo e nei limiti degli interessi degli uomini, dei ricchi e dei transessuali?

Come ogni anno è inevitabile tracciare un bilancio in occasione della Festa della donna. Nella società liquida del politicamente corretto si ritiene che si siano fatti enormi passi avanti nel campo dei diritti delle donne: i traguardi che vengono sbandierati con orgoglio, negli ultimi anni, si riassumono, però, nella battaglia del #Metoo, nella declinazione al femminile dei nomi (architetta, presidenta, assessora, ecc.), nell’emancipazione sessuale, nelle campagne per l’aborto, e nelle battaglie contro la violenza di genere. Noi donne possiamo dirci realmente soddisfatte di tali rivendicazioni? Dove finisce la patina buonista della propaganda e dove inizia la concretezza delle rivendicazioni femministe? Nell’ultimo anno, per esempio, abbiamo assistito a una campagna denigratoria e violenta - ma emblematica - contro la scrittrice femminista J.K. Rowling. La “mamma” di Harry Potter e di Cormoran Strike è finita a più riprese al centro di bufere sui social network per aver fatto delle affermazioni ritenute discriminatorie e transfobiche. Il 6 giugno scorso Rowling aveva contestato il


titolo di un articolo sulla parità sanitaria, che recitava Creare un mondo post-Covid-19 più equo per le persone che hanno le mestruazioni, ironizzando in un tweet: «“Le persone che hanno le mestruazioni”... sono sicura che ci fosse una parola per quelle persone. Qualcuno mi aiuti. Wumben? Wimpund? Woomud?», riferendosi con sarcasmo al termine women, “donne”. Il tweet aveva scatenato una serie di attacchi feroci, arrivando agli insulti («Strega», «Cagna», «Feminazi», «Terf», sigla usata in modo dispregiativo che sta per “Femminista Radicale che Esclude i Trans”), da parte di chi aveva voluto leggere nelle parole della scrittrice la volontà di definire “donna” solo chi ha le mestruazioni (escludendo pertanto i trans). I leoni da tastiera sono gli stessi che quotidianamente promuovono tematiche “politicamente corrette”: la violenza di costoro si riversa, però, contro chiunque osi discostarsi dal pensiero unico, mostrando la ferocia e l’ipocrisia del “buonismo”. A dicembre 2019 la Rowling era già stata accusata, sempre su Twitter, di essere transfobica, dopo essersi schierata in difesa di Maya Forstater, una ricercatrice che aveva perso il posto di lavoro in un think tank per aver sostenuto che il sesso biologico è un dato oggettivo e che le “donne” transessuali non sono vere donne. Apriti cielo! Anche in quella occasione la scrittrice era finita alla gogna per aver osato contestare indirettamente le teorie di genere. Una polemica simile ha infuocato gli animi anche nel nostro Paese in una cornice ancora più surreale. Alcuni attivisti Lgbt hanno chiesto a Francesca Chiavacci, presidente di Arci, l’allontanamento di Arcilesbica dalla Federazione, con l’accusa di transfobia. Il casus

belli si è consumato domenica 31 maggio 2020 in un webinar di Arcilesbica volto a lanciare in Italia la Declaration on women’s sex-based rights, un manifesto ispirato alle idee della scrittrice Sheila Jeffreys. In questo documento si parla apertamente della discriminazione che le donne subiscono quando il concetto di identità di genere prevale sul dimorfismo sessuale: ammettere sotto il cappello nozionistico di “donna” chiunque si senta tale, ma non lo sia (quindi i trans), rischia di sminuire le conquiste ottenute dalle donne. Evidentemente questo è diventato un tema tabù, talmente scomodo da non poter nemmeno essere nominato. La frattura in seno al movimento Lgbt, però, è ben più profonda, in quanto Arcigay non ha mai digerito la contrarietà di Arcilesbica e delle

Arcigay non ha mai digerito la contrarietà di Arcilesbica e delle femministe alla pratica dell’utero in affitto


La natura non può piegarsi ai capricci o agli interessi economici, come invece si possono piegare le parole, declinandole al femminile, per assecondare le rivendicazioni di noi donne

femministe alla pratica dell’utero in affitto, che sfrutta e mercifica il corpo femminile. È chiaro che i tanto sbandierati diritti delle donne finiscono in secondo piano dinanzi agli interessi miliardari che ruotano intorno alla maternità surrogata e all’egoismo di alcuni soggetti che intendono giustificare una pratica ignobile. Non va meglio oltreconfine, come testimonia Marie-Josèphe Bonnet, autrice di Adieu les rebelles!, che proprio per le sue posizioni contro l’utero in affitto, «una forma di schiavismo moderno», nel dicembre 2014 ha visto annullata la sua presenza a una conferenza organizzata dall’associazione Les Oublié-es de la mémoire dal titolo Résistance - Sexualité - Nationalité à Ravensbrück. La sua presenza disturbava profondamente il movimento Lgbt francese, evidentemente allergico al libero pensiero: la presenza della Bonnet non era gradita in quanto si era macchiata di «dichiarazioni virulente e vicine alle posizioni della Manif pour tous». La coordinazione delle lesbiche francesi ha successivamente a sua volta abbandonato il centro Lgbt. Difendere i diritti delle donne può implicare, se questi rischiano di opporsi a certi evidenti interessi, la gogna mediatica e la damnatio memoriae. Le battaglie femministe, al tempo del gender, vengono permesse solo e nei limiti degli interessi degli uomini e dei transessuali. Il paradosso di tutto ciò è che in una società in cui la scienza è diventata un dogma, la stessa scienza viene piegata con disinvoltura alla mercé dei capricci dei sostenitori del gender (che non ha nulla di scientifico). Costoro hanno di fatto istituito l’ennesimo “psicoreato”: semplicemente non si può dire la verità, ossia che esiste una differenza biologica tra maschi e femmine e che i trans che si sentono donne non sono in realtà tali. Non si possono nemmeno criticare pratiche come l’utero in affitto, peraltro vietato nel nostro Paese, senza essere tacciati con i peggiori epiteti. Per chi non l’avesse ancora capito, ci troviamo di fronte a una rivoluzione antropologica


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che i poteri forti stanno promuovendo e imponendo in tutto il mondo, con cui si vuole riprogrammare l’opinione pubblica e la morale collettiva. Essa, come spiegavo con Gianluca Marletta in Unisex e come ho approfondito nel mio Utero in affitto, trae linfa e forza dai princìpi buonisti e falsamente umanitari su cui sembra basarsi. L’intenzione evidente è di sradicare l’identità sessuale per rendere fluida la sessualità e amorfo l’individuo. Dalla rivendicazione del “corpo è mio e me lo gestisco io”, pertanto, siamo finiti per giustificare, legittimare - e in molti Paesi persino permettere - quella mercificazione del corpo umano che è l’utero in affitto. Ha ragione la filosofa e femminista Luisa Muraro a rivendicare nel suo libello L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto, «l’impegno femminista per la libertà» coerente con la critica alla maternità surrogata. Muraro nota, infatti, come la possibilità di diventare madre sia «una prerogativa che in antiche culture ha ispirato un rispetto sacro per il corpo femminile. Soltanto lo stato di necessità può giustificare […] che una si privi delle sue prerogative senza con ciò sminuirsi». Eppure, queste esternazioni, seppure provengano da femministe e siano a difesa delle donne contro lo sfruttamento del corpo femminile e la compravendita di neonati, vengono viste come fumo negli occhi dalla nostra società, sempre più orientata in una direzione di liquefazione e strumentalizzazione dei diritti. Il piacere, l’ego e il capriccio dei maschi e dei ricchi prevale, di fatto, ancora oggi, nel 2021, sui diritti basilari delle donne. Tra cui il diritto a non essere sfruttate e schiavizzate come incubatrici per fabbricare neonati da vendere a compratori ricchi. Il femminismo e gli studi di genere hanno infatti condotto le femministe in un cul de sac, arrivando a giustificare e promuovere non solo l’utero in affitto, ma anche pratiche transumaniste come l’ectogenesi. Sebbene queste rivendicazioni vengano promosse ipocritamente come fossero a sostegno delle

donne, è chiaro che il ruolo della donna finisce per sparire all’orizzonte, schiacciato sotto il peso di ben altre figure e ben altri interessi. Il sogno transumanista di una società in cui le prossime generazioni possano nascere in uteri artificiali, piace ai tecnocrati (come Jacques Attali) e persino ad alcune femministe (come Anna Smajdor ed Evie Kendall) che vedono nell’utero artificiale la liberazione della donna e uno strumento di uguaglianza. Il passo verso una popolazione di automi o individui geneticamente modificati è già in atto: è tempo di decidere consapevolmente che cosa vogliamo per il nostro futuro. In questo scenario la donna deve comprendere che la battaglia lecita e doverosa per i suoi diritti non deve passare attraverso la rinuncia delle sue caratteristiche essenziali e naturali. La natura non può piegarsi ai capricci o agli interessi economici, come invece si possono piegare le parole, declinandole al femminile, per assecondare le rivendicazioni di noi donne. 

È evidente l’intenzione di sradicare l’identità sessuale per rendere fluida la sessualità e amorfo l’individuo. Quindi bisogna cancellare anche le donne

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Donne, cioè dominae, reginae, annientate Silvana De Mari

«Il giudizio sarà senza misericordia contro chi non ha usato misericordia» (Gc 2,13). La cosiddetta rivoluzione sessuale ha imposto alle donne una sessualità “usa e getta” di tipo maschile. Il corpo delle donne però è fatto in maniera diversa da quello degli uomini. Gli uomini possono sperperare tutto il loro patrimonio di spermatozoi senza subire aggressioni al sistema endocrino e a quello coagulativo. Un uomo che si masturba o che ha rapporti da cui non desidera figli non rischia né l’infarto, né l’ictus e il suo sistema endocrino resta intatto. Nell’atto sessuale con una donna infetta di una qualche malattia sessualmente trasmissibile, per il maschio il rischio è basso. Le donne hanno un ventre che può portare una gravidanza. Se l’atto sessuale diventa un giocattolo, un passatempo, un qualcosa con cui riempire il vuoto che c’è tra il ritorno dal lavoro e l’alba successiva, per il corpo dell’uomo non c’è alcun problema. Il corpo della donna per evitare di trasformare la presenza dello spermatozoo in una gravidanza dovrà subire una serie di aggressioni farmacologiche e fisiche con conseguenze drammatiche, quando non tragiche. Nessuno ci dirà mai il numero di donne giovani, donne sane, morte di ictus o di infarto per la pillola contraccettiva e per quella dei vari giorni Questa ragazzina che schiaccia sotto il piede un bambolotto era tra le donne che manifestavano a favore della legalizzazione dell’aborto in Argentina.


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dopo. Non sapremo mai l’esatto disastro che l’infiammazione cronica causata dalla cosiddetta spirale ha determinato. Sappiamo approssimativamente il numero di milioni di aborti che vengono fatti per donne sempre più incapaci di imporre al mondo la loro maternità. In più, questa anche è una parte divertente, se una donna ha rapporti con un uomo infetto di una qualche malattia sessualmente trasmissibile, il suo rischio di infettarsi è doppio o triplo rispetto all’ipotesi contraria. La mia spassionata impressione è che la cosiddetta libertà sessuale non sia stato un dono per le donne. Per arrivare alla libertà sessuale la donna deve calpestare la base della propria femminilità, il fulcro della femminilità, che è la maternità. Le donne sono state spinte a sopprimere la loro maternità. Per poterlo fare hanno soppresso l’istinto materno, ma gli istinti non si lasciano soffocare: se qualcuno li soffoca, generano follia. La follia che si manifesta in tre canali. Il primo è la cura dei corpi che sostituiscono il corpo del figlio non avuto, soprattutto cani e gatti presenti fisicamente in casa, trattati sempre più da figli, col cappottino, il passeggino e anche il giubbottino galleggiante (visto personalmente); ma anche deliri di animalismo sempre più estremo e veganismo sempre più diffuso. Il secondo canale è la sostituzione del corpo del figlio non nato e non accudito col proprio corpo, che diventa il centro di un pensiero ossessivo, con una continua

ricerca di “purificazione” e miglioramento: l’azione depurante dell’acqua, delle tisane, del digiuno, delle diete, della camminata nel parco, in montagna, sulla spiaggia, sui carboni ardenti, andando dall’estetista, bevendo la propria urina (giuro, non me lo sono inventata)... trillano e scintillano su ogni pagina del giornale femminile: la depurazione, cioè la purificazione, è diventata un’ossessione permanente, insieme alla gelida determinazione di sperperare ore e ore a fare ginnastica aerobica, step, pesi, zumba, correre, tutta roba di una noia abissale. Il terzo canale potremmo definirlo di vendetta cosmica: tutto il mondo deve essere coinvolto, nessuno può essere esonerato. L’aborto deve essere finanziato da denaro pubblico, non è prevista un’obiezione di coscienza fiscale, e questa è una violazione della libertà di coscienza e della libertà religiosa. Le donne avevano giurato: «L’utero è mio e me lo gestisco io». Non lo hanno gestito loro. Questo programma è stato rinnegato in tutto il mondo. L’utero si gestisce con soldi pubblici perché tutti siano correi dello scempio. Tutti lo pagheremo. Tutti lo abbiamo già pagato, in queste società sempre più futili, sempre più miserabili, sempre più prive di voci di bambini, e lo pagheremo con la morte della nostra civiltà e con la morte della nostra anima. Adesso il cristianesimo è diventato panna montata e zucchero filato, in realtà è una religione durissima. Chiunque abbia permesso che col proprio denaro siano pagati gli aborti, ne

La cosiddetta libertà sessuale non è stato un dono per le donne: comporta il dover calpestare la base della propria femminilità, che è la maternità. Ma gli istinti non si lasciano soffocare: se qualcuno li soffoca, generano follia

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risponderà. Avremmo dovuto rifiutarci anche a costo di finire in galera, i primi cristiani finivano nel Colosseo sbranati dai leoni, gli ultimi cristiani finiscono bruciati vivi nelle loro chiese in Nigeria. Essere cristiani ha un costo, noi non lo abbiamo pagato, siamo diventati complici. L’aborto è il nuovo sacramento, nessuno deve esserne fuori, anche i bambini, anche le bambine devono essere coinvolte. A un bambino si può raccontare qualsiasi cosa. I bambini palestinesi hanno come massimo sogno di morire terrorista suicida, cioè morire uccidendo; il sogno dei bambini della HitlerJugend, gioventù hitleriana, era morire per il Führer, cioè morire uccidendo; quello dei pionieri sovietici era morire per Stalin, cioè morire uccidendo. Il sogno attuale è abortire, calpestare col piede e schiacciare il proprio bambino, cioè uccidere il proprio figlio, la propria progenie, la propria femminilità, la propria maternità... e un pezzo bello grosso della propria anima. La bimba che col piede schiaccia il bambolotto ha abiti verde sfolgorante decisamente sexy. Le nuove donne 3.0 sono una garanzia: i maschi che se la porteranno a letto lo potranno fare senza problemi di dover poi mantenere un figlio. La libertà dell’irresponsabilità più disumana. Se un uomo abbandona il suo cane, manifesti pubblici lo definiscono un bastardo. Far smembrare il proprio figlio dalla sanità pubblica perché tutta una nazione ne sia responsabile, è un inno alla libertà. Un uomo che lasci morire di fame i suoi figli pur di non mantenerli, è un uomo che vive la sua sessualità con libertà o è un irresponsabile? Una donna che uccide i

suoi figli facendoli smembrare nel proprio ventre, è una persona che vive la sua sessualità in maniera libera... e non osate sollevare qualche dubbio o vi cavano gli occhi. Possiamo affermare che far smembrare un figlio nel proprio ventre è un gesto eticamente più grave di abbandonare il cane? No, non possiamo. In Francia avremmo un procedimento penale e in Italia anche, dopo il ddl Zan Scalfarotto: scatterebbe l’accusa di misoginia. Chi abbandona il cane lo fa per conto suo, chi abortisce lo fa con i soldi miei. L’obiettore è un medico che ha la nausea di vedere i corpicini smembrati nel bidone dell’aspiratore, è un medico che non ne può più di smembrare corpicini. Il bellissimo film Unplanned (sulla storia di Abby Johnson, da direttrice di una clinica di Planned Parenthood a militante pro vita) mostra

Se un uomo abbandona il suo cane, manifesti pubblici lo definiscono un bastardo. Far smembrare il proprio figlio dalla sanità pubblica, perché tutta una nazione ne sia responsabile, è un inno alla libertà


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Le donne avevano giurato: «L’utero è mio e me lo gestisco io». Non lo hanno gestito loro. Questo programma è stato rinnegato in tutto il mondo. L’utero si gestisce con soldi pubblici perché tutti siano correi dello scempio

l’orrore di una persona favorevole all’aborto perché favorevole alla libertà della donna, che finalmente vede con i suoi occhi di cosa si tratta. Quel film racconta la mia storia: anche io ero favorevole all’aborto, “libertà della donna” era un ammasso di sillabe. Quando ho visto il corpicino smembrato, ho capito che violavamo tutti la libertà più elementare di non essere smembrati. Un anatomopatologo ha raccontato l’orrore di fronte a un feto di 16 settimane ucciso da un aborto volontario: in vita sua non aveva mai visto nulla con orrore come quel faccino deturpato dal forcipe. L’odio per gli obiettori di coscienza è un odio livido,

osceno, con la bava alla bocca. È l’odio che i sommersi hanno per i salvati, l’odio che chi vive nella menzogna ha per chi dice la verità: la verità è il diritto del corpicino di restare vivo. «Fuori gli obiettori dagli ospedali», è il nuovo slogan. Se non te la senti di fare aborti, non dovevi fare il medico. È il contrario. Se te le senti di fare aborti, forse la medicina non era il tuo campo. La libertà consiste nel fare il bene. Il male è fatto dai cattivi, i captivi, dai catturati, da chi ha permesso che la libertà più elementare, essere donne, dominae, reginae, sia stata annientata. 

Le femministe sostengono che l’istinto materno non esiste. Se ne sono davvero convinte, possono andare tranquille a togliere i cuccioli a un qualsiasi mammifero...


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Notizie Pro Vita & Famiglia

Le baccanti e l’aborto Roberto Marchesini

Chi ha convinto le donne che il sesso libero e promiscuo sia una conquista, una forma di emancipazione, così come l’aborto, l’uccisione del figlio? E per sdoganare l’aborto, la propaganda ha per prima cosa cancellato ontologicamente il figlio, il bambino... Noi moderni consideriamo la tragedia greca come letteratura: viene, infatti, studiata nel programma di questa materia. Eppure, la tragedia per i greci non era letteratura. Essa era un rito: era la rappresentazione in un piccolo spazio, con degli attori vestiti e mascherati, che recitavano formule, di un dilemma cosmico, di una crisi metafisica. Sul palcoscenico il dramma veniva rappresentato e

disciolto; a questo punto, esso era risolto realmente, a livello metafisico. Gli spettatori provavano, infatti, un senso di sollievo, di liberazione, chiamato catarsi. I cattolici capiranno immediatamente di cosa stiamo parlando. La tragedia greca era, infatti, una specie di Messa. Anche in questo caso noi vediamo un tizio, vestito in modo particolare, che recita delle formule e armeggia con pane e vino. Apparentemente non succede granché, non cambia nulla di importante; invece, a livello cosmico, nella realtà metafisica, cambia tutto. Con la Messa si aprono cateratte di Grazia, che piove sulla terra e rinnova l’alleanza tra Dio e i suoi figli. Proprio per questo motivo, i temi affrontati dalla tragedia greca erano di primaria importanza. Ad esempio, Le eumenidi di Eschilo affronta (e risolve) il tema dell’identità femminile e del ruolo che reciprocamente uomini e donne svolgono l’uno per l’altro.

Euripide (busto conservato al museo Pio Clementino di Roma). È uno dei massimi drammaturghi dell’antica Grecia - e forse di tutti i tempi. Nacque a Salamina intorno al 485 a.C. e morì in Macedonia, alla corte di Archelao, verso il 408 a.C. Le sue tragedie sono quanto mai moderne, i suoi eroi e le sue eroine sono profondamente umani, tormentati, realisticamente e profondamente tratteggiati nella psiche e nei sentimenti.

Un altro esempio splendido è Le baccanti di Euripide. Questa tragedia è ambientata a Tebe, dove compare un fanciullo dall’aspetto efebico, Dioniso. Egli conduce le donne della città sul monte Citerone e le induce alle orge più sfrenate e alla dissolutezza più completa. Dioniso (Bacco per i romani) era infatti il dio della dissolutezza, della sfrenatezza, della mancanza di ordine e misura. Nietzsche vide in quel dio greco un antagonista di Apollo, dio


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Le baccanti (affresco conservato nella Casa dei Vettii a Pompei)

dell’ordine e della misura. Se il secondo è una misteriosa prefigurazione di Cristo (il Logos incarnato), Dioniso non può essere altro che una prefigurazione di Satana. Ma torniamo alla tragedia. Penteo, figlio di una delle baccanti, sale sul monte per salvare la madre Agave. Una volta che il giovane giunge sul posto e sale su un albero per rendersi conto di quanto avviene sul monte, Dioniso induce le donne ad avventarsi sul giovane e farlo a pezzi. La prima a sbranare Penteo è proprio sua madre, Agave. In questa tragedia, il problema etico affrontato è, evidentemente, l’aborto. Dioniso libera la sessualità femminile, sprofonda le donne in un abisso di piacere orgiastico e dissoluto; il risultato di questa “liberazione sessuale” ante litteram è l’aborto: la madre fa a pezzi il proprio figlio. Nella parte finale della tragedia vediamo Agave che tiene in grembo la testa di Penteo, credendo che sia la testa di un leone. Le si avvicina Cadmo, re di Tebe, suo padre e nonno di Penteo. Cadmo: «E di chi rechi fra le braccia il capo?». Agave: «D’un leon... disse chi con me lo prese». Cadmo: «Guarda bene: è guardar lieve fatica». Agave: «Che vedo, ahimè! Queste mie man’ che recano?». Cadmo: «Fissalo bene, e lo saprai ben chiaro». Agave: «Oh me infelice! Oh spasimo crudele!». Cadmo: «Che somigli a un leon dunque ti sembra?». Agave: «No! Questo è il capo di Pènteo, me misera!». Cadmo: «Io lo piangevo, e tu nol conoscevi!». Agave: «Chi l’uccise? Com’è fra le mie mani?». Cadmo: «Triste, se giunge inopportuno, il vero!». Agave: «Parla! Mi balza nell’attesa il cuore!». Cadmo: «Tu l’uccidesti e le sorelle tue». Agave: «Dove fu ucciso? Nella reggia? O dove?». Cadmo: «Dove Atteon le cagne già sbranarono». Agave: «E perché al monte andò lo sventurato?». Cadmo: «Per fare al Nume oltraggio, e ai vostri riti». Agave: «E come noi su lui quivi piombammo?». Cadmo: «Bacco voi folli, e tutta Tebe rese». Agave: «Ora comprendo! Ci colpí Diòniso!». La verità si mostra all’improvviso alla sventurata Agave; Dioniso l’ha ingannata. Dopo averla indotta alla sfrenatezza sessuale, le ha nascosto l’identità di quell’essere che le si è presentato inatteso. Soltanto dopo si rende conto dell’orrenda verità: quell’essere che lei stessa ha fatto a pezzi è suo figlio. Quanta saggezza dimenticata, nelle nostre radici... 

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La Giornata mondiale della sindrome di Down Francesca Romana Poleggi

Dal 2006, il 21 marzo, ventunesimo giorno del terzo mese dell’anno, è stato dedicato alla sensibilizzazione verso le persone che hanno la triplicazione del ventunesimo cromosoma.

La sindrome di Down (dal sito dell’Aipd, Associazione Italiana delle Persone con sdD) «Il nostro corpo è costituito da tantissime cellule, come una casa è fatta di tanti mattoni. Nelle cellule degli esseri umani ci sono 46 cromosomi, divisi in 23 coppie e numerati. 23 cromosomi vengono dalla madre, 23 cromosomi vengono dal padre. I 23 cromosomi della madre si uniscono ai 23 cromosomi del padre: in questo modo si forma una nuova cellula con 46 cromosomi. L’insieme di questi cromosomi definisce le caratteristiche di ogni persona, che quindi vengono dai suoi genitori, e dipendono da come sono mischiate queste caratteristiche. Per questo ognuno di noi ha delle caratteristiche uniche che ci rendono diversi

dagli altri (per esempio il colore dei capelli, l’altezza, il colore della pelle, e tante altre cose). Nella coppia di cromosomi numero 21 di chi ha la sindrome di Down, ci sono 3 cromosomi invece di 2. Per questa ragione la sdD si chiama anche trisomia 21. La sdD si chiama così perché John Langdon Down, un medico inglese, nel 1866 ha descritto per la prima volta le caratteristiche delle persone con la sdD. Nel 1959 lo scienziato Jerome Lejeune ha scoperto che le persone con sdD hanno un cromosoma in più nelle loro cellule. Per questo diciamo che la sdD è una “condizione genetica”. La sindrome di Down non è una “malattia” e non può essere “curata”: è una caratteristica genetica della persona che la accompagna dal concepimento per tutta la vita».



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Notizie Pro Vita & Famiglia

Cosa dire e cosa NON dire

Dal sito di Coordown, coordinamento nazionale delle associazioni delle persone con sindrome di Down

NON SI DICE

È CORRETTO DIRE

Mongoloide

bambino/ragazzo/persona con sindrome di Down

Affetto dalla /vittima della sindrome di Down

Ha la/con sindrome di Down

Un bambino/ragazzo/persona Down

Un bambino/ragazzo/persona con sindrome di Down o che ha la sindrome di Down

Ritardato/handicappato mentale sottosviluppato

Con disabilità intellettiva

Malattia/infermità/handicap (relativa alla sindrome di Down)

Condizione genetica

Down (come abbreviazione)

sdD (sindrome di Down, come abbreviazione)

Miti e realtà MITI

REALTÀ

Le persone con sdD non vivono a lungo.

Oggi le persone con sdD hanno una discreta aspettativa di vita stimata in un decennio inferiore alla media.

Solo le mamme più anziane hanno figli con sdD.

Anche se madri più anziane hanno una maggiore probabilità di avere un bambino con sdD, il numero di nati da madri giovani evidenzia la non corrispondenza dell’età avanzata come concausa.

Le persone con sdD non riescono a raggiungere normali obiettivi di vita.

Con il giusto supporto, è possibile. La stragrande maggioranza delle persone con sdD impara a camminare e parlare, in molti frequentano le scuole tradizionali con buoni risultati, possono superare brillantemente le sfide quotidiane e ottengono risultati nello sport. Da adulti possono ambire a una vita semiindipendente [ci sono molte attività di impresa, soprattutto nel settore turistico-ristorativo, che sono gestite in prevalenza da persone con sdD, ndR].

Le persone con sdD sembrano tutte uguali.

Nella maggior parte delle persone con sdD esistono alcune tipiche caratteristiche fisiche comuni (bassa statura, occhi a mandorla, sovrappeso, mani tozze). Come tutte le persone però hanno caratteri somatici simili ai membri della propria famiglia.

Le persone con sdD sono sempre felici e affettuose.

Le persone con sdD non sono diverse da chiunque altro nei loro tratti caratteriali e stati d’animo. Sono generalmente più tolleranti.


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Perché eliminiamo i bambini con un cromosoma in più di Roberto Marchesini Il 31 ottobre 2020 è stata pubblicata, sull’European Journal of Human Genetics, una ricerca intitolata Estimation of the number of people with Down syndrome in Europe (Stima del numero delle persone con sdD in Europa), a firma di Gert de Graaf, ricercatore all’Università di Gand, in Belgio, Frank Buckley, Presidente, dell’associazione Down Syndrome Education USA e Brian G. Skotko, pediatra al Massachusetts General Hospital e dell’Harvard Medical School di Boston. Le conclusioni della ricerca sono le seguenti: «Per l’Europa, tra il 2011 e il 2015, stimiamo 8.031 bambini con sdD nati vivi ogni anno e una prevalenza di nati vivi di 10,1 su 10.000. Senza interruzioni elettive, la prevalenza di sarebbe stata di circa 21,7 per 10.000 nati vivi o 17.331 nati all’anno. La riduzione stimata della prevalenza di nati vivi mediante interruzioni elettive durante questo periodo è stata, in media, del 54%, variando dallo 0% a Malta all’83% in Spagna». Più della metà dei bambini con sdD, in Europa, non sono nati. È difficile comprendere i motivi razionali di questa scelta. L’unica spiegazione possibile è l’applicazione di un programma malthusiano di riduzione della popolazione in modo eugenetico, ossia eliminando (per primi) i più deboli. Eugenetica e malthusianesimo sono una parte fondamentale della mentalità moderna liberale che rifiuta la legge naturale, soprattutto nelle sue manifestazioni nelle vesti di legge morale e religiosa. La libertà liberale, infatti, è libertà dalla legge naturale, cioè libertà di fare ciò che la morale tradizionale non considera lecito. Il punto è che, tolta di mezzo la legge naturale, ciò che rimane è, semplicemente, la legge del più forte: homo homini lupus, secondo Hobbes; lotta per la sopravvivenza, secondo Darwin. Ecco perché, dal punto di vista liberale, è lecito eliminare le persone con sdD e le persone colpite da altre disabilità, gli anziani, i malati, i bambini non

Anna Marangoni, dalla pagina FB “Buone notizie secondo Anna”

ancora nati; e poi i poveri, anche di spirito, i «non caucasici»... I deboli, insomma. Si tratta, in altre parole, delle ricadute pratiche non di un complotto misterioso e segreto; ma di una ideologia ben precisa, che viene insegnata e studiata in modo acritico nelle scuole e che, spesso, è approvata (sebbene non nelle sue conseguenze) anche in ambienti cattolici. Il liberalismo, infatti, è visto come avversario del comunismo, quindi… il nemico del mio nemico è mio amico. O forse no? Ricordiamoci quello che ha scritto C. S. Lewis in Il cristianesimo così com’è: «Il diavolo manda sempre nel mondo gli errori a coppie – a coppie di opposti. E ci spinge sempre a riflettere lungamente su quale sia il peggiore. Il perché è chiaro, no? Egli punta sulla nostra strenua avversione a un errore per attirarci a poco a poco nell’altro. Ma non lasciamoci turlupinare. Teniamo gli occhi fissi alla meta e tiriamo diritto scansando entrambi gli errori». Non cerchiamo rifugio in un errore solo perché è moderno e, pensiamo, più utile per capire il mondo attuale; restiamo invece fedeli alla filosofia del Logos, alla filosofia dell’essere, alla


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Jérôme Lejeune in odore di santità

Lo scorso 21 gennaio la Congregazione per le Cause dei Santi ha riconosciuto le virtù eroiche di Jérôme Lejeune (1923-1994), il pediatra e genetista francese che ha scoperto il cromosoma in più che causa la sindrome di Down e ha isolato le cause di altre patologie cromosomiche. Egli è ora “Venerabile”. Grazie alle sue scoperte sono stati sviluppati i test prenatali che dovrebbero essere usati per intervenire precocemente, in utero, per curare gli effetti negativi delle trisomie. Invece, fin da allora, tali scoperte sono state usate principalmente a scopi eugenetici, per intercettare e sopprimere prima della nascita i bambini “difettosi”. Si legge nel decreto della Congregazione che il Servo di Dio denunciò questo abuso della scienza come «razzismo cromosomico» e chiamava la medicina eugenetica «medicina alla Molière, che invece di sopprimere la malattia sopprime il malato». Fu uno dei pochi scienziati di spicco in Francia a schierarsi apertamente per la vita, senza compromessi. Nel 1969, quando ricevette il premio Allen Memorial a San Francisco, pronunciò un discorso dove invitò ufficialmente i suoi colleghi a scegliere la vita e a rifiutare l’eugenetica. Dopo quel discorso, disse alla moglie: «Oggi ho perso il mio premio Nobel per la medicina».

Non solo perse il Nobel, ma venne fortemente ostracizzato dalla comunità scientifica internazionale. Negli anni ‘80 gli furono tagliati i fondi per la ricerca e i suoi collaboratori furono licenziati. Nonostante le pressioni e le misure ritorsive contro di lui, viaggiava in tutto il mondo per testimoniare la bellezza e la dignità inviolabile della vita umana davanti a Parlamenti, assemblee di scienziati e mass-media. Ricevette innumerevoli premi e fu nominato membro di numerose accademie e istituzioni internazionali; ma al contempo dagli abortisti ricevette minacce di morte, insulti e persino pomodori in faccia. La figlia ha testimoniato che Lejeune andava personalmente a incontrare le coppie che scoprivano di aspettare un bambino con sindrome di Down: in qualsiasi momento, anche durante i giorni di festa, lasciava qualsiasi cosa stesse facendo per andare a incoraggiare quelle mamme e quei papà che di solito erano presi dallo sconforto e dalla paura. In Italia, presso l’Università di Bologna, il professor Luigi Strippoli sta continuando gli studi di Lejeune per cercare di isolare le cause che determinano il ritardo mentale e gli altri problemi comuni alle persone con sdD.


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filosofia di Aristotele e di san Tommaso. Alle nostre radici. È l’unica filosofia che valorizza la ragione e le attribuisce la capacità di cogliere il bene e il male, la legge morale e religiosa, la legge naturale. È l’unica filosofia che ha, come effetto, quello di proteggere i più deboli. I quali hanno non solo una dignità intrinseca e naturale, ma uno scopo specifico nel grande ordine e nella meravigliosa armonia del creato. Anche i nostri fratelli con la sindrome di Down.

La storia di Pier Stefania e Gianluca, dopo tre anni di matrimonio, nonostante avessero già Daniele di due anni e mezzo, hanno deciso di avviare le pratiche per l’adozione. Durante l’iter, che è durato circa un anno, i due sposi si sono resi conto che tutte le coppie che condividevano il loro percorso rifiutavano l’idea di adottare un bambino “difettoso”: «Volevano la certezza di adottare un bambino sano». E così, quando sono stati chiamati dal tribunale per l’adozione (loro due erano i venticinquesimi in lista) ventiquattro coppie prima di loro avevano rifiutato di prendersi cura di Pier Giuseppe. A Stefania e Gianluca è mancato il cuore. Quando hanno saputo che il bambino aveva la sindrome di Down, hanno chiesto: «Che cosa altro ha oltre la trisomia 21?». E così, dopo una settimana hanno portato a casa Pier, che aveva sette mesi e mezzo. «Oggi ringrazio di cuore quella mamma che non l’ha abortito!», dice Stefania. Pier è una forza della natura: da piccolino ha rischiato per due volte seriamente la vita, ma per due volte si è dimostrato un lottatore forte e tenace. A maggio compirà dieci anni. Nel frattempo gli sono nati una sorellina e un altro fratellino. Ha una notevole capacità atletica: finora è riuscito benissimo in tutti gli sport che ha provato. Gli piace moltissimo ballare e adora gli animali (sa prendersi cura dei suoi due cani e due gatti). Gli piace molto anche cucinare. Dice Stefania che da grande vuol fare lo chef: «È l’unico che mi aiuta davvero in cucina!». Tutti lo amano e lui ricambia con un amore travolgente. Non è rancoroso: anche se qualcu-

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no gli fa del male, dopo poco lui dimentica. Ha arricchito tutta la famiglia con i suoi sentimenti autentici e con la sua semplicità disarmante. I fratelli (il più grande fa la terza media), a detta degli insegnanti, sanno relazionarsi con i compagni meglio di tanti altri bambini e spontaneamente sono portati ad aiutare quelli più deboli. «Abbiamo la fortuna di abitare in un piccolo centro alle porte di Roma dove tutti conoscono e apprezzano Pier. Io lo chiamo “Fra’ Rimedia” perché ovunque vada, riceve un qualche regalo. E però c’è tanta ignoranza anche qui: quando qualche bambino chiede “perché Pier è così” i genitori spesso restano muti in un silenzio imbarazzato. Mi chiedo, allora come è la vita dei bambini come Pier nelle grandi città frenetiche, nei 364 giorni dell’anno in cui non si celebra la Giornata mondiale…». Il nostro vice presidente Jacopo Coghe con in braccio Pier


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Celebrazione o ipocrisia? Il World Down Syndrome Day è stato celebrato la prima volta nel 2006 dalla Down Syndrome Association di Singapore, che ha lanciato il sito web Wdsd in collaborazione con l’associazione Down Syndrome International (Dsi) e con la Federazione brasiliana delle associazioni per la sindrome di Down. È così cominciata una vasta campagna per generare sostegno internazionale verso le persone portatrici di questa particolare condizione genetica. A seguito del lavoro congiunto del Brasile e della Polonia è quindi stata presentata una proposta di risoluzione all’Onu poi adottata durante la riunione plenaria del Terzo Comitato dell’Assemblea generale giovedì 10 novembre 2011. Intanto, in tutto il mondo, i gruppi e le associazioni che operano a favore dei portatori della sdD avevano avviato campagne di sensibilizzazione e di pressione verso i loro governi per co-sponsorizzare la risoluzione, che alla fine è stata sostenuta da 78 Stati membri delle Nazioni Unite. Inoltre, la Dsi aveva lanciato una petizione internazionale per l’adozione della Giornata mondiale della sdD che in solo due settimane ha ricevuto più di 12.000 firme. Così, il 19 dicembre 2011, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 21 marzo Giornata mondiale della sdD e da allora invita tutti gli Stati membri, le sue agenzie, le varie associazioni e organizzazioni nazionali e internazionali, nonché la società civile, a celebrarla in modo appropriato, al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica in favore dell’accoglienza e del rispetto delle persone con trisomia 21. Ben venga la sensibilizzazione, dunque. Abbiamo chiesto cosa ne pensa a Stefania, la mamma di Pier Giuseppe, il bambino ritratto sulla copertina di questa Rivista, che si è gentilmente offerta di raccontarci la sua esperienza, descritta a p. 27.

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«Non amo molto questa ricorrenza. Mi sa di ipocrisia. Va bene dedicare un giorno dell’anno ai bambini con sdD, ma negli altri 364?». E così Stefania racconta dei quintali di carte e di leggi con cui i genitori di un bambino disabile devono convivere ogni giorno. Ci racconta delle processioni interminabili all’Inps dove Pier per due volte è stato dichiarato “rivedibile”. Alla fine ha dovuto alzare la voce: «Io credo ai miracoli, ma non sono poi così frequenti, a voi non vi risulta?». Ci racconta che per il Comune di Roma, Pier non ha diritto al parcheggio invalidi e lei e suo marito hanno dovuto portarsi 30 chili di bambino in collo fino alla macchina, ogni volta che sono andati in visita al Bambin Gesù. Il fatto più sconcertante è che il mondo che oggi celebra la Giornata mondiale della sindrome di Down è lo stesso che dal 22 marzo di ogni anno, fino al 20 marzo dell’anno successivo esalta le tecniche diagnostiche ultramoderne che ormai in modo sempre più precoce e preciso (c’è comunque sempre un certo margine di errore e sono tanti i bambini sani vittime anche loro dell’aborto eugenetico!) intercettano i bambini che portano quel cromosoma in più; e quel mondo invita “premurosamente” le loro mamme a “scegliere” l’aborto. Alla radice di quello che dobbiamo chiamare - per amore di verità - il genocidio in atto dei bambini con un cromosoma in più c’è l’ideologia eugenetista che si è fatta strada nei decenni, di cui si può leggere a p. 25 dove sono riportati i numeri, risultati della ricerca pubblicata il 31 ottobre 2020 sull’European Journal of Human Genetics. Ne abbiamo parlato anche con un illustre clinico e cattedratico come il professor Giuseppe Noia, direttore dell’Hospice Perinatale - Centro per le Cure Palliative Prenatali “Santa Madre Teresa di Calcutta” del Policlinico Gemelli, docente di Medicina dell’età prenatale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e presidente della fondazione il Cuore in una Goccia Onlus (per info: www.ilcuoreinunagoccia.org) direttamente impegnata nella difesa della vita nascente e, nello specifico, nell’accoglienza e nel supporto alle famiglie che ricevono, in gravidanza, una diagnosi prenatale di patologia del proprio bambino.


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«Quando una famiglia decide di non accogliere il suo bambino non è perché non lo vuole» dice Noia. «Il più delle volte sussistono degli elementi che inducono a questa non accoglienza. Innanzitutto, la solitudine e la confusione in cui vengono lasciate; poi un tipo di medicina che, ponendosi in una posizione “difensiva”, al presentarsi di determinate condizioni o semplicemente di un dubbio (parliamo di malformazioni, malattie infettive, radiazioni ionizzanti ecc.) spinge verso la rinuncia alla gravidanza». Prosegue il professore: «Nella mia esperienza invece, le diagnosi prenatali precoci hanno la finalità di aiutare ad affrontare subito gli eventuali problemi del nascituro. Si tratta di “vedere per curare e prendersi cura” del piccolo paziente, non per eliminare». Tra le varie condizioni patologiche prenatali, la sindrome di Down, in particolare, è stata oggetto, in alcuni Paesi, di progettualità a dir poco clamorose. Pochi anni fa il Copenhagen Post scriveva del progetto governativo Down Syndrome Free 2020 e prevedeva, grazie alla nuova diagnosi prenatale non invasiva, la Nipt, che la Danimarca sarebbe stata «il primo Paese a non avere neanche un singolo cittadino affetto da sindrome di Down». Invece, è stata surclassata dall’Islanda, che ha tagliato già questo glorioso traguardo. In risposta all’indifferenza dei più rispetto al valore e alla preziosità della vita di questi bambini, la Fondazione il Cuore in una Goccia Onlus, nell’ambito di quell’approccio di accoglienza e cura delle fragilità prenatali di cui si fa portavoce, ha promosso un progetto di ricerca proprio sulla sindrome di Down. Il cosiddetto Progetto Down, realizzato in collaborazione con il Policlinico Gemelli di Roma, ha come obiettivo quello di aprire finestre di speranza per tutte quelle famiglie che ricevono una diagnosi prenatale di trisomia 21 muovendosi su 2 livelli di studio: 1) nuove ipotesi sulle cause della trisomia 21,


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2) possibilità di cura prenatale con approcci diversificati, diagnostici e terapeutici, finalizzati a ridurre il danno neurocognitivo del bambino con sindrome di Down, prima della nascita. Un impegno, quello del Cuore in una Goccia che, ancora una volta, nel mettere al centro i bisogni, le debolezze e le speranze delle famiglie, intraprende nuove strade per aprire le porte all’accoglienza della vita. Un altro modo per la Fondazione, oltre al sostegno tangibile e, soprattutto, profondamente umano già offerto alle famiglie gravate da una diagnosi prenatale patologica, per ribadire: «Non siete soli. L’alternativa esiste e noi siamo al vostro fianco». Celebrare, quindi, la Giornata mondiale della sindrome di Down a noi di Pro Vita & Famiglia non basta. Abbiamo avviato, alla fine dello scorso anno, la campagna SOS Disabili, costituendo una rete di associazioni e persone, impegnata a far valere concretamente i diritti dei disabili, insieme con il Centro Studio Livatino e con suor Anna Monia Alfieri, da sempre impegnata per i diritti dei portatori di handicap. La recente crisi Covid-19 ha evidenziato che la nostra società considera i disabili e le famiglie che li accolgono quasi sempre solo come un peso economico. Troppo spesso abbandonati a loro stessi, lo Stato non assicura, alle volte, neanche il minimo necessario per garantire loro le stesse opportunità che hanno gli altri di crescere e di realizzarsi a livello personale e sociale, in palese violazione del principio di uguaglianza sostanziale contenuto nel secondo comma dell’art. 3 Cost. La rete SOS Disabili allora assiste le famiglie nell’esercizio dei diritti che hanno conquistato, ma che esistono solo sulla carta, come quello all’assistenza domestica, all’insegnante di sostegno, allo studio, alle cure e alla riabilitazione, alle strutture ricreative (laboratori, centri diurni di socialità...). A tal fine offriamo assistenza legale ed economica (avviando campagne di fundraising destinate allo scopo), operiamo nel campo dell’informazione e della sensibilizzazione


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Anna Marangoni

mediante comunicati stampa, interviste, video, reportage, campagne pubblicitarie e petizioni. Siamo pronti, inoltre, ad intervenire nelle opportune sedi istituzionali. A Massarosa, in provincia di Lucca, e a Fano, in provincia di Pesaro e Urbino, a Potenza, a Milano siamo già intervenuti: abbiamo aiutato alcuni genitori a ottenere l’insegnante di sostegno per i rispettivi figli, abbiamo avviato collaborazioni con associazioni e persone singole.

La vita umana ha un valore inestimabile ed è sempre degna di essere vissuta: le persone sono tali non per quel che sanno o non sanno fare, ma per quel che sono, perché sono esseri umani, cioè soggetti di relazioni, capaci di amare. E solitamente le persone diversamente abili sono maestre nell’insegnare ai cd. normodotati cosa è l’amore vero, quello che arricchisce chi lo dà, quello che basta a se stesso, quello che dà un senso alla vita e apre la porta della vera felicità.


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Nessuno si senta al sicuro

Tommaso Scandroglio

Come mai gli stessi che predicano l’aborto eugenetico dei bambini con sindrome di Down, poi si fanno promotori della lotta alle discriminazioni nei confronti degli stessi portatori di trisomia 21, se adulti? L’anticultura pro-choice o libertaria predica un’apparente doppia contraddizione in merito alla condizione delle persone con sdD. La prima: è moralmente lecito, se la madre lo vuole, sopprimere il nascituro con trisomia 21, tuttavia non è moralmente lecito non solo sopprimere ma neppure discriminare il bambino, ragazzo, adulto con la medesima sindrome. La volontà di tutelare le persone disabili, tra cui anche le persone Down, ha portato a voler includere nel famigerato testo unico dell’on. Alessandro Zan sulla cosiddetta omofobia anche il contrasto all’“abilismo”, neologismo che vorrebbe indicare qualsiasi discriminazione a danno delle persone disabili. In realtà l’“abilismo” è una copertura a favore delle rivendicazioni Lgbt, perché inserire anche le persone disabili nel ddl Zan ha permesso al fronte arcobaleno di tracciare la seguente equazione: se sei contro il disegno di legge Zan, vuol dire che sei contro le persone disabili. Insomma, uno scudo che protegge le istanze Lgbt.

L’eugenetica porta a morte certa anche i suoi stessi sostenitori, infatti nessuno di noi è perfettamente sano. Qualsiasi soglia di perfezione stabilita a tavolino è destinata a saltare perché arbitraria, e quindi rivedibile

Logo della Seconda conferenza internazionale di eugenetica svoltasi a New York nel 1921 (Fonte: Wikipedia).


Alcune disabilità in alcune circostanze sono tutelate - come in genere la sindrome di Down, altre disabilità, in altri frangenti, no: basta vedere le storie di Charlie Gard, Alfie Evans, Isaiah Haastrup, Eluana Englaro, Vincent Lambert…

Dunque, tornando al discorso iniziale, il nascituro con sdD non è tutelato, il già nato con sdD invece sì. Questa apparente contraddizione si ripete in un altro caso. Alcune disabilità in alcune circostanze sono tutelate - come in genere la sindrome di Down -, altre disabilità in altri frangenti no. Pensiamo a questo proposito ai casi dei piccoli Charlie Gard, Alfie Evans, Isaiah Haastrup uccisi tramite eutanasia nel Regno Unito, oppure al caso nostrano di Eluana Englaro o a quello francese di Vincent Lambert, oppure alla recente vicenda del cittadino polacco, di cui si conosce solo l’acronimo RS, o di Pippa Knight (5 anni), sempre su suolo inglese. Sono tutti casi in cui la disabilità di queste persone viene giudicata da terzi incompatibile con la vita. Di contro la disabilità di una persona con sdD che ha vita sociale, che riesce a comunicare con altre persone, che si pone dei fini intelligibili, che ha coscienza di sé e del mondo esterno,

che dimostra di articolare giudizi morali è compatibile con la vita e quindi non viene costretta a morire. Abbiamo scritto che la decisione di voler sopprimere il nascituro con sdD e la persona già nata, ma fortemente disabile, è in contraddizione con il sentire diffuso che vuole invece tutelare le persone con sdD. Alla luce della retta ragione è realmente una vera e propria contraddizione. Infatti, se il criterio per uccidere una persona viene individuato nella sua imperfezione psicofisica, perché questo criterio viene applicato in alcuni casi e non in altri? La risposta può essere rinvenuta nell’intima natura del processo rivoluzionario che mira a sovvertire l’ordine voluto dalla legge naturale. La rivoluzione, per sua natura, procede per gradi, vuole raggiungere i suoi obiettivi step by step.


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In merito alla legge morale naturale, una prima tappa è stata la liberazione sessuale, poi la contraccezione, successivamente il divorzio, e quindi l’aborto. Un aborto privo di qualsiasi limite. Nelle sue fauci quindi sono finiti anche tutti i bambini disabili, anche quelli con sindrome di Down. Dopo l’aborto vi sono state altre “conquiste” del fronte pro-choice, ad esempio l’eutanasia. Ma anche la pratica eutanasica si deve imporre gradualmente: non si può chiedere tutto e subito. Ecco allora che innanzitutto questa pratica dovrà riguardare i casi disperati, i casi limite, come quelli che sopra abbiamo indicato. Solo successivamente - e in alcune ipotesi in realtà è già avvenuto l’eutanasia potrà essere applicata anche ai casi meno gravi. Nulla quindi esclude che in futuro l’eutanasia possa venire applicata anche ai bambini, ragazzi e adulti con sdD, ovviamente nel loro «best interest», miglior interesse. Dunque, la contraddizione prima indicata si risolve se pensiamo che la rivoluzione necessariamente non può che procedere per gradi, altrimenti sarebbe indigeribile ai più, altrimenti la massa si accorgerebbe con orrore che dietro alla rivendicazione dei cosiddetti “diritti civili” c’è solo distruzione e morte. Se invece alziamo pian piano la temperatura di un catino d’acqua, dove abbiamo messo a mollo una rana, fino a portare ad ebollizione l’acqua,

Il contrasto all’“abilismo” è la lotta contro qualsiasi discriminazione a danno delle persone disabili. Che però non comprende il contrasto all’aborto eugenetico

Se il criterio per uccidere una persona viene individuato nella sua imperfezione psico-fisica, perché questo criterio viene applicato in alcuni casi e non in altri? la rana sarà ormai così stordita che non potrà più reagire e morirà bollita. In modo più analitico dovremmo puntualizzare che il fil rouge che lega l’aborto del bambino con sdD all’eutanasia del neonato disabile grave è dato dell’eugenetica. Solo i perfetti meritano di vivere, gli altri no. Questo principio deve essere applicato con coerenza e quindi in tutti i casi, senza eccezioni, ma ciò, lo ripetiamo, non può avvenire subito, bensì gradualmente. E dunque per il militante rivoluzionario duro e puro, sebbene non lo possa ammettere, anche il giovane con sdD non dovrebbe vivere. Un principio, quello eugenetico - lo annotiamo a margine - che necessariamente porta a morte certa anche i suoi stessi sostenitori (come accadde nella Rivoluzione francese, quando non pochi sostenitori della ghigliottina, pensiamo a Robespierre, finirono ghigliottinati loro stessi). Infatti, nessuno di noi, compreso il rivoluzionario duro e puro, è perfettamente sano. Qualsiasi soglia di perfezione stabilita a tavolino è poi destinata a saltare perché arbitraria, e quindi rivedibile. Perciò nessuno si senta al sicuro. Tutti siamo dei potenziali portatori di sindrome di Down.


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Il peccato originale nella società odierna: l’uso non etico della tecnologia (Parte I) Veronica Zanini

La prima parte di questa riflessione filo-politica indaga su alcuni principi sui quali si fonda l’ideologia futurista del trans-umanesimo. «La vita e la morte mi sembravano limiti ideali, che io per primo avrei oltrepassato, e avrei versato un torrente di luce nel nostro buio mondo. Una nuova specie mi avrebbe benedetto come suo creatore e sorgente; molte creature felici ed eccellenti avrebbero dovuto a me la loro esistenza. Nessun padre avrebbe potuto esigere la gratitudine dei suoi figli in modo così assoluto quanto io avrei meritato la loro. Seguendo queste riflessioni pensai che, se potevo infondere la vita nella materia inanimata, avrei potuto in seguito (benché ora abbia scoperto che è impossibile) rinnovare la vita dove la morte aveva apparentemente destinato il corpo alla corruzione» (M. Shelley da Frankenstein: il nuovo Prometeo). “La Creatura”, interpretata da Boris Karloff nel celebre film Frankenstein, di James Whale, del 1931.

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Neil Harbissom, artista inglese che si è fatto impiantare un’antenna nella testa per distinguere i colori e… collegarsi a internet.

Lo scienziato Viktor Frankenstein parlava così quando tentò di dare la vita alla sua “creatura”: il mostro. Queste poche righe tratte dal celebre romanzo del 1818, oggi riecheggiano nella nostra vita quotidiana più reali che mai e i temi in esso contenuti sembrano trovare una loro validità: dallo scienziato che si crede Dio divenendo così la scienza essa stessa una religione, alla possibilità di “resuscitare” i morti tramite i progressi in ambito medico - scientifico sancendo così il superamento dei limiti biologici dell’uomo. E, infine, alla distruzione dell’uomo per mezzo della sua stessa creatura

perché l’avanzamento tecno-scientifico non è stato accompagnato dalla giusta riflessione etica. Certamente l’ideologia post-illuminista emergeva già nella società del XIX secolo e oggi ne stiamo raccogliendo i frutti.

Alcuni esempi Le nuove frontiere biomediche pongono oggi dei quesiti etici piuttosto importanti: fino a dove si può spingere il progresso scientifico? Ci sono dei limiti? L’etica che ruolo gioca in tutto ciò? Simili interrogativi sorgono spontanei quando si sente parlare di uomini cyborg come Neil Harbissom, l’artista inglese con l’acromatopsia, ovvero l’incapacità di distinguere i colori, che, fattosi impiantare un’antenna nella testa, è in grado di trasformare le onde dei colori in onde sonore. L’antenna inoltre, l’eyeborg, si può connettere ad internet attingendo alle informazioni della rete direttamente dal cervello.


marzo 2021

Un altro esempio proviene dalla Svezia in cui molti, soprattutto lavoratori, tramite una piccola incisione, si fanno innestare nella mano dei chip sottocutanei che fungono da carta di credito, tessera sanitaria, password per computer, abbonamento per il treno e per molto altro. Tecnologie del genere sono fortemente perseguite e finanziate dal transumanesimo e dal postumanesimo, filosofie per le quali non bisogna porre alcun limite etico-morale all’avanzamento tecnologico e scientifico poiché grazie a queste discipline prefigurano la nascita del post-umano.

I principi transumanisti I transumanisti, come i famosi Nick Bostrom e David Pearce, hanno stilato una Dichiarazione in cui sono scritti i principi di questo movimento. Ad esempio: «L'umanità sarà radicalmente trasformata dalla tecnologia del futuro. Si prevede la possibilità di ri-progettare la condizione umana in modo di evitare l’inevitabilità del processo di invecchiamento, le limitazioni dell’intelletto umano (e artificiale), un profilo psicologico dettato dalle circostanze piuttosto che dalla volontà individuale, la nostra prigionia sul pianeta terra e la sofferenza in generale». Molti esponenti del transumanesimo sono i veri Re Mida del nostro pianeta, quelli della Silicon Valley, che abitano nella Baia di San Francisco. Personalità del calibro di Elon Musk, Ceo di Tesla, azienda specializzata nella produzione di auto elettriche e pannelli fotovoltaici, e Ray Kurzweil, ingegnere capo di Google, finanziano progetti come Neuralink, altra azienda fondata da Musk, che studia la possibilità di impiantare un chip nel cervello per migliorare le prestazioni cognitive immagazzinando un numero maggiore di dati a livello mnemonico. Per contrastare l’invecchiamento, invece, Google nel 2013 ha istituito Calico, che si occupa di ricerca nel campo delle biotecnologie

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I transumanisti si propongono di ri-progettare la condizione umana in modo da evitare l’invecchiamento, le limitazioni dell’intelletto umano, «la nostra prigionia sul pianeta terra» e la sofferenza in generale, anche a costo di passare attraverso l’estinzione di ogni forma di vita intelligente

e in particolare dello studio del Dna. O, ancora, la mind uploading, il processo che permetterebbe di “copiare” il nostro sistema cerebrale e “caricarlo” in un supporto artificiale come un computer o un robot, raggiungendo così l’immortalità. Oggi queste ricerche vanno a vantaggio dei malati, come il chip di Neuralink che verrà impiegato in persone con il Parkinson, l’epilessia e altri problemi neurologici. Lo spinoso problema etico è dato dalle finalità esplicitamente potenziative di questi studi e atte al superamento addirittura della morte: la malattia è semplicemente un mezzo quindi e non il fine della ricerca scientifica, come conferma la Dichiarazione transumanista a cui si ispirano queste aziende: «Il Transumanesimo è fautore del benessere di tutti gli esseri senzienti».


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Elon Musk, classe 1971, è a capo di SpaceX, Tesla, The Boring Company, Neuralink e OpenAI. Membro della Royal Society dal 2018, è per Forbes la persona più ricca del mondo nel gennaio 2021.

Quale futuro ci aspetta? È importante riflettere sul fatto che queste persone apparentemente estranee all’ambito politico stanno effettuando determinate scelte che porteranno a un cambiamento della percezione globale del mondo stesso e dell’umanità. La preoccupazione dunque non riguarda tanto le tecnologie, che possono certamente condurre a un miglioramento della vita umana, quanto piuttosto alla diffusione di un’ideologia

che successivamente può radicarsi in cultura, che mira al superamento a qualsiasi costo di quel limite che contribuisce a rendere umana la persona. Al punto 5 della Dichiarazione si legge: «La perdita di potenziali benefici, a causa di tecnofobia e proibizioni immotivate, sarebbe una tragedia per il genere umano. Dobbiamo comunque tenere presente che un disastro o una guerra, causati o resi possibili da una tecnologia avanzata, potrebbero portare all’estinzione di ogni forma di vita intelligente».

Nel tentativo di andare oltre l’uomo si sta procedendo verso la sua disumanizzazione, cioè si toglie all’humanum quel limite fisico e psicologico che fa parte della struttura ontologica dell’humanum stesso


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La scienza è fine a se stessa, dunque, e non impiegata per il bene comune. In questo contesto il giudizio etico è fortemente attenuato dai potenziali “benefici” derivanti dal progresso tecno-scientifico. Il rischio è quindi che l’uomo si riveli homini lupus in vista soprattutto dell’accaparramento delle risorse non equamente suddivise tra i singoli e tra i diversi Paesi: non è azzardato dunque affermare che l’ottenimento della “vita eterna” in terra comporti l’annientamento della razza umana.

Verso la disumanizzazione Da un punto di vista filosofico, nel tentativo di andare oltre l’uomo si sta procedendo verso la sua disumanizzazione, cioè si sta togliendo all’humanum ciò che gli è proprio, quel limite fisico e psicologico facente parte della struttura ontologica dell’humanum stesso. A ciò va aggiunto, analizzando oggi la società, che la spiritualità, facente parte anch’essa dell’humanum, sta scomparendo perché si sta imponendo una Weltanschaung a-spirituale a favore di una concezione del mondo meramente materialistica e la capacità dell’uomo di percepire il trascendente si sta dissolvendo piuttosto velocemente. Le cause sono molteplici. Sono emerse infatti nella contemporaneità delle correnti di pensiero parallele che convergendo hanno contribuito ad una simile decadenza: la crisi di identità del soggetto che, come afferma Paolo Miccoli, «non sa più vivere un ordinato rapporto con le cose e con i suoi simili, regredendo in una sorta di esperienza elementare e convulsa dal mondo»; il relativismo che ha portato alla perdita della ricerca dell’Assoluto e infine la scelta dell’uomo, la creatura per eccellenza, di sentirsi Dio. Si è manifestato pertanto un clima di antiumanesimo che trova terreno fertile nel trans-umanesimo e nel post-umanesimo, ideologie che, ponendosi come obiettivo il superamento dell’uomo, prospettano la sua stessa distruzione.

Le prime fasi di questo progetto iniziano proprio chiudendo l’uomo in se stesso e incentrando tutto sull’Io, tralasciando i valori della solidarietà e della carità nei confronti degli altri. In questa circostanza anche la libertà umana assume una connotazione diversa, essa infatti non viene più intesa come una scelta responsabile ma piuttosto come autonomia o semplice spontaneità nella decisione come afferma papa Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate: «Ma la libertà umana è propriamente se stessa solo quando risponde al fascino della tecnica con decisioni che siano frutto di responsabilità morale. Di qui, l’urgenza di una formazione alla responsabilità etica nell’uso della tecnica. A partire dal fascino che la tecnica esercita sull’essere umano, si deve recuperare il senso vero della libertà, che non consiste nell’ebbrezza di una totale autonomia, ma nella risposta all’appello dell’essere, a cominciare dall’essere che siamo noi». La scienza e la tecnologia, come le intendiamo noi oggi, cioè con una accezione illuminista, hanno mutato il mondo dei valori passando da una valutazione della realtà in termini qualitativi ad una in termini quantitativi, in cui tutto è ricondotto ad un calcolo di costi/benefici. Le nuove frontiere bio-mediche, quindi, se da un lato sono solidali con l’essere umano in quanto suoi prodotti, dall’altro si sono rivelate un insieme di procedimenti che ne hanno preso il sopravvento e il dominio. In questo scenario la collettività dovrebbe recuperare la riflessione filosofica e teologica riguardante l’uomo che utilizza realmente le tecnologie a proprio vantaggio. È altrettanto importante, affinché lo studio teologico non risulti avverso e avulso dalla società di oggi, che si cerchi una conciliazione tra la salvezza prospettata dal Cristianesimo e la speranza nello sviluppo, in particolare facendo emergere la positività dello sviluppo tecnico e scientifico in riferimento al comandamento dell’amore: solo così si potranno coniugare gli apporti della nuove tecnologie con l’etica. 

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La favola di mamma e papà… Clemente Sparaco Scrivere o dire “genitore 1” o “genitore 2” al posto di “mamma” e “papà” è una scelta ideologica che calpesta i diritti dei bambini. L’introduzione della dicitura “genitore 1” e “genitore 2” nelle carte di identità dei ragazzi sotto i 14 anni, voluta dal ministro Lamorgese, nasce sotto il segno dell’ideologia. È infatti ideologico pensare di subordinare la natura e la storia a un disegno precostituito, così da cancellarle d’imperio. Ed è ideologico coniare un modello alternativo di genitorialità non corrispondente alla realtà biologica e rinnegante tradizioni ataviche, alla base della nostra civiltà. Da qui nascono le contorsioni verbali, gli ossimori, le assurdità, le mostruosità lessicali: non più “padre e madre” o “papà e mamma”, ma “genitore 1 e genitore 2”; non più genitorialità, ma “omogenitorialità”.

È una violenza orribile estendere il potere degli adulti sui bambini fino a falsificarne la filiazione

L’omogeneo estromette l’eterogeneo e si codifica in espressioni gelide e inquietanti, distruttive della definizione di essere umano e dell’istituzione base della società, la famiglia. Anzi, la famiglia vera, naturale, fondata sul matrimonio, diventa un fenomeno relativo, uno dei diversi fenomeni sociali, una delle tante forme di accoppiamento, sulla base di «teorie che», come ha scritto Joseph Ratzinger, «tolgono ogni rilevanza alla mascolinità e alla femminilità della persona umana, come se si trattasse di un fatto puramente biologico».


Ma la violenza più orribile sta nella pretesa di estendere il potere degli adulti sui bambini fino a falsificarne la filiazione. Il bambino deve sottostare ai desiderata dell’adulto e alle sue logiche distorcenti. Apparentemente è al centro e apparentemente verrebbe a essere tutelato ma, in realtà, il figlio è solo oggetto di una questione dei grandi. Egli non sa, non ha voluto, né ha potuto scegliere, per cui serve una causa che non è la sua. Per quanto desiderato e morbosamente invocato, egli è figlio di una grande finzione, «incaricata di occultare, né più, né meno, uno dei genitori biologici» (così la storica francese MarieJosèphe Bonnet, femminista e fondatrice del Fronte omosessuale di azione rivoluzionaria). Ogni bambino avrebbe diritto a «conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da essi», come recita l’articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, e invece si trova al centro di una disputa amministrativa. Avrebbe diritto a una genealogia chiara e coerente, e invece legge sul tesserino una parentela formale. Avrebbe diritto alla verità, e invece gli si sbatte in faccia una rivendicazione.

Forse gli verrebbe da dire «mamma e papà», senza equivoco, senza eterodirezioni, e invece gli approntano una contabilità: 1, 2…. Forse semplicemente avrebbe bisogno di essere amato, ma non basterebbe l’amore, se questo si fonda sulla non verità e Alberto Contri sull’infingimento (non può essere amore davvero). E quando sopraggiunge la notte, sebbene viviamo in una società senza incanto né magia, dovremmo sempre potergli raccontare La favola di mamma e papà:

«C’era una volta una fanciulla bellissima, ma che non sapeva di esserlo, fino a quando un principe se ne innamorò e con un bacio la risvegliò alla vita: e quel bacio eri tu…».


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Ministoria di un virus e di un laboratorio cinese Francesco Avanzini

Siamo nell’anno II d.c., dopo coronavirus. Sarebbe ora di porsi qualche domanda e di ricevere qualche risposta sensata a proposito dell’origine di questa pandemia. Lo ha fatto un medico, il dottor Avanzini, che si è anche posto altre domande sulle cure, i tamponi e i vaccini: ha scritto quattro articoli in proposito su Panorama.it. Il contenuto del primo di essi è sostanzialmente questo. Il 2020 sarà per sempre ricordato come l’anno Covid o l’anno di inizio dell’era pandemica. Un anno bisestile, per gli astrologi cinesi l’anno del Topo di metallo, anno Yang, considerata l’energia maschile, forte, volta alla conquista; un anno foriero di tempeste e uragani. E l’uragano, a quanto pare, è puntualmente arrivato fin dagli ultimi scorci del 2019. Dall’inizio del 2020 in poi, secondo il premio il Pulitzer Thomas Friedman, le date della storia, anziché avanti Cristo e dopo Cristo, dovrebbero essere calcolate avanti e dopo coronavirus. La storia dell’uomo moderno, homo sapiens, si innesta a un certo punto del corso delle ere che si sono succedute. Questo punto è fissato a tutt’oggi a circa 40.000 anni fa. Da allora l’esistenza dell’uomo si può dire sia costellata dalla comparsa di agenti microbici che hanno minato la sua sopravvivenza. Pare infatti che i virus siano comparsi sul pianeta Terra contemporaneamente all’emergere del genere Homo. I virus infettano l’uomo per il tramite di batteri, oppure tramite vettori, cioè animali che fungono

da ospiti intermedi. I virus si comportano da parassiti che sfruttano i meccanismi della cellula ospite e sono presenti nel genoma umano in proporzioni variabili dal 5 all’8% in forma di retrovirus endogeni, parenti stretti dei coronavirus. Si pensa addirittura che questi virus possano avere in qualche modo influenzato la stessa evoluzione dell’uomo. La prima grande pandemia di cui i libri di storia ci danno notizia pare essere stata la cosiddetta peste di Atene del 430 a.C. (in realtà non si sa se di peste o di vaiolo si sia trattato), seguita dalla peste di Giustiniano del 541 d.C., che arrivò a Roma nel 590 e che sterminò circa 4 milioni di persone dell’impero bizantino. Poi, per rimanere sul suolo italiano, abbiamo avuto le famosissime epidemie di peste: la “peste nera” del 1347, immortalata dal Boccaccio; quella del 1576, che ha visto rifulgere la santità di S. Carlo Borromeo; e quella del 1630, di cui si narra nei Promessi Sposi. Come ci ricorda nei suoi numerosi trattati il grande storico della medicina Giorgio Cosmacini, tutte le pestilenze che colpirono i Paesi mediterranei, dal Medioevo in


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La Cina ha rifiutato, oltre che di ratificare la convenzione sulle armi biologiche, di fornire i campioni originali del virus

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poi, si diffusero a partire dal continente asiatico e, in modo del tutto particolare, dalla Cina. Da lì, infatti, ci arrivarono le devastanti epidemie influenzali denominate “asiatiche”, nonché quella terribile, erroneamente definita “spagnola”, la Sars, la Mers e, buona ultima, la pandemia di Covid-19, denominata Sars-CoV-2. Quest’ultima ha una genesi particolarmente inquietante. Non si potrà forse mai stabilire se per una fatale imprudenza o volontariamente, sta di fatto che un terribile virus è sfuggito nell’autunno del 2019 dal laboratorio cinese della città di Wuhan. Il Wuhan National Biosafety Laboratory (BSL-4) afferente all’Institute of Virology, un bunker simile a un carcere, fu costruito a partire dal 2004 con l’aiuto di capitali stranieri (in gran parte francesi) e soprattutto di tecnologie, fornite oltre che dalla Francia, da Australia, Canada, Germania, Regno Unito e Stati Uniti; il laboratorio era considerato al livello 4 di biosicurezza (il più alto), almeno fino al 2011, anno in cui cominciarono a sorgere le prime perplessità da parte dell’editoria scientifica indipendente. C’è un precedente importante: la Cina è l’unico grande Paese del mondo che ha aderito formalmente ma non ha ratificato, cioè adottato, la Biological and Toxin Weapon Convention (BTWC), in vigore dal 1975, che costituisce il primo trattato multilaterale che ha lo scopo di vietare la produzione e l’utilizzo di armi letali comprese quelle biologiche. Da questo atto della non ratifica si può capire tutta la portata della minaccia e del deterrente che l’impero comunista cinese costituisce per l’umanità. Nel 2015 terminano i lavori del laboratorio e con essi, bruscamente, cessa la collaborazione dei francesi e della comunità scientifica internazionale. I 50 ricercatori francesi che, secondo gli accordi, dovevano guidare le operazioni, sono stati gentilmente invitati a non presentarsi. Così da allora nulla di certo e verificabile si sa per quanto riguarda la ricerca e la biosicurezza del laboratorio. Dal 2018 il laboratorio è completamente sotto il controllo della dittatura cinese e segnatamente, fino a poco tempo fa, nelle mani della plenipotenziaria, emanazione del

partito comunista, la virologa Shi ZhengLi. La scienziata, formatasi in Francia, vanta un’esperienza di 15 anni nella ricerca sui virus dei pipistrelli. È per questo divenuta nota con il nome di “Batwoman” o “Signora dei pipistrelli”. Oggi le biotecnologie, unitamente all’intelligenza artificiale, hanno fatto enormi passi avanti e, insieme ai vantaggi derivati dalle migliori conoscenze della biologia di virus e batteri, sono inevitabili e inquietanti i risvolti del loro eventuale uso per scopi militari e per il cosiddetto bioterrorismo che si avvale appunto di armi chimiche e biologiche. In questo settore la Cina è ormai diventata uno dei grandi Paesi dotati delle più avanzate strutture e tecnologie. Il problema che il mondo ha di fronte consiste


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nel fatto che tutto in Cina, comprese queste armi non convenzionali, è sotto il diretto controllo della dittatura comunista, il potere statale e militare sono inscindibili e la censura è ai massimi livelli. Prova ne sia che la Cina ha rifiutato, oltre che di ratificare la convenzione sulle armi biologiche, di fornire i campioni originali del virus. Attraverso le più avanzate tecniche di ingegneria genetica, come per esempio la cosiddetta Gain of Function (Guadagno di funzione), è possibile modificare il genoma, cioè il corredo genetico di un virus, come pure ibridare, creare un ibrido di un virus, tramite l’utilizzo del backbone (la matrice biologica o genetica, la “scheda madre”) di un altro virus, allo scopo di creare un virus

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chimerico ricombinante. Attualmente è tale l’interesse per questo tipo di manipolazioni genetiche che, soprattutto in Cina, ma anche nel mondo occidentale, vengono tranquillamente aggirate le norme e violate le limitazioni a queste sperimentazioni. Il tutto in nome della supremazia che le potenze mondiali perseguono in campo scientifico. Oggi la Cina è il Paese con il più elevato livello di tecniche di ibridazione e creazione di virus chimerici ricombinanti. È singolare e allarmante il silenzio della comunità scientifica su questi fatti. I media mondiali si sono subito adeguati e hanno fatto il resto. Unica voce autorevolissima fuori dal coro, il grande medico e ricercatore italiano Joseph Tritto, scienziato di fama mondiale, che in un suo documentatissimo

La Cina è l’unico grande Paese del mondo che non ha mai ratificato il primo trattato multilaterale, del 1975, teso a vietare la produzione e l’utilizzo di armi letali, comprese quelle biologiche


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testo (J. Tritto, Cina Covid-19. La chimera che ha cambiato il modo. Cantagalli, 2020) ha fornito una serie di fonti sicure, a cui ho largamente attinto. Dopo tutto quello che fin qui si è detto, non appaiono quindi peregrine le seguenti domande: il Sars-CoV-2 è un virus naturale o un prodotto di laboratorio? In questo secondo caso, per quali scopi è stato creato? Se dobbiamo dare credito all’opinione più largamente diffusa dai media scientifici e non, si dovrebbe ritenere che il Covid-19 sia un virus naturale. Per quanto si è detto finora, vari fatti però mettono in serio dubbio questa affermazione, da subito accolta da tutti come quella vera. Sarà un caso che la Cina abbia ignorato tutte le richieste di accesso ai campioni originali del virus? È casuale che il laboratorio di Wuhan sia attualmente il laboratorio che detiene la tecnologia più avanzata del mondo nel campo delle ibridazioni e manipolazioni genetiche sui virus e che colei che è stata a lungo la sua direttrice sia una delle maggiori esperte mondiali dei coronavirus dei pipistrelli? È casuale che le devastanti epidemie della storia siano arrivate in Occidente dalla Cina? Come mai non si è dato vita a una commissione di indagine internazionale per verificare gli standard, le procedure in merito alla sicurezza del laboratorio di Wuhan? Perché l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) all’inizio dello scoppio della pandemia non ha inviato ispettori, esperti e virologi, a differenza di quanto fece nel 2002 per l’epidemia di Sars? (Solo all’inizio di questo 2021 pare che qualcosa si sia mosso in questo senso, ma quando scriviamo non ci sono ancora informazioni in merito).

Come mai un sito militare cinese all’inizio della pandemia ha accusato gli Usa di avere creato il coronavirus di Wuhan in laboratorio? Excusatio non petita? Pronta la replica da parte americana, con scambio di accuse che tutto hanno fatto pur di non fare piena luce sulla vicenda. Quando, nell’autunno del 2019, più probabilmente in ottobre, è scoppiata la strana sindrome respiratoria che causa polmoniti atipiche, nel distretto della città di Wuhan, a darne notizia sono stati due medici, l’oculista trentaquattrenne Li Wenliang che aveva riscontrato strane congiuntiviti associate alla malattia, e la collega Ai Fen, direttrice del Dipartimento di Emergenza del Central Hospital di Wuhan. Risultato: il primo muore, pare a causa del coronavirus, il 6 febbraio 2020, la collega Ai Fen scompare nel nulla, comunque di lei non si avranno più notizie. La virologa Shi Zheng-Li, i suoi collaboratori Peng Zhou e Cui Jie, insieme al prof. Guo Deyin, lavoravano da anni alle tecniche di manipolazioni genetiche dei virus, in particolare sui coronavirus dei pipistrelli a ferro di cavallo, oltre che su quelli responsabili della Sars. Inoltre la dottoressa Shi, istruita dall’americano Ralph Baric del Dipartimento di Epidemiologia della North Carolina, è anche un’esperta di manipolazione genetica e di ricombinazione del virus della Sars con parti del virus dell’Hiv, responsabile dell’Aids. Questi esperimenti le sono serviti per creare virus chimerici ricombinanti a partire dai coronavirus dei pipistrelli. Quindi manipolando il genoma di un virus e fondendolo con parti del genoma di un altro virus si ottiene il virus ricombinante chimerico.

Dal 2015 nulla di certo e verificabile si sa per quanto riguarda la ricerca e la biosicurezza del laboratorio di Wuhan da cui è sfuggito il virus del Covid-19


febbraio 2021

Il Sars-Cov-2 è di fatto un virus chimerico, frutto di una ricombinazione tra il patrimonio genetico del coronavirus dei pipistrelli con quello del coronavirus del pangolino, l’unico mammifero con le squame, una specie di formichiere. Il punto fondamentale è: questa ricombinazione è naturale o artificiale? Per essere considerata naturale, è necessario dimostrare l’intervento di un vettore intermedio. Ebbene, il vettore intermedio finora non è mai stato trovato. L’uomo non può esserlo, dato che per esserlo - ci spiega il professor Tritto - si dovrebbe presupporre che uno prima venga morso da un pipistrello a ferro di cavallo e poi da un pangolino, condizione talmente rara da considerarsi impossibile a verificarsi. Sta di fatto che mai è stato registrato un evento simile. Pertanto, l’ipotesi più probabile è che la ricombinazione sia stata fatta in laboratorio. Tra l’altro - come spiega sempre il professor Tritto - una ricombinazione genetica di due specie diverse, perché avvenga in natura, richiederebbe un periodo di almeno 200 anni. Quindi, il virus del Covid-19 possiede circa il 97% del coronavirus del pipistrello a ferro di cavallo e tra il 60 e il 70% del coronavirus del pangolino. Oltre a ciò, il virus possiede anche un pezzo del virus dell’Hiv (Lentivirus), come ha dimostrato il premio Nobel Luc Montagner. Per aver affermato questo verrà sbeffeggiato dalla stampa internazionale, che prima pendeva dalle sue labbra. Gli studi effettuati in vari Paesi hanno dimostrato che in realtà ci sono due ceppi diversi di virus SarsCoV-2: il ceppo L, più virulento ma responsabile di manifestazioni meno gravi; e il ceppo S, meno aggressivo ma che causa malattie più gravi. Per terminare resta da dire che Shi ZhengLi è l’unica scienziata oggi in possesso della tecnologia e delle conoscenze per realizzare la ricombinazione del genoma virale che, se fatta in laboratorio anziché in natura, comporta tempi molto brevi. A questo punto sorge un’altra domanda: la dottoressa “Batwoman” è stata mossa unicamente da interesse scientifico e da ambizioni di carriera, oppure è stata indotta a creare il virus-chimera? La cronaca registra che, analogamente a chi ha avuto a che fare con la vicenda Covid-19 in Cina, anche della dottoressa

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Secondo il premio Pulitzer Thomas Friedman, le date della storia, anziché avanti Cristo e dopo Cristo, dovrebbero essere calcolate avanti e dopo coronavirus

Shi Zheng-Li, che non è più la direttrice del laboratorio di Wuhan, si sono perse le tracce. Di lei e della sua attività non si sa più nulla. Al suo posto il regime ha nominato Chen Wei, generale dell’esercito popolare cinese. 


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Notizie Pro Vita & Famiglia

In cineteca

Segnaliamo in questa pagina film che trasmettono almeno in parte messaggi valoriali positivi e stimolano il senso critico rispetto ai disvalori che vanno di moda. Questo non implica l’approvazione o la promozione globale da parte di Pro Vita & Famiglia di tutti i film recensiti.

Questione di psicologia Titolo originale: Chicken Little Produzione: Walt Disney (Usa), 1943 Durata: 8 min Genere: Animazione Regia: Clyde Geronimi Questo cortometraggio, che si può trovare su internet, è stato realizzato durante la guerra a scopo di propaganda (non va confuso con il remake del 2005 che è tutt’altra cosa, molto meno efficace e meno significativo). Insegna come la volpe, per farsi una bella scorpacciata di polli, abbia fatto ricorso alla psicologia: instilla ai malcapitati pennuti la paura per la propria sicurezza, spingendoli ad accettare la soluzione a lei più congeniale. Le regole che la volpe applica, prese dal libro “La Psicologia”, sono le seguenti: 1) Per influenzare le masse, iniziate dagli individui meno intelligenti. 2) Se raccontate una bugia, non raccontatene una piccola. Raccontatene una grande. 3) Minate la fiducia delle masse verso i loro leader. 4) Tramite l’adulazione, persone insignificanti possono convincersi di essere dei leader nati.

Sussurrando attraverso la recinzione la volpe diffonde la paura, calunnia il gallo-capo, fa inorgoglire il giovane pollo (il più tonto di tutti), e induce gli abitanti del pollaio a dargli retta, a uscire dal pollaio, a farsi condurre “in salvo” nella grotta, dove se li pappa tutti, uno per uno. Possiamo trarre diverse lezioni importanti da questa storia: anche oggi ci sono un sacco di volpi che ci vogliono far correre nella caverna, facendoci credere che lì saremo al sicuro. Possiamo evitare di finire mangiati solo se non rinunciamo a ragionare su ciò che vediamo... con buon senso, alla continua ricerca della verità. 


febbraio 2021

In biblioteca L’ultima religione. Dall’eugenetica alla pandemia: l’alba di una nuova era? Gianluca Marletta e Paolo Gulisano Historica edizioni

L’appello Alessandro D’Avenia Mondadori

L’ultima religione è una sorta di idolatria universale: la Fratellanza globale, il Buonismo globale, la dea Salute, l’ecologismo radicale, il sogno di un mondo trans-umano e, in definitiva, anti-umano. Una religione che si impone oggi ma che viene da lontano. Un processo - iniziato molto tempo fa - che giunge a compimento anche a causa della pandemia, agli investimenti di imprenditori a livello globale, alla resa della Chiesa. Questo libro descrive la storia di questa evoluzione - da Malthus a Singer, da Casaleggio all’Oms - e illustra gli scenari della rivoluzione del 2020, che si prefigge di realizzare un distopico mondo nuovo. 

Omero Romeo, quarantacinque anni, viene chiamato come supplente di Scienze in una classe che affronterà gli esami di maturità. Una classe-ghetto, in cui sono stati confinati i casi disperati della scuola. La sfida sembra impossibile per lui, che è diventato cieco e non sa se sarà mai più capace di insegnare, e forse persino di vivere. Non potendo vedere i volti degli alunni, inventa un nuovo modo di fare l’appello, convinto che per salvare il mondo occorra salvare ogni nome, anche se a portarlo sono ragazzi “problematici”. E il professore che non ci vede, riesce a vedere molte cose...

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Diretto da Maurizio Belpietro


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