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art. 2 Legge 662/96 filiale di Firenze

Spedizione in abb. postale 70% comma 20/B

Proletari di tutti i paesi unitevi!

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Periodico comunista di politica e cultura n. 2/2020 - anno XXIX

fondata nel 1964

“L’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la storia insegna, ma non ha scolari” Antonio Gramsci

Covid-19. Chi pagherà i costi di questa “crisi”?

Dopo anni di mancato rinnovo dei contratti degli operatori sanitari, il Governo si è accorto che sono la “colonna portante” Nel momento in cui scriviamo l’Italia è deserta e isolata, vige il coprifuoco con tanto di arresto da 3 mesi a 3 anni per chi trasgredisce alle norme imposte. Più della Covid 19 ne uccide il panico e la paura. Scuole, università, tribunali, musei, cinema, teatri chiusi, bar e ristoranti chiusi dalle 18, voli sospesi, trasporto diradato (che sarà più affollato). Si consiglia agli anziani di restare in casa senza pensare che spesso sono soli o privi di un supporto familiare efficace, per cui restano in balia delle reti televisive che per tutto il giorno non fanno altro che parlare del virus e in preda alla depressione. Niente panico, niente allarmismo ci dice il Governo, ma Mattarella che si presenta in tv: “Il momento che attraversiamo richiede coinvolgimento, condivisione, concordia, unità di intenti nell’impegno per sconfiggere il virus: nelle istituzioni, nella politica, nella vita quotidiana della società, nei mezzi di informazione”, anziché rassicurare alimenta la preoccupazione e la popolazione assalta i supermercati. Dai vari esperti giungono dichiarazioni contrastanti e altalenanti tra è poco più di un’influenza ad una pandemia mortale. Eppure da nessuna parte si sente parlare dei numeri di morti che si registrano ogni anno. Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente l’Italia è il primo paese per morti premature da biossido di azoto: 14.600; da ozono sono 3000; per particolato fine: 58.600. In Italia muoiono in un anno per Hiv/Aids oltre 700 persone (in media 2 al giorno), su un totale mondiale di circa 770.000. Completamente ignorati i morti sul lavoro che sono oltre 1300 all’anno e da amianto che superano i 5000 all’anno. E per complicanze in seguito all’influenza stagionale e nonostante le vaccinazioni? Secondo l’Istituto superiore di sanità sono in media circa 220 decessi il giorno. Ci sono ipotesi che non escludono che il virus sia stato “creato in laboratorio”. È noto che nel segreto più assoluto Stati Uniti, Russia, Cina e altre potenze abbiano laboratori dove si conducono ricerche su virus finalizzati all’uso di agenti in una guerra biologica anche su settori mirati di popolazione, magari per testarne la reazione. Fatto è che le misure prese per arginare questo virus hanno un impatto distruttivo sull’economia (borse affondate, crollo del petrolio, aumento dello spread), sulla produzione e sul turismo, non solo cinesi, creano una reazione a catena che colpisce l’Italia e il resto d’Europa, l’Asia e la Russia, a tutto vantaggio degli Stati Uniti che, per ora, sembrano indenni economicamente. Ma lo stato di emergenza è arrivato anche qui, nonostante le rassicurazioni inziali di Trump in campagna elettorale. Quanto sia massiccio il contagio difficile capirlo. Negli Usa la sanità è privata e in mano alle assicurazioni che probabilmente non coprono questo genere di malattia e non avendo tutti diritto all’assistenza, molti vi rinunciano anche perché fare un tampone costa da 1000 a 3mila dollari. A proposito di sanità stiamo verificando il risultato delle scelte e delle carenze che abbiamo sempre denunciato e che va avanti da anni: i tagli dei posti letto, la scarsità degli operatori sanitari, i medici costretti alle dimissioni precoci, la chiusura dei piccoli ospedali e dei presidi territoriali, i laboratori analisi accorpati, mense e pulizie esternalizzate, in nome di una gestione aziendalistica orientata alla privatizzazione che stringe il personale sanitario fra le decisioni dei vertici aziendali e i bisogni dell’utenza, ha portato al collasso e, di fronte all’emergenza, ha dimostrato tutta la sua debolezza. È sempre più chiaro l’impatto negativo dell’autonomia regio-

nale rivendicata in particolare da Lombardia e Veneto (salvo appellarsi allo Stato nel momento del bisogno!) che si sono sempre vantati di avere una sanità di eccellenza e che, al contrario, dimostra di essere fonte di inefficienze e disuguaglianze. Ad esempio in Lombardia già due anni fa - di fronte al picco di influenza che si era verificato nella stagione invernale - era emersa l’insufficienza degli 850 posti disponibili in terapia intensiva, ma nulla è stato fatto. Mancano gli specialisti, in particolare gli pneumologi, si devono montare ospedali da campo, si richiamano i medici in pensione, si reclutano i neolaureati (sempre meno a causa del numero chiuso delle facoltà di medicina), con meno diritti, più ricattabili, magari retribuendoli a partita IVA e rimandandoli a casa passata l’emergenza. Chissà se richiamano anche i medici dell’intramoenia che continuano ad usare le strutture pubbliche a fini privati. Un problema reale è quello delle prestazioni chirurgiche e i trattamenti oncologici in corso di riduzione negli ospedali prevalentemente dedicati al CoVid-19. Per usufruire le strutture private, nell’economia capitalista, bisogna negoziare e, sicuramente, a caro prezzo. Il privato può accogliere un certo numero di prestazioni chirurgiche, il rischio è che la programmazione si basi sulla selezione dei pazienti con patologie più convenienti dal punto di vista dei piani tariffari. È una situazione che dovrebbe chiarirci l’importanza di salvaguardare la sanità pubblica, impedire con la lotta e l’organizzazione la sua distruzione e pretendere il giusto e sufficiente servizio che, peraltro, paghiamo con le tasse. Su tutto pesa il vincolo di bilancio che l’Unione europea che raccomanda di non comprare e neppure affittare strutture, macchinari, medicinali ecc. perché costerebbero troppo. E di Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea che, con la sua frase “Non siamo qui per chiudere gli spread, ci sono altri strumenti e altri attori per gestire quelle questioni” ha messo in chiaro gli interessi del FMI. Ricordiamo che a fronte dei tagli sulla salute continuano ad

aumentare le spese militari e di appartenenza alla NATO. Recentemente Salvini ha dichiarato: “Quanto al disarmo, non è utile, sarebbe un suicidio economico, e poi il settore difesa è strategico per i prossimi cinquant’anni”, in buona compagnia con il ministro PD Guerini di avviare la fase 2 difendono l’acquisto dei 131 F35 per oltre 14miliardi e le spese per i programmi militari. Con il costo di un solo cacciabombardiere si coprirebbero 5mila impianti di ventilazione assistita o un ospedale da mille posti. E con il coronavirus ci sarebbe stato posto per tutti: malati e personale medico-infermieristico. Come è bello stare tutti a casa! Più siamo isolati, meglio è per la politica. Per inculcarcelo scomodano noti personaggi e ci martellano con spot e canzoncine. Stare a casa con il relativo disagio dei bambini che non vanno a scuola, ma... tranquilli arriva la baby sitter del governo! Lo Stato riscrive le regole per il futuro con il consenso di tutti i partiti sensibili al richiamo di unità nazionale e a pagare sono i lavoratori costretti a stare in casa in cassa integrazione al 60%, a prendere ferie obbligate bruciandosi quelle estive, ad attrezzarsi per il telelavoro, mentre i precari e i dipendenti delle cooperative degli appalti rimangono senza stipendio. La sicurezza dei lavoratori non è per tutti. Tra gli infermieri lasciati per anni senza contratto e oggi diventati “la colonna portante” - già il 12% è infetto). Operai, netturbini, commesse, postini, riders, non sono stati dotati subito di adeguate protezioni. Ci sono volute le proteste e scioperi in fabbrica per far emergere la loro condizione.

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Il 25 Aprile ha il colore rosso dei comunisti

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Viva il primo maggio rosso!

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Amianto alla Scala fino agli anni Novanta, dossier shock dei familiari delle vittime

Antisionismo e antisemitismo: la differenza c’è

Dalle donne siriane

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Il 25 Aprile ha il colore rosso dei comunisti Fabrizio Poggi

Davanti all’attacco borghese la lotta della classe oppressa e sfruttata deve superare le decine di organizzazioni sedicenti comuniste che disperdono le poche avanguardie coscienti, facendoli combattere in ordine sparso Al momento di scrivere, non sappiamo a che livello sarà arrivato, il 25 Aprile, per il 75° anniversario della Liberazione, lo “stato d’emergenza” decretato per il coronavirus. I segnali non sono rassicuranti. Sul fronte sanitario: la crisi ha costretto molti a riconoscere e sussurrare sottovoce – non certo a correggere – gli effetti di anni e anni di tagli alla sanità pubblica e di foraggiamento di quella privata, presentata quale “ottimizzazione” delle risorse di fronte agli “sprechi del settore pubblico”. Sul fronte economico, mentre il padronato si è opposto a ogni misura che intacchi i profitti, come se il virus si arrestasse di fronte ai cancelli delle officine, la caduta industriale è accompagnata da un’accentuazione della disoccupazione, mascherata da “misura necessaria” contro un’epidemia che ci è stata raccontata in ogni maniera possibile, meno che scientifica. Nessuna certezza che il virus non sia uscito da qualche laboratorio militare (ad esempio, quelli della Nato in Georgia o nel Baltico?) e che la sua diffusione non sia stata del tutto accidentale, quantomeno nelle dimensioni. Ma è soprattutto sul fronte delle contraddizioni di classe, che il virus ha trovato il proprio coronamento, con uno “stato d’emergenza permanente”, che la borghesia agogna da sempre di innalzare a “condizione normale” dello scontro sociale. Mentre si rinnova, ancora una volta, “l’epidemia” di obbligazioni finanziarie che lucrano sulle catastrofi, il virus epidemico tacita le voci sul virus informatico, con cui lo Stato si accinge a “captare” ogni qualsivoglia informazione passi attraverso i nostri apparecchi elettronici. “Prevenire è meglio che curare”: mai slogan è sembrato più appropriato, in tempi di virus; solo che, obiettivo degli apparati repressivi agli ordini della borghesia, è quello di prevenire e reprimere ogni accenno, anche solo verbale, al disagio sociale. Si è assistito a un’autentica prova generale di stato d’emergenza permanente e di controllo militare dell’intero territorio nazionale, con l’imposizione a rimanere in casa e la proibizione di ogni manifestazione pubblica. Il 25 Aprile potrà rappresentare un banco di prova dell’esperimento poliziesco teso a “pacificare” lo scontro tra le classi. Il terreno “ideologico” viene preparato da anni. Da decenni si inculca nelle menti una “unità della nazione” estranea a ogni contrasto di classe tra padroni e operai, tra borghesi e proletari, all’insegna di “cittadini”, “consumatori”, “famiglie”, “itagliani”, in cui scompare ogni differenza di classe.

Unione sacra nazionale L’abbraccio interclassista di fronte al virus sembra essere caduto a proposito, in vista di un 25 Aprile che si vorrebbe “di tutti gli itagliani”, anche dei “ragazzi di Salò”: gli esponenti dei differenti settori della borghesia, travestiti da leghisti o democratici, hanno fatto a gara a invocare “unità della Nazione” e “Governi di salute pubblica”: ovviamente, la buona salute del capitale e l’unità dei profitti contro il lavoro salariato. Si è rinverdita la predicazione di una unione

sacra di quella “Itaglia” da sempre in lotta contro le “ingiustizie” perpetrate a suo danno dalle nazioni più forti e più ricche: il tutto, è stato dato in pasto alle coscienze, in nome del “dovere di unirsi per far fronte al nemico comune, senza distinzioni di ceto”, che si tratti di virus o di elementi “anti-sistema” che minaccino la tranquillità della borghesia di continuare a sfruttare i lavoratori. L’unità nazionale di fronte al virus è andata a sposarsi con la perenne rievocazione delle “gesta eroiche” di coloro che sul Carso restituirono alla “nazione” le terre irredente, mandando operai e contadini al macello nella guerra imperialista. Da anni si celebrano le “terre itagliane” occupate dai fascisti ai confini orientali e si bestemmia con crescente sfacciataggine istituzionale su “profughi itagliani”, scacciati o infoibati “sol perché itagliani”. Da anni va ampliandosi il coro della parificazione delle “vittime dell’odio”, cadute non si sa bene come e perché, per mano “elementi di destra e di sinistra”, mentre assume aspetti vomitevoli il tentativo di parlare in maniera sempre più aleatoria, quasi mistica, ultraterrena, della guerra di liberazione, come se tutti i 45 milioni di italiani di allora avessero combattuto non si sa contro chi e per cosa... Di contro, le rare volte in cui si parla dei sanguinari “partigiani rossi”, lo si fa in modo da suscitare compassione per i “martiri”, che aspiravano solo al “bene della patria”, caduti per mano dei feroci comunisti, nemici della nazione. In passato, nella vulgata televisiva, si cercava di ignorare il sacrificio dei militanti clandestini, specialmente comunisti, che, durante il ventennio fascista, rischiando la vita, avevano resistito in Italia per diffondere l’idea della trasformazione sociale e si era invece, da un lato, amplificato il “consenso di massa” al regime fascista e, dall’altro, si era accentuato in maniera quasi esclusiva, il racconto sugli emigrati cattolici e liberali che, dall’estero, tessevano la rete dei contatti con le “democrazie occidentali”, per il futuro ritorno della nazione nel consesso liberale.

ciò nella lotta armata di decine e decine di migliaia di giovani, operai e contadini, contro l’occupazione nazista e il rinato fascismo repubblichino, mentre assumono forma “angelica” quegli sparuti “oscuri funzionari” i quali, per vent’anni, avevano servito diligentemente il fascismo e poi, all’ultimo, erano diventati “giusti tra le nazioni”, nascondendo gli ebrei perseguitati dalle leggi volute dal nazismo, cui l’Italia fascista si era sì adeguata, ma solo “suo malgrado”, data la bontà innata degli “itagliani”. Ma il discorso sarebbe molto più esteso e non abbiamo sufficiente spazio, per esprimere il voltastomaco che assale, allorché le più alte istituzioni della “patria”, anche all’ombra di gagliardetti della “X Mas”, tacciono patriotticamente sulle stragi di migliaia, e in qualche caso di decine di migliaia, di abissini, e di libici; sulle fucilazioni in massa e i villaggi dati alle fiamme in quelle “terre riconquistate alla patria” al di là dei confini orientali, mentre evocano il “sacro sangue innocente” di quelle decine di fascisti giustiziati “sol perché itagliani”. Si dice che ciò avvenga a causa del mito degli “italiani brava gente” che, in giro per il mondo – in Africa, Grecia, Albania, Jugoslavia, Unione Sovietica... - avrebbero fatto solo opere di bene, e anche perché l’Italia “non ha fatto i conti col passato” fascista. In parte è vero: gli stessi anglo-americani salvarono la testa dei criminali Graziani, Roatta, Badoglio, Robotti ecc. Ma tale tesi è vera solo se si dimentica o si tace volutamente la natura del fascismo. Non del solo ventennio mussoliniano, ma del fascismo quale arma cui il capitale è sempre pronto a ricorrere ogni qualvolta non siano più sufficienti i metodi liberali di soggiogamento delle masse lavoratrici. Il capitale tiene sempre pronto il manganello, mentre cerca di far sì che sia sufficiente una ben curata e prolungata campagna “ideologica” affinché lo “stato d’emergenza” permanente sia percepito – e anche invocato – quale provvedimento dovuto e indispensabile, per “il bene di tutti”.

Oggi si va ben oltre. Scompare ormai quasi del tutto quel grandioso movimento, non “di popolo”, ma della classe lavoratrice, che sfo-

Quest’anno, a dispetto dello “stato d’emergenza”, si celebra il 75° anniversario della vittoria sul nazismo e della fine della Seconda

Scompaiono i partigiani

75° della vittoria sul nazismo

guerra mondiale, costati ai popoli del mondo oltre cinquanta milioni di morti, di cui oltre la metà alla popolazione civile dell’Unione Sovietica e ai soldati dell’Esercito Rosso. Prima dello scoppio della guerra, le “democrazie liberali” avevano cercato in ogni modo di utilizzare il nazismo tedesco per l’obiettivo cui non aveano mai rinunciato sino dal 1917, quello di soffocare il primo Stato socialista al mondo. Scoppiato il conflitto, si erano unite loro malgrado all’URSS nella lotta contro il nazifascismo. Oggi, cercano di appropriarsi di una vittoria cui, sul piano militare, contribuirono in parte secondaria; capovolgono così figure, avvenimenti, date, protagonisti. Già il 27 gennaio se ne è avuta un’anticipazione, con le celebrazioni per il 75° anniversario della liberazione di Auschwitz da parte dell’Esercito Rosso, allorché tra “sviste”, “refusi” e aperti travisamenti, si è fatto di tutto per tacere nome e ruolo dei veri protagonisti di quella liberazione. Il tema, naturalmente, non è nuovo; ma, man mano che si avvicina il 9 maggio (la capitolazione tedesca divenne effettiva dalle ore 24.00 dell’8 maggio 1945) la campagna “alleata” assume aspetti grotteschi, con medaglie commemorative delle “tre potenze vincitrici” sul nazismo – USA, Gran Bretagna, Francia – e apoteosi di sbarchi trasformati nell’unico “evento storico” dell’intera guerra mondiale.

L’attacco al comunismo Ma, il vero obiettivo della campagna sulla “memoria storica” è stato messo in chiaro dal Parlamento europeo il 19 settembre 2019. L’obiettivo non è affatto storico. Non per nulla, a farsi promotori del documento di Strasburgo, sono stati designati quei paesi d’Europa orientale che, più di tutti, videro masse intere di Komplizen delle SS e che oggi, tra parate in uniformi naziste e celebrazioni di “eroi” autori di massacri contro civili, soldati sovietici, comunisti, tsigani, intendono dare lezioni al mondo su come “la legge vieta le ideologie comuniste e naziste”. All’insegna della “informazione” e della “Storia” servite al “largo pubblico”, si propagandano miti che, ripetuti migliaia di volte, alla maniera goebbelsiana, rimangono infissi nelle menti senza che i ricettori se ne rendano conto. La “unità della nazione” è uno di quei miti. segue a pagina 3


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Viva il Primo maggio rosso! Luciano Orio Non c’è niente di più anacronistico che scrivere del Primo Maggio in questi tempi di coronavirus: tanto il primo celebra quanto il secondo incenerisce quel che resta di libertà, socialità e vivere collettivo. I tempi cupi non possono non riportare alla memoria le vecchie edizioni della Festa dei Lavoratori, quelle di gioventù, quando questa scadenza si presentava come una giornata di lotta e si andava, da militanti, a gonfiare di numero e di contraddizioni i cortei sindacali, destinati purtroppo a finire, con gli anni, a Piazza San Giovanni per il “tradizionale” concertone. Ma prima di riempire queste righe di nostalgie fuori luogo è bene riprendere la storia del Primo Maggio, che è legata a quella per le otto ore di lavoro iniziata nei paesi industrialmente più progrediti alla fine del penultimo decennio de XIX secolo: “Sarà organizzata una grande manifestazione internazionale a data fissa, per modo che, in tutti i paesi e in tutte le città contemporaneamente, in uno stesso giorno prestabilito, i lavoratori pongano ai poteri pubblici la condizione di ridurre legalmente a otto ore la giornata di lavoro” . Così deliberò a Parigi nel 1889 il Congresso di fondazione della Seconda Internazionale. La pratica poi fece il resto, interpretando e integrando la deliberazione stessa e sviluppandone il contenuto, dalla protesta per le otto ore a quella di più ampie rivendicazioni economiche e sociali. Il Primo Maggio dunque è una scadenza con un significato altamente simbolico dal punto di vista rivoluzionario e di classe e per molti anni ha dato luogo, in tutti i paesi, a violente repressioni poliziesche che tuttora perdurano laddove questa data viene organizzata nel suo significato più autentico. Ma, si sa, dove non arriva il bastone, arriva la politica di svuotamento progressivo del significato rivoluzionario originale, attraverso il riconoscimento, tacito od esplicito, e la normalizzazione da parte non solo dei governi borghesi (una festa civile), ma soprattutto da parte dei sindacati confederali e partiti di sinistra. Uno svuotamento, che è progredito a tappe il cui traguardo era, volta per volta, lo smantellamento della condizione di classe, della sua coscienza e centralità, per arrivare al concertone di Piazza San Giovanni. La storia della lotta di classe non può non coincidere con la storia del Primo Maggio. A cosa dobbiamo l’indifferenza, la perdita di centralità e di protagonismo della classe operaia? Premettiamo che si tratta di una

Si martellano quotidianamente le coscienze, cominciando col riscrivere la storia dei comunisti, in tutte le sue pagine, non solo in Unione Sovietica e non solo nel passato più lontano. Si spiana così la strada ai colpi decisivi contro i comunisti di oggi: l’obiettivo è quello di decretare per legge il bando del comunismo e dei comunisti, e fare in modo che la coscienza “di massa” accolga tale proscrizione come un “atto naturale” cui, per la “sicurezza”, cara alla destra come alla “sinistra”, si sarebbe dovuto ricorrere da tempo, al pari dello “stato d’emergenza” permanente. L’attacco alla storia dell’URSS e dei comunisti, da parte del nemico di classe, non è un attacco “storico”: non è che un aspetto dell’attacco di classe cui i comunisti sono da sempre sottoposti. Lo scontro non è “storico” o “intellettuale”: è uno scontro di classe, in cui si usano anche armi “storiche” e “intellettuali”. Non è uno scontro “storico”, perché non è storico l’obiettivo di chi oggi vorrebbe presentare gli avvenimenti di settanta e ottanta anni fa, gli eventi legati alla lotta antifascista, guidata in prima linea dai comunisti, e alla Grande guerra patriottica dell’URSS contro gli invasori nazisti e i loro alleati di quasi tutta l’Europa,

fase e non di un destino irreversibile. Altrove (in Francia, America Latina, India ecc.) i lavoratori ne sono esenti. Al di là dell’attacco profondo portato dalla borghesia, scelte ed errori politici hanno svuotato lo spazio politico di classe.

società, il socialismo, appunto. Negli anni ‘60 e ‘70 (ma anche dopo) il marxismo è stato un punto di riferimento intellettuale fortissimo che ha influenzato anche molti piccolo borghesi. Anche chi era ostile al marxismo, o puntava a superarlo e rimpiazzarlo, si presentava, allora, attraverso idee socialisteggianti o usava un gergo ripreso dal marxismo e dal leninismo. Questo fenomeno è stato particolarmente evidente col proliferare delle teorie “postmarxiste”. Intellettuali e artisti, “soggettività” di vario tipo, con una coscienza molto superficiale, che si facevano passare per comunisti o anticapitalisti, sono diventati, nel giro di pochi anni, qualunquisti o, peggio ancora, fedeli seguaci di qualche fede religiosa. Il discredito, poi, in cui il socialismo è parzial-

i margini economici per politiche riformiste socialdemocratiche e questo è chiaramente visibile nelle liste elettorali, nelle quali la stessa parola sinistra è ormai quasi scomparsa. Tutte queste macerie ideologiche pesano e non poco, soprattutto per chi fa di tutto per scrollarsele di dosso. Il principale argomento e il più devastante contro il marxismo riguarda la pretesa della scomparsa delle classi sociali, cioè che la classe operaia non esiste più. Questo mito del tramonto della classe operaia ha portato all’interclassismo e al populismo. Pregiudizi anticomunisti ritornano, diventano luoghi comuni e le stupidaggini dilagano. L’invito quindi è riprendere i contenuti di lotta del Primo Maggio e farne un’autentica

Le lotte dei lavoratori (Biennio rosso, Resistenza, Autunno caldo) sono avvenute sotto l’insegna del marxismo e del comunismo ed erano concepite dai lavoratori stessi (o da molti di loro) come preparatorie all’abbattimento del sistema capitalista per costruire un nuovo modo di produrre e organizzare la

mente caduto in alcune regioni del mondo dopo la caduta del muro di Berlino (19891991) è servito da trampolino di lancio per l’offensiva dell’armamentario ideologico borghese. Tante idee sbagliate sono penetrate nel campo della classe operaia, disorientandola. Ma c’è di più. La crisi ha esaurito

giornata di lotta dei lavoratori che metta al centro della giornata l’attacco sempre più virulento contro la condizione della classe lavoratrice, a partire dalla limitazione del diritto di sciopero. Sempre che l’emergenza coronavirus finisca e ce lo lascino fare.

in una maniera tale da parificare “per legge” nazismo e comunismo, dando naturalmente la priorità ai “crimini dei regimi totalitari comunisti”, come si dice a Strasburgo. È in corso da anni un attacco diretto ai comunisti in ogni parte del mondo; in Italia, l’attacco è diretto in primo luogo contro il

movimento partigiano guidato dai comunisti. Tutto questo non è che il viatico per dare forma “legale” alla crociata moderna contro comunismo e comunisti, per “pacificare” per legge la resistenza di classe alla sopraffazione da parte del capitale. La risoluzione del Parlamento europeo del 19

settembre 2019 è stata solo una tappa nella “istituzionalizzazione” della pari responsabilità di Germania nazista e URSS nello scatenamento della guerra e di un fantomatico “retaggio europeo comune dei crimini commessi dalla dittatura comunista, nazista e di altro tipo”. Non si deve forse aver terrore dei sanguinari “comunisti slavi”, macchiatisi del sangue delle “vittime innocenti”, giustiziate “sol perché itagliane”? Non fa forse orrore la bandiera rossa, nemica di quel tricolore sotto cui sono riuniti tutti i “patrioti” in “lotta contro l’invasore”, un invasore solo casualmente vestito con le uniformi grigioverde della Wehrmacht, ma non certo assetato di sangue come i “barbari slavi” con in testa la bustina con la stella rossa? Questo dovrebbe essere il 25 Aprile di coloro che, forse ancora titubanti a mettere al bando l’antifascismo, intendono cominciare col proibire “per legge” il comunismo e i comunisti. Ma, la liberazione dell’Italia dal fascismo e dal nazismo era coperta di quel colore rosso che era il sangue dei partigiani e che sarà sempre la bandiera dei comunisti. Se ne facciano una ragione.

‘Riprendere i contenuti di lotta del Primo Maggio e farne un’autentica giornata di lotta dei lavoratori

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Scala di Milano: processo per i lavoratori morti d’amianto Amianto alla Scala fino agli anni Novanta, dossier shock dei familiari delle vittime: “Bonificata solo grazie ai lavoratori Michele Michelino

È quanto denunciato in un dossier curato dai rappresentanti di una serie di associazioni, tra cui il ‘Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio, diffuso il 19 febbraio nel giorno in cui in Tribunale a Milano è ripreso il processo a carico di cinque ex dirigenti del teatro, accusati di omicidio colposo in relazione alle morti di una decina di lavoratori che avrebbero respirato le fibre killer in teatro, prima delle bonifiche dei locali. Secondo le associazioni e i lavoratori, gli “interventi di bonifica” sono stati “ottenuti non per obbligo di legge e per prevenzione, ma per le denunce dei lavoratori, gli unici che hanno posto la necessità di porre rimedio all’inalazione di fibre di amianto da parte degli ignari spettatori del Teatro alla Scala”. In questo processo i 5 dirigenti imputati sono accusati di omicidio colposo in relazione alla morte di nove lavoratori, elettricisti, attrezzisti, un macchinista, una cantante lirica e un siparista, esposti alla sostanza cancerogena dagli anni Settanta in poi. La ‘pattona’, è spiegato nel dossier, “è crollata durante una prova di scena nel 1992 ed è stata dismessa in modo grezzo con forbicioni e flessibili, senza misure di prevenzione per i lavoratori”. Il 25 marzo la prossima udienza.

Riportiamo il dossier completo dal titolo: Breve storia della presenza dell’amianto alla Scala. Nonostante la ristrutturazione del Piermarini (2002-2004), in teatro il problema amianto ha continuato a esistere. Lo dimostra il caso del sottotetto sopra la cupola della Sala, dove l’amianto era utilizzato per l’isolamento termico-acustico della volta platea, intorno agli oblò dove passa il fascio di luce dei fari, sui rivestimenti dei tubi dell’acqua. Arrivò su tutti i giornali milanesi, la forte polemica scoppiata tra il Comitato scaligero sostenuto dalla CUB Informazione e Spettacolo, e la direzione del Teatro e l’Amministrazione comunale, il quale hanno dapprima negato il problema, e poi tentato di rinviare la bonifica della volta platea. In quell’occasione, divenne di dominio pubblico la realtà denunciata dai lavoratori: per anni le fibre di amianto sono state respirate, sia dal personale del Teatro che dagli ignari spettatori, estasiati dalle musiche e dallo spettacolo, ma investiti dalle fibre killer. La nostra tenacia ha portato al risultato dell’intervento di bonifica, conclusa il 16 ottobre 2009 con un Certificato di Restituibilità dell’ASL di Milano a seguito “dell’intervento di rimozione di amianto in matrice friabile”. Ancora il 28 aprile 2010 i lavoratori tecnici del teatro avevano inoltrato un esposto all’Asl per denunciare le condizioni di lavoro in un luogo malsano e insicuro, “il locale seguipersona del lampadario storico” dove gli operatori passano tantissime ore al giorno durante le prove e gli spettacoli. Durante i sopralluoghi sono stati scoperti ancora residui di amianto sotto la stoffa grigia delle pareti, “sfuggito” agli esperti della bonifica dell’estate precedente e a quella del 2004. A giugno 2010 è stata fatta una nuova denuncia per realizzare la seconda bonifica conclusa ad agosto dello stesso anno. L’oggetto con maggior concentramento delle fibre è stato la famosa “Pattona”, una mole di lamiera di 17x12 mt. foderata di stoffa in amianto, posizionata tra il palcoscenico e la sala. Fungeva da tagliafuoco e isolamento acustico, si chiudeva e apriva contemporane-

amente al sipario per i cambi di scena e alla fine dello spettacolo, oppure per svolgere in buca le prove dell’orchestra mentre in palcoscenico si montava una scena. Per molti anni la “pattona”, ad ogni suo movimento, rilasciava le fibre di amianto che si disperdevano in palcoscenico in Sala e in buca dell’orchestra. E’ crollata durante una prova di scena nel 1992 e dismessa in modo grezzo, tagliata con i flessibili, senza misure di prevenzione per i lavoratori scaligeri. In palcoscenico l’amianto si trovava in diverse forme, nella componentistica meccanica ed elettrica degli impianti e dei proiettori di scena, nelle guarnizioni degli stipiti delle porte tagliafuoco, nelle coperte di amianto antincendio per proteggere l’ambiente dal calore emesso dai proiettori, queste ultime venivano interposte per evitare il contatto diretto dei corpi illuminanti con fondali, telette e altri oggetti scenografici appesi in soffitta. Anche quando si realizzavano le saldature in scena durante gli allestimenti, si mettevano per terra per evitare incendi. Le coperte venivano usate anche in sala per evitare il pericolo di incendio del legno e delle stoffe decorative; venivano custodite dai vigili del fuoco anche durante le prove degli spettacoli in II galleria cosi come anche nei palchi chiamati “barcacce” dove si montavano i proiettori. I condotti di aspirazione e ventilazione del palcoscenico erano rivestiti in amianto; attraverso rivestimenti d’amianto, arrivava l’aria condizionata anche al palco reale. L’amianto veniva usato in scena attraverso i lunghi guanti per spegnere i corpi incandescenti come torce e candele. Anche i grossi tavoli di lavoro della sartoria, utilizzati per stirare e cucire avevano sotto il panno della stoffa un rivestimento in amianto. Tutti questi materiali e attrezzature sono stati adoperati o in contatto diretto da diverse categorie di lavoratori, come vigili del fuoco, elettricisti, meccanici, attrezzisti, macchinisti, sarte, scenografi-pittori falegnami calzolai, parrucchieri, ispettori, maestri collaboratori, comparse, da tutte le masse artistiche (ballerini, professori d’orchestra, coristi). Nonché in modo indiretto dagli impiegati. La sala prove del coro situata al 3° piano del vecchio edificio è stata bonificata solo alla fine degli anni ‘80. Ricordiamo che l’amianto era presente in altri locali del complesso del teatro, iniziando dalla Palazzina di via Verdi che era collegata direttamente al teatro e che per tantissimi anni ha ospitato la scuola di ballo dove centinaia di bambine/i ragazzi/e hanno studiato per 8-12 ore al giorno; anche gli uffici amministrativi per alcuni sono stati ospitati in quella palazzina con soffitti e muri rivestiti d’amianto, compresa la tromba della scala principale. L’edificio è stato bonificato parzialmente alla fine degli anni ‘90 ma è tuttora in attesa di una bonifica totale. Anche alla Piccola Scala (fino al 2001) esisteva un sipario rigido scorrevole in tessuto di amianto che fungeva da isolamento termico/acustico. Dopo la chiusura al pubblico fu utilizzata come prolungamento del palcoscenico e fungeva da deposito delle scenografie tra uno spettacolo e l’altro, nel retro dei

palchi della Piccola c’erano dei laboratori di pittura e alcuni piccoli uffici ricavati dalla vecchia struttura. I camini dei fumi della centrale termica erano rivestiti in amianto. Si trovava inoltre, nelle soffittature di locali, come quelli al piano terra della sala prove dei musicisti percussionisti e dentro il magazzino generale di ricambi e cancelleria. Altre sedi del Teatro L’amianto era presente anche nei locali dei laboratori del Teatro alla Scala, prima dislocati nelle sedi di Pero e di Bovisa, dove i tetti in eternit rilasciavano fibre che si depositavano sulle scene nelle stanze dei laboratori e nelle celle dove venivano conservate sia le scene che i costumi, che poi venivano condotti sul palco del Piermarini. L’amianto alla Bovisa era presente nelle coperte ma soprattutto nella famosa “miniera”, il luogo dove si lavorava il ferro che armava le scene, e serviva per proteggere i lavoratori durante le saldature Dal 20 febbraio 2001 questi laboratori hanno traslocato presso l’ex insediamento industriale delle acciaierie Ansaldo in via Bergognone a Milano, dove sono stati esposti lavoratori e coristi, dato che l’area venne bonificata dall’amianto solo nel 2005/6. Ancora: a Figino in via Capo Rizzuto, dove esiste un altro storico deposito di scenografie, a maggio del 2009 da parte del Comitato e della Cub è stata denunciata la presenza di amianto sui tetti; solo nel 2018 è avvenuta la bonifica (65000 mq). In via Daimler dove ci sono grandi Magazzini di deposito scene, durante il monitoraggio in tutte le sedi scaligere deciso dall’ufficio tecnico solo nel 2016, sono stati individuate e successivamente bonificate le catene di sostegno del capannone ricoperte di amianto. Durante questo monitoraggio generale, all’ex cinema Abanella sede da tantissimi anni della sala prove dell’orchestra, sono state rinvenute delle coperte in amianto nella sala proiezione e nelle condotte del riscaldamento.

Gli ultimi ritrovamenti di amianto Ottobre 2014: Esposto all’ASL per rinvenimento da parte degli elettricisti di proiettori di luci con componentistica di amianto: Abbiamo convinto la Direzione ad analizzare il parco luci del teatro alla Scala: è stato così trovato amianto in proiettori di tipo Pollux, Polaris, Svoboda, Castor e Sirio. Segnalati anche i Mizar cioè proiettori da 500w. La lista completa dei proiettori contaminati è stata intorno a 200 pezzi, in seguito smaltiti tutti. Marzo 2015: Inizia il cantiere della palazzina di via Verdi 3 di proprietà della fondazione Scala, per bonificare sia i piloni in acciaio che le putrelle avvolti in amianto.

Il Processo, le morti causate dall’amianto Elenchiamo, a imperitura memoria, le dieci vittime per le quali si sta celebrando il processo. 1: Enzo Mantovani (mesotelioma) deceduto in agosto del 2000; è stato la prima vittima per amianto in teatro. Lavorava in palcoscenico come meccanico e addetto alla manovra

del sipario antiacustico (pattona) con fodera in tessuto di amianto. 2: A.P. è morto nel 2005. Lavorava nell’ex laboratorio costruzioni scene e deposito della Bovisa come falegname, dopo all’Ansaldo. 3: Roberto Monzio Compagnoni, deceduto a novembre 2011, carismatico caposquadra dei vigili del fuoco lavorava al presidio antincendio permanente in Scala. Esposto all’amianto per ambiente contaminato e anche a causa di tute, guanti che indossava e a teli ignifughi in amianto che utilizzava. 4: F.B. deceduto nel 2012. Tecnico di palcoscenico, macchinista esposto per contatto diretto e ambientale in palcoscenico. 5: S.P. deceduto nell’aprile del 2012. Lavorava nella squadra trasporti in via Capo Rizzuto a Figino, poi negli anni ‘90 nei laboratori per la movimentazione e trasporto delle scene situato nel quartiere della Bovisa, via Baldinucci. Dopo il trasloco all’Ansaldo dei laboratori scaligeri in via Bergognone nel 2001, il suo lavoro si era svolto presso la portineria dello stabile. 6: P. S. deceduto nel 2013. Aveva lavorato come musicista alla Scala dal ‘60 all’83 in qualità di flautista. 7: L.P. deceduta a causa di mesotelioma ad aprile 2013. Aveva lavorato come corista fin dagli anni ‘60 al 1991/92. 8: B.P. lavorava come tecnico di palcoscenico macchinista dal ‘73 al ‘93 muore a 59 anni di cancro al polmone. 9: F.C. colpito da mesotelioma pleurico ed oggi l’unico testimone vivente degli ammalati alla Scala, nel processo amianto/Scala; ha lavorato vicino al sipario della Piccola Scala, dove vi era lo studio e il magazzino dei fonici. 10: E.M., celebre pianista e direttore d’orchestra. L’asbestosi cronica è invece la malattia che ha colpito Demetrio Asta, ex siparista della Scala che andò in pensione nel ‘91, deceduto l’11 novembre del 2014.

Un risultato positivo dalle lotte del Comitato: riconosciuto il diritto alla sorveglianza sanitaria Nell’ottobre 2013 l’ASL iscrive nel registro degli ex esposti amianto della Regione Lombardia i lavoratori Scala e come conseguenza riconosce loro il diritto alla sorveglianza sanitaria, stabilendo una catalogazione di tutte le categorie professionali, secondo i criteri stabiliti dal PRAL approvato dalla Giunta Regionale con deliberazione n. 8/1526 del 22 dicembre 2005. Successivamente L’ASL di Milano ha inviato per posta a diverse centinaia di lavoratori ed ex lavoratori del Teatro alla Scala i certificati di riconoscimento della loro passata esposizione all’amianto Nel Dicembre 2013 fu sancito un Protocollo d’intesa fra il nostro Comitato, l’Asl, Fondazione Scala e la Clinica del lavoro per attivare la sorveglianza sanitaria.

Un grave problema ancora aperto: il difficile rapporto tra Amianto e (in)Giustizia A marzo 2019, il Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio, Il Comitato ambiente e salute del Teatro alla Scala, all’Associazione Italiana Esposti amianto, medicina democratica, sindacati di base CUB e SGB, hanno discusso con esperti di Diritto e Medicina, rappresentanti di movimenti sorti in difesa della salute dei lavoratori e dei cittadini esposti alle fibre killer, sugli ostacoli che si incontrano nel riconoscere le responsabilità penali dei soggetti che hanno diretto i luoghi di lavoro senza prevenire i danni alla salute e all’ambiente. Si tratta di un problema ancora aperto, soprattutto a Milano, dove tuttavia esiste un dato innegabile: centinaia di lavoratori deceduti a causa dell’amianto respirato nei luoghi di lavoro. Questo è il quadro nel quale si sta celebrando il processo ai dirigenti della Scala


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Corona virus: una riflessione, una domanda e una constatazione Michele Michelino

Il capitalismo è un sistema criminale che fa più vittime fra i proletari di qualsiasi virus, epidemia, pandemia o calamità naturale Io faccio parte di una generazione di operai e lavoratori che ha sempre lottato per la difesa della salute in fabbrica e nel territorio e che è sempre stata favorevole ad applicare il principio di precauzione a tutela della salute collettiva e individuale. Ma come mai sul corona virus che ha prodotto (al momento in cui scriviamo) duecentomila contagiati e migliaia di decessi al mondo in 30 paesi,, si bloccano intere zone, si mobilitano governi e istituzioni e per i morti sul lavoro, per cancerogeni, per l’amianto e per l’inquinamento no? Eppure ogni anno in Italia si ammalano di cancro circa 370.000 persone e ne muoiono quasi 500 al giorno. Ogni giorno in questo paese al lavoro si muore più che in guerra. Ogni anno muoiono 1450 lavoratori morti per infortuni sul lavoro e in itinere, decine di migliaia per malattie professionali, 5 mila quelli per amianto solo in Italia, 15 mila in Europa, più di 100mila i morti d’amianto nel mondo, senza contare tutti morti per il profitto, (ponti che crollano, case che crollano in zone sismiche perché non si rispettano le misure di sicurezza, inondazioni per mancate manutenzioni ecc) . Come mai di tutto questo non si parla? Forse perché l’epidemia mette in movimento tutta una serie di misure economiche e di controllo sociale, di verifica del panico collettivo e i morti del lavoro, di malattie professionali e d’inquinamento no?

Eppure dai dati del 2019 si evince che L’Italia è il primo Paese europeo per morti premature da biossido di azoto (NO2) con 14.600 decessi l’anno. Lo rivelano i dati raccolti e analizzati dall’Agenzia europea per l’Ambiente (Aea) nel rapporto annuale sulla qualità dell’aria, in base alle rilevazioni delle centraline anti smog, che posizionano l’Italia al primo posto anche per le morti da ozono (O3) – 3mila all’anno – e al secondo posto per quelle da particolato fine (PM2,5), 58.600, dietro alla sola Germania. Così 2 milioni d’italiani vivono in aree, soprattutto la Pianura Padana, dove i limiti europei per i tre inquinanti principali sono violati sistematicamente, come riconosciuto anche dal ministro dell’Ambiente Sergio Costa che nel 2019 commentava: “i risultati sono drammatici e suonano come l’ennesimo campanello d’allarme rendendo ancor più chiara la necessità di velocizzare il percorso intrapreso per il miglioramento della qualità dell’aria“. E continuava: “Abbiamo posto basi solide, a cominciare dalla firma del Protocollo Aria Pulita nel corso del Clean Air Dialogue di Torino, lo scorso giugno. Stiamo avviando accordi con alcune Regioni nelle quali il problema della qualità dell’aria è particolarmente grave”. Poi concludeva: “Nel decreto legge sul clima, abbiamo inoltre inserito misure per incentivare la mobilità sostenibile nelle città e nelle aree sottoposte a infrazione europea per la qualità dell’aria, e stanziato fondi per la piantumazione e il reimpianto degli alberi e la creazione di foreste urbane e periurbane nelle città metropolitane”. La mancanza d’informazioni corrette, di messaggi contradditori diffusi anche dalle diverse istituzioni aumentano la paura che uccide forse anche più del virus e questo spinge le persone al fai da te, a vivere nel panico (come dimostra l’assalto ai supermercati per accaparrarsi merci spesso inutili), con gravi conseguenze, oltre che sulla salute dei cittadini e dei lavo-

Giustizia per le vittime dell’amianto e dello sfruttamento Giustizia per tutti i lavoratori e i cittadini assassinati per il profitto AL LAVORO PEGGIO CHE IN GUERRA: In Italia negli ultimi dieci anni i morti per infortuni sul lavoro sono stati più di 17 mila. Ogni anno sono 1.400 i morti sul lavoro (120 al mese) mentre decine di migliaia sono quelli per malattie professionali (solo per amianto oltre 4.000 all’anno). A questi numeri vanno aggiunti gli altri morti del profitto causati dai risparmi sulla sicurezza (ponti che crollano, disastri ambientali, inondazioni e altro ancora).

Sabato 18 aprile 2020 – ore 16.00 corteo

partenza dal Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” di via Magenta 88, Sesto San Giovanni, fino alla lapide di via Carducci

L’aumento degli incidenti mortali e degli infortuni sul lavoro, che avviene mentre diminuiscono i posti di lavoro, dimostra il peggioramento delle condizioni della sicurezza sul lavoro e di vita. Imprenditori senza scrupoli, pur di risparmiare anche pochi spiccioli per la sicurezza e realizzare il massimo profitto, condannano a morte migliaia di lavoratori e cittadini, consapevoli di rimanere impuniti, protetti da leggi che difendono i carnefici e puniscono le vittime, come vediamo giornalmente nei processi penali. ROMPIAMO IL SILENZIO. BASTA MORTI PER IL PROFITTO. E’ ARRIVATO IL MOMENTO DI SCENDERE TUTTI IN PIAZZA. Non possiamo assistere passivamente a questa mattanza di operai e cittadini per il massimo profitto. L’indifferenza, oggi, diventa complicità. Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio Sesto San Giovanni (Mi) aprile 2020 email: cip.mi@tiscali.it

ratori, su settori importanti dell’economia del paese. Il corona virus, a parte l’aspetto sanitario è stato anche un test del potere per verificare la reazione delle persone davanti a un pericolo, oltre che un modo per sperimentare una nuova forma di terrorismo di stato utile in un prossimo futuro a vietare e impedire ogni manifestazione o protesta. Così fingendo di tutelare la salute pubblica e alimentando la paura s’impedisce con il consenso della maggioranza della popolazione ogni protesta popolare contro il potere degli sfruttatori. La realtà di ogni giorno dimostra che nel sistema capitalista mentre aumenta la ricchezza nelle mani di una minoranza di borghesi, per i proletari aumenta la miseria, lo sfruttamento, la disuguaglianza, la povertà, i contadini senza terra, gli operai senza lavoro, disoccupazione, morti sul lavoro e di malattie professionali, inquinamento, fame, malattie, guerre, morte. Il capitalismo è un sistema criminale che fa più vittime fra i proletari di qualsiasi virus, epidemia, pandemia o calamità naturale. Solo distruggendo il sistema di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, con il potere operaio e il socialismo e possibile produrre per soddisfare i bisogni degli esseri umani, considerando lo sfruttamento degli esseri umani un crimine contro l’umanità.

continua da pagina 1 Il governo però si preoccupa delle imprese e stanzia miliardi per sostenerle. Alcune coglieranno l’occasione per chiudere definitivamente e c’è da aspettarsi che, una volta usciti da questa circostanza, aumenterà la disoccupazione e si verificherà un nuovo rincaro dei prezzi. La destra - da Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia che vuole un blocco totale del Paese, anzi la Meloni (e anche Renzi) chiede il “rientro” dell’”uomo forte” Bertolaso - colui che prima del terremoto a L’Aquila rassicurava che nulla sarebbe accaduto. Quello della destra è un modo sicuro per mandare il Paese in default e poi, con il pretesto della bancarotta, intervenire con una soluzione autoritaria. Tra tutte le misure restrittive previste c’è la multa e persino l’arresto, ma non si vedono provvedimenti “risanatori” di sterilizzazione di ospedali, strade, trasporti e luoghi vissuti. Né si conoscono quali sono le cure. Si sa che i cinesi curano questo virus con un mix di farmaci tra i quali l’interferone cubano alfa 2B (IFRrec), farmaco prodotto a Cuba e disponibile e, com’è noto Cuba vanta un’elevata com-

petenza, preparazione e specializzazione del personale medico cubano, così come l’esperienza nel campo delle malattie infettive ed epidemiologiche che hanno avuto importanti riconoscimenti a livello internazionale. La stessa OMS ha dichiarato che Cuba è stata esemplare nella lotta contro l’epidemia del virus Ebola in Africa. Si preferisce ignorarlo, continuare ad allinearsi al blocco economico, finanziario e commerciale cui Cuba è sottoposta da parte degli Stati Uniti? O si aspetta che la soluzione venga dall’amico Israele? Intanto la cosa più grave è che, in nome della salute pubblica, il territorio è militarizzato da pattuglie di polizia ed esercito, e sono sospesi persino i diritti costituzionali come la libertà di riunione, di sciopero e di manifestazione e che questo, data la paura impressa, venga accettato senza sollevare troppi dubbi. Ricordiamocene quando la situazione tornerà normale e dovremo affrontare un mare di problemi che richiederanno tutto l’impegno per non farci coinvogere in una fantomatica ricostruzione che andrebbe solo a vantaggio di borghesia e capitalismo.


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Antisionismo e antisemitismo: c’è differenza Un intreccio tra industria militare, assicurazioni, case farmaceutiche e il management composto per il 100% da ex ufficiali. E il connubio sul piano militare ed economico tra Italia e Israele In questi giorni (virus permettendo) si apre a Milano il processo contro militanti solidali con la Palestina per incitamento all’odio razziale solo perché nella manifestazione del 25 Aprile 2018 hanno contestato la presenza delle bandiere israeliane. Digos e Tribunale di Milano si sono dati un gran da fare per attuare un atto repressivo con l’obiettivo di equiparare l’antisionismo all’antisemitismo. È un argomento all’ordine dl giorno perché c’è un iter parlamentare sull’adesione del governo italiano alla definizione dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) e sul disegno di legge antiBDS (Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni). Si tratta, appunto, di paragonare antisionismo e antisemitismo per evitare qualsiasi tipo di critica nei confronti del governo israeliano. È assolutamente chiaro che l’antisemitismo è una forma di razzismo nei confronti degli ebrei di qualsiasi nazionalità che è tipico delle forze di destra. Non può essere della sinistra solidale con la resistenza palestinese anche perché i palestinesi sono semiti, quindi parla di antisionismo e anticolonialismo. Tra i promotori di questo progetto mistificatorio che parte da lontano troviamo Napolitano e il PD, partito promotore di disegni di legge e leggi chiaramente filosioniste, che si rafforza con Salvini e la sua destra. PD e Lega uniti per trasformare il dissenso politico in odio razziale. Anche questo governo è molto amico di Israele e l’Italia è anche la meta preferi-

ta dagli israeliani ciononostante il governo sionista si è affrettato per primo a chiudere l’accesso agli italiani, causa il Covid 19. Amici perché il mercato israeliano è di grande interesse per l’Italia e quello italiano è considerato strategico per le imprese israeliane che cercano nuovi sbocchi sul mercato UE. Ad esempio la società Roboteam di Tel Aviv produttrice dei più avanzati sistemi militari automatizzati che vanta fatturati multimilionari e commesse con le forze armate e di sicurezza di una ventina di paesi (Stati Uniti, Israele, Australia, Canada, Polonia, Thailandia, Singapore, Gran Bretagna, Svizzera, ecc.) è fornitrice di quaranta sistemi TIGR (Transportable Interoperatble Ground Robot) per i reparti speciali anti-terrorismo del Comando generale dei carabineri compresi servizi di manutenzione e formazioneaddestramento del personale predisposto all’uso. Si tratta di “soldati robot” e macchine da guerra interamente automatizzate del valore di circa 10 milioni di dollari. Fondatore e azionista di Roboteam è Elad Levy, già comandante delle forze speciali dell’Aeronautica militare d’Israele presso l’istituto di tecnologia “Technion”di Haifa, il centro guidato per più di venticinque anni la Phodi ricerca più rinomato del complesso milita- enix Assurance Company Ltd., il maggiore re-industriale-accademico israeliano. Presi- gruppo assicurativo d’Israele. È inoltre memdente del consiglio d’amministrazione di Ro- bro del Consiglio esecutivo della Hebrew Uniboteam è da qualche tempo Heidi Shyu, già versity di Gerusalemme e general partner di vicesegretaria per le acquisizioni, la logistica e Crossroad Venture Capital, braccio operativo la tecnologia dell’Esercito USA durante l’am- per gli investimenti nel settore high-tech del ministrazione Obama. Direttori esecutivi sono Gruppo Generali in Israele (finanzia le princiinvece gli ex generali Charles T. Cleveland (in pali compagnie medico-sanitarie, farmaceuforza all’U.S. Army Special Operations Com- tiche, delle telecomunicazioni e dei sistemi mand dal 2012 al 2015) e Kenneth J. Glueck informatici, delle energie rinnovabili, delle (già comandante del Corpo dei Marines). Re- biotecnologie ecc.). E la Generali Financial sponsabile amministrativo della filiale norda- Holding è un fondo d’investimenti gestito da mericana è invece Sharar Abuhazira, già co- Generali Investments S.p.A., le cui quote sono mandante dell’esercito israeliano durante le interamente possedute dal noto omonimo operazioni di guerra a Gaza nell’estate 2014. gruppo finanziario e assicurativo di Trieste. Un importante investitore di Roboteam è la Anche i missili sono comprati dal governo rappresentante nel consiglio d’amministra- italiano da Israele: 126 lanciatori controcarzione da Itamar Borowitz, una delle figure più ro e 800 missili “Spike” prodotti dalla Rafael autorevoli del sistema produttivo e accademi- Advanced Defense Systems Ltd, società leaco israeliano. Direttore esecutivo dell’azienda der del complesso militare-industriale israfarmaceutica Mapi-Pharm Ltd., Borowitz ha eliano e probabilmente acquisterà anche il

I palestinesi e la guerra in Siria Quello che colpisce maggiormente di questo libro è il minuzioso lavoro di ricerca e documentazione, in un’epoca nella quale la verità o l’informazione si reperisce con il consueto click o fidandosi di quel che riporta l’amico di turno. Viviamo in un’epoca nella quale i poteri forti stanziano decine di miliardi di dollari per la manipolazione dei cervelli. Al loro libro paga si leggono nomi di insospettabili personaggi, magari un giorno erano persino compagni di lotta e, ora si trovano a giustificare e legittimare questa o quell’aggressione. E non scordiamoci la macchina massmediatica di regime che non smette un istante nel diffondere le false notizie di quelle che meglio si chiamano le fake news. Sugli eventi e l’aggressione alla Siria è bastato che un gruppo della resistenza palestinese e qualche nome di alcuni intellettuali conosciuti e stimati, per venirci a raccontare che tutto il popolo palestinese e schierato contro il governo siriano. Per rafforzare ancora questa favola, diversi gruppi takfiri hanno persino attaccato diversi campi profughi palestinesi accusando l’esercito siriano per le stragi da essi stessi compiuti. Avevo sentito di alcuni gruppi palestinesi schierati con l’Esercito Arabo Siriano uniti in difesa dei loro campi e della Siria. Pensavo che questa presenza si si limitasse a pochi gruppi, ma questo libro viene ad illustrarci quanto siano

partecipi i palestinesi contro l’aggressione alla Siria e quindi contro la Palestina. Questo libro confuta tutte le dicerie e denuda tutti coloro che hanno sfruttato falsamente per i propri interessi l’elemento palestinese. Oggi persino Hamas ha dovuto ammettere il suo sbaglio, anche se mi è difficile credere che vogliano davvero abbandonare i loro fratelli takfiri o la loro alleanza con la Fratellanza Musulmana. Basta andare a vedere ciò che la loro base sostiene tuttora. Ciò che questo libro ci dice, è quanto siano stati preziosi e persino determinanti alcuni gruppi palestinesi nella

Fresco di stampa Una sintetica raccolta di materiali che aiuta a comprendere l’insieme delle forze palestinesi che combattono a fianco del popolo siriano liberazione di molte città siriane tra le quali Aleppo e nell’Al Ghuta orientale. Infine, vorrei ringraziare l’autore per questo lavoro e per la semplice esposizione. Un lavoro che restituisce onore ai palestinesi facendo emergere la verità sul loro posizionamento contro le aggressioni imperialiste in tutta la regione araba

missile aria-superficie controcarro “Spike” in configurazione II LR di “quinta generazione” per armare il nuovo elicottero d’attacco AH-249 prodotto dalla holding Leonardo (ex Finmeccanica). Il 1° Reggimento “San Marco” è già dotato di sei sistemi di lancio e 120 Spike LR, missili testati la prima volta dal reparto d’elite della Marina militare nel poligono sardo di Capo Teulada. Spese economiche esorbitanti che vengono sottratte alla prevenzione e alla sanità e le cui conseguenze si vedono in questi giorni di emergenza. È molto interessante l’intreccio che emerge tra industria militare, assicurazioni, case farmaceutiche e il management composto per il 100% da ex ufficiali. E il connubio sul piano militare ed economico tra Italia e Israele, governi e militari. Buoni motivi per accusare coloro che respingono il razzismo, lo sfruttamento e l’oppressione degli israeliani nei confronti dei palestinesi in antisemiti.

nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) anno XXIX n. 2/2020 Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Emiliano, Michele Michelino, Luciano Orio, Fabrizio Poggi, Enrico Vigna abbonamento annuo Italia

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Hani Nafe, Palestinese militante e attivista politico che da anni vive in esilio, Italia Edizioni “La città del sole”, euro 15

abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20

Il ricavato delle vendite di questo lavoro di documentazione e informazione è destinato, come sempre ad un Progetto di Solidarietà concreta. In questo caso, assieme ad SOS Palestina/CIVG abbiamo deciso di indirizzare i contributi economici al Progetto dell’Associazione Fronte Palestina per i Prigionieri palestinesi

I versamenti vanno effettuati sul c/c postale nr. 1031575507 intestato a: nuova unità - Firenze

Chiuso in redazione: 15/03/2020


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Dalle donne siriane Enrico Vigna In occasione della Giornata Internazionale della donna, l’Unione Generale delle Donne Siriane (GUSW), ha lanciato un appello ai popoli liberi del mondo e alla più alta istituzione mondiale, l’ONU, invitando a fare una risoluta pressione sugli Stati che sostengono con denaro e armi i gruppi terroristici armati in Siria e fermare questo sostegno. Parallelamente la Federazione Democratica Internazionale delle Donne (WIDF), della quale la GUSW fa parte, ha invitato le organizzazioni internazionali e delle donne a sostenere la resistenza all’aggressione delle donne siriane e il diritto del popolo siriano a vivere con dignità e libertà. Da nove anni, ogni giorno, le donne siriane seppelliscono figli, fratelli e mariti, vittime di una cinica aggressione che ha avuto e ha tutt’oggi negli USA, nella NATO e in Israele i burattinai, e nella Turchia, nell’Arabia Saudita i complici. Tutti celati dietro al terrorismo dell’ISIS e dei cosiddetti “ribelli moderati”, nella realtà la fanteria di terra per abbattere la Siria laica, multietnica e multi religiosa. Penultimo tassello (l’altro è l’Iran) dell’Asse della Resistenza in Medio Oriente e storico alleato della lotta dei palestinesi. Nel paese la situazione alimentare, sanitaria e lavorativa è drammatica, nonostante gli sforzi del governo di unità nazionale, e dei paesi alleati o solidali (… il 3/4 dell’umanità). Come in tutti i conflitti sono le donne a cercare con ogni mezzo di continuare a provvedere alle famiglie, a confortare bambini e sopravvissuti, a credere e lottare comunque, ad alimentare la speranza nella vita. Quanto succede in Siria, così come in ogni guerra, non è altro che la conferma di quanto siano incredibilmente forti e imprescindibili. In questo otto marzo, festeggiato in tutto il mondo come giornata internazionale della donna, ho voluto riservarlo a loro, senza dimenticare ogni donna in piedi o schiacciata nella lotta per la propria emancipazione, per la difesa della propria terra o per la liberazione del proprio paese. Dalle donne yemenite, a quelle libiche, afgane, del Donbass, alle donne venezuelane e così via. Tutte incluse in un grande abbraccio di solidarietà e in un impegno costante di sostegno concreto. Forse per spiegare la valorosa resistenza e la forza delle donne siriane di oggi, occorrerebbe ricordare agli aggressori e ai loro mercenari, che queste donne hanno radici millenari nella lotta contro lo straniero. In Siria, la lunga storia delle donne e del loro ruolo assolutamente paritario con l’uomo, risale alla guerriera Zenobia [240-274 d.C.], la regina ribelle del Regno di Palmira, la donna che fece tremare l’Impero romano, che guidò la mitica rivolta del suo popolo contro gli invasori romani. Sempre in continuità con le radici secolari cui la Siria fa appello per la sua resistenza, ne è esempio il Battaglione femminile costituito nell’area di Qamishli, guidato da Jazya al-Taeemi, si è chiamato le “Khansawat della Siria”, prendendo il nome di al-Khansaa, una famosa eroina araba, che storicamente è conosciuta per il suo coraggio e le sue battaglie. Nel corso dei millenni, la Siria ha sempre considerato e realizzato i diritti delle donne, come costituenti pieni e fecondi della sua civiltà e società. E oggi i distrazionisti professionali vorrebbero riportare indietro la storia o addirittura trascinare la condizione delle donne siriane in quella, allucinante e medievale dell’Arabia saudita o dei paesi del Golfo. Cerchiamo di mettere alcuni elementi storici in chiaro e confrontiamoli con gli Stati Uniti, questi presunti “paladini, avanguardie di libertà e diritti umani nel mondo”. La Repubblica araba siriana concesse il suffragio femminile nel 1953, appena 7 anni dopo essersi liberata dall’occupazione colonialista francese. Gli USA si liberarono dalla tirannia inglese nel 1776, ma diedero alle donne il diritto di voto, 144 anni dopo, nel 1920. Gli Stati Uniti non hanno mai avuto una vicepresidente donna. In Siria il vicepresidente della Repubblica Araba Siriana dal 2006, è Najah al Attar. Suo padre era un partigiano che ha combattuto contro gli occupanti francesi per la liberazione del paese. La vice presidenza siriana è nominata dal presidente e ha responsabilità simili a quelle degli Stati Uniti. Se il presidente siriano dovesse diventare inabile, il suo vice presidente assume la presidenza. Confrontando le popolazioni degli Stati Uniti e la RAS (318,9 milioni gli USA; 23 milioni la RAS) e le donne in posizioni di comando, gli Stati Uniti sembrano essere abitanti delle caverne tribali in confronto alla Siria. Impressionante e più ancora rovinante è il confronto con il più fedele alleato statunitense nell’area, quell’Arabia Saudita, che ha concesso alle donne di votare (a una minima parte), nel dicembre 2015. Sono 130.000 le donne saudite che hanno potuto registrarsi al voto, rispetto a 1.350.000 uomini sauditi. Naturalmente, le donne che votano, devono chiedere il permesso ai loro accompagnatori maschi e devono essere accompagnate ai seggi elettorali. Questo vorrebbero trasferirlo in Siria. Prima dell’aggressione il cosiddetto femminicidio e altri crimini contro le donne, di fatto non esistevano nella Repubblica Araba Siriana. Lo stupro è un considerato un crimine capi-

tale nella RAS. Da quando, Stati Uniti, NATO, Sauditi, Paesi del Golfo e i loro mercenari terroristi hanno lanciato questa banditesca congiura internazionale contro questo piccolo paese, i crimini contro le donne siriane hanno raggiunto proporzioni criminali di guerra. Basta notare quante donne siriane hanno importanti ruoli guida nel governo siriano di Unità nazionale. Nella magistratura, nelle scuole, nella sanità, nell’esercito, nella resistenza contro l’aggressione. Donne laiche, religiose delle dodici fedi nel paese, tradizionaliste o modernizzate, socialiste, comuniste: tutte patriote. Dopo l’inizio dell’aggressione, migliaia di donne si sono arruolate nelle Forze di Difesa Nazionale formando unità militari e sono state dislocate in compiti di polizia e milizia territoriale. Il loro nome è “Leonesse per la difesa nazionale”. Sono impiegate ai posti di blocco e in controlli di sicu-

Da nove anni, ogni giorno, le donne siriane seppelliscono figli, fratelli e mariti, vittime di una cinica aggressione che ha avuto e ha tutt’oggi negli USA, nella NATO e in Israele te” e quindi degne di testimoniare e denunciare la loro situazione. Combattono per la difesa della propria terra, della propria patria, del proprio popolo e non stanno dalla parte dell’invasore e dell’aggressore. E questo si sa, ai giorni nostri è una colpa grave per i popoli e paesi renitenti all’ordine mondiale imperialistico. Neanche le donne di Ghouta rapite e messe in gabbia, poi liberate dall’Esercito Arabo Siriano, sono state considerate degne di testimonianza neppure dal movimento #MeToo. Hayat, dopo la liberazione e la riunificazione di Aleppo, raccontò ai media siriani, arabi, russi, della vita sotto i “ribelli moderati” . Comprendeva torture, omicidi, fame, prelievi d’organi, prigionia, mostrando le sue mani, martoriate e bruciate. Nessuna reporter occidentale l’ha mai cercata per intervistarla. Così come mai qualcuna ha contattato Souria Habib Ali, per sapere come riesce a sopravvivere al dolore di madre, dopo aver seppellito sei dei suoi figli, uccisi nella guerra. Nessuna delle anime candide dei media, così solerti e commossi dalle vicende occidentali, ha mai tentato di parlare con le donne siriane sopravvissute al massacro di Al Rashin il 15 aprile 2017. A molte di loro sono stati strappati e rapiti i loro bambini.

rezza nelle aree cittadine o nei territori liberati. Nelle interviste hanno spiegato che, dopo che il loro paese fu sottoposto alla peggiore aggressione della sua storia, sostenuta e diretta da un insieme di paesi ciascuno dei quali ha una reputazione storica di brutalità, di crimini di guerra, di oppressione di popoli e paesi, e dopo l’arrivo di religiosi wahabiti fondamentalisti e fanatici, le donne siriane non avevano altra scelta che imparare l’uso delle armi e addestrarsi a difendere se stesse, le loro famiglie il loro paese e la propria patria. In occidente, quante giornaliste o attiviste per i diritti delle donne del famoso movimento femminista “#MeToo”, ha mai cercato di parlare o intervistare qualche familiare delle donne impegnate che sono la punta dell’iceberg delle decine di migliaia di donne assassinate o violate, da parte dei terroristi ISIS o dei cosiddetti “ribelli moderati”. Forse non sono, queste donne siriane, “politicamente corret-

L’Albania ha perso un pezzo della sua storia Il 26 febbraio, all’età di 99 anni, è morta Nexhmije Xhuglini Hoxha. Coraggiosa giovane combattente antifascista durante la Seconda Guerra Mondiale, nella prima divisione dell’Esercito di Liberazione Nazionale contribuì alla guerra di liberazione che liberò il Paese dal nazi-fascismo e fu condannata a 13 anni di prigione per la sua partecipazione a manifestazioni della gioventù contro il fascismo, ma nel corso del processo riuscì a passare alla clandestinità. Dopo la liberazione del paese fu presidentessa della Lega Comunista delle Donne di Albania, responsabilità passata poi a Vito Kapo con la quale per lungo tempo abbiamo avuto molti scambi di idee sulla condizione femminile, mancata anche lei a soli 3 giorni dalla perdita di Nexhmije. Nel Comitato Centrale del Partito del Lavoro d’Albania Nexhmije è stata responsabile del lavoro per l’organizzazione della gioventù. È stata rappresentante nell’Assemblea Nazionale e fece parte della Segreteria del Comitato Centrale. Infine, ricoprì il ruolo di direttrice dell’Istituto di Studi Marxisti-Leninisti del PLA. Ricordiamo che, quando l’abbiamo conosciuta nel 1974, trattava con particolare attenzione l’argomento della lotta di classe. Nexhmije sosteneva che: “La lotta di classe anche nel socialismo è un fenomeno oggettivo, principale forza motrice, che determina lo sviluppo della società”. Era cosciente che “La lotta di classe è una lotta per la vita o per la morte fra il socialismo e il capitalismo e come tale essa si

svolge oggettivamente aspra per tutto il periodo di transizione al comunismo”. Ma, dopo la morte del suo compagno Enver Hoxha nel 1985, con la “salita” del membro dell’Ufficio politico del Pla Ramiz Alia (presidente della Repubblica Popolare Socialista d’Albania dal 1982 al 1991 e presidente della Repubblica d’Albania dal 1991 al 1992), la lotta di classe ha preso la strada della degenerazione revisionista che ha portato alla distruzione dell’esperienza socialista in Albania. E Nexhmije Hoxha fu condannata a 9 anni di prigione per presunta appropriazione indebita di fondi dello Stato, una falsa accusa utilizzata da sempre dalla borghesia per screditare i dirigenti comunisti che l’avevano abbattuta.

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nuova unità 2/2020

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Lettere La rubrica delle lettere è un punto fisso di quasi tutti i giornali. Noi chiediamo che in questa rubrica siano presenti le vostre lettere, anche quelle che spedite ai vari quotidiani e riviste che non vengono pubblicate. Il sommerso a volte è molto indicativo

Meglio Governare sulle macerie, che perdere il potere. Meglio tirare a campare che tirare le cuoia In questi giorni ove non si parla d’altro che del Covid 19, ove il mondo è impazzito, ove fioccano in rete le analisi più disparate, da chi equipara il virus alla nuova peste raccontata da Manzoni ne “I Promessi Sposi”, a chi lo ritiene un semplice virus influenzale, tra discordanze sensibili sul dato dei morti fra protezione civile e istituto superiore di sanità mi preme fare delle riflessioni. La cosa che noto è il solito passare da emergenza a emergenza senza mai, dico mai, imparare nulla nemmeno dal recente passato. L’Aquila, Amatrice, disatstri geologici, crolli di ponti. Emergenze su cui privati, protezione civile e governanti, usando la scusa dell’emergenza, hanno straguadagnato, vuoi in termini economici per gli appalti, vuoi in termine di giri di vite per le misure di emergenza (fra cui quelle relative alle gare d’appalto) e riduzione dei diritti delle persone. Si è imparato qualcosa da allora? Nulla di nulla. Poiché il problema non è, come per altre tragedie, la sfiga, ma il modo di governare e la conseguente accettazione supina, del metodo produttivo basato sulla caotica e dissennata ricerca del profitto, o, data la caduta tendenziale del suo saggio, la vera spoliazione di ricchezze ai danni dei più. Vediamo un Bertolaso qualsiasi, già coinvolto in scandali scabrosi, riabilitato in Lombardia per la costruzione di un ospedale in zona fiera, mentre i locali della sanità privata rimangono intoccabili, vediamo la rincorsa al colpevole, ieri i Cinesi, gli unici assieme a Cubani e Venezuelani a darci una mano, poi i lavoraqtori precari fuori sede che, di fronte alla paura più che reale di non vedersi rinnovare il contratto di lavoro e quindi vedendosi venire a mancare i mezzi per permettersi affitto e acquisto di beni necessari, cercano di tornare dalle proprie famiglie (unico welfare rimasto malamente in vita) e ora dei podisti nemmeno fossero loro gli untori, mentre dai balconi non si urla del taglio del taglio di 70000 posti letto, dei numeri chiusi nelle facoltà di medicina, taglio di infermieri e per l’appunto medici. Odio quando li lodano ora. Ipocrisia solo ipocrisia. Prima massacrati, poi una pacca sulle spalle e via! Per non parlare delle condizioni sempre peggiori dei locali di lavoro, non solo fabbriche, dove l’igiene viene affidata a ditte di pulizie con pochi dipendenti, precari e malpagati, che debbono fare gli eroi tutti i giorni. Non sono eroi. Non sono da elogiare. Sono persone che devono essere pagate e poste in condizioni di dignità. E’ lavoro quello che fanno, porli di fronte al ricatto morale, o alla lode pelosa non è da paese civile. In Cina hanno aumentato gli stipendi di medici e di tutto l’indotto che ha affrontato l’emergenza. Qui si chiedono 300 medici volontari dandogli vitto, alloggio e rimborso spese. Con quale coraggio? Si chiamano i medici in pensione, ma gli anziani non erano quelli più a rischio? Si sfrutta il volontariato che, sarò pure politicamente scorretto, per me è una piaga e non risorsa. Naturalmente non ce l’ho con chi dona il proprio tempo per aiutare gli altri. Sono furioso con chi sfrutta il loro lavoro gratuito (sì perchè è lavoro), senza che siano assicurati o tutelati in nessuna maniera. Se si fanno male durante il servizio non sono coperti dall’INAIL. Se ne abusa, come possaimo vedere tra chi conduce le ambulanze (lavoro molto pericoloso tra l’altro). Con questo strumento si cloroformizzano le lotte alle ingiustizie, anzicchè ritenere opportuno combattere e fare politica, si pensa che sia più utile e pratico fare volontariato. Mettere toppe dove altri fanno i buchi, fare convergere i fiumi in un mare che non si riempirà mai. Quando poni il ragionamento in questi termini vieni additato come uno che parla e fa nulla. Intanto ci sono volute 4, ripeto, 4 settimane per chiudere le attività economiche non essenziali. Vi ricordate lo slogan, dal retrogusto razzista, “I lombardi non si fermano”, ma quali lombardi!!! La maggior parte degli sfruttati nell’arrogante e razzista Lombardia vengono da altre regioni o da altri paesi. I figli dei lombardi, che si laureano, svolgono le loro professioni all’estero, infatti, la statistica dice che la maggior parte degli emigranti dall’Italia verso altri paesi proviene dalla Lombardia! La Lombardia che voleva il federalismo, ora chiede aiuto allo Stato Centrale. La destra che latrava come un cane idrofobo contro il Socialismo, riceve aiuti proprio da quei paesi sempre schifati ed odiati: Cina, Cuba, Venezuela e Russia. Ci fosse stato un maledetto politico che avesse detto di togliere loro le sanzioni e i blocchi economici (dicasi lo stesso per il coraggioso Iran). In un momento come questo non mi sento di condividere nessuna unità nazionale, invece dico di denunciare queste cose, ora! Quando chiedere la nazionalizzazione di sanità e del sistema bancario che diano, il primo un servizio adeguato e il secondo sostegno concreto all’economia senza che ci si debba mettere sotto il cappio del MES (sistema molto simile a quello usato dal FMI coi paesi in via di sviluppo, che infatti non si sono sviluppati, anzi si sono impoveriti), se non ORA! Perchè continuare a chiedere donazioni e donazioni che vanno a togliere altri oboli ai già martoriati lavoratori, e invece fanno belli i vari Berlusconi, Armani e star e starlette alla Fedez (tanto poi detraggono dalle tasse...) e non fare una bella patrimoniale per i superpatrimoni, oppure di fare una tassazione con aliquote progressive, se non ORA? Perchè non chiedere ORA di nazionalizzare il debito pubblico? Perchè non chiedere ORA l’uscita dall’UE (che non ci aiuta per niente, che ha permesso in questi anni alle aziende di trasferirsi in paesi membri per avere tasse inferiori, o che ha permesso addirittura la creazione al suo interno di paradisi fiscali)? Perchè non chiedere ORA di uscire dalla NATO che si occupa di pericolossissimi giochini di guerra come il DEFENDER EUROPE e ci costa ogni anno sempre più denaro prezioso? Siamo così tonti che si possa rimandare a dopo? Dopo sarà dimenticato tutto da tutti. Come tutto il resto. A non dimenticare sarà chi ci presenterà il conto. Che sarà molto salato. Che dire, l’opinione pubblica ancora una volta rispecchiare quanto narrato nei romanzi di Orwell ed Huxley, pecore che lodano il loro predatore. Più della P2 fece il Covid 19. Saluti comunisti, Pacifico, Desio

8 marzo ai tempi del colera

Oggi, se vorremo ricordare il sacrificio delle operaie della Cottons bruciate vive e la Giornata Internazionale della Donna, dovremo farlo da sole, a casa nostra. Perché il Covid-19, il corona virus, ha fatto una grande vittima: il pensiero e l’azione collettivi. Dovunque risuona l’appello alla paura: non avvicinatevi, non toccatevi, statevene lontani gli uni dagli altri. Sospesi, in nome della salute pubblica, persino i diritti costituzionali come la libertà di riunione e di manifestazione. Il tutto senza che nessuno alzi la voce o esprima, perlomeno, un dubbio. Per restare in argomento, una conquista fondamentale del femminismo di classe degli anni ’70 fu proprio questo: il riconoscimento dell’importanza del pensiero, dell’analisi e della lotta collettiva, in prima persona, per i propri diritti e contro lo stesso nemico della parte maschile del proletariato, contro il capitale. Parallelamente si sviluppava in quegli anni lo stesso fenomeno nei riguardi della salute in fabbrica: insieme a Giulio Maccaccaro e ad altri medici e tecnici, gli operai della Montedison di Castellanza e della Franco Tosi, della Breda di Sesto San Giovanni, imparavano a fare l’inchiesta sulle loro condizioni di lavoro e di salute, imparavano a definire il loro diritto alla salute senza delegarlo ad altri ma ragionando, appunto, collettivamente. Da questo sforzo collettivo nacquero i movimenti e le lotte per i diritti delle donne e per la salute in fabbrica e sul territorio. Ed è questa capacità di pensare e agire collettivamente che oggi viene cancellata, con la scusa del corona virus. Sì, scusa, e lo dicono i numeri. A ieri 7 marzo 233 morti per il corona virus. Nel 2019 (secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente) l’Italia, primo paese per morti premature da biossido di azoto, ha avuto 14.600 decessi; 3.000 morti da ozono; 58.600 per particolato fine. I morti da amianto sono – ormai da decenni e purtroppo anche per gli anni futuri - più di 4.000 all’anno. La scrittrice statunitense Naomi Klein scrisse alcuni anni fa un libro interessante, “Shock Economy”, in cui mostrava come l’uso della paura può essere utilizzato per distruggere persone, organizzazioni e società, per riscrivere nuove regole più favorevoli ai potenti. Ed è ciò che sta accadendo oggi, quando lo Stato prova a riscrivere le regole per un prossimo futuro, militarizzato e ordinato in base agli interessi del capitale, con il consenso di tutti i partiti e di una parte della popolazione, accuratamente terrorizzata dai mezzi di disinformazione. Bene, allora oggi pensiamo, ad esempio, a tutte quelle lavoratrici (e lavoratori, naturalmente) che sono precarie, che lavorano in nero, che non hanno un contratto di lavoro regolare, che non hanno diritto né alla cassa integrazione né alla malattia: chi le pagherà per la sospensione forzata del lavoro? Chi pagherà i costi di questa “crisi”? Una cosa è certa: la necessità sempre più pressante di difendere la possibilità di pensare e agire collettivamente, il che significa un’organizzazione politica che sappia dare voce agli interessi degli sfruttati, perché non siamo tutti, neppure riguardo al corona virus, sulla stessa barca. E vogliamo rivolgere un saluto a tutte le donne che nel mondo oggi fanno dell’8 marzo una giornata di lotta e, in particolare, nella vecchia Europa, alle lavoratrici francesi che, con i loro gilet gialli, hanno sfidato e sfidano i decreti di Macron, tolti direttamente dal codice di guerra, e rappresentano così un esempio da seguire. Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni

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