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Proletari di tutti i paesi unitevi!
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Periodico comunista di politica e cultura n. 3/2020 - anno XXIX
fondata nel 1964
Lo scopo immediato dei comunisti è quello stesso degli altri partiti proletari: formazione del proletariato in classe, rovesciamento del dominio borghese, conquista del potere politico da parte del proletariato. Karl Marx
Capitalismo infetto
Tutto andrà bene solo se la classe operaia e le masse popolari riescono a unirsi su posizioni di classe e se si organizzano contro le politiche imposte dalla borghesia e dai suoi governi Covid 19 ha messo in ginocchio il sistema sanitario (nonostante il numero limitato dei contagi in rapporto alla popolazione) con tutte le debolezze delle decantate sanità di “eccellenza” (Lombardia in primis) e le gravissime mancanze create da una gestione politica di tagli su letti e personale, di chiusura e depotenziamento degli ospedali sempre più simili a reparti di una fabbrica, anziché sulla qualità dei servizi (nonostante i ticket), ma anche di ruberie, corruzioni e sperperi di partiti e amministratori. E, soprattutto, la linea nazionale - nonostante la regionalizzazione del settore - di abbandonare il pubblico, già trasformato in azienda che crea profitto, per avantaggiare il privato, il “volontariato” che fa capo ad associazioni e fondazioni e le assicurazioni. Da decenni manca l’investimento nella ricerca sulla prevenzione delle malattie infettive, perché gli investimenti nella sanità pubblica e nella prevenzione non fanno business, anzi sono controproducenti e la scienza è al servizio del capitalismo e subordinata al profitto. Come lo sono le case farmaceutiche che oggi investono per un vaccino più conveniente di una cura terapeutica. Il contagio è stato devastante: mancanza di letti di terapia intensiva, di strumenti di protezione per i lavoratori, di attrezzature per i colpiti,, di sanificazione, il limitato uso dei tamponi - che dovrebbero essere fatti a tappeto mentre la media nazionale è di 88 su centomila (evidentemente è più economico imporre sacrifici e isolamento a tutti) -, una situazione, gestita malissimo che ha costretto gli ospedali a sospendere interventi chirurgici, cure oncologiche e interruzioni di gravidanza e messo il personale sanitario in condizioni di lavoro disumano e pericoloso. Chiusi musei, cinema, negozi, bar ecc. costretto la popolazione agli arresti domiciliari (tutti a casa... per chi ce l’ha), alla privazione dei rapporti sociali e obbligata a lunghe file ai supermercati (dopo i primi assalti). Provvedimenti mai presi precedentemente - ad esempio, nel 2003 per la Sars sempre coronavirus e ugualmente mortale - che non hanno impedito la diffusione del contagio in particolare nelle RSA - dove mancano geriatri, medici generali, infermieri - e dove si è registrata la maggioranza dei morti. Ora molte sono sotto inchiesta, ma come sempre si chiudono le stalle quando i buoi sono scappati. In questo contesto i presidenti di regione - compresi quelli che vogliono l’autonomia (in particolare targati Lega), salvo invocare l’intervento dello Stato nei momenti di necessità - si sono resi conto delle carenze? Chi ha preso le decisioni? Chi ha nominato quei manager e quei dirigenti che negli ultimi anni hanno operato materialmente i tagli alla sanità pubblica? In Toscana, ad esempio, lo stesso Rossi si era vantato di aver ridotto il personale sanitario con l’obiettivo di risparmiare 100 milioni di euro, che sono andati a finanziare il bonus degli 80 euro di Renzi. A Firenze l’annunciato screening dei tamponi orofaringei si è arenato per la mancanza di reagenti e si ricorre ai laboratori privati, invece di confiscarli, stabilendo una convenzione per non superare il tetto di 25 euro a tampone. Come dire: chi ha i soldi se lo paghi. Gli operatori sanitari sottovalutati e indifesi anche quando gli utenti scaricano le colpe dei disservizi non certo imputabili a loro, anziché sulle direzioni. Infermieri lasciati senza contratto per 10 anni - l’ultimo firmato lo scorso anno copriva il triennio 2016-2018, quindi è già scaduto -, con carichi di lavoro insopportabili, con salari sempre più bassi, costretti a orari e turni devastanti già in condizioni pre Covid 19 e sottoposti alla famigerata legge Brunetta del taglio sulla busta paga nei primi dieci giorni di assenza, “assunti” con partita IVA, sono diventati eroi e... sono morti. Non sono incidenti di percorso, ci sono precise cause che vanno addebitate alle scelte che hanno mercificato e smantellato la sanità e che vanno ad alimentare il già pesante numero dei morti di e da lavoro, sempre per mancanza di
sicurezza. I pochi lavoratori che coraggiosamente hanno denunciato la mancanza di DPI - all’ArcelorMittal, a Malpensa, a Scarperia, a Livorno, in una Rsa di Milano alla Coop. Ampast che lavorano all’Istituto Palazzolo della Fondazione don Gnocchi (forse reintegrati) - sono stati licenziati perché, come si sa, non è permesso che venga meno il rapporto di fiducia tra azienda e lavoratore neppure quando è a rischio la salute! Le aziende agricole lamentano le perdite perché non possono avvalersi dei braccianti provenienti dall’estero, immigrati disprezzati e sottopagati, ma braccia utili che servono al padrone. Si potrebbero impiegare gli immigrati presenti in Italia se venissero regolarizzati, assunti con contratto, eliminando il caporalato, ma sono troppe le pressioni della destra, meglio lasciarli in sovraffollamento negli inumani centri in attesa di documenti che non arrivano mai o in vergognosi accampamenti. La chiusura delle scuole con lezioni on line ha obbligato le famiglie ad aumentare i costi telefonici per la connessione e ha tagliato fuori dalle attività educative quasi 2 milioni di alunni e studenti privi di strumenti tecnologici. Ancora una volta l’incapacità di affrontare un problema serio è stata scaricata sui cittadini, prestando il fianco alle imprese che già avevano deciso la riduzione del personale con la restaurazione del famigerato lavoro a domicilio degli anni ‘70 nella versione moderna smart working. Secondo le statistiche lavorare a casa piace al 56% degli interessati, ma si accorgeranno presto dei suoi limiti. Il Governo, avvezzo ai compromessi, ha dovuto mediare tra il terrorismo creato con l’adozione di misure repressive e le pressioni di istituzioni, imprenditori del Nord, Confindustria ecc. per la riapertura delle attività produttive e commerciali. Dopo aver impedito di celebrare l’8 Marzo e il 25 Aprile in pochi giorni ha deciso la Fase 2 con partenza 4 maggio, sacrificando pure il 1° Maggio. Immediatamente sono calati i ricoveri (inutili gli ospedali da campo e quello da 21 milioni montato alla Fiera di Milano...), diminuiti i contagiati, aumentati i guariti. Si può uscire ma con la mascherina, che si deve pagare perché anche queste fanno business (e anche molti rifiuti!). Per liberalizzare il commercio e l’industria che, comunque, è andata avanti in particolare in Lombardia e nelle zone di maggiore contagio per il 73%, si è dato via libera alla produzione mettendo in serio pericolo gli operai in fabbrica. Ritorno al lavoro 7 giorni su 7 per 4,4 milioni di lavoratori (2,7 milioni rimangono a casa) soprattutto over 50 rispetto ai giovani, cioè i più vulnerabili mentre le donne sono le più penalizzate perché devono rimanere a casa con i bambini che non vanno a scuola, aspettando il bonus baby sitter. Ridicola proposta
quando nel paese sono i nonni a coprire questo ruolo e gli viene vietato come se le baby sitter (si trovano on line e tramite cooperative) fossero esenti dal rischio contagio. Per la borghesia - che storicamente ha sempre utilizzato le epidemie a proprio vantaggio - anche Covid 19 sarà molto utile per mascherare la vera natura della crisi e accelerare il processo in corso da tempo di ritrutturazione della produzione e di limitazione dei diritti sociali in caso di ribellioni: da quello dello sciopero, di organizzazione, di riunione e di manifestazione - a vantaggio dell’economia e della politica.
segue a pagina 2 Covid 19, vecchi e nuovi sfruttamenti. L’epidemia di Covid-19 ha dato un altro impulso all’attacco alla condizione operaia e proletaria pagina 2 Scuola a distanza, scuola di classe. Ovvero, come cambia il diritto allo studio e il sistema dell’istruzione al tempo di una pandemia. I nuovi scenari della formazione cui bisogna opporsi indicando la prospettiva del socialismo pagina 3 Il virus della guerra
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Coronavirus, Davide e Golia. Dalle crisi si esce in due modi: o in quello reazionario o in quello rivoluzionario, ce lo dimostra tutta la storia del genere umano. Sta a noi scegliere. pagina 5
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Covid 19, vecchi e nuovi sfruttamenti L’epidemia di Covid-19 ha dato un altro impulso all’attacco alla condizione operaia e proletaria Michele Michelino Mentre i sapientoni a libro paga dei padroni e del governo minimizzavano o ingigantivano i problemi sanitari un giorno sì e l’altro pure, erigendosi a paladini della salute pubblica, e sciorinando giornalmente il bollettino di guerra con la conta dei malati e dei morti, alimentando la paura e la psicosi collettiva il virus capitalista ha continuato imperterrito a fare profitti sulla pelle dei lavoratori. La “scienza” e la medicina del padrone al servizio del profitto hanno fornito strumenti e alibi a governo e regioni per impedire le libertà costituzionali dei lavoratori e cittadini degli strati bassi, ma non la libertà di fare profitti. Anche durante l’epidemia con molte fabbriche e luoghi di lavoro chiusi e milioni di operai e lavoratori senza salario, mentre si costringeva in casa, agli arresti domiciliari la popolazione, le fabbriche d’interesse “strategico” (tra cui, a quanto pare, quelle che fabbricano armi), quelle legate al settore alimentare e le multinazionali di ogni tipo hanno continuato a lavorare (più del 60% secondo Il Sole 24 ore), spesso senza fornire dispositivi di protezione individuali e collettivi ai lavoratori (i casi della Bergamasca e del Bresciano sono esemplificativi). Anche ad una categoria ben precisa - il personale sanitario in prima fila in questa battaglia contro il virus - non sono state fornite le protezioni adeguate, e così i lavoratori e le loro famiglie si sono infettati. Altro che eroi, carne da macello, vittime del lavoro salariato anche loro. Le proteste e le lotte operaie per la sicurezza nei luoghi di lavoro, contro il padrone per ottenere i dispositivi di protezione individuali e collettivi nell’industria manifatturiera, al lavoro nel 90%, nella logistica e nella sanità, insieme all’insofferenza crescente di una parte della popolazione, il contenimento e il calo persone infette e morte considerate “accettabili” dal sistema capitalista, ma ancor più il calo dei profitti hanno spinto i padroni a premere sul loro governo per aprire una “fase 2” che, insieme alla ripresa economica e dei loro profitti, comporterà una ripresa della popolazione contaminata. La pandemia ha accentuato anche nuovi
modi di lavoro: si è sperimentato su larga scala il telelavoro (nome più moderno del lavoro a domicilio), si propone per il futuro lo smart working (modalità in cui il lavoratore sceglierebbe quando lavorare, senza più legami con una scrivania o un posto fisso e ad un orario fisso e uguale per tutti). Questa scelta è pesata soprattutto sulle donne che, oltre al lavoro domestico, poiché le scuole erano chiuse hanno dovuto badare ai figli per le lezioni online e, nello stesso tempo, lavorare da casa per il padrone. Ma non solo. Oggi già industriali e ministri ci dicono che non è più possibile lavorare con i tempi di prima e quindi si può pensare di lavorare 7 giorni su 7 per “evitare” l’affollamento. Vecchio sogno di Confindustria, che forse, se non ci opponiamo fermamente, finalmente diventerà realtà. Oggi il lavoro a domicilio, ancor più che in passato, è divenuto un “reparto esterno della fabbrica, della manifattura o del magazzino di merci” Il capitale, con la parcellizzazione e la divisione del lavoro, insieme agli operai delle fabbriche e delle manifatture e agli artigiani su cui esercita il suo diretto comando, lega a sé un altro esercito sparso nelle grandi città e nelle campagne, quello dei lavoratori moderni a domicilio. Il telelavoro, spacciato come una liberazione e dalla pericolosità del contatto con l’altro, è in realtà una forma di lavoro a domicilio, di divisione della classe proletaria, una parte della quale è emarginata dal settore produttivo principale. È la proposta, o meglio l’imposizione, rivolta ai tutti quei lavoratori la cui presenza fisica non è indispensabile sulla macchina o alla catena. Con il lavoro a domi-
segue dalla prima Non siamo tutti nella stessa barca, non siamo in guerra - la guerra comporta un nemico armato –, con la metafora bellica il potere vuole giustificare le misure di segregazione e isolamento, assuefare ad una eventuale guerra batteriologica e legittimare derive autoritarie. Non dobbiamo essere uniti come ci stanno martellando con melensi spot pubblicitari e messaggi governativi, con i discorsi di Mattarella che si affida al “senso di responsabilità dei nostri concittadini”, esalta il valore del lavoro ma accetta che la pandemia metta a rischio milioni di posti. Con i miserevoli interventi dei sindacati confederali, dei dirigenti dei partiti. E non dobbiamo neppure essere disciplinati e responsabili in nome dell’unità nazionale e del patto sociale “per ripensare il lavoro”, invocato dai vertici di Cgil-Cisl-Uil perché il paese riparta, che non si muovono neppure sui ritardi della Cig. Per “riprogettare” l’Italia magari rendendo permanenti le limitazioni liberticide aggravate dall’impiego delle forze di polizia, dall’uso di droni e dal controllo sociale con nuove tecnologie (peraltro provenienti da Israele) con tutto quello che ne consegue. Tutti richiami orientati a gestire meglio i “sudditi” e il governo Conte ha già dato dimostrazione di concentrazione del potere con l’uso indiscriminato dei DPCM scavalcando il parlamento (per quel che conta...) motivo che ha sollevato la reazione della destra che, attraverso la demagogia e il populismo (l’unica cui è permesso scendere in piazza), prepara un futuro ancora più reazionario. È davvero incredibile come l’epidemia e due mesi di segregazione siano bastati per fare emergere teorie - scontate per chi lotta contro il sistema capitalista - sulla devastazione dell’ambiente, sulla carenza dei servizi pubblici, sulla necessità di cambiare gli stili di vita, apprezzare la natura, vivere in tranquillità e lentezza... Ben vengano purché non si tratti di temporanee filosofie basate sull’individualismo e pertanto destinate a crollare. Sicuramente la situazione generale, economica e sociale post emergenza, non ci porterà alla tanto decantata “normalità”. Sarà diversa dalla precedente e non si può affrontare con soluzioni individualiste. Rincari dei servizi e dei trasporti, dei generi alimentari (già in atto in molti
cilio degli albori del capitalismo ha in comune non solo il nome. Isolati ognuno a casa propria, i lavoratori perdono la nozione di cosa sono, una classe unita dagli stessi interessi. Ogni problema diventa un problema individuale, che richiede una soluzione individuale. Muore così il concetto di collettività, di insieme di interessi di classe. E muore anche il concetto di organizzazione collettiva per opporsi allo sfruttamento. La crisi sanitaria e la crisi economica – iniziata ben prima dell’apparizione del Covid-19 – che hanno rallentato, quando non fermato, l’accumulazione dei capitali, rende i padroni ancora più “cattivi” e impazienti di rimettere in moto il meccanismo dello sfruttamento: il profitto prima di tutto anche se a scapito della salute della collettività. È crollato anche un altro “mito”. I sostenitori del libero mercato, delle privatizzazioni, del “meno Stato e più mercato”, quelli che invocavano “la mano invisibile del mercato”, che fino a ieri criticavano l’intervento dello Stato nell’economia, oggi sono in prima fila a chiedere a gran voce aiuti economici dallo Stato e agevolazioni per salvaguardare i loro profitti nella concorrenza internazionale. Come sempre - questo Covid-19 non l’ha cambiato - profitti privatizzati e perdite socializzate. La fase 2, con il Dpcm del 26 aprile 2020 risponde sostanzialmente agli interessi della Confindustria, consentendo ad un gran numero di lavoratori di poter uscire di casa per andare a lavorare, ma in libertà vigilata. Rimangono il divieto di assembramento (quindi niente assemblee, niente manife-
stazioni di protesta) e il distanziamento sociale (interessante scelta del termine: ci dice che l’altro, il nostro compagno di lavoro in questo caso, è un nemico pericoloso, da tenere alla larga). Più del Covid-19 i padroni temono un altro virus che per loro può essere fatale, quello della ribellione organizzata, dell’insubordinazione sociale, un virus che può scuotere dalle fondamenta il modo di produzione capitalista trasformando in incubi i sonni tranquilli della borghesia. È un problema urgente proprio di questi tempi di crisi: il fallimento di un sistema basato solo sul profitto – nel campo specifico della salute – è chiaro alla masggioranza della popolazione. Pericoloso, molto pericoloso, se questa consapevolezza si estende a tutti gli aspetti della nostra vita. Il Covid-19 e la crisi economica disastrosa che si accentua, che ha prodotto e produrrà milioni di licenziamenti e un costante peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, dimostrano il fallimento del modo di produzione capitalista basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione in mano alla borghesia. Da qui la necessità di organizzarci come classe per sè, in un’organizzazione politica che si batta per una società socialista, in cui lo sfruttamento e il profitto privato siano considerati un crimine contro l’umanità. Una società in cui gli operai, i lavoratori che producono la ricchezza, siano al potere, alla direzione del paese, e decidano come produrre e cosa produrre, lavorando per soddisfare i bisogni degli esseri umani.
prodotti) per fare recuperare le perdite degli agricoltori, l’aumento della disoccupazione, in particolare nel settore turismo-ristorazione (riemergeranno i navigator?) e dei ritmi di lavoro per salvaguardare i profitti degli industriali (già ampiamente sostenuti dallo Stato), aumento di tasse per il recupero del debito pubblico, peggioreranno le condizioni di vita dei lavoratori e delle masse popolari ed evidenzieranno ulteriormente la contraddizione insanabile tra l’esigenza della classe lavoratrice e del proletariato e l’esigenza della borghesia e della sua continua ricerca del massimo profitto. Covid 19 non ci porta al capolinea del seppure fallimentare capitalismo, siamo ad una nuova fase di dominio del capitalismo monopolista e finanziario, di spartizione delle sfere d’influenza che preparano le condizioni anche per scontri maggiori e cruenti come la guerra. Non è un caso che tutti gli Stati aumentino le spese per il riarmo e il sostegno della Nato. Questo periodo ha dimostrato la fragilità del capitalismo e il fatto che i lavoratori, a partire dalla sanità, sono indispensabili per questo è il momento per far valere la propria forza contrattuale e non farsi condizionare dai grilli parlanti. Ci sono segnali di ribellione che vanno colti come alla Scai finance di Torino dove i lavoratori hanno reagito e scioperato contro la discriminazione per estendere a tutti 160 la Cig richiesta solo per 24 di loro. Alla Piaggio di Pontedera, o alla Fruttital di Peschiera dove gli operai hanno lavorato e si sono ammalati prima della Fase 2 e ora, di fronte all’annuncio della chiusura, 66 interinali hanno risposto con un’assemblea (repressa dalla polizia) davanti ai cancelli e hanno occupato la fabbrica. Non devono rimanere gli unici esempi. La classe lavoratrice non può cogestire i costi della crisi e può giocare un ruolo fondamentale. Tutto andrà bene solo se la classe operaia e le masse popolari riusciranno a unirsi su posizioni di classe per ottenere assunzioni e aumenti salariali, per abolire il precariato (che non dà neppure diritto alla Cig), respingere nuove forme di sfruttamento, e per salvaguardare la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro. E se si organizza contro le politiche imposte dalla borghesia e dai suoi governi che la sostengono e dallo Stato, identificando e riconoscendo i veri e comuni nemici di classe respingendo la risposta alla crisi del capitalismo e imponendo, invece, i propri bisogni e le proprie necessità.
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Scuola a distanza, scuola di classe Ovvero, come cambia il diritto allo studio e il sistema dell’istruzione al tempo di una pandemia. Digitalizzazione, isolamento, profitti multinazionali: i nuovi scenari della formazione cui bisogna opporsi indicando la prospettiva del socialismo Giovanni Bruno La necessità che la pandemia ha provocato è quella di un distanziamento sociale che sta cambiando profondamente il nostro modo di vivere: tra le conseguenze drammatiche, con le situazioni che stanno provocando dei disastri economici e dei drammi sociali, c’è quello della scuola. Al di là della retorica e delle esaltazioni di modalità digitale e a distanza che, in questo frangente è risultato anche utile, occorre evidenziare le problematiche che si sono generate, o che sono state esaltate dalla situazione, non marginali, né tantomeno indifferenti. Dal primo momento in cui sono state dichiarate chiuse le scuole, è stata indicata dalla Ministra Azzolina la modalità della didattica a distanza, confidenzialmente DAD (nello sconsiderato ricorso ad acronimi cui da anni il Ministero ricorre): alcune scuole erano già attrezzate con reti di collegamento internet e dispositivi già a disposizione di docenti e alunni, risorse costruite mediante fondi ministeriali, europei o di altri enti e progetti pubblici e privati. In generale, buona parte di questi istituti rappresentano scuole di rango e si rivolgono ad una fascia medio-alta della “utenza” (termine mercantile che più volte abbiamo denunciato come “segno” della deformazione aziendalistica delle scuole pubbliche avvenuto da metà anni Novanta ad oggi), e hanno personale docente convinto della necessità di innovazione e aggiornamento digitale (più che disciplinare sul piano metodologico, contenutistico-didattico e pedagogico-educativo) per la formazione e l’istruzione dei prossimi anni e decenni. Ovviamente, non si può pensare di rigettare l’innovazione tecnologica che anche nel campo della pedagogia e della didattica sta avanzando e, faticosamente, affermando: gli scenari stanno già cambiando da anni,
Se vi interessa reperire i numeri precedenti
e profondamente, tuttavia non si possono sottovalutare le conseguenze che provocheranno le trasformazioni comunicative della formazione e del sapere, ma soprattutto che determineranno o esalteranno le ricadute sociali determinate dalla modalità a distanza. In queste settimane (mesi, ormai) da più parti si sono chiaramente alzate voci, tra l’allarmato e l’accusatorio, su come le scuole non fossero attrezzate, su come il personale docente (e, non dimentichiamolo, tecnico e amministrativo) non fosse tutto preparato ad affrontare l’inedita modalità didattica utilizzando le nuove tecnologie digitali, ma anche riconoscendo che molti alunni e alunne non avessero a disposizione strumenti, dispositivi, collegamenti adeguati ai collegamenti a distanza, e che vi fossero molte famiglie in cui il computer, gli spazi e i tempi per i collegamenti sono contesi da più persone (studenti e genitori anch’essi impegnati nel lavoro da casa): l’emergenza sanitaria ha insomma sollevato il coperchio di Pandora delle differenze sociali tra i (sempre meno numerosi e sempre più) ricchi e i (sempre più ampi e sempre più) poveri, che nei decenni del liberismo selvaggio sono state raccontate come una sorta di natura destinale immutabile, per cui la differenza. Senza divagare sulle devastazioni che il capitalismo reale di questi decenni ha prodotto (a seguito della feroce lotta di classe che la borghesia ha avviato dopo il crollo del blocco delle democrazie popolari e dell’Unione Sovietica per ripristinare il dominio e della prevaricazione borghesia sui proletari e sui ceti medi in via di proletarizzazione), compreso lo smantellamento e la privatizzazione della sanità pubblica, è necessario evidenziare come la scuola a distanza abbia sviluppato gli appetiti di una variegata moltitudine di multinazionali digitali che hanno annusato il business prossimo futuro: gli esaltati sostenitori della digitalizzazione della scuola (come del lavoro a distanza, ribattezzato “lavoro agile”, o smart working anche per le aziende private) stanno aprendo la strada a un colossale affare che potrebbe determinare la trasformazione del sistema dell’istruzione in un’agenzia di comunicazione controllata da aziende private. Fortunatamente, ci sono ancora una miriade di insegnanti (ma anche di studenti e genitori) che si sono resi conto quanto sia insufficiente e mistificante una modalità educativa e didattica che non abbia la componente in presenza: in altri termini, il dialogo educativo e il processo di acquisizione delle conoscenze e delle competenze (altro termine mutuato dal lessico aziendalistico) non può essere efficace senza l’interazione “sociale”, e perfino “fisica”, con i coetanei della propria classe e con adulti che non appartengano al proprio nucleo familiare e strettamente parentale. Quando si parla di “diritto allo studio” costituzionalmente garantito non bisogna dimenticare che la dimensione sociale della condivisione e formazione culturale dell’istruzione e del sapere
è una componente essenziale e feconda, insostituibile, del processo di apprendimento ed elaborazione della conoscenza, nonché nella crescita di consapevolezza e coscienza critica di cittadine e cittadini. La scuola, come l’università (ma come ogni altra attività lavorativa: produttiva, commerciale, comunicativa) è innanzitutto un ambiente di relazione e accoglienza, condizione essenziale per lo studio: il processo educativo e didattico - come insegnano le teorie pedagogiche che mirano alla crescita degli individui in un contesto sociale equilibrato e solidale piuttosto che al puro addestramento di manodopera - non si fonda semplicisticamente su una comunicazione a senso unico di informazioni e nozioni (che la modalità digitale a distanza inevitabilmente, anche se involontariamente, provoca), ma sulla relazione, sulla condivisione e sulla collaborazione. Non è la competizione, ma neppure l’isolamento di fronte ad uno schermo nel chiuso della propria camera (chi se la può permettere) a consentire un apprendimento consapevole e critico, fecondo e non meccanico e strumentale: per i giovani è essenziale e necessario lo scambio “in presenza”, e a maggior ragione la scuola ha un valore insostituibile per alunni e alunne che non hanno alle spalle famiglie benestanti, o almeno culturalmente - se non economicamente - solide. In questi giorni si è aperta una ulteriore discussione sulla necessità che vengano almeno riaperte le scuole dell’infanzia e primarie, come servizio per coloro (ovviamente, soprattutto le madri) che dal 4 maggio ricominceranno le attività nei propri posti di lavoro: insomma, pur non sottovalutando questo aspetto dell’articolazione sociale, si sta trattando il mondo della scuola come un servizio di baby-sitteraggio che non ha nulla a che vedere con l’obiettivo costituzionalmente fondamentale del diritto allo studio. È comprensibile che genitori impegnati nel lavoro, soprattutto le donne, abbiano una necessità impellente di affidare i figli a qualcuno in una situazione controllata e in
sicurezza, ma va tuttavia ribadito che questa è solamente la premessa e la condizione che consente di raggiungere la finalità della scuola, non il suo scopo prioritario. La riqualificazione della scuola, allora, non può passare né dalla digitalizzazione, ma neppure da una sua riduzione a mera sorveglianza e vigilanza. Deve inoltre essere affrontato un problema che attiene alla dimensione specifica del lavoro, sul piano della sicurezza: se, come e quando sarà possibile il rientro nei locali scolastici. Già per la maturità, è ormai quasi certo che si svolgerà in presenza, dunque con una commissione di docenti interni del consiglio di classe con la presenza di un alunno alla volta per il colloquio, unica prova rimasta visto che gli scritti sarebbe stato impossibile svolgerli in sicurezza. Ma il problema principale sarà per il rientro a settembre: chi dovrà pulire e sanificare i locali, e con quale frequenza? Toccherà al personale delle scuole, gli ausiliari o custodi, e con quali dispositivi di protezione, con quali prodotti e con quali protocolli? Sono domande che paiono banali, ma che in questa situazione assumono una valenza fondamentale, per la protezione di lavoratori e lavoratrici, ma anche per la sicurezza di studenti, docenti e personale ATA. Anche l’ipotesi di far rientrare le classi metà in presenza e metà in collegamento, a rotazione, appare piuttosto bislacca perché sarà impossibile garantire i distanziamenti necessari tra gli alunni, all’ingresso, all’uscita, nei cambi dell’ora e durante l’intervallo. Vi è infine un problema legato al carattere occupazionale: le modalità che si individueranno per riprendere le attività scolastiche dovranno tutelare il personale docente e ATA non solo sul piano della sicurezza sanitaria, ma anche dell’orario di servizio (per evitare che il “lavoro agile” e la DaD producano un esponenziale aumento degli impegni in modalità da casa) e perfino del posto di lavoro, in particolare per tutti quei precari e precarie che rischiano di essere “sacrificati” sull’altare del lavoro digitale. Invece di stabilizzare tutti i precari (con almeno tre anni di servizio, per i sindacati di categoria e i comitati dei precari) che in questi anni hanno garantito il funzionamento delle scuole (oltre 100mila insegnanti con incarichi annuali o fino al termine delle attività, più o meno un docente ogni sette, circa 50mila ATA più o meno la metà del personale), la Ministra Azzolina ha invece pensato bene di indire un improbabile concorso che non si capisce in quali condizioni potrà essere svolto garantendo, oltre alla regolarità, le condizioni di sicurezza e distanziamento. Nella scuola, come nella maggior parte degli ambiti sociali, si dovranno sostenere molte lotte a fronte di uno scontro di classe sempre più aspro, in cui le contraddizioni si acuiranno e in cui sarà necessario inserirsi, per sviluppare il conflitto di classe e avviare la trasformazione in senso socialista della società.
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Il virus della guerra Dimenticando la storia del capitale finanziario, la storia di come sia maturata questa guerra per una nuova spartizione, si presenta la questione così: vivevano in pace due popoli, e poi uno ha attaccato e l’altro si è difeso. Si dimentica così ogni scienza, si dimenticano le banche... questa guerra è stata provocata inevitabilmente da quel gigantesco sviluppo del capitalismo, soprattutto bancario, che ha fatto sì che quattro banche a Berlino e cinque o sei banche a Londra dominino sul mondo intero... e, infine, si scontrino in una disputa di inaudita bestialità... (Lenin, maggio 1917) Fabrizio Poggi Non è possibile non capire come l’attuale contrapposizione tra potenze mondiali minacci di trasformarsi in una Terza guerra mondiale a tutti gli effetti, scriveva Viktor Saulkin un anno fa. Oggi, l’epidemia Covid-19 ha esacerbato al massimo la contrapposizione tra cordate imperialiste. È possibile, e ovviamente augurabile, che le rivalità tra gruppi monopolistici per la spartizione di mercati e di materie prime non sfocino in conflitti armati. Le condizioni per un tale scenario, però, purtroppo non mancano. È sotto gli occhi di tutti l’evidenza di quanto indicato da Lenin oltre cento anni fa, a proposito della fase imperialista del capitalismo, con concentrazione e centralizzazione di capitali, simbiosi di capitale industriale e finanziario nel monopolio, fonte di sviluppo ineguale dei paesi capitalisti; uno “sviluppo a balzi”, che lasciava spazi per la vittoria del socialismo, all’inizio in un piccolo gruppo di paesi, o addirittura in un paese solo. Oggi ci raccontano che la pandemia comincia ad affievolirsi, ma l’allarme per un possibile conflitto tra poli imperialisti è più attuale che mai. Le guerre mondiali sono il risultato di crisi, della tendenza dei grossi monopoli a rafforzare le proprie posizioni, inghiottendo i capitali più piccoli. Non fa eccezione la crisi legata al Covid. Sul piano interno, se ne preparano le condizioni, sperimentando nuovi metodi di controllo sociale, elettronico e poliziesco, ipocritamente spacciati per “necessari” contro l’epidemia. Obiettivo primario dello scontro sembra destinata a essere la Cina. Ma è impossibile non vedere come, prima o poi e in ogni caso, il conflitto debba dar vita a nuove “alleanze” - necessariamente, e come sempre, temporanee, legate a quello “sviluppo a balzi” – e come l’attacco alla Cina sia anche destinato, nelle intenzioni di Washington, a tentare di riportare nel proprio alveo i paesi allettati dal “virus” del 5G cinese. In questo senso, diversi soggetti europei sembrano essersi già rimessi “sulla retta via” dell’osservanza atlantica; ma la percorreranno solo finché i loro interessi convergono con un polo imperialista e contrastano con l’altro. “Ogni guerra è indissolubilmente legata all’ordine politico da cui scaturisce”, scriveva Lenin. D’altronde, non va dimenticato nemmeno lo
sfondo euro-atlantico su cui avviene lo scontro (per ora senza l’invio di cannoniere): TPPTrans-Pacific Partnership e TTIP-Transatlantic Trade and Investment Partnership, orientati a esclusivo vantaggio dei monopoli USA; multe miliardarie USA contro partner europei per violazione di sanzioni contro Cuba, Iran, ecc.; multe UE contro Apple e altri colossi yankee; gasdotto “North stream 2” fermato nel 2019, per la minaccia di sanzioni USA alle ditte europee appaltatrici di “Gazprom”. Forse è per ora escluso uno scontro Europa-USA: più probabile che la guerra si combatta nelle periferie; anche se non va scordato il Bukharin del 1915: “Se si unirà tutta l’Europa, ciò non significherà affatto il “disarmo”; significherà un balzo in avanti mai visto del militarismo, poiché sarà il turno della lotta con l’America e l’Asia”. E tornano d’attualità anche le parole di Arkadij Erusalimskij, sul Bol’ševik del 1939, secondo cui “ai precedenti metodi di inganno delle masse se ne aggiungono di nuovi”, uno dei quali è la “tesi sulla possibilità di “guerre locali”, “isolate”; una tesi che ha ampia diffusione quale mezzo per attenuare la vigilanza dei popoli, per mascherare il progressivo strisciare verso una nuova guerra mondiale”.
Una “guerra non normale”
Oggi però, con la nuova pandemia, si apre anche un’altra questione: in una guerra “normale”, osserva Stanislav Vorobev, si cerca di colpire il nemico per primi; nel conflitto economico globale, invece, “ci si spara sui piedi: si colpisce per primo non il nemico, ma noi stessi”! Così, a gennaio 2020, si è scoperto che la Cina avrebbe perso il 5-10% del PIL (nel primo trimestre: -6,8% su base annua); ma, in aprile, la Cina stava già risalendo, mentre in USA si pronosticava una caduta del PIL intorno al 50% e fino al 40% di disoccupazione. E infatti: già chiuse un migliaio di grosse imprese americane e la Casa Bianca conferma un “piano Barbarossa” economico contro la Cina, in attesa dell’attacco alla Russia. Di contro, sembra proprio che quel “ferirsi per primi per riprendersi prima degli altri”, stia funzionando: Radio Cina International afferma che la sospensione delle attività economiche cinesi è stata solo temporanea; a metà marzo, circa il 99% delle imprese con un fatturato annuo di oltre 20 milioni di yuan era già tornato operativo. L’economista americano Jeffrey Sachs, scrive Xinhua, prevede che la produzione industriale cinese riprenderà in modo significativo già a metà dell’anno. Secondo il World Economic Outlook, nel 2020 la Cina, insieme all’India, potrebbe essere una delle poche grandi economie in espansione (fino a +1,9%), a fronte di un calo medio globale previsto a -3,9%, con un -5,9% USA, -6,6% russo, -7,5% dell’area Euro, fino al -9,1% italiano. Così che, scatenando la caccia alle streghe contro la Cina (invece della provetta di antrace di Colin Powell, c’è il laboratorio di Wuhan) scrive Aleksandr Sitnikov, l’occidente unito, per tentare di frenare la propria caduta economica, presenta alla Cina un conto di trilioni di dollari, “per sottrarle riserve e investimenti aziendali in tutto il mondo. Tuttavia, tali nuove spartizioni, come dimostra la storia, terminano con guerre su larga scala”. Come scriveva Lenin nella “Lettera agli operai americani” del 1918, “I risultati di quattro anni di guerra hanno mostrato la legge generale del capitalismo, nella sua applicazione a una guerra tra ladroni per la spartizione del bottino: quello che era più ricco e più forte, ha incassato e depredato più di tutti; quello che era più debole di tutti, è stato razziato, sbranato, schiacciato e strangolato fino alla fine”. Resta a vedere quale veramente sia oggi il predone più ricco e più forte, quali riserve detenga, di quali e quanti “fidati” alleati disponga, su quali fonti sia già riuscito ad allungare le mani. Basta guardare a come venga confermato il momento “non felice” dei rapporti Washington-Mosca, mentre tra gli europei ci sia un va e vieni di ammiccamenti verso il Cremlino.
Guerra o pandemia
Quanto alla incrollabile supremazia USA, l’americana Foreign Affairs giudica improbabile uno spostamento dell’asse economico mondiale verso la Cina dovuto al Covid-19, nonostante che, se allo scoppio dell’epidemia si prevedeva una “Černobyl cinese”, poi, velocemente, con l’attenuarsi del virus in Cina e lo scoppio in Europa e USA, le valutazioni si sono invertite. Ma gli USA hanno ancora grosse potenzialità materiali e politiche: non è prevedibile un’uscita di scena degli USA, come avvenne per l’impero britannico a metà del XX secolo. Inoltre, la stessa economia cinese dipende molto dalla domanda di USA e Europa: più del 40% dell’export cinese va in 12 paesi più colpiti dal virus, tra cui i maggiori fornitori di semilavorati alla Cina. Ciò comunque, conclude Foreign Affairs, non annulla la crisi della leadership USA. E, quanto ad analogie con la fine dell’impero britannico, si può dire che proprio la consapevolezza di tale declino e dell’emergere della nuova potenza atlantica, aveva portato Londra a foraggiare la Germania nazista, sia per spingerla contro l’URSS, sia anche per usarla in vista di uno scontro con gli USA. In ogni caso, l’impero britannico non sopravvisse e il mondo pagò quelle scelte con 50 milioni di morti. Settant’anni dopo, monopoli e banche d’Europa sono tornati a ergersi e armarsi di fronte a soggetti mondiali che, rispetto al passato, manifestano nuove posizioni: ancora una volta, lo “sviluppo a balzi” porta in primo piano, o caccia dalla scena, una delle cordate imperialiste, mentre sul mappamondo compaiono nuovi soggetti che si accingono a banchettare, lasciandone altri a digiuno. Con discreto ottimismo, Maksim Isaev, polemizzando con Foreign Affairs, secondo cui l’epidemia può spingere la potenza che si sente superiore ad attaccare la rivale giudicata indebolita, osserva che il Covid indebolisce più o meno allo stesso grado tutte le grandi e medie potenze. Come risultato, quasi nessuno avrà vantaggi significativi rispetto ad altri, tutti saranno pessimisti sulle proprie capacità militari e nessuno sarà disponibile alla guerra: questo, almeno, perdurante la pandemia e, probabilmente, nei primi anni successivi, finché lo “sviluppo a balzi” non tornerà a farsi sentire. Ancor più “ottimista” lo storico Andrej Fursev, secondo il quale anche per il capitale costituisce una “cosa inquietante” scatenare una guerra nell’era nucleare; ma “ecco che appare il coronavirus, che, di fatto, per le sue conseguenze, adempie la funzione solitamente adempiuta da una guerra mondiale, mettendo in moto una completa ristrutturazione della sfera finanziaria e una nuova spartizione di risorse”, senza scontri armati. Molto; troppo ottimista. Basti guardare al concentrato di urla guerrafondaie e invettive anti-cinesi e antirusse lanciate il 26 aprile da The National Interest, sulla necessità di por fine al supposto precedente rallentamento di riarmo nucleare yankee. Gli USA devono darsi al “rafforzamento della difesa missilistica nell’Indo-Pacifico” e a modernizzare l’invecchiata “deterrenza nu-
cleare”, dato che “Russia e Cina modernizzano ed espandono le loro forze nucleari”. Ora, gli “oppositori della modernizzazione nucleare USA citano la politica del No First Use cinese, come prova del fatto che Pechino non ha intenzioni nucleari ostili. Ma fidarsi della Cina” significa scordare la sua abitudine “del dire una cosa e farne un’altra”, come per la “gestione dell’epidemia di Covid... Non c’è motivo di credere che la Cina avrebbe un approccio diverso alle armi nucleari”. L’attacco, sinora commerciale e verbale, a Cina e Russia, non è per nulla tranquillizzante.
Nuovi scenari europei
In “Europa”, poi, torna in primo piano il ruolo dei suoi diversi attori, accentuato dalla pandemia. Stanislav Stremidlovskij scrive che il partito di governo polacco “Diritto e Giustizia” punta più che mai sugli USA e su Trump in particolare, anche se l’arrivo a Varsavia di aerei cinesi carichi di medicinali ha ridato fiato ai filo-cinesi polacchi. La semiufficiale Rzeczpospolita parla di “nuovo Vietnam per gli americani” e scrive che, con un eventuale Joe Biden alla presidenza, arrendevole verso Mosca e Pechino, e con “l’America che deve leccarsi le ferite, la Polonia a tenersi pronta”, in caso gli USA si accingano ad abbandonare l’Europa. La Polonia, in mezzo a Russia e Germania, potrebbe trar profitto dalla sua posizione, che nella storia le è sempre stata funesta, ma che ora potrebbe tornarle vantaggiosa. Varsavia intende allargare la collaborazione con gli USA nella sfera della sicurezza, puntando al ruolo cui ambisce da tempo in Europa: sostituto della Germania quale avamposto yankee e, però, anche sponda “cinese”. Non a caso, già oltre dieci anni fa, la StratFor (Stategic Forecasting: la cosiddetta “CIA privata”) scriveva che “verso il 2030 la Polonia dominerà su Bielorussia e Ucraina, mentre la Russia si sgretolerà in tanti principati… Verso il 2045 la Polonia riunirà intorno a sé Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania e stabilirà un protettorato su Slovenia e Croazia. Così, per la metà di questo secolo”, sulla carta d’Europa ci sarà “un nuovo impero, la Rec Pospolita come nel XVII secolo, da mare a mare”, dal Baltico al mar Nero. Sinora la Polonia, dice Stremidlovskij, è stata la più tenace nel voler coinvolgere gli USA in Europa. Di fronte all’emergere del polo imperialista europeo (vedi l’esercito europeo, ma non solo), Washington non farà più riferimento a Bruxelles, ma alle singole capitali. Dunque, da un lato, la Germania, punta a porsi quale “faro” per i Paesi dell’Europa centroorientale e anche per diverse ex Repubbliche sovietiche. Dall’altro, non a caso, negli ultimi tempi, Vladimir Putin è tornato a parlare di possibile “riunione dello spazio sovietico”: ovviamente, il perno è sul termine “spazio” e non sull’aggettivo “sovietico”.
USA-Europa-Russia-Cina: uno scontro globale Quindi, per riprendere le indicazioni leniniane, anche oggi vediamo come i diversi ritmi
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Coronavirus, Davide e Golia Daniela Trollio (*) Un virus, un piccolissimo ‘agente infettivo’ nato non sappiamo dove, si è diffuso in tempi rapidissimi per tutto il pianeta, facendo fino ad ora decine di migliaia di morti e obbligando milioni e milioni di persone a chiudersi nelle proprie case quando le hanno, e altri milioni e milioni a soffrire la fame e a correre il pericolo di ammalarsi e di morire senza alcuna possibilità di difendersi perché non hanno né casa, né acqua, né sapone né, tanto meno, mascherine. L’economia si è paralizzata. Si è fermata, o ha rallentato, l’accumulazione del profitto a livello mondiale e già possiamo prevederne gli effetti: un’ondata di licenziamenti, disoccupazione raddoppiata e galoppante, miseria e fame - “la fame, inseparabile compagna dei poveri, figlia dell’iniqua distribuzione delle ricchezze e delle ingiustizie di questo mondo” come diceva Fidel Castro - per altri milioni di persone, una nuova Grande Depressione… Ma le vittime del Covid-19 non sono solo umane: la vittima più importante è certamente il sistema economico che chiamiamo “neoliberismo”, la versione attuale del capitalismo, quello che ci hanno fatto credere che fosse il migliore - e l’unico - dei mondi possibili. La ‘mano invisibile’ del mercato è naufragata miseramente davanti al Covid-19. La globalizzazione si è rivelata quello che è: libera circolazione sì ma solo per i capitali, perché tutti gli Stati hanno immediatamente chiuso le loro frontiere alle persone e iniziato la guerra tra loro. Abbiamo persino assistito ad atti di pirateria statale, paesi che rubavano le forniture mediche destinate ad altri paesi. Ma, soprattutto, è saltato il motto fondamentale degli ultimi 20 anni, “privato è bello”. Covid-19 ha dimostrato - in particolare - che i tagli alla sanità pubblica (35 milioni di euro in 15 anni, 70.000 posti letto fatti sparire in favore della sanità privata in Italia) sono i diretti responsabili del numero dei morti. Lo dicono le cifre: le vittime sono inversamente proporzionali al numero di letti ospedalieri nella sanità pubblica; vedere la tabella seguente per credere. Letti ospedalieri per 1.000 abitanti (fonti: OMS e OCSE;BBC Mundo 21.3.2020) Corea del Sud 12 Germania 8 Italia 3,5 Spagna 3 Francia 6 Stati Uniti 2,9 Iran 1,8 Quanto sopra ci serve nel nostro ‘lavoro’ di rivoluzionari, perché è la dimostrazione di quello che ripetiamo da sempre – il capitalismo è morte – supportata da fatti concreti che ogni cittadino del pianeta sta vivendo sulla propria pelle in un modo mai visto prima. E così vale la pena di mettere a confronto il comportamento di Davide e quello di Golia: la Cuba rivoluzionaria che avanza faticosamente ma cocciutamente verso il socialismo e il gigante dai piedi di argilla, patria delle principali grandi multinazionali, gli Stati Uniti d’America, in una parola l’impero.
Davide
Come diceva il Che, “la solidarietà è la tenerezza dei popoli” e la piccola – grande – isola, bloqueada da più di 60 anni, è riuscita a inviare personale medico in ben 23 paesi compresa l’Italia (nelle regioni più colpite, 52 in Lombardia, 38 in Piemonte, appartenenti alla Brigata “Henry Reeves”, il cui nome ufficiale è Contingente Internazionale di Medici Specializzati in Situazioni di Disastri e Gravi Epidemie). Il loro lavoro è gratuito. Nel momento in cui ci si affida alla tecnologia per cercare di uscire dalla crisi, Cuba dimostra una volta di più che quello segue da pagina 4
che conta è il fattore umano, è la solidarietà disinteressata e intelligente, è l’internazionalismo, nonostante non sia seconda a nessuno per ricerca medica e biotecnologie, quelle che le hanno permesso di produrre e fornire l’interferone Alpha 2B, chiesto all’isola da ben 40 paesi per la lotta al coronavirus.. Colpita anch’essa dal Covid-19, con circa 1.500 casi confermati e 61 morti, ma con una formidabile organizzazione capillare del suo popolo, Cuba si può così permettere una serie di misure come la mobilitazione di 4.641 lavoratori sociali che visitano i gruppi vulnerabili della popolazione (anziani soli o malati, madri sole con figli minori, donne incinte che non possono uscire), consegna delle medicine a domicilio a questi gruppi; mobilitazione dei Comitati di Difesa della Rivoluzione e della Federazione delle Donne Cubane in aiuto alle persone sole per l’acquisto del cibo e delle medicine, utilizzo degli studenti di medicina per l’indagine epidemiologica nelle comunità. Un vero esempio che viene dal vituperato 3° mondo, da un paese ‘povero’ che si rivela però ricco di umanità e in grado di dare lezioni al “1° mondo” che, invece, oltre a rubarsi mascherine e materiale sanitario, per sconfiggere il virus ha puntato tutto sulla cancellazione dei rapporti sociali e della solidarietà. Sono in molti a riconoscere a Cuba la capacità di esercitare la solidarietà, ma non altrettanti a ricordare e far ricordare la ragione di questa solidarietà: la scelta, irreversibile come dicono i cubani, di un altro sistema, di un altro mondo in cui al primo posto ci siano gli esseri umani e non il profitto. In una parola la scelta del socialismo. E cade anche la critica che generalmente viene fatta a Cuba: il socialismo non è condividere la povertà. A parte il fatto che questa critica non tiene in alcun conto il più spietato e lungo blocco della storia – tuttora in vigore in tempo di coronavirus – quando l’esistenza umana è messa così in pericolo e siamo costretti a renderci conto che i fattori fondamentali per la nostra vita non sono gli innumerevoli ammennicoli di cui siamo circondati, ripiombiamo allora nel mondo reale e dobbiamo riconoscere che Cuba ha medici, ospedali, sistemi di salute, organizzazione popolare (tra le altre cose) infinitamente superiori a quelle dei paesi “sviluppati”, tanto che si può permettere di condividere la ricchezza umana che rappresentano.
Golia
Nessuno dimenticherà le immagini del 10 aprile che arrivano dalla città più ricca del paese più ricco del mondo: decine e decine di povere bare, quattro assi messe insieme, allineate nelle fosse comuni di Hart Island, l’isola di New York al largo del Bronx, ricoperte dai dannati della terra, i carcerati di Rikers Island. Accade nel paese più potente del mondo, nella patria delle maggiori multinazionali, dove – dicono – scienza e ricerca sono all’avanguardia. Le immagini sanno invece di Medio Evo. Non è strano, è il risultato di un sistema che privilegia il profitto rispetto alla vita. E la Storia si permette un sanguinoso sberleffo: nell’aprile del 1975, al termine della guerra del Vietnam, i morti statunitensi ammontavano a 58.265 in dieci anni; alla fine dell’aprile 2020 le vittime del Covid, dopo soli 4 mesi, superano i 40.000 e fanno degli USA – nonostante la ricchezza, nonostante la potenza militare, nonostante l’avanzamento della tecnologia - il paese più colpito al mondo. Le misure di contenimento come la chiusura delle attività e il distanziamento personale sono state prese in grande ritardo perché bisognava salvaguardare gli interessi dei grandi gruppi capitalisti. E così di nuovo un nemico “microscopico” ha messo in ginocchio l’impero. E non è l’unico sberleffo: il piccolo “nemico” - il Vietnam che deve agli USA l’uccisione di ben 3 milioni dei suoi cittadini, oltre a coloro che ancor oggi nascono malformati grazie agli 86 milioni di litri di defolianti tra cui napalm e agente orange rovesciati dall’esercito statunitense sul suo territorio - a metà
di sviluppo portino alla ribalta ora questo o quella singola potenza imperialista, al seguito della quale si muovono, in maniera disordinata, “alleati” non sempre fidati. Le condizioni del mercato spingono poi una potenza indietro rispetto alle altre, mentre determinati progressi tecnici e produttivi, l’accaparramento di un mercato, consentono a un terzo polo di spodestarne un quarto dalla scena. E anche all’interno delle singole cordate imperialiste, i diversi gruppi capitalistici tentano di scalzare i concorrenti, approfittando della momentanea crisi dovuta al fermo produttivo, o intervenendo strategicamente sui prezzi dei prodotti energetici, ecc. È chiaro, diceva Lenin nel maggio 1917, che “per noi non ha alcuna importanza la questione su quale dei due predoni abbia per primo tirato fuori il coltello. Esaminate la storia degli investimenti di carattere militare e navale dei due gruppi di potenze negli ultimi decenni, prendete la storia delle piccole guerre che essi hanno condotto prima di quella grande - “piccole”, perché in esse sono morti pochi europei, ma vi sono morti centinaia di migliaia di uomini di quei popoli che gli europei strangolavano, che dal loro punto di vista non sono considerati nemmeno popoli (degli asiatici, o africani: sono forse popoli?); contro tali popoli si sono condotte guerre di altro tipo: erano inermi e gli europei li hanno sterminati con le mitraglie”. In conclusione, non è detto che lo scenario sopra delineato debba sfociare immediatamente in un conflitto armato. Molto più probabile, insieme all’augurio di soluzioni “incruente” - per quanto possano apparire “incruente” le serrate, con milioni e milioni di disoccupati – che lo scontro attuale sfoci in inevitabili “riposizionamenti” politico-territoriali, come potrebbero essere quelli conseguenti a nuovi rapporti USA-Germania-Polonia, o Russia-Repubbliche ex sovietiche, oppure Cina -Area Pacifico, ecc. In ogni caso, lo scenario è quanto mai aperto; e oltremodo pericoloso.
aprile ha inviato agli USA 450.000 kits di protezione per medici e infermieri (oltre a mandare mezzo milioni di mascherine a Francia, Germania, Italia, Spagna e Gran Bretagna). Torniamo alle bare di Hart Island, icona dell’abbandono in cui è stata lasciata la popolazione nordamericana, 30 milioni di cittadini esclusi dall’accesso alla sanità perché non possiedono assicurazione sanitaria e non sono quindi in grado di farsi curare: la maggior parte delle vittime sono neri, latini e poveri di ogni colore. Ad esempio a Chicago, la sesta città più popolata degli USA, i contagiati neri erano la metà dei 500.000 casi di coronavirus. Neri erano anche i morti, il 72% delle vittime nonostante rappresentassero solo il 37% della popolazione della città. Tutti i media commentano le uscite di Donald Trump sul coronavirus ma nessuno di essi ricorda che il menefreghismo per la sorte dei propri cittadini non è certo una caratteristica solo sua. Anno 2005, 19 agosto, presidenza George W.Bush: l’uragano Katrina colpisce la costa sud degli Stati Uniti e la città di New Orleans. Le uniche indicazioni date alla popolazione sono di prendere l’auto e fuggire, chi non ce l’ha si arrangi. Al Memorial Medical Center, dove l’uragano ha rotto le finestre, interrotto la corrente elettrica e bloccato l’aria condizionata, ci sono 180 pazienti da evacuare con gli elicotteri, ma non si riesce a farlo: le risorse e il personale sono troppo pochi. Un anno dopo un medico e alcuni infermieri verranno processati per aver dato volontariamente la morte ad una decina di pazienti piuttosto di lasciarli morire da soli. In una parola, il Covid-19 scrive la parola “fine” al sogno americano e porta alla luce come non mai il fallimento completo del suo sistema. E lo dice persino uno che se ne intende, Henry Kissinger, l’anima nera dei governi USA dal 1969, che sulle pagine del portavoce del capitale internazionale - il Wall Street Journal - si chiede: “Si potranno salvare i principi dell’ordine mondiale liberista?”. Ci fermiamo qui nel paragone tra Davide e Golia. Tutti ci chiediamo come usciremo dalla crisi del coronavirus, ed è una domanda fondamentale. Il panico e la confusione, seminati senza pietà per 24 ore al giorno da TV e giornali, hanno fatto sì che la maggioranza della popolazione accettasse senza discussione misure che hanno cancellato diritti sociali e politici come nemmeno in guerra era successo (il coprifuoco, la caccia all’untore, la morte in solitudine e abbandono degli anziani ecc.). Oggi ci vendono la favola della tecnologia che ci salverà, al prezzo della sorveglianza perpetua, anche se la tecnologia non ci ha salvato nelle epidemie precedenti come l’AIDS, la SARS, l’Ebola ecc. Oltre al fatto che in realtà i metodi per arginare questa epidemia, ben lungi dall’essere tecnologici, sono quelli impiegati nel Medio Evo contro peste e colera: quarantena, acqua e sapone. Con la scusa di proteggerci spunta l’idea che si può lavorare 7 giorni su 7 - sogno che Confindustria da anni tenta di realizzare e che è stato realizzato solo in alcuni settori come il commercio. Nelle fabbriche e nei posti di lavoro, dice il governo, bisognerà rispettare le misure di sicurezza: ma, diciamo noi, quali misure rispetteranno i padroni se non lo facevano neanche prima, prova ne sia i più di 1.000 morti sul lavoro all’anno?! Altra prova: i nuovi “eroi”, perchè senza retorica non riusciamo a resistere. Sarebbero medici, infermieri, operatori sanitari. Ieri però venivano licenziati, erano costretti a lavorare con contratti a tempo, sottopagati e sfruttati. Oggi sono portati sull’altare, ma sempre con contratti a termine, sottopagati e sfruttati. Ancora per poco, però. Già, perchè davanti alle denunce sulla mancanza di protezioni, vengono di nuovo licenziati. E nessuno chiama come dovrebbe le vittime di questo settore: altro che eroi, morti sul lavoro anche loro, vittime del profitto che non prevede di spendere un soldo per la protezione dei lavoratori. E dibattono sui prestiti, i Coronabond, il MES, ecc. ma nessuno dice una parola sulle spese militari in epoca di pandemia: l’acquisto previsto di una decina di F-35 e l’acquisizione di nuovi sottomarini da guerra U-212. Un F-35 costa 135 milioni di euro, che corrispondono al costo di 1.000 posti letto in terapia intensiva. L’U-212 costa 675 milioni di euro, il costo di 6.000 posti letto. È già cominciata invece la corsa al vaccino, che riempirà ulteriormente le tasche di Big Pharma, nonostante ad esempio siano passati ben 28 anni (e 32 milioni di morti) dalla comparsa dell’AIDS - virus mai scomparso e tuttora vivo e vegeto - e dalla conseguente promessa di un vaccino che non è mai stato realizzato. È per queste e per mille altre ragioni che dobbiamo riprendere con più vigore non solo la denuncia di questo sistema marcio, ma le lotte e l’organizzazione, con il superamento delle meschine divisioni delle forze rivoluzionarie, perchè il proletariato e le sue avanguardie riprendano, nel nostro paese, il posto che compete loro. Dalle crisi si esce in due modi: o in quello reazionario o in quello rivoluzionario, ce lo dimostra tutta la storia del genere umano. Sta a noi scegliere. (CIP “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni)
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Ridotta, ma celebrata, la giornata mondiale delle vittime dell’amianto Dopo 28 anni dalla messa al bando dell’amianto siamo ancora uno dei paesi al mondo maggiormente colpito dalle malattie correlate Michele Michelino Quest’anno, a causa del coronavirus, non si è potuto tenere il tradizionale corteo previsto per il 18 aprile, ma una delegazione del Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio - sfidando i divieti ha portato un mazzo di fiori alla lapide che ricorda tutte le vittime a Sesto San Giovanni in via Carducci. Anche nel momento in cui governo e regioni impediscono ogni manifestazione, il Comitato ha ricordato, nel rispetto delle norme di sicurezza, tutti i morti chiedendo giustizia per le vittime dell’amianto e per tutti i lavoratori e i cittadini assassinati nel nome del profitto. “Basta impunità per i padroni assassini”: questi cartelli che generalmente sfilavano per la città portati dagli ex lavoratori e familiari delle vittime sono stati appesi alle transenne dell’area verde adiacente alla lapide che recita: “A perenne ricordo di tutti i lavoratori morti a causa dello sfruttamento capitalista ora e sempre Resistenza”. Alla manifestazione, insieme alla rappresentanza del Comitato, è intervenuto, portando la solidarietà della città di Sesto San Giovanni, anche un assessore comunale con la fascia
tricolore che ha parlato di un crimine non riconosciuto all’origine di queste malattie, ”quella della mancata sicurezza e salubrità degli ambienti di lavoro quando già si sapeva da anni della pericolosità della fibra killer”. Insieme al presidente del Comitato (ex operaio Breda) a deporre i fiori c’era anche Silvestro Capelli del direttivo dell’associazione che si è ammalato di tumore alla laringe che gli ha lasciato un buco in gola dopo 17 anni di Breda. “Sulla mia pelle porto i segni dell’amianto. Mi hanno rubato la salute e la vita ma continuo a lottare perché non si ammala solo l’operaio in fabbrica. La nostra lotta non è ancora finita, noi siamo partigiani”. Sono passati 28 anni da quando l’Italia ha messo al bando l’amianto, ma siamo ancora uno dei paesi al mondo maggiormente col-
piti dall’epidemia di malattie amianto-correlate. Secondo l’Oms, ancora oggi nel mondo sono circa 125 milioni i lavoratori esposti alla fibra killer e nel nostro Paese la bonifica delle costruzioni contenenti amianto procede molto a rilento. Ogni anno le vittime dell’amianto sono circa 6mila: 3600 per tumore polmonare, 600 per asbestosi, 1800 per mesotelioma, un tipo di cancro molto aggressivo che colpisce la pleura e altre membrane. L’amianto ha ucciso tanti lavoratori e lavoratrici, ma anche persone che respiravano la fibra dai vestiti altrui (per lo più mogli che lavavano le tute e abiti dei mariti) o che si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato. L’amianto ha ucciso, uccide e continuerà a uccidere ancora perché i tumori che causa:
mesotelioma, tumori polmonari, della laringe, asbestosi, tumore dell’ovaio nelle donne, e altri ancora, impiegano decenni a manifestarsi, e il picco è previsto tra il 2025 e il 2030. Dai dati di Legambiente, nel nostro Paese sono circa 370mila le strutture che contengono eternit: per lo più edifici privati ma anche industriali e pubblici, comprese 2.400 scuole, 1.000 biblioteche e 250 ospedali. Per non parlare della rete idrica: sarebbero 300mila i km di tubature in cui è presente l’asbesto. Si tratta, però, di stime: il censimento dei siti inquinati non è stato completato in tutte le regioni. In Italia negli ultimi dieci anni i morti per infortuni sul lavoro sono stati più di 17 mila. Ogni anno sono 1.400 i morti sul lavoro (120 al mese), mentre decine di migliaia sono quelli per malattie professionali (solo per amianto oltre 6.000 l’anno). A questi numeri vanno aggiunti gli altri morti del profitto causati dai risparmi sulla sicurezza (ponti che crollano, disastri ambientali, inondazioni e altro ancora) e oggi, a causa delle carenze nelle strutture sanitarie di fronte al coronavirus, anche medici, infermieri, personale sanitario, addetti alle pulizie degli ospedali. Una strage che avviene nell’indifferenza che, oggi più che mai, diventa complicità. ROMPIAMO IL SILENZIO. BASTA MORTI PER IL PROFITTO (qui sotto i links per vedere i video della giornata mondiale fatti da TG3 rai regione Lombardia e ANPI): https://youtu.be/pXkaPOAKG_w https://youtu.be/0-pXAx9dyfg
Fiori e cartelli e... corteo 25 Aprile ridimensionato, ma non dimenticato dai comunisti e dagli antifascisti E in alcuni casi: repressione poliziesca e denunce
corrispondenza Per la prima volta dal dopoguerra quest’anno il 25 Aprile non ci sono state le manifestazioni con i cortei organizzate dall’ANPI per ricordare la liberazione. L’ANPI si è attenuta alle disposizioni del governo e regioni limitandosi a invitare i cittadini a cantare Bella Ciao dai balconi e finestre di casa. Nei pochi posti dove si sono tenute le cerimonie, anche se in forme ridotte, queste si sono svolte alla presenza di un rappresentante dell’ANPI, con i Prefetti, Questore e Sindaci. Molti antifascisti iscritti e no all’ANPI hanno ritenuto tutto questo inaccettabile e si sono autorganizzanti autonomamente, con la parola d’ordine PORTA UN FIORE AL PARTIGIANO e una STAFFETTA PARTIGIANA ALLE LAPIDI CHE LÌ RICORDANO. I divieti decisi da governo e regioni per il coronavirus impedivano manifestazioni e cortei per ricordare la liberazione dal nazifascismo il 25 Aprile, ma non hanno impedito agli antifascisti e ai comunisti di ricordare i partigiani, gli operai delle fabbriche e tutti quelli che hanno lottato per la liberazione, pagando con la vita. Rispondendo all’appello lanciato sui social da vari organismi di compagni, “porta un fiore al partigiano”, nella settimana prima del 25 aprile in cui le autorità avevano vietato per la prima volta dopo 75 anni di commemorare la festa della liberazione dal nazifascismo, in molte parti d’Italia, dal nord al sud, i compagni e gli antifascisti li hanno ricordati. Gruppi di compagni/e auto organizzati nelle varie città e quartieri hanno portato fiori alle lapidi dei partigiani: si sono creati così in alcuni casi cortei spontanei, alcuni dei quali repressi con manganellate, multe e denunce. In Toscana, “Firenze antifascista” ha portato corone ai monumenti che ricordano partigiani caduti per liberare il paese, e poi fiori e cartelli a Livorno, a Massa ecc. ma a Lari (PI) dove compagni e compagne, identificati mentre portavano un fiore alle lapide dei partigiani, hanno ricevuto il 29 aprile una comunicazione della Legione Carabinieri Toscana per “presentarsi, prima possibile, presso il Comando Stazione Carabinieri di Lari (PI), per ragioni di giustizia. Si avverte che l’omessa presentazione, senza giustificato motivo, comporterà la denuncia all’Autorità Giudiziaria, ai sensi dell’art 650 del Codice Penale”. Multe e denunce a Napoli per alcuni esponenti delle Reti so-
ciali Napoletane scesi in strada per manifestare in occasione della Festa della Liberazione, sono stati multati e denunciati nonostante le iniziative si siano svolte in forma autorganizzata, con massimo dieci-dodici persone, tutte con dispositivi di protezione personale, molte meno di quelle che sostano fuori di qualunque negozio del centro cittadino. Un’assurda forzatura della Questura di Napoli che a Fuorigrotta, sia soprattutto in piazza Municipio che con uno spiegamento di forze di polizia intimidatorio e repressivo ha fermato, denunciato e multato una quindicina di persone perché in strada per aver aperto in totale sicurezza degli striscioni sui diritti dei più deboli. A Milano e in molti comuni dell’hinterland milanese, da Sesto San Giovanni a Cinisello Balsamo, a Cologno Monzese e altri, ci sono state manifestazioni, in alcuni casi cortei, alcuni pacifici altri repressi brutalmente. La polizia è intervenuta contro alcuni gruppi di compagni che portavano fiori alle lapidi identificandoli per multarli o denunciarli e, in alcuni casi, aggredendoli e manganellandoli. Gli episodi di violenza poliziesca più gravi si sono manifestati nei pressi di via Padova (zona Loreto) e via Ascanio Sforza, zona Ticinese. Sempre a Milano nel quartiere NIGUARDA “la staffetta porta un fiore al partigiano” è cominciata un giorno
prima. Qui l’insurrezione contro i nazifascisti cominciò un giorno prima e un gruppo di compagni e compagne il 24 aprile ha fatto il giro di tutte le lapidi che ricordano i martiri partigiani portando un fiore. La mobilitazione è poi continuata il 25 Aprile, poco prima delle ore 15.00, all’interno dei caseggiati della cooperativa Abitare in via Val di Ledro. Molte persone sono scese in cortile cantando canzoni partigiane e, accompagnati da una tromba e una chitarra, hanno coinvolto molti abitanti ottenendo molta solidarietà anche dai balconi e finestre. Alla manifestazione spontanea hanno partecipato giovani e genitori con bambini, un vero corteo popolare improvvisato, che poi è uscito dal cortile ed è passato davanti alle lapidi dei partigiani di Niguarda per lasciarvi un fiore. La manifestazione con musica e canzoni è continuata per le vie di Niguarda fra gli applausi e la solidarietà di chi si affacciava alle finestre. È poi arrivata la Digos che ha accompagnato il corteo senza intervenire. In questo caso la presenza di molti genitori con bambini e la grande solidarietà espressa dagli abitanti ai balconi ha “consigliato” e impedito alle forze dell’ordine qualsiasi provocazione poliziesca. Davanti a questi atti repressivi, la redazione di “nuova unità” esprime la sua solidarietà militante e incondizionata a tutti i compagni vittime della repressione e a tutti gli antifascisti.
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Notizie in breve dal mondo - aprile Tel Aviv, Israele - 12 aprile
Lima, Perù - 22 aprile
Secondo alcuni quotidiani, con la scusa del coronavirus il governo israeliano ha ordinato ai palestinesi che lavorano nei territori occupati di scaricare un’applicazione sul loro telefonino per seguire i loro movimenti. Tale applicazione, chiamata Al Munasiq (Il Coordinatore), permette all’esercito di tracciare l’ubicazione del telefonino e di accedere ad ogni notifica, agli archivi e alla telecamera dei dispositivi. Prima di scaricare l’app gli utenti palestinesi devono dare l’assenso a questa proposizione: “Possiamo far uso dell’informazione che riceviamo per qualsiasi proposito, compreso per fini di sicurezza”. Lo scarico dell’app è obbligatorio anche per chi deve richiedere il rinnovo del permesso di lavoro nei territori.
Fuori dagli ospedali di Lima protestano medici e infermieri per la mancanza di misure di protezione. Sono costretti persino a riutilizzare più e più volte le mascherine ‘usa e getta’ Il Perù, con oltre 16 mila casi positivi, è il secondo paese più colpito del continente dopo il Brasile.
Salina Cruz, Messico - 22 aprile
I pescatori che fanno parte della Alleanza di Pesca di Oaxaca hanno donato oggi più di 2 tonnellate di pesce fresco alle famiglie povere della zona in crisi per il confinamento del coronavirus. I pescatori organizzati prevedono di distribuire fino a 50 tonnellate di pesce lungo tutta la costa di Oaxaca le prossime settimane.
Hanoi, Vietnam - 16 aprile
Oggi l’ambasciata USA ad Hanoi ha confermato l’arrivo – l’8 aprile – del primo lotto di aiuti sanitari provenienti dal Vietnam e diretti agli USA. Il paese ha inviato negli Stati Uniti circa 450.000 kits anti-covid come parte dell’appoggio del paese “allo sforzo globale” per fermare il virus. Secondo l’ambasciata “questo invio aiuterà a proteggere i sanitari che lavorano in prima linea contro il Covid-19 negli Stati Uniti e conferma la forza dell’associazione tra Stati Uniti e Vietnam”. Se non si trattasse di una tragedia ci sarebbe da ridere. Negli anni tra il 1960 e il 1970 l’esercito statunitense assssinò più di 1 milione di vietnamiti, oltre a bombardare con il napalm e l’agente ‘orange’ (un tipo di diossina molto tossica e proibita dalle leggi internazionali) e altre armi chimiche il territorio e 3 milioni di vietnamiti; ancora oggi nascono bambini deformi.
Oviedo, Spagna - 16 aprile
Se ne va un’altra delle grandi voci rivoluzionarie dell’America del Sud. Muore oggi a 70 anni Luìs-Lucho-Sepùlveda, il grande scrittore cileno, autore della tenerissima “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”e, fra i tanti altri, del romanzo “Il vecchio che leggeva poemi d’amore”. Militante comunista, guerrigliero, intellettuale, fu uno dei componenti della guardia del corpo di Salvador Allende. Arrestato e torturato dopo il colpo di Stato di Pinochet del 1973, nel 1979 sarà a Managua dove partecipa alla rivoluzione sandinista. Lo ricordiamo con alcune delle sue parole: “Ammiro chi resiste/chi ha fatto del verbo resistere/carne, sudore/sangue/e ha dimostrato/senza grandi gesti/che è possibile vivere,/e vivere in piedi anche/nei momenti peggiori”.
Cuba - 19 aprile
L’isola ribelle ricorda la vittoria di Playa Giròn anche in tempi di coronavirus, per bocca del cancelliere Bruno Rodrìguez Parrilla: “Nel 1961 il popolo cubano combattè vittorioso in difesa della Patria, dell’indipendenza e del socialismo. Un anno fa il governo USA ha promesso di trasformare in vittoria la sconfitta patita a Playa Giròn. Quella sconfitta dell’imperialismo è irreversibile. Cuba è sembre in piedi”. Nota come la prima grande sconfitta dell’imperialismo yankee in America, l’invasione di Playa Giron – organizzata dalla CIA con il beneplacito della Casa Bianca - iniziò il 17 aprile 1961 con lo sbarco della cosiddetta Brigata 2506, costituita da 1.500 esiliati cubani residenti negli USA, appoggiati da navi e da 35 aerei USA tra cui 16 bombardieri B-26. In 60 ore vennero rovinosamente sconfitti da unità dell’esercito rivoluzionario cubano, della polizia, delle milizie popolari. Tutti i mercenari catturati vennero scambiati mesi dopo con 62,3 milioni di dollari in medicine e alimenti per bambini e rimandati negli Stati Uniti.
Milano, Italia - 20 aprile
Nel bel mezzo della retorica sugli “eroi”, “Il fatto quotidiano” dà notizia della sospensione di alcuni operatori sanitari dipendenti della Cooperativa Ampast che lavorano all’Istituto Palazzolo della Fondazione don Gnocchi, che il mese scorso hanno firmato un esposto in cui, in 18, chiedono alla procura di Milano di indagare “atteso che i comportamenti omissivi e commissivi appaiono cagionare colposamente un’epidemia” sia sull’operato della Cooperativa che della Committente, la Fondazione appunto.
Tel Aviv, Israele - 20 aprile
Nonostante le restrizioni, migliaia di israeliani si sono riuniti nella Piazza Rabin di Tel Aviv per protestare contro il primo
ministro Netanyahu. Circa 5.000 persone hanno voluto denunciare l’erosione della democrazia avvenuto sotto il governo del primo ministro.
Berna, Svizzera - 20 aprile
Esce un rapporto dell’International Peace Bureau (IPB, l’ONG più vecchia del mondo in ambito pacifista), che fa i conti con gli acquisti di armi – che continuano tranquillamente - rispetto al Covid-19. Il carro armato Leopard 2E costa circa 11 milioni di dollari, cifra con cui si potrebbero comprare 440 respiratori. Ogni suo sparo costa 3.200 dollari con cui si potrebbero pagare 90 tests Covid-19. Il suo mantenimento annuale costa 5.000 dollari, equivalenti al costo di un letto d’ospedale per un anno. Con un Missile Trident II, che costa 31 milioni di euro si potrebbero comprare 17 milioni di mascherine al prezzo di 1,82 dollari l’una. Con il costo di un caccia F-35, circa 89 milioni di dollari, si potrebbe coprire il mantenimento annuale di 3.244 letti di rianimazione. Il suo costo di mantenimento annuale è di circa 44 mila dollari, 2.000 dollari in più del salario lordo di un infermiere secondo i dati dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). Una fregata militare classe Fremm – costruita in base ad un programma congiunto Italia/Francia – ha un costo di 936 milioni di dollari, che equivarrebbero al salario di 10.662 medici di medicina generale, sempre secondo i dati OCSE. Un sottomarino nucleare classe Virginia, di cui dispone l’esercito USA, costa 930.00 milioni di dollari, con cui si potrebbero acquistare 9.180 ambulanze completamente attrezzate.
Washington, USA - 21 aprile
Esce oggi il rapporto Whitehouse e Doggett (dal nome dei due redattori, il primo membro della Commissione Bilancio del Senato e il secondo di quella della Camera), in cui si legge che l’82% dei beneficiari della Legge CARE - approvata il 26 marzo scorso, terzo pacchetto di misure economiche antiCovid del valore di circa 1,85 miliardi di euro e che prevede enormi benefici fiscali – è destinato ai milionari e alle grandi società, circa 43.000 contribuenti che guadagnano più di 1 milione di dollari annuali. Agli statunitensi che guadagnano meno di 100.000 dollari l’anno andrà solo il 3% dei benefici previsti dalla legge. Secondo il documento, il costo per le casse pubbliche viene stimato in circa 90.000 milioni di dollari nel 2020 e di 170.000 milioni nei prossimi 10 anni.
Bogotà, Colombia - 21 aprile
Nonostante le limitazioni per la pandemia, che nel paese registra 3.977 contagiati e 189 morti, migliaia di persone senza più un lavoro stanno protestando nelle strade della capitale per l’impossibilità di mantenere le loro famiglie, ridotte ormai alla fame. Oggi un centinaia di persone ha occupato il municipio di Ciudad Bolìvar, nel sud della città, denunciando la mancanza degli aiuti promessi.
Roma, Italia - 22 aprile
Dopo l’allarme dell’Oxfam lanciato 10 giorni fa, oggi anche il World Food Programme avverte che, per l’emergenza Covid-19, il numero delle persone denutrite nel mondo quest’anno potrebbe raddoppiare, passndo dagli attuali 131 milioni a 265. All’ONU servono quindi 12 miliardi di dollari per agire.
Santiago del Cile, Cile - 27 aprile
Nonostante il divieto di manifestare, centinaia di persone hanno dato vita ad autoconvocate manifestazioni in Piazza della Dignità per protestare contro il governo che, approfittando della crisi del coronavirus, continua a negare una risposta alla profonda crisi sociale scoppiata nell’ottobre scorso. Tra gli arrestati, poi rilasciati, c’è il nipote di Salvador Allende, Pablo Sepùlveda.
Lubiana, Slovenia - 29 aprile
Nonostante le restrizioni dovute al coronavirus, ci sono state manifestazioni di protesta contro il governo in varie città della Slovenia. Le manifestazioni più partecipate sono state davanti al Parlamento a Lubiana e nella città di Maribor. I manifestanti accusano di atteggiamento repressivo e autoritario il primo ministro, il populista Janez Jansa. Con la scusa del Covid-19, affermano, egli nega informazioni al paese, ha permesso che la Polizia entrasse nelle abitazioni private senza ordine della magistratura e ammesso sistemi di tracciamento di presunti infettati, oltre ad attaccare la libertà di stampa e suscitare una campagna di odio verso i giornalisti indipendenti.
MEMORIA
22 aprile 1870 – Simbirsk Nasce oggi Vladimir Ilich Lenin, fondatore del Partito Bolscevico, leader indiscusso della prima insurrezione operaia e contadina trionfante nella storia dell’umanità: la Rivoluzione d’Ottobre, che avrebbe aperto una nuova tappa nella storia dell’umanità. Spirito anti dogmatico, lascia ai comunisti una lezione fondamentale: “Il marxismo non è un dogma, ma una guida per l’azione”.
21 aprile 1937 – Roma Muore in solitudine a soli 46 anni, dopo 11 anni di carcere fascista, Antonio Gramsci, il più grande marxista italiano, segretario del Partito Comunista d’Italia e fondatore de L’Unità. Per ricordarlo lasciamogli la parola: “Siamo noi marxisti? Esistono i marxisti? Stupidità, tu sola sei immortale. La questione sarà probabilmente ripresa in questi giorni, per la ricorrenza del centenario, e farà versare fiumi d’inchiostro e di stoltezze. Il vaniloquio e il bizantinismo sono retaggio immarcescibile degli uomini. Marx non ha scritto una dottrinetta, non è un messia che abbia lasciato una filza di parabole gravide di imperativi categorici, di norme indiscutibili, assolute, fuori delle categorie di tempo e di spazio. Unico imperativo categorico, unica norma: «Proletari di tutto il mondo unitevi»…”.
30 aprile 1975 – Saigon Un carro armato, avanguardia delle truppe dell’esercito del Vietnam del Nord, entra nel cortile del palazzo presidenziale, mentre centinaia e centinaia di militari statunitensi, di diplomatici e collaborazionisti si ammassano nel cortile dell’ambasciata nordamericana aspettando che gli elicotteri li portino via. È la fine della lunga e sanguinosa lotta contro gli invasori yankee, la prima grande sconfitta politica e militare dell’imperialismo USA. Un piccolo popolo sconfigge la potenza egemonica.
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Lettere La rubrica delle lettere è un punto fisso di quasi tutti i giornali. Noi chiediamo che in questa rubrica siano presenti le vostre lettere, anche quelle che spedite ai vari quotidiani e riviste che non vengono pubblicate. Il sommerso a volte è molto indicativo
Lettera di denuncia
Gentilissimi, Vi invio, quale medico, la mia lettera di denuncia sul mancato utilizzo dell’Ozonoterapia contro Covid-19: perché tanti ostacoli scientifici e burocratici? • Perchè questa terapia che fino ad oggi ha portato solo risultati positivi (vedi le esperienze degli ospedali di Udine, Atri, Umberto I, solo per citarne alcuni), come dimostrato dai report scientifici, viene ignorata e/o addirittura osteggiata? • Perché, nonostante i risultati incoraggianti raggiunti negli ospedali grazie al protocollo elaborato da SIOOT, non si utilizza l’ozonoterapia su tutti i pazienti che ne hanno bisogno? • Perchè non viene autorizzato l’utilizzo dell’ozonoterapia in tutti gli ospedali con pazienti Covid-19 dal momento che è una terapia a basso costo, priva di effetti collaterali e che non presenta antimicrobico resistenza?... la storia della medicina ci insegna che con altri virus (Ebola, Sars…) l’ozonoterapia ha portato a risultati positivi • Perchè l’ozonoterapia non viene utilizzata per proteggere in via preventiva medici, infermieri e tutti gli operatori sanitari esposti costantemente al virus? • Cosa blocca questo approccio? • Cosa fa sì che tante vite umane non abbiano un’opportunità in più per essere salvate? Io, in quanto medico, prima di iniziare ad esercitare, ho prestato il giuramento di Ippocrate, impegnandomi a mettere le mie conoscenze a disposizione del progresso della medicina e mettendomi a disposizione dell’Autorità competente, in caso di pubblica calamità, cosa che ho fatto fin da subito, ma probabilmente l’ozono, come viene definito all’estero, è “no profitable”. Da qui un’altra domanda: • Quali gli interessi che governano la scelta delle cure più efficaci per salvare vite umane o per rendere migliore la vita stessa? Le evidenze scientifiche in Italia e all’estero parlano chiaro; il primo caso di guarigione completa dal Covid-19 in Cina si è avuto applicando il protocollo terapeutico con Ossigeno ozono terapia che io stesso ho elaborato e presentato al Comitato Scientifico della Tianjin University nel febbraio scorso e che è stato documentato nella sua evoluzione e pubblicato a livello internazionale È stato pubblicato questa settimana su l’European Review for Medical and Pharmacological Sciences uno studio scientifico, a cui ho collaborato in prima persona, che parte dalla ricerca che avevo pubblicato già il 21 febbraio u.s. e che evidenzia in modo scientifico l’efficacia di questo trattamento anche a livello italiano. Perché questo appello? Sono il dott. Antonio Carlo Galoforo, membro del direttivo SIOOT, Società Scientifica Ossigeno Ozonoterapia, docente Master Università di Pavia, ecc.; sono stato il pioniere su questo tema, avendo portato avanti i rapporti con le istituzioni e gli ospedali cinesi fin da quando Coronavirus era ancora un’epidemia circoscritta a Wuhan (gennaio 2020), quindi prima che diventasse pandemia mondiale. antoniocarlo@galoforo.it Manerbio
Branco di fascisti mal travestiti
L’edizione genovese di venerdì primo maggio del quotidiano la Repubblica riporta una notizia, firmata Nadia Campini, che spazza via definitivamente ogni illusione circa il presunto “moderatismo” della destra radicale cittadina. La Giunta, che ha messo le sue grinfie su una città medaglia d’oro della guerra di Liberazione dal fascismo italiano e da quello tedesco, ha deciso di discutere il martedì successivo l’intitolazione del porticciolo di Nervi. L’intenzione del sindaco Marco Bucci, e dei suoi tirapiedi, è quella di dedicare questo luogo alla memoria di tale Luigi Ferraro, un ufficiale della tristemente nota “X Mas” che fu agli ordini del principe golpista Junio Valerio Borghese. Dal sito della sezione di Lissone (Mb) dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia riprendiamo un passaggio di un articolo che spiega bene chi fossero questi maiali repubblichini agli ordini degli hitleriani. «La Divisione fanteria di Marina X Mas, costituita formalmente a inizio maggio 1944, si dislocò in Piemonte con funzioni di repressione della Resistenza e in Friuli Venezia Giulia per il contenimento dell’offensiva dei partigiani slavi. La formazione contò circa 3500 uomini e dispose di un Servizio ausiliario femminile». Con queste credenziali è evidente che soltanto dei nostalgici del ventennio mussoliniano possono anche solo pensare di omaggiare il personaggio in questione come qualcuno “che si è distinto per particolari meriti” che davvero ci restano oscuri. Per completezza di informazione, segnaliamo i capigruppo promotori dell’indecente iniziativa: Lorella Fontana, della Lega-Salvini Premier; Marta Brusoni, di Vince Genova; Mario Mascia, di Forza Italia; Francesco De Benedictis, unico rappresentante di Direzione Italia. Permetteteci, infine, di segnalare un passaggio della vita politica di quest’ultimo personaggio, il cui comportamento risulta – a chi non ha la memoria eccessivamente corta – particolarmente esecrabile. Egli non è alla prima esperienza in Sala rossa, essendo in precedenza stato nominato nelle liste dell’Italia dei Valori, prima di saltare il fosso e passare con una formazione che, a livello europeo, fa parte dello stesso partito di Fratelli d’Italia. Per concludere, alcuni di questi sarebbero coloro con i quali - secondo quanto scrive l’edizione di mercoledì 29 aprile del quotidiano Il Foglio - il Partito Democratico vorrebbe formare, a livello regionale, una coalizione per arginare i renzisti: sembrerebbe fantascienza, ma a ben guardare non lo è affatto. Lo svolgimento, ad oggi, di mere “riunioni interlocutorie” - così ci sono state definite da un esponente locale di Articolo Uno-Movimento Democratico e Progressista - delle formazioni del centrosinistra tendono ad avvalorare un simile scenario. L’alternativa è che i responsabili della cricca di via Maragliano 3/5 tracheggino con la speranza di obbligare i “naturali” alleati a non presentarsi, così da non dover dividere eventuali eletti con altri. Stefano Ghio - Alessandria/Genova
nuova unità Salvare il clima con la lotta anticapitalista cara “nuova unità” la crisi climatica, di cui non a caso si parla tanto, non è altro che un’arma di distrazione di massa volta a nascondere la lotta di classe, la lotta fra sfruttati e sfruttatori, tra ricchi e poveri, per gli imbroglioni che scrivono sui quotidiani e parlano alla tv e ci raccontano che borghesia e proletariato non esistono più. Se il mondo deve rimanere questo, con centinaia di milioni di disoccupati e di poveri e di emigranti, di senza casa anche negli Usa! Con gente che guadagna milioni di euro all’anno (purtroppo anche in Cina) e lavoratori che gudagnano in Italia e in Occidente poche migliaia di euro, con gente che muore di fame e di freddo e gente che muore perché mangia troppo. Che sparisca questo mondo, questa specie umana - capitalista e borghese - sparisca al più presto! Chi se ne frega se i ghiacciai si sciolgono, se i mari salgono di livello, se Venezia affonda. Gli speculatori non potranno più sfrattare i veneziani e vendere le abitazioni a 15mila euro al mq. La lotta contro la crisi climatica può avere un senso se la si trasforma in lotta di classe. Se si denuncia il modo di produzione capitalistico e la borghesia che vive nel lusso e nello spreco sfruttando il proletariato prima e più ancora che la natura. I giovani non devono scoraggiarsi ma non devono neanche farsi ingannare. Il pianeta potrà salvarsi solo se si lotta contro il capitalismo, contro l’imperialismo e per l’uguaglianza tra gli uomini e le donne, tra i popoli di tutto il mondo. Uguaglianza non solo intesa come la intende quel brigante di Veltroni: quella delle pari opportunità che non potrà mai esserci, perché tra i figli di un operaio o disoccupato e i figli di un ricco borghese non potranno mai esserci, per quante borse di studio si possano istituire, ma uguaglianza intesa nel senso che la forbice tra ricchi e poveri sia non più di uno a dieci. Una bella e rivoluzionaria riforma fiscale che tenda a questo risultato sarebbe necessaria! Pietro Gori Sanremo
Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) anno XXIX n. 3/2020 Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Giovanni Bruno, Emiliano, Michele Michelino, Fabrizio Poggi, Daniela Troilo abbonamento annuo Italia euro 26,00 abbonamento annuo sostenitore euro 104,00 abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20 I versamenti vanno effettuati sul c/c postale nr. 1031575507 intestato a: nuova unità - Firenze
Chiuso in redazione: 20/04/2020