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Proletari di tutti i paesi unitevi!
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Periodico comunista di politica e cultura n. 5/2020 - anno XXIX
fondata nel 1964
Anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio Antonio Gramsci
Contro la propaganda borghese. Sempre
Che fa la borghesia quando teme che la propria sopravvivenza sia messa in pericolo? Rafforza l’anticomunismo L’estate sta finendo, Covid 19 continua a monopolizzare l’informazione, la scuola è al centro dello scontro tra governo e opposizioni che sono in piena campagna per le elezioni locali e regionali. E poi c’è il referendum sul taglio dei parlamentari, l’ennesima trovata del Movimento 5S alla ricerca del recupero del consenso elettorale: ipocrita, populista, di trasformazione reazionaria dello Stato sempre più a favore del potere politico ed economico della borghesia e che si rifà al “Piano di Rinascita Democratica” di Gelli e della sua Loggia P2, eversiva e filoatlantica. Per lo Stato sprecone, che continua ad aumentare la spesa pubblica, il risparmio è veramente irrisorio - rappresenta lo 0,006% del totale della spesa - mentre nessuno, neppure e tantomeno gli sloganisti di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia avanzano proposte reali del tipo tagliamo retribuzioni, benefit, vitalizi che in questa Italia che piange miseria e si inginocchia alla UE hanno raggiunto cifre esagerate rispetto agli altri stessi paesi europei. A Rimini tutti sono corsi alla corte di Comunione e Liberazione come fosse un appuntamento obbligato. Forse lo è, visto che quello che si presenta come “Meeting per l’amicizia fra i popoli” non solo è curato dalla “Fondazione per la Sussidiarietà” in collaborazione con ASviS (Alleanza per lo sviluppo sostenibile), Fondazione Symbola ma... anche da Cassa Depositi e Prestiti che, detenendo l’83% del Ministero dell’economia e delle finanze, fa sì che questa iniziativa sia sostenuta con i soldi degli italiani che siano o no d’accordo con la politica spazzatura che ne emerge da questa passerella di politici, governanti, autocandidati alla presidenza della Repubblica come Draghi. Nonostante la crisi non si segnalano ancora ribellioni del settore operaio, della ristorazione, alberghiero, sanitario, ma si sono aperte nella società sacche di protesta con il rifiuto e la perdita di fiducia nelle autorità. È successo a Genova in occasione dell’inaugurazione del ponte. Nonostante la “cerimonia sobria” dopo l’annunciata carnevalata, al taglio del nastro il 4 agosto parate di Conte, del sindaco e commissario, Marco Bucci, del presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, dell’architetto e ideatore del progetto, Renzo Piano, di vescovi e cardinali per la benedizione e le Frecce Tricolore che hanno disegnato in cielo la bandiera di San Giorgio e la colonna sonora “Creuza de ma” di Fabrizio De Andrè (Dori Ghezzi non ha ritegno), e... mille ombrelloni pronti in caso di pioggia (ma quanto ci costano!) i parenti delle 43 vittime hanno disertato denunciando i mancati controlli che avrebbero evitato la tragedia, chiedendo la revoca della concessione ad Autostrade. I parenti erano invece sotto il ponte il 14 agosto - in una Genova blindata e bloccata da forze dell’ordine per la preoccupazione che qualcuno rovinasse la “festa” - chiedendo di non essere dimenticati dopo l’anniversario: “Non vogliamo che tutto finisca, con questa ubriacatura di felicità. È vero che il ponte è giusto che ci sia, ma le vittime non devono essere dimenticate, il Paese non può entrare in una voragine come quella del crollo, con questa vergogna”. Con loro i familiari della strage di Viareggio, lavoratori, sindacati di Genova, il CLA (Coordinamento lavoratori/trici autoconvocati per l’unità della classe) con un suo volantino, e una delegazione di compagni del CCT (Coordinamento comunista toscano) impegnati alla Festa dei “Partigiani sempre” che era in corso a Viareggio. Perdita di fiducia anche da parte dei terremotati di Amatrice e Accumuli, stanchi delle promesse non mantenute che il 24 agosto - a quattro anni dal sisma - hanno lasciato le seggiole vuote alla funzione condotta dal vescovo di Rieti e alla presenza, tra gli altri, di Conte e Zingaretti, del commissario al sisma Giovanni Legnini e del capo della Protezione Civile Borrelli e
hanno preferito partecipare alla celebrazione che si è svolta nella notte ad Amatrice. Una protesta per la mancata ricostruzione resa ancora più efficace dal meschino e inappropriato messaggio di Mattarella sulla ricostruzione incompiuta. Che fa la borghesia quando teme che la propria sopravvivenza sia messa in pericolo? Rafforza l’anticomunismo. A Rimini Draghi cita la “preghiera per la serenità” del teologo anticomunista Karl Paul Reinhold Niebuhr: “Signore, dammi la serenità per accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare, e la saggezza di capire la differenza”. La disinformazione di massa riesuma Tito definendolo dittatore comunista e dittatore comunista, anzi stalinista, è anche Lukašenko, ma ignora volutamento tutti i dittatori reazionari, fascisti e monarchici che dominano nelle diverse parti del mondo. È “l’obiettività” della stampa che non ammette sistemi diversi dal capitalismo, anche se non si tratta di comunismo. Un esempio è il film in concorso a Venezia, “Cari compagni” del regista Andrej Konchalovsky. Una pellicola – dicono – che si basa su un fatto realmente accaduto e tenuto segreto per molto tempo: il massacro a Novocherkassk del 2 giugno del 1962. Si attaccano i principi sovietici e stalinisti, a 9 anni dalla morte di Stalin e in piena nefasta gestione kruscioviana. Nell’anticomunismo viscerale si rilanciano le foibe, una strumentalizzazione che non ha attecchito a livello di massa nonostante imposizioni nelle scuole e giornate del ricordo. Il presidente Mattarella è un buon complice in queste vicende. Così, col suo omologo sloveno Borut Pahor - il primo presidente di uno dei Paesi nati dallo smembramento della Jugoslavia a commemorare le vittime italiane delle foibe - ha deposto una corona di fiori alla foiba di Basovizza tenendosi per mano: ipocrisia e falsa democrazia. Nell’occasione emerge che nel Kočevski rog hanno scoperto un’altra foiba con i resti di 250 persone. Scende di nuovo in campo l’Unione degli
istriani che dichiara: incrociando dati e testimonianze sull’attività partigiana in quella zona, la responsabilità dell’eccidio è da attribuire all’Ozna, la polizia segreta jugoslava, e in particolare al suo braccio operativo, il Knoj (Korpus narodne obrambe Jugoslavije) cioè il Corpo di difesa popolare della Jugoslavia, costituito da partigiani e incaricato della sicurezza interna dei territori ‘liberati’ durante la seconda guerra mondiale in Jugoslavia. Il senatore di Fratelli d’Italia, Massimo Ruspandini commenta: “A distanza di anni noi continuiamo a ricordare”, mentre Salvini parla di “furia sterminatrice del comunismo titino”. Quello che non dimentichiamo noi, invece, sono gli orrori della guerra scatenata dai nazi-fascisti; che la Jugoslavia e tutta l’area dei Balcani, fu occupata in poco più di dieci giorni dai militari tedeschi con gli italiani che facevano gli “accompagnatori” buoni; che 400mila militari jugoslavi furono fatti prigionieri e molti finirono nei lager di sterminio. Che l’Italia fascista si annesse una parte di Slovenia e Croazia, consistenti aree del Kosovo, Macedonia, Montenegro - in aggiunta all’Albania, già occupata dall’Italia nell’aprile del 1939. Non dimentichiamo l’enorme sacrificio di sangue pagato dagli jugoslavi per cacciare gli invasori nazifascisti italotedeschi e gli ustascia che - come fecero i nazisti a Berlino, mandarono allo sbaraglio anche “i ragazzini” - e tutti coloro che si erano schierati con i promulgatori della “razza eletta”, nello sterminio di chi si batteva per la libertà in un contesto storico che vedeva l’Italia con la Rsi e la Francia con Petain. E rientra nel disegno anticomunista il sostegno dei tutori della “democrazia” occidentale all’ennesima rivoluzione colorata in Bielorussia - l’ultimo paese ai confini con la Russia finora libero da basi USA e NATO -
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Cesare Romiti: morte di uno sfruttatore
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Nocività e lotta di classe. Costruiamo una piattaforma di lotta contro la nocività in fabbrica e nel territorio
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Uso capitalistico dell’innovazione e del 5G. Impatti su lavoro, pagine 4/5 ambiente, salute Neo-monarchici, legittimisti e “valori spirituali russi”
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Bielorussia, un’altra “rivoluzione pagina 7 colorata”
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Cesare Romiti: morte di uno sfruttatore Michele Michelino Padroni, governo, presidente della repubblica, sindacalisti di Cgil-Cisl-Uil e politici di tutti i partiti - a cominciare dagli ex PCI - hanno reso omaggio a Romiti, il manager, ex amministratore delegato della FIAT di Giovanni Agnelli che licenziò migliaia di lavoratori. Sotto la bandiera Fiat sul sagrato della parrocchia di San Michele Arcangelo, a Cetona - cittadina del senese dove si trova il suo podere, La Taragna, dove aveva scelto di essere sepolto - e dove è stato ricordato dall’amico don Piero, conosciuto nel 1979, in Argentina, negli anni bui della dittatura. Noi non sprechiamo né lacrime né cordoglio per lo sfruttatore capitalista. Ognuno piange i suoi morti e Romiti non è un morto nostro, ne abbiamo già troppi. Ricordiamo che Romiti fu l’uomo del padrone, responsabile del licenziamento di 61 operai FIAT nel 1979, di 14.469 licenziamenti annunciati del 1980 e organizzatore della marcia antioperaia di capi, funzionari, bottegai e dei crumiri che rivendicavano il “loro diritto al lavoro” mentre per 35 giorni i lavoratori lottavano contro i licenziamenti. Romiti e Agnelli, oltre a migliaia di licenziamenti, furono responsabili anche della morte di oltre 200 lavoratori FIAT cassintegrati che si suicidarono.
Il licenziamento di 61 operai alla Fiat L’acuirsi della crisi genera forti contrasti sociali, il profitto va salvaguardato a qualunque costo. Si scatena la campagna contro l’assenteista, il violento, il terrorista in fabbrica. 61 lavoratori vengono licenziati alla Fiat di Torino, altri all’Alfa di Arese e alla Magneti Marelli a Milano. Alcuni di loro, arrestati con l’accusa di appartenenza alle Brigate Rosse, si dichiarano prigionieri politici. Questo fatto viene usato come un alibi dallo Stato per colpire tutti i lavoratori che si battono coerentemente contro lo sfruttamento. Ciò crea uno sbandamento in alcuni gruppi operai, ma anche la necessità per i proletari coscienti di porre all’ordine del giorno il problema dell’organizzazione di classe. Alcuni mesi dopo, la sentenza dei giudici di Torino reciterà chiaramente il motivo della loro espulsione dalla FIAT: ”... gli operai licenziati contribuivano ad aumentare il clima di conflittualità in fabbrica con gravi conseguenze sui livelli di produttività in un settore decisivo dell’economia”.
La risposta ai 61 licenziamenti La FIAT, dopo aver avvertito in anticipo PCI e sindacati della sua intenzione di licenziare circa 80 lavoratori concordò, in un incontro segreto, la lista dei licenziati ridimensionandola in base alle osservazioni dei sindacati e del PCI. Così la lista, depurata e concordata, stabiliva in 61 i dipendenti da licenziare con il pretesto di connivenza con il terrorismo. Giuliano Ferrara (a quel tempo dirigente del PCI di Torino) ha confermato il sospetto di un’intesa che già circolava all’epoca in un’intervista rilasciata durante la trasmissione televisiva “Porta a porta”, e riportata dal Corriere della Sera del 14 ottobre 2000. Nella stessa trasmissione Cesare Romiti, l’allora amministratore delegato della Fiat, confermò che: “Fiat avvertì in anticipo i vertici sindacali dell’intenzione di licenziare”. Ma veniamo ai fatti: il 9 ottobre 1979 a 61 lavoratori della Fiat Mirafiori, Rivalta e della Lancia di Chivasso vengono spedite lettere di licenziamento. Appena si sparge la notizia in alcuni reparti di Rivalta la risposta degli operai è immediata. Gli scioperi scoppiano, alcuni spontanei, altri organizzati dagli stessi operai licenziati, tra i lavoratori c’è molta rabbia ma anche molto disorientamento. La FLM (Federazione Lavoratori Metalmeccanici, il sindacato unitario Cgil-Cisl-Uil) dichiara tre ore di sciopero per mercoledì 1° novem-
bre, ma la mattina, prima dello sciopero, diffonde un volantino contro il terrorismo. Durante le assemblee il dibattito viene incentrato dai sindacati sulla violenza in fabbrica, i vertici sindacali sostengono che la Fiat avrebbe “prove” contro i licenziati. Nonostante la campagna forcaiola, l’assemblea del 1° turno di Rivalta con oltre 2000 operai decide all’unanimità di continuare lo sciopero oltre le tre ore sindacali e con la presenza dei licenziati in fabbrica la lotta continua con cortei e “spazzolate” interne. Immediatamente la FLM ed i suoi delegati sabotano la lotta, cercando di isolare i 61 lavoratori licenziati. Solo in pochi altri reparti la lotta prosegue sino a fine turno. Alla Lancia di Chivasso succede la stessa cosa, nella giornata di mercoledì lo sciopero prosegue sino a fine turno, ma i cortei interni e gli scioperi organizzati insieme ai licenziati continueranno anche nei giorni seguenti. Questi episodi di risposta operaia però, dopo la fiammata iniziale, non ebbero seguito. Non si riuscì a dare continuità ed organizzazione alla lotta. Il ruolo di “pompiere” del sindacato fu reso evidente dal fatto che, oltre le tre ore di sciopero di mercoledì 10, venne indetto un solo sciopero di due ore al Palasport martedì 23 ottobre. A quel punto scende in campo anche Lama, segretario generale Cgil, del quale Romiti diceva: “Lama fu sempre leale ed è stato un uomo tra i più coraggiosi che abbia mai conosciuto, che dichiara che il sindacato aspetterà di conoscere le prove di Agnelli, perché “il sindacato difenderà solo gli operai accusati ingiustamente”. Questa posizione viene fatta propria dalla FLM e dal PCI e il licenziamento dei 61 apre la strada ai licenziamenti di massa.
I 35 giorni di lotta alla Fiat Un anno dopo, il 10 settembre 1980, a Roma avviene la rottura delle trattative tra FLM e FIAT sulla cassa integrazione. L’11 settembre 1980 la Fiat annuncia 14.469 licenziamenti. Subito gli operai del 1° turno di Mirafiori proclamano 8 ore di sciopero. La lotta si estende e si trasforma nei giorni successivi in lotta ad oltranza. Lo scontro si acutizza, si fanno picchetti permanenti davanti a tutte le portinerie e il PCI soffia sulla protesta operaia, usando questa lotta per i suoi scopi elettorali. Intanto, il 27 settembre, il governo Cossiga ècostretto a dimettersi e la Fiat sospende i licenziamenti per “... spirito di responsabilità”.
A questo punto i sindacati ritirano lo sciopero generale proclamato per lunedì 29 settembre e la Fiat annuncia per il 2 ottobre la cassa integrazione per 23.000 lavoratori. Il 30 settembre l’assemblea dei delegati decide di proseguire la lotta e si continua con il blocco totale dei cancelli. Ma come la storia del movimento operaio insegna, una forma di lotta ad oltranza, confinata in fabbrica, alla lunga è perdente se rimane solo nell’ambito sindacale. Infatti con il passare dei giorni le difficoltà degli scioperanti aumentavano mentre diminuivano gli operai attivi ai picchetti. Per far fronte alla stanchezza e alla rassegnazione il sindacato e il PCI chiamarono, di rinforzo alla lotta, delegati da tutte le città. Per 35 giorni, pullman di delegati partivano tutte le mattine dalle città del nord, in particolare dalla zona di Sesto San Giovanni, Milano e Genova con destinazione Torino. Le ronde e i picchetti degli scioperanti, guardati a vista dalla polizia, si scontravano spesso con gruppi di crumiri organizzati da capi e leccapiedi della direzione che cercavano di sfondare i picchetti rivendicando il “loro diritto al lavoro”. Intanto la fermata della produzione alla Fiat sferra un duro colpo ad Agnelli, colpendolo nel suo più intimo sentimento: il profitto (o il portafoglio, come dicevano scherzosamente i lavoratori ai picchetti dei cancelli Fiat). La situazione stava diventando non più tollerabile, ormai anche il PCI e il sindacato stavano cercando un pretesto per chiudere lo sciopero. La direzione Fiat decise di scendere direttamente in campo organizzando capi,
CHI ERA CESARE ROMITI Fu l’uomo che nel 1979/1980 difese gli interessi della Fiat contro gli operai della principale fabbrica italiana e contro tutto il movimento operaio del nostro paese. Nell 1947, a 24 anni, viene assunto al Gruppo Bombrini Parodi Delfino di Colleferro in provincia di Roma, una grande fabbrica di produzioni militari sotto il controllo della Difesa e dei servizi segreti italiani e statunitensi. In breve tempo diventa il direttore finanziario. Insieme con lui lavora un altro personaggio, Mario Schimberni, che sarà il futuro presidente della Montedison. Dopo la fusione con la Snia Viscosa, nel 1968, Romiti diventa direttore generale di Mediobanca e fiduciario di Enrico Cuccia che l’aveva scelto e imposto agli Agnelli. Per alcuni anni è anche amministratore delegato dell’Alitalia, e nel 1976 diventa l’amministratore delegato del gruppo Fiat. Romiti a capo del gruppo, prima con i 61 licenziamenti politici nel 1979 e poi con i licenziamenti di massa nel 1980, sarà il manager che porterà l’attacco alla classe operaia. Sostenuto dall’intero sistema padronale, organizza la Marcia antioperaia dei “quarantamila” (impiegati e funzionari della Fiat, bottegai, commercianti, crumiri, fascisti ecc.) contro gli operai in sciopero. Subito dopo i sindacati Cgil Cisl Uil accettano il piano Fiat sulla cassa integrazione a zero ore che diventeranno poi licenziamenti veri e propri. Dopo la sconfitta operaia Romiti diventa il manager più potente d’Italia fino a metà degli anni ’90. Nel 1998, anno della sua uscita dalla Fiat, percepì una buonuscita di circa 105 miliardi di lire per i suoi 25 anni di attività, più 99 miliardi di lire per il patto di non concorrenza. Attualizzati al 2020 sono circa 150 milioni di euro e passa alla Gemina, la finanziaria che controllava il gruppo editoriale Rcs (Corriere della Sera). Uomo del capitale fino alla fine, nel 2009 fu un grande sostenitore di Giorgio Napolitano sostenendo l’appello all’unità per far eleggere Napolitano a Presidente della Repubblica (in contrasto con Berlusconi). Recentemente ricopriva la presidenza dell’associazione Italia Cina. In un intervento al Senato del 2016 ha ricordato Luciano Lama dicendo: “Lama fu sempre leale ed è stato un uomo tra i più coraggiosi che abbia mai conosciuto”.
impiegati, bottegai. Tutta la Confindustria, padroni e padroncini dell’indotto Fiat, e molti lavoratori diventati crumiri o resi crumiri dalla paura della perdita del posto di lavoro, si mobilitarono. Il risultato del lavoro svolto dalla Fiat fu una imponente manifestazione per le vie di Torino. La mattina del 14 ottobre 1980 il coordinamento dei capi e dei quadri intermedi convocava una manifestazione al teatro Nuovo contro il blocco dei cancelli. Migliaia di persone intervengono, 15.000 secondo i telegiornali, 30.000 titolerà La Stampa, mentre Repubblica spara la cifra di 40.000. La manifestazione, infine, passerà alla storia come la “marcia dei 40mila”. Questa manifestazione fornì l’alibi a sindacato e PCI per capitolare definitivamente. Il 15 ottobre, mentre Fiat e sindacati firmano a Roma l’accordo che prevede la cassa integrazione per 23.000 lavoratori e la conseguente riapertura della fabbrica, al Cinema Smeraldo di Torino centinaia di delegati e lavoratori Fiat premono per entrare: sul palco Benvenuto (UIL), Lama e Galli (CGIL) - che hanno già preso la decisione di soffocare la lotta - cercano in tutti i modi di far accettare ai delegati operai l’accordo che prevede la loro resa. Nonostante si sforzino di indorare la pillola, sostenendo che “… la Fiat provvederà a richiamare dalla cassa integrazione guadagni, per il loro reinserimento, quei lavoratori che al 30 giugno 1983 si troveranno ancora in integrazione salariale”, dopo 8 ore di discussione il Consiglio dei delegati Fiat ed i lavoratori presenti approvano a maggioranza una mozione in cui respingono l’accordo. Vista l’aria che tira i massimi dirigenti sindacali presenti, in barba a tutte le chiacchiere sulla democrazia, abbandonano la sala prima del voto. Il giorno dopo, il 16 ottobre 1980, l’accordo messo in votazione dalle assemblee di fabbrica fu respinto - contro ogni previsione dalla maggioranza degli operai. Quel giorno, il 16 ottobre, fu una data storica sotto molti aspetti. Per la prima volta i massimi dirigenti sindacali – Lama, Carniti, Benvenuto e altri sindacalisti - vengono malmenati dagli operai e costretti a scappare scortati dalla polizia. I giornali riporteranno la notizia che coloro che hanno respinto gli accordi tra Fiat e sindacato non erano operai, ma provocatori esterni infiltrati nell’assemblea di fabbrica. Questo episodio ebbe una grande importanza nella presa di coscienza di una parte della classe operaia italiana, come dimostrano i documenti che riportiamo. Dopo 35 giorni di sciopero ad oltranza, la capitolazione del sindacato segnerà la sconfitta della classe operaia - la fine della stagione della democrazia dei consigli e della solidarietà - e un periodo di riflusso di tutto il movimento: prima con i licenziamenti per assenteismo che colpiscono ammalati, invalidi, donne in maternità, ricoverati in ospedale, poi nel settembre del 1980 con l’avvio della procedura del licenziamento di 14.469 dipendenti. continua a pagina 3
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Nocività e lotta di classe Costruiamo una piattaforma di lotta contro la nocività in fabbrica e nel territorio
Luciano Orio
L’intensificazione dell’attività della massa operaia è possibile solo se non ci limitiamo all’agitazione politica sul terreno economico e una delle condizioni essenziali per il necessario ampliamento dell’agitazione politica è l’organizzazione di denunce politiche che investano tutti gli aspetti della società (V.I.Lenin) Un breve articolo in cronaca di questi giorni attira la mia attenzione: “Tante tragedie annunciate, cosa si aspetta a intervenire?” chiede la CGIL che, dopo la serie di disgrazie sul lavoro nel Veneto, annuncia di essere pronta alla mobilitazione. Per dimostrare la serietà delle proprie intenzioni si reca allora dal prefetto al quale manifesta la propria forte preoccupazione e chiede di attivare il tavolo provinciale per coordinare interventi mirati… La mia prima reazione, toh, se ne sono accorti anche loro, è ingenua e lascia subito spazio all’idea che, necessariamente, anche il sindacato istituzionale deve occuparsi del problema, non tanto per invitare alla mobilitazione, quanto intervenire per calmierarla. Tuttavia la presa di posizione dà la misura del problema e giustifica la mia preoccupazione per i possibili futuri scenari di lotta autentica e relativo possibile pompieraggio, dato che le condizioni per una lotta estesa e ramificata esistono evidenti: il numero di infortuni e di decessi per malattie professionali è in costante ascesa e di fronte a questi numeri il padrone è nudo. Nessuna fatalità; è il profitto la madre di tutte le disgrazie sul lavoro, gli operai lo sanno bene, ma nella maggior parte dei casi ogni tragedia viene vissuta singolarmente. Tocca alla famiglia farsene carico, la rabbia dei compagni di lavoro se c’è non appare o si accontenta dell’ora dello sciopero di routine. Rassegnazione e fatalità. È questo isolamento che dobbiamo rompere, prima di tutto. Che è un isolamento di classe. Le morti di lavoro colpiscono singoli operai, lavoratori che rimangono isolati, presi uno per uno e raccontati nella propria specificità, mentre della loro appartenenza di classe non si ha voce. Mai che si mettano in discussione le condizioni di lavoro, di sfruttamento, di oppressione. Per troppi anni padroni e servi vari hanno raccontato in tutte le salse che la classe operaia non esisteva più. Non gli bastava vincere e prendersi tutto: la paga, i diritti, il tempo e a volte anche la vita. Si son portati via anche il nome e il diritto a esistere. Ora siamo tutti ceto medio, tutti assieme, sfruttati e sfruttatori, siamo tutti nella stessa barca, dicono loro. Anche qui nel vicentino abbiamo attraversato questa realtà nel corso degli “ultimi” anni, solidarizzando con quel movimento di lotta che si sviluppava intorno alle grandi fabbriche, la maggior parte ormai chiuse, il cui nome riassumeva la vertenza in atto (Breda, Montedison, Pirelli, Eternit… e poi Thyssen Krupp, la Tricom, qui per noi), lotte che mettevano al centro la condizione dei lavorato-
segue da pagina 2 Da un giorno all’altro migliaia di lavoratori diventati “esuberi” furono espulsi dai luoghi di lavoro e condannati all’emarginazione sociale. Molti si sentirono traditi da Cgil-Cisl-Uil. Dopo anni di lavoro e sacrifici in cui la vita dei lavoratori e dei loro familiari veniva decisa dai tempi e dai ritmi della fabbrica, ora la nuova situazione cambiava radicalmente il modo di vivere di migliaia di persone. Con la perdita del lavoro molti perdevano anche la possibilità di pagare il mutuo della casa, alcuni subirono la doppia umiliazione di perdere la casa (ripresa dalle banche a garanzia del mutuo concesso) e il lavoro, non potendo più neanche mantenere i figli a scuola. I problemi economici, sommati a quelli familiari e al fatto di essere fatti passare come “lazzaroni” da un’intensa campagna della stampa padronale, aggravarono le condizioni di vita di molti cassintegrati. I lavoratori, costretti a vivere la cassa integrazione e il licenziamento come problemi individuali o personali, pagarono molto pesantemente: secondo dati e documenti raccolti da studiosi borghesi, negli anni ‘80 a Torino si sono suicidati oltre 200 lavoratori Fiat cassintegrati. Anche di questi delitti dovrà rendere conto il sistema capitalista. Per approfondimentihttps://www.resistenze.org/sito/ ma/di/sc/madsmisg06.htm
ri, della loro salute compromessa, abbinata allo stato del territorio anch’esso sfruttato, deturpato e abbandonato. La pratica di controinformazione e denuncia politica, di mobilitazione di quel movimento di lotta ha messo al centro la lotta intransigente al padrone assassino, ed è stata condotta, in condizioni diverse, con concreto spirito di classe. La partecipazione solidale dei famigliari è stata la verifica di questo agire politico. Dal rapporto con loro sappiamo se e quanto è corretto. Chi partecipa non è disposto ad essere solo uno spettatore passivo. Queste lotte, laddove espresse, come nei presidi davanti ai tribunali, nelle manifestazioni, nei momenti assembleari, pubblici hanno rotto con le pratiche istituzionali e i riti della giustizia borghese, ponendo il problema del sistema economico e politico capitalista basato sul profitto. Certo, i risultati, spesso amari, se per risultati intendiamo le sentenze dei tribunali, possono aver lasciato il segno in tanti proletari; eppure quanta caparbietà e dignità operaia anche in quei luoghi. Quanta determinazione a esigere giustizia come un incontenibile bisogno umano. Eppure è proprio grazie a queste lotte, alla loro visibilità, al dolore di queste persone che abbiamo capito la reale portata sociale della piaga amianto in Italia. È stata questa la via giusta e utile per noi: la socializzazione di tante singole storie ha dato un senso alla tragedia, per evitare che altri lavoratori dovessero vivere esperienze così devastanti. Per far conoscere, divulgare e assimilare la dimensione di un problema che il padrone e i suoi servi non potranno mai raccontare: la storia degli sfruttati non può coincidere con quella degli sfruttatori. Erano e sono esperienze forti che hanno costruito una sensibilità sul tema, quella che oggi è indispensabile riprendere. La
mancanza di una voce forte in grado di sostanziare il problema (battere il chiodo) lo fa passare in secondo piano. Servirebbe superare la logica emergenziale (è inconcepibile! è inammissibile!), che fa precipitare tutto nel più assoluto silenzio, e la ristrettezza con la quale viene trattato per tentare di dare una risposta collettiva alle morti di lavoro. Da dove ripartire? Una riposta che non può che nascere e svilupparsi a partire da queste esperienze e dalle fabbriche, dai luoghi di lavoro. Di solito alla chiusura dello stabilimento inquinante fa seguito la fine di ogni rivendicazione, dato che si perde ogni interesse connesso all’attività lavorativa e inevitabilmente si perde quell’attività di coordinamento e mobilitazione che accompagna le rivendicazioni della classe operaia. È quindi grazie a queste lotte se l’attenzione su questi temi è rimasta elevata. La difesa della salute dei lavoratori, poi, è anche difesa dell’ambiente. Lo sfruttamento di entrambi ha un unico carattere, quello capitalista. Con la chiusura degli stabilimenti si apre una nuova fase della lotta, che non rimane chiusa tra le mura della fabbrica, ma coinvolge la società con l’obiettivo di costruire una tutela realmente efficace pe i futuri ammalati (dentro e fuori gli stabilimenti e non soltanto gli ex operai). Si tratta di costruire una rete di comunicazione con i lavoratori attraverso i sindacati conflittuali e gli organismi di lotta. Sul piano sindacale la collaborazione dovrebbe essere estesa e ramificata a tutte le componenti sindacali conflittuali (sui morti di lavoro c’è poco da mediare), disposte a collaborare per una conoscenza complessiva dei problemi di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. Promuovere un lavoro di indagine e di informazione attraverso campagne volte a sensibilizzare sul tema lavoratori e cittadini. Una collaborazione tra soggetti interni alla classe operaia e in un territorio circoscritto: un terreno favorevole per conoscere e monitorare le situazioni, entrare in contatto con i famigliari dei lavoratori caduti, verificarne la disponibilità alla lotta. Una ricerca dei luoghi adatti per identificare e snidare i responsabili e rendere pubbliche ogni violazione e attività illecita. Ci sono tanti tipi di responsabilità, oltre quella penale: politica, amministrativa, professionale, morale… a evitare anche che la legge e il diritto arrivino a “anestetizzare” la lotta. La lotta paga, si vince. Però si può anche perdere. È normale. Però il successo di una lotta determina lo sviluppo dell’organizzazione. Il vero risultato della lotta non è la conquista immediata ma l’organizzazione. Da questo punto di vista abbiamo molto da imparare. Nei mesi scorsi in Italia, dopo alcuni anni di quasi insostenibile ritirata sindacale, i lavoratori e le lavoratrici hanno reagito all’impreparazione dello Stato e delle imprese nell’affrontare l’emergenza dell’epidemia con un’ondata di scioperi spontanei. Quale prospettiva di consolidamento sociale e politico possiamo offrire a riguardo?
dalla prima dove il 9 agosto oltre l’80% degli elettori ha confermato Alekslandr Lukašenko per la sesta volta alla presidenza. Per ora, una nuova “majdan”, come quella che produsse il golpe nazista del 2014 a Kiev, non è andata in porto. A differenza dell’Ucraina, a Minsk non si è puntato su un golpe violento apertamente nazista, bensì sulla tattica più blanda, dello “sciopero generale” e dell’uso di tre mogli - del tutto sconosciute alla politica - dei tre oppositori. La Bielorussia è, in prospettiva, una piazzaforte troppo preziosa per le mosse USA e NATO nell’area Polonia-Baltico: piuttosto che rischiare di perderla del tutto a favore della Russia, meglio avere ora un po’ di pazienza. In ogni caso, rimane l’obiettivo del suo inserimento in UE e NATO, per stravolgere l’intero equilibrio missilistico nucleare ai confini russi. Armate di tutto punto Romania, Polonia, Paesi baltici, la Bielorussia rimane l’unico spazio da cui Mosca può contrapporre a USA e NATO il proprio potenziale missilistico; e rimane anche il corridoio preferenziale da cui passare per arrivare a Mosca. Su questo numero pubblichiamo un primo commento, ma ci sarà occasione di tornare sulla questione, sulle ispirazioni “democratiche”, europeiste, privatizzatrici dell’opposizione; sui nessi di classe della situazione bielorussa, su quale classe sia espressa nella figura dell’ultimo “dittatore d’Europa”; su quali forze stiano dietro alle azioni di determinate “masse di opposizione”; sulla comunanza di “idee” tra liberali, sinistre arcobaleno e anarco-trotskisti, tutti a inneggiare all’opposizione contro quello che viene fatto passare, a uso e consumo della propaganda borghese, per ultimo “feroce stalinista”. Ci sarà modo di tornare sulla debolezza delle organizzazioni comuniste o di sinistra, anche perseguite da Lukašenko, nel suo continuo mercanteggiare tra est e ovest; sullo stato sociale andato via via scomparendo in quella che era la più prospera tra le ex Repubbliche sovietiche; su tutto ciò che ha provocato l’indignazione di tanta popolazione bielorussa, anche operaia. Un’indignazione su cui hanno lavorato a piene mani sia gli agenti esterni del capitale internazionale, che la “quinta colonna” della borghesia compradora interna, bramosa di accaparrarsi le proprie quote, dalla privatizzazione delle proprietà e dei grossi complessi industriali di Stato.
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Uso capitalistico dell’innovazione e del 5G Impatti su lavoro, ambiente, salute Il 26 giugno il Comitato comunista “Fosco Dinucci” di Firenze e il Cantiere sociale Cienfuegos di Campi Bisenzio hanno organizzato una serata sul tema 5G. Tra i relatori Simone Vivoli di FLMU-Cub, settore telecomunicazioni e David Tueta membro del Coordinamento comunista Lombardia (CCL), esperto in telecomunicazioni. Abbiamo scelto di portare a conoscenza dei nostri lettori l’esaustiva relazione di David. Quando si parla di 5G, ossia di reti di comunicazioni mobili di quinta generazione, bisogna prima di tutto farsi un paio di domande: perché il 5G? A chi serve in realtà questa nuova tecnologia? Il 5G serve, in sintesi a mettere in comunicazione tra di loro innumerevoli oggetti per consentire l’automazione a distanza di determinati processi, quello che viene chiamato Internet delle cose (in inglese IoT, Internet of Things). Alcuni degli esempi più ricorrenti che ci vengono narrati dai mass media e dalle pubblicità degli operatori telefonici, sono: lo smartfrigorifero che si accorgerà che il latte è finito e lo ordinerà in automatico al supermercato; la smart-auto che si guida da sola; lo smartprimario che partecipa a operazioni chirurgiche a distanza, ecc. In realtà, alcune di queste applicazioni sono francamente inutili (Internet delle cose domestico), mentre altre richiedono prestazioni che nemmeno il 5G può offrire (auto a guida autonoma, chirurgia a distanza, ecc.) tanto che si stanno già progettando le reti 6G. La vera ragione d’essere del 5G ci viene spiegata da Qualcomm, una impresa statunitense tra i maggiori produttori di microprocessori per le comunicazioni mobili, che ha commissionato uno studio alla IHS Markit, società inglese di consulenza strategica, dal quale risulta che il giro d’affari alimentato dal 5G a livello mondiale, per i prossimi 15 anni, viene stimato in quasi 12 mila miliardi di euro nei settori della produzione industriale, dei trasporti, dell’edilizia, dell’agricoltura, dei servizi pubblici e negli altri settori economici (The 5G Economy, November 2019, pag. 4). Questa è la vera posta in gioco. In particolare le reti 5G sono indispensabili per implementare nel modo più efficiente possibile il nuovo modello produttivo chiamato Industria 4.0, a cui accenneremo più avanti. Il mutamento tecnologico e l’innovazione, infatti, sono caratteristiche fondanti dello sviluppo capitalistico, senza il quale questo sistema non sarebbe in grado di evolvere e riprodursi. In generale, l’introduzione di tecnologia diventa necessaria per aumentare la competitività, quindi per ottenere una diminuzione dei costi di produzione che si raggiunge attraverso l’aumento della produttività, viene cioè prodotta una maggior quantità di merce in minor tempo, con un numero inferiore di lavoratori, che vanno a ingrossare la massa di disoccupati, e con minori livelli di sicurezza sul posto di lavoro; il risultato è un costo più basso della forza-lavoro e della merce prodotta che consente di conquistare più facilmente nuove quote di mercato rispetto ai concorrenti. Questa tendenza all’innovazione diventa indispensabile soprattutto in tempi di stagnazione o di crisi economica, come quelli che stiamo vivendo adesso. A conferma di questo, è molto illuminante il Rapporto per il Presidente del Consiglio dei Ministri - Iniziative per il rilancio ‘Italia 2020-
2022’ pubblicato all’inizio di giugno 2020 e preparato dal Comitato di esperti in materia economica e sociale, chiamato anche Piano Colao (Colao è attualmente membro del consiglio di amministrazione di Verizon, impresa di telecomunicazioni statunitense al primo posto per il 5G, ed ex amministratore delegato di Vodafone). Il principale “asse di rafforzamento” del Paese di cui parla il Piano è quello relativo a “Digitalizzazione e innovazione”: “Il Paese, intraprendendo un’azione di radicale digitalizzazione e innovazione, potrà effettuare un “salto in avanti” in termini di competitività del sistema economico” (cap. 2.3), e ancora più avanti “sarà fondamentale anche aumentare e accelerare l’innovazione tecnologica delle imprese italiane, ripristinando ed estendendo le misure previste dal piano Industria 4.0 (cap. 4.1); infine, una delle proposte più qualificanti da attuare subito per favorire l’innovazione, è quella di “accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni” e in particolare lo sviluppo delle reti 5G. (cap. 4.2, punto 27)
In che cosa consiste il modello Industria 4.0 e cosa c’entra con il 5G? Uno degli obiettivi del modello Industria 4.0 è quello di ridurre drasticamente i tempi di produzione ma anche il tempo di circolazione della merce tra la produzione e la commercializzazione (che è tempo che non produce profitto). Questo modello prevede che ogni singolo componente elementare, che costituirà poi il prodotto finito, abbia incorporato in sé un microchip che comunichi automaticamente con gli altri microchip presenti sui robot e sulle macchine che controllano il processo di produzione, con i computer che gestiscono le scorte dell’officina, con i computer dei fornitori esterni della componentistica, con i computer delle aziende che commercializzano i prodotti, ecc. La realizzazione di questo modello richiede quindi un nuovo salto di qualità nell’introduzione massiccia di tecnologia: oltre all’evoluzione dell’informatica e della robotica si rende necessario disporre di una infrastruttura di comunicazione estremamente veloce, in grado di supportare contemporaneamente milioni di trasmissioni, ciascuna con una grande quantità di dati. L’infrastruttura che risponde a queste caratteristiche, come vedremo più avanti, è rappresentata proprio dalla rete di comunicazione mobile 5G. Per approfondire le implicazioni sulla salute delle reti 5G in specifico, ma più in generale gli effetti sull’essere umano delle radiazioni elettromagnetiche utilizzate anche nelle telecomunicazioni, è necessario impadronirsi di qualche nozione tecnica.
Il campo elettromagnetico Le telecomunicazioni, cioè le attività di trasmissione e ricezione di segnali che contengono informazioni, come la voce o i dati, possono avvenire mediante conduttori fisici, attraverso cavi elettrici o ottici, oppure mediante onde elettromagnetiche, attraverso l’atmosfera. I campi elettromagnetici sono fenomeni che esistono in natura e si manifestano nell’ambiente in cui viviamo come ad esempio l’attività solare, le scariche atmosferiche ecc.; tuttavia l’evoluzione tecnologica ha determinato la possibilità di produrre artificialmente onde elettromagnetiche, come nel caso dei trasmettitori radio e televisivi, della telefonia mobile, dei forni a microonde, ecc. Ci sono, infine, campi elettromagnetici prodotti “involontariamente”, come quelli generati da elettrodotti e linee ad alta tensione, da motori elettrici, da elettrodomestici, da computer, ecc. Le onde elettromagnetiche sono genera-
te dalle variazioni dei campi elettrici e magnetici nello spazio e trasportano energia attraverso la loro propagazione. Le onde elettromagnetiche possono essere descritte attraverso tre grandezze principali: l’ampiezza, che indica quanto un’onda è intensa (facendo il paragone con un’onda marina, rappresenta l’altezza dell’onda) con la sua componente elettrica che è particolarmente importante perché viene utilizzata per misurare l’entità dell’esposizione al campo elettromagnetico a radiofrequenze, è misurata in Volt per metro (V/m); la frequenza che indica il numero di onde che si susseguono in un secondo ed è misurata in hertz (Hz); la lunghezza che indica la distanza tra due onde successive, è misurata in metri (m); nel caso di propagazione nell’atmosfera, dove la velocità è fissa ed è pari a quella della luce, la lunghezza è inversamente proporzionale alla frequenza, ossia più alta è la frequenza, più corta è la lunghezza d’onda. L’intero spettro delle onde elettromagnetiche è stato convenzionalmente suddiviso, in base alla frequenza, in gamme che presentano caratteristiche comuni rispetto alla funzione o l’utilizzo: Le basse frequenze, fino a circa 30 kHz (linee elettriche di distribuzione, comunicazioni sottomarine, elettrodomestici, ecc.) Le radiofrequenze, fino a circa 300 MHz (comunicazioni marittime e aeree, trasmissioni radio e TV, radioamatori, ecc.) Le microonde, fino a circa 300 GHz (trasmissioni TV, trasmissioni satellitari, telefonia cellulare, WiFi, forni a microonde, ponti radio, radar, ecc.) A frequenze superiori a 300 GHz troviamo le
gamme dei raggi infrarossi, della luce visibile, dei raggi ultravioletti, dei raggi X ed infine dei raggi gamma. Lo spettro elettromagnetico viene inoltre suddiviso, da un altro punto di vista, in due grandi categorie in base agli effetti prodotti dalle radiazioni, ossia il fenomeno attraverso il quale le onde elettromagnetiche trasportano energia, sull’essere umano: Radiazioni non ionizzanti, che trasportano energia non sufficiente a rompere i legami atomici delle molecole che attraversano Radiazioni ionizzanti, che trasportano energia in quantità tale da poter rompere i legami atomici delle molecole che attraversano, modificandone la struttura. In realtà sappiamo che anche le onde elettromagnetiche a bassa frequenza, classificate come radiazioni non ionizzanti, emesse ad esempio da cavi e apparecchi elettrici possono determinare la rottura dei legami delle catene molecolari e l’insorgenza di tumori; è stata ipotizzata infatti la correlazione tra i campi a bassa frequenza ed alcuni casi di leucemia
L’innovazione tecnologica come necessità del sistema capitalista di contrastare la crisi e la diminuzione dei profitti infantile insorti in bambini residenti in prossimità di elettrodotti ad alta tensione.
Le onde elettromagnetiche nelle telecomunicazioni cellulari mobili Le gamme di onde elettromagnetiche utilizzate per le telecomunicazioni sono le radiofrequenze e le microonde; notiamo alcune caratteristiche: maggiore è la frequenza utilizzata e maggiore è la quantità di dati che è possibile trasmettere; maggiore è la frequenza utilizzata e minore è la distanza fino alla quale possono propagarsi; maggiore è la frequenza utilizzata e maggiormente la propagazione è attenuata da fenomeni atmosferici come la pioggia e bloccata da ostacoli fissi come edifici, alberi, ecc. La caratteristica principale di una rete di telecomunicazioni cellulare mobile è costituita dalla possibilità di mantenere la connessione o il collegamento in mobilità tra più utenti dotati di apparati ricetrasmittenti (ad esempio il telefonino). Il territorio coperto dalla rete viene suddiviso in tante aree relativamente piccole, chiamate celle, ciascuna delle quali è servita da una stazione base ricetrasmitten-
te alla quale di volta in volta si collegano gli utenti; infatti non è possibile coprire un territorio vasto, in cui operano numerosi utenti, con una sola stazione ricetrasmittente in quanto sarebbero necessarie potenze di trasmissione troppo elevate per un apparecchio portatile e un numero maggiore di frequenze rispetto a quelle disponibili. Le reti di telecomunicazioni cellulari mobili per uso commerciale sono nate negli anni ’80 del secolo scorso e si sono evolute attraverso nuovi standard che si sono affermati grosso modo al ritmo di uno ogni dieci anni: 1G: anni ’80, sistema analogico, supportava solo le chiamate vocali, utilizzava le frequenze intorno a 900 Mhz 2G: primi anni ’90, sistema digitale, chiamate vocali, messaggi; frequenze: 900 Mhz, 1.800 Mhz 3G: primi anni 2000, chiamate vocali, messaggi, email, Internet; frequenze: 900 MHz, 2.100 MHz 4G: primi anni 2010, chiamate vocali, messaggi, email, Internet veloce, applicazioni;
nuova unità 5/2020 frequenze: 800 MHz, 1.500 MHz, 1.800 MHz, 2.100 MHz, 2.600 MHz 5G: primi anni 2020, in corso di implementazione, chiamate vocali, messaggi, email, Internet ultraveloce, applicazioni, internet delle cose; frequenze 700 MHz, 3.700 MHz, 26.000 MHz 6G: previsto per i primi anni 2030, sono in corso ricerche e progetti per definire obiettivi orientati all’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, olografia, realtà aumentata, chirurgia a distanza, ecc.; frequenze: 73 GHz, 140 GHz, 1-10 THz.
Le specificità del 5G Il 5G, rispetto alle generazioni precedenti, rappresenta un vero e proprio salto di qualità in quanto rappresenta la possibilità di integrazione di diverse tecnologie: l’informatica, la robotica, l’analisi dei big data, la rete Internet e la comunicazione wireless; significa la possibilità di disporre di sistemi “intelligenti” in grado di eseguire calcoli e compiti complessi comunicando istantaneamente enormi quantità di dati con innumerevoli altri sistemi senza limiti geografici. Infatti la rete 5G ha tre caratteristiche che possono consentire di tradurre in realtà queste possibilità: maggior velocità (possibilità di trasmettere grandi quantità di informazioni in tempi brevissimi), minor latenza (minori tempi di attesa tra l’invio di una richiesta e la ricezione della risposta) e la capacità di supportare una grandissima quantità di connessioni contemporanee. Queste caratteristiche specifiche del 5G sono proprio quelle che servono esattamente e prima di tutto al modello produttivo Industria 4.0. Come sempre, tutto parte dal mon-
do della produzione dove si crea la ricchezza della società, di cui in pochi si appropriano a scapito di tutti gli altri. Questo spiega anche il motivo delle forti pressioni esercitate da Confindustria, dagli operatori di telecomunicazione e da tutto il ceto imprenditoriale per accelerare i tempi di implementazione di questa nuova rete, come abbiamo visto con il Piano Colao. Da un punto di vista tecnico, l’implementazione del 5G richiede una ridefinizione delle celle, che sono molto più piccole, e delle antenne, che sono molto più numerose. Queste ultime, per soddisfare i requisiti di velocità, latenza e quantità di dispositivi simultaneamente connessi, concentrano la trasmissione, alla potenza necessaria, direttamente verso la specifica posizione del dispositivo, adattandosi di volta in volta; sono antenne, quindi, molto differenti rispetto alle attuali che hanno invece un livello costante di potenza che viene emessa in tutte le direzioni.
Impatti sul lavoro, sull’ambiente e sulla salute In questa prima fase di implementazione del 5G vengono utilizzate le frequenze più basse riservate a questo servizio, analoghe a quelle attualmente già in uso per il 4G, ma proprio per la sua tecnologia particolare è necessario comunque installare le nuove tipologie di antenne che andranno quindi ad aggiungersi a quelle già esistenti degli altri sistemi in uso (2G, 3G, 4G), aumentando di fatto le
5 emissioni di radiazioni elettromagnetiche complessive; avremo quindi una esposizione a livelli crescenti di elettrosmog a partire dai centri urbani. Nella seconda fase, ormai vicina, per sfruttare le vere potenzialità del 5G, verranno utilizzate le frequenze più alte, quelle intorno ai 26 GHz, fino a oggi mai utilizzate per le telecomunicazioni mobili e di cui non sono mai stati studiati gli effetti sulla salute (sono utilizzate per i ponti radio TV commerciali, con antenne tradizionali, e dai militari per sperimentare lo sviluppo di armi elettromagnetiche di nuova generazione destinate prevalentemente alla repressione delle masse come ad esempio il “Non-Lethal Weapons Program”, programma per armi non-letali del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti). Nelle fabbriche e nelle imprese 4.0 i reparti saranno disseminati di antenne ricetrasmittenti che esporranno gli operai e i lavoratori alle radiazioni elettromagnetiche delle onde millimetriche in modo diretto, concentrato e continuativo; ma anche il territorio, per consentire di attuare l’Internet delle cose tra le imprese e a livello domestico, sarà disseminato di antenne 5G e ne subirà le conseguenze: ad esempio, saranno abbattuti gli alberi o eliminata la vegetazione che dovesse costituire ostacolo alla trasmissione tra siti di rilevante importanza economica, come già avvenuto in molti paesi in cui il 5G è stato già reso disponibile a livello commerciale. Recenti stime prevedono che entro pochissimi anni vedremo l’installazione di milioni di ricetrasmettitori, il lancio nello spazio di oltre 20.000 satelliti dedicati, oltre 200 miliardi di oggetti che incorporeranno microchip ricetrasmittenti; questo significa che, quando sarà completata la rete 5G, nessun essere
Nel silenzio generale dei media, il Governo ha già iniziato ad attuare il Piano: il primo passo è contenuto nel decreto-legge, cosiddetto “semplificazioni”, n. 76 del 16 luglio 2020 che, all’Art. 38, impedisce ai comuni di introdurre limitazioni all’installazione di stazioni radio base (e quindi di antenne) di qualsiasi tecnologia (comprese quindi quelle del 5G) e di intervenire sui limiti di esposizione ai campi elettromagnetici. L’essere umano è un organismo biologico complesso che presenta un proprio equilibro elettrico naturale a livello molecolare; quando è immerso in campi elettromagnetici, soprattutto di origine artificiale, questi generano nell’organismo correnti e campi elettrici variabili che a loro volta inducono una stimolazione diretta delle cellule come quelle dei tessuti nervoso e muscolare. Questa stimolazione può avere effetti sulla salute sia a breve termine, ad esempio effetti termici, sia effetti a lungo termine, ad esempio l’insorgenza di tumori anche decenni dopo l’inizio dell’esposizione ai campi elettromagnetici. Storicamente, lo studio della nocività dei campi elettromagnetici sugli esseri umani nei paesi capitalisti si è concentrato quasi esclusivamente sugli effetti termici sulle persone esposte: i limiti di esposizione della normativa attuale derivano da questa impostazione; inizialmente fissati in 200 V/m, in seguito a diverse ricerche che hanno evidenziato altri effetti in caso di esposizioni prolungate, i limiti sono stati poi abbassati e in Italia sono stati fissati a 20 V/m per la popolazione in generale (che il Piano Colao chiede di aumentare a 61 V/m), 6 V/m per situazioni di esposizione oltre le 4 ore come scuole, ospedali, ecc., ma ben 137 V/m per gli operai e i
umano, nessun animale, nessun microorganismo e nessuna pianta sulla Terra sarà in grado di evitare l’esposizione, 24 ore al giorno e 365 giorni all’anno, a livelli di radiazione elettromagnetica migliaia di volte maggiori di quelli che esistono oggi, senza alcuna possibilità di scampo. I sostenitori delle reti 5G affermano che, essendo più piccole le celle, le potenze emesse dalle antenne saranno inferiori, ma è vero il contrario e in più con le antenne 5G la radiazione viene concentrata sul singolo utente con una esposizione molto maggiore. D’altra parte, se così non fosse non si capirebbe perché il Piano Colao chieda di “Adeguare i livelli di emissione elettromagnetica in Italia ai valori europei, oggi circa 3 volte più alti e radicalmente inferiori ai livelli di soglia di rischio, per accelerare lo sviluppo delle reti 5G. Escludere opponibilità locale se protocolli nazionali sono rispettati”. (cap. 4.2, punto 27) Tradotto significa: alzare di ben tre volte i limiti di esposizione alle radiazioni elettromagnetiche in vigore oggi in Italia e impedire che i sindaci più rispettosi della salute dei propri cittadini possano vietare l’installazione del 5G nei propri comuni (oggi sono oltre 500 quelli che hanno vietato il 5G). D’altra parte, l’impunità per i datori di lavoro, prevista nello stesso Piano, attraverso lo scudo penale che esclude ogni possibile responsabilità per il contagio da Covid-19, la dice lunga su quanto viene tenuta in conto la salute dei lavoratori e dei cittadini.
lavoratori nelle fabbriche e nelle aziende, a ulteriore conferma che, al di là delle chiacchiere, nel capitalismo la salute viene sempre dopo il profitto. È interessante rilevare, invece, che in Unione Sovietica e nei paesi socialisti dell’est europeo la ricerca sulla nocività relativa all’esposizione alle radiazioni da onde elettromagnetiche si era indirizzata fin dall’inizio anche sugli effetti non termici che portarono a scoprire alterazioni del sistema nervoso conseguenti a un’esposizione prolungata a campi elettromagnetici di livelli anche molto bassi; i limiti fissati erano di conseguenza cento volte inferiori ai nostri attuali; i sovietici, inoltre, che furono tra i primi a studiare gli effetti biologici dell’esposizione degli esseri umani alle emissioni dei radar militari, che utilizzano frequenze tra 200 MHz e 10 GHz, misero fuorilegge i forni a microonde, che oggi hanno invaso le case di molti di noi, sia per gli effetti sul cibo che per quelli sulle persone; i forni a microonde utilizzano la frequenza di 2,45 GHz per irradiare il cibo provocando un movimento di frizione tra le molecole che produce il calore per riscaldarlo (si usa questa frequenza perché è quella che consente all’acqua di far assorbire la radiazione elettromagnetica al massimo grado e alla massima velocità). Da notare, per inciso, che il WiFi che utilizziamo per collegarci a Internet, sia in casa che fuori, utilizza la frequenza di 2,4 GHz, davvero molto vicina a quella dei forni a microonde: ognuno ne tragga le debite conseguenze. Gli organismi internazionali preposti alla sa-
lute, succubi delle lobby finanziarie e industriali, sotto la pressione delle popolazioni sono lentamente costrette a prendere atto del problema: già nel 2011 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) e l’Organizzazione mondiale della sanità (WHO) hanno classificato le radiazioni delle onde elettromagnetiche a radiofrequenza come potenzialmente cancerogene per l’uomo e oggi vi è l’indicazione a riclassificarle come probabilmente cancerogene. Da allora centinaia di studi scientifici indipendenti, tra i quali quelli del National Toxicology Program del governo degli Stati Uniti e dell’Istituto Ramazzini di Bologna in Italia hanno evidenziato il nesso di causalità tra esposizione alle radiazioni a radiofrequenza e gli effetti nocivi, ignorati dai governi e screditati con controricerche di parte, finanziate direttamente o indirettamente dalle industrie del settore. Numerosi appelli internazionali per una moratoria del 5G lanciati da scienziati, medici e ricercatori che hanno rilevato gli altissimi rischi di questa tecnologia per la salute restano inascoltati da organismi internazionali e governi. Perfino il Comitato Scientifico sui rischi sanitari ambientali ed emergenti (SCHEER) della Commissione Europea, che non ha mai brillato per obiettività e indipendenza, nel suo documento di valutazione delle problematiche emergenti in materia di salute e ambiente del dicembre 2018, afferma che il 5G “evidenzia la preoccupazione per criticità sconosciute su salute e sicurezza. Resta controversa la valutazione per quanto riguarda i danni causati dalle attuali tecnologie 2G, 3G e 4G. Le tecnologie 5G sono molto meno studiate per quanto concerne i loro effetti sull’essere umano o sull’ambiente” e più avanti “La mancanza di prove chiare per fornire gli elementi per lo sviluppo delle linee guida sull’esposizione alla tecnologia 5G lascia aperta la possibilità di conseguenze biologiche indesiderate”. Lo stesso Istituto Superiore di Sanità, noto per le sue posizioni negazioniste sulla nocività dei campi elettromagnetici, nel suo Rapporto ISTISAN 19/11 “Radiazioni a radiofrequenze e tumori: sintesi delle evidenze scientifiche” di luglio 2019 è costretto ad ammettere: “L’introduzione della tecnologia 5G potrà quindi portare a scenari di esposizione molto complessi, con livelli di campo elettromagnetico fortemente variabili nel tempo, nello spazio e nell’uso delle risorse delle bande di frequenza. Di conseguenza, un singolo valore (medio o di picco), valutato in un’area o in un intervallo di tempo, potrebbe non essere una metrica valida per descrivere in modo efficace un’esposizione caratterizzata da un grado di incertezza e variabilità senza precedenti e i metodi tradizionali per la stima dell’esposizione dovranno essere integrati con altre tecniche, quali le metodiche stocastiche”. (pag. 19) Quello che comunque appare evidente è che siamo di fronte a un processo di ribaltamento del principio di precauzione: invece di evitare l’uso di prodotti o tecnologie finché non è provata la loro innocuità, questi vengono autorizzati con la motivazione che non vi è (ancora) evidenza della loro nocività. Ma questo significa ridurre gli esseri umani, e non solo, a una grande massa di perenni cavie, in nome del profitto, con tutto quello che ne consegue.
E qui si torna alle domande iniziali: perché il 5G? A chi serve in realtà? Abbiamo cercato di dare alcune risposte «indipendenti» a queste domande ma la vera questione che dobbiamo porci è: il 5G migliora davvero la vita della popolazione in maniera tale da valer la pena di rischiare la salute della maggioranza per procurare il profitto a pochi? La risposta a questa domanda implica la messa in discussione del nostro modello di sviluppo: non si tratta di negare il progresso, nemmeno quello tecnologico, si tratta invece di costruire un modello di sviluppo dove il lavoro e il progresso non siano contrapposti alla salute, un modello di sviluppo che produca per soddisfare i reali bisogni della comunità della stragrande maggioranza degli esseri umani e non la necessità di profitto privato di pochi finanzieri e industriali.
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Neo-monarchici, legittimisti e “valori spirituali russi” ,Fabrizio Poggi Il “Movimento imperiale russo” (Russkoe Imperskoe Dviženie: RID), una struttura di estrema destra nata nel 2002, che il Dipartimento di Stato USA ha aggiunto alle “organizzazioni terroristiche straniere”, ma non inserita nell’elenco delle organizzazioni “estremiste” in Russia, starebbe addestrando, tra gli altri, anche elementi neo-nazisti tedeschi. Questo è quanto scrive il pubblicista russo Evgenij Kazakov sulla tedesca Neues Deutschland. A parere dell’americanista Aleksej Naumov, con la misura sul RID, Trump “reagisce alla propaganda avversaria che lo dipinge come presidente razzista e nazista”, così che, una parvenza di “lotta con il terrorismo di ultradestra potrebbe avvicinargli l’elettorato moderato”. All’accusa americana al RID, di propagandare la “white supremacy”, alcuni media russi hanno replicato trattarsi di un malinteso: come dire, quando parla dei bianchi, il RID non persegue alcun obiettivo in USA, ma intende i “bianchi” antibolscevichi nella guerra civile russa. Una difesa non proprio convincente, visto che si può collocare l’organizzazione tra quelle della destra radicale monarchica, sostenitrice, come ricorda Kazakov, di una nuova dinastia zarista, in opposizione ai “legittimisti”, che sono per il ritorno dei Romanov. Attivo nel RID è ad esempio Mikhail Nazarov, un ex disertore sovietico che ha vissuto a lungo nella Germania federale e che, tra le varie cose di cui si occupa, tra una “Marcia russa” e l’altra col tricolore monarchico nero-oro-bianco, nega l’Olocausto. Per inciso: gli organizzatori della “Marcia russa” ritengono che la Russia sia occupata dagli oligarchi; chiedono “istruzione e sanità gratuite; la terra ai farmers e le fabbriche agli operai; le risorse naturali al popolo; tutto il potere ai zemskij soviet (il zemskij sobor, o Assemblea territoriale, nato in epoca feudale); dicono di sé, ovviamente, che “Non siamo né “rossi”, né “bianchi”: siamo russi”, e nel cocktail dei promotori figurano membri del KPRF (che invitano a partecipare alla Marcia “tutti: o che si sia per Lenin, o per Nikolaj II, di sinistra o di destra”) e del Movimento monarchico “Centuria Nera”. Tornando al RID, membri della “Legione imperiale”, ala paramilitare del movimento, fondata da Denis Gariev nel 2008, hanno combattuto anche in Donbass tra il 2014 e il 2015, quando tra i leader delle milizie popolari, c’erano anche, ad esempio, Igor’ “Strelkov” Girkin, o Pavel Gubarev, dalle vedute tutt’altro che “di sinistra”.
Il cristiano suprematismo bianco
Tra novembre 2016 e gennaio 2017, tre membri svedesi del “Nordiska motståndsrörelsen” (Movimento di resistenza nordica; NMR) che avevano gettato bombe in alloggi per rifugiati e contro un caffè di un’organizzazione sindacale a Göteborg, sarebbero stati addestrati da uomini del RID. Anche membri dell’organizzazione giovanile del Nationaldemokratische Partei Deutschlands (NPD), i “Junge Nationalisten”, e del partito “Der III.Weg” avrebbero ricevuto addestramento dal RID. Sembra che, sinora, i 68 raggruppamenti presenti nell’elenco statunitense delle “organizzazioni terroristiche straniere”, fossero tutti di ispirazione islamista e dunque il RID sarebbe il primo che, secondo le dichiarazioni dello stesso Denis Gariev, è impegnata a “propagandare l’idea del ritorno ai valori cristiani tradizionali”. Gariev ritiene anzi che, proprio quella, sia una delle principali ragioni alla base della decisione USA: militanti del RID sono infatti stati “presenti anche negli Stati Uniti, dove hanno collaborato con organizzazioni della destra conservatrice cristiana”. Il riferimento, sembra essere al “Traditionalist Worker Party” (TWP), che predica il nazionalismo cristiano e il suprematismo bianco; il suo leader, Matthew Heimbach, aveva dichiarato nel 2016 che “I see President Putin as the leader of the free world”. Gli incontri tra RID e TWP si sarebbero tenuti nel 2017 a Washington e Gettysburg. “In questo, sicuramente, nella cristianità politica, i globalisti hanno visto una minaccia al loro ordine”, afferma Gariev, che parla anche di una “efficace attività internazionale” del RID, riuscito, ad esempio, a “re-indirizzare la destra svedese”, passata dal sostegno a Kiev, al fronte opposto; anzi, alcuni di essi, che avevano combattuto tra le file dei nazisti di “Azov”, secon-
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do Gariev sarebbero diventati filo-russi. Lo stesso è avvenuto in Spagna, Germania, Francia”. Per noi, dice ancora Gariev, “non esiste alcuno stato “Ucraina” o “Bielorussia”. Esiste un’unica Russia: uno stato del diviso popolo russo. Noi siamo su nette posizioni cristiane di principio, che contraddicono le tendenze immorali di una società completamente diversa: la società della decadenza, del consumo, in cui le minoranze sessuali sono poste in primo piano”. Militanti del RID, afferma Gariev, forti dell’esperienza di combattimento in Donbass, “partecipano a conflitti anche in altre aree del mondo e si occupano dell’addestramento militar-patriottico della gioventù russa. Molti nostri militanti erano stati costretti a lasciare il Donbass, dato che là non si dava spazio ai combattenti forti di un’idea”. E quale idea! Non pare che le parole di Gariev abbiano bisogno di esser commentate, o che ci sia molto da aggiungere alla storia del RID, se non che, la decisione del Dipartimento di stato, organizzazione di per sé di stampo terroristico, nella sostanza pare funzionale all’avvio di nuove sanzioni contro la Russia, accusata di essere tra i “paesi sponsor del terrorismo”, per il sostegno ai Guardiani della rivoluzione iraniani, a Hezbollah, Talebani e, ora, appunto, anche al Movimento imperiale, le cui vedute non necessariamente si discostano, per un verso, da quelle dello Studio ovale e, per un altro, dall’interpretazione che al concetto di “patriottismo” vien data anche in certi ambienti russi.
Biscotti yankee a Kiev e a Mosca
Dunque: le sanzioni USA. Evidentemente, a Washington, hanno ritenuto di non seguire, per il momento, i consigli di una vecchia faina dello stesso Dipartimento di Stato, divenuta contraria alle sanzioni, perché “fanno acqua e non sono più efficaci, dato il continuo ricorso a esse”. Victoria-fuck-the-UENuland, ex assistente del Segretario di stato per Europa e Asia, ha dichiarato che se Washington vuole aver la meglio su Putin, dovrà cominciare a distribuire “biscotti” alla gioventù russa, come lei stessa aveva fatto a Kiev con i giovani neo-nazisti del majdan. Su Foreign Affairs, ha detto che è necessario ricorrere “a quei metodi d’azione che permisero di ottenere la vittoria nella guerra fredda e che, dopo, hanno dato risultati nel corso di molti anni”. Le sanzioni non funzionano più e invece “il dialogo diretto col popolo russo”, potrebbe aiutare a invertire il “corso avverso” di Mosca. Il target indicato da Victoria è rappresentato dai giovani dai 16 ai 22 anni, mentre gli strumenti consigliati vanno dai social network, ai programmi educativi mirati, ai viaggi liberi (senza bisogno di visto) nei paesi occidentali. Nuland ritiene che oggi la Russia sia ancora più influenzabile dall’esterno che non in epoca sovietica, quando l’Occidente riuscì a vincere la “censura del Cremlino” grazie al lavoro di “voci diverse” e anche “mantenendo i contatti con i dissidenti”. I giovani di oggi, scrive, hanno maggiori probabilità di ricevere informazioni e notizie via internet, piuttosto che attraverso la televisione di Stato o la stampa. A questo proposito, lo storico Igor’ Šiškin, tra i critici di certo anti-sovietismo oggi di moda in Russia, intervistato da Svetlana Gomzikova su Svobonaja Pressa, ricorda come Karl von Clausewitz avesse formulato le ragioni della sconfitta dell’esercito napoleonico in Russia nel 1812: Napoleone “fallì perché il potere si mantenne fermo e il popolo fedele”. Nelle sue memorie, poi, il generale della Wehrmacht Hermann Hoth ricorda che nel 1941 “quando iniziammo la campagna, la nostra speranza principale non erano i carri armati, ma che Stalin si atterrisse, perdesse di risolutezza e scendesse a qualsiasi compromesso, pur di salvare il potere; che le repubbliche nazionali insorgessero contro il centro imperiale e il popolo russo non volesse
difendere uno Stato che non considerava proprio”. Nuland scrive che le “voci diverse” occidentali avevano minato l’unità interna della Russia. “Sciocchezze”, dice Šiškin; “quella è stata minata dalla leadership dell’Unione Sovietica. L’intero sistema di propaganda del periodo della perestrojka, sotto la guida di Alexandr Jakovlev, che supervisionava ideologia, informazione e cultura all’epoca di Gorbačëv, mirava a denigrare l’Unione Sovietica, affinché le persone decidessero che non ci fosse più nulla da difendere; tutti i media che si davano da fare per distruggere” il sistema. E continuano a farlo oggi: “guardate tutti i film russi sulla guerra; ci troverete immancabilmente la diffamazione del periodo sovietico: il cattivo di turno è senz’altro un sanguinario commissario politico, o un ufficiale dei reparti speciali; mentre l’eroe positivo, il soldato buono, sostiene ideali occidentali”. Dunque, conclude Šiškin: “ma quale Nuland! Di recente il nostro Segretario del Consiglio di sicurezza, Nikolaj Patrušev, ha dichiarato che l’Occidente sta minando i nostri valori spirituali. Ma l’Occidente, per quanto ci lavori attivamente, non se lo sogna nemmeno di riuscire a minare i nostri valori spirituali, quanto lo sa fare la nostra “quinta colonna” russa, insieme a tutte queste ONG sponsorizzate generosamente dagli americani”. Evidentemente, a giudicare anche dal “Movimento imperiale russo”, a Ovest si sono già portati un bel pezzo avanti col lavoro, e non da ora; e nella “camera di mina” scavata sotto quei valori spirituali, la miccia è accesa già da tempo.
La mina di Lenin contro la Russia
Si tratta però di una mina che, a parere di Valdimir Putin sarebbe stata piazzata nientemeno che da Vladimir Lenin con la Rivoluzione d’Ottobre. Una mina che, sempre secondo il presidente russo, sarebbe stata disinnescata grazie alla “svolta democratica” intrapresa dalla Russia nel 1991 e “istituzionalizzata” dalla Costituzione che Boris Eltsin era riuscito a far approvare nel 1993. Ora, con il voto dell’1 luglio 2020, Putin è riuscito a far approvare (sorvoliamo sulle svariate trovate di alterazione dei risultati, denunciate da tutte le organizzazioni comuniste e di sinistra, a partire dal voto elettronico diluito dal 25 giugno al 1 luglio) alcune modifiche alla Carta, rimasta comunque immutata nella sua matrice borghese. Tra queste, un vecchio cavallo di battaglia che, tra l’altro, permette a Putin di raccogliere l’approvazione anche di quei settori della cosiddetta “sinistra” nazional-patriottica, che vede in Stalin solo l’artefice della “potenza sovietica”, in chiave grande-russa, ignorandone o respingendone la politica bolscevica leninista. Secondo Putin, l’aver inserito, tra gli emendamenti costituzionali, anche quello sull’integrità delle frontiere russe, col divieto di sottrarne aree territoriali, eviterà al paese di ripetere l’errore delle Costituzioni sovietiche che, da Lenin in poi, prevedevano una volontaria adesione all’URSS delle varie Repubbliche, ma, soprattutto, consentivano anche la loro libera uscita dall’Unione: un elemento che, a detta di Putin, aveva posto una “mina a scoppio ritardato” alle basi del paese. Naturalmente, Putin ha evitato di dire che la corsa al separatismo ha avuto un boom nel periodo finale dell’Unione Sovietica, quando il primo slogan dei liberali gorbačëviani, “Più socialismo”, nascondeva in realtà la definitiva disintegrazione dell’URSS. Ha evitato di dire che il Partito bolscevico e la dittatura del proletariato erano garanzia di unità del paese, di una unità basata sulla comunanza di interessi del proletariato di tutta l’Unione, mentre l’ingordigia delle élite borghesi formatesi negli anni ’70 e ’80, bramose di arraffare imprese e risorse naturali, ha portato a guerre, conflitti “territoriali”, per la spartizione del patrimonio sovietico. segue a pagina 7
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Bielorussia, un’altra “rivoluzione colorata” Daniela Trollio (*) Ci risiamo, una nuova “rivoluzione colorata” agli onori della cronaca sui nostri quotidiani. Si tratta della Bielorussia che, oltre al desiderato – da parte dell’Occidente – cambio di regime, unisce il fatto di essere l’unico paese direttamente confinante con la Russia non aderente alla NATO, cui invece appartengono Lituania, Lettonia, Polonia e Ucraina, sue altre confinanti. La destabilizzazione della Bielorussia tramite un “cambio di regime” – come si è fatto con i paesi di cui sopra permetterebbe quindi alla NATO di far avanzare la linea che minaccia direttamente la Russia. La Bielorussia rappresenta un’eccezione tra le repubbliche baltiche “democratiche”, dove i comunisti e i socialisti sono messi fuori legge e i nazifascisti vanno al potere, dove sono ospitate le più grandi basi militari nordamericane, dove i diritti “democratici” tanto cari all’Occidente vengono cancellati senza che nessuno si scandalizzi. E questo è un primo elemento. Il sistema economico bielorusso è una specie di “capitalismo di Stato”, con grandi corporations industriali e agricole nazionalizzate. Il 51% dei bielorussi lavora per compagnie statali, con un tasso di disoccupazione, fino a pochi anni fa, inferiore all’1%. Il paese conta su un settore agricolo e uno di meccanica pesante (agricola e militare) molto forte, che gli permette di esportare non solo in Russia ma anche in Germania e nei paesi confinanti. La Bielorussia, secondo dati dell’ONU, possiede un sistema sanitario molto efficiente e un tasso di mortalità infantile addirittura al di sotto di quello britannico. Anche l’indice Gini (l’indicatore internazionalmente riconosciuto come il più preciso per misurare la disuguaglianza nella distribuzione del reddito, perché misura quanto la curva di aumento del reddito stesso si discosta dalla perfetta uguaglianza tra poveri e ricchi, v. Wikipedia) è tra i più bassi d’Europa. La possibilità di mettere le mani su tutto questo, avviando una nuova “stagione” di privatizzazioni a beneficio del capitale occidentale e di quello autoctono è un sogno che si realizzerebbe con un “cambio di regime”. Anche nella vicina Russia una parte degli oligarchi sogna lo stesso sogno. E questo è un secondo elemento. Per quanto “di Stato” comunque, sempre di capitalismo si tratta e la crisi strutturale in cui si dibatte il capitale in questi ultimi anni ha toccato pesantemente anche la Bielorussia, che non è certo un paradiso dei lavoratori e non vive in uno spazio a sé. La crisi ha deteriorato il livello di vita dei lavoratori, in particolare nel campo della salute, dell’occupazione, del pensionamento. E così sono cominciate le proteste – operaie in un primo tempo – che hanno raggiunto il culmine nel momento delle elezioni presidenziali vinte da Alexandr Lukashenko, presidente dal 1994. E qui inizia il copione già visto. Nasce una “opposizione democratica” appoggiata da USA e Unione Europea, parte una martellante campagna mediatica in favore della dissidenza, reale o no che sia. Il governante di turno viene definito in ogni occasione “dittatore”. (Curioso che nessun politico o giorna-
lista si sia mai permesso di definire tali, ad esempio, i governanti dell’Arabia Saudita, dove si ammazzano i dissidenti, si tagliano le mani ai ladri e si lapidano le adultere…). Nel caso della Bielorussia – perché un po’ di femminismo non si nega a nessuno – addirittura si crea una triade di donne del tutto sconosciute alla politica. Sono le mogli – ahimè, brutto da dire ma vero – dei tre volti noti dell’opposizione: un blogger in carcere per aggressione durante una manifestazione, un banchiere in carcere per frode e lavaggio di capitali e un ex ambasciatore negli USA. L’Unione Europea si affretta così a designare il “suo” candidato, Sviatlana Tsikhanouskaya, moglie del blogger. E questo è un terzo elemento. Come ad Hong Kong abbiamo visto gli oppositori innalzare le bandiere dell’ex Impero Britannico e dell’impero USA, anche in Bielorussia, come in Ucraina, gli “insorti” sventolano le bandiere del battaglione Vlasov, il traditore che, con l’ucraino Stepan Bandera, affiancò e a volte superò i nazisti nelle stragi della popolazione russa durante la 2° guerra mondiale. Non ci sarebbe bisogno di dire altro su quanto sta succedendo in Bielorussia. Si tratta davvero di un copione già ampiamente sfruttato: dall’Iraq alla Libia, dall’Ucraina ad Hong Kong, dalla Siria al Venezuela. Purtroppo non si tratta di un film, ma di una guerra spietata del capitale internazionale che causa morti, feriti e paesi so-
segue da pagina 6 È stata davvero la formula leniniana a scatenare gli odi nazionali, o non sono stati piuttosto gli interessi di classe delle nuove borghesie “sovietiche” e gli appetiti imperialistici internazionali, a minare lo Stato plurinazionale dell’URSS? Non a caso, a inizi anni ’30, quando si riconosceva la permanenza, se non di classi vere e proprie, quantomeno di strati e settori sociali, legati alle vecchie classi borghesi, si ammetteva che, proprio da quelle venissero ancora i pericoli di nazionalismo e separatismo. I bolscevichi affermavano che la questione nazionale fosse strettamente legata alla lotta di classe all’interno dei singoli paesi, e alla lotta contro l’imperialismo, su scala mondiale. Stalin rimarcava come solo il socialismo e la dittatura del proletariato potessero risolvere il problema nazionale, unendo le lotte del proletariato delle nazioni oppresse con quelle degli operai dei paesi avanzati e, negli stati plurinazionali, le rivendicazioni dei lavoratori delle nazionalità sottomesse con quelle della classe operaia della nazione dominante. Vladimir Putin ha evitato di dire che, nel cosiddetto “spazio post-sovietico”, i conflitti nazionali sono scoppiati quando ha cominciato a venire meno la funzione politica del partito comunista, già prima del definitivo crollo dell’URSS. Vladimir Putin non è nuovo a simili esternazioni a proposito della storia sovietica. Nel 2012, ad esempio, aveva dichiarato che la Russia era stata sconfitta nella Prima guerra mondiale a causa del tradimento nazionale dei primi leader sovietici. Nel 2013, aveva definito la guerra con la Finlandia del 1939, come un tentativo dell’URSS di correggere gli errori storici commessi nel 1917. Nel 2016, aveva esternato ancora la sua “idea” originaria, paragonando le idee di Vladimir Lenin a una “bomba atomica sotto l’edificio chiamato Russia”. Si può ipotizzare che l’inserimento, nell’attuale Costituzione eltsiniana-putiniana, dell’emendamento sull’integrità territoriale, risponda a precisi interessi di classe. Se nel 1993 lo slogan “Prendetevi quanta più sovranità potete”, lanciato a tutte le regioni della Federazione russa, serviva a soffocare gli ultimi bagliori dell’unità del paese, oggi, al contrario, la perenne lotta a coltello tra clan capitalisti, esige che si “costituzionalizzi” la proibizione, per remoti raggruppamenti affaristici di periferia, di intascare per sé quanto “di spettanza” degli oligarchi centrali. Dopotutto, Vladimir Putin, è il loro rappresentante politico e la sua indefinita permanenza al potere, fissata ora nella Costituzione, risponde proprio al bisogno di stabilità di quelle élite centrali.
vrani ridotti in macerie. Si approfitta delle proteste popolari per provocare un cambio di regime che porti con sé la privatizzazione selvaggia, la svendita dei beni comuni e delle risorse naturali, lo sfruttamento selvaggio senza più freni e la cancellazione di ogni diritto dei lavoratori, la precarizzazione e l’eliminazione dei resti dello “stato sociale”: in poche parole, sfruttamento brutale, impoverimento, miseria e cancellazione di ogni futuro. Cosa significa una “rivoluzione” neoliberista lo vediamo ogni giorno: basta ricordare cosa è successo in Iraq, in Libia, in Grecia, in Ucraina, in Siria, in Venezuela, in Bolivia, tanto per limitarci agli ultimi anni. Vogliamo solo aggiungere una cosa: di fronte a questa offensiva del capitale internazionale non esiste un movimento contro la guerra, perché di guerra di classe si tratta, dichiarata o no. Per anni i rivoluzionari hanno dibattuto se “difendere” o no Gheddafi, Saddam Hussein, Al Assad o Maduro, dimenticando che, invece, si tratta di lotta all’imperialismo, di difesa della libertà dei popoli di scegliersi il proprio futuro in base ai propri interessi; di internazionalismo proletario, in una parola. Non rifacciamo per l’ennesima volta lo stesso sbaglio. (*) CIP “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni
nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) anno XXIX n. 5/2020 Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Emiliano, Michele Michelino, Luciano Orio, Fabrizio Poggi, Daniela Troilo abbonamento annuo Italia euro 26,00 abbonamento annuo sostenitore euro 104,00 abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20 I versamenti vanno effettuati sul c/c postale nr. 1031575507 intestato a: nuova unità - Firenze
Chiuso in redazione: 25/08/2020
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Notizie in breve dal mondo - agosto Bolivia - 3 agosto
Questa mattina è iniziato lo sciopero generale e il blocco stradale in tutto il territorio boliviano per esigere che il Tribunale Supremo Elettorale faccia rispettare la data fissata per le nuove elezioni, il 6 settembre prossimo. Lo sciopero è stato decretato dalla COB, la Centrale operaia Boliviana e dalle altre organizzazioni che fanno parte del Patto di Unità. La decisione è stata presa lo scorso 28 luglio al termine di una manifestazione conclusasi a El Alto a cui hanno partecipato, otre alla COB, la Confederazione Nazionale delle Donne Indigene della Bolivia, la Federazione Unica dei Lavoratori della Pace e altre organizzazioni. Fin da questa mattina sono in atto i blocchi stradali in varie parti del paese. Nonostante che il Tribunale abbia subito convocato i dirigenti sindacali per spiegare lo spostamento delle elezioni, il governo ha risposto annunciando provvedimenti penali contro il massimo dirigente della COB, Juan Carlos Huaraci, della deputata Betty Yaniquez e dell’ex presidente Evo Morales, per cercare di frenare la protesta.
Londonderry, Irlanda del Nord – 3 agosto
È morto John Hume, premio Nobel per la Pace nel 1998 per il ruolo avuto nella fine del conflitto in Irlanda del Nord. Fu un noto attivista del movimento per la difesa dei diritti civili negli anni ’60 e ’70, fondò il Partito Socialdemocratico e Laburista (SDPL). Partecipò ai negoziati segreti che sfociarono nell’Accordo Anglo-Irlandese dl 1985, rifiutato poi da entrambe le parti e al ‘Processo Hume-Adams’ che propiziò il primo cessate il fuoco dell’IRA nel 1994 e aprì la strada agli Accordi del venerdì santo del 1998.
New York, USA – 4 agosto
“Covid-19 ha causato la più lunga interruzione mai occorsa all’educazione”. Lo ha dichiarato oggi il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, segnalando che a metà luglio le scuole di circa 160 paesi erano chiuse, danneggiando circa 1 miliardo di studenti. 40 milioni di questi sono bambini al primo anno di scuola. E ha aggiunto: “Gli alunni con handicap, quelli delle comunità minori o più sfavorite, i rifugiati e quelli che vivono in zone remote sono coloro che corrono il maggior rischio di essere lasciati indietro. Ci troviamo di fronte ad una catastrofe generazionale che potrebbe sprecare un potenziale umano incalcolabile, minare decenni di progresso ed esacerbare le disuguaglianze”.
Bogotà, Colombia – 4 agosto
La Suprema Corte di Giustizia della Colombia ha ordinato oggi l’arresto ai domiciliari dell’ex presidente e attuale senatore Alvaro Uribe nel quadro di un’inchiesta per frode processuale, corruzione e manipolazione dei testimoni. Nel procedimento Uribe è anche accusato di legami con gli squadroni paramilitari di destra che hanno insanguinato per anni il paese e che sono accusati di violazioni dei diritti umani. È la prima volta nella storia della Colombia che un ex presidente viene privato della libertà.
San Paolo, Brasile – 8 agosto
Si è spento oggi a 92 anni Don Pedro Casaldaliga, il prete catalano – poi diventato vescovo -difensore dei popoli indigeni dell’Amazzonia. Sarà seppellito a Sao Felix do Araguaia, nel Mato Grosso, il luogo che non ha mai voluto lasciare. Casaldaliga fu uno degli ispiratori della Teologia della Liberazione e uno dei fondatori del Consiglio Nazionale Indigeno del paese. La sua difesa dei popoli originari gli costò minacce in molte occasioni, ma egli non lasciò mai l’Amazzonia.
Caracas, Venezuela – 8 agosto
Due statunitensi sono stati condannati a 20 anni di carcere per terrorismo e partecipazione in una fallita incursione armata avvenuta il maggio scorso. Lo comunica il procuratore generale. I due, Luke Alexander Denman e Airan Berry, hanno ammesso di aver commesso reati di “cospirazione, associazione a delinquere, traffico illecito di armi da guerra e terrorismo”. Essi sono tra le decine di detenuti per l’incursione armata avvenuta sulla costa nord. Secondo il governo bolivariano, il piano – che aveva l’appoggio degli USA e della vicina Colombia – prevedeva la cattura del presidente Maduro e l’installazione di Juan Guaidò. Il governo bolivariano sostiene inoltre che Guaidò ha ‘contrattato’ mercenari usando i fondi bloccati dalle sanzioni statunitensi, firmando un contratto con la società privata di sicurezza Silvercorp USA. Denman e Berry sono dipendenti della Silvercorp.
Gaza, Palestina – 16 agosto
Il Centro Palestinese dei Diritti Umani (Pchr in inglese) informa che l’esercito israeliano ha bloccato totalmente il mare di fronte a Gaza, colpendo l’attività di sussistenza di 27.000 persone legate alla pesca in quelle acque per rappresaglia a pre
distruzione ambientale. Ma l’amministrazione di Bolsonaro continua a smantellare sistematicamente la protezione ambientale” sostiene GreenPeace Brasil. Gi incendi avvengono per lo più sulle terre indigene, in aree di allevamento intensivo del bestiame.
L’Avana, Cuba – 19 agosto
sunti attacchi lanciati contro Israele. La misura è stata annunciata oggi dalle autorità israeliane. Imbarcazioni militari hanno sparato contro i pescatori che navigano entro 3 miglia dalla costa di Gaza. Il venerdì precedente la forza navale israeliana aveva attuato lo stesso blocco a nord est di Beit Lahia, a nord della Striscia di Gaza. Le condizioni di vita della popolazione, già molto precarie, peggioreranno ancor più. Le statistiche, ricorda il Pchr, mostrano un tasso di disoccupazione al 46%, il 53% della popolazione vive in povertà, e più del 62% degli abitanti di Gaza soffre di insicurezza alimentare. L’organizzazione definisce il blocco del mare di Gaza un “castigo collettivo” alla popolazione, azione vietata dalle leggi internazionali.
Pechino, Cina – 17 agosto
Approvata il primo brevetto di un vaccino contro il coronavirus. Questo, secondo alcuni quotidiani, potrà essere prodotto in massa in un breve periodo di tempo. Il vaccino è stato sviluppato dall’Istituto di Biotecnologia di Pechino e dalla società biofarmaceutica CanSino Biologics. Chiamato “Ad5-nCoV”, il vaccino utilizza un virus indebolito del raffreddore comune per introdurre nell’organismo materiale genetico del nuovo coronavirus, per abituare il corpo a produrre anticorpi. Secondo una ricerca pubblicata dalla prestigiosa rivista medica britannica The Lancet, la fase II della sperimentazione clinica dimostra che il vaccino “è sicuro e genera una risposta immune”.
Londra, Inghilterra - 17 agosto
Un gruppo di 152 avvocati e accademici, insieme a 15 associazioni professionali di avvocati, hanno indirizzato oggi una lettera al governo britannico chiedendo di mettere fine alla violazione dei diritti fondamentali di Julian Assange, attualmente sotto custodia del Regno Unito. I giuristi hanno fatto un’analisi degli abusi commessi contro il fondatore di WikiLeaks, che pubblicò nel 2010 informazioni riservate sulle guerre in Iraq e Afganistan, i cablo diplomatici USA sulla Baia di Guantanamo, informazioni che rivelarono l’esistenza di crimini di guerra, corruzione e malversazioni governative. Nella loro lettera chiedono al primo ministro britannico Boris Johnson e al segretario alla Giustizia, al segretario agli Affari Esteri e alla segretaria agli Interni del governo britannico, di agire in conformità al diritto nazionale e internazionale e allo stato di diritto. Ricordano anche che l’eventuale estradizione negli Stati Uniti di Assange sarebbe illegale secondo il Trattato sull’estradizione delle Nazioni Unite.
Cuba presenta “Soberana 01” (Sovrana 01), una proposta di vaccino contro il coronavirus sviluppato nell’isola, che comincerà i tests clinici il 24 agosto prossimo. In un incontro con il presidente Miguel Dìaz-Canel e altri membri del governo, gli scienziati dell’Istituto Finlay hanno spiegato che i tests sugli animali mostrano un alto indice di anticorpi, un basso rischio e notevoli risultati nella fase preclinica. Hanno sottolineato anche che il farmaco, sviluppato con l’appoggio del Centro di Immunologia Molecolare e dell’Università dell’Avana, è stato testato direttamente dai tre ricercatori che guidano il progetto e le prime analisi su di loro mostrano un notevole incremento dei livelli di anticorpi.
New York, USA – 20 agosto
Il Procuratore Generale della città informa dell’arresto di Steve Bannon, ex consigliere del presidente Donald Trump, accusato di distrazione dei fondi versati da cittadini statunitensi per la costruzione del muro di frontiera con il Messico. Secondo il procuratore “Bannon e altri tre accusati hanno commesso una frode da centinaia di migliaia di dollari con la scusa di costruire un muro e la falsa affermazione che tutto il denaro sarebbe servito a questo scopo, mentre hanno trattenuto una parte di esso per lorouso personale”. Secondo l’accusa Kolfage (uno dei tre accusati) ha trattenuto un milione, sui 25 raccolti, per finanziare il suo tenore di vita e Bannon ha fatto altrettanto. Kenosha, Wisconsin, USA – 24 agosto Sono scoppiate forti proteste nella cittadina dopo che un poliziotto ha sparato ad un nero disarmato. La vittima, Tony Evers, si trova in ospedale in coma. Molti cittadini si sono riuniti sul luogo dove è avvenuta la sparatoria ed hanno lanciato mattoni contro la polizia e dato fuoco a materiali vari.
Memoria 13 agosto 1926 - Biràn, Cuba. Nasce oggi
Fidel Castro Ruz. Così lo ricorda Ramon Pedregal Casanova, membro della Commissione europea di Appoggio ai Prigionieri Palestinesi: “Voglio riferirmi a lui indicando l’importanza mondiale del dirigente rivoluzionario di un paese piccolo e terzomondista, che ha raggiunto i livelli più alti del mondo nell’educazione, nella sanità, nella solidarietà con i più poveri del mondo. Fidel è il grande fiume che bagna i 5 continenti… È dappertutto perché ha dedicato la sua vita ad elevare la coscienza fino ai livelli da cui il popolo cubano tiene alta la bandiera della sovranità, nonostante sia sottomesso alla barbara aggressione imperialista più duratura che sia mai esistita”.
Tel Aviv, Israele – 18 agosto
Dietro lo strombazzato “accordo di pace” tra Israele ed Emirati Arabi Uniti, fortemente voluto da Donald Trump, ci sarebbe anche un accordo per cui Israele toglierebbe il suo veto alla vendita di armi da parte USA agil Emirati. Lo sostengono oggi alcuni giornali israeliani. “Secondo fonti degli Emirati e statunitensi, quello che ha persuaso il leader degli EAU a firmare il patto è stato un accordo perché gli USA vendano al paese decine di migliaia di milioni di dollari in armi statunitensi, compresi aerei da combattimenti F-35, droni avanzati e altro” scrive il quotidiano Yediot Aharonot. Anche Haaretz riporta questa versione. Jerusalem Post ricorda anche che Israele è l’unico paese in Medio Oriente a disporre di aerei F-35. I giornali accusano Netanyahu di aver preso la decisione di firmare l’accordo senza informare il suo compagno di coalizione e primo ministro alterno Benny Gantz, che è anche ministro della Difesa.
Amazzonia, Brasile – 19 agosto
Nonostante la moratoria di 120 giorni imposta dal governo rispetto agli incendi e la presenza di forze militari per farla rispettare, la regione continua ad essere scenario di numerosissimi incendi: tra il 16 giugno e il 15 agosto ne sono stati registrati 20.473. “Le cifre degli incendi mostrano che proibirli non funziona. È essenziale che il governo restituisca i poteri di vigilanza e le competenze alle agenzie specializzate nel frenare la
23 agosto 1927- Charlestown, USA.
Nonostante un movimento mondiale per la loro liberazione, che ha visto opporsi lavoratori e intellettuali di tutto il mondo (George Bernard Shaw, Bertrand Russell, Albert Einstein, Dorothy Parker, Edna St. Vincent Millay, John Dewey, John Dos Passos, Upton Sinclair, H. G. Wells, Arturo Giovannitti, Anatole France) muoiono oggi sulla sedia elettrica Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, due operai anarchici italiani emigrati negli Stati Uniti. Sono accusati – ingiustamente – dell’omicidio di un contabile e di una guardia del calzaturificio Slater & Morrill. 50 anni dopo, il 23 agosto 1977, il governatore dello Stato del Massachusetts, Michael Dukakis, riconoscerà ufficialmente gli errori commessi nel processo e riabiliterà la loro memoria.
18 agosto 1936 Spagna. Viene assassinato, alle porte di Granada, nelle prime ore del giorno dai fribelli franchisti Federico Garcìa Lorca, il grande poeta e drammaturgo andaluso.Il suo corpo, che potrebbe trovarsi in una delle 2.000 fosse comuni mai aperte in Spagna, non verrà mai ritrovato.