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art. 2 Legge 662/96 filiale di Firenze

Spedizione in abb. postale 70% comma 20/B

Proletari di tutti i paesi unitevi!

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Periodico comunista di politica e cultura n. 6/2020 - anno XXIX

fondata nel 1964

Occorre invece violentemente attirare l’attenzione nel presente così com’è, se si vuole trasformarlo” Antonio Gramsci

Intensificare la lotta e l’unità del proletariato contro il capitale In una nuova emergenza sanitaria il Governo italiano si riarma come dovesse scatenare una guerra. E decide nuove missioni militari in Africa Al convegno dei giovani industriali il presidente Confindustria Carlo Bonomi si è lamentato che gli 88 miliardi stanziati dallo Stato agli industriali sono solo garanzie e che hanno dovuto anticipare i soldi della Cig. dimenticando volutamente le oltre 2000 aziende che hanno approfittato dell’emergenza per ottenere i soldi della cassa integrazione senza averne bisogno né le condizioni previste. I capitalisti hanno mantenuto i loro profitti perché la produzione non si è fermata neppure nel periodo peggiore della Covid 19, non è un caso che le zone a maggior contagio sono state (oltre a quelle più inquinate) quelle dove la produzione industriale non ha mai cessato. Chi è veramente in crisi sono la classe lavoratrice e le masse popolari. Che, fino a quando pagheranno con sacrifici e rinunce le scelte del sistema capitalista? A parte che molti non hanno ancora ricevuto la prevista Cig, si può vivere con un’elemosina statale? Ammortizzatori sociali e divieto di licenziamento per ora hanno tamponato l’espandersi della disoccupazione, ma con la conferma della chiusura delle fabbriche, a partire da Whirlpool, e la fine degli strumenti assistenziali la situazione diventerà ancora più drammatica. Crescerà quell’esercito di disoccupati che ha la precisa funzione di ricattare gli occupati calpestandone i diritti, mantenere bassi i salari e aumentare precarietà e povertà. Abbiamo assistito alle consuete promesse della recente campagna elettorale che hanno indorato la pillola raccontando come la situazione in Italia sta migliorando, di come gli italiani siano andati in vacanza... scegliendo l’Italia. Tant’è che il voto ha rafforzato l’asse di governo garantendolo sino a fine legislatura, mentre la vittoria dei SI per la futura diminuzione dei parlamentari al referendum (cosa che ci riguardava poco), ha evidenziato l’egemonia delle forze di governo sulle masse popolari, soprattutto nelle periferie delle città. Ha rinsaldato PD e M5Stelle per mantenere il Parlamento fino alla scadenza naturale e, nel frattempo andare all’ennesima modifica della legge elettorale, in vista anche dell’elezione del Presidente della Repubblica. Ora, dopo che il governo aveva aperto le stalle estive per far “riprendere l’economia”, siamo nel ritorno del contagio e di nuovo vengono imposte restrizioni e divieti, tranne quello di... lavorare. Questa pandemia non è più grave di tutti i mali che affliggono nel mondo con milioni di morti e che non hanno mai interessato i governi capitalisti: dalle catastrofi ambientali alla denutrizione, ai vari tipi di malattie. Nel contenimento forzato c’è l’interesse di salvaguardare l’economia e si è lasciata la sanità con i suoi enormi tagli: dal personale ai posti letto, alla ricerca. Tagli effettuati in nome dell’austerità e del pareggio di bilancio imposto dalla UE - momentaneamente sospeso per arginare i danni pandemici - ma che oggi si pagano. Le carenze ospedaliere sono frutto del capitalismo. I suoi governi, pur prevedendo un’ondata di ritorno del virus, non hanno posto rimedio né con assunzioni, né con l’organizzazione ospedaliera, portandoci a una nuova gestione criminale. Si sono vantati di aprire le scuole a settembre stipando gli studenti sugli autobus perché aumentare le corse... costa troppo! Per il Governo italiano è prioritario acquistare (nel silenzio mediatico) elicotteri e aerei di attacco, produrre portaerei come se l’Italia dovesse scatenare una guerra. Un giro di miliardi

nelle tasche di politici, manager, faccendieri che rendono di più della soluzione dei problemi di un paese come la scuola e la sanità, anche se per strutture private e assicurazioni sono due campi assai remunerativi. Ma, come se non bastasse l’aumento del 6% delle spese in armi nel 2020, il governo rafforza la presenza militare (200 soldati e 20 mezzi terrestri) all’estero con altre due missioni: nel Sahel (un contingente militare era già in Niger) considerata “area strategica prioritaria per gli interessi nazionali”, e nel Golfo di Guinea. Anche nel mondo colpito dalla pandemia hanno continuato ad aumentare le spese militari che nel 2019 hanno registrato un aumento del 3,6% rispetto al 2018 con una cifra record di 1.917 miliardi di dollari. Il solo bilancio militare della NATO arriva a 1.035 miliardi di dollari, cioè il 54% della spesa militare globale. Pensiamo che il bilancio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità - che dovrebbe rispondere alle crisi di natura sanitaria - è di circa 4,5 miliardi di dollari ogni due anni. Non siamo tutti nella stessa barca neppure nel contagio. I ricchi si salvano i proletari muoiono, tanto meno lo siamo nella crisi economica. Una crisi che ha concentrato e centralizzato il capitale sostenuto dalle banche centrali in una società dominata dai monopoli e dalle potenze imperialiste proiettate all’ottenimento del massimo profitto, alla militarizzazione dell’economia e della società. Situazione che non può soddisfare le esigenze della classe lavoratrice, né quelle sociali, né protegge la salute e l’ambiente. La borghesia che mai rinuncia ai suoi profitti coglie l’occasione della Covid 19 per ristrutturare il modello produttivo. Un modello che peggiorerà le condizioni di vita e di lavoro del proletariato - in particolare per le donne -, imponendo l’uso della nuova tecnologia, lo smart working (ovvero il vecchio lavoro a domicilio), la didattica a distanza (che esclude 2milioni di studenti), la precarietà, il prolungamento dei rinnovi dei contratti, i ricatti continui ecc. Ciò comporta forme di limitazione delle libertà sociali e di controllo delle masse e, come in primavera, ci saranno ripercussioni su assemblee, presidi, scioperi, manifestazioni. La lotta contro l’emergenza sanitaria, quindi, è lotta contro il capitalismo. Come risponde la classe lavoratrice alla situazione in cui ci troviamo? Ci sono lotte quotidiane, anche piccole forme di resistenza, alcune volutamente isolate perché condizionate dai sindacati confederali che non cercano la solidarietà di

classe, anzi in quanto sostenitori del Governo agiscono per gestire la crisi. D’altro lato le divisioni tra i sindacati di base non danno strumenti adeguati alla gravità dell’attuale situazione, anzi proclamano scioperi generali per la visibilità della propria sigla che disorientano e scoraggiano i lavoratori.

continua a pagina 2 Basta morti per il profitto. Unire le lotte operaie per la sicurezza e difesa della salute nei luoghi di lavoro a quelle contro le stragi sul territorio

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I capitalisti unici “responsabili” della nostra miseria

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Guerre e scontri nell’ex “spazio post-sovietico”. Nel Caucaso sotto il tallone imperialista c’erano divisioni, conflitti, massacri. Poi venne la Rivoluzione d’Ottobre e l’Unione Sovietica. Ma, dopo, venne il 1991, e poi... le “rivoluzioni colorate”

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Recovery fund, Unione europea e padroni italianissimi: montagne sulle spalle della popolazione

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Basta morti per il profitto Unire le lotte operaie per la sicurezza e difesa della salute nei luoghi di lavoro a quelle contro le stragi sul territorio Michele Michelino Le morti giornaliere, le mutilazioni, gli infortuni tra i lavoratori non dipendono mai dal caso o dalla fatalità, ma sono il risultato dello sfruttamento padronale della forza-lavoro, dell’organizzazione capitalistica del lavoro. Allo stesso modo i morti, i feriti, i malati e gli invalidi per “disastri ambientali” (Vajont, terre dei fuochi, Tav, terremoti, ponti che crollano, stragi ferroviarie, avvelenamento dei territori come a Taranto), sono anch’essi morti del profitto. Ogni anno nel mondo circa due milioni di persone muoiono a causa di un incidente sul lavoro o per malattia professionale, di cui 12.000 sono minori. Su 250 milioni d’infortuni 335.000 sono mortali: 170.000 nel settore agricolo, 55.000 nel settore minerario e 55.000 nelle costruzioni. Oltre 100.000 sono i decessi causati dall’amianto (dati OIL-organizzazione internazionale del lavoro, agenzia dell’ONU). In Italia ogni giorno per infortuni su lavoro perdono la vita 4 lavoratori, più di 1.400 ogni anno; altre decine di migliaia rimangono invalidi permanenti e perdono per la vita per malattie professionali, altri ancora per disastri ambientali evitabili con una normale prevenzione. Dal nord al sud il bollettino di guerra riporta giornalmente il numero dei morti e dei feriti, operai e lavoratori mandati al macello per il profitto. A queste si devono aggiungere quelle per “disastri ambientali e territoriali”.

Per sminuire la gravità di questo massacro e le loro responsabilità, Confindustria, Governo, sindacati di regime e istituzioni chiamano queste stragi “morti bianche”, morti “sul” lavoro, come se loro non avessero alcuna responsabilità. Nell’ultimo decennio sono stati registrati più di 17.000 lavoratori morti sul luogo di lavoro. Numeri impressionanti, drammatici; più morti sul lavoro che in una guerra, perché I MORTI SUL LAVORO SONO IL COSTO DEL PROFITTO. Covid-19 - con il 65% circa delle fabbriche in cui si lavorava nonostante il lockdown (dati de Il Sole 24 Ore) - ha dimostrato la centralità della classe operaia nel processo di produzione di plusvalore, facendo tabula rasa di tutte teorie che da anni parlano di “scomparsa” della classe operaia. Anche durante Covid 19 tutti i giorni e le notti

dalla prima Per combattere il nemico comune che non cambia e di cui bisogna prendere coscienza: capitalismo, Stato, governi borghesi c’è bisogno di unità, solidarietà di classe e dell’unificazione delle lotte con licenziati, precari, disoccupati, sfrattati, lavoratori stranieri e con chi è colpito dalla repressione. In questo periodo, a livello nazionale, ci sono alcune proposte. Una, espressa nell’assemblea dei “lavoratori combattivi” del 27 settembre a Bologna, organizzata da Sicobas che, mentre ha avuto il pregio di fare intervenire tutti come lavoratori combattivi lasciando fuori dalla porta la propria appartenenza a gruppi e partiti, non ha sciolto l’ambiguità rispetto al cosiddetto Patto d’azione che invece vuole operare come un intergruppi politico di diversi orientamenti. Un fronte di forze con mire egemoniche e concorrenti tra di loro, unite più per il proprio interesse di singolo gruppo che di quello della classe operaia che esprime l’esigenza di unità nella lotta e per generalizzare il conflitto. Al di là delle dichiarazioni dei promotori, in questo tipo di fronte o patto d’azione se non vengono sciolte le ambiguità rischiano di ripercorrere strade già percorse destinate al fallimento. L’altra è quella confermata nell’assemblea del CLA a Genova il 18 ottobre. Anche qui si sono confrontati lavoratori di vari sindacati e categorie e le loro esperienze. Il CLA non è un nuovo sindacato, ma è nato con l’obiettivo di unire tutti i lavoratori e lavoratrici sui comuni interessi di classe, indipendentemente dalle sigle sindacali, con una coraggiosa parola d’ordine: “unità della classe nella lotta”. Una parola d’ordine che richiede coraggio e assunzioni di responsabilità con l’obiettivo di fare in modo che le forze più combattive anche se ancora piccole, contribuiscano - attraverso un’azione unitaria e organizzata - a valorizzare la necessità di indipendenza e autonomia rifiutando la delega e a rafforzare il movimento operaio, sviluppando le posizioni più conseguenti e classiste per abbattere le barriere alzate da borghesia, revisionisti e riformisti che impediscono ai lavoratori di affermare il proprio protagonismo organizzato. Due esperienze organizzative che pongono al centro la difesa della salute, della sicurezza sui luoghi di lavoro e contro i decreti Salvini. Unite dalla solidarietà espressa anche nella manifestazione di Modena del 3 ottobre. Una mobilitazione (che poteva essere più incisiva) in risposta alle centinaia di denunce e multe, alle aggressioni poliziesche, dei crumiri, dei fascisti contro i lavoratori che si ribellano allo sfruttamento imposto dal padronato. Di fronte alla crescente crisi economica e all’emergenza sanitaria causata da anni di continui tagli la borghesia aumenta la sua aggressività, il governo agisce con tutti i mezzi per convincere che la ripresa è possibile. Basta sottomettersi alle sue regole. Spende miliardi nel settore militare ma non risolve il problema Ilva né Lucchini, né quello del gravissimo aumento della disoccupazione. Invece è proprio di fronte all’aggravarsi della situazione che diventa sempre più pressante la lotta contro il capitale che è anche lotta contro l’emergenza sanitaria e contro i disastri ambientali. Per il proletariato e i lavoratori il nemico non cambia ed è in casa nostra. E per combatterlo è fondamentale respingere le divisioni volute da tutti gli opportunisti dei vari partiti e sindacati che impediscono la crescita della coscienza di classe e spezzano le mobilitazioni.

della settimana, sabati e domeniche compresi, centinaia di migliaia di operai, di lavoratori di tutti i settori hanno continuato a varcare i cancelli delle fabbriche, degli ospedali, delle logistiche, dei vari luoghi di commercio, nelle campagne, costretti a lavorare senza sicurezza, senza protezioni individuali e collettive. Nel settore della sanità e dell’assistenza sociale le denunce d’infortunio sono aumentate del 124% nei primi otto mesi (dai 18mila casi del 2019 ai 40 mila del 2020), con punte di oltre il +500% a marzo e del +450% ad aprile rispetto al 2019. Nel 2020, due denunce su tre del settore hanno riguardato il contagio da Covid-19. Il conflitto capitale-lavoro si manifesta in tutta la sua violenza e brutalità nello sfruttamento e nei morti del profitto. La lotta per la sicurezza nei luoghi di lavoro e di vita, contro le morti sul lavoro e di lavoro, deve diventare il primo punto di ogni piattaforma o rivendicazione sindacale, com’è già successo localmente in alcune realtà lavorative durante il coronavirus. Il regime dispotico della fabbrica ormai è diffuso in tutta la società. I licenziamenti di chi ha infranto il “vincolo di fedeltà” aziendale per denunciare situazioni di pericolo, la repressione che ha colpito i compagni che hanno manifestato il 25 Aprile portando un fiore alle lapidi partigiane e manifestato il 1° Maggio e le manifestazioni contro la Regione e governo vietate con la scusa del contagio, sono prove generali di normalizzazione della società, una proibizione della socialità. La repressione selettiva ha colpito i compagni, i militanti, ma anche persone che andavano a fare la spesa durante il lockdow deciso dal governo e regioni, o che andavano a trovare familiari in ospedale in macchina, attuando la logica terroristica di colpire alcuni per spaventare tutti. I sindacati confederali Cgil-Cisl-Uil, ma anche alcuni sindacati cosiddetti di base, invece di accodarsi alle sirene padronali e di preoccuparsi del costo del lavoro, dovrebbero preoccuparsi di quanto sia alto il costo di vite umane che gli operai devono pagare per far arricchire i padroni. Nella crisi la contraddizione capitale–lavoro salariato che investe tutti i settori della società genera movimenti di opposizione in vari strati del proletariato, ma anche di altre classi. Intervenire nel movimento di massa del proletariato e delle classi sottomesse con posizioni anticapitaliste, partendo dal principio della solidarietà di classe, dimostrando che un mondo senza sfruttamento è possibile solo eliminando i padroni, con il potere in mano agli operai, può battere il cretinismo parlamentare e impedire uno sbocco reazionario al movimento di massa. La nostra lotta non può limitarsi a combattere gli effetti dello sfruttamento capitalista, dobbiamo distruggere le cause che continuano a

riprodurre i borghesi come padroni e i proletari, i lavoratori, come schiavi salariati. Per questo serve un’organizzazione politica di classe in cui i lavoratori siano il soggetto dirigente. Tutti i governi di qualsiasi colore e i sindacati filo padronali hanno permesso che il capitalismo potesse disporre a suo piacimento della forza lavoro accrescendo i propri profitti. Il risultato è che il lavoro è diventato sempre più precario, senza protezioni e sicurezza. Con il continuo ricatto è aumentato lo sfruttamento e il totale disprezzo per la salute dei lavoratori: il “lavoro” è diventato sempre più fonte di alienazione, di disperazione, di povertà, di morte per migliaia di lavoratori. Nel capitalismo la vita degli operai per i padroni non vale niente; per ottenere il massimo profitto risparmiano anche i pochi euro necessari a fornire misure di protezione individuali e collettive, mandandoli consapevolmente a morte certa. Il peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita, il ricatto occupazionale, la mancanza di un’organizzazione politica e sindacale di classe, proletaria, lascia i lavoratori completamente alla mercé dei padroni. Nel sistema capitalista tutte le istituzioni, i sindacati collaborazionisti e di regime che “rappresentano i lavoratori”, considerano legittimo e legale lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo; quindi perché “ostacolare il progresso” da cui traggono le briciole e i loro privilegi? D’altra parte ogni giorno ci sono decine di morti sul lavoro e per malattie professionali, migliaia gli operai e i lavoratori che ogni anno sono assassinati sul posto di lavoro, e scioperare per costringere i padroni a bonificare gli ambienti e rispettare le misure di sicurezza antinfortunistiche significherebbe far perdere ai padroni decine di migliaia di ore di profitti. Il conflitto fra capitale e lavoro fa morti, feriti e invalidi ogni giorno. È arrivato il momento per tutte le vittime del profitto, lavorativo o ambientale di scendere in piazza uniti a difesa della propria vita, della propria salute e di quella del pianeta, per gridare forte la protesta contro il sistema capitalista, unendo le lotte di tutte le vittime del profitto, sia del movimento operaio per la salute e la sicurezza, sia quelle sociali dei familiari delle stragi (ponti, case e scuole che crollano, disastri ambientali e ferroviari che hanno responsabilità ben precise), riconoscendole tutte come stragi del profitto. Dobbiamo lottare affinché tutti i morti per il profitto siano considerati crimini contro l’umanità. L’unità delle lotte proletarie e sociali, oggi disperse in mille rivoli, è la nostra forza. Per la sicurezza nei luoghi di lavoro e di vita, contro le morti del profitto, lavoriamo per organizzare una manifestazione nazionale operaia, proletaria, sociale a Roma contro governo, confindustra e il sistema di sfruttamento capitalista che uccide gli esseri umani e la natura.


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I capitalisti unici “responsabili” della nostra miseria In una società divisa in classi antagoniste, con interessi diversi la crisi non colpisce tutti allo stesso modo. Anche nelle crisi e nelle pandemie ci sono capitalisti che realizzano lauti profitti, mentre le condizioni di vita e di lavoro dei proletari peggiorano costantemente. I borghesi e i loro rappresentanti politici dicono che siamo tutti sulla stessa barca. Una colossale bugia, ma anche se lo fossimo noi proletari continuiamo a remare incatenati come gli schiavi e i padroni a godersi il sole in plancia serviti e riveriti. La crisi porta ad acuire le contraddizioni an-

netto dell’inflazione, degli ultimi tre decenni. Anche in Italia, per difendere i loro interessi in “patria” e all’estero i capitalisti italiani spendono oltre 26 miliardi di euro per spese militari, cifra che aumenta ogni anno mentre diminuiscono la spesa per la sanità pubblica, negli ultimi 10 anni oltre 37 miliardi di euro. Con il costo di un F35 si potrebbero attrezzare centocinquantamila terapie intensive, una portaerei cinquantamila respiratori polmonari, anche solo risparmiando sulle esercitazioni dei blindati ed elicotteri si risparmierebbero soldi per attrezzare trecentotrentamila posti letto oppure dieci miliardi di mascherine.

ai ricchi. Anche in piena crisi di Covid19 aumentano le spese militari con nuovi impegni in Sahel e nel Golfo di Guinea mandando soldati italiani a occupare territori sovrani in altri paesi per difendere gli interessi dell’imperialismo italiano e delle multinazionali e rapinare petrolio, gas e altre risorse. A oggi sono quarantuno gli impegni all’estero del governo italiano con 8.600 militari, schierati dal Golfo di Guinea all’Afghanistan per la difesa degli “interessi nazionali e il contributo alla pace e stabilità internazionale”, con l’obiettivo di una spesa per la difesa pari al 2 per cento del Pil entro il 2024.

che fra i vari blocchi imperialisti, le contraddizioni interimperialiste portano alcuni paesi a scontrarsi con altri. La crisi che scuote dalle fondamenta il sistema capitalista ha unificato, in funzione antioperaia, le varie frazioni della borghesia imperialista che, pur lottando fra loro con guerre commerciali e militari, trovano nell’unità di classe contro il proletariato, gli operai, i lavoratori, i disoccupati, i pensionati, il loro comune interesse quando il sistema del lavoro salariato e il loro potere sono messi in discussione dai proletari in lotta che rivendicano il potere operaio o da governi di paesi che si oppongono alla penetrazione imperialista e nazionalizzano le risorse delle multinazionali. Nell’epoca dell’imperialismo o degli imperialismi che si combattono per la supremazia nel mercato mondiale, crisi, guerre e repressione degli oppositori sono inevitabili nel sistema dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Secondo un rapporto pubblicato il 27 aprile dall’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (Sipri) nel 2019 sono stati destinati alle spese militari nel mondo più di 1.900 miliardi di dollari, la cifra più alta, al

Le misure anticovid decise dal governo e dalle regioni aumentano ancor più le diseguaglianze sociali, in un paese che ha già milioni di poveri. Le varie frazioni della classe dominante, tramite i loro partiti di riferimento (sia di centro destra sia di centrosinistra), fanno finta di litigare, ma sono sempre pronti a unirsi quando il loro sistema di potere e di dominio scricchiola e vacilla sotto i colpi della crisi. Ecco che allora viene fuori l’interesse comune della classe borghese. Non è un caso che le spese militari decise dal governo sono votate da tutti i partiti di maggioranza e opposizione. I provvedimenti governativi e regionali, hanno colpito duramente solo gli strati proletari (alcuni stanno ancora aspettando la cassa integrazione da maggio) e la piccola borghesia, ma non hanno toccato quelli delle multinazionali, della finanza, delle grandi banche e hanno conservato tutti i privilegi della casta politica borghese, concedendo nuove agevolazioni alla Confindustria. La manovra del governo con il lockdown ha avuto conseguenze disastrose sulle condizioni di vita e di lavoro dei proletari ed è di una violenza inaudita. Si toglie ai poveri per dare

Rafforzato anche l’impegno in Libia con EuNavForMed-Irini, la missione al comando dell’ammiraglio Fabio Agostini che punta a garantire l’embargo sancito dall’Onu. L’Italia vi parteciperà con un contributo di 500 militari, un’unità navale e tre mezzi aerei, da aggiungere agli assetti (ancora pochi), messi a disposizione degli altri Paesi. La spesa militare italiana, nel 2020 è aumentata di oltre il 6% rispetto al 2019, ha superato i 26 miliardi di euro su base annua, equivalenti a una media di 72 milioni di euro il giorno. In base all’impegno preso nella Nato, essa dovrà continuare a crescere fino a raggiungere una media di circa 100 milioni di euro al giorno. Anche in tempi di pandemia c’è chi si arricchisce e chi muore di fame. Il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, l’aumento dei prezzi dei generi alimentari e delle tariffe dei servizi significa una riduzione del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni, alla sanità, il peggioramento alla scuola e ai servizi sociali che colpisce milioni di persone che già faticavano a mettere insieme il pranzo con la cena, agevolano solo gli sfruttatori. La ricchezza dei borghesi è frutto della no-

Michele Michelino

I nostri nemici sono in casa nostra e sono quelli di sempre: i padroni e i loro governi di centro destra e centrosinistra, politici e sindacalisti sul loro libro paga

stra miseria, non è possibile nessuna unità fra sfruttati e sfruttatori. La verità e che i nostri nemici sono in casa nostra e sono quelli di sempre: i padroni e i loro governi di centro destra e centrosinistra, giallo verde o giallo rossi insieme ai loro servi, politici e sindacalisti sul loro libro paga.

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Guerre e scontri nell’ex “spazio post-sovietico” Fabrizio Poggi Al momento di scrivere, non è chiaro quali sviluppi avranno gli avvenimenti, in continua trasformazione, nel cosiddetto “spazio post-sovietico”: dalla Kirgizija, alla Bielorussia, dal Tadžikistan alla Moldavia e, soprattutto al Caucaso settentrionale, dove lo scorso 27 settembre si è riacceso per l’ennesima volta il conflitto tra Armenia e Azerbajdžan sulla questione del Nagorno-Karabakh, che va avanti praticamente dal 1991. Dunque, non sappiamo quale sarà l’esito dell’“ultimatum popolare” che la Guaidò bielorussa, Svetlana Tikhanovskaja, aveva lanciato dal suo “esilio” lituano ad Aleksandr Lukašenko perché “se ne vada entro il 25 ottobre”: in caso contrario si darà inizio a uno “sciopero generale nazionale”. Un aut-aut, proprio alla maniera del Guaidò venezuelano: la “democrazia” avanza sempre a colpi di ultimatum. E i Servizi bielorussi hanno notizia di una provocazione (verosimilmente anche armata) che si starebbe allestendo in vista di quella scadenza. A partire dal voto del 9 agosto, che aveva dato l’80% dei consensi al bats’ka bielorusso, ma negato dalle “democrazie” occidentali, si è creato un alone di riconoscimento internazionale attorno all’ennesima “martire della libertà”, proprio come è stato a suo tempo per il Guaidò originale; si sono susseguiti incontri, sia “in presenza” che in “smart working” con cancellieri, presidenti, ministri tedeschi, francesi, slovacchi, bulgari, canadesi, polacchi, irlandesi, fino alle italiche macchiette “buoniste”, volate a omaggiarla fino a Vilnius, dove si sono accasati anche i leader del Fondo nazionalista “Dapamoga”(“Aiuto”).

Varsavia sogna Washington agisce Ma, chi e cosa c’è dietro i “lottatori contro l’ultimo dittatore d’Europa”? L’ex deputato del Soviet supremo dell’URSS, Viktor Alksnis, ricorda come, all’epoca dei movimenti “indipendentistici” baltici, a fine anni ‘80, la CIA avesse radunato a Cracovia ”i leader dei fronti popolari dei Paesi baltici, di Bielorussia, del “Rukh” ucraino, di Georgia, Moldavia, per dar vita a una Confederazione Baltico-mar Nero e creare un cordone sanitario attorno alla Russia, formalmente sotto egida polacca, in realtà sotto guida USA. Ora, la Bielorussia è l’unico ostacolo rimasto su tale percorso”. A Varsavia si vaneggia da tempo di resuscitare la settecentesca Confederazione, dal Baltico al mar Nero e dai Carpazi fin quasi alla russa Smolensk, ampliando il vecchio dominio su Bielorussia e Ucraina e in più, come pronostica l’americana StratFor, abbracciando Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania, fino Slovenia e Croazia. Vale a dire, il sogno polacco di sostituire la Germania, riottosa a sottostare al dominio yankee, quale avamposto USA in Europa. Finché Washington la lascerà sognare. Ora, di fronte all’ennesimo “majdan” in corso a Minsk, tutto questo va tenuto ben presente, ma non bisogna dimenticare le responsabilità dello stesso Lukašenko nel determinarsi di una situazione che ricorda quella precedente il golpe neo-nazista del 2014 in Ucraina: sia per il suo continuo zigzagare e flirtare ora con l’est, ora con l’ovest, sia per la situazione economico-sociale del paese. Ne sono esempi le privatizzazioni che, pur senza il furore selvaggio che ha caratterizzato la Russia, vanno avanti da anni; come pure la storia del “petrolio alternativo”, importato da Norvegia, USA, Azerbajdžan, Arabia Saudita, invece che dalla Russia, che si è risolto in un calo del 61,8%, per le casse statali, a causa della diminuzione del 38% dell’esportazione di derivati petroliferi rispetto al 2019. Nelle “alleanze” internazionali, Minsk continua a negoziare con USA e UE, segno del conflitto tra settori concorrenti del capitalismo bielorusso, orientati chi a est, chi a ovest; continua a partecipare ai programmi UE per lo spazio post-sovietico di “Partenariato orientale” e a sviluppare relazioni con la NATO nei vari pro-

grammi di “Partenariato per la pace”, “Parternariato e cooperazione individuale” e con gli USA per NED (National Endowment for Democracy) e USAID (United States Agency for International Development). Programmi che potrebbero poi significare basi militari USA e NATO nel paese. Intanto, lo scorso 22 agosto, Lukašenko aveva messo l’esercito in stato di massima allerta, per movimenti NATO in Polonia e Lituania e il giorno precedente aveva parlato di una “minaccia di intervento straniero” dai confini occidentali, con l’obiettivo di strappare la regione di Grodno, in alcune aree della quale si manifestava, così come anche a Minsk, con bandiere bianco-rosso-bianche e pro-polacche.

Le responsabilità di bats’ka

All’interno, secondo la russa, ROTFront, “la politica socioeconomica di Lukašenko si differenzia da quella russa solo per il fatto che i processi di privatizzazione e di aumento dei prezzi sono lenti e controllati dalle autorità. Il regime di Lukašenko è una forma di dittatura borghese; al pari dei suoi colleghi nello spazio post-sovietico, non è in grado di risolvere le principali contraddizioni sociali, così che matureranno presto i presupposti per un’esplosione sociale. La tragedia del vicino popolo ucraino è che il malcontento popolare è stato cavalcato da una fazione borghese, nel ruolo di marionetta USA. I lavoratori che avevano sinceramente protestato contro il regime di Janukovič, si sono rivelati pedine nelle mani di persone che non erano diverse. I lavoratori bielorussi rischiano di rinnovare il destino dei loro fratelli ucraini e di ridursi a carne da cannone, se si uniscono a chi manifesta per gli interessi dell’imperialismo straniero”. Un imperialismo che, in Bielorussia, sta agendo in maniera relativamente attenta: si è notato il tono “pacato” di molte capitali occidentali, che fanno di tutto per evitare un ulteriore avvicinamento di Minsk a Mosca. Il capitale, sia americano che tedesco, russo, francese, cinese o italiano, è in attesa che il ritmo e l’ampiezza delle privatizzazioni a Minsk assumano le dimensioni volute. Sanzioni di prammatica a parte, finora Washington, Berlino, Parigi, Bruxelles hanno puntato, a differenza del 2014 a Kiev, non su un golpe nazista violento, bensì sulla tattica dello “sciopero generale”. L’americanaThe American Conservative ha ammonito USA e UE ad agire con cautela e non ripetere i “passi sconsiderati della presidenza Obama” che, nel 2013-2014, aveva frettolosamente dichiarato “legittima” l’opposizione nazista in Ucraina. In generale, se non si vuol ripetere la storiella diffusa a destra e a (certa) sinistra, del dittatore da una parte e di tutto un popolo dall’altra, si dovrebbe analizzare chi rappresenti Lukašenko: quale classe o quali settori di classe, quali strati sociali siano espressi nella figura de “l’ultimo dittatore d’Europa”. Troppo facile e troppo comodo ripetere: là c’è un dittatore e di qua ci sono i milioni che subiscono la dittatura di quel singolo despota. Ci si deve domandare quali siano le classi in lotta, come siano strutturate, da chi siano rappresentate e, subito dopo, chiedersi quali direzioni possano assumere i diversi movimenti delle classi, a quali risultati possano portare, quali forze stiano dietro alle azioni di determinate “masse”. Basti ricordare la Russia del 1991, o la Libia del 2011, o la Siria: oggi come allora, i liberali blaterano di masse che “anelano alla libertà” da una parte e, dall’altra, una “dittatura” che priva i cittadini delle delizie del libero mercato. A Mosca ricordano come già Gautama Buddha, nel X millennio prima della nostra era, dicesse: “Nel gioco sociale, la classe che saprà convincere la società che i suoi ristretti interessi di classe sono generali, nazionali o anche umani universali, vince”. Così, in Bielorussia, la grande e media borghesia straniera, semi-straniera e compradora è riuscita a convincere una parte significativa della classe operaia e della piccola borghesia che i suoi interessi siano gli interessi dell’intero popolo.

Persino dall’Armenia si avvertono i bielorussi, perché, ciò che sta accadendo oggi a Minsk, come scrive Artur Danieljan, si è verificato due anni fa a Erevan: stesse “tecniche, stessa propaganda, idee, utilizzate oggi in Bielorussia. Ovviamente, c’era insoddisfazione, ma questa era alimentata da strutture ben determinate e, dopo il cambio di potere, gli oligarchi continuano ad arricchirsi a spese della popolazione”.

Il Caucaso

E, così come era accaduto nel 2018, anche oggi Erevan si trova di nuovo nella situazione di dover fronteggiare militarmente Baku, nel conflitto per il Nagorno-Karabakh, abitato da una forte maggioranza armena. E a nulla serve la mediazione di Mosca, anche perché la decisione finale sulla pace non dipende completamente dalle due capitali caucasiche e molto poco anche dalla Russia, quanto piuttosto dai soggetti che stanno alle spalle di azeri e armeni: più da quelli che spingono per l’inasprirsi del conflitto, un po’ meno da quelli che hanno ogni interesse a evitare, quantomeno, una sua estensione al di là dei confini del Caucaso ex-sovietico. In particolare, quella più direttamente interessata a evitare ogni escalation è Teheran, i cui confini settentrionali toccano sia l’Azerbajdžan che l’Armenia: il conflitto rischia infatti di coinvolgere la numerosissima popolazione di origini turche delle due province settentrionali iraniane: Azerbajdžan orientale (capoluogo Tabriz) e Azerbajdžan occidentale (capoluogo Urmia). Tabriz dista appena 150 km dalla Repubblica autonoma di Nakhičevan (enclave azera in territorio armeno: confina con la Turchia, ma non con l’Azerbajdžan) dove stanziano tuttora numerose truppe turche. I Guardiani della rivoluzione iraniani si sono espressi per una soluzione pacifica in Artsakh, ritenendo che una “escalation del conflitto tra Azerbajdžan e Armenia non sia altro che un tentativo di organizzare una sollevazione americano-sionista nell’intera regione”. Dalla parte dell’Azerbajdžan, oltre ai massicci aiuti diretti di Ankara e Tel Aviv (ma le armi arrivano sia a Erevan che a Baku un po’ da tutti: Russia, Turchia, Israele, Ucraina, Bielorussia, USA, Gran Bretagna, ecc.) partecipano apertamente alla guerra raggruppamenti terroristici islamisti che Ankara fa affluire dalla Siria e dalla Libia. A questo proposito, il portavoce presidenziale russo Dmitrij Peskov ha detto che gli impegni della Russia nel quadro del Trattato per la sicurezza collettiva “non si estendono al Karabakh”; ma sembra che la presenza di terroristi stranieri potrebbe mutare la situazione. Anzi, da varie parti si punta proprio a un riconoscimento della Repubblica di Artsakh quale territorio armeno, il che potrebbe far scattare l’intervento dei paesi che fanno parte del Trattato: un passo cui però difficilmente Mosca acconsentirà.

Ankara, Tel Aviv, Teheran

All’apparenza un po’ più defilato sembra per ora rimanere Israele, cui peraltro uno scenario con Tabriz e Urmja sotto controllo turco offrirebbe maggiori possibilità nei confronti dell’Iran, tant’è che Tel Aviv mantiene stretti rapporti con Baku. Il controllo sull’Azerbajdžan fa infatti gola a molti, a partire da Ankara, che mira non solo alle risorse energetiche azere, ma ha in serbo piani regionali più vasti. Ruben Zargarjan, consigliere del Ministero degli esteri della Repubblica di Artsakh (Karabakh) ipotizza che Baku, muovendo guerra al Nagorno-Karabakh, abbia avviato un meccanismo che potrebbe infine condurre a un “Anschluss” turco dell’Azerbajdžan. Già oggi “consiglieri” turchi coordinano l’esercito azero e, dal 2016, alti ufficiali turchi detengono posizioni di rilievo al Ministero della difesa a Baku. Se il Nagorno-Karabakh cadesse in mano azera, afferma Zargarjan, si avrebbero “fuga in massa della popolazione armena, introduzione di forze ONU e, secondo il modello Kosovo, gli armeni rimasti subirebbero una

Nel Caucaso sotto il tallone imperialista c’erano divisioni, conflitti, massacri. Poi venne la Rivoluzione d’Ottobre e l’Unione Sovietica. Ma, dopo, venne il 1991, e poi... le “rivoluzioni colorate” pulizia etnica sotto la supervisione dei caschi blu. Poi, quando Turchia, Azerbajdžan e Armenia si fossero indebolite al punto giusto, arriverebbe il “mantenimento della pace” USA sotto auspici NATO o ONU e il controllo sul confine iraniano non verrebbe ceduto né a Baku, né a Ankara”. Poi, sia che rimanga Il’kham Aliev, o che venga sostituito, si avranno basi turche in territorio azero, in competizione con quelle yankee e Aliev sarà il “vassallo di un vassallo”: riceverà istruzioni su quanto obbedire ad Ankara e quanto a Washington, che metterà sotto controllo tutte le fonti azere di petrolio e gas, i porti e gli oleodotti del Caspio. Così, l’Europa riceverà il gas azero alle condizioni statunitensi e l’Iran avrà un altro focolaio di minacce ai confini settentrionali. Inoltre, dato che la caduta dell’Armenia sarà una conseguenza della caduta del Nagorno-Karabakh e non per un attacco militare diretto, la Russia non avrà moventi per un intervento militare nel quadro del Trattato di sicurezza collettiva. Ankara chiederà la spartizione dell’Armenia, ma USA e Francia non lo permetteranno, dato che hanno bisogno di un contrappeso alla Turchia nel Caucaso.

Il vuoto post-sovietico

Il politologo russo Dmitrij Evstaf’ev, si è detto turbato dalle dichiarazioni di Aliev alla CNN: “ho visto un uomo spaventato; non sa cosa fare. Ho l’impressione che dipenda molto pericolosamente da coloro che ha invitato: radicali turchi e islamisti”. Stiamo tralasciando ciò che “succede nell’area del mar Caspio”, ha detto Evstaf’ev; “guardate cosa stanno facendo gli americani nel Vicino e Medio Oriente. Praticamente in due mesi, sotto la copertura dei discorsi sul ritiro delle truppe dal Medio Oriente, hanno quasi completato il perimetro di isolamento dell’Iran. E non escludo che il nostro meraviglioso partner Erdogan stia preparando il salto per lui più importante: dalla costa occidentale a quella orientale del Caspio. Perché Erdogan agisce sempre in base al principio di riempire il vuoto: un vuoto che noi stessi abbiamo creato distruggendo l’URSS; un vuoto che, sulla costa orientale del Caspio, si chiama Turkmenija, Kazakhstan, Uzbekistan” ecc. Nel 1923, Stalin affermava che, oltre allo sciovinismo grande-russo e alla “ineguaglianza di fatto tra le nazioni, che abbiamo ereditato dal periodo zarista”, il terzo “fattore che ostacola l’unificazione delle repubbliche in un’unica unione è il nazionalismo nelle singole repubbliche... La NEP e il capitale privato a essa associato nutrono, coltivano il nazionalismo georgiano, azero, uzbeko ecc.”; lo sciovinismo “mina l’uguaglianza delle nazionalità sulla cui base è costruito il potere sovietico ... La Transcaucasia fin dai primi tempi fu un’arena di massacri e di contese, e poi, sotto il governo menscevico e i dašnaki, un’arena di guerre: la guerra georgiano-armena... massacri in Azerbajdžan, massacri di tatari per mano armena a Zangezur, massacri di armeni per mano tatara in Nakhičevan”; tutto ciò, “prima della liberazione... dal giogo imperialista”. Sotto il tallone imperialista, nel Caucaso c’erano divisioni, conflitti, massacri. Poi venne la Rivoluzione d’Ottobre e venne l’Unione Sovietica. Ma, dopo, venne il 1991 a Mosca, e poi vennero le “rivoluzioni colorate” a Tbilisi, Baku, Erevan...


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Notizie in breve dal mondo - ottobre Londra, Inghilterra 6 ottobre

nella UE e 170.000 vittime. Secondo il redattore dello studio, Luigi Ricciardiello “la diagnosi precoce del tunore è cruciale perché lo rende più facile da trattare e quindi migliora l’esito clinico della malattia”.

Nelle scuole inglesi non si potranno più usare materiali che ‘invochino’ la fine del capitalismo. Secondo quanto stabilito dal Governo, “diventerebbe così illegale anche riferirsi a grandi capitoli della storia del socialismo britannico, del Partito Laburista e del sindacalismo”, afferma il parlamentare laburista John McDonnell. Così gli studenti inglesi non potranno più leggere né William Goodwin (uno degli ispiratori del Romanticismo inglese, considerato un anarchico ante litteram, n.d.t.), né Jean-Paul Sartre o Noam Chomsky, tra altri.

Strasburgo, Francia 7 ottobre

6 anni dopo …la Corte Europea per i Diritti Umani (TEDH) condanna la Spagna per le violenze poliziesche occorse durante una manifestazione pacifica a Valladolid nel 2014, che provocarono la “incapacità permanente” di una manifestante. I giudici hanno deciso che la Spagna ha violato l’art.11 – “libertà di riunione e associazione” – della Convenzione europea sui diritti umani. La querelante, Montserrat Laguna Guzmán che si è rivolta a Strasburgo perché il Tribunale spagnolo non ha ammesso il suo ricorso, fu colpita da un manganello e portata in ospedale con ferite alla testa, alla bocca e ad una mano. La manifestazione era stata indetta nel febbraio 2014 contro i tagli di bilancio e la disoccupazione. Secondo la Corte Europea “la manifestazione spontanea era pacifica fino a che la polizia cominciò a disperderla”.

Atene, Grecia 7 ottobre

Il Tribunale d’Appello di Atene, dopo 5 anni di processo, dichiara oggi il partito neonazista Alba Dorata “organizzazione criminale”. All’unanimità i giudici hanno ritenuto colpevole AD di aver ordinato a membri e simpatizzanti di compiere intimidazioni e assassinii contro gli avversari, come l’assassinio di pescatori del porto del Pireo nel 2012 e altri contro membri del sindacato Fronte Militante di Tutti i Lavoratori (PAME) nel 2013, oltre ad attacchi sistematici contro i migranti. Condanna anche per l’assassinio del rapper Pavlos Fyssas. Il Tribunale non ha ancora reso pubbliche le pene. Circa 15.000 persone si sono riversate nelle strade per celebrare la sentenza, ma la manifestazione antifascista è terminata con cariche della polizia, che ha usato anche gas lacrimogeni e cannoni ad acqua.

Parigi, Francia 8 ottobre

Pubblicato uno studio di Medici senza Frontiere (MSF) e dell’Istituto Pasteur nella regione parigina sui padiglioni d’emergenza approntati per il Covid-19: sarebbero “una delle peggiori idee” per contenere il virus; il rischio di contagio si moltiplica esponenzialmente a causa dell’affollamento e della condivisione di bagni e cucine. Lo studio è stato effettuato osservando 818 persone ripartite in due punti di distribuzione degli alimenti, due alberghi per lavoratori e dieci centri di alloggio di emergenza. In alcuni di questi luoghi l’incidenza del virus è arrivata al 94%. L’obiettivo di questa inchiesta, prima realizzata in Europa, era valutare il tasso di infezione per Covid in una popolazione vulnerabile che sperimenta “difficoltà estreme”. La differenza rispetto all’indice di contagio nell’area metropolitana di Parigi è abissale: solo 1 su 10 persone ha contratto il virus.

Santa Cruz, Bolivia 10 ottobre

Alla commemorazione avvenuta in questa città dei soldati boliviani morti negli scontri con la guerriglia del Che, la presidente de facto della Bolivia Jeanine Áñez ha affermato che negli ultimi anni il paese ha affrontato “un nemico in casa” – riferendosi ad Evo Morales – e che “qualsiasi straniero, che sia cubano, venezuelano, argentino che causerà problemi troverà la morte”. Ha proseguito dicendo che “la lezione che noi boliviani abbiamo dato al mondo con la sconfitta e la morte del Che Guevara in Bolivia è che la dittatura comunista qui non ha posto”. Invece Evo Morales, il legittimo presidente riparato in Argentina dopo il golpe di Stato, ha ricordato così il Che: “Gli ideali per cui egli ha lottato sono sempre vivi”.

Bogotà, Colombia 10 ottobre

Rimesso in libertà dal Tribunale l’ex presidente Alvaro Uribe. Era agli arresti domiciliari dall’inizio di agosto per un caso di frode processuale e manipolazione di testimoni. Secondo la Corte Suprema, Uribe aveva cercato di corrompere ex-paramilitari perché dichiarassero falsamente che la creazione di un gruppo paramilitare era da addebitarsi non a lui ma al senatore di sinistra Ivan Cepeda, uno dei suoi più accaniti antagonisti. Gli avversari politici di Uribe ritengono probabile che la giustizia userà un occhio di riguardo per l’ex narco-presidente, visto che il procuratore generale, Francisco Barbosa, è un caro amico dell’attuale presidente Ivan Duque, il delfino politico di Uribe.

Damasco, Siria 11 ottobre

Alcuni mezzi di comunicazione riferiscono che la rapina di

Washington, USA 12 ottobre

idrocarburi appartenenti al paese da parte degli USA continua. Nella provincia di Hasaka è stata scoperta una carovana di 20 camion cisterna carichi di petrolio che si dirigevano verso la frontiera con l’Iraq, in località Al Walid. Damasco ricorda inoltre che i militari statunitensi, insieme ad effettivi delle cosiddette Forze Democratiche Siriane, estraggono illegalmente tonnellate di petrolio nella zona di Al Jazira e nelle province di Raqqa e Deir Ezzor. Continua anche l’entrata nel paese - almeno due volte la settimana - di equipaggiamento militare e logistico per le 13 basi USA in quelle zone.

Il Cairo, Egitto 12 ottobre

Cominciano le prime gare di appalto per impadronirsi delle aziende statali egiziane, dopo che il governo ha approvato il 5 settembre una nuova legge che apre la porta ad una ondata di privatizzazioni che vedrà la liquidazione del 40% dello storico settore pubblico. Passeranno per ora ai privati una società pubblica che gestisce gli spettacoli di suoni e luci presso la piramide di Giza e una compagnia ferroviaria.

Europa 12 ottobre

Durante la settimana (virtuale) di riunione della United European Gastroenterology (UEG Week Virtual 2020 e in base ad uno studio dell’Università di Bologna, viene riferito che i morti per tumore al colon in Europa sono cresciuti dell11,9%. Si tratta della stima dei ritardi nei programmi di screning per la prevenzione dovuti al Covid-19. Il cancro del colon-retto è il secondo per gravità tra le malattie oncologiche in Europa con 375.000 nuovi casi ogni anno

MEMORIA La Higuera, Bolivia 8/9 ottobre 1967 Ernesto Che Guevara viene catturato l’8 ottobre e ucciso il giorno dopo. Ma, come disse Fidel, “Perché pensano che uccidendolo avrebbe cessato di esistere come combattente? Oggi è in ogni luogo, ovunque ci sia una giusta causa da difendere. Il suo marchio indelebile è ormai nella storia e il suo sguardo luminoso di un profeta è diventato un simbolo per tutti i poveri di questo mondo”. Con lui muoiono altri 5 suoi compagni, che vogliamo ricordare: Alberto Fernández Montes de Oca (Pacho) - cubano, ucciso in azione a Quebrada del Yuro l’8 ottobre 1967. Orlando Pantoja Tamayo (Olo) - cubano, ucciso in azione a Quebrada del Yuro l’8 ottobre 1967. René Martínez Tamayo (Arturo) - cubano, ucciso in azione a Quebrada del Yuro l’8 ottobre 1967. Juan Pablo Navarro-Lévano Chang (El Chino) - peruviano, catturato e giustiziato a La Higuera il 9 ottobre 1967. Simeon Cuba Sarabia (Willy) - boliviano, catturato e giustiziato a La Higuera il 9 ottobre 1967. Il 17 ottobre 1997 i resti del Che e dei suoi compagni torneranno a Cuba, accolti da centinaia di migliaia di persone. Tra il 1997 e il 2000 gli antropologi forensi cubani ritroveranno i resti di altri 30 guerriglieri morti in Bolivia, argentini, boliviani e peruviani. Dormono tutti nel Mausoleo di Santa Clara.

Durante il mese di ottobre è cominciato negli USA l’anno fiscale 2021 e il relativo bilancio, che però non è stato approvato dal Congresso visto che, in piena emergenza Covid 19, prevede pesanti tagli al settore sanitario, all’educazione, al lavoro e all’ambiente. Dei 19 capitoli che lo compongono, 15 saranno tagliati rispetto al 2020. Dall’altro lato il Dipartimento della Difesa riceverà non solo l’assegnazione più grande ma anche un aumento di 1.200 milioni di dollari rispetto allo scorso anno. Alle varie voci del settore militare - quello chiamato complesso militare/industriale - andrà un totale di 705.400 milioni. Anche la Sicurezza Nazionale vedrà aumentato il suo bilancio, così come l’Amministrazione Nazionale dell’Aeronautica e dello Spazio (la NASA). Invece al Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani - che si occupa dei servizi sanitari pubblici - verranno assegnati 10.000 milioni di dollari in meno, nonostante il permanere della pandemia. Si calcola che siano circa 5 milioni gli statunitensi che hanno perso, oltre al lavoro, l’assicurazione sanitaria. 30 milioni di cittadini non dispongono di assistenza sanitaria e a loro vanno aggiunti circa 11 milioni di immigrati senza documenti.

Londra, Inghilterra 14 ottobre

Causa di appello perché il governo venezuelano rivuole il possesso di circa un miliardo di dollari in oro depositati presso la Banca d’Inghilterra e sequestrati: il tribunale infligge un duro colpo ai governi britannico e statunitense. Se in prima istanza il tribunale aveva riconosciuto il possesso dell’oro all’auto-nominato Juan Guaidò, ora la corte di appello, presieduta dal giudice Stephen Males, afferma che tale giudizio va riconsiderato perché “le dichiarazioni del governo su Guaidò potrebbero non aver rispecchiato la realtà sul terreno”. Inoltre il riconoscimento del presidente-fantoccio da parte del Regno Unito “è, a mio avviso, tutto meno che inequivocabile”.

Londra, Inghilterra 14 ottobre

Il quotidiano The Guardian pubblica oggi un articolo su come la Monsanto, oggi di proprietà Bayer, operava per screditare i giornalisti che scrivevano la verità sui suoi prodotti. Uno degli obiettivi è stata la corrispondente della Reuters Carey Gillam che, nel corso degli annni, ha scritto una serie di articoli sul micidiale erbicida Roundup. Secondo The Guardian, Monsanto ha pagato anche Google perche organizzasse i risultati delle ricerche sulla società. La società ha anche fatto àgrandi pressioni sulla Reuters perché cessassero gli articoli. Sempre secondo il quotidiano, Monsanto aveva una lista di 200 nomi tra giornalisti e legislatori di cui operava per guadagnarsi l’influenza. Queste attività, tra molte altre, sono venute alla luce durante i processi contro l’uso del mortifero Roundup. La società è stata dichiarata colpevole in tre casi, e sono 11 mila quelli pendenti. Il glifosato, catalogato dallo Stato della California come cancerogeno e probabile cancerogeno dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell’Organizzazione Mondiale della Salute, viene usato in almeno 70 coltivazioni negli USA, tra cui vegetali, frutta e frutta secca, oltre ad essere sparso su coltivazioni come l’avena e il grano.

New York, USA 12 ottobre

L’ONU mette in guardia sull’aumento drammatico dei disastri ‘naturali’ negli ultimi 20 anni, circa 7.340, che sono costati la vita a 1, 23 milioni di persone, hanno colpito circa 4.300 milioni di persone e provocato perdite economiche per circa 2,97 bilioni di dollari. I disastri più numerosi si sono verificati in Cina (577) e negli USA (467). Il continente più colpito è l’Asia. Debarati Guha-Sair, del Centro di Epidemiologia dei disastri dell’Università di Lovanio (Belgio) che ha preparato le statistiche per il rapporto ONU, ha detto: “Se questo livello di crescita dei fenomeni meteorologici estremi continurerà per i prossimi 20 anni, il futuro dell’umanità sembra molto fosco”.

Londra, Inghilterra 15 ottobre

Durante l’assemblea annuale del Trade Union Congress (TUC la sigla in inglese), che rappresenta circa 6 milioni di lavoratori è stata adottata, per la prima volta, una mozione che esprime solidarietà alla lotta del popolo palestinese per il diritto all’autodeterminazione e condanna l’occupazione e le politiche espansioniste del governo israeliano, chiedendo anche la fine della complicità del governo britannico. Il TUC si impegna anche a “comunicare la sua decisione a tutte le altre centrali sindacali nazionali ed europee e a invitarle ad unirsi alla campagna internazionale per fermare l’annessione e mettere fine all’apartheid”.


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Recovery fund, Unione europea e padroni italianissimi: montagne sulle spalle della popolazione Pacifico In questi mesi di arresti domiciliari forzati generalizzati per tutta la popolazione, e contestuale liberazione dei boss mafiosi dal 41 bis voluta dal ministro Bonafede che, al contrario, si faceva fotografare qualche tempo fa con Cesare Battisti come un vecchio cacciatore di taglie del Far west e il cui partito si è sempre reso protagonista di campagne elettorali manettare e giustizialiste, abbiamo, tra le altre cose, assorbito l’assordante e intollerabile retorica circa l’Unione Europea, dipinta, ancora una volta e nonostante tutto, come madre benevola che salva l’Italia per mano o di politici fedeli e votati alla causa, o di esperti e tecnici a volte bocconiani, che tengono alla larga populisti e “sovranisti” che, al contrario vogliono riportare l’Italia alla miseria e privare gli italiani del benessere di cui godono soprattutto dal quel benedetto 1992 in poi. In particolare vorrei concentrarmi sul fondo europeo messo in campo recentemente conosciuto come Recovery Fund. Da un punto di vista letterale il Recovery Fund è un fondo di recupero. Più nel dettaglio possiamo dire che si tratta di un fondo costituito ad hoc con lo scopo di emettere obbligazioni, cioè i famosi Corona o Recovery Bond, emessi sul mercato borsistico che avranno garanzia del bilancio europeo. Il Recovery Fund porta con sé diverse novità, rispetto agli eurobond, tra cui il fatto che il rischio condiviso sarebbe quello sul futuro e non si cancellerebbero i debiti passati. Tuttavia una parte (comunque minoritaria rispetto al totale) del Recovery Fund non sarebbe debito, ma sarebbe a fondo perduto però con condizionalità attivabili che legano l’utilizzo dei fondi che arriverebbero al massimo entro un anno (in Europa quando si tratta di “aiutare” non hanno fretta). Queste condizionalità sono del tutto simili alle famigerate raccomandazioni della Commissione Europea. Occorre ricordare che i soldi in più che l’Italia riceverà a fondo perduto equivalgono a quelli in più (rispetto a quelli ricevuti) che ha versato nelle casse comunitarie solo negli anni 2014-2018 (ma l’Italia è creditore netto del bilancio UE da molto prima).

Riforme antipopolari Tra le raccomandazioni che la Commissione ha rivolto all’Italia negli ultimi anni c’è anche quella di attuare pienamente le passate riforme pensionistiche con l’obiettivo di ridurre la spesa e i pensionamenti anticipati. Come si legge anche nei giornaloni generalisti e coerentemente con quanto si assiste dal 1992, quello della Commissione è un messaggio chiaro: abbandonare subito Quota 100 e tornare rapidamente alla riforma Fornero. Del resto, il caso delle pensioni anticipate italiane era stato evocato ripetutamente dai Paesi “frugali”, il gruppo composto da Paesi Bassi, Austria, Danimarca e Svezia, che si era opposto all’Italia durante tutta la durata del Consiglio europeo. L’accordo sul Recovery fund prevede che uno o più Paesi, nel caso in cui valutassero il mancato rispetto di importanti obiettivi, possono chiedere al Presidente del Consiglio europeo di rimettere la discussione sul punto o sui punti controversi alla prossima riunione del Consiglio europeo. Il procedimento può durare fino a tre mesi. Nel frattempo ogni pagamento verrà bloccato in attesa della decisione del Consiglio. Il governo italiano, con la scusa di mantenere fluido il flusso dei fondi comunitari, probabilmente abolirà Quota 100 (fonte Domenico Moro sul sito www.laboratorio-21.it). In altri parole, il Recovery fund si tradurrà nell’imposizione di nuove controriforme neoliberiste, a partire da un nuovo taglio alle pensioni. Infatti, il Recovery fund implica che, per avere diritto alla riscossione dei fondi messi a disposizione dalla Commissione europea, il Paese richiedente debba presentare un piano che evidenzi come intendere spendere quei soldi. In particolare, nel punto A 19 delle conclusioni del Consiglio europeo sul Recovery fund (21 luglio 2020), si prevede che il piano debba basarsi in primo luogo sulle raccomandazioni specifiche che ad ogni singolo Paese sono state rivolte della Commissione stessa. Solo se il piano sarà coerente con tali raccomandazioni i fondi previsti dall’accordo saranno erogati (fonte Guido Salerno Aletta su Milano Finanza). Occorre ricordare a tutti gli europeisti incalliti e integralisti che il principio di solidarietà non è alla base dei Trattati. Alla base dei Trattati c’è la competizione tra Paesi, a sua volta imperniata sul dumping sociale e sul dumping fiscale (meno diritti per i lavoratori e meno tasse per le imprese). Come noto, una parte dei frugali è specializzato in particolare nel secondo tipo di dumping, e quindi riesce ad appropriarsi di parte del gettito fiscale altrui (moltissime grandi imprese italiane approfittano di questa opportunità, in barba al patriottismo e

ai tricolori sui balconi). Le condizionalità sono un ricatto, che mira ad espropriare il nostro paese della possibilità di praticare una politica economica autonoma (fonte Vladimiro Giacchè www.sinistrainrete.info). Se si fa un passo nel passato le raccomandazioni della Commissione rivolte specificatamente ai singoli Paesi hanno riguardato, oltre che la richiesta di riduzione della spesa pubblica, anche i tagli a pensioni, sanità, salari, diritti dei lavoratori e sussidi per disoccupati e persone disabili. In particolare, tra 2014 e 2018, sono state rivolte agli Stati UE 105 raccomandazioni per l’incremento dell’età pensionistica e la riduzione della spesa pensionistica, 63 raccomandazioni per i tagli alla spesa sanitaria o per la privatizzazione della sanità, 50 raccomandazioni per la soppressione di aumenti salariali, 38 raccomandazioni per la riduzione della sicurezza del lavoro e dei diritti di contrattazione dei lavoratori, e 45 raccomandazioni per la riduzione dei sussidi a disoccupati e persone disabili. Tutte le volte che il vincolo esterno ha determinato le politiche italiane, le condizioni delle classi più povere sono peggiorate anziché migliorate. Anche il Recovery fund imporrà al nostro Paese condizionalità che saranno pagate amaramente in primo luogo dai lavoratori e dal ceto medio proletarizzato. La gabbia europea imporrà l’attacco anche su prima casa e piccolo risparmio. Infatti, la liquidità degli italiani continua a salire, come ha spiegato Bankitalia nel suo bollettino relativo a maggio. I depositi del settore privato sono infatti cresciuti del 7,5% su base annua, a fronte del +6,8% di aprile. I soldi parcheggiati sui conti correnti negli ultimi tre anni, 121 miliardi, valgono più del Piano Marshall. La liquidità nei portafogli delle famiglie italiane è aumentata di 34,4 miliardi di euro nei tre mesi più neri dell’epidemia (da febbraio ad aprile), una cifra quasi uguale al valore del Mes per l’Italia, a queste risorse si debbono aggiungere i 121 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva accumulata negli ultimi tre anni, prima dell’esplosione dell’epidemia (+8,4% in termini reali nel triennio), una cifra pari a nove volte le risorse del Piano Marshall destinate all’Italia per la ricostruzione del dopoguerra rapportate ai valori attuali (fonte: Elena Del Maso su Milano Finanza del 9/7/2020). Non sembrano numeri da paese povero che ha necessità di farsi ricattare da Enti Internazionali, tuttavia questi numeri fanno gola alle banche tedesche e francesi piene di crediti deteriorati e che vorrebbero attirare il risparmio italiano presso di sé facendo leva sul terrore circa la tenuta e la sostenibilità del debito pubblico. L’Italia, nel complesso, è un paese ricco, tuttavia la ricchezza è molto malamente distribuita e ripartita. Ma su questo torniamo dopo.

Recovery Fund e condizioni Il Recovery Fund prevede condizioni politiche precise, cioè ri-

forme vigiliate da vicino, come ammette anche il Filo Europeista Fubini sul Corriere della Sera (quello che nel 2019 disse a proposito delle politiche UE per la Grecia: “Non ho voluto scrivere che dopo la crisi sono morti 700 bambini in più: sarebbe clava per gli antieuropei”. Insomma, rispetto al MES, la differenza sta nella quantità di soldi assai maggiore e nel fatto che qui non vi sono verifiche puntuali sulla sostenibilità del debito, tuttavia le condizioni capestro di stampo ordo liberista restano. Ricordo che rispetto a quanto l’Italia paga come contributore UE, meno riceve: l’Italia è sempre stata contributrice netta al bilancio europeo, e rimanendo tale anche nel prossimo settennio, all’Italia non serve un programma che peggiora ulteriormente il suo saldo finanziario nei confronti dell’Unione. Anche i prestiti previsti dal Recovery Fund sarebbero stati costosissimi per via del pesante squilibrio previsto tra i contributi comunque versati e le erogazioni ricevute a fondo perduto. Inoltre il nostro Paese non ha mai ricevuto sconti di sorta, cosa di cui hanno sempre beneficiato i cosiddetti Paesi frugali (che, tolta la Germania hanno un PIL molto inferiore al nostro) e che si sono visti aumentare con il recente accordo. Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Austria e Svezia riceveranno quindi oltre 50 miliardi di euro di sconti in sette anni. Molto umani loro, i frugali con i soldi altrui. Con le nostre tasse, andremo a pagare per farci condizionare su politiche che si dimostreranno mortali per la classe lavoratrice e le masse popolari. Questo spiega l’Europeismo diffuso tra la classe finanziaria e imprenditoriale italiana, che, tramite i media controllati da Cairo, De Benedetti, Berlusconi (le cui imprese, come la quasi totalità delle imprese italiane, ha sede fiscale e legale - sorpresa sorpresa - proprio nei Paesi Bassi), come un uomo solo gridano a pieni polmoni assordante propaganda filo europeista. Ma quello che va bene per loro, non andrà mai bene per noi. Il capitale italiano e Confindustria premono per l’accettazione da parte del governo del Recovery Fund (e del MES). Sperano in una pioggia di denaro che possa aiutare un sistema che era già in crisi prima che la pandemia la facesse venire alla luce, aggravandola nel modo più drammatico. Intanto, il presidente di Confindustria, Bonomi, chiama i sindacati principali alla collaborazione per il rilancio dell’economia. Lui sa benissimo che il rientro dal debito prima o poi verrà messo in atto, perché sa che sarà pagato dai lavoratori e dai disoccupati italiani ed europei, non dai padroni. Ancora una volta si dimostra che quella dell’euro e della UE è una gabbia che favorisce il capitale e contribuisce a tenere sotto scacco i lavoratori. Una delle battaglie da fare è quella finalizzata all’unità di classe per la riduzione dell’orario di lavoro e la sua redistribuzione a parità di salario, fine del precariato e ripristino dell’art. 18 per


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Ernesto Guevara: “Tutti questi concetti di sovranità politica, di sovranità nazionale sono fittizi se non c’è, accanto ad essi, l’indipendenza economica. La sovranità politica e l’indipendenza economica vanno di pari passo. Se non c’è economia propria, se si è dominati dal capitale straniero, non si può essere liberi dalla tutela del paese dal quale si dipende tanto meno si può fare la volontà del paese se questa urta contro i grandi interessi della nazione che lo domina economicamente [...] I capitali stranieri non si muovono per generosità, non si spostano per fare un nobile

gesto di carità, non si muovono né si mobilitano per il desiderio di affratellare i popoli. Il capitale straniero si muove solo per il desiderio di aiutare se stesso. Il capitale privato straniero è l’eccedente in un paese che si trasferisce in un altro allo scopo di ottenere guadagni maggiori. Quello che muove il capitale d’investimento privato straniero non è la generosità, ma il guadagno”.

tutti, infatti su questo vi è sempre una levata di scudi anche dei padroni piccoli o grandi che siano (nonché delle sinistre fucsia-arcobaleno diritto-umaniste), che hanno il coraggio di lamentare il mancato flusso degli emigrati dell’est per la raccolta (indicativo per dirci a chi giova realmente l’immigrazione, o meglio, la deportazione di massa degli stranieri) e che chiedono il ripristino dei voucher per compensare i posti lasciati vacanti con i tanti italiani che, complice il lockdown, non hanno più reddito e si lascerebbero sfruttare più di prima.

Un po’ di numeri Il quadro ci dimostra che l’Europa non sembra decisa a sostenere l’economia in difficoltà, la Commissione europea sta già pensando a ripristinare i vincoli del Patto di stabilità (deficit al 3% e debito al 60%), come dichiarato più volte dal vice presidente della Commissione Europea Dombrovskis. Non si capisce come si possa pensare a questo dinanzi alla crisi più grave dal 1929, con un PIL che crollerà di oltre il 10% nell’area euro e del 12,8% in Italia. Si prevede che il debito italiano salirà al 160% e il deficit a oltre l’11% nel 2020. Altro che ristabilire le regole del Patto nel 2021. Ci vorranno molti anni solo per recuperare i livelli di produzione del 2019, sempre che li si recuperi. Ricordiamo che nel 2019 il PIL non aveva neanche recuperato completamente dalla precedente crisi del 2008. Pensare a una strategia e di uscita dalla UE e dall’euro è sempre più necessario. Non possono non aprirsi gli occhi sulla frase riportata sopra di Rosa Luxemburg. Ancora oggi, dopo un secolo, l’Europa altro non è che un’arena fra Paesi concorrenti che facendosi guerre non guerreggiate con soldati e armamenti, non rinuncia alla lotta per la prevalenza usando strumenti economici (vuoi i ricatti sul debito pubblico, vuoi vincoli invalicabili circa gli aiuti di Stato rendendo impossibile la creazione di un’industria nazionale). L’Europa è una cloaca ove viene alimentata la diffidenza e la mancanza di solidarietà fra i suoi cittadini. Paesi del nord contro quelli del Sud spendaccione volgarmente chiamati PIGS (anche si in questi PIGS il monte ore lavorate è assai maggiore rispetto a quelli presi a “modello” anche dalla nostra classe dirigente, soprattutto a marca PD). Gli esempi della Grecia e del comportamento dei francesi sul caso libico e della sua concorrenza con l’Eni italiana sono paradigmatici. Tuttavia, in divergenza con i sovranisti, occorre far luce sul fatto che è difficile parlare di Italia come Paese semi coloniale e semi periferico, visto che, se andiamo a guardare la bilancia dei pagamenti, cioè lo stato delle transazioni (di merci, servizi, redditi da lavoro e da capitale e trasferimenti correnti) dei residenti di un paese col resto del mondo, si osserva che il surplus di conto corrente nei dodici mesi terminanti a marzo 2020 è stato di 57,7 miliardi di euro (il 3,2% del PIL), migliorato ulteriormente rispetto al corrispondente periodo del 2019, grazie soprattutto all’aumento dell’avanzo mercantile (da 46 a 62,3 miliardi di euro), fonte Banca d’Italia. Solo la Germania in Europa fa meglio dell’Italia con +7,13%. Nell’insieme dell’economia tra 2001 e 2018 le imprese oltre i 500 addetti, pur essendo appena lo 0,1% del totale, sono passate dal 21,2% degli addetti al 22,8%. Ci sono però due considerazioni da fare. La prima è che nell’insieme delle imprese ci sono settori che non sono tipicamente parte della

È in distribuzione il documento Covid-19: “coronavirus” da un punto di vista di classe Crisi economiche, ristrutturazioni produttive, limitazione dei diritti sociali, salute e sicurezza, ambiente: l’uso capitalista della pandemia e le prospettive di lotta per una società socialista

Rosa Luxemburg: “L’idea degli Stati Uniti d’Europa come condizione per la pace potrebbe a prima vista sembrare ad alcuni plausibile, ma a un esame più attento non ha nulla in comune con il metodo di analisi e con la concezione della socialdemocrazia. (...) noi abbiamo sempre sostenuto l’idea che i moderni stati, al pari delle altre strutture politiche, non siano prodotti artificiali di una fantasia creativa, come ad esempio il Ducato di Varsavia di napoleonica memoria, ma prodotti storici dello sviluppo economico. Ma qual è il fondamento economico alla base dell’idea di una federazione di Stati europei?

produzione capitalistica e sono caratterizzati da piccole dimensioni, come il piccolo commercio e l’artigianato, che in Italia resistono meglio che altrove. La seconda è che nel modello italiano di struttura imprenditoriale, le micro, piccole e medie imprese spesso sono parte di gruppi o comunque subalterne e fornitrici mono cliente di imprese più grandi per cui i loro interessi sono legati alla grande impresa nazionale e no. È molto ampia la presenza di imprese che hanno rapporti di commessa o di subfornitura. Nel settore della manifattura, nel periodo della crisi, tra 2008 e 2017, si è svolto un processo di forte concentrazione. Le imprese più grandi, al di sopra dei 250 addetti, pur essendo lo 0,3% del totale, passano dal 32,6% al 39,7% del valore aggiunto complessivo e dal 26,8% al 30,7% dei dipendenti complessivi. Nel settore finanziario notiamo che Mediobanca, la principale banca d’affari italiana, continua a svolgere un ruolo importante, infatti vi partecipano alcune tra le famiglie di industriali più importanti in Italia (Berlusconi, Benetton, Gavio, Doris, Della Valle), e perché possiede il 13% delle Generali, nel cui capitale sono presenti altre importanti famiglie italiane di industriali (Caltagirone, Benetton e De Agostini). Un esempio di integrazione tra capitale industriale e finanziario è Del Vecchio, patron di Luxottica, che è il primo azionista di Mediobanca con il 9% delle azioni, ed è presente anche in Generali (4,5%) e Unicredit (2%). Questo smentirebbe la narrazione secondo cui il capitale industriale e finanziario siano in contrasto, con il secondo che svolge, in solitaria, la parte del lupo cattivo che vuol svendere l’economia del Paese. Sono copiosi gli esempi di centralizzazioni proprietarie, mediante acquisizioni/fusioni internazionali, portate avanti da grandi imprese italiane, come Fiat, prima con Chrysler e ora con Psa, e Luxottica con Essilor, solo per citare quelle più famose. Nei primi tre mesi del 2020 le multinazionali italiane hanno finalizzato operazioni di fusione o acquisizione all’estero per 6,6 miliardi di euro (2,9 miliardi nello stesso periodo del 2019), mentre le operazioni dall’estero sono ammontate a soli 1,2 miliardi (2,4 nel 2019). Come tutti i paesi a capitalismo maturo, anche in Italia notiamo una notevole concentrazione della produzione, sull’integrazione di industria e finanza, e sull’esportazione di capitale. Lo stock degli Ide italiani (investimenti diretti esteri) sono investimenti internazionali volti all’acquisizione di partecipazioni ‘durevoli’, di controllo, paritarie o minoritarie in un’impresa estera o alla costituzione di una filiale all’estero. È uno degli aspetti centrali del fenomeno di globalizzazione dell’economia mondiale (fonte treccani. it) in uscita, tra 1980 e 2018, è cresciuto notevolmente, passando dall’1,5% al 26,3% sul PIL. L’Italia è esportatrice netta di capitale, in quanto gli Ide in uscita superano quelli in entrata, già dagli anni ’80 e stabilmente dagli anni ’90, nel 2018 lo stock degli Ide in uscita ha superato quello degli Ide in entrata di circa 118 miliardi di dollari. Malgrado l’Italia presenti uno stock di Ide inferiore (548 miliardi di dollari) a quelli di Francia (1.466 miliardi) e Germania (1.645 miliardi), la sua crescita media annua è stata maggiore nel periodo tra 1980 e 2018, raggiungendo il +12,03%, contro il +10,06% della Germania e il +11,4% della Francia. Nello stesso periodo lo stock di Ide italiani è passato dal 17% e 29,4% di quelli della Germania e della Francia a rispettivamente il 33,4% e 36,4%. Quindi l’Italia è a sua volta un paese imperialista, sebbene subordinato ai

La borghesia non ha alcuna intenzione di rinunciare ai suoi profitti e sta cogliendo l’occasione della pandemia per un’ulteriore ristrutturazione del modello produttivo che questa volta, però, oltre a un deciso peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro del proletariato e delle masse popolari, richiede necessariamente l’attuazione di forme di limitazione delle libertà sociali e di aumento del controllo di massa e degli individui. Proponiamo un approfondimento e una riflessione, dal punto di vista di classe, che indaghi in maniera complessiva e su diversi piani le implicazioni della situazione venutasi a creare in conse-

guenza della pandemia, in termini di ripercussioni sociali sul proletariato e sulle masse popolari ma, soprattutto, di possibilità di lotte, economiche e politiche, e organizzative che si aprono. Uno studio elaborato da un gruppo di comunisti/e tra cui lavoratori/trici, operatori sanitari in prima linea nell’emergenza Covid-19. Per ricevere il documento in formato cartaceo versare 6 euro (spese di spedizione incluse) sul ccp n. 001004989958 intestato a Scintilla Onlus, indicando la causale. Per spedizioni superiori alle 5 copie, il prezzo è di 5 euro a copia.

l’idea dell’Europa come unione economica, contraddice lo sviluppo capitalista per due ragioni. Innanzitutto perché esistono lotte concorrenziali e antagonismi estremamente violenti all’interno dell’Europa, fra gli stati capitalistici, e così sarà fino a quando questi ultimi continueranno ad esistere; in secondo luogo perché gli Stati europei non potrebbero svilupparsi economicamente senza i paesi non europei. (...) Nell’attuale scenario dello sviluppo del mercato mondiale e dell’economia mondiale, la concezione di un’Europa come un’unità economica isolata è uno sterile prodotto della mente umana.

Paesi più forti come Germania, Francia e USA, non certo una colonia. Quest’aspetto i sovranisti non lo considerano oppure danno la narrazione di un paese preda dell’imperialismo straniero. Le uniche prede sono i lavoratori (anche buona parte delle partite IVA e i microimprenditori che vengono assorbiti e distrutti dal grande capitale). Questo segna la stagnazione mortale dell’economia interna, la cui domanda è rasa al suolo, allo stesso tempo è in costante aumento l’attività dei capitali a livello internazionale, poiché vi è sovraccumulazione di capitale e quindi alla necessità di contrastare la caduta del saggio di profitto (rapporto fra plusvalore e la somma dei capitali investiti in macchine e tecnologia e i capitali investiti in forza lavoro), investendo dove i profitti sono più alti o perché i salari e altri tipi di costi sono più bassi o perché il mercato è più ricco e consente margini più alti grazie a prezzi più alti. Le multinazionali italiane negli ultimi anni, tra 2010 e 2017, sono passate da 22.081 a 23.727 con una crescita media annua di quasi l’1%. Il loro fatturato è salito da 434,6 miliardi di euro a 538,3 miliardi (+2,7% medio annuo), mentre gli occupati sono saliti da 1.605.146 a 1.794.501 (+1,4%). Anche se le multinazionali a controllo italiano siano solo lo 0,5% delle imprese residenti in Italia, i loro addetti e il loro fatturato all’estero rappresentano rispettivamente il 10,9% e il 17% del totale italiano. I Paesi dove si investe di più sono: gli Stati Uniti (286mila addetti), il Brasile (146mila), la Cina (140mila), la Romania (125mila), la Germania (107mila), e la Francia (75mila). Per quanto riguarda il fatturato al primo posto sono gli Stati Uniti (25,4% del totale), seguiti dalla Germania (11,7%). Molti sovranisti dipingono l’Italia come colonia delle imprese della Germania. In realtà, anche la presenza dell’Italia in Germania è massiccia, sicuramente con valori assoluti inferiori a quelli della presenza tedesca nel nostro Paese, ma che rispecchiano, grosso modo, le differenti dimensioni delle due economie, dal momento che il PIL della Germania è di un terzo più grande di quello italiano. Nel 2017 la Germania era presente in Italia con 1.016 imprese che impiegavano 156mila addetti e sviluppavano 87,1 miliardi di fatturato. L’Italia, invece, era presente in Germania con 1.671 imprese che impiegavano circa 107mila addetti e fatturavano 63 miliardi di euro (per approfondimenti: Domenico Moro sul sito www.lordinenuovo.it). Questo elenco noioso di numeri ci dice che l’Italia fa parte, sia pure in modo subordinato perché priva di una struttura statale e militare forte come quella tedesca e USA, ai paesi del centro imperialista, non certo ai paesi vittime dell’imperialismo. Come i dati sul risparmio citati sopra dimostrano, il ceto medio proletarizzato e parte della piccola borghesia detiene, nonostante tutto, ancora risparmi che però tiene fermi perché ha coscienza che il sistema attuale non ha più alcun interesse ad integrarli. I titoli di Stato, comunque remunerativi in passato non sono proposti se non raramente come i BTP cura Italia e i BTP futura, non a caso poco pubblicizzati da banche e governo (ma che, nonostante ciò, hanno visto comunque buoni risultati sulla raccolta da parte dei primi di 22 miliardi e dei secondi di 6 miliardi, insufficienti però a far ripartire l’economia). Quest’ultimo fatto l’ho voluto sottolineare perché spesso, tra alcuni economisti e anche fra movimenti anti UE, si argomenta contro il MES e il Recovery Fund sostenendo che, col risparmio privato italiano - che complessivamente ammonta a quasi il doppio del debito pubblico attuale - si potrebbe stampare moneta emettendo titoli di Stato a rendimento basso destinato esclusivamente alla clientela al dettaglio escludendo i fondi istituzionali (i mercati). Come dimostrano i numeri elencati, le dichiarazioni del grande capitale e dei politici di questo non vi è interesse poiché è la stessa grande borghesia italiana a non volerlo trovando molto meglio continuare con i mezzi finora utilizzati che la vedono beneficiaria diretta della globalizzazione, al contrario di quanto riporta un filone di pensiero che ritiene la nostra una borghesia semplicemente compradora, cioè che si limita a fare gli interessi del capitale estero intascando in cambio una rendita. Per concludere ritengo, come primo passo necessario, un percorso politico che cerchi di coagulare gli interessi comuni della classe lavoratrice e dei ceti che hanno subito un pesante impoverimento negli ultimi anni, in particolare durante il lockdown (si veda: Avvenire 31/7/2020) che ha, a percezione di molti, un retrogusto cileno.


nuova unità 6/2020

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Lettere La rubrica delle lettere è un punto fisso di quasi tutti i giornali. Noi chiediamo che in questa rubrica siano presenti le vostre lettere, anche quelle che spedite ai vari quotidiani e riviste che non vengono pubblicate. Il sommerso a volte è molto indicativo

Mozione presentata all’Assemblea nazionale dei lavoratori e delle lavoratrici combattivi del 27 settembre 2020 CONTRO I MORTI DELLO SFRUTTAMENTO E LE STRAGI DEL PROFITTO NON BASTA IL LUTTO. ORA E SEMPRE RESISTENZA I partecipanti all’assemblea nazionale dei lavoratori e delle lavoratrici combattivi del 27/settembre 2020 riconoscono che la contrapposizione fra capitale e lavoro si manifesta quotidianamente nei morti sul lavoro e negli infortuni che non sono mai una fatalità. Esiste nel paese una guerra di classe degli sfruttatori contro gli sfruttati che produce ogni giorno morti, feriti e invalidi: questo è il costo che gli operai e gli sfruttati pagano alla realizzazione del profitto. Dopo esserci confrontati nel dibattito, noi, lavoratori e delegati RSU e RLS di diverse sigle sindacali, centri sociali e associazioni, decidiamo di coordinarci nella battaglia contro lo sfruttamento capitalista, contro la violenza e brutalità evidenziata dai morti di lavoro, riconoscendo che: 1) Gli operai, i lavoratori, i proletari morti sul lavoro o per malattie professionali, a prescindere dall’appartenenza sindacale, sono MORTI PER IL PROFITTO, vittime dello sfruttamento capitalista. Appartengono alla nostra stessa classe, non hanno amici nei palazzi del potere economico, politico, istituzionale e religioso e sono fratelli di classe degli sfruttati di tutto il mondo. 2) Ci impegniamo a diffondere informazione sui crimini contro i proletari compiuti dai capitalisti sui posti di lavoro e nella società e a prendere posizione, organizzando azioni di lotta e stringendo un patto di unità d’azione. I morti sul lavoro in una singola fabbrica o luogo di lavoro sono morti che appartengono a tutta la classe operaia. 3) Riconosciamo che per i padroni gli operai, i lavoratori nella democrazia borghese sono solo merce forza lavoro da usare quando l’industria tira e da licenziare quando non servono più per valorizzare il capitale. 4) Siamo coscienti che senza un’organizzazione indipendente e autonoma (politico-sindacale) operai e lavoratori in questa società non sono altro che carne da macello dei padroni. 5) Siamo consapevoli che partiti e governi si alternano alla guida del paese, ma sempre nell’interesse dei padroni e della borghesia e gli operai, i lavoratori, frazionati e divisi, senza organizzazione non contano nulla, sono solo le vittime sacrificate sull’altare del profitto, del mercato e del dio denaro. 6) Come sfruttati appartenenti alla stessa classe, al di là delle appartenenze sindacali o politiche, da oggi cominciamo ad organizzarci creando ambiti di discussione nazionale e internazionale, per rispondere colpo su colpo al nemico di classe, mettendo in discussione con le lotte il sistema di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Se colpiscono uno di noi, colpiscono tutti. I governi cambiano, ma gli operai continuano a essere sfruttati e a morire come prima, più di prima. All’indignazione, alla rabbia, all’odio di classe, deve seguire la mobilitazione nelle fabbriche, nei cantieri, nelle logistiche, nelle campagne, nei luoghi di lavoro contro lo sfruttamento e i morti per il profitto che sono inevitabili nel sistema capitalista. Contro questi omicidi considerati dai padroni semplici effetti collaterali del conflitto capitale-lavoro, bisogna protestare e lottare unitariamente. È ora di ricominciare ad agire e organizzarsi per superare la frammentazione della nostra classe, ognuno di noi deve agire nei propri ambiti politici e sindacali per questi obiettivi e principi. Contro la barbarie capitalista dobbiamo riscrivere sulle nostre bandiere, rosse di sangue proletario, il motto: PROLETARI DI TUTTI I PAESI UNIAMOCI. Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio

nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) anno XXIX n. 6/2020 Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Emiliano, Michele Michelino, Pacifico, Fabrizio Poggi, Daniela Troilo abbonamento annuo Italia euro 26,00 abbonamento annuo sostenitore euro 104,00 abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20 I versamenti vanno effettuati sul c/c postale nr. 1031575507 intestato a: nuova unità - Firenze

Chiuso in redazione: 23/10/2020

Anche in tempo di pandemia si continua a morire per amianto Il nostro compagno Bruno Villa, di anni 71, è deceduto nelle scorse settimane a causa dell’amianto. Dopo aver lavorato come operaio per decenni in una fabbrica a contatto con l’amianto, da alcuni anni si era ammalato di asbestosi e ispessimenti pleurici che gli rendevano sempre più difficoltoso il respiro. Dopo un lungo contenzioso con l’INAIL gli era stata riconosciuta la malattia professionale derivante dall’amianto. Negli ultimi tempi la malattia si era aggravata ed erano comparsi vari tumori sempre derivati dall’asbesto che hanno reso i suoi ultimi mesi di vita un vero calvario a lui e alla famiglia. Da gennaio 2020 a oggi sono già 4 gli ex lavoratori del nostro comitato con malattie derivanti dall’amianto che ci hanno lasciato. Dietro i numeri, alla conta dei morti, ci sono sofferenze, vite e affetti spezzati che lasciano un vuoto incolmabile in chi gli voleva bene. Oggi ci uniamo al dolore della famiglia ricordando Bruno, il suo sorriso scanzonato e le sue battute pungenti. Anche in tempo di Covid-19 si continua a morire per altre malattie nell’assoluta indifferenza delle autorità sanitarie e politiche, che hanno trasformato gli ospedali in reparti Covid sospendendo visite e terapie, comprese le chemio, a migliaia di cittadini bisognosi di cure. Ogni anno nel nostro paese per infortuni sul lavoro e in itinere muoiono 1450 lavoratori, altre decine di migliaia per malattie professionali, solo per amianto più di 5.000 lavoratori e cittadini, eppure questa strage sembra non interessare le autorità. Ogni anno nel nostro paese si muore di lavoro più che in guerra. In Italia ogni anno si ammalano di cancro circa 370.000 persone e ne muoiono quasi 500 il giorno; altre decine di migliaia muoiono a causa dell’inquinamento ma i dati non sono resi noti per non spaventare la popolazione. Nella società del profitto il dio denaro per chi comanda è più importante della vita di decine di migliaia di persone. Una società che considera prioritario il guadagno di pochi sulla pelle di milioni esseri umani, che risparmia anche i pochi centesimi necessari alla sicurezza della vita umana pur di realizzare il massimo profitto è una società barbara e inumana, contro la quale si è battuto Bruno. Ciao Bruno, ci mancherai. Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio e-mail: cip.mi@tiscali.it web: http://comitatodifesasalutessg.jimdo.com Milano 6 ottobre 2020

Palestina: troppi morti! I massmedia ormai non segnalano più le morti dei palestinesi, soprattutto giovani, uccisi dai soldati israeliani mentre prostestano contro l’oppressione sionista, ma anche no. Ad esempio nei giorni scorsi un adolescente palestinese è morto a causa delle ferite riportate dopo essere stato percosso dai soldati nei pressi di Turmus-Ayya, vicino a Ramallah. Amer Abedalrahim Snobar è riuscito ad arrivare in ospedale dove il direttore del Palestine Medical Complex ha confermato che la morte è da far risalire a ferite riportate in seguito ad un’aggressione per i segni visibili di percosse sul collo del ragazzo. I giovanipossono essere la speranza per una Palestina libera e per questo vengono uccisi o arrestati. Le carceri sono pieni di giovanissimi anche di 14 anni. É una vergogna, non possiamo risolvere la situazione in palestina, ma teniamo alto il livello di informazione perché non venga dimenticata. Franca Augeri Orta

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