giugno-luglio 2015

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RIVISTA COMUNISTA DI POLITICA E CULTURA Periodico n. 3/2015 - anno XXIV

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IL NEMICO È IN CASA NOSTRA! Organizziamoci per cambiare il sistema di sfruttamento e sostituirlo con il socialismo Se qualcuno si era dimenticato di Roma capitale la recente cronaca ce l’ha riportato in primo piano con il secondo atto dell’inchiesta. Non c’è da stupirsi è la dimostrazione che, mentre si parla di continui tagli sulla pelle dei lavoratori, i soldi ci sono e ci sarebbero se non andassero a finire nelle tasche degli amministratori corrotti, degli speculatori, dei faccendieri con i quali i costi degli appalti lievitano del 40%. Intrecci tra PD e destra, a partire da Carminati, sdoganato da Salvini e suo alleato. E si capisce come il soffiare sul fuoco con tutta Casa Pound, Fratelli d’Italia&C. per i campi rom, gli immigrati, gli occupanti di case, terreno di guadagno di questi criminali, servisse anche per gettare fumo negli occhi delle malefatte e alimentare razzismo e nazionalismo ad uso elettorale di cui ha beneficiato la Lega nord. I governanti sfruttano la crisi economica per accelerare i piani di austerità sotto il controllo dell’Unione europea, i capitalisti la utilizzano per delocalizzare o chiudere gli impianti e i disoccupati aumentano. Per restare nei parametri dei Trattati europei il governo spinge sulla realizzazione delle riforme, dal lavoro alle istituzioni, dichiara di rendere l’Italia più efficiente per agevolare gli investimenti dall’estero. Ma i pochi impianti produttivi rimasti sono in gran parte nelle mani di multinazionali che comprano per chiudere e usare il know out in altre parti del mondo. I lavoratori scendono in piazza e resistono finché possono, poi intervengono i dirigenti dei sindacati confederali in un gioco al ribasso con padronato e governo. Accettano l’accordo sulla rappresentanza, il jobs act e tutto quello che ne consegue, la riduzione della Cig, la durata della Naspi ecc. I lavoratori dopo essere stati ben spremuti sono buttati via e i disoccupati continuano ad aumentare. Le disastrose condizioni di vita di chi con il lavoro perde la casa, la salute - sono già 10milioni gli italiani che non riescono a pagare il ticket su cure e medicine - e, spesso, la famiglia, alimentano la guerra tra poveri e gli immigrati sono visti come “concorrenti” e nemici. Per far accettare la sua politica scellerata e antipopolare ed avere il consenso il potere nazionale ed europeo deve mantenere l’assen-

NOTE DI CLASSE La “Pessima scuola” del mercato privato

Quel che ispira la “Buona Scuola” di Renzi-Giannini è un sistema di istruzione e formazione funzionale alle imprese e allo sfruttamento di forza-lavoro minorile mascherato da apprendistato e tirocinio secondo le modalità dell’alternanza scuola-lavoro, che di fatto significa una descolarizzazione di massa e un avviamento coatto al lavoro. Interessi del capitale e del padronato, al cui servizio si è posto Renzi, e cui deve rispondere piuttosto che alla Costituzione, che infatti sta provvedendo a disarticolare. a pagina

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za del senso critico, la manipolazione delle coscienze e alto il livello di ignoranza, razzismo e paura sono palpabili proprio là dove regna l’ignoranza! Da qui l’attacco alla scuola, la mistificazione storica e ideologica - la retorica parata del 2 giugno è solo un esempio - e la disinformazione della comunicazione. Il tutto marcia di pari passo con la repressione sui luoghi di lavoro e nella società e la militarizzazione del territorio. Dicono per far fronte alla criminalità, ma è solo la violenza dello sfruttamento e dell’eliminazione dei diritti sociali da parte della borghesia per impedire che la classe lavoratrice attui finalmente la sua violenza proletaria, la sua lotta di classe. Dopo anni di politica democristiana, socialdemocratica, riformista e l’opportunismo dei sindacati i lavoratori sono disarmati. Spesso invocano l’intervento degli imprenditori pensando che si possa vivere solo grazie a loro e che il sistema capitalista sia l’unico percorribile. Senza padroni si può vivere. Non siamo tutti nella stessa barca, non ci sono capitalisti buoni e capitalisti cattivi per cui solo il rovesciamento del capitalismo e delle sue strutture e la costruzione di un sistema socialista può risolvere i bisogni della classe operaia e delle masse popolari. La Grecia insegna. Nonostante la vittoria elettorale Siryza dimostra come le difficoltà finanziarie non si risolvano all’interno di un governo borghese che illude e limita la mobilitazione delle masse. Così sarà per l’esperienza di Podemos in Spagna. Non si può ignorare che il capitalismo è responsabile di tutti i mali delle popolazioni, della crisi, del fascismo, della guerra. Che la crisi aumenta le contraddizioni tra Stati capitalisti e la concorrenza dei monopoli e la guerra diventa una tappa inevitabile del capitalismo. Guerre per la conquista e il controllo dei mercati, delle risorse energetiche e dei territori ma anche per il controllo politico. Non è un caso che l’ideologia comunista sia sotto attacco ovunque, che si sviluppino posizioni antistoriche, che la Ue cerchi di equiparare il nazismo al comunismo, proibire l’attività dei partiti comunisti, l’uso dei simboli comunisti mentre appoggia i governi che legittimano le forze fasciste, in particolare nei paesi dell’Est e in Ucraina. Gli Stati Uniti continuano la corsa al riarmo costringendo gli altri paesi aderenti alla Nato a spese folli: 1000 miliardi di dollari annui e non ci stancheremo mai di ricordare che l’Italia paga circa 60 milioni al giorno per la sua alleanza militare e per le Basi collocate su tutto il nostro territorio che - oltre alle funzioni di attacco e stoccaggio di armi nucleari - sono da sempre luoghi di trame eversive e addestramento dei fascisti. E’ di questi giorni l’arrivo a Vicenza di un convoglio Usa per l’addestramento di sei mesi di tre battaglioni di chiara ispirazione nazista della Guardia nazionale ucraina, effettuato da circa 300 paracadutisti statunitensi. L’Alleanza militare scalda i muscoli ed è sottovalutata anche dalle

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forze che si definiscono rivoluzionarie. La stessa Mogherini garantisce l’intensificazione della cooperazione Nato-Ue. Dichiara che “La Ue e la Nato hanno natura differente, ma condividono gli stessi valori”. Vi sono “sfide attorno a noi che ci uniscono”, dall’Ucraina alla Libia. E annuncia che “l’Unione europea rilancerà a giugno gli investimenti nella difesa”. Avanti con le spese militari! C’è un gran fermento di riunioni con i ministri della difesa e delle finanze tesi a condizionare il futuro dell’Europa. Continuano le esercitazioni: ad aprile in Germania, Olanda, Repubblica Ceca e altri otto paesi europei, a giugno in Polonia con truppe di Germania, Olanda, Repubblica Ceca, Norvegia. A settembre sarà la volta di Italia, Spagna e Portogallo. La grande esercitazione di “guerra preventiva” «Trident Juncture 2015» - 25 mila unità terrestri, aeree e navali e con forze speciali di tutti i paesi Nato - dimostrerà la capacità di lanciare altre guerre nel NordAfrica e nel Medioriente. Senza dimenticare l’Europa orientale. Sotto la sigla UE la Nato prepara una nuova operazione in Libia per stabilire un governo unitario in quanto, sostiene Stoltenberg, gli sforzi per stabilizzare il paese nel 2011 non sono riusciti. La Nato - sotto l’indiscusso comando statunitense - dopo aver distrutto la Jugoslavia, aver inglobato tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, e penetrata in Ucraina, assumendo il controllo di posizioni chiave nelle forze armate e addestrando i gruppi neonazisti usati a Kiev, continua la pressione sulla Russia non solo attraverso le sanzioni economiche con pesanti ripercussioni sull’occupazione, ma intraprendendo un “adattamento strategico” che costerà denaro, tanto denaro, spremuto dallo sfruttamento e dai sacrifici della classe lavoratrice e delle masse popolari di tutta Europa. Il fascismo, lo strumento usato dal capitalismo per esercitare il suo potere, la guerra imperialista come soluzione alle crisi dei governi borghesi sono i veri nemici contro cui combattere. E’ un percorso difficile, probabilmente lungo, ma non c’è altra strada. Una strada che richiede l’organizzazione, la costruzione di un vero partito comunista che sia in grado di coordinare e rafforzare tutte le lotte e disegnare una nuova società.

I dannati del mare

Via via che la crisi economica si fa sempre più pesante, sembra che i migranti siano il nostro problema principale. Frontex, Eulex e sigle varie, proposte di militarizzazione del mare, bombardamento degli scafisti… vuote parole che vogliono nascondere due realtà fondamentali, che riguardano da vicino non solo le decine di migliaia di uomini, donne e bambini che cercano di sfuggirvi ma anche noi, qui nella ‘fortezza Europa’: la rapina imperialista e la guerra. a pagina

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lavoro/vertenze

Continua l’ingiustizia sui morti per amianto. Dopo il danno la beffa Le motivazioni della sentenza all’Enel di Turbigo: i dirigenti assolti “perché gli operai erano già ammalati”

Michele Michelino Il 25 maggio 2015 sono stati resi note le motivazioni con cui erano stati assolti “per non aver commesso il fatto” lo scorso 28 febbraio quattro ex dirigenti Enel responsabili della centrale dall’accusa di omicidio colposo. Per il giudice Beatrice Secchi gli ex manager Enel accusati di omicidio colposo in relazione alla morte per mesotelioma pleurico di otto operai della centrale Enel di Turbigo, in provincia di Milano provocato dalle polveri di amianto respirate tra gli anni ‘70 e ‘80 nella centrale., sono stati assolti perché “hanno assunto posizioni di vertice in azienda quando i lavoratori erano già stati esposti da anni all’amianto”. Per il giudice è “certo che le persone offese si sono ammalate di mesotelioma a causa dell’inalazione di fibre di amianto”. Mancherebbe però, in sostanza, una prova sulle responsabilità degli ex dirigenti. Il giudice rileva, quindi, che “l’affermazione della responsabilità penale” degli ex manager che “hanno assunto una posizione di garanzia quando il lavoratore era già stato esposto all’amianto per un certo numero di anni”, è “estremamente problematica in quanto non può essere ancorata a solide basi scientifiche”. Altri due imputati, entrambi ultrano-

vantenni, sono morti prima della sentenza e usciti dal processo. Secondo il giudice, “deve ritenersi dimostrata l’origine lavorativa della patologia contratta dalle persone offese”, esposte alla sostanza in anni in cui “l’amianto era ampiamente utilizzato e si era ben lontani dall’introduzione del divieto del suo uso”. Beatrice Secchi, però, rileva che “l’istruttoria dibattimentale non

ha consentito di pervenire a conclusioni di ‘logica certezza’ nella risoluzione di una serie di interrogativi”. In particolare negli anni ‘80, quando i quattro imputati iniziarono a ricoprire ruoli dirigenziali nella centrale termoelettrica, “l’iniziazione del processo carcinogenetico era sicuramente già avvenuta per tutte le persone offese”, che iniziarono a lavorare negli anni ‘70. Un periodo in cui

SCHEDA 1. Secondo la UN Conference on Trade and Development (Conferenza dell’ONU su Commercio e Sviluppo), il numero di “paesi meno sviluppati” è raddoppiato negli ultimi 40 anni. 2. I “paesi meno sviluppati” hanno speso 9 miliardi di dollari per importazioni di alimenti nel 2002. Nel 2008 questa cifra è salita a 23 miliardi di dollari. 3. Il reddito medio pro-capite nei paesi più poveri dell’Africa è sceso a 1/4 negli ultimi 20 anni. 4. Bill Gates ha un patrimonio netto dell'ordine dei 50 miliardi di dollari. Ci sono circa 140 paesi al mondo che hanno un PIL annuo inferiore alla ricchezza di Bill Gates. 5. Uno studio del World Institute for Development Economics Research (Istituto Mondiale per la ricerca sull’economia dello sviluppo) evidenzia che la metà inferiore della popolazione mondiale detiene circa l’1% della ricchezza globale. 6. Circa 1 miliardo di persone nel mondo va a dormire affamato ogni notte. 7. Il 2% delle persone più ricche detiene più della metà di tutto il patrimonio immobiliare globale. 8. Si stima che più dell’80% della popolazione mondiale vive in paesi dove il divario fra ricchi e poveri è in continuo aumento. 9. Ogni 3,6 secondi qualcuno muore di fame, e 3/4 di essi sono bambini sotto i 5 anni. 10. Secondo Gallup, il 33% della popolazione mondiale dice di non avere abbastanza soldi per comprarsi da mangiare. 11. Mentre stai leggendo questo articolo, 2,6 miliardi di persone nel mondo stanno soffrendo per mancanza di servizi sanitari di base. 12. Secondo il più recente “Global Wealth Report” di Credit Suisse, lo 0,5% di persone più ricche controlla più del 35% della ricchezza mondiale. 13. Oltre 3 miliardi di persone, quasi la metà della popolazione mondiale, vive con meno di 2 dollari al giorno. 14. Il fondatore della CNN, Ted Turner, è il più grande proprietario terriero privato negli Stati Uniti. Oggi, Turner possiede circa 2 milioni di acri [più di 8.000 Km quadrati - NdT] di terra. Questa quantità è maggiore dell’area della Delaware e di Rhode Island messe assieme [come l’intera superficie dell’Abruzzo - NdR]. Turner peraltro invoca restrizioni governative per limitare a 2 o meno figli per coppia nell’ottica di un controllo della crescita demografica. 15. 400 milioni di bambini nel mondo non hanno accesso all’acqua potabile. 16. Circa il 28% dei bambini dei paesi in via di sviluppo sono considerati malnutriti o hanno una crescita ridotta a causa della malnutrizione. 17. Si stima che gli Stati Uniti detengano circa il 25% della ricchezza totale del mondo. 18. Si stima che l’intero continente africano possegga solo l’1% della ricchezza totale del mondo. 19. Nel 2008 circa 9 milioni di bambini sono morti prima di compiere i 5 anni. Circa 1/3 di tutte queste morti è dovuto direttamente o indirettamente a scarsità di cibo. 20. La famiglia di banchieri più famosa al mondo, i Rothschild, ha accumulato montagne di ricchezza mentre il resto del mondo è stato intrappolato nella povertà.

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“le cautele adottate in centrale erano gravemente lacunose”. “L’istruttoria dibattimentale - si legge nelle motivazioni della sentenza - non ha fornito le prove della sussistenza di una legge scientifica che comprovi l’esistenza del cosiddetto effetto acceleratore della protrazione dell’esposizione. Il sapere scientifico non è in grado di indicare con certezza quale sia la durata

del periodo di induzione - spiega il giudice - e se non è nota la durata del periodo di induzione e se si discute della responsabilità penale di soggetti che hanno assunto posizioni di garanzia quando già il lavoratore era stato esposto per anni, è estremamente problematico (se non impossibile) stabilire se l’esposizione patita dal lavoratore nel periodo di tempo nel quale l’impu-

tato rivestiva il ruolo di garante sia stata causalmente rilevante nel determinare la malattia”. Le motivazioni di questa sentenza (come già di quella della Corte di Cassazione nel caso Eternit) sono molto discutibili e non mancheranno di suscitare un forte dibattito nel paese. Questa sentenza e stata sentita dai famigliari dei lavoratori deceduti, e dalle associazioni e comitati che rappresentano le vittime come uno schiaffo in faccia. Anche se il processo ha accertato che gli operai sono morti per aver respirato fibre di amianto in fabbrica senza protezioni antinfortunistiche, poiché alcuni, forse, si erano già ammalati nei primi anni di lavoro e i dirigenti dell’epoca nel frattempo sono morti, gli attuali imputati anche se sapevano di mandare a morte gli operai non tutelando la loro salute, omettendo e disattendendo le leggi sulla sicurezza in fabbrica non sono colpevoli. In tal modo il Tribunale di Milano si assume la responsabilità di affermare che non rispettare le misure di sicurezza nei luoghi di lavoro fino a uccidere dei lavoratori non è reato. L’ingiustizia continua: i padroni e i manager fuorilegge o assassini possono continuare a dormire sonni tranquilli rimanendo impuniti, ma continua anche la lotta delle associazioni delle vittime per la giustizia.

lavoro/salute

L’amianto in Europa

In Europa ci sono 15mila morti all’anno per malattie amianto correlate, a rischio una persona su tre Michele Michelino Un rapporto dell’Oms rileva che circa la metà di tutti i decessi per cancro sviluppato sul posto di lavoro, è causata dalla fibra killer. A rischio sono soprattutto gli abitanti dei 16 Paesi che non l’hanno ancora messa al bando, ma l’esposizione continua anche negli Stati in cui il divieto è già in vigore. Sono circa 15mila le persone che ogni anno perdono la vita in Europa a causa di patologie amianto correlate. A lanciare l’allarme sono gli esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che a maggio 2015, hanno partecipato ad Haifa, in Israele, ad un meeting dedicato ai progressi globali su ambiente e salute, che ha coinvolto oltre 200 rappresentanti dei Paesi europei e delle organizzazioni internazionali e non governative. Un rapporto presentato nel corso della riunione indica, in particolare, che l’amianto è responsabile di circa la metà di tutte le morti per cancro sviluppato sul posto di lavoro. A rischio è circa un terzo dei 900 milioni di abitanti del Continente, che vive nei 16 Paesi della regione europea che lo utilizzano ancora, soprattutto nei materiali da costruzione, e che in alcuni casi continuano a produrlo e ad esportarlo. Nel dettaglio, si tratta di Albania, Andorra, Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Bosnia Herzegovina, Georgia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Monaco, Moldavia, Federazione Russa, Tajikistan, Turkmenistan, Ucraina e Uzbekistan. Anche nei 37 Stati

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in cui l’amianto è vietato – tra cui figura l’Italia, che nel 1992 ne ha bandito l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione – l’esposizione della popolazione, però, persiste a causa dell’uso che se ne è fatto in passato e della sua permanenza nell’ambiente, che richiede urgenti e adeguate procedure di smaltimento. “Non possiamo permetterci di perdere quasi 15mila vite ogni anno, in particolare lavoratori, per malattie causate dall’esposizione all’amianto. Ognuna di queste morti è evitabile”, ha detto Zsuzsanna Jakab, direttore regionale per l’Europa dell’Oms, nel suo intervento al meeting di Haifa. Di qui l’esortazione rivolta a tutti i Paesi di “adempiere all’impegno assunto nel 2010 di sviluppare politiche ad hoc entro la fine di quest’anno, per eliminare le malattie legate all’amianto dal volto

dell’Europa. Resta poco tempo per farlo”. “L’amianto è un killer silenzioso ormai riconosciuto – ha aggiunto Guénaël Rodier, direttore della divisione di Malattie trasmissibili, sicurezza sanitaria e ambiente dell’Oms – I disturbi di salute derivanti dall’esposizione di solito compaiono dopo diversi decenni. Ciò significa che molte più persone si ammaleranno e moriranno nei prossimi anni in tutto il continente. Questa nuova relazione valuta in che misura i Paesi europei hanno agito per eliminare le malattie correlate all’amianto e fornisce raccomandazioni per il futuro”. Al pesantissimo impatto sociale di queste patologie, si somma inoltre quello economico. Secondo le ultime stime, infatti, in Europa i decessi per mesotelioma costano più di 1,5 miliardi di euro all’anno. (Fonti Inail)

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lavoro

Ciao Ciao Padania

Sfruttamento del lavoro nella piccola impresa veneta. Gli esordi, la crisi, i nuovi modelli organizzativi Luciano Orio Nord-est. Vent’anni fa se ne parlava come di una locomotiva che trainava l’economia del Paese. Era il tempo del cosiddetto miracolo economico della piccola impresa veneta, dei distretti industriali. Dopo anni di virtuosismo produttivo e un’indigestione di capannoni e imprese, ora, con la crisi, anche il “mitico” nord-est arranca. La locomotiva ha vistosamente rallentato la sua corsa, è quasi ferma. Flop. Abbandonata l’idea bislacca della Padania, anche la Lega Nord cerca rifugio nei più tradizionali “valori” della destra nazionalista, razzista, reazionaria. Indipendenza? Federalismo? Ma quando mai... Adesso piangono padroni e padroncini (li chiamano imprenditori, da un po’ di tempo a questa parte), oggi che è saltato il modello economico del nord-est, quello che si è imposto sulla torchiatura dei lavoratori, sul cliente unico cui demandare la propria esistenza, quello che ha fatto della quantità il credo cui sacrificare tutto, quello fatto di persone impossibilitate alla ricerca, quello dell’assenza del polmone finanziario e tenuto al guinzaglio corto dal mutuo in banca. Piangono la crisi economica mondiale davanti alle telecamere, piangono miseria e chiudono le fabbriche per andarle a costruire altrove, in Romania, Slovenia o dove più si può lucrare.

Com’era allora?

Ricordo l’inizio di questo fenomeno nel Veneto bianco, quando a fine ‘60, anche la fabbrica-paese in cui lavorava mio padre venne investita (meglio sarebbe dire lambita) dall’onda lunga delle lotte operaie. In quel contesto la semplice adesione al sindacato e qualche raro sciopero diedero il via a intimidazioni e minacce dei padroni, per isolare gli elementi più riottosi, reparto per reparto. La disaffezione e il distacco di questi operai dall’azienda era ormai palese, tuttavia si trattava di elementi con alto livello di professionalità e i padroni, con mossa astuta, proposero loro di prendere in carico una delle attività dell’azienda, una branchia produttiva correlata alla catena principale, la produzione di macchine confezionatrici, costituendo un’azienda in proprio, con la ovvia “partecipazione minoritaria” dell’azienda madre. Come resistere a una simile proposta? Anche l’operaio vuole il figlio dottore, si cantava in quegli anni. Probabile che più di qualcuno abbia sognato il figlio imprenditore; fatto sta che la piccola impresa venne costituita e rapidamente costretta nelle maglie della gestione di ordinativi e di costi necessari all’impresamadre. Ne soffrirono ovviamente i lavoratori, ridotti all’ambito dell’impresa artigiana e quindi meno pagati e tutelati. La stessa impresa artigiana si assumeva il costo degli oneri sociali che l’azienda-madre risparmiava. Fu l’inizio di quello che vidi espandersi in seguito e che venne chiamato col nome di decentramento produttivo. Lavoro, lavoro e ancora lavoro. Una miriade di aziendine nacque dagli scorpori, col medesimo iter: l’operaio che si stacca dalla fabbrica, compra la macchina alla quale lavorava e continua a produrre esattamente come prima però a casa, a cottimo, facendo rispar-

miare ala società da cui proviene un sacco di oneri sociali e magari lavorando in nero per guadagnare di più e gettare le basi per un’azienda propria, a partire dal garage dietro casa, dalla stalla. La fabbrica crebbe così con i reparti distribuiti sul territorio, spesso casa per casa. E questo è valso per tutti i comparti più forti, i mobili, la meccanica, l’abbigliamento. La religione del lavoro è stata servita e somministrata in dosi massicce, con buona pace della sparuta minoranza di quanti ritenevano che con le battaglie sindacali si poteva ottenere di più. Ognuno per sé e dio per tutti, appunto. “Idolatria del produttivismo” la definì il vescovo di Udine Battisti, all’epoca in cui si contava, cifre alla mano, quanti veneti ci volevano per fare cinque operai giapponesi (tre veronesi, secondo il reddito lordo pro-capite prodotto).

Tempi moderni

Innestare il verbo della flessibilità in un simile retroterra è stato un gioco da ragazzi. Il modello veneto era pronto a recepire i nuovi concetti neo liberisti, soprattutto in tema di organizzazione del lavoro e massimizzazione dei profitti, da conseguire con ogni mezzo a disposizione.

In generale si trattava di riportare il tasso di profitto ai massimi livelli. Nel mirino la drastica riduzione del costo del lavoro, attraverso la delocalizzazione delle unità produttive in zone dove i salari erano minori, ma anche con l’attacco ai diritti condotto direttamente dallo Stato. Contemporaneamente viene aumentata la pressione sui lavoratori per attuare varie forme di razionalizzazione produttiva, mirata, soprattutto, ad attivizzare il singolo lavoratore, al quale compete il dovere di iniziativa sul lavoro. E’ il lavoratore che deve dare tutta la propria disponibilità, nel caso di picchi come nel caso di cali produttivi, essere concorrenziale, avere idee nuove, impegnarsi ed aggiornarsi, disposto a sperimentare. Il singolo lavoratore deve “mettersi in gioco”, pena il ritrovarsi lui stesso fuori mercato. Qualche anno fa Renzo Rosso, padre-padrone della Diesel e massimo interprete del nuovo modello di organizzazione, così commentava le assunzioni nella sua azienda: “Me li scelgo io i ragazzi che assumo, anche l’ultimo dei magazzinieri. Non mi interessa il fattore tecnico, che uno sia bravissimo o cose del genere... Mi interessa la personalità. Perchè quando uno entra qui dentro ha tutte le porte aperte. Ma attenzione: se non sarai all’altezza non sarò io a emarginarti ma i tuoi stessi compagni di lavoro”.

Una filosofia di competitività spietata, che, applicata all’ambito della piccola impresa, è quanto di più funzionale alla massimizzazione dei profitti. La “disponibilità” operaia a concorrere al proprio sfruttamento è obbligata, direttamente connessa al grado della propria ricattabilità: si può rimanere a casa mesi in cassa integrazione (pagata dallo stato) o in ferie obbligate, mentre il ricorso allo straordinario o al lavoro festivo rientra nella normalità. E che dire del lavoro nero, oggi legalizzato dai contratti voucher? Che dire del continuo ricorso ai forti incentivi fiscali introdotti col jobs act e con la legge di stabilità 2015? Che dire dei licenziamenti mirati a disfarsi del vecchio personale per far posto a nuove assunzioni, magari con detribuzione piena per 36 mesi? (Ormai il risparmio sui contributi previdenziali sulle nuove assunzioni è decisamente superiore al costo di un licenziamento illegittimo. Queste piccole aziende diventano l’espressione compiuta della specializzazione flessibile e sopperiscono alla crisi di medie e grandi aziende. Il loro valore aggiunto sta nel fatto di diventare ancora più flessibili e per diventarlo hanno bisogno della precarietà. E’ in queste aziende che nasce il modello della precarietà necessaria.

nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) Anno XXIV n. 3/2015 - Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze - tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info - www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Brugio, Michele Michelino, Luciano Orio, Pacifico, Daniela Trollio abbonamento annuo Italia euro 26,00 abbonamento annuo sostenitore euro 104,00 abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20 I versamenti vanno effettuati sul c/c postale nr. 14856579 intestato a: nuova unità - Firenze Stampato interamente su carta riciclata, nessun albero è stato abbattuto per farvi leggere queste pagine Chiuso in redazione: 20/05/15

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note di classe

La “Pessima scuola” del mercato privato

Ovvero: come il “capitale” detta le condizioni anticostituzionali per privatizzare la scuola pubblica e immettere sul mercato il sistema dell’istruzione brugio Nonostante la mobilitazione straordinaria di una delle categorie meno conflittuali di lavoratori, quella degli operatori della scuola, lo “sfascia tutto” Renzi prosegue la sua opera di attacco ad uno dei pilastri costituzionali della democrazia: il sistema di istruzione pubblico nazionale per tutti/e. Il diritto allo studio (Scuola) è un aspetto fondamentale, assieme al diritto alla salute (Sanità) e alla previdenza (Pensioni), di uno Stato realmente democratico (per quanto questo possa attuarsi in un regime sostanzialmente borghese-capitalistico). Il ricatto di Renzi-Giannini sta nel voler imporre il Disegno di Legge “La Buona Scuola” come merce di scambio per le stabilizzazioni dei precari (e solo una parte di quelli indicati dalla sentenza della Corte Europea, e a cui era stata promessa la stabilizzazione). In questo modo il Governo cerca di comprarsi la fiducia del mondo della scuola, mentre gerarchizza e riduce in servitù decine di migliaia di lavoratori della scuola. Questo Disegno di Legge è il tentativo di mettere le mani sulla scuola, tentando di dividere le decine di migliaia di precari che resteranno fuori dal provvedimento di stabilizzazione da coloro che attendono la stabilizzazione (i precari delle GAE-Graduatorie Ad Esaurimento). Nel Ddl si promettono assunzioni, le stabilizzazioni che spettano di

diritto come ricorda la sentenza della Corte Europea, ma Renzi continua con il gioco delle tre carte: da 148mila siamo scesi a 100mila precari da assumere a settembre. In realtà, Renzi compie una brutale amputazione di quei precari che potranno ritentare con il concorso del 2015-16, se vorranno: nel frattempo è bene che si trovino un’altra occupazione. Il DDL sulla “Buona Scuola” del Governo Renzi concorrerà all’organica distruzione dell’impianto sociale e costituzionale: è in atto una mutazione della natura della scuola e della formazione culturale pubblica, come istituzione delineata dagli articoli 3, 33, 34 della Carta Costituzionale. Il DDL propone infatti una profonda mutazione della scuola pubblica, introducendo meccanismi di rapporto aziendalistico e privatistico tra i Dirigenti Manager e i lavoratori-docenti, individuati non sulla base di graduatorie, ma scelti direttamente per le loro presunte “qualità” e competenze didattiche. Inoltre, è un modo di introdurre il Jobs Act nella Pubblica Amministrazione, con rapporti di assunzione triennali, rinnovabili. Senza dimenticare i benefici che continuano per le scuole private “paritarie” con bonus fiscali, sgravi e “regalìe” a Chiesa e “esamifici” (Grandi Scuole, CEPU etc.) Allo scontro intrapreso fin da ottobre dai COBAS Scuola contro il progetto della cosiddetta Buona Scuola presentato dal Ministro Giannini e sostenuto a spada trat-

ta da Renzi si sono infine affiancate perfino OO.SS. concertative e blandamente, quando non fintamente, conflittuali come FLC/ CGIL, CISL-Scuola, UIL-Scuola, nonché quelle corporative come SNALS, GILDA: il 5 maggio scorso si è svolto infatti il più grande sciopero generale per i lavoratori e le lavoratrici del comparto scuola mai avuto nella storia italiana, con adesioni che in Toscana hanno raggiunto l’80% e su scala nazionale (dati ministeriali!) oltre il 65%. Il mondo della scuola ha mandato un messaggio forte e chiaro a Renzi e al Ministro Giannini, cui il Presidente del Consiglio ha risposto con un video in cui spiega scrivendo su una lavagnetta con i gessetti colorati perché la “sua” riforma sarebbe così buona (peccato che in molte scuole manchino perfino

i gessetti colorati): niente, il Disegno di Legge è stato approvato alla Camera, con qualche emendamento di facciata, ma nella sostanza rimasto com’era, e spedito al Senato dove dalla prossima settimana inizierà la discussione. Ci sono ancora speranze di bloccare il provvedimento, di impedirne l’approvazione e quantomeno di svuotarlo il più possibile degli elementi più indigeribili. Per questo, lo sciopero orario (la prima ora di servizio per ogni docente, che significa far saltare uno scrutinio di una classe con un solo scioperante) indetto per tutto il periodo degli scrutini dalle “cinque” sigle sindacali, più quello dell’11 e 12 giugno indetto dai COBAS (con modalità analoghe) può divenire una potente arma di conflitto in un momento de-

licatissimo dell’anno scolastico, inducendo il governo a più miti consigli. Tuttavia, la cocciutaggine di Renzi, nonstante le critiche e le contestazioni ripetute subite dal Governo e dal Ministro Giannini, fino a rasentare la sventatezza in concomitanza di elezioni regionali così delicate per il Presidente del Consiglio (e per il PD), è comprensibile solamente alla luce di un’analisi di quelli che sono i suggeritori neppure troppo occulti che premono perché il progetto vada avanti: tra questi la Fondazione TreeLLe, in cui gli interessi del padronato e delle banche si palesano come propaganda diretta per trasformare la scuola pubblica, da istituzione fondamentale della società, a strumento del mercato e del capitale. È chiarissimo che il DdL “Buona (Pessima) Scuola” è scritto sotto la dettatura di interessi padronali. Nel documento Memoria sulla buona scuola del novembre 2014, a pag.6, la Fondazione TreeLLe scrive inequivocabilmente che occorre eliminare il Contratto Nazionale: “il contratto ha dimostrato alla prova dei fatti di non essere lo strumento giusto per governare un servizio pubblioco come la scuola. La natura di quel che essa fa non riguarda un rapporto di prestazione e controprestazione rispetto ad un datore di lavoro, ma coinvolge prevalentemete gli interessi della collettività civile. E deve quindi essere regolata per legge”. Potrebbe apparire un principio

Campagna i t n e m a n o b Ab

altamente democratico, se non si chiarisse alla luce dell’audizione tenutasi il 9 aprile di quest’anno presso la VII Commissione parlamentare in cui la Fondazione in questione spiega che gli organi della governance devono essere rivisti ed in particolare il consiglio di istituto, “ridotto nel numero dei suoi componenti, deve comprendere soggetti che siano espressione della società civile”. E se vi fossero ancora margini di dubbio, nel punto successivo si chiarisce che “agli istituti tecnici e professionali va attribuita un’autonomia “rinforzata”, in ragione della loro specifica vocazione a preparare i propri studenti anche in vista di un inserimento nel mondo del lavoro”. E si chiede esplicitamente che nel consiglio di istituto vi sia “almeno un terzo dei componenti espressi dal settore produttivo di riferimento” (!) Ecco quel che ispira la “Buona Scuola” di Renzi-Giannini, un sistema di istruzione e formazione funzionale alle imprese e allo sfruttamento di forza-lavoro minorile mascherato da apprendistato e tirocinio secondo le modalità dell’alternanza scuola-lavoro, che di fatto significa una descolarizzazione di massa e un avviamento coatto al lavoro. Interessi del capitale e del padronato, al cui servizio si è posto Renzi, e cui deve rispondere piuttosto che alla Costituzione, che infatti sta provvedendo a disarticolare. (31 maggio 2015)

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Ucraina

ODESSA: 2 maggio 2014. Noi non dimentichiamo

“Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi conoscendola la chiama bugia, è un delinquente” Bertolt Brecht Pacifico Un anno fa, in Europa, si consumava un pogrom di cui ancora oggi non si conosce il numero esatto di vittime, 46 secondo le autorità ucraine, ma è legittimo sospettare che siano molte di più. La mat-tanza è stata opera degli ultranazionalisti, di Pravi Sektor – formazione politica di matrice nazista che è stata usata per il famigerato golpe “Maidan” consumatosi mesi prima ai danni dell’Ucraina. Fu un massacro, un’esecuzione di massa premeditata, consumatosi con una ferocia degna degli anni ’40, che non rispar-miò nessuno, nemmeno donne incinte. La vergogna sta tuttavia anche nel silenzio dei media, che nulla hanno detto, o scritto, né condannato un atto di tale disumanità. Mentre ci bombardano d’immagini di tagliagole, di dibattiti sull’Isis dove si strilla allo scandalo contro il “violento” i-slam, tutto viene taciuto a proposito del governo golpista ucrai-no, che ben accolto dai governi dell’UE e degli Stati Uniti, sta compiendo massacri terribili ai danni della popolazione russa dell’est del paese, che perseguita ogni forma di opposizione e mette al bando partiti ed organizzazioni che non si allineano “col nuovo che avanza”. Il silenzio cala su quanto sta succedendo in Ucraina. Si sa troppo poco. In pochi inoltre sanno che centinaia di soldati statunitensi sono stati trasferiti dalle basi di Vicenza in Ucraina per soste-nere militarmente quello stesso governo che aveva permesso il po-grom di Odessa e scatenato la guerra contro le popolazioni del Donbass colpevoli di non riconoscere un governo, quello di Kiev, che si era insediato con un golpe che ha poco da invidiare a quel-lo di Pinochet. Per fortuna però, oltre a noi, c’è chi non si allinea, c’è chi cerca di scoprire e dire la verità. È un lavoro sporco, ma va fat-to e va reso merito a chi lo svolge. Durante le manifestazioni per il 25 Aprile a Milano ho avuto modo di conoscere un gruppo di ragazzi italiani e ucraini che con vo-lantini, spazi su face book e banchetti cercano di spiegare e sen-sibilizzare le persone sui fatti gravissimi che stanno accadendo in Ucraina. Questo gruppo, riunitosi come Comitato Ucraina Antifascista, è at-tivo da più di un anno e coraggiosamente si batte affinché la ve-rità si sappia. Parlando con alcune delle donne (lavoratrici u-craine) che compongono il comitato, ho scoperto che oltre alla coltre di silenzio/menzogne calato dai media occidentali, sono co-strette a difendersi dalle minacce fatte loro dai nazisti ucraini, che diffondevano le loro foto, scattate durante gli eventi pubbli-ci organizzati per informare le persone, in Ucraina, mettendo così in pericolo le loro famiglie che ancora lì risiedono. Queste foto venivano mostrate non solo ai picchiatori che ormai lì spopolano, ma anche ai servizi segreti ucraini, creando serissimi pericoli a parenti e amici degli attivisti, esponendoli all’odio etnico che ad arte è stato fomentato da anni grazie all’aiuto e alla “profes-sionalità” degli specialisti della Nato. Costoro

hanno e stanno alimentando una russofobia ai limiti del grottesco, ci dicono. Diffondono tramite i principali media ucraini, in mano ad un pugno di oligarchi, spingendo la popolazione all’odio etnico contro i popoli dell’est dell’ucraina, attraverso false notizie circa la volontà dei russi di appropriarsi di parte del territorio naziona-le ucraino, quando invece queste popolazioni altro non chiedono che venga loro riconosciuto il loro diritto a poter utilizzare la loro lingua, che vi sia un governo figlio di legittime elezioni, ed un sistema politico federale. In tutta risposta, il governo nazista di Kiev ha risposto con un’offensiva militare che ha visto come vittime tantissimi civili e ha costretto alla fuga migliaia di profughi. Sono stati bombar-dati luoghi pubblici, scuole, ospedali. È stata uccisa brutalmente popolazione inerme. Sono stati costretti a scappare migliaia di profughi. Tutto questo perché? Forse perché la regione di

Donbass è ricca di risorse naturali, in particolare di carbone. Risorse, tra le quali anche ferro e manganese, ambite già dalla Germania nazista che ha visto i suoi piani fallire grazie all’intervento dei sovietici. Il carbone del bacino di Donbass ammontava a 109 miliardi di ton-nellate nel 2013. Questa regione rappresenta il 5% del territorio ucraino, il 10% della popolazione, ma soprattutto il 20% del Pil nazionale ed è qui che si produce il 25% delle esportazioni tota-li . Il Comitato Antifascista di Milano ha il merito di denunciare questi fatti. A portare avanti questo lavoro prezioso vi sono sia italiani, sia tante lavoratrici ucraine che, con spirito di abne-gazione e di sacrificio, dopo turni di lavoro massacranti, dedica-no il loro tempo per questa nobile causa. Queste donne non devono esser lasciate sole. Fortunatamente, anche in diverse città d’Italia sono sorti altri comitati che si battono per la stessa causa. Anche nel nostro giornale, in numeri precedenti, ab-

biamo deciso di dedicare vari articoli sulla faccenda. Perché non vogliamo renderci complici, perché non vogliamo stare a guardare, perché non dimentichiamo e soprattutto perché vogliamo che il nostro Paese esca dalla Nato. Per un nuovo Aprile e una nuova Liberazione. Fonte: http://it.euronews.com Per chi vuole conoscere meglio il tema, consiglio i seguenti siti: www.civg.it http://giuliettochiesa.globalist.it/ http://it.sputniknews.com/italian.ruvr.ru/ http://www.pandoratv.it/ http://www.ortodossiatorino.net/ http://sakeritalia.it/ Per chi voglia mettersi in contatto col Comitato digiti su face book Comitato Ucraina Antifascista Milano

ricordo

Eduardo Galeano... lka Oliva Corado Nella fretta implacabile per far uscire il numero precedente di “nuova unità”, non siamo riusciti a ricordare Eduardo Galeano, il grandissimo scrittore uruguayano – morto il 13 aprile scorso – i cui libri sono imprescindibili per conoscere l’America Latina della rapina, dello sfruttamento, dei poveri e dei dimenticati ma anche delle lotte, delle rivoluzioni, della speranza concreta mai abbandonata di mutare una realtà crudele e quasi senza tempo. Lo facciamo ora, con un testo della scrittrice e poetessa guatemalteca Ilka Oliva Conrado, immigrata clandestina in USA. La redazione di “nuova unità” Sono sempre stata convinta che gli esseri straordinari se ne vadano in giorni

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infausti di cieli nuvolosi che piangono secchi di pioggia. Don Eduardo Galeano se n’è andato in un giorno così, oggi è spuntata singhiozzando la nebbia della primavera statunitense, accompagnandolo dalle prime ore dell’alba. Noi – i paria, gli impronunciabili, quelli delle schiene spezzate durante secoli di sfruttamento; noi, gli illetterati, i braccianti; noi, gli operai, i contadini, gli eterni proletari – siamo rimasti orfani con l’andarsene di don Eduardo. Senza protezione alcuna, immersi nella profonda oscurità della desolazione, se n’è andato l’uomo che osò guardarci negli occhi, che osò darci un nome, camminare con noi e portare sulle sue spalle la nostra tribolazione di classe sociale sfruttata dai tiranni. Se n’è andato un intellettuale che si è sempre sentito un bracciante qualsiasi e questa grandezza umana è ciò che lo rende immortale. Egli ha trasceso i

confini delle classi sociali e delle bacheche dell’università. In questo momento piangono Don Eduardo gli intellettuali, coloro che lottano socialmente, gli esseri giusti e conseguenti, lo piange l’esclusivo mondo degli editoriali, lo piange la poesia e la buona letteratura. Ma lo piangiamo anche noi invisibili, i calvari legati ai piedi dei braccianti, lo piangono le mani delle bambine che battono i grani del caffè in fattorie di altri, lo piange il ventre materno che porta al suo interno il frutto di una violenza, lo piange l’adolescente incarcerato per l’unico delitto di venire dalla periferia. Lo piange la marmaglia dei quartieri poveri, lo piangiamo noi senza documenti, noi senza radici. Le puttane, gli omosessuali, i drogati, i puzzolenti rivoluzionari di tutti i tempi. Noi che abbiamo avuto bisogno della

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sua luce, della sua coerenza e della sua lealtà. Del suo polso forte, della sua parola giusta e della sua dignità. Noi, quelli del martello, del machete, della pannocchia, dei sacchi di farina. Noi, i bastonati, gli ingannati, i braccianti, noi che viviamo nelle discariche, noi cui non è consentito sognare. Noi, i nessuno. Noi dalle vene rosse e feconde, delle buone schiene da caricare. Noi dell’oppressione, della servitù. I senza patria, quelli che puzzano di semplicità. La massa lavoratrice, i contadini e le loro fonti. Siamo rimasti senza il Bastione, senza l’essere che ci ha dato dignità. Come riempire questo enorme vuoto? Come sopravvivere a tanta solitudine, all’infortunio, alla sterilità? Nella chimera ci resta il paradigma di un essere immortale, la grata scuola, la sua fecondità. Ci lascia il suo seme, la sua poesia e la sua libertà. Ci lascia le

illusioni per continuare, ci lascia la loro prosperità. Ci lascia l’elisir della follia e l’allegria del sognare. Ci lascia la conseguenza di un essere completo. Un marciapiede per continuare. Ci lascia il fiore della cordigliera, il canto delle cicale, la trova e l’ode, ci lascia le muse delle rocce, ce lo lascia senza punto e fine. Ci lascia la vena aperta per non presagire. Ci lascia la porta aperta e la sua chiarezza. Ci lascia l’amore profondo della fraternità, il senso di solidarietà, ci lascia l’eterna lotta per l’eguaglianza. Ci lascia la sua sincerità, la sua bellezza, la sua fedeltà. Se ne va e lo accompagniamo dalle colline, dai quartieri, dalle grandi città, dalle fabbrichette, dai campi, dalle casette di mattoni, dalla strada di terra. Dai saloni dell’università. Buon viaggio, maestro… ci mancherà. Stati Uniti, 13.4.2015

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attualità

Debito pubblico: bilioni di menzogne

L’equazione è evidente: più debito pubblico nel suo insieme e di rischio di non pagamento, più spesa militare in generale Armando B. Ginés (*) Voi e io, Bill Gates, Amancio Ortega e un immigrato che cerca di saltare il muro criminale di Melilla per entrare in Europa, tutti noi abbiamo contratto un debito di uguale importo, derivato dai prestiti chiesti e non ancora restituiti dai nostri governi, da comunità regionali e municipi: 6.800 euro a testa. Sembra assurdo… e lo è. Ma così dice la statistica degli economisti al soldo del signor Capitale. Il debito pubblico su scala mondiale ascende a quasi 50 bilioni di euro, mentre il PIL di tutti i paesi supera di poco i 70 bilioni. Di questa produzione mondiale trasformata in denaro o valori finanziari il 25% - circa 18 bilioni – si trovano nascosti in paradisi fiscali. L’incredibilmente assurdo di queste cifre inumane è che 85 persone accumulano tanta ricchezza quanto più della metà della popolazione mondiale, cioè 3.570 milioni di esseri umani. Se si sommasse al debito pubblico l’astronomico fardello di quello privato (banche, società, famiglie), entreremmo in un assurdo di classe ancor più alta: il mondo sarebbe (è?) in bancarotta tecnica perché i debiti sono infinitamente maggiori della produzione. In effetti rimarrebbero le esistenze, il risparmio nascosto in vecchie tasche a costo del consumo e del livello di vita presente e la ricchezza prigioniera nelle mani dei possessori delle grandi fortune, ma i capitoli riveduti non contano nella barbarie assurda del capitalismo, che basa la sua ragion d’essere nella gestione della scarsità e nel profitto proveniente dallo sfruttamento del lavoro.

Plusvalore e debito Obbligazioni di debito, salari controllati, eccedenze imprenditoriali, dividendi bancari e colpacci borsistici sono aspetti di un amalgama chiamato regime capitalista. Il quid della questione risiede nella forma di ridistribuzione della ricchezza. Disponiamo di una produzione sufficiente per dar da mangiare varie volte al giorno all’Umanità al completo, solo per fare un esempio più che significativo, ma il cibo non si divide con l’equità necessaria. L’etica e la morale non possono nulla davanti all’alleanza religiosa tra economia e politica. Com’è possibile che un prestatore accumuli un’eccedenza di ricchezza che, trasformata opportunamente dall’ingegneria finanziaria, cederà poi a terzi tramite un interesse monetario, come se fosse denaro suo? Grazia alla rapina, legalizzata o no. O al plusvalore ottenuto precedentemente in affari non lavorativi che genera un risparmio particolare straordinario. O alla speculazione con quantità non necessarie per la spesa vitale minima. O attraverso la gestione collettiva di piccoli fondi di privati. O estraendo risorse e materie prime da paesi poveri a prezzi da saldi. O … in ogni caso gli eccessi che si destinano ai prestiti non provengono mai dal lavoro personale dei detentori del capitale, ma da processi finanziari o imprenditoriali che accumulano plusvalore che ha la sua origine nella produzione di fatto e in serie del sistema capitalista. Il valore aggiunto è l’aggregato di fattori intangibili che fanno evaporare il frutto reale della produzione, (questo è) la merce, il bene, il servizio o oggetto finale.

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La ricchezza reale non si cristallizza più in oggetti o mezzi d’uso ma in simulazioni finanziarie che nascono dal margine rubato al lavoro dall’imprenditore e da agenti invisibili di interscambio di valori costruiti al di là del consumo diretto e delle necessità umane imprescindibili per la riproduzione della vita.

I paesi debitori delle banche Così si nasconde uno dei trucchi del concetto di debito pubblico. I paesi captano i fondi del mercato e si indebitano, in fin dei conti, con le istituzioni private che operano come fantasmi sullo stesso. In poche parole, i paesi sono debitori delle società, e mai il contrario. Quando, ad esempio, si dice che la Grecia ha contratto un debito con la Germania, ciò è completamente falso: sono le banche tedesche i creditori dei greci, non il paese in quanto tale. Se si trattasse di obbligazioni contrattuali tra paesi, i debiti globali e particolari tra loro verrebbero ridotti, mortificati o condonati in modo più semplice e trasparente, togliendo quantità che si sovrappongono tra loro e ottenendo saldi semplici a favore o contro. Ma la realtà è più sofisticata e complessa. Banche spagnole possono essere creditrici rispetto a Germania, Grecia e Spagna. E entità di qualsiasi paese di altri terzi. Per questo, quando i governi di turno difendono gli interessi di tutti gli abitanti nel debito di un paese dato, la menzogna diventa colossale: essi in realtà parlano solo nell’interesse di banche o società private anonime, mai del mal utilizzato interesse pubblico o generale. Quindi il debito pubblico è un inganno ideologico e politico per come è presentato dai guru finanziari, dagli analisti del mercato e delle borse e dai ministri delle finanze o dell’economia dei paesi occidentali. Su questo inganno e sulla sua logica assurda riposa il sistema neoliberista della globalità contemporanea. Spingiamoci ancor più lontano: tutto il debito pubblico è illegittimo perché si è fondato, dall’inizio, sull’espropriazione di parte del lavoro realizzato tramite il plusvalore ottenuto dal capitale. Ogni accumulazione di capitale deve essere necessariamente realizzata rubando tempo di lavoro non remunerato. Nel caso particolare delle banche e delle entità finanziarie, questi enti non sono altro che depositi di capitale e lavoro mescolati, che muovono a loro piacimento ingenti quantità di denaro altrui come se fosse loro per rendere redditizio unicamente il loro modus operandi particolare e quello dei clienti di maggior rango commerciale, industriale e finanziario. Il risparmio domestico qui gioca un ruolo subalterno, senza voce e senza voto.

PIL? La Spagna, che deve a banche ed entità finanziarie più di 1 bilione di euro, al di sopra del 100% della sua produzione annuale. Gli USA devono più di 4,5 milioni ma questa quantità rappresenta meno di un terzo del suo PIL. Quindi noi spagnoli siamo i campioni mondiali cum laude in debito estero ponderato. Un dubbio merito, ma così paradossale e falso è il consunto ‘marchio’ Spagna. Continuiamo con la Spagna. Il nostro debito pubblico, un bilione di euro, rappresenta quasi il 100% del PIL. Ogni abitante deve più di 20.000 euro. A chi? Questa risposta i governanti la nascondo sempre e i creditori non hanno mai il coraggio di presentarsi con nome e cognome. Prima sorpresa: il principale creditore dello Stato è la banca spagnola (250.000 milioni di euro?), il Banco di Santander e il BBVA che tirano il motore lucrativo con circa

90.000 milioni tra i due. Un altro creditore di rango sono le nostre future pensioni e, per dirla con più classe, il Fondo di Riserva della Sicurezza Sociale. Alcune stime indicano che l’appropriazione indebita della Sicurezza Sociale sfiora i 60.000 milioni di euro. Altri creditori di peso: la Banca Centrale Europea, entità bancarie tedesche e francesi, società assicuratrici e fondi di investimento (BlackRock, JP Morgan, PIMCO, Fidelity, Carmignac…), privati (l’1%) e società spagnole a carattere non finanziario. Anche se si mette sempre l’accento sul debito pubblico, quello privato in Spagna rappresenta circa l’85% della somma di entrambi. Del 16% che corrisponde al debito pubblico, i tre quarti sono imputabili all’amministrazione centrale, il 20% alle comunità autonome ed il resto ai municipi. Circa un quinto

del debito privato è imputabile alle famiglie e più del 60% è attribuibile a banche, entità finanziarie e imprese. Il debito spagnolo totale potrebbe raggiungere l’ineffabile quota di 4,25 bilioni di euro, quattro volte il PIL, essendo i principali creditori del debito estero istituzioni d enti, tra altri per minori quote, di Germania, Francia, USA, Gran Bretagna e Italia. In parole povere questo vuol dire che saremo sempre indebitati. Ora: perché un creditore vuole debitori che non potranno mai saldare il loro debito? Una cosa è chiarissima: cliente morto non paga. Il meglio sarebbe asfissiare all’estremo per trarre tutto il sugo possibile al fattore lavoro (sfruttamento lavorativo intensivo, detto produttività selvaggia; plurimpieghi…). Per la vita intera. In fondo questa è la filosofia delle ipoteche a lungo periodo: stringere, ma non soffocare mai del tutto, salvo che in tempi di crisi acuta. Il binomio debito pubblico/PIL ha qualche relazione specifica con la ricchezza o la stabilità economica di un paese concreto? Bene, dipende dalla prospettiva che si adotta. Nessuno direbbe che Giappone e USA siano paradigmi di paesi poveri, ma i giapponesi sono i leaders rinomati nella classifica mondiale del debito pubblico, se si lega questo fattore alla percentuale che occupa nel suo PIL. Nel caso del Giappone, più del 250%: 12,5 bilioni di euro. Ogni giapponese ha un debito simbolico, o nominale, di 85.000 euro. Da parte sua, ogni statunitense deve più di 40.000 euro di un debito pubblico globale di circa 18 bilioni di euro, più del cento per cento del PIL USA. I dati della grandiosa e potente Germania di Merkel non producono neppure loro risultati spettacolarmente positivi. Il suo debito pubblico supera i 2 bilioni di euro, l’80% del suo PIL, per cui ogni tedesco deve al mondo (cioè alle banche) circa 25.000 euro. Le cifre precedenti contrastano abbastanza con quelle di altri paesi che la propaganda capitalista teme, sottovaluta o minaccia ideologicamente in modo sistematico. La Cina registra un debito pubblico di 2 bilioni di euro, il 20% del suo PIL e ognuno dei suoi abitanti deve circa 1.000 euro. Nel caso della Russia, il suo debito pubblico è circa il 10% del PIL, meno di 300 mila milioni di euro, circa 1.200 euro di debito pro capite. Il debito pubblico del Venezuela, in ultima, è stimato in circo 50 milioni di euro, il 60% della sua produzione annuale lorda. Ogni venezuelano ha un debito di circa 7.000 euro.

Debito e spesa militare Il debito pubblico, quindi, è uno strumento o un meccanismo di dominio e di egemonia del mondo ricco sui paesi poveri, di dimensioni medie o periferiche nell’ordine capitalistico della globalità. Non esiste una relazione diretta e assoluta di causa-effetto tra debito e peso politico nel concerto internazionale. Di fatto i paesi più indebitati sono gli esponenti prediletti del capitalismo più genuino e avanzato: Giappone e USA. In altri termini, il debito rappresenta la subordinazione del potere politico, della geografia, della storia, della cultura e della demografia alle multinazionali, al mercato, ai para-

Paragonare i debiti Vediamo esempi e comparazioni circa il debito pubblico e anche quello privato, prendendo la Spagna come paese di riferimento. Sono dati che in ben poche occasioni si meritano titoli esplicativi sui principali. Sapete qual è il paese con il maggior debito pubblico rispetto al suo

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disi fiscali e al potere finanziario. In questo senso, il debito pubblico è un puro artefatto ideologico che esprime l’egemonia dell’élite dominante del regime capitalista. Ma… oltre all’ideologia e alla politica, senza il braccio militare nulla sarebbe com’è nella realtà attuale. La falsità ideologica bisogna difenderla anche a colpi di guerre umanitarie e di incursioni chirurgiche a carattere bellico per chiarire bene chi comanda in ultima istanza, è questo il luogo dove abita la santa verità ufficiale. Ogni giorno il mondo spende nel settore militare 4 miliardi 970 milioni di dollari. Moltiplicateli e vedrete l’incredibile cifra che ne esce trasformata in periodi di settimane, mesi, anni… Ma non tutti i paesi spendono lo stesso. La spesa militare USA rappresenta il 40% del totale mondiale. Con i loro alleati della NATO, ascende al 60%. Austerità non fa rima con militare. Gli USA dedicano 3,5 volte più risorse economiche per il loro status militare che la Cina e 7 volte di più della Russia. Dopo i tre paesi citati, investono di più nel capitolo militare l’Arabia Saudita (!!!), la Francia, la Gran Bretagna. La Germania, il Giappone (!), l’India e la Corea del Sud (!!!).

Elite, classe lavoratrice e poveri Come finale, potremmo segnalare che il mondo del debito pubblico segmenta le persone in tre terzi ben definiti: l’élite, la classe lavoratrice attiva e i soliti poveri più gli emarginati di ogni tipo e condizione. In questa divisione, ad una prima occhiata sembrerebbe che i poveri e gli emarginati non apportino nulla alla produzione globale, ma si tratta di una valutazione equivoca. La povertà e l’emarginazione, oltre che esercito di riserva lavorativo, servono a ricordare a lavoratrici, lavoratori e classi medie che si può sempre cadere più in basso nella miseria se non si accettano le condizioni inerenti al sistema capitalista. Dalla loro materialità – ci riferiamo ai poveri e agli emarginati – si producono paure emozionali dirette alla popolazione standard ed essi servono anche per modellare, a partire dal loro magma indifferenziato, agenti sociali malvagi, carpi espiatori con cui sviluppare conflitti trasversali che non permettano di vedere con chiarezza i processi di dominio biologico, tecnologico, ideologico e politico che vanno di comune accordo con il capitalismo occidentale. Potete immaginare un mondo senza debito pubblico né debito privato? Perché i sogni non diventassero collettivi o si elevassero a coscienza politica si inventò la spesa militare. L’equazione è evidente: a maggior debito pubblico nel suo insieme e di rischio di non pagamento, più spesa militare in generale. Anche in termini sociali c’è la formula correlata: più disoccupazione o povertà, maggiore repressione legale e poliziesca. La storia è qui a validare questa tesi. da: rebelion.org; 1.6.2015 (*) Analista, scrittore e giornalista spagnolo (traduzione di Daniela Trollio CIP “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni)

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attualità

I dannati del mare Daniela Trollio (*) Nel novembre 1989, al suono delle fanfare di tutto l’Occidente ‘democratico’, cadeva il “Muro” per antonomasia, quello di Berlino. Sono passati 26 anni e, nel mondo, di muri ne sono stati eretti più di una ventina: muri di filo spinato, di cemento, di sabbia e pietra, contornati da fossati, elettrificati, guardati a vista da soldati che sparano… I più conosciuti sono quelli tra Stati Uniti e Messico (dove le “schiene bagnate” centro-americane cercano di entrare nella terra promessa del dollaro), quello tra Israele e Cisgiordania, la barriera di Ceuta e Melilla in Marocco: Ma ve ne sono altri meno noti, come quello recente tra Bulgaria e Turchia eretto per fermare i profughi siriani, quello tra l’Oman e gli Emirati Arabi, quello tra lo Yemen e l’Arabia Saudita, quello tra la Tailandia e la Malaysia e via dicendo. Ogni anno migliaia di persone perdono la vita per oltrepassare questi muri. Ma, secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR), il muro più mortale - fatto d’acqua e non di terra - è il Mediterraneo, il mare nostrum. Nel 2014, secondo l’Agenzia, nel mondo sono morti 4.272 migranti e ben 3.419 di questi in quel cimitero d’acqua che è diventato il Mediterraneo. Fino a questo mese di maggio 2015 sono morti nelle nostre acque 1.750 migranti, 30 volte di più dello stesso periodo del 2014. Da anni di discute, almeno in Europa, del problema dei migranti, e via via che la crisi economica si fa sempre più pesante, sembra che questo sia il nostro problema principale. Frontex, Eulex e sigle varie, proposte di militarizzazione del mare, bombardamento degli scafisti… vuote parole che vogliono nascondere due realtà fondamentali, che riguardano da vicino non solo le decine di migliaia di uomini, donne e bambini che cercano di sfuggirvi ma anche noi, qui nella ‘fortezza Europa’: la rapina imperialista e la guerra.

Prima ti saccheggio… Già, la rapina imperialista, cominciata ben prima delle guerre “umanitarie” che hanno sconvolto l’Africa. Dopo gli anni ’60 e la caduta dei regimi coloniali, l’Africa è stata terreno di una nuova ri-colonizzazione fatta a colpi di accordi commerciali che avevano il fine di riguadagnare il terreno perduto con meccanismi diversi da quelli dell’occupazione militare diretta (anche se poi sarebbero stati ripresi anche questi, vedi Iraq, Mali, Libia per citare gli ultimi esempi). Tali accordi si basano su un principio ben chiaro: modulare le economie dei paesi africani secondo le necessità del capitale europeo e nordamericano. Questi accordi prevedono, in sostanza, la vendita delle materie prime ad un costo inferiore a quello di mercato e l’abolizione dei dazi di importazione. L’ultimo di questi accordi, firmato tra Unione Europea e 15 Stati dell’Africa Occidentale e chiamato APE (la sigla in francese dell’Accordo di Associazione Economica) proibisce – ad esempio - l’imposizione dei dazi sugli 11.900 milioni di euro di prodotti importati dalla UE nel 2013 (la Francia, grazie alla sua eredità coloniale, è la testa di ponte dell’imperialismo europeo in questa zona). Ciò significa che l’agricoltura di sussistenza locale di questi paesi si trova a competere – per così dire, meglio sarebbe ‘soccombere’ – con l’agricoltu-

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ra industriale europea. Risultato: la rovina completa di decine di migliaia di piccoli agricoltori e delle loro famiglie. Come diceva a proposito dell’America Latina il grande scrittore uruguayano Eduardo Galeano, anche l’Africa “ha la disgrazia di essere ricca” di materie prime e di grandi estensioni di terre. Da anni le multinazionali, sostenute dalle élites politiche locali, espellono gli abitanti per impadronirsene: basta il più vago sospetto della presenza di petrolio o di minerali necessari all’industria occidentale, o la possibilità di impiantare piantagioni per la produzione di bioetanolo ed ecco che decine di migliaia di persone vengono private, con le buone o più spesso con le cattive, delle loro case, delle loro terre e dei loro mezzi di sostentamento. Zimbabwe, Uganda, Namibia, Mozambico, Mali, Nigeria, Tanzania… sono solo alcuni degli esempi. L’anno scorso l’Inghilterra ha destinato 600 milioni di sterline – denaro dei contribuenti inglesi – ad ‘aiuti allo sviluppo’, concretati in un accordo chiamato “Nuova Alleanza per la Sicurezza Alimentare e la Nutrizione”. In cambio degli aiuti economici e degli investimenti occidentali, i paesi africani coinvolti – in base a tale accordo – devono cambiare le loro attuali leggi in modo da facilitare l’acquisizione delle terre, il controllo della fornitura di sementi e quello dei prodotti da esportazione. Le conseguenze sono chiare. Hanno sottoscritto questo accordo Etiopia, Ghana, Tanzania, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Mozambico, Nigeria, Benin, Malawi e Senegal. L’imperialismo nord-americano non si tiene indietro. Lo scorso marzo a Londra la Fondazione Bill&Melinda Gates (proprietaria – guarda caso - di mezzo milioni di azioni di Monsanto) e l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo (la famigerata USAID) hanno organizzato

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una conferenza tra ‘donatori’ di aiuti e grandi società, in cui si è discussa la strategia per facilitare la vendita di sementi sotto patente in Africa. Per generazioni gli agricoltori hanno interscambiato tra loro le sementi. Ciò ha permesso di innovare, di mantenere la biodiversità, di adattare le sementi a condizioni climatiche diverse e di difendersi dalle malattie delle piante. In questa riunione, invece, si è dibattuto come introdurre massicciamente le sementi ibride di Syngenta, Monsanto ecc. che renderanno i contadini africani assolutamente dipendenti dalle multinazionali proprietarie delle patenti e produttrici anche dei pesticidi e dei fertilizzanti necessari a queste colture, provocando quindi anche danni ambientali e problemi alla salute, oltre alla rovina dei piccoli coltivatori locali.

… poi ti bombardo... Quando questi accordi non sono abbastanza celeri rispetto alle esigenze del capitale imperialista, resta sempre l’opzione militare. Il caso della Libia è esemplare. Nel novembre 2010 si tenne nel paese il 3° Vertice Africa-UE. Muhammar Gheddafi accolse con gran pompa i dirigenti di 80 paesi africani ed europei, che pianificarono un ‘piano di azione’ per una collaborazione congiunta 2011-2013 in materia di creazione di posti di lavoro, investimenti, crescita economica, pace, stabilità, emigrazione e cambio climatico. Ma la Libia – che era allora il paese con il più alto livello di vita di tutta l’Africa, è bene ricordarlo era un boccone troppo ghiotto. Possedeva una riserva immensa del miglior petrolio leggero del mondo, con un potenziale produttivo stimato in più di 3 milioni di barili al giorno (che il governo pensava di nazionalizzare).Nel suo sottosuolo giace una immensa riserva idrica di acqua dolce stimata in 35.000 chilometri cubici che forma parte del Sistema Acquifero Nubiano di Arisca (NSAS), la maggiore riserva idrica fossile del mondo: negli anni ’80 si era dato il via ad un progetto su grande scala di approvvigionamento idrico, il Grande Fiume Artificiale di Libia che, una volta completato avrebbe coperto Libia, Egitto, Sudan e Ciad - regioni sempre minacciate dalla scarsità di acqua per le coltivazioni - e permesso di potenziare la sicurezza alimentare della zona. Il progetto avrebbe anche evitato a questi paesi di ricorrere ai finanziamenti del Fondo Monetario Internazionale: qualcosa che si opponeva all’aspirazione al monopolio globale delle risorse idriche e alimentari da parte del capitale internazionale. La Libia possedeva inoltre 200 mila milioni di dollari di riserve internazionali. Com’è andata a finire lo sappiamo tutti. Uno Stato in completo disfacimento, bande terroristiche (i famosi e celebrati ‘ribelli’) che si contendono militarmente il controllo delle sue riserve (qualcuno a Washington e a Bruxelles ha fatto male i conti…), migliaia e migliaia di lavoratori dei paesi vicini attratti dalle precedenti opportunità di lavoro e rimasti senza possibilità né di integrarsi né di ritornare ai loro – poverissimi - paesi di origine, un territorio aperto alla criminalità più brutale: ecco perché i barconi partono dalle coste libiche… grazie alla nostra guerra “umanitaria”.

Quello che l’Africa soffre da anni è quello che noi cominciamo a soffrire: non a caso il progetto politico più importante che si discute nel massimo segreto a Bruxelles – il TTIP – è la proposizione di quegli ‘accordi’ per lo sviluppo che hanno devastato altri Continenti … e se non basta ti annego

Alcuni anni fa, con il cinismo ‘di classe’ che lo contraddistingue, il Fondo Monetario Internazionale calcolava che – per la struttura del capitalismo mondiale e le sue esigenze di produzione e riproduzione – più di un terzo della popolazione mondiale era ‘inutile’. Può sembrare una boutade, ma non lo è. È l’idea vera che sta sotto al fiume di discorsi sui “diritti umani” con cui ci hanno innaffiato in questi ultimi anni, è il substrato ideologico nazista che ci sta avvelenando. L’esercito di riserva europeo è più che sufficiente per le necessità del capitale, quindi i migranti – gli ultimi degli sfruttati e degli oppressi – sono solo braccia e bocche inutili e dannosi per il profitto. Per loro, i nuovi untermenschen, i diritti umani tanto sbandierati non valgono e così noi assistiamo – troppo, troppo silenziosi – alla carneficina che si ingoia migliaia di esseri, umani tanto quanto noi. Certo non ci sporchiamo le mani di sangue, lasciamo che sia il mare a fare il lavoro sporco. Ma... attenzione! Questo discorso riguarda anche noi. In forma più sottile ogni giorno ci dicono che anche la maggioranza di noi lavoratori europei - in buona sostanza - stiamo diventando braccia e bocche inutili. Per ora soffriamo e moriamo di miseria, di disoccupazione, di mala sanità, di super sfruttamento ma lo facciamo uno qua e uno là. La nostra miseria, la nostra morte non appare sui giornali, è un processo che corre sotto traccia. Intanto si prepara l’Esercito europeo unico, nel caso dovessimo cominciare a prendere coscienza del nostro presente e del nostro futuro, ad organizzarci, a ribellarci. Quello che l’Africa soffre da anni è quello che noi cominciamo a soffrire: non a caso il progetto politico più importante che si sta discutendo nel massimo segreto a Bruxelles – il TTIP – è la proposizione di quegli ‘accordi’ per lo sviluppo che hanno devastato altri continenti.La faccia più bestiale del capitalismo è oggi rivolta agli immigrati – a quei nostri fratelli proletari la cui disperazione, sofferenza e morte dovremmo sentir bruciare sulla nostra pelle – ma si sta, abbastanza velocemente rivolgendo verso di noi. Quando questa faccia si girerà completamente, nessuno potrà dire di non averlo saputo. (*) CIP “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni

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rassegna stampa

Notizie in breve dal mondo maggio 2015 Haiti 1° maggio

stato condannato precedentemente per un altro caso di corruzione, attualmente in esame presso la Corte Suprema. Si trattava di bustarelle per 140.000 dollari, ricevute quando egli era sindaco di Gerusalemme da promotori di un enorme complesso residenziale chiamato Holyland. Oggi Olmert era accusato di aver ricevuto illegalmente almeno 150.000 dollari dall’impresario nordamericano Morris Talansky quando era Ministro del Commercio e dell’Industria nel 2000

Giornata di lotta operaia in varie città, tra cui Cap Haitien e Port au Prince, cui hanno partecipato i lavoratori organizzati nel sindacato ma anche contadini, organizzazioni di quartiere e studenti. Nonostante il governo abbia decretato la giornata “Festa dell’Artigianato”, a Port au Prince la manifestazione dei lavoratori, forzando le barriere della polizia, è arrivata sotto il palazzo del governo. La manifestazione più importante, cui hanno partecipato gli operai di Caracol e di Codevi (le zone ‘franche’ istituite dal governo statunitense dopo il terremoto), si è tenuta nella cittadina di Ouanaminthe.

New York, USA 26 maggio

Repubblica Dominicana 4 maggio

Cinquanta anni fa, in questo stesso giorno, terminava l’invasione USA, iniziata il 24 aprile 1965, della Repubblica Dominicana. L’obiettivo era impedire il ritorno al governo dello scrittore Juan Bosch, primo presidente eletto in consultazioni democratiche, e sostituirlo con una marionetta del dittatore Rafael Trujillo. 7 mesi dopo essere stato eletto, il governo di Bosch fu rovesciato dall’intervento nord-americano. All’invasione parteciparono 35.000 marines, che riuscirono a schiacciare il sollevamento popolare. Il nuovo presidente imposto, Joaquìn Balaguer, aprì il paese alle multinazionali: la Gulf and Western prese il controllo dell’industria zuccheriera, delle banche e dell’agro-industria, acquisendo una posizione dominante in tutto il paese. Balaguer si farà rieleggere ben 7 volte.

Nepal 5 maggio

Alcune OnG che lavorano nel paese appena colpito da un terribile terremoto rivelano oggi un traffico di minori gestito dalle forze armate di Israele che “collaborano” al salvataggio delle vittime del sisma. Nella capitale Katmandu vi sono 25 neonati, nati da madri “in affitto” per conto di israeliani. La maggior parte di essi sono il risultato di accordi presi dalla multinazionale Tammuz, una società israeliana specializzata nel procurare bambini a copie che non possono avere figli. Le stesse Ong, con diverse dichiarazioni fatte al quotidiano turco Yeni Akit, affermano che queste attività vengono svolte da anni. Secondo fonti ufficiali del governo israeliano, i suoi militari hanno salvato ben 22 bambini. Sarà questa la ragione per cui Tel Aviv ha montato una grande operazione di “salvataggio”, con 7 aerei, 260 medici ed équipe specializzate nella localizzazione delle vittime sotto le rovine??!

Stati Uniti 6 maggio

Brutte notizie per Monsanto, il gigante statunitense dei transgenici. Secondo quanto confermato oggi da un gruppo di studiosi britannici del Centro per l’Ecologia e l’Idrogeologia, la pianta sacra degli Incas – l’amaranto – distrugge i campi di soya transgenica. Nel paese gli agricoltori hanno già perso 5.000 ettari di coltivazione di soya ed altri 50.000 sono gravemente minacciati dall’amaranto. Nel 2004 un agricoltore di Atlanta si accorse che l’amaranto distruggeva alcuni campi seminati con semi transgenici di grano RoundUp Ready, prodotti da Monsanto. Da allora il fenomeno si è esteso alla Carolina del Sud e del Nord, all’Arkansas, al Tennesse e al Missouri.

Stoccarda, Germania 7 maggio

Il procuratore generale della città ha annunciato che entro fine mese verrà presa una decisione sul caso della fabbrica di armi Heckler&Koch GmbH che ha inviato illegalmente, tra il 2003 e il 2011, migliaia di armi in Messico. Il fatto era stato reso pubblico nel settembre 2014, dopo che le autorità doganali di Colonia avevano scoperto le esportazioni illegali. Secondo il loro rapporto la società tedesca aveva venduto 9.000 fucili del tipo G36, dei quali 4.000 negli stati di Jalisco, Guerrero, Chiapas e Chihuaha – teatro da anni di violenze di ogni tipo e scontri tra cartelli della droga - senza autorizzazione.

Bagram, Afganistan 7 maggio

Manifestazione popolare contro la presenza delle truppe straniere nel paese dopo che un civile era stato ucciso da una pattuglia di soldati statunitensi. Un altro incidente simile era accaduto nella città di Charikar il mercoledì precedente. Secondo i dati ONU, durante il 1° trimestre del 2015 almeno 665 civili sono stati uccisi dalle forze NATO che occupano il paese ed altri 1.155 sono stati feriti. I dati dell’Unama (Missione di Assistenza dell’ONU) indicano cifre senza precedenti rispetto agli anni scorsi di donne e bambini assassinati nei primi 3 mesi dell’anno corrente, rispettivamente 55 e 123.

Londra, Inghilterra 11 maggio

15 arresti durante le proteste davanti alla residenza di Downing Street dell’appena rieletto David Cameron contro i nuovi tagli ai servizi pubblici di educazione, salute, investimento sociale appena proposti. Secondo quanto riportato dalla BBC, oltre agli arresti ci sono stati vari feriti negli scontri con la polizia.

dicembre 2014 come gesto umanitario e di attenuazione del conflitto, ma l’incoerenza del governo Santos l’ha causata dopo 5 mesi di offensiva terrestre ed aerea contro le nostre strutture in tutto il paese” hanno comunicato le FARC.

Tokyo, Giappone 24 maggio

15.000 manifestanti hanno ‘costruito’ una catena umana a Tokyo per protestare contro il progetto di costruzione di una nuova base militare USA nell’arcipelago di Okinawa. I manifestanti hanno circondato il parlamento contro l’annunciato trasloco della già esistente base di Futenma a Okinawa, che ospita già circa la metà dei 47.000 soldati statunitensi presenti sul territorio giapponese. Da tempo la popolazione della zona denuncia l’aumento di casi di criminalità e di stupro commessi dai militari nordamericani.

L’Avana, Cuba 25 maggio

Il Granma di oggi riassume le attività della Brigata medica cubana partita per il Nepal il 12 maggio, notte in cui si è verificata la seconda scossa di terremoto dopo quella del 25 aprile. I medici e gli infermieri cubani della Brigata n. 41 del Contingente Internazionale Specializzato Disastri e Grandi Epidemie “Henry Reeve” hanno curato fino ad oggi 2.000 pazienti nei distretti di Katmandu, Lalitpur e Bhaktapur, dove sono presenti con campi fissi di tende in cui operano chirurghi, ortopedici, fisioterapisti e riabilitatori, oltre ad altri specialisti. La Brigata dispone anche di équipe mobili che si spostano nei distretti vicini.

Stato di Perlis, Malaysia 25 maggio

Trovate dalla polizia altre 139 tombe di immigranti nel nord del paese, a 500 mt. dalla frontiera con la Tailandia dove, all’inizio del mese, la polizia tailandese ne aveva scoperto numerose altre. Le autorità ritengono trattarsi di immigrati clandestini del Bangladesh e della minoranza musulmana Rohinya, prede delle reti di trafficanti. Mercoledì scorso i governi di Indonesia e Malaysia si sono accordati per accogliere temporaneamente tutti gli immigrati che si trovano nella regione, sempre che la comunità internazionale di impegni a redistribuirli in paesi della regione. La Tailandia, che fino ad ora si rifiuta di accogliere gli immigrati che si trovano sui barconi alla deriva nel Golfo del Bengala, ha arrestato 40 persone, in maggioranza politici locali, ritenuti legati al traffico di persone.

Gerusalemme, Israele 25 maggio

L’ex Primo Ministro israeliano Ehud Olmert, che ha governato il paese dal 2006 al 2009, è stato condannato da un tribunale di Gerusalemme ad 8 mesi di carcere per corruzione aggravata. I suoi avvocati hanno preannunciato un appello, il che sospende la condanna. Olmert era già

Taiz, Yemen 26 maggio

Secondo un comunicato dell’Ufficio delle Nazioni Unite per la Coordinazione degli Aiuti Umanitari (OCAH), vari servizi di base come la fornitura di acqua la salute e le comunicazioni, sono stati sospesi nel sud del paese a causa della mancanza di combustibile a Taiz, causata dai bombardamenti dell’Arabia Saudita sulla zona dal 26 marzo, inizio dell’offensiva aerea saudita, non approvata dall’ONU ma appoggiata finanziariamente dagli USA, a cui partecipano anche Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Catar, Egitto, Giordania, Sudan, Pakistan e Marocco. Il Ministero ha chiuso vari ospedali e centri di emergenza. Secondo dati ONU sono morti finora 3.900 civili e ne sono stati feriti più di 6.000.

Perù 27 maggio

48 ore di sciopero macro-regionale in appoggio alla lotta della valle del Tambo contro il progetto minerario detto “Tìa Maria” di sfruttamento e lavorazione a cielo aperto del rame nella provincia di Islay, distretto di Arequipa. Il progetto appartiene all’impresa messicano-statunitense Southern Copper Corporation e avrebbe la durata di 21 anni per l’estrazione di 10.000 tonnellate di rame al giorno con l’utilizzo delle acque sotterranee attraverso pozzi da installarsi nella valle del Tambo. Di fronte alla rivolta dei distretti toccati dal progetto (Arequipa, Apurìmas, Ayacucho, Cajamarca, Cuzco, Moquegua, Puno e Tacna) il governo di Ollanta Humala ha decretato lo stato di emergenza e il dispiegamento dell’esercito in appoggio alla polizia. Finora ci sono state già 4 vittime tra gli oppositori al progetto.

Bruxelles, Belgio 27 maggio

Parzialmente riaperto oggi lo spazio aereo belga, dopo il black-out che ha colpito il sistema di controllo “Belgocontrol”. 12.000 passeggeri hanno visto annullare i loro voli. Secondo i sindacati del settore il blocco è stato causato dal piano europeo di tagli approvato 3 anni fa, con la riduzione della spesa del 3,5% ogni anno, che ha causato la riduzione degli investimenti e del personale addetto alla manutenzione del centro di controllo aereo belga. Anche il portavoce dell’associazione dei piloti belgi, Francis Uyttenhove, ha espresso sconcerto: “Un’interruzione di corrente del genere non dovrebbe succedere e deve essere risolta nel giro di pochi minuti. Sono molto stupito che non siano stati attivati i generatori di emergenza o che questi non abbiano funzionato” ha dichiarato.

“QUELLI DEL PLAYA GIRON” Il filo rosso delle RESISTENZE

Haiti 13 maggio

Centinaia di manifestanti hanno ‘accolto’ il presidente francese François Hollande, in visita di Stato, con proteste e cartelli recanti la scritta “Hollande: denaro sì, morale no”. I manifestanti chiedono il rimborso del debito contratto due secoli fa per ottenere l’indipendenza dalla Francia, circa 19 milioni di dollari annuali. Si tratta dell’indennizzo che Haiti, prima repubblica nera della storia, dovette pagare come indennizzo ai coloni francesi per compensare le loro perdite ed ottenere il riconoscimento diplomatico del nuovo stato.

Colombia 22 maggio

Le Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia (FARC) hanno annunciato oggi la sospensione del ‘cessate il fuoco’ unilaterale dopo l’assassinio di 26 dei loro membri a causa di un bombardamento da parte dell’esercito nel sud-ovest del paese, nella zona di Guapì, municipio di Cauca. “Non era nella nostra prospettiva la sospensione del cessate il fuoco unilaterale e indefinito proclamato il 20

nuova unità

Il massimo responsabile dell’Organizzazione Mondiale per la Salute (OMS), Bruce Aylward, in una conferenza stampa avverte che l’epidemia di Ebola nell’Africa Occidentale potrebbe continuare a colpire per tutto questo anno, se le condizioni non migliorano considerevolmente. “Se la Liberia”, ha ricordato, “è stata dichiarata paese libero dall’Ebola, sia la Guinea che la Sierra Leone continuano a presentare casi la cui origine è sconosciuta, nel senso che non sono causati da contatti con altri malati, il che significa il probabile sorgere di altri focolai dell’infezione”.

3/2015

“O Comunismo o Barbarie“, Associazione Culturale Joris Ivens CONTRIBUTI E DOCUMENTAZIONE DEI COMPAGNI ITALIANI CONTRIBUTI PERSONALI della ZONA FIORENTINA Introduzione militante del partigiano “Sugo” Mario Gorini, Partigiano “VITTORIO” - 22ª bis Brigata d’Assalto Garibaldi “Vittorio Sinigaglia” Cesare Massai, Partigiano dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP) di Firenze. Enio Sardelli, Partigiano “FOCO” della “Caiani” Sirio Ungherelli, Partigiano “GIANNI” 22 ª bis Brigata d’Assalto Garibaldi “Vittorio Sinigaglia DOCUMENTAZIONE della ZONA APUANA Presentazione: “Testamento” di Tristano Zekanowsky Lettera del Comando del Distaccamento d’Assalto Garibaldi “Aldo Cartolari” al Gruppo “Patrioti Apuani” Rapporto del Vice Commissario

Politico “T. Z. Ciacco” al ComandoDistaccamento d’Assalto Garibaldi “Aldo Cartolari” Regolamento Militare del Distaccamento d’Assalto Garibaldi “Aldo Cartolari” Costituzione e Statuto della Brigata d’Assalto Garibaldi “Ugo Muccini” CONTRIBUTI compagni latinoamericani Eucebio Figueroa Santos, “RONY”, delle Forze Armate Ribelli del Guatemala César Mario Rossi Garretano, “TONY”, delle Forze Armate Rivoluzionarie Orientali dell’Uruguay CONTRIBUTI compagni palestinesi LEILA KHALED, “SHADIA ABU GHAZALI”, attualmente membro dell’Ufficio Politico del FPLP e dirigente dell’Ufficio Rifugiati € 12,00 Si può richiedere tramite email alla redazione di nuova unità: redazione@nuovaunita.info

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