RIVISTA COMUNISTA DI POLITICA E CULTURA Periodico n. 4/2015 - anno XXIV
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Sanità, si gratta ancora dal fondo del barile
Diritto alla salute addio! Come dire: morite prima così risparmiamo anche sulle pensioni, e possiamo potenziare le spese militari per la guerra Nella calura estiva una vera e propria mazzata si è abbattuta sulla sanità pubblica. Il Governo deve far quadrare i conti come richiede l’UE e le spese sanitarie sono tra i primi tagli della spending review. Non tagli agli sprechi o razionalizzazione delle risorse, ma tagli lineari che colpiscono la salute. Il capolavoro del deputato Pd Gutgeld, fedele renziano, è una voragine di 10 miliardi che si aggiunge a quella degli ultimi anni e che attacca la prescrizione degli esami. Basta con analisi, tac e risonanze magnetiche, visite specialistiche, stop a quasi 200 prestazioni specialistiche e a oltre cento tipologie di ricoveri ritenuti uno spreco miliardario. Strutture sanitarie e medici avranno un limite di prescrizione oltre al quale non potranno andare, vale a dire che i pazienti saranno privati di diagnosi accurate se non a proprie spese, come se già non bastasse il pagamento dei ticket. Introdotti con la giustificazione del ripiano del deficit della spesa sanitaria accumulato in seguito a gestioni clientelari, di corruzione, di tangenti, ruberie varie ecc. Un balzello per la spesa sanitaria che si paga già attraverso il prelievo fiscale generale, l’Irpef e le assicurazioni auto. Il Sistema sanitario nazionale, nato nel 1978 forte di una mobilitazione che si richiamava all’art. 31 della Costituzione, è un vago ricordo. Dal 1992 con De Lorenzo, allora ministro della sanità, ad oggi una serie di controriforme, la riforma del titolo V, le politiche della Commissione europea, hanno cambiato completamente i principi ispiratori e la sanità è diventata un’azienda che deve produrre profitto. Anche con il governo Prodi e Rosi Bindi ministro, nel 1999, si è confermata l’aziendalizzazione e la regionalizzazione, inoltre sono stati introdotti i LEA, i livelli essenziali di assistenza. L’attuale attacco durissimo alla sanità, con differenze tra Regione e Regione per via del Patto Stato-Regioni, mette a serio rischio il diritto alla salute. La riduzione di personale – sottoposto a turni e orari massacranti per contratti firmati da quei sindacati che dovrebbero difendere i lavoratori - mette in pericolo la salute stessa dei dipendenti e abbassa il livello di qualità del servizio. E a sopperire vuoti e posti vacanti sono chiamati a lavorare, gratis, i volontari (speranzosi in una futura assunzione), perché l’Italia per numero di infermieri è sotto la media OCSE: 6,4 per mille abitanti contro media Ocse a 8,8 mancano quindi 60 mila infermieri. Cosa sta accadendo nella sanità pubblica? Depotenziamento, ridimen-
sionamento e declassamento di interi ospedali obbligano pazienti e parenti a scomodi e costosi spostamenti. Per evitare lunghe liste d’attesa si dirigono i pazienti verso il cosiddetto volontariato, cioè verso il terzo settore che alle Regioni costa più del servizio interno, si riducono i posti letto (la media Ocse è 4,8 per mille abitanti mentre in Italia è a 3,4 mille e 12 anni fa era a 4,7), si limitano i giorni di degenza, si è introdotta l’intramoenia - il sistema che permette agli specialisti l’uso privato della struttura pubblica a pagamento -. Si chiudono i reparti maternità là dove si registrano meno di 1000 parti all’anno costringendo le donne - stressate dal travaglio - a lunghi percorsi su strade spesso dissestate, impervie, piene di curve e l’uso dell’elicottero dalle isole, tempo permettendo. Con l’imposizione del DRG (diagnostic related group), una sorta di prezzario delle prestazioni in uso negli Stati Uniti ai pazienti non è garantita la necessaria assistenza e vengono dismessi non completamente guariti. E mentre si eliminano i presidi di quartiere e gli ospedali, se ne costruiscono altri con il sistema economico del project financing per assicurare ulteriori profitti e speculazioni finanziarie ai privati e per loro la sanità diventa un vero e proprio affare. Lo scopo del Governo nazionale e regionale tra chiacchiere e slogan smentite dalla realtà è chiaro: smantellare il servizio pubblico sanitario - che è un diritto costituzionale - per orientarlo verso la totale liberalizzazione e privatizzazione, con grande vantaggio dei pazienti ricchi, delle cliniche private, delle compagnie assicurative (Unipol sta spopolando), del terzo settore cosiddetto volontariato. In piena sintonia con quanto richiesto dall’imperialismo Usa attraverso il TTIP, il trattato che l’UE sta firmando, e con il Tisa, “Trade in services agreement”, altro accordo che l’Italia sta negoziando su pressione di grandi lobby e multinazionali attraverso la Commissione europea e che riguarda la privatizzazione di tutti i servizi fondamentali ancora oggi pubblici (istruzione, trasporti) compresa la sanità. Sebbene in Italia ci siano 10 milioni di cittadini che rinunciano alle cure mediche per le loro cattive condizioni economiche e altri milioni si sacrificano per pagare i ticket, si ha la percezione che l’antipopolare attacco al diritto alla salute e il futuro “americanizzato” che ci aspetta, non sia recepito dai cittadini. Forse la comunicazione del Governo, seppure parziale e non veritiera è così convincente?
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La salute non è un tema che interessa parlamentari e politicanti che sanno bene come stanno le cose, ma hanno l’interesse di procedere verso una società sempre più elitaria eliminando il welfare. Liberalizzazione e privatizzazione sono termini cari anche alle forze di destra che difendono i servizi pubblici, ma solo a parole e strumentalmente. Tutti sanno che la spesa militare continua ad aumentare, sanno che l’Italia spende 70 milioni al giorno per la “difesa”, che il governo Renzi (scavalcando il Parlamento) si è impegnato a mantenere forze militari in Afghanistan e fornire a Kabul un aiuto economico di 4 miliardi di dollari annui. Si è impegnato a sostenere lo speciale fondo al governo di Kiev, candidato a entrare nella Nato ed allargare ulteriormente l’Alleanza atlantica ad est. Sanno quanto costa mantenere lo staff dei quartieri generali attraverso i ministeri degli esteri per coprire i costi operativi e di mantenimento della struttura militare internazionale (circa il 9% per “operazioni e missioni a guida Nato”). E quanto si spende per le Basi Usa e Nato sul nostro territorio? E per le esercitazioni militari? È di questi mesi una delle più grandi esercitazioni Nato la TJ15 che vede impegnate soprattutto in Italia, Spagna e Portogallo oltre 230 unità terrestri, aeree e navali e forze per le operazioni speciali di oltre 30 paesi alleati (36 mila uomini, oltre 60 navi e 140 aerei da guerra). Tutti impegni che non solo inquinano, non solo trascinano l’Italia in nuove guerre, ma sottraggono enormi risorse alla spesa sanitaria, alle pensioni, all’occupazione e alla solidarietà verso gli immigrati. Tutti tacciono sullo spreco di denaro e sulle grandi spese (comprese quelle per governo e parlamentari) e accettano i tagli della sanità. Quindi per tornare all’argomento iniziale non ci sono scorciatoie. La lotta e l’organizzazione, anche su argomenti parziali come il rifiuto della speculazione sulla salute, su quel diritto che è la condizione di benessere psico fisico come il diritto a rimanere sani con la garanzia della prevenzione, oltre che dal non essere avvelenati dall’inquinamento generale, compreso quello delle manovre militari e della guerra, sono fondamentali. Senza dimenticare che il problema di tutti i nostri mali si chiama capitalismo, il sistema basato sulla ricerca del massimo profitto, che calpesta pure la salute. Ed è questo sistema che va abbattuto per costruirne uno che abbia al centro i lavoratori, le masse popolari e le loro esigenze.
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lavoro/sfruttamento
La ricchezza dei borghesi aumenta sulla pelle dei proletari
In Italia e nel mondo: entro il 2016 l’1% della popolazione sarà più ricco del rimanente 99% degli abitanti del pianeta Michele Michelino Un dossier di Oxfam, (un’OnG) afferma che la forbice fra ricchi e poveri si sta allargando rapidamente: ENTRO il 2016 l’1% DELLA POPOLAZIONE MONDIALE SARÀ PIÙ RICCO DEL RIMANENTE 99% DEGLI ABITANTI DEL PIANETA. Oxfam dice che metà della popolazione più povera si concentra nei Paesi G20, cioè non è solo un fenomeno dei paesi poveri africani, asiatici o di altri disastrati Stati nei vari Continenti. Anche nei paesi imperialisti, fra chi “sta meglio”, come nei cosiddetti paesi emergenti si vede un allargamento della povertà. Dal dicembre 2013 la ricchezza complessiva dei Paesi del G20 è aumentata di 17.000 miliardi di dollari, ma è all’1% dei più ricchi che è andata la fetta più grande, vale a dire 6.200 miliardi di dollari, il 36% della crescita complessiva. Anche in Italia la povertà è in costante aumento. Dal 2008, inizio della crisi, a oggi gli italiani che versano in povertà assoluta sono quasi raddoppiati fino ad arrivare a oltre 6 milioni, quasi il 10% dell’intera popolazione. Uno studio del quotidiano Repubblica dimostra che nel 2013, nonostante la crisi, le dieci famiglie con i maggiori patrimoni oggi sono diventate più ricche di quanto lo sia nel complesso il 30% degli italiani (e residenti stranieri). Quelle grandi famiglie a questo punto detengono nel complesso 98 miliardi di euro. Per loro un balzo in avanti patrimoniale di quasi il 70% (dal 2008 al 2013), compiuto mentre l’economia italiana balzava all’indietro di circa il
12%. Questi dati ci fanno riflettere sull’ipocrisia dominate. Quando si uccide un uomo, ci s’indigna e si protesta. Ancor più se il numero degli uccisi sono decine, ma se diventano migliaia gli uccisi e poi milioni ci si nasconde dietro “l’impossibilità” di impedirlo e sopraggiunge il silenzio. La morte per fame, sete, guerre non sono eventi inevitabili. Fanno parte della brutalità del capitalismo, del sistema imperialista. La causa, la radice del male è insita nei rapporti di produzione, nella proprietà capitalistica dei mezzi di produzione, dove una piccola parte dell’umanità esercita il suo spietato dominio sulla maggioranza senza proprietà. La penetrazione imperialista nei paesi poveri con immense ricchezze nel sottosuolo da parte del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e delle multinazionali, ha razziato le risorse di questi paesi e imposto nuovi bisogni. Una percentuale sempre maggiore di terre coltivabili è stata saccheggiata e sfruttata dalle multinazionali e transazionali e da governi corrotti comprati al loro servizio. Centinaia di milioni di persone sono state cacciate dalle proprie terre verso aree urbane sempre più dense. E’ questa la causa dell’aumento del flusso migratorio ed è in questa situazione che avvengono le migrazioni di migliaia di disperati, uomini, donne incinte, bambini disposti a rischiare la vita su barconi di fortuna, infatti i morti sono migliaia ogni anno. La verità è che il capitalismo e le multinazionali
saccheggiano le risorse dell’Africa e del mondo intero e obbligano gli africani e gli affamati dei vari continenti a lasciare le proprie nazioni. In Italia, i servi del capitale, i Salvini, i fascisti, i razzisti e i governanti di turno (oggi il PD di Renzi rappresentante dell’imperialismo), anche se con sfumature diverse, fingono
SCHEDA
Per un errore di impaginazione questa scheda è stata pubblicata sul n.3. La riproponiamo nella sua giusta collocazione relativa all’articolo in questione. 1. Secondo la UN Conference on Trade and Development (Conferenza dell’ONU su Commercio e Sviluppo), il numero di “paesi meno sviluppati” è raddoppiato negli ultimi 40 anni. 2. I “paesi meno sviluppati” hanno speso 9 miliardi di dollari per importazioni di alimenti nel 2002. Nel 2008 questa cifra è salita a 23 miliardi di dollari. 3. Il reddito medio pro-capite nei paesi più poveri dell’Africa è sceso a 1/4 negli ultimi 20 anni. 4. Bill Gates ha un patrimonio netto dell'ordine dei 50 miliardi di dollari. Ci sono circa 140 paesi al mondo che hanno un PIL annuo inferiore alla ricchezza di Bill Gates. 5. Uno studio del World Institute for Development Economics Research (Istituto Mondiale per la ricerca sull’economia dello sviluppo) evidenzia che la metà inferiore della popolazione mondiale detiene circa l’1% della ricchezza globale. 6. Circa 1 miliardo di persone nel mondo va a dormire affamato ogni notte. 7. Il 2% delle persone più ricche detiene più della metà di tutto il patrimonio immobiliare globale. 8. Si stima che più dell’80% della popolazione mondiale vive in paesi dove il divario fra ricchi e poveri è in continuo aumento. 9. Ogni 3,6 secondi qualcuno muore di fame, e 3/4 di essi sono bambini sotto i 5 anni. 10. Secondo Gallup, il 33% della popolazione mondiale dice di non avere abbastanza soldi per comprarsi da mangiare. 11. Mentre stai leggendo questo articolo, 2,6 miliardi di persone nel mondo stanno soffrendo per mancanza di servizi sanitari di base. 12. Secondo il più recente “Global Wealth Report” di Credit Suisse, lo 0,5% di persone più ricche controlla più del 35% della ricchezza mondiale. 13. Oltre 3 miliardi di persone, quasi la metà della popolazione mondiale, vive con meno di 2 dollari al giorno. 14. Il fondatore della CNN, Ted Turner, è il più grande proprietario terriero privato negli Stati Uniti. Oggi, Turner possiede circa 2 milioni di acri [più di 8.000 Km quadrati - NdT] di terra. Questa quantità è maggiore dell’area della Delaware e di Rhode Island messe assieme [come l’intera superficie dell’Abruzzo - NdR]. Turner peraltro invoca restrizioni governative per limitare a 2 o meno figli per coppia nell’ottica di un controllo della crescita demografica. 15. 400 milioni di bambini nel mondo non hanno accesso all’acqua potabile. 16. Circa il 28% dei bambini dei paesi in via di sviluppo sono considerati malnutriti o hanno una crescita ridotta a causa della malnutrizione. 17. Si stima che gli Stati Uniti detengano circa il 25% della ricchezza totale del mondo. 18. Si stima che l’intero continente africano possegga solo l’1% della ricchezza totale del mondo. 19. Nel 2008 circa 9 milioni di bambini sono morti prima di compiere i 5 anni. Circa 1/3 di tutte queste morti è dovuto direttamente o indirettamente a scarsità di cibo. 20. La famiglia di banchieri più famosa al mondo, i Rothschild, ha accumulato montagne di ricchezza mentre il resto del mondo è stato intrappolato nella povertà.
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di non vedere la responsabilità dei loro padroni e dicono che l’Europa è stata invasa, quando sono loro gli invasori. Molti proletari arrivano a ragionare come i loro padroni e invece di lottare contro il capitalismo responsabile della loro miserabile condizione s’illudono che basti chiudere le frontiere o affondare i barconi degli scafisti per difendere la propria condizione, si scagliano contro altri disperati come loro facendo il gioco di chi sfrutta entrambi. E non vedono che la strumentalizzazione della situazione immigrati porta verso l’occupazione militare delle zone strategiche della Libia nella quale l’Italia sarebbe coinvolta. Oggi senza ‘organizzazione politica della classe operaia e proletaria, i padroni hanno buon gioco a mettere gli sfruttati e i poveri di un paese gli uni contro gli altri facendo apparire le loro responsabilità come attribuibili ad altri. Quando le multinazionali e transnazionali dicono di voler “investire” nei Paesi poveri, in realtà intendono impossessarsi delle risorse naturali, delle terre, dell’acqua, del petrolio e altro ancora, corrompendo e comprando governi, capi di Stato, politici e sindacalisti che ricevono ingenti tangenti per perpetuare il saccheggio. Fiere internazionali come l’EXPO a
Milano non sono fatte con l’intento di “nutrire il pianeta”, per diminuire i morti di fame, per elevare il tenore di vita dei poveri. Né per promuovere la “libera impresa” e la “competizione”. In realtà queste vetrine dell’imperialismo sono funzionali al sistema di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, per fare in modo che i ricchi diventino sempre più ricchi lasciando la maggior parte del resto del mondo in povertà e miseria. Ancora oggi centinaia di milioni di esseri umani non hanno acqua potabile, e sono miliardi le persone nel mondo che non riescono a mettere insieme pranzo e cena e appena svegli al mattino non sanno neanche se con il nuovo giorno riusciranno a fare almeno un pasto. Il capitalismo si sta trasformando in un grande cimitero per milioni di persone nullatenenti, proletari e sfruttati del mondo intero. Per noi oggi la lotta non è semplicemente quella di difenderci dagli attacchi dei padroni o di denunciare gli orrori del capitalismo e di quanto meravigliosi siano il socialismo e il comunismo. Oggi il nostro compito è di unirci in un’organizzazione proletaria internazionale per distruggere dalla radice le cause del nostro male. PROLETARI E SFRUTTATI DI TUTTO IL MONDO UNIAMOCI è il motto che dobbiamo riscrivere sulle nostre
bandiere. Non c’è nessuna compatibilità tra i nostri interessi e quelli dei padroni. Non basta indignarsi contro le ingiustizie. Una nuova concezione del mondo può affermarsi solo nella lotta incessante senza quartiere contro gli sfruttatori. È solo dalle macerie di questa società, che vive e prospera sulla miseria e sul sangue di milioni di proletari e popoli oppressi, che può nascere una società libera dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo: una società in cui lo sfruttamento sia considerato un crimine contro l’umanità. Tuttavia questo obiettivo, per realizzarsi e poter distruggere la dittatura del capitale (violenta o pacifica secondo i momenti), necessita di un’organizzazione internazionale proletaria fondata su un chiaro programma di presa del potere operaio e proletario. Una società in cui la maggioranza della popolazione, i proletari e gli sfruttati coscienti e organizzati - dopo aver espropriato i borghesi - esercita la dittatura proletaria sulla minoranza degli sfruttatori, facendoli lavorare per soddisfare i bisogni degli esseri umani e non per il profitto di pochi, costringendoli a guadagnandosi il pane come tutti gli esseri umani. Cominciare a organizzarsi come classe in modo indipendente nel paese in cui viviamo, è il primo passo.
SOTTOSCRIZIONE “SPECIALE” È STATA APERTA UNA SOTTOSCRIZIONE PER SOSTENERE LE SPESE LEGALI DEL PROCESSO CHE STA AFFRONTANDO LA COMPAGNA CARLA, DIRETTORE DI “nuova unità” PER AVER MANIFESTAT O CONTRO LA GUERRA IN LIBIA. LE SPESE SONO NOTEVOLI E PER NON SOTTRARRE RISORSE A “nuova unità” NON POSSIAMO CHE CHIEDERE UN AIUTO AI COMPAGNI CHE SOSTENGONO LE NOSTRE IDEE E IL NOSTRO OPERATO, ANCHE POCO PERCHE’ SIAMO COSCIENTI DELLE CONDIZIONI IN CUI VIVONO I NOSTRI SOSTENITORI. MA L’UNIONE FA LA FORZA, ANCHE SUL PIANO ECONOMICO. PER I VERSAMENTI: c.c. postale nr.14856579 intestato a nuova unità - Firenze grazie a tutti! la redazione
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lavoro/salute
Tirreno Power di Vado Ligure La contraddizione non è tra salute e lavoro ma tra capitale e lavoro
Eraldo Mattarocci Nonostante la consapevolezza della nocività dell’ambiente interno allo stabilimento, testimoniata dal fatto che numerosi dipendenti sia della Tirreno Power che dell’indotto si sono nel tempo, ma solo dopo la cessazione del rapporto di lavoro, rivolti allo Sportello Salute di Medicina Democratica per ottenere il riconoscimento dei danni subiti, l’insieme dei lavoratori della centrale non ha mai preso una posizione conseguente per la difesa della salute in fabbrica né, tantomeno, a favore del riconoscimento del danno prodotto dalle emissioni sul territorio. Al contrario di altre realtà, come ad esempio l’ILVA di Taranto, la posizione dei lavoratori della Tirreno Power, fino al momento del sequestro degli impianti, è stata espressa solamente dai rappresentanti sindacali di CGIL, CISL e UIL, sia interni che esterni alla fabbrica, che hanno sempre sostenuto che le proteste dei medici, degli ambientalisti e della popolazione si basava su dati non veri, su studi che non riguardavano la centrale di Vado Ligure, su illazioni ed ideologie antioperaie che, a parer loro, permeavano gli oppositori della combustione a carbone e che l’azienda aveva sempre rispettato tutte le leggi e tutti i valori di emissione che gli erano stati imposti. La CUB, unico sindacato di base presente sul territorio nel settore industriale, a causa delle posizioni espresse (non si può mettere a rischio la salute per lavorare) non è mai riuscita a penetrare nello stabilimento a livello organizzativo, limitandosi a riscuotere simpatie tra i lavoratori dell’indotto, maggiormente esposti al rischio ed allo sfruttamento ma anche a ritorsioni. A stabilimento in funzione, di conseguenza, la necessità di smontare le tesi di chi si opponeva alla combustione del carbone e al raddoppio degli impianti non c’era e, poiché le manifestazioni e i cortei antagonisti lasciavano il tempo che trovavano, la produzione andava avanti e gli stipendi a fine mese erano garantiti. Anche la consapevolezza che erano stati presentati diversi esposti contro la Tirreno Power non aveva preoccupato più di tanto i lavoratori, nella convinzione che avrebbero seguito la sorte di quelli precedenti, chiusi nei cassetti fino ad essere coperti di polvere. In realtà nel corso del tempo pur a fronte di notevoli incrementi della produzione gli organici scemavano pesantemente, ma questo faceva parte del “normale
andamento” e nessuno dei sindacati aziendali e territoriali si è mai levato a gridare contro quella perdita di posti di lavoro sindacalmente contrattata, men che meno coloro che riuscivano ad allontanarsi dal lavoro, indifferenti al fatto che il loro posto non sarebbe stato rimpiazzato. La decisione di sequestrare gli impianti ad opera della Magistratura, invece, è arrivata come un fulmine a cielo sereno e da un giorno all’altro i lavoratori si sono trovati di fronte ad uno scenario nuovo e decisamente preoccupante, soprattutto quelli delle aziende dell’indotto che, chissà come mai, sono sempre considerati lavoratori di serie B e quindi privi o quasi di ammortizzatori sociali ma anche di diritto di parola. Sono allora cominciate le iniziative a difesa del posto di lavoro, sacrosante, nelle quali i lavoratori, sempre meno, hanno partecipato in prima persona ma con argomentazioni e proposte sempre sulla falsariga delle posizioni sindacali coincidenti con quelle aziendali: non è vero che ci sia questa grande nocività e
che sia attribuibile alle emissioni della centrale, negli altri siti i limiti emissivi sono più bassi che a Vado Ligure, se la combustione del carbone fosse così pericolosa per la salute avrebbero già smesso di utilizzarlo negli altri paesi del mondo ecc. ecc. Come se gli studi scientifici internazionali non esistessero, come se le consulenze della Procura di Savona fossero state costruite sulla sabbia, come se le decisioni assunte dalla Magistratura come il sequestro cautelativo dei gruppi a carbone, cui peraltro l’azienda non ha mai fatto opposizione formale, le dichiarazioni sui malati e sulle morti attribuibili alla centrale e la chiusura delle indagini con 86 indagati fossero opinioni degli ambientalisti e non elementi gravi e poggiati su solide basi con i quali fare i conti. La speranza di una presa di posizione ad hoc da parte del Governo, sulla falsariga di quella usata per mantenere in funzione l’Ilva di Taranto, nonostante i gravissimi danni all’ambiente e alla salute che ha prodotto e che continua a produrre, in barba alle Leggi vigenti
italiane ed europee, che imbrigliasse anche a Vado Ligure le decisioni della Magistratura, ha continuato a cullare i sogni di chi, oggettivamente, non poteva avere altre speranze per mantenere in vita una attività che per motivi oggettivi doveva essere dismessa da tempo. Una scelta politica a prima vista miope, che sicuramente ha privato i lavoratori di una propria proposta alternativa sulla quale costruire obiettivi condivisibili in un percorso di solidarietà con la popolazione, ma che a conti fatti in una provincia segnata da una disoccupazione a livelli altissimi (la stampa riferisce continuamente di più di 30.000 disoccupati) dà il segno di un disincanto decisamente realistico: o la centrale riparte a carbone o per i lavoratori vi saranno le stesse prospettive che si presentano di fronte ai disoccupati di tutte le aziende della zona che hanno chiuso nel recente passato: al termine degli ammortizzatori sociali, per chi ne ha ancora diritto, il nulla. Per questo è indispensabile uscire dalla logica apparente di pensare di dover garantire un lavoro esclusivamente a coloro che già lo avevano, come se averlo generasse di per sé una forma di privilegio rispetto a coloro che non lo hanno mai avuto o lo hanno perso da più tempo, per entrare in un ragionamento più ampio, che rivendichi il lavoro come un diritto ma per tutti, con il compito per chi gestisce la cosa pubblica di creare occasioni nuove partendo dalle necessità della gente e non dalla volontà di garantire il profitto capitalista. Il grande potere del capitale è quello di scaricare sui lavoratori e sulle classi subalterne le proprie contraddizioni ma soprattutto di aver convinto la maggioranza che non vi sia alternativa praticabile al modo di produzione capitalistico e che quindi, tutto sommato, sia anche “ragionevole” pagarne un prezzo. Fino a quando la classe operaia non smetterà di “abboccare” alle false scelte che i loro servi di tutte le sfumature propongono e molto spesso impongono, delle quali “o la salute o il lavoro“ è solo una, e si organizzerà in maniera autonoma ed indipendente dalle tante fazioni della borghesia, prendendo coscienza del fatto che non esiste alternativa allo scontro di classe, saremo costretti ad intervenire sulle conseguenze: il che è un lavoro sicuramente utile ma non risolutivo.
Comunicato stampa
PROCESSO PIRELLI PER AMIANTO: condannati i dirigenti La sentenza emessa dal giudice dopo una breve Camera di Consiglio condanna tutti gli imputati andando oltre le richieste del P. M. Ascione che aveva chiesto l’assoluzione per 3 imputati. Le condanne vanno dai 3 ai 7 anni e 8 mesi di reclusione Il primo processo per amianto contro 11 dirigenti del Consiglio di Amministrazione della Pirelli degli stabilimenti di viale Sarca e di via Ripamonti di Milano accusati di omicidio plurimo e lesioni gravissime di 24 operai per malattie causate dall’amianto. Il giudice ha condannato a 4 anni e 8 mesi di reclusione Ludovico Grandi, 7 anni e 8 mesi per Luciano Isola, 3 anni e sei mesi per Gianfranco Bellingeri, 6 anni e 8 mesi per Piero Sierra (presidente sino a pochi mesi fa dell’Istituto Nazionale di Ricerca sul Cancro e tuttora nel direttivo), 6 anni e 8 mesi a Guido Veronesi, 3 anni e sei mesi a Omar Liberati, 5 anni e sei mesi a Gavino Manca, e 3 anni a Armando Moroni. Condannati anche i dirigenti di cui il P.M. aveva chiesto l’assoluzione a 3 anni (Gabriele Battaglioli, Carlo Pedone, Roberto Pico). Alla lettura della sentenza insieme alla soddisfazione dell’avvocato delle parti civili Laura Mara, un boato di gioia è esploso dagli ex lavoratori presenti in aula che hanno srotolato uno striscione del Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio con la scritta PER RICORDARE TUTTI I LAVPRATORI UCCISI IN
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NOME DEL PROFITTO insieme allo striscione di Medicina Democratica. Grazie. Nel processo, era emerso chiaramente che i dirigenti condannati che non hanno mai informato i lavoratori sui rischi dell’amianto, non rispettando le minime misure d’igiene e sicurezza, non fornendo mascherine, aspiratori e altri dispositivi di protezione individuali e collettivi che già esistevano e che come previsto dalla legge del 1956 sulle polveri che l’azienda doveva applicare. Inoltre evidenziato che nelle lavorazioni erano usati altri cancerogeni, come le amine aromatiche, il talco contaminato d’amianto, il nerofumo e altri ancora, ricordando infine che lo IARC (Istituto Internazionale di Ricerca sul cancro) considera la stessa industria della gomma come cancerogena. Finora nei processi a Milano per gli operai morti di amianto alla Centrale Enel di Turbigo e alla Franco Tosi i padroni erano stati assolti come se fosse stata una colpa degli operai aver respirato amianto e non colpa dei padroni e dei dirigenti averli costretti a respirarla. Anche se in questo processo i dirigenti Pirelli si sono comprati molti patti civili, monetizzando la salute
e la morte, oggi per quanto tardiva un briciolo di giustizia è stata fatta. Il giudice ha stabilito anche un risarcimento per le parti civili condannando gli ex manager e il responsabile civile Pirelli Tyre spa a pagare una provvisionale complessiva di 520 mila euro. Una provvisionale di 200 mila euro per
la moglie e la figlia di un operaio morto, 300 mila euro all’INAIL e 20 mila euro per Medicina Democratica e Associazione Italiana Esposti Amianto. La battaglia sarà ancora lunga perché questa è solo la sentenza di primo grado, in ogni caso nel momento della gioia volgiamo
ricordare i nostri compagni uccisi dall’amianto e dal profitto, perché dietro i numeri ci sono delle persone umane, delle famiglie con i loro affetti. Oggi abbiamo vinto una battaglia, ma questo non ci soddisfa perché se non sono rispettate le misure di sicurezza e bonificato il territorio, i
lavoratori, gli ex lavoratori e cittadini continueranno a morire. Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio Sesto San Giovanni, 15 luglio 2015 Per contatti: 3357850799
Amianto: in Lombardia ancora 3 milioni di metri cubi da smaltire Un vecchio proverbio popolare dice che “fatta la legge fatto l’inganno” e mai come ora questo detto si dimostra veritiero. L’attuale Piano Regionale Amianto della Lombardia (Pral), datato 2005, aveva stabilito le linee guida “per arrivare all’eliminazione entro il 2015 dell’amianto presente negli ambienti di vita e di lavoro”. Ormai siamo quasi alla fine del 2015 e si può affermare con certezza che la data sarà disattesa mentre proprio nella regione in cui c’è la maggior incidenza di casi di mesotelioma pleurico maligno e altri tumori derivanti dall’amianto. In Lombardia, a tutt’oggi, non si sa quando si metterà in sicurezza la salute dei cittadini e che fine faranno i quasi 3 milioni di metri cubi di amianto che ancora devono essere bonificati. Il Pral stabiliva che tutti gli anni fosse scritta una relazione “contenente dati statistici, sulla presenza residua di amianto nelle strutture e sui progetti di bonifica in corso e realizzati”. Ma l’ultima è del 2013, poi più niente, e ora la Regione presenterà a breve il nuovo Piano Regionale Amianto allungando i tempi della bonifica. La Lombardia è la regione italiana a maggior incidenza di casi di mesotelioma pleurico maligno. Dal 2000 al 2013 si sono ammalate in tutto 8.145 persone, la metà di loro è deceduta. Il 50,7 per cento dei malati lavorava in ambienti in cui l’amianto era presente, ma per il 23,7 per cento non si sa l’origine della malattia che si presume sia ambientale. L’amianto in Lombardia rimane un grave pericolo, una grave emergenza sanitaria, sociale, e ambientale e come sempre la politica o è complice di chi fa profitti sulla pelle dei lavoratori o se in buona fede è in ritardo è comunque colpevole.
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note di classe
Istruzione e meritocrazia: il modello della competizione e del mercato Ovvero, come distruggere la democrazia con la mercificazione della conoscenza e del sapere e con il principio della gerarchia brugio La legge sullo stravolgimento della scuola in chiave padronale, voluto fortemente da Renzi, è passata: nonostante una strenua resistenza e manifestazioni permanenti da giugno a luglio davanti a Montecitorio, nonostante la rivolta del mondo della scuola che ha trovato un’unità sindacale come mai se ne erano viste prima (dai Confederali FLC/CGIL, CISL SCUOLA, UIL SCUOLA agli autonomi SNALS, GILDA, fino al sindacalismo di base dei COBAS SCUOLA), nonostante le fibrillazioni interne al PD stesso e alla maggioranza (che in realtà non hanno mai impensierito veramente Renzi), la “Buona Scuola” è legge (107/2015). Unica notizia relativamente positiva concerne la stabilizzazione di poco più di centomila precari, cifra comunque assai al di sotto della reale dimensione del precariato, inadeguata al fabbisogno reale delle scuole durante l’anno scolastico (di solito si raggiungono all’incirca centotrentamila supplenze), inferiore alla promessa iniziale di circa centocinquantamila precari che avrebbe dovuto sanare la sentenza di condanna della Corte Europea per il trattamento iniquo dello Stato italiano verso lavoratori utilizzati per oltre 36 mesi senza assunzione a tempo indeterminato. Per ovviare a questo problema, per il futuro il governo ha pensato di inserire una clausola per cui chi raggiunge i 36 mesi di supplenze non potrà più essere chiamato (art. 1, comma 131). Una vera e propria presa in giro, per non dire vessazione, contro quei precari che, avendo raggiunto i tre anni di lavoro (anche non continuativi), non otterranno più supplenze qualora non rientrino nel contingente di assunzioni previsto. Per il resto, la legge introduce organicamente l’autonomia come principio di mercato e di gerarchia nella scuola (che era un’istituzione fondamentale dello Stato garantita dalla Costituzione), concentra nelle mani dei Dirigenti Scolastici (ex-presidi e direttori didattici, che ormai hanno cambiato natura e, diventando piccoli “manager”, sono chiamati secondo il linguaggio aziendale) un potere enorme legato all’assunzione a tempo indeterminato e alla riconferma ogni tre anni dei docenti nell’istituto. Di fatto, l’introduzione surrettizia del
Jobs Act nella Pubblica Amministrazione, e il primo passo verso l’eliminazione del contratto collettivo di lavoro, che resterà un simulacro vuoto nelle mani di ogni singola istituzione scolastica libera di riempirlo a suo piacimento. Oltretutto, il tanto decantato “Mercato” in un paese ad alto tasso corruttivo e criminale come l’Italia significa che anche la scuola verrà investita da fenomeni di clientelarismo (più di quanto non sia già adesso) e di penetrazione mafiosa. La millantata “meritocrazia” si fonda in-
tanto sulla possibilità per i Dirigenti Scolastici di scegliersi tre collaboratori in piena autonomia, prescindendo da Collegio Docenti o Consiglio di Istituto, e dal “nucleo di valutazione” che in questi primi giorni del nuovo anno scolastico verrà portato nei Collegi per individuarne i componenti tra i docenti ed essere scelti, votati, approvati. Sarà questo “nucleo” a determinare criteri e individuare i “meritevoli” per l’assegnazione dell’incentivo di merito in ogni scuola: un premio di produttività che farebbe obbrobrio
a qualunque pedagogista in grado di comprendere che il modello competitivo tra docenti, la disparità economica e di grado tra personale della scuola, la selezione “meritocratica” avviata non produrranno altro che un inaridimento della didattica e del rapporto alunno-insegnante, la riconduzione della relazione con gli studenti ad un rapporto gerarchico, anonimo e impersonale, fondato su un approccio di ordine impositivo piuttosto che educativo. Insomma, un vero e proprio disastro per una scuola
democratica e finalizzata all’educazione dei cittadini. Quello che invece sta accadendo è che l’attuale governo e soprattutto il Presidente del Consiglio in carica Matteo Renzi, assai più di personaggi accreditati nei circoli elitari internazionali come poteva essere Enrico Letta, è l’uomo su cui hanno puntato settori determinanti dei poteri finanziari e bancari italiani, e che con la scuola porta a casa un risultato caro alla Confindustria e al padronato, che da tempo ha l’obiettivo
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di ristrutturare il sistema scolastico per renderlo realmente permeabile ai criteri aziendalistici e permettere una crescita degli istituti privati, ancora relegati ad un ruolo marginale nonostante le elargizioni e le concessioni fiscali che i governi di centrosinistra quanto di centrodestra hanno fatto per anni e anni. Il principio della sussidiarietà consiste nel consentire il ricorso al privato qualora il pubblico non avesse la possibilità di coprire l’intero fabbisogno di un determinato servizio: funziona perfettamente
nella sanità, dove una oculata politica di smantellamento dei servizi negli ospedali e presidi pubblici hanno consentito a cliniche e ambulatori privati di conquistarsi il proprio spazio. Per l’istruzione, l’operazione non era ancora riuscita per le caratteristiche della scuola tra cui l’obbligatorietà fino ai quattordici anni (e solo da poco ai sedici); la riforma della “pessima scuola” di Renzi (è un vero e proprio risultato personale, più che del governo o del suo sbiadito e inconsistente Ministro dell’Istruzione, Giannini) permetterà di smantellare un presidio fondamentale per la crescita culturale di tutti i settori sociali, in barba a quanto recita la Costituzione negli articoli 3 e 33: pur con tutti i limiti di un’istituzione comunque interna ad un sistema classista e capitalistico, con tutte le storture e le diseguaglianze certamente non dissolte, tuttavia nella scuola pubblica si sono incontrate generazioni e generazioni di giovani che hanno sostanzialmente condiviso spazi comuni e comune formazione, a prescindere dalla loro appartenenza sociale. L’amalgama culturale che è avvenuta nei decenni postbellici fino agli anni settanta è frutto di questa scelta e degli obiettivi culturali che la scuola repubblicana ha avuto. D’ora in avanti, chi detterà le condizioni e i principi sarà il “Mercato” o, per dire con maggiore precisione, le esigenze che le aziende e il sistema economicoproduttivo presenteranno: studiare significherà sempre di più formarsi come manodopera a basso costo e ad alta disponibilità di sfruttamento, con l’intensificazione della forma precaria d’impiego, e soprattutto con una sempre più scarsa propensione alla riflessione e al pensiero critico. La scuola meritocratica e gerarchica avrà l’effetto di essere acritica e rinchiusa nell’esistente, come gli studenti saranno completamenti addestrati all’accettazione rassegnata e passivizzante dello stato di crisi dell’unico sistema possibile. Se la scuola diventerà questo, da istituzione democratica repubblicana antifascista diventerà strumento per ottenere quello che le potenti lobbies economico-finanziarie internazionali vorrebbero raggiungere, cioè lo smantellamento delle Costituzioni antifasciste del dopoguerra e la rimozione di diritti, tutele e garanzie per la classe lavoratrice e le classi popolari e proletarie.
antifascismo
Odio la Lega Smascherare la pagliacciata prima che la farsa diventi tragedia Pacifico Alcune settimane fa abbiamo assistito al triste spettacolo di profughi “accolti” a suon d’insulti, tentativi (a volte purtroppo andati a buon fine) di pestaggio e lancio di oggetti verso i pullman che li accompagnavano. Se fino a qualche anno fa una scena del genere avrebbe sollevato un’ondata d’indignazione e una reazione, ora sembra che tutto sia lecito, se non giustificato. Su giornali e televisioni sentiamo affermazioni di qualche politicuccio di turno che sbraita contro gli stranieri o che addirittura esulta quando annegano nel Mediterraneo mentre tentano disperatamente di scappare dalla loro miseria. Circa le responsabilità del cosiddetto Occidente, ovvero il “centro” del sistema capitalista è stato già spiegato in un dettagliato articolo nel numero prece-
dente. Quanto all’odioso ritornello “aiutiamoli a casa loro”, che rimando al discorso del grande Thomas Sankara, leader negli anni ‘80 del Burkina Faso, assassinato dalla CIA, che in un discorso all’OUA, reperibile anche su youtube1, in sostanza diceva che se l’Occidente teneva davvero al destino dell’Africa, o del Sud del Mondo in generale, non doveva assolutamente “dare”, ma semplicemente smettere di togliere. Quel discorso tra guerre “umanitarie”, colpi di Stato contro presidenti e governi riottosi al nuovo ordine mondiale, ed espropriazioni di terre e risorse delle multinazionali che generano una miriade di miserabili che poi riempiono barconi di fortuna diretti verso le nostre coste, è quanto mai attuale. Tornando alla nostra piccola e disperata Italia, al nostro perduto e confuso popolo, facile alle mobilitazioni reazionarie volte a togliere, o negare diritti anziché
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difenderne i propri o rivendicarne di nuovi, è evidente a tutti l’ascesa che negli ultimi tempi sta avendo la Lega Nord. Partito dalla forte vocazione secessionista, razzista e reazionaria, dopo la sbandata per gli scandali di Belsito, Trota e tutto il ciarpame legato alla vecchia segreteria di Umberto Bossi, sembra essersi rifatto una verginità con il grintoso Salvini, che ora mira ad utilizzare anche i voti del Sud. Perché un articolo sulla Lega? Perché per troppo tempo, secondo me, si è sottovalutato il fenomeno giudicando il movimento come una mascherata folkloristica, mentre, col tempo le sue idee sono divenute egemoniche. Oltre al razzismo, di cui l’esempio sopra, altro successo che può vantare la Lega è la totale scomparsa dalle agende politiche dei partiti nazionali (nessuno escluso) è scomparsa la Questione Meridionale.
Ormai, come nella più classica retorica e finta morale ottocentesca, si pensa che il Sud (come tutti i poveri del resto) sia unica origine del male. Come diceva Gramsci: “È noto quale ideologia sia stata diffusa in forma capillare dai propagandisti della borghesia nelle masse del Settentrione: il Mezzogiorno è la palla di piombo che impedisce più rapidi progressi allo sviluppo civile dell’Italia; i meridionali sono biologicamente degli esseri inferiori, dei semibarbari o dei barbari completi, per destino naturale; se il Mezzogiorno è arretrato, la colpa non è del sistema capitalista o di qualsivoglia altra causa storica, ma della natura che ha fatto i meridionali poltroni, incapaci, criminali, barbari, temperando questa sorte matrigna con l’esplosione puramente individuale di grandi geni, che sono come le solitarie palme in un arido e sterile deserto”2.
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anniversari
HIROSHIMA-NAGASAKI a 70 anni dalle esplosioni nucleari David Swanson*
La pratica del bombardamento aereo sulla popolazione inerme è l’atto terroristico più odioso e criminale mai commesso nella storia. Questa pratica raggiunse la sua massima espressione con il bombardamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki, un inutile sterminio di persone riconosciute come innocenti, che mai è stato definito crimine, ma legittimo atto di guerra o tuttalpiù “male necessario”. Questo articolo di D. Swanson svela il clima e le motivazioni politiche di questo atto del quale l’imperialismo USA ha sempre dichiarato la legittimità, ma mai il pentimento. Infatti, anni dopo, sotto forma di “male necessario”, questo atto legalizzato tornerà utile per le guerre di aggressione in Cambogia e Vietnam, Iraq, Jugoslavia, Libia,... o come estrema minaccia e ricatto nei confronti di chi vuol sottrarsi all’ordine mondiale imperialista. Il 6 e il 9 agosto di quest’anno segneranno il 70° anniversario dei bombardamenti nucleari di Hiroshima e Nagasaki. Qualcuno celebrerà il recente accordo con cui l’Iran si è impegnato a non proseguire con programmi di armamento nucleare, ad osservare il trattato di non proliferazione e le richieste mai imposte a nessun’altra nazione. Tuttavia, proprio le nazioni che possiedono armi nucleari stanno esse stesse violando il trattato di non proliferazione, evitando il disarmo, o
Qualche dato
costruendone di nuove (USA, Russia, Gran Bretagna, Francia, Cina, India), o si sono rifiutate di firmare il trattato, nonostante siano abbondantemente in possesso di petrolio e/o delle condizioni migliori esistenti sulla terra per lo sviluppo di energia solare (Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi). Missili nucleari contenenti in una sola bomba una potenza distruttiva maggiore di quella impiegata in tutta la II Guerra Mondiale vengono puntati a migliaia in direzione della Russia dagli Stati Uniti e viceversa. L’accettazione di questa pazzia come normalità di routine fa parte del proseguimento dell’esplosione di quelle due bombe, iniziata 70 anni fa e mai propriamente capita. Il lancio di quelle due bombe e la minaccia esplicita di lanciarne altre è da allora un nuovo crimine che ha dato il via a un nuovo genere di imperialismo. Gli Stati Uniti sono intervenuti in più di 70 nazioni – più di una all’anno – a partire dalla II G.M., ed hanno ora completato il cerchio con la ri-militarizzazione del Giappone. La storia della prima militarizzazione del Giappone da parte degli USA è stata portata alla luce da James Bradley. Nel 1853 la Marina USA costrinse il Giappone ad aprire ai mercanti statunitensi, ai missionari, e al militarismo. Nel 1872 i militari USA iniziarono ad addestrare i giapponesi sui modi per conquistare altre nazioni, con l’occhio puntato su Taiwan. Charles LeGendre, un generale americano che istruiva i giapponesi sugli affari della guerra, propose che essi adottassero una dottrina Monroe per l’Asia, che consisteva in una politica di dominio dell’Asia simile a quella con cui gli Stati Uniti dominavano il proprio emisfero. Nel 1873 il Giappone invase Taiwan con mezzi e consiglieri militari USA. Seguì la Corea e poi la Cina nel 1894. Nel 1904 il Presidente USA Theodore Roosevelt incoraggiò il Giappone ad attaccare la Russia. Ma ruppe la promessa fatta al Giappone, rifiutando di rendere pubblico il proprio sostegno alla sua dottrina Monroe e appoggiò il rifiuto della Russia di pagare al Giappone un solo centesimo in conseguenza della guerra. L’impero Giapponese cominciava ad essere visto più come un rivale che un alleato, ed i militari
Ma snoccioliamo qualche dato, con la promessa di tornare sull’argomento in successivi numeri, non sia mai dovesse venire fuori la verità. Il Sud non decolla perché: i tassi d’interessi sono più del doppio che al nord, 9% contro 3,8%; il ministro Lupi prima e Delrio poi, hanno presentato 83 progetti a Bruxelles per oltre 13 miliardi di euro da destinare al nord in alta velocità, collegamenti ferroviari, per aeroporti di Venezia, Roma, Milano, potenziamento di linee e impianti per Venezia, Treviglio, Brescia, TorinoMilano, tunnel Brennero, Torino Lione e nel settore marittimo ai porti di Ravenna, Trieste, Venezia, Livorno, Cagliari etc. E il Sud? Cosa vedrà di questi miliardi? Solo tre milioni per un by pass stradale a Palermo e Napoli. O vogliamo parlare dei 4miliardi e 799 milioni di euro destinati per l’alta velocità dalla Toscana in su e di solo 60 milioni a Sud. Interpellato Delrio, rispose: l’alta velocità a Sud si farà ma con calma, perché ci sono le rocce! Le rocce del nord saranno di grana padano? (precisiamo, non siamo divenuti fan di alte velocità o altre schifezze, però l’esempio fa specie l’asimmetria negli investimenti tra una zona e l’altra del Paese, mentre ancora oggi vi sono tromboni che tuonano contro quella che la Cassa per il Mezzogiorno). O vogliamo parlare dei 700 milioni di euro dirottati
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USA impiegarono decine d’anni a pianificare una guerra col Giappone. Harry Truman, che avrebbe comandato i bombardamenti nucleari del 1945, così parlò al Senato USA nel 1941: “Se noi vediamo che la Germania sta vincendo, allora dovremmo aiutare la Russia, e se la Russia sta vincendo, allora dovremmo aiutare la Germania, facendo in modo che si ammazzino tra loro quanti più possibile”. Valutava Truman anche le vite dei giapponesi oltre a quelle di russi e tedeschi? Sembra di sì. Un sondaggio dell’esercito del 1943 rivelò che circa la metà di tutti i soldati riteneva che sarebbe stato necessario eliminare ogni persona giapponese sulla terra. William Halsey, che comandava le forze navali nel Sud-Pacifico, giurò che, a guerra finita, la lingua giapponese sarebbe stata parlata solo all’inferno. Il 6 agosto 1945 il presidente Truman annunciò: “Sedici ore fa un aereo americano ha lanciato una bomba su Hiroshima, una importante base dell’esercito giapponese”. Ovviamente non si trattava di una base militare, ma di una città. “Abbiamo scoperto la bomba, e l’abbiamo usata”, dichiarò Truman. “L’abbiamo usata contro coloro che ci hanno attaccato senza avvertimento a Pearl Harbour, contro quelli che hanno fatto morire di fame e picchiato e ammazzato i prigionieri di guerra americani, e contro quelli che rifiutano di obbedire alle leggi internazionali di guerra”. Truman non fu riluttante, nè parlò di prezzo necessario per finire la guerra. Infatti il Giappone stava cercando di arrendersi da mesi, tanto che il 13 luglio inviò un cablogramma a Stalin, che lo lesse a Truman. Il Giappone voleva solo tenersi il proprio imperatore, condizioni che gli Stati Uniti rifiutarono fino a dopo i bombardamenti nucleari. Il consigliere di Truman James Byrnes voleva che le bombe venissero sganciate per finire la guerra prima che l’Unione Sovietica potesse invadere il Giappone. Infatti i Sovietici attaccarono i Giapponesi in Manciuria lo stesso giorno del bombardamento di Nagasaki e li misero fuori gioco. Statunitensi e Sovietici continuarono la guerra al Giappone per settimane dopo Nagasaki. Solo allora il Giappone si arrese.
per gli asili nido del nord e zero euro a quelli del Sud. Ma no, tutto questo non poteva e non doveva venir fuori3. Anche l’ultima relazione Svimez4 fa spavento: crollo di occupazione e reddito a Sud, 700 mila disoccupati in più nel periodo della crisi, una specie di tragedia. La disoccupazione femminile peggiore di quella greca. Tutto questo non ha commosso il Paese. Per non parlare dei fondi stanziati dell’UE per lo sviluppo del Mezzogiorno, utilizzato per pagare le multe delle quote latte5. Poi sono noti i casi dei rifiuti delle industrie del Nord smaltiti illegalmente, grazie alle mafie, nei territori del Sud, così come negli anni ’80 si è fatto con la Somalia. Inoltre, come ogni opera di colonizzazione vuole, oltre ai beni materiali, il Sud viene privato anche della verità storica. Ecco allora che si dimenticano i campi di concentramento di Fenestrelle, ove morirono molti meridionali che si opposero all’invasione sabauda, ecco che ci si dimentica di Bronte, ove ebbe luogo l’eccidio voluto dalle camicie rosse di Garibaldi per sopprimere, come preludio a ciò che avvenne quasi un secolo dopo a Portella della Ginestra, la lotta dei contadini per la terra in Sicilia; anche a Gaeta, come quasi nessuno sa, fu compiuto un altro massacro, in cui morirono migliaia di civili, donne e bambini, da parte dell’esercito piemontese.
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L’indagine strategica degli Stati Uniti sul bombardamento concluse che”... certamente prima del 31 dicembre 1945 il Giappone si sarebbe arreso, e con ogni probabilità prima del 1° novembre, 1945. Il Giappone si sarebbe arreso anche se le bombe non fossero state sganciate, anche se la Russia non fosse entrata in guerra, e anche senza che vi fosse alcun progetto o idea di invasione”. Un oppositore al bombardamento nucleare che espresse lo stesso punto di vista del Segretario alla Guerra prima dei bombardamenti fu il Generale Dwight Eisenhower. Anche il Presidente del Comando Unito Ammiraglio William Leahy concordava. “L’uso di questa barbara arma a Hiroshima e Nagasaki non diede alcun aiuto materiale alla nostra guerra contro il Giappone. I Giapponesi erano già sconfitti e pronti ad arrendersi”. La guerra non era ancora finita. Il nuovo impero Americano era lanciato. “La repulsione per la guerra... sarà per noi un ostacolo abbastanza difficile da superare.” disse il Generale Charles Wilson nel 1944. “Per questa ragione sono convinto che dobbiamo iniziare a mettere a punto un meccanismo per un’economia permanente di guerra”. E così fecero. Anche se le invasioni non rappresentavano una novità per i militari statunitensi, essi pervennero ora ad un nuovo livello su scala globale. E la minaccia sempre presente di usare l’arma nucleare ebbe un ruolo chiave. Truman minacciò di bombardare la Cina nel 1950. La paura della bomba crebbe, in realtà, al punto che la minaccia di Eisenhower di bombardare con armi nucleari la Cina condusse alla rapida conclusione della guerra di Corea. Convinto dell’efficacia questo ricatto, decenni dopo, il Presidente Nixon arrivò ad immaginare di poter finire la guerra nel Vietnam fingendo di essere abbastanza pazzo da usare l’arma nucleare. “La bomba nucleare ti infastidisce?... Voglio solo che tu pensi in grande, Henry, per Dio”. Così disse Nixon a Kissinger discutendo le opzioni per il Vietnam. E quante volte è stato ricordato all’Iran che “tutte le opzioni sono sul tappeto”? Una nuova campagna per abolire le armi nucleari sta crescendo rapidamente e merita il nostro supporto. Ma il Giappone sta per essere rimi-
litarizzato e, ancora una volta, con il gradimento del governo degli Stati Uniti. Il Primo Ministro Shinzo Abe, con l’appoggio degli Stati Uniti, sta reinterpretando questo passaggio della Costituzione Giaspponese: “Il popolo Giapponese rinuncia per sempre alla guerra come un diritto sovrano della nazione e rinuncia alla minaccia dell’uso della forza come mezzo per risolvere le controversie internazionali... Le forze di terra, mare ed aria, così come ogni altro potenziale bellico, non saranno più mantenute”. La nuova “reinterpretazione”, compiuta senza modificare la Costituzione, ritiene che il Giappone può mantenere forze di terra, mare ed aria, così come altro potenziale bellico e che il Giappone farà uso della guerra o della minaccia di guerra per difendere se stesso, o per difendere qualcuno dei suoi alleati, o per far parte di qualche guerra autorizzata dalle Nazioni Unite in qualsiasi parte
Centinaia di migliaia di persone perirono nel Regno delle Due Sicilie durante e dopo la guerra di occupazione. Gaeta fu l’epilogo della guerra di conquista ai danni del Meridione6. Il brigantaggio, guerriglia di resistenza delle masse contadine che ha tenuto in scacco per 10 anni l’esercito sabaudo, è descritto nei libri di storia proposti nelle scuole come pura delinquenza, quasi antenato della mafia e di altre organizzazioni criminali che, al contrario, oggi come allora fanno da stampella allo Stato italico.7 Ultimo, ma non per minor importanza come si suol dire, ciò che mi fa alquanto adirare è la retorica con cui la Lega (e i media di regime) si dipinge come paladino contro l’UE e le sue politiche assurde portate avanti dalla BCE guidata dall’italiano Mario Draghi. La BCE funziona secondo i meccanismi descritti dal Trattato di Lisbona ratificato dal Parlamento Italiano nel 2008 grazie anche ai voti della Lega Nord, che ha votato anche per il pareggio di bilancio in Costituzione (atto gravissimo). La Lega è responsabile, al pari degli altri partiti, dell’attuazione dei trattati di Maastricht e di Lisbona che fissano i parametri europei che stanno mettendo in ginocchio intere popolazioni europee. Questi piccoli scorci di storia nostrana dovrebbero aprirci gli occhi sui processi d’impoverimento in atto contro di noi e contro gli altri continenti.
del globo. I commentatori USA riferiscono di questo cambiamento in Giappone come di una “normalizzazione” e ritengono inaccettabile l’assenza del Giappone da una qualsiasi guerra a partire dalla Seconda Guerra Mondiale. Il Governo degli Stati Uniti si aspetta ora che il Giappone partecipi ad ogni minaccia o uso della forza contro Cina e Russia. Ma ad accompagnare il ritorno del militarismo giapponese sta la crescita del nazionalismo giapponese, non la devozione giapponese al ruolo degli USA. Nella rimilitarizzazione del Giappone piuttosto che nella propria demilitarizzazione gli Stati Uniti stanno giocando col fuoco. da Global Research. David Swanson è giornalista, attivista, scrittore (traduzione Luciano Orio)
Dobbiamo smetterla di farci corrompere dall’ideologia malsana dei padroni e di vedere nel più povero il nemico.
1 https://www.youtube.com/ watch?v=8TTAaDMPUaE 2 http://www.liberliber.it/mediateca/libri/g/gramsci/ la_questione_meridionale/pdf/la_que_p.pdf 3 http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/bari/politica/15_luglio_22/prodi-il-sud-sparito-dall-agendaalcuni-dati-peggio-grecia-ed5229ac-30a0-11e5b4af-3448b51a9ea7.shtml?refresh_ce-cp 4Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno. http://www.svimez.info/ 5 http://www.ilquotidianodellabasilicata.it/news/ archivio/30102/I-fondi-del-Sud-usati-per.html 6 https://www.youtube.com/watch?v=ZIiH0pyyoDU 7 Per approfondimenti leggere Angelo Del Boca Italiani brava gente? Beat editore e il film di Pasquale Squitieri Li chiamarono Briganti su https://www.youtube.com/watch?v=Uw4cO5fTk2E
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dibattito
Grecia (e Europa): la tragedia non finisce qui A volte la sconfitta, se non ci demoralizza, è un’ottima maestra
Daniela Trollio (*) Il dramma del popolo greco si sta consumando, e siamo lontani dal vederne la fine. Ma, prima di parlare dell’indubbio “tradimento” di Syriza, o di una sua parte, mi sembra importante inquadrare quanto è successo in questi ultimi mesi partendo da un dato molto semplice: l’economia greca vale, in quella dell’Unione Europea, appena il 2% e il suo debito pubblico è più o meno pari a quello dei paesi chiamati GIPSI (Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e… Italia). Allora perché tanto accanimento?
Un esperimento di laboratorio Credo che la Grecia sia, per il capitale finanziario internazionale, quello che a suo tempo fu il Cile. Il terreno di un esperimento che dovrà avere come risultato la totale, completa e irreversibile fine di tutte quelle strutture che possono frenare la corsa al massimo profitto, dai diritti ormai stracciati dovunque dei lavoratori a quanto resta del simulacro della “democrazia”, agli Stati stessi intesi come mediatori tra interessi diversi. Esperimento tentato dapprima in altri continenti con mezzi violenti, fallito dopo il ventennio delle dittature latinoamericane diventate troppo costose, riproposto oggi con mezzi altrettanto violenti ma non più militari (per ora). L’esperimento parte da lontano, dalla costituzione dell’Unione Europea e dall’introduzione della moneta unica e delle strutture derivate, fondamentalmente la Banca Centrale Europea. Lascio la parola al professore di Scienze Politiche dell’Università Pompeu Fabra di Barcellona, Vicenç Navarro, per spiegarmi meglio: “… bisogna tener conto che la sostituzione della moneta di ogni paese con l’euro significò per ogni paese rinunciare ad avere una propria banca centrale. Questa è l’origine dell’enorme problema del debito pubblico degli Stati, e in particolare di quello dei paesi periferici come Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda, i cosiddetti PIGS, che si trasformarono in GIPSI quando si aggiunse l’Italia. Una delle funzioni di una banca centrale degna di questo nome è definire il prezzo della moneta (allora il prezzo della peseta spagnola, ad esempio), in modo che lo Stato possa abbassare il suo valore quando vuole rendere i suoi prodotti più a buon mercato e più competitivi, stimolando così l’economia. E’ quello che si chiama “svalutazione monetaria”. Ora, invece, lo Stato spagnolo e gli altri Stati non possono svalutare la moneta (cioè ribassare il suo prezzo e competere meglio con altri Stati, sia all’interno che all’esterno della Eurozona). I paesi dell’Eurozona hanno tutti una stessa moneta, l’euro. E l’unica istituzione che può variare il prezzo dell’euro, svalutandolo, è la Banca Centrale Europea (BCE), sulla quale l’influenza degli Stati dell’Eurozona è praticamente inesistente. Ma quando la BCE abbassa il prezzo dell’euro, questo beneficia la competitività di tutti i paesi dell’Euro-
zona nel loro commercio con paesi al di fuori di essa, ma non con i paesi all’interno dell’euro, perché tutti stanno utilizzando la stessa moneta. E, visto che la maggior parte del commercio estero di questi paesi avviene all’interno dell’Eurozona, l’abbassamento dell’euro non rende più competitiva l’economia spagnola rispetto, ad esempio, a quella francese o tedesca. Da qui discende che l’unica soluzione che gli establishments finanziari, economici, politici e mediatici considerano per aumentare la competitività di un’economia sia abbassare i salari”. Perché questa necessità estrema, per il capitale, di abbassare i salari nonostante questi siano caduti vorticosamente durante questi 5 anni di crisi, a fronte invece di un aumento vertiginoso dei profitti? C’è un nemico che fa paura, soprattutto al capitale europeo più forte, quello tedesco: la Cina, che ha sorpassato recentemente gli Stati Uniti quanto ad esportazioni di merci. E il ‘segreto’ cinese è una sterminata massa di mano d’opera a bassissimo costo, oltre al fatto che – come vediamo proprio in questi giorni – al rallentamento della sua economia lo Stato cinese può rispondere con la svalutazione della sua moneta, gettando nel panico i “mercati”. Nell’Europa dell’Est ci sono paesi dove i salari raggiungono a malapena i 3-400 euro mensili, ma evidentemente non basta: bisogna trasformare il sud d’Europa in una nuova colonia, cui rapinare non già le materie prime che non possiede ma tutto quanto può produrre profitti, ed ecco che una società tedesca si compra ben 14 aeroporti greci privatizzati, ad esempio. Infatti il piano è già pronto. Lascio parlare ancora il prof. Navarro: “… Mi sto riferendo concretamente al documento preparato da cinque presidenti (Jean-Claude Juncker, Presidente della Commissione Europea; Martin Schulz, Presidente del Parlamento Europeo; Jeroen Dijsselbloem, Presidente dell’Euro-
gruppo; Donald Tusk, Presidente del Consiglio Europeo; e Mario Draghi, Presidente della banca Centrale Europea) con alcune proposte su come avanzare verso l’integrazione monetaria in questa zona d’Europa.… Ed è là, nella “svalutazione salariale”, che interviene il rapporto dei cinque presidenti, che raccomanda niente meno che si costituisca una Authority chiamata Competitiveness Authority (l’ente responsabile di stimolare la competitività) a carattere indipendente (che vuol dire che sarà composta da “esperti” – cioè tecnocrati), che indichi il livello dei salari permessi, dotata di responsabilità normativa e sanzionatoria. Cioè tale ente deciderebbe i salari e sanzionerebbe gli Stati che non seguissero le sue norme”. Ecco il piatto avvelenato che ci stanno preparando. Quindi non solo di Grecia si tratta, ma di tutta l’Europa.
Non c’è alternativa
La responsabilità politica di Tsipras e di Syriza nell’aver subito, o condiviso, il diktat della Troika con una completa giravolta rispetto al mandato popolare espresso sia nelle elezioni che, soprattutto, nel referendum è evidente. Questo ha avuto ripercussioni anche nel suo partito. I dissidenti hanno lasciato Syriza il 21 agosto per dare vita a un nuovo partito che si chiamerà ‘Unità popolare’ con 25 parlamentari. Il nuovo partito sarà guidato dall’ex ministro dell’Energia Panagiotis Lafazanis, leader della fazione di estrema sinistra all’interno di Syriza. Il nuovo partito diventerebbe il terzo del Parlamento greco, che conta 300 seggi, davanti al centrista To Potami e ad Alba dorata di estrema destra, entrambi con 17 parlamentari. Subito dopo aver annunciato in diretta tv le sue dimissioni il premier greco Alexis Tsipras ha annunciato la convocazione delle nuove elezioni che si faranno il 20 settembre, mettendo fine così il governo di Syriza-Anel iniziato con le elezioni del 25 gennaio.
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Quanto è successo dice alcune cose a tutti i popoli d’Europa: 1. la democrazia, il mantra dei poteri forti per scatenare guerre umanitarie (dalla Jugoslavia alla Libia e via dicendo) non conta nulla, è un concetto vuoto che ora non serve più per asservire i popoli; anzi ora il capitale getta tranquillamente la maschera e schiaffeggia chi ci ha creduto, il popolo greco in primis. E’ bastato chiudere il rubinetto della liquidità monetaria per mostrare che democrazia e sovranità sono illusioni; 2. la “sinistra”, anche quella che si presenta con un programma antiausterità (e questo riguarda non solo la Grecia ma anche la Spagna, il Portogallo e altri paesi in cui si va verso nuove elezioni), che crede ancora che l’importante sia arrivare alla “stanza dei bottoni”, si dimostra inutile visto che poi applica con maggior rigore le politiche della “destra”. Questa “sinistra” che sembra ignorare che l’indipendenza nazionale, le conquiste democratiche e le riforme sono il sottoprodotto della lotta anticapitalista, da anni semina illusioni (e noi in Italia ne abbiamo profonda esperienza, si chiamino sindacati confederali, Rifondazione, Movimento 5 Stelle, Fiom, Landini, o quello che volete) sprecando l’appoggio popolare, provocando sonore sconfitte che disarmano, disorganizzano e demoralizzano i lavoratori. Il messaggio è chiaro: al dio mercato non c’è alternativa. Credo che vada anche detta una cosa non troppo piacevole: alla lotta del popolo greco non è corrisposto alcun “movimento” di solidarietà, a parte quello di forze politiche che blaterano contro l’euro, per l’Europa dei popoli, ma non fanno niente in concreto nel loro paese per contrastarlo. Paradossalmente questa solidarietà è venuta da parti lontane del globo, in particolare da quell’America Latina che questi processi aveva già vissuto e li ha riconosciuti immediatamente con chiarezza. Qualcuno forse crede ancora nella
“Europa dei popoli”, senza ricordare che l’Unione Europea è nata da trattati (Maastrich, Lisbona ecc.) che impongono a tutti i paesi la totale subordinazione
Syriza
A onor del vero, bisogna dire che Syriza non si è mai presentata come “rivoluzionaria”, anche se in molti hanno desiderato che lo fosse. Le illusioni e le scorciatoie di chi ha creduto, anche in buona fede, di poter cambiare questa Europa devastata – dal punto di vista dei lavoratori - dalla crisi economica, attraverso una voce di opposizione alla Troika che era, o sembrava, una possibilità di invertire la rotta che ci sta portando in un abisso senza fondo, anche perché la realtà è sempre più dialettica e dinamica di quanto riusciamo noi a immaginare, si sono rivelate all’atto pratico quello che sono, appunto illusioni. Con leggerezza facevamo probabilmente paragoni con altre situazioni apparentemente similari (il Venezuela, la Bolivia…), senza renderci conto che la partecipazione “democratica” e il voto hanno un significato profondamente diverso in paesi dove, come in Europa, questi concetti sono stati ormai svuotati del loro contenuto e sono diventati vuoti rituali rispetto a paesi dove essere riconosciuti come “cittadini” e poter votare è, oggi, un fatto rivoluzionario che implica organizzazione e partecipazione diretta. Syriza ha comunque tradito le aspettative del popolo greco (con l’aggravante, ricordiamo, anche del trattato militare con Israele, il che significa la riaffermazione del
legame con la NATO – ricordiamo che lo Stato greco spende il 3,1% del PIL, più che Gran Bretagna e Francia. Tra il 2005 e il 2009, gli anni in cui il debito si è gonfiato, la Grecia è stata uno dei cinque maggiori importatori di armi in Europa. I 26 F16 sono stati comprati dalla statunitense Lockheed Martin e i 25 Mirage 2000 dalla francese Dassault, con un contratto di 1,6 miliardi di euro) e ci ha ricordato una volta di più che è vero che non ci sono alternative: le strutture del capitale, si chiamino Stati o Unione Europea non si possono riformare dal di dentro, o si abbattono attraverso una rivoluzione proletaria instaurando un sistema socialista o qualsiasi tentativo di invertire la barbarie in cui stiamo sprofondando sarà sanguinosamente inutile. Ci sarebbero decine di altri elementi di cui discutere, ma vorrei fare un accenno allo strumento del referendum. Io credo che bisogna riconoscere al popolo greco un enorme coraggio: con tutto l’apparato dell’imperialismo europeo (e non solo) schierato minacciando chissà quali disastri se avesse vinto il No, esso ha votato No. Del resto questo ha un precedente storico. Il 28 ottobre 1940 la Grecia riceveva un ultimatum dall’Italia fascista: lasciar entrare le truppe italiane in suolo greco senza colpo ferire (come finì lo sappiamo tutti, invece di “spezzare le reni alla Grecia”, furono quelle fasciste ad essere spezzate). La risposta fu un “grande NO”, e il giorno di tale “grande No” è da allora inserito nel calendario delle festività civili greche. Anche durante la feroce dittatura dei “colonnelli” (non così lontana dalla memoria dei greci), nonostante la proibizione e lo schieramento militare, in aperta sfida alla repressione, nel 1968 1 milione di persone parteciparono ai funerali di Gheorghios Papandreu. E in questi otto anni di crisi praticamente non è mai passato un giorno senza che ci fossero scioperi, fermate, proteste: non è tanto facile piegare questo popolo. Il popolo greco nel referendum ha votato, come ricordava preoccupato e un po’ scandalizzato lo stesso Corriere della Sera, “al di là degli schieramenti politici, ma in base ai propri interessi”. “In base ai propri interessi” – di classe, aggiungiamo noi – non è la battaglia “di idee” e concreta che ci sforziamo noi di portare avanti ogni giorno là dove siamo presenti? Che un referendum non risolva nulla è chiaro a tutti, ma dice qualcosa di importante da cui partire. Il discorso, ovviamente, non si chiude qui. A volte la sconfitta, se non ci demoralizza, è un’ottima maestra. (CIP “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto San Giovanni)
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dibattito
Grecia e Italia al guinzaglio del capitale
Nomi nuovi per vecchie politiche conciliatorie e riformiste, ma quando la classe operaia passerà all’attacco li scoverà ovunque saranno e allora - senza lo Stato e la democrazia borghese che li foraggia e difende - per loro non ci sarà più scampo Emiliano La lotta dei popoli sia quando è vittoriosa, come fu con l’Ottobre sovietico, sia quando è cocente sconfitta come gli ultimi avvenimenti in Grecia, mettono in moto le coscienze, anche se con stati d’animo ovviamente molto diversi, e portano comunisti e proletari a riflettere per trarne insegnamenti utili alla propria lotta ovunque si trovino e siano collocati. Questi fatti fanno emergere le differenze e le contraddizioni all’interno delle classi sfruttate che lottano nei rispettivi paesi per la propria vita e libertà. Nel nostro paese gli avvenimenti in Grecia sono stati vissuti più con tifoseria contro l’odiata Unione Europea e con una certa frustrazione visto la nostra insufficiente capacità di contrastare le stesse misure antipopolari del governo, parte integrante dell’imperialismo europeo. Il referendum indetto in soli 5 giorni non ha permesso una riflessione né in Grecia, né tantomeno in Italia. Allora è passato l’inganno che votando NO si rigettavano le politiche della U.E, inganno perpetuato anche grazie alla campagna del SI che sia in Grecia come in tutta Europa è stato appoggiato da tutto l’apparato mediatico imperialista con una forsennata campagna ricattatoria e terrorista, ventilando disastri e distruzioni che si sarebbero abbattuti sul popolo greco in caso di vittoria dei NO. In questa situazione, ad onor del vero, bisogna anche dire che il Partito Comunista della Grecia (KKE) ha espresso una posizione chiara e netta quanto coerente sia all’interno del Parlamento, con la proposta di inserire nel quesito del referendum: NO alle proposte U.E e alla proposta del governo - Uscita dalla U.E e dalla Nato, abolizione dei memorandum e di tutte le leggi applicative. Proposta che la maggioranza di governo Syriza-Anel ha facilmente respinto anche con il voto aggiuntosi dei fascisti di Alba Dorata. Il Partito Comunista (KKE) ha quindi partecipato alla campagna refendaria denunciando la truffa di Tsipras &C. dando indicazioni alle masse popolari di battersi per lo svincolamento dall’U.E, la cancellazione unilaterale del debito, la socializzazione dei monopoli e il potere operaio e popolare e il boicottaggio del referendum truffa. In questo affiancato dal sincacato PAME, promotore e artefice di grandi mobilitazioni operaie e popolari e di scioperi in tutto il paese prima, durante e dopo l’approvazione dei memorandum. Stupefacente è invece stato l’atteggiamento della “sinistra” italiana che mette bene in luce i ritardi e le difficoltà che il proletariato incontra ad organizzarsi. Una grande confusione che aleggia tra riformisti spinti e parole d’ordine e fraseologia ultra-rivoluzionaria come risultato di decenni di egemonia riformista e revisionista, di frantumazione politica e sindacale, che portano ad una non coerenza tra le analisi, gli slogan e la lotta politica nel nostro paese e, ancora meno, alle valutazioni sulla lotta di classe condotta in altri paesi. La confusione tra classe, partiti, popoli in lotta per la liberazione nazionale, imperialismo ecc. negli ultimi anni ha permesso la presa di abbagli pericolosi e devianti: a partire dalla lotta dei popoli arabi, nelle cosiddette “primavere”,
per arrivare alle posizioni sulla Siria e la Libia, fino alla questione palestinese. Sulla Grecia la confusione si è amplificata scatenando una tifoseria sospetta, forse dettata dal fatto che siamo l’unico paese che in Europa ha presentato una lista Tsipras alle elezioni, nella speranza di un’affermazione (riformista) almeno in Grecia, tale da risollevare le sorti di un fallimento politico in Italia. Quello che in Italia avrebbe destato quantomeno sospetto, come un referendum che vedeva i fascisti tra i promotori, andava bene in Grecia. Ognuno, organizzato e no, ha tentato di dare a Syriza e al referendum un significato per giustificare e amplificare le proprie parole d’ordine. Chi (la maggioranza) vedeva la possibilità di affermare un’altra Europa, chi come tappa iniziale e intermedia per governi di blocco popolare, chi come fronte unito per governi rivoluzionari di transizione, chi come base per un processo tendente ad affermare una sorta di ALBA Mediterranea ecc. ecc. E questo malgrado Syriza non abbia mai affermato di essere per la rivoluzione, anzi abbia sempre confermato la sua vocazione democratico-borghese, in difesa del capitalismo, dell’Unione Europea e della NATO. Ciò che è passato invece sotto silenzio è la posizione del Partito Comunista della Grecia (KKE), ritenuto da molti una cosa vecchia, un residuo del passato, nostalgico e settario, e chi più ne ha più ne metta. Ammettere che esiste un Partito Comunista in Europa che non è una parodia, come quelle cui siamo abituati, potrebbe aprire uno spiraglio anche nella confusione che regna nel nostro paese dove, la lotta contro il Partito e la paura dell’organizzazione proletaria, ha spalancato le porte allo spontaneismo senza prospettiva, alla diperazione e al nullismo politico e sindacale. Il nostro giornale, e non solo, ha spesso ribadito la parola d’ordine che “il nemico è in casa nostra” per indicare come il miglior modo di essere internazionalisti - facenti parte di una stessa classe operaia internazionale - sia quella di lottare contro i propri padroni, il proprio Stato e la presenza delle basi Usa e Nato e non ultimo il Vaticano, sia per spiegare come gli interessi di classe, della borghesia, del capitalismo
monopolistico sono identici in Italia come in Germania e non si capisce perchè questi dovrebbero essere diversi se si parla di Grecia, che, pur nel suo piccolo, è un paese imperialista. L’Unione Europea come polo imperialista è la strada intrapresa dal grande capitale per competere con altri imperialismi, questo non elimina certamente lo scontro tra le varie componenti per conquistare i migliori posti di comando e l’egemonia economica e politica. Una delle caratteritiche del sistema capitalista è la concorrenza e l’anarchia della produzione e di ciò l’Euro è l’emblema, ha eliminato la competizione tra i vari monopoli che passava attraverso i diversi Stati con le svalutazioni monetarie e ha spostato la competizione sulle esportazioni e la capacità (forza economica e finanziaria) di fare investimenti, tanto invocati dal governo Renzi. I più forti si possono accaparrare i cosiddetti assets, si comprano a vicenda per aumentare la loro competitività e aumentare i loro profitti. Questo è alla base degli scontri e delle contraddizioni che si manifestano nel campo borghese. Non c’è il capitalismo buono (legato alla produzione industriale) e il capitalismo cattivo (legato alla finanza) ma un solo sistema capitalista basato sullo sfruttamento, così come non c’è un’Europa centrale germanica o dei paesi del nord e una periferica del Sud Europa che soccombe. I capitalisti sono tutti uniti per raggiungere il massimo profitto, per attaccare i salari diretti e indiretti, per aumentare lo sfruttamento (ritmi-orari) per rendere più flessibile il mercato del lavoro (libertà di licenziamento, repressione), per snellire i costi dello Stato attraverso le privatizzazioni (sanità - trasporti - scuole) e il cosiddetto Stato sociale (pensioni e ammortizzatori sociali), per spostare le ingenti risorse nelle tasche dei capitalisti (comprese le banche) pur nelle differenze presenti nello sviluppo ineguale del capitalismo e anche dal grado di resistenza e conflitto che la classe operaia riesce ad esprimere nei vari paesi. In Italia da qualche tempo non si sente più dire “ce lo chiede l’Europa” che i vari governi di destra, tecnici e di centrosinistra hanno usato per nascondere i provvedimenti più antipopolari dietro apparenti imposizioni che dovevano
“purtroppo” accettare. E’ passata una politica per essere “tra i primi” e non più alla coda come dice Renzi con il plauso della Confindustria. La posizione della U.E di dare finanziamenti e maggiore elasticità sul pagamento dei debiti è stato pienamente recepito e condiviso dal governo e dai capitalisti e banchieri italiani, bramosi di avere più soldi per poter competere maggiormente con gli altri monopoli, e questo succede anche in Grecia come in Spagna e in Portogallo ecc. La contro-riforma delle pensioni, la contro-riforma contro il mondo del lavoro sotto il nome di job-act, la contro-riforma della scuola e della pubblica amministrazione e la prossima contro-riforma istituzionale con la “nuova” legge elettorale vanno oltre gli stessi “consigli” della U.E e hanno anticipato le stesse richieste contenute nei memorandum accettate dal governo Tsipras in Grecia. Demolire la contrattazione nazionale mentre l’Europa ce lo chiede lo sta già facendo Marchionne alla Fiat (oggi FCA)e presto potrebbe anche diventare legge come quella sulla rappresentanza sindacale e sul diritto di sciopero (da limitare ulteriormente). Stabilire se il nostro paese è una “periferia” che subisce le politiche imperialiste del nordeuropa (e la Francia?) come una semi-colonia oppure se è parte integrante del polo imperialista europeo - anzi uno dei suoi punti di forza sul piano economico, finanziario e militare nel blocco USA-UENATO - non è cosa da poco né un esercizio da intellettuali, ma è la base per capire quali possono essere gli alleati della classe operaia nella sua lotta contro il capitale e quali possono essere le tappe per la conquista del socialismo. Con il voltafaccia di Tsipras, vero e proprio tradimento dei suoi elettori e del popolo greco, in Grecia nasce dalla scissione di Syriza (25 parlamentari) denominata “unità popolare” che, dopo aver condiviso tutti in passaggi e anche alcuni ministeri del governo Tsipras fino all’approvazione dei memorandum, tenterà alle prossime elezioni di arginare il malcontento, togliendosi da una posizione divenuta troppo scomoda e scoperta per continuare ancora a contrastare e deviare dalla lotta contro il capitalismo e i suoi governi. Così i nostri tsiprasisti si sono dileguati, ma attenzione non sono spariti! Anzi il vecchio e il “nuovo” armamentario del riformismo italiano deve, anche lui, cambiare nome per tornare alla ribalta e camuffarsi meglio. Si va da Fassina al grande sforzo intellettuale di Civati che ha partorito “Possibile” (!!) alla “Coalizione sociale” di Landini e altre probabili sigle che potranno sorgere presto grazie al trasformismo di Vendola, Ferrero&C. nella ricerca continua di “nuovi soggetti politici” utili alle loro carriere politiche e a mantenere alto il livello di confusione tra i lavoratori. Niente di nuovo sotto il cielo, solo nomi nuovi per vecchie politiche conciliatorie e riformiste che provocano ulteriori sconfitte generando demoralizzazione, rendendo più difficile il processo di organizzazione del proletariato sia sul piano politico che sindacale. Si possono camuffare e nascondere dove vogliono, ma quando la classe operaia passerà all’attacco li scoverà ovunque saranno e allora - senza lo Stato e la democrazia borghese che li foraggia e difende - per loro non ci sarà più scampo.
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rassegna stampa
Notizie in breve dal mondo agosto 2015 Texas, USA 4 agosto
La Costituzione degli Stati Uniti, emendamento n. 14, garantisce ad ogni persona nata nel paese l’ottenimento automatico della cittadinanza. Ma le autorità di varie contee del Texas da mesi non emettono i certificati di nascita dei figli di madri senza documenti provenienti dal Messico e da altri paesi centro-americani. Per questo oggi una ventina di donne hanno denunciato il Dipartimento della Salute dello Stato per violazione della Costituzione. Per anni le autorità avevano accettato di considerare prova di identificazione delle madri la matricola consolare messicana, un documento emesso dai consolati messicani negli USA. Ora le autorità di alcune contee texane non lo fanno più. La mancanza del documento di nascita impedisce che i genitori possano iscrivere i bambini a scuola o che questi possano accedere ai servizi sanitari.
Berlino, Germania 4 agosto
Il Ministro della Giustizia, Heiko Maas, ha licenziato oggi il procuratore generale della Repubblica, Harald Range, a causa dello scandalo sulle investigazioni per alto tradimento verso numerosi giornalisti. Il procuratore aveva dato il via ad una investigazione preliminare contro alcuni giornalisti della pagina web netzpolitik per aver pubblicato documenti confidenziali del servizio di Intelligence, che rivelavano la creazione di una nuova unità per la vigilanza di internet.
Stati Uniti 4 agosto
L’ex impiegato della NSA (Agenzia di Sicurezza nazionale) USA Thomas Drake ha rivelato in un’intervista a The Real News Network i motivi per cui la NSA, nonostante sapesse dell’attacco avvenuto poi l’11 settembre, non fece nulla per impedirlo. Secondo Drake “conveniva lasciare che succedesse. Se sapevano cosa stava per succedere, perché doovevano fare qualcosa per impedirlo? Perché, permettendo che succedesse, avrebbero avuto una scusa. Cheney (Dick Cheney, il 46° vicepresidente USA) lo aveva chiarito: quello che voleva era ristabilire l’autorità del Presidente”. Egli ha anche aggiunto: “La NSA sapeva molto bene che stava per succedere qualcosa di grave. Non sapevano né il giorno né l’ora. … Lo sapevamo da quando avevamo intervistato (l’attore) James Wood che in uno dei molti voli che fece dall’Est alla costa Ovest, notò alcune persone del Medio Oriente che si trovavano su questi aerei. Era chiaro che avevano passato parecchio tempo osservando, mettendo alla prova i sistemi di sicurezza del nostro sistema e dei nostri aerei di linea”.
New York, Stati Uniti 6 agosto
La sedia elettrica (detta “old sparky”) compie oggi 125 anni: fu utilizzata per la prima volta in questo giorno del 1890 nel carcere di Auburn, stato di New York, per uccidere William Kemmler, che impiegò 8 minuti per morire. L’ultimo condannato a morte “giustiziato” è stato Robert Glason, nel 2013.
Santiago del Cile, Cile 8 agosto
E’ morto in un ospedale della città, mentre la maggioranza dei cileni lo credeva nella prigione militare di Punta Peuco con un centinaio di altri condannati per violazione dei diritti umani, Manuel Contreras Sepùlveda, considerato il peggior criminale della storia del Cile. Condannato a 500 anni di prigione, fu capo della DINA (Direzione di Intelligence Nazionale) del governo del dittatore Pinochet. Tale organismo, costruito da Contreras prima ancora del golpe militare del 1973, è responsabile – secondo dati ufficiali – della sparizione di 1.192 detenuti e di più di 1.500 esecuzioni per cause politiche. Contreras non si è mai pentito né ha mai riconosciuto le sue responsabilità, accusando invece Pinochet di essere il vero capo della DINA, oltre che di essersi arricchiato con il narcotraffico. Riguardo agli omicidi di Orlando Letelier, l’ex cancelliere cileno ucciso a Washington nel 1976 e del capo dell’Esercito fedele ad Allende – Carlos Prats, ucciso a Buenos Aires nel 1974 - Contreras ha sempre affermato che si trattava di operazioni della CIA e non della DINA, denunciando quale autore materiale delle due esecuzioni l’agente statunitense della CIA Michael Townley.
Ferguson, Stati Uniti 11 agosto
Ad un anno di distanza dalla morte di Michael Brown, il giovane nero di 18 anni ucciso dalla polizia, il luogo della sua morte – Canfield Drive - si è riempito di peluches, bambole, palloni e messaggi per ricordarlo. Michael Brown giacque per 4 ore sul selciato: “gli agenti lo lasciarono, morto, sulla strada perché non hanno rispetto per i neri, né vivi né morti. Non cercarono di rianimarlo, lo lasciarono là steso. Lo trattarono peggio di un animale, perché in questo paese non c’è alcun rispetto per la vita dei neri” ha detto uno dei partecipanti alla cerimonia per ricordarlo.
Londra, Inghilterra 11 agosto
Sono arrivate oggi a 30.000 le firme su una petizione inserita nella pagina web del Parlamento britannico, che chiede di dibattere alla camera l’arresto del primo ministro israeliano Benjamin Netannyahu quando questi visiterà, nel prossimo settembre, il Regno Unito. La petizione, lanciata da un cittadino che si identifica come Damian Moran, chiede che Netanyahu sia arrestato in base alla legislazione internazionale per “crimini di guerra”, in relazione “al massacro di più di 2.000 civili nel 2014”. Il portavoce del Ministero degli Esteri israeliano ha definito la petizione “una manovra di relazioni pubbliche senza un vero contenuto pratico”, ricordando nell’occasione gli stretti legami a tutti i livelli dei due paesi. Il governo britannico deve dare una risposta ad ogni petizione che superi le 10.000 firme; perché una petizione sia discussa dal parlamento sono necessarie 100.000 firme.
Calais, Francia 20 agosto
Firmato tra Francia e Inghilterra un accordo di cooperazione bilaterale sulla gestione della crisi dei migranti. I due paesi – secondo quanto annunciato dal ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve – costituiranno un “centro di comando e controllo comune”. Arriveranno quindi almeno una dozzina di poliziotti britannici a collaborare con i loro 1.300 colleghi francesi presenti permanentemente nella città. Oggi Londra ha ufficializzato il versamento di un pacchetto di 10 milioni di euro, che si aggiungono al contributo di 15 milioni di euro in 3 anni, per mettere in ‘sicurezza’ il porto di Calais, tramite “sistemi di chiusura, di videosorveglianza, di tecnologia all’infrarosso e di illuminazione”. Tali fondi dovrebbero anche servire a costituire un “volano umanitario” per favorire i ritorni volontari dei migranti o il loro spostamento “ad una distanza significativa da Calais”.
New York, USA 12 agosto
La più potente banca d’affari del mondo, la Goldman Sachs, ha assunto l’ex segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen, aggiungendo il suo nome a quello di altri ‘prestigiosi’ ex dipendenti come Mario Draghi (ora presidente della Banca Centrale Europea) e Mario Monti, ex capo del governo italiano designato direttamente dal presidente Napolitano nel 2011. Ex primo ministro della Danimarca, come segretario generale della NATO Rasmussen ha rappresentato l’alleanza atlantica nel suo “picco operativo, con 6 operazioni in 3 continenti”, tra cui le guerre contro Afganista e Libia.
Washington, USA 13 agosto
Il generale Ray Odierno, capo dell’Esercito di terra USA, ha detto oggi che la lotta contro lo Stato islamico “è ad un punto morto” e che, se il Pentagono non vedrà dei progressi nei prossimi mesi, “deve considerare la possibilità di inviare truppe di appoggio perché operino sul terreno con le forze irachene”. I soldati nordamericani hanno lasciato l’Iraq nel 2011. Secondo Odierno la campagna di bombardamenti guidata dagli USA “ha aiutato a mitigare l’offensiva dello Stato islamico”, e con questa strategia “ le truppe statunitensi potrebbero sconfiggere i combatenti del gruppo terrorista, ma non potrebbero risolvere i problemi politici ed economici più grandi che colpiscono l’Iraq e la Siria”.
Brasilia, Brasile 15 agosto
Il governo brasiliano intende utilizzare dei droni per controllare fattorie che impiegano lavoratori in stato di schiavitù in diverse zone rurali del paese. Lo ha comunicato il Ministero del Lavoro, secondo i cui dati sono già stati liberati circa 50.000 persone. L’ex coordinatore del programma di sradicamento della schiavitù sul lavoro ha dichiarato che i droni saranno di grande aiuto visto che possono visualizzare vittime e luoghi dove la polizia non può arrivare. Secondo il rapporto 2014 della Fondazione Walk Free, sono circa 155 mila le persone che lavorano in schiavitù nel più grande paese sudamericano. Nel mondo, secondo i calcoli dell’ONU, ci sono circa 35 milioni di lavoratori schiavi e il Brasile occupa il 143° posto nella lista mondiale.
Pechino, Cina 17 agosto
Un portavoce militare ha ammesso che la concentrazione di composti velenosi nelle acque del porto di Tianjin dove è avvenuta una grande esplosione supera di 27 volte quanto permesso. I barili di cianuro di sodio non toccati dall’esplosione sono stati spostati dalla zona del porto e le zone colpite evacuate. Secondo il portavoce del sindaco della città, nella giornata odierna verranno portate via la maggior parte delle 700 tonnellate di cianuro di sodio che erano stoccate in un’area di 100.000 mq. attorno al terminal dei contenitori dove si sono prodotte le esplosioni. Un’équipe di 70 tecnici chimici ha già cominciato l’inchiesta sul luogo dell’esplosione per raccogliere maggiori dati e verificare il numero di vittime, stimato fino ad oggi in 114 persone (tra cui 21 pompieri), oltre ad altri 95 di cui non si hanno notizie precise. Il governo ha ordinato una revisione a livello nazionale delle procedure di sicurezza che riguardano i composti chimici pericolosi e i materiali infiammabili.
L’Avana, Cuba 18 agosto
Brasile, 24 agosto
Nella riunione di questa mattina i lavoratori della Mercedes di Sao Bernardo do Campo hanno approvato all’unanimità lo sciopero a tempo indeterminato contro i licenziamenti nella casa automobilistica ricevendo la solidarietà da molte parti del mondo.
Ottawa, Canada 26 agosto
Conclusa l’inchiesta della Commissione sul petrolio e il gas della provincia della British Columbia (Canada ovest): secondo il suo rapporto il terremoto di 4,4 °che colpì un anno fa in agosto la città di Forth St. John fu “scatenato dall’iniezione di fluido durante la fratturazione idraulica (fracking) realizzata nella zona dalla Progress Energy”, la filiale canadese del gigante del petrolio e del gas della Malaysia Petronas. Dopo il sisma del 2014 Progress Energy ricevette l’ordine di ridurre la quantità di fluido che usava nel processo. Un altro sito della compagnia è stato chiuso la settimana scorsa e le autorità intendono investigare se la sua attività è la causa di un altro sisma verificatosi a pochi chilometri di distanza. Né l’ufficio che regola l’energia del Canada né la società coinvolta hanno voluto commentare il rapporto.
Mattmark, Svizzera 30 agosto
Era il lontano 1965: a 2.000 metri di altitudine, nel villaggio del Canton Vallese dove si trovano i due terzi dei ghiacciai svizzeri, si lavorava freneticamente 15-16 ore al giorno, sabato e domenica compresi, per edificare la diga più grande d’Europa, capace di produrre l’energia elettrica che serviva ad una nazione ricca di acqua ma povera di carbone. Nel cantiere lavoravano più di mille persone: quasi tutti stranieri, e tantissimi italiani, che dormivano e mangiavano dentro baracche gelide e insalubri dislocate proprio sotto la lingua del ghiacciaio, un mostro semovente che si faceva sempre più minaccioso. “Da cinque anni - raccontarono alcuni superstiti - vedevamo cadere pezzi di ghiaccio da lassù e ci avevamo fatto l’abitudine. Gli ingegneri svizzeri ci avevano rassicurato che nella Confederazione elvetica tragedie come quella del Vajont non potevano avvenire. Qualcuno aveva addirittura risposto malamente: “Noi non siamo italiani”. Alle ore 17.15 una valanga di oltre due milioni di metri cubi di ghiaccio travolse e seppellì le baracche, la mensa e le officine sottostanti. Morirono sul colpo 88 lavoratori; di cui 56 erano italiani. Furono necessari più di 6 mesi per recuperare l’ultima salma. Il farraginoso procedimento giudiziario durò 6 anni e i 17 imputati di omicidio colposo vennero tutti assolti. I giudici stabilirono che si trattò di una catastrofe naturale; e “benché la commissione d’inchiesta avesse sottolineato le inadempienze e, soprattutto, la negligenza e la superficialità” che indussero a tirar su le baracche direttamente sotto le pendici del ghiacciaio in movimento, la pena inflitta fu il pagamento di alcune multe dai 1.000 ai 2.000 franchi.
nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) Anno XXIV n. 4/2015 - Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992
Con una cerimonia tenutasi nel Memoriale José Martì, è stato ricordato il 90° anniversario della fondazione del primo Partito Comunista di Cuba e le figure e l’opera di Julio Antonio Mella e di Carlos Baliño.
Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze - tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info - www.nuovaunità.info
Palestina 20 agosto
Direttore Responsabile: Carla Francone
Circa 250 palestinesi incarcerati nel carcere situato nella regione del Neghev (territorio paestinese occupato) hanno iniziato oggi uno sciopero della fame indefinito, quale misura di protesta contro la loro detenzione “amministrativa”, finchè questa non sarà cancellata. La “detenzione amministrativa” consente che le autorità possano incarcerare i palestinesi per 6 mesi – con possibilità di rinnovo della carcerazione – senza necessità di un’accusa legale e impedisce che l’accusato abbia accesso ad un avvocato o venga processato. Nel carcere attualmente sono detenuti quasi 1.500 palestinesi, dei quali 250 sottoposti appunto a “detenzione amministrativa”. Lo sciopero della fame è anche in solidarietà con la battaglia di Mohamed Aalan, prgioniero palestinese in grave stato di salute determinato dallo sciopero della fame che egli ha cominciato più di 60 giorni fa, quando le autorità gli hanno rinnovato il “fermo amministrativo”.Secondo dati del Comitato per gli Affari dei Prigionieri Palestinesi, sono circa 6.500 i prigionieri palestinesi incarcerati in 22 carceri israeliane in condizioni “deplorabili”.
nuova unità 4/2015
Hanno collaborato a questo numero: Brugio, Emiliano, Michele Michelino, Luciano Orio, Pacifico, Daniela Trollio abbonamento annuo Italia euro 26,00 abbonamento annuo sostenitore euro 104,00 abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20 I versamenti vanno effettuati sul c/c postale nr. 14856579 intestato a: nuova unità - Firenze Stampato interamente su carta riciclata, nessun albero è stato abbattuto per farvi leggere queste pagine Chiuso in redazione: 20/08/15
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