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Proletari di tutti i paesi unitevi!
nuova unità fondata nel 1964
Periodico comunista di politica e cultura n. 7/2016 - anno XXV
In tutto il mondo, ovunque ci siano i capitalisti, la libertà di stampa significa libertà di comprare i giornali, di comprare gli scrittori, di corrompere, comprare e falsificare “l’opinione pubblica” per il bene della borghesia Vladimir Lenin
Rompere con l’opportunismo Unire la lotta economica a quella politica lottando contro qualsiasi governo borghese per una vera democrazia che è il potere politico in mano al proletariato Questo numero chiude un altro anno di “nuova unità”, il 25° da quando alcuni compagni dell’ex PCd’I (m-l) decisero, dopo lo scioglimento del partito, di mantenere viva una testata storica, nata nel 1964 per unire i comunisti usciti dal PCI sulla via del revisionismo, per continuare ad unire i comunisti che si sono trovati - anche in seguito al fallimento del PRC - senza il proprio partito. Venticinque anni sono tanti, per poter mantenere questa voce di analisi marxista abbiamo fatto molti sacrifici e li abbiamo affrontati in redazione, grazie a compagni che, provenienti da esperienze diverse hanno capito l’importanza di unirsi, e grazie agli abbonati, ai nostri lettori e ai nostri diffusori che ci sostengono. È stata una sfida vinta nel tempo, ciononostante non possiamo ritenerci soddisfatti. “Il giornale non è solo un propagandista e un agitatore collettivo, ma anche un organizzatore collettivo, i collegamenti sono deboli e non abbiamo modo di verificare se i nostri contributi sono utili nelle lotte sul piano nazionale. È uno dei nostri limiti. La difficoltà viene anche dalla mancanza del partito. Sappiamo quanto sia importante per lo sviluppo del giornale e dell’organizzazione - un organo che i compagni considerano proprio, dal quale ricevano informazioni locali, che lo discutano, che rispecchi tutto il loro movimento, che renda consapevole la classe lavoratrice che i suoi interessi sono comuni, che sia capace di attizzare ogni scintilla della lotta di classe per farne divampare un immenso incendio. Come sosteneva Lenin il fulcro della parola d’ordine di Liebknecht: “Studieren, propagandieren, organisieren” - studiare, propagandare, organizzare deve essere costituito da un organo di stampa del partito. Conoscendo le attuali difficoltà del processo di unità dei comunisti e della costituzione del proprio partito riteniamo che in questa fase un giornale rivoluzionario sia di fondamentale importanza. Ecco perché insistiamo tra mille difficoltà e bastoni tra le ruote, perché in questo sistema la libertà di stampa esiste solo per i cortigiani della borghesia la quale, impiega tutte le sue forze e i suoi apparati per schiacciare le idee comuniste. La situazione politica ed economica è devastante, molti dei nostri lettori sono disoccupati o precari e sul loro contributo non possiamo contare, ma non possiamo privarli del nutrimento intellettuale di un giornale che apprezzano. Viene da sé da richiesta per coloro che hanno la possibilità di sottoscrivere un abbonamento per chi non lo può pagare (un po’ come i napoletani lasciano un caffè in sospeso) e aiutarci ad affrontare un nuovo anno con maggiori certezze. Da molti anni revisionisti, riformisti, sindacati conniventi hanno orientato la classe lavoratrice all’arrendevolezza nei confronti dei suoi nemici: il padronato, i governi, i partiti borghesi con teorie arretrate e nuovi mezzi anticomunisti, di attacco verso coloro che hanno teorizzato la liberazione del proletariato. Cassa integrazione, mobilità, 80 euro, rinnovi contrattuali al ribasso sono elemosine mentre i capitalisti aumentano i loro profitti anche in virtù di decontribuzioni e sgravi fiscali. Non esiste un capitalismo buono e uno cattivo, lo ripetiamo sempre. Sono proprio le leggi del profitto con la crescente concentrazione del capitale a provocare disoccupazione, precarietà, aumento di povertà, immigrazione sempre più strumentalizzata dalle forze di destra - Lega nord compresa - in una guerra tra poveri. E i governi sono al loro servizio, agiscono per mantenere in piedi un sistema che sfrutti la maggioranza della popolazione in nome della “democrazia”. Termine abusato anche quando si riferisce ai referendum utilizzati per trascinare lavoratori e masse popolari su un terreno deviante e distoglierli dalla mancanza dei diritti e dallo stato di oppressione. Noi non siamo tra quelli che esultano sulla “valanga dei no” alla modifica della Costituzione, un no composito di cui se ne sono appropriati i partiti di destra che ora scalpitano per arrivare al potere. Vittoria che non intacca minimamente le truffaldine leggi come il jobs act, la politica reazionaria, di austerità, razzismo, fascismo e guerra che ci stanno opprimendo. Anzi con il nuovo Governo Gentiloni (sostenitore dell’agenda Monti) peggiorerà sicuramente in senso europeista, nel quale la ministra artefice della riforma contro la Costituzione, bocciata dagli elettori, è stata promossa a vice primo ministro e nel quale è entrata come ministra agli affari istituzionali la Finocchiaro (con Prodi dal ’96 al ’98 ministra pari opportunità) e relatrice della riforma rigettata, con l’evidente ruolo di far passare dalla finestra ciò che non è passato dalla porta. È più che mai attuale e significativo questo scritto di Lenin: “Noi ci troviamo in tutto e per tutto sul terreno della teoria di Marx: è stata essa la prima a trasformare il socialismo da utopia in scienza, a dare delle solide fondamenta a questa scienza e a tracciare il cammino da seguire, sviluppando ulteriormente questa scienza ed elaborandola
in tutti i suoi particolari. Essa ha rivelato la natura dell’economia capitalistica moderna, spiegando in che modo l’assunzione dell’operaio, l’acquisto della forza-lavoro, nasconda l’asservimento di milioni di nullatenenti da parte di un pugno di capitalisti, di proprietari di terre, di fabbriche, miniere ecc. Essa ha mostrato come tutto lo sviluppo del capitalismo odierno tenda a soppiantare la piccola produzione con la grande e crei le condizioni che rendono possibile e necessaria l’organizzazione socialista della società. Essa ha insegnato a vedere sotto il manto di usanze radicate, intrighi politici, leggi astruse, dottrine sofistiche, la lotta di classe, la lotta di tutte le classi abbienti contro la massa dei nullatenenti, contro il proletariato, che è alla testa di tutti i nullatenenti. Essa ha chiarito il vero compito di un partito socialista rivoluzionario: non elaborazione di piani per riorganizzare la società, non prediche ai capitalisti ed ai loro reggicoda sul modo di migliorare la situazione degli operai, non organizzazione di congiure, ma organizzazione della lotta di classe del proletariato e direzione di questa lotta, il cui scopo finale è la conquista del potere politico da parte del proletariato e l’organizzazione della società socialista”. La mancanza di consapevolezza - cresciuta appunto in anni di influenza revisionista e accondiscendenza dei sindacati confederali - riduce i lavoratori a lotte parziali e di tipo economico spesso represse da provvedimenti disciplinari padronali o dall’intervento della polizia. Lotte che, se pure necessarie non sono risolutive se restano di tipo economico e non si collegano all’idea del socialismo. Molti gruppi o pseudo partiti della galassia italiana si richiamano alla lotta di classe dimenticando che la lotta è di classe solo quando l’avanguardia di tutta la classe operaia di tutto il paese ha la coscienza di essere un’unica classe e cominciano a lottare non contro i singoli padroni ma contro la classe dei capitalisti, la borghesia e contro i governi che li sostengono. E che per farlo hanno bisogno e devono essere artefici e protagonisti di un partito rivoluzionario, comunista. Rompere con l’opportunismo e unire la lotta economica a quella politica che non significa esprimersi con un voto ma lottando contro qualsiasi governo borghese per una vera democrazia che è il potere politico in mano al proletariato.
Metalmeccanici: Welfare aziendale o welfuck padronale? E completo smantellamento CCNL pagina 2 Voucher: la frammentazione e precarizzazione della forza-lavoro indeboliscono il potere contrattuale e politico dei lavoratori pagina 3 Ape, fatta la legge trovato l’inganno pagina 5 Fidel, Gli uomini muoiono fisicamente ma le loro idee - quando sono la sintesi dei desideri, delle aspirazioni, della storia di lotta dei loro popoli - non muoiono mai pagine 6/7
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lavoro/contratti
Welfare aziendale o welfuck padronale? Probabilmente vogliono costruire l’ennesimo carrozzone che, insieme a Cometa ed alle varie commissioni paritetiche, garantisca a funzionari - completamente estranei alla classe operaia quelle entrate che le tessere degli iscritti, in rapido calo, non gli garantiscono più
Gian Luca Da Rulando* Attaccare i salari è, per le aziende, il modo più semplice per mantenere elevati i profitti e, per quanto riguarda Fincantieri e tutti i grandi gruppi, partecipare in maniera competitiva alla contesa imperialistica mondiale. Per questo motivo il governo Renzi, ottemperando al suo ruolo di comitato di affari della borghesia, attraverso la Legge di Stabilità 2016, in accordo ed in concorso con le organizzazioni sindacali padronali ufficiali (Confindustria e Confcommercio) e con quelle ufficiose (CGIL, CISL e UIL), ha sgravato ulteriormente di costi le imprese a discapito dei lavoratori. Ad essere demolito, questa volta, è il premio di risultato cioè quella parte di salario (peraltro legato all’andamento aziendale e quindi variabile) che viene erogato in quelle imprese che riescono a strappare un contratto di secondo livello: welfare aziendale invece che soldi! Infatti il governo, con questa manovra finanziaria, ha introdotto diverse misure atte ad incentivare il welfare aziendale, cioè l’utilizzo da parte dei dipendenti di prestazioni e servizi erogati dalle aziende, corrispondenti al valore dei premi produttività, qualità e/o risultato al posto del salario con cui dovrebbero essere retribuiti i premi suddetti. Le misure principali adottate sono l’esenzione IRPEF e la detassazione fiscale e contributiva integrale di queste forme di “pagamento in natura”. CGIL, CISL e UIL la spacciano per una cosa buona, qualche funzionario se la vende addirittura come una conquista: cosa c’è di male nel fatto che le imprese riescano a risparmiare sul ”costo del lavoro”, tra tasse e contributi connessi ai vari premi, pur andando incontro ai propri dipendenti che si ritrovano a godere di prestazioni del valore superiore ad un premio monetario in busta paga? C’è di male che diamo per scontato che non solo non esiste più un welfare nazionale e statale, cioè che non abbiamo più una scuola, una sanità, una pensione pubbliche ed accessibili a tutti, ma che non
ci poniamo minimamente il problema di riconquistarli. C’è di male che, se il premio di risultato continuasse ad essere erogato in denaro, è vero che vi pagheremmo tasse e contributi ma è anche vero che verrebbe conteggiato nella liquidazione e nella pensione, per cui ne godremmo anche in seguito. C’è di male che l’azienda stabilisce come, dove e quanto noi dobbiamo spendere, interferendo pesantemente nella nostra vita privata. C’è di male che il valore delle prestazioni è solo apparentemente superiore al valore monetario del premio in busta paga, in compenso le rotture di coglioni sono infinitamente maggiori. In Fincantieri, grazie al pessimo accordo aziendale sottoscritto da Fim, Fiom, Uilm e fortemente osteggiato dai lavoratori il welfare aziendale è una realtà ed i lavoratori hanno iniziato a farci i conti, quelli veri. Per prima cosa è stata creata una nuova società denominata Easywelfare, ovviamente controllata da Fincantieri. Easywelfare opera on-line per cui l’unico punto di riferimento dei dipendenti per la gestione del proprio premio è virtuale. Solo all’inizio c’è stato un incontro assembleare con gli operatori di Easywelfare che hanno candidamente ammesso che tra i benefici reali e quanto propagandato da Fim, Fiom, Uilm e Fincantieri c’era una distanza abissale, in quanto molte procedure e convenzioni dovevano ancora essere definite. Fincantieri in un comunicato stampa del 7 settembre 2016 dichiarava che il sistema delineato avrebbe assicurato l’accesso dei dipendenti di Fincantieri e delle società controllate (oltre 7.500 persone) a un ampio ventaglio di beni, prestazioni e servizi, tra i quali: • Istruzione: scuole di ogni ordine; testi scolastici; mensa scolastica; pre e dopo scuola; centri estivi ed invernali; • Mutui e Prestiti: interessi su mutui per ristrutturazione e acquisto prima e seconda casa;
• Previdenza Integrativa: versamenti volontari integrativi a fondi pensione chiusi o aperti; • Fringe Benefit: beni e servizi in natura, dall’abbonamento al trasporto pubblico a carte prepagate. Nella realtà i dipendenti Fincantieri hanno riscontrato che: • Ciò che è chiamato Fringe Benefit è una vera e propria balla: non esiste nessuna carta prepagata e nessuna possibilità di abbonamento ad alcun trasporto pubblico. I voucher per la spesa, che ovviamente possono essere usati solo nei pochi esercizi convenzionati, non possono essere usati per prodotti scontati o in promozione. • La previdenza integrativa non prevede affatto un versamento libero da parte del lavoratore ma percentuali predefinite (25%, 50%, 75%, 100%). Se qualche lavoratore, con necessità di soldi liquidi, pensasse di versare l’equivalente del premio ad esempio su Cometa e di ritirare il 30% del capitale versato, cosa possibile senza
giustificazioni, vi pagherebbe una tassazione del 24%. • Tutto ciò che viene richiesto come rimborso quali spese mediche o spese per libri ecc. ecc. non potrà poi essere detratto dalla dichiarazione dei redditi andandoci a perdere il 19%. • Per chi decidesse di utilizzare i suoi soldi virtuali in forma di buoni benzina l’iter è questo: a mezzo e-mail il lavoratore fa richiesta dei buoni per l’importo desiderato (per un massimo di 250 euro), dopo di che attende una prima e-mail di conferma e di accettazione della richiesta. Arrivata l’email di conferma, attende una seconda e-mail con allegati i voucher. Se li stampa e va dal benzinaio indicato dall’Azienda, che casualmente è tra i più cari, dove la benzina è erogata dal pompista con ulteriore incremento del prezzo al litro ed in orario di apertura perché, essendo noi dei privilegiati in quanto godiamo dell’Easywelfare di Fincantieri, non possiamo utilizzare il self-service.
Per quanto ci riguarda, non avevamo dubbi che l’introduzione di Easywelfare avrebbe portato a questo e rivendichiamo con orgoglio di essere stati tra quelli che hanno votato contro l’accordo aziendale perché le nostre necessità di lavoratori sono ben diverse da quelle partorite dalle lobbies sindacal-padronali. A questo proposito, quali siano gli interessi padronali nel promuovere il welfare aziendale sono evidenti, mentre non è così chiaro quali interessi abbiano i vertici di Cgil, Cisl e Uil, oltre a voler dimostrare al padrone che come cane da guardia servono ancora. Forse vogliono costruire l’ennesimo carrozzone che, insieme a Cometa ed alle varie commissioni paritetiche, garantisca a funzionari, completamente estranei alla classe operaia, quelle entrate che le tessere degli iscritti, in rapido calo, non gli garantiscono più. * delegato RSU, Collettivo FLMUniti-CUB Fincantieri Riva Trigoso
CCNL Metalmeccanici Completo smantellamento Eraldo Mattarocci Nel prevedere che il pessimo accordo integrativo di Fincantieri avrebbe aperto la strada ad un ancor peggiore Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro dei Metalmeccanici non avevamo messo in conto che lo sbragamento di Fiom, Fim e Uilm di fronte a Federmeccanica sarebbe giunto al punto da calare, oltre le braghe, anche le mutande. I cedimenti sono tali e tanti da poter dire che il CCNL, come strumento di tutela generale dei lavoratori, è stato completamente smantellato. Per quanto riguarda la parte salariale • Non ci sono aumenti salariali certi ma soltanto prevedibili ed, ovviamente, bassissimi in quanto saranno calcolati con l’ IPCA, una sorta di scala mobile a perdere, ed erogati il luglio successivo all’anno preso in considerazione. - Per il 2016 non vi sarà nessun aumento ma solo 80 euro ( deve essere una fissazione!) una tantum, che coprono anche il periodo di
vacanza contrattuale. • A giugno 2017 si dovrebbe avere un aumento di 9 euro lordi su un’ inflazione calcolata in 0,5% nel 2016: in pratica una pizza margherita ed una bottiglietta d’acqua minerale. • A giugno 2018 si dovrebbe avere un aumento di 19 euro lordi su un’inflazione calcolata in 1% nel 2017. • A giugno 2019 si dovrebbe un aumento di 23 euro lordi su un’inflazione calcolata in 1, 2% nel 2018. • In teoria la somma di questi “aumenti” sarebbe di 51 euro lordi a regime, cifra raggiunta nel 2019 sempre che la percentuale di inflazione sia quella ipotizzata. Per mettere la ciliegina sulla torta, Federmeccanica e sindacati firmatari hanno stabilito che questi aumenti così generosi, dal 2017, possano essere riassorbiti da eventuali premi individuali o collettivi conquistati in fabbrica. • La differenza tra i 51 euro, oltretutto ipotetici, ed i 90 euro sbandierati da Fim, Fiom e Uilm verrà
corrisposta in welfare aziendale. Anziché denaro, i lavoratori riceveranno “salario in natura” sotto forma di buoni benzina, di buoni scolastici o altro per un valore teorico di 100 euro nel 2017, 150 euro nel 2018, 200 euro nel 2019. Propagandato come una conquista, in realtà è solo un risparmio clamoroso per le aziende perché è detassato e di conseguenza non maturano né contributi pensionistici né tfr. • Come conseguenza della riassorbibilita` i premi di risultato, ovviamente per i lavoratori di quelle aziende, poche, in grado di accedere ad una contrattazione di secondo livello, saranno totalmente variabili. Per quanto riguarda la parte normativa: • La legge 104 viene peggiorata fortemente nella fruizione dei permessi • Sui trasferimenti si innalza l’età massima oltre la quale non si può essere obbligati, da 50 a 52 anni per gli uomini e da 45 a 48 anni per le donne
• Viene introdotto il “lavoro agile”, ulteriore strumento per destrutturare la prestazione di lavoro in nome dell’innovazione tecnologica ed organizzativa. • Vengono riconosciute le deroghe per gli aspetti normativi, in pratica a livello aziendale si possono fare accordi aziendali peggiorativi in deroga al contratto nazionale. • Rinnovando il CCNL del 2012, anche la Fiom accetta tutto quello che non è espressamente modificato e che, allora, rifiutò di firmare: 1) l’aumento delle ore di straordinario obbligatorio che passarono da 40/48 ad 80. 2) l’umento delle ore di flessibilità che passarono da 64 ad 80, cancellando l’obbligo di accordo sindacale 3) l riduzione del pagamento delle malattie brevi, dopo il terzo evento in un anno. La firma del nuovo CCNL da parte di Fim, Fiom e Uilm segna un netto peggioramento delle condizioni dei lavoratori, mentre Federmeccanica porta a casa un grande
risultato: aumenti salariali risibili uniti alla massima flessibilità e disponibilità delle maestranze. Questo accordo è talmente negativo per la categoria che sarà ardua per Fim, Fiom e Uilm farlo passare senza problemi anche perché, oltre all’ovvia opposizione del Sindacalismo di base e di quella della sinistra Cgil “Il sindacato è un’altra cosa”, si è aggiunta l’opposizione importante dei direttivi Fiom di Genova e di Trieste. Già alla riunione del Comitato Centrale della Fiom del 27 novembre 2016 era stato presentato un documento fortemente critico, primo firmatario il genovese Giulio Troccoli, che dichiarava inaccettabile l’ipotesi di accordo e che raccoglieva 10 voti a favore contro i 115 a favore del documento della segreteria e dell’accettazione dell’ipotesi di accordo. Un rapporto di forze che si è però completamente ribaltato nel Direttivo Provinciale della Fiom di Genova dove l’ipotesi di accordo è stata respinta con 66 voti a favore, praticamente all’unanimità. L’ipotesi di accordo è
stata bocciata anche dal Direttivo della Fiom di Trieste. Questa presa di posizione da parte di due strutture dirigenti della Fiom così importanti, non così scontata visto che nell’integrativo Fincantieri la Fiom di Genova era allineata con la maggioranza, riapre i giochi ad un livello più alto. Li riapre indipendentemente dal fatto che queste scelte siano state fatte non solo per una valutazione di merito ma anche per uno scontro in atto tra le varie componenti della Cgil, soprattutto a Genova ed in Liguria, per ridefinirne il peso nel prossimo futuro. La battaglia per bocciare l’ipotesi di accordo del CCNL dei metalmeccanici pone una pesante ipoteca per lo sviluppo di un sindacato antagonista e di classe non solo nella categoria ma in tutto il movimento dei lavoratori. Più chiaro e più forte sarà il nostro NO e maggiori saranno le possibilità di uscire dall’immobilismo e dall’accettazione passiva delle scelte padronali in cui i gruppi dirigenti di Cgil, Cisl e Uil ci vogliono costringere.
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lavoro
Dalla flessibilità sul lavoro alla precarietà del lavoro
Voucher: la frammentazione e precarizzazione della forza-lavoro indeboliscono il potere contrattuale e politico dei lavoratori Luciano Orio La richiesta di lavoro flessibile da parte delle imprese corrisponde da sempre alla volontà di ridurre il costo del lavoro, adeguandolo quanto più possibile all’andamento della produzione e delle vendite. A partire dagli anni ‘80 del secolo scorso, alcuni principi di gestione aziendale vennero introdotti con successo nella ristrutturazione globale della produzione. Furono drasticamente ridotte le spese di gestione di stock di merci, di magazzini, di depositi e di addetti attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche. Venne chiamato il “just in time” (giusto in tempo): forniture o servizi per la produzione vengono lavorati nel preciso momento in cui potranno essere utilizzati, cioè quando sono richiesti dal cliente. Niente sarà prodotto fintantoché non sarà finalizzata la richiesta del cliente. Il processo produttivo va quindi regolato in merito. Il successo economico di questi principi lascia intendere che essi vadano applicati anche nell’utilizzo della forza lavoro, che va domandata e retribuita soltanto nei momenti in cui produce valore e cioè soltanto nel momento in cui è acquisita la domanda di un certo bene e predisposto il processo produttivo. Il problema sorge allora nel regolare il flusso della forza lavoro in modo da retribuirla solo quando viene effettivamente utilizzata. A tutto questo corrisponde la figura, decisamente emergente, del lavoratore flessibile, colui che viene occupato solo giusto in
tempo, e che solo per quel tempo sarà pagato. Il “verbo” della flessibilità è divenuto una necessità per ogni azienda e comporta l’interesse ad utilizzare il maggior numero possibile di lavoratori discontinui, a tempo determinato, in affitto, con contratti di breve durata, a chiamata o retribuiti in nero o con “moderne” forme di cottimo, quali i voucher. In poche parole a pagare meno il lavoro. Questo si rende evidente quando si confrontino i numeri con i quali negli ultimi anni padroni e governi hanno saccheggiato il normale contratto di lavoro. Tra tutte le “forme di somministrazione” di lavoro precario il voucher costituisce la massima espressione. Cos’è il voucher? È un metodo di pagamento del lavoro attraverso un biglietto di 10 euro lordi, acquistabile in varie sedi, tra cui tabacchini e poste e riscuotibili presso gli sportelli INPS. Se il padrone ha bisogno di lavoro, una, due o più ore, lo può fare acquistando uno, due o più voucher. L’INPS assicura i vantaggi per il datore di lavoro che voglia farne uso in questi termini: “il committente può beneficiare di prestazioni nella completa legalità, con copertura assicurativa INAIL per eventuali incidenti sul lavoro, senza rischiare vertenze sulla natura della prestazione e senza stipulare alcun contratto”. Nato con la falsa idea di far emergere il lavoro nero, il voucher si è rivelato invece uno strumento utilissimo per pagare sempre meno la forza-lavoro. Infatti l’utilizzo dei voucher ha coinvolto centinaia di migliaia di lavoratori,
in un crescendo inarrestabile. Secondo le rilevazioni INPS nel 2012 i voucher venduti sono stati circa 29 milioni, saliti a 43 milioni nel 2013 e a 115 milioni nel solo 2015 (circa il 10% del lavoro dipendente). I dati disponibili per il 2016 annunciano un ulteriore incremento. Un successo evidente dovuto alla garanzia di totale flessibilità che i voucher offrono e ai costi nettamente inferiori rispetto a qualsiasi altra forma contrattuale. Quanto all’emersione del lavoro nero è abbastanza facile intuire che essa non è stata minimamente toccata. Sarà sufficiente infatti per il datore di lavoro conservare nel cassetto un buono, della validità di un’ora, da esibire in caso di controllo e continuare a far svolgere prestazioni anche per l’intera giornata. Unico limite è il tetto massimo di 7000 euro annuali (erano 5000 prima del Jobs act) per lavoratore, e 2000 euro l’anno per il committente. Il sistema ovviamente “garantisce” anche altri vantaggi per i lavoratori, come la copertura contributiva e assicurativa. In pratica dei 10 euro di cui è composto il voucher, 7,5 vanno al lavoratore, mentre 2,5 vanno suddivisi tra INAIL e INPS, più un 5% al concessionario (Poste, tabacchini, banche) per il servizio (a carico del lavoratore). È evidente però che con contribuzioni così basse sarà ben difficile accumulare una pensione decente. Per cui i vantaggi per i lavoratori sono nei fatti inesistenti: niente ferie, permessi, malattia, maternità, tredicesima, quattordicesima e indennità di disoccupazione, con minor sicurezza e tutela
sul lavoro. Il largo uso che i padroni ne stanno facendo dimostra che, al di là delle chiacchiere su flessibilità o emersione del “nero”, quello che conta è che viene permesso un più alto livello di rapina sul salario e l’ulteriore intensificazione dello sfruttamento. In pratica viene lasciato tutto lo spazio possibile per un uso indiscriminato dei voucher. Con questo strumento, l’accordo tra committente e lavoratore è soltanto verbale. Una volta che il committente ha attivato telematicamente una prestazione, non é tenuto a specificare il numero dei voucher dovuti, che viene deciso solo successivamente. È evidente che nel rapporto di forza tra padrone e singolo lavoratore il vantaggio sta tutto dalla parte del primo: non vi è infatti alcun contratto che determini un numero di ore prestabilito e gli abusi non sono nemmeno impugnabili in una causa di lavoro. Succede così che una parte della retribuzione viene fatta in nero, o, nel migliore dei casi, con voucher fino al tetto massimo consentito, combinando il tutto con una parte di salario in nero. Con buona pace del carattere occasionale, eccezionale della prestazione lavorativa: con questo strumento si può lavorare quotidianamente senza orari e senza garanzie, lo conferma il fatto che con questa modalità si
va affermando sempre più il pagamento delle ore di straordinario. In poche parole i lavoratori “voucher” non timbrano cartellino né registrano in alcun modo le ore lavorate. Gli accordi verbali consegnano il lavoratore alla discrezione del padrone-committente: puoi essere pagato subito o tra uno o due mesi. Non esiste alcuna garanzia. L’episodio alla Carrefour di Massa è significativo: lavoratori con contratti a termine in scadenza sono stati dirottati ai voucher, che vuol dire niente ferie, malattia o disoccupazione, né maggiorazioni per il lavoro notturno o festivo. È l’inevitabile prezzo da pagare per pochi lavoratori sfigati? Niente affatto. La caratteristica di eccezionalità/occasionalità del rapporto di lavoro precario è originata dalla richiesta di flessibilità e serve ai padroni come un trampolino di lancio per nuovi traguardi. Attraverso la ricerca della flessibilità, il rapporto di lavoro tende a ridursi all’osso: puro salario, denaro contro tempo, senza che sia possibile contrattare (il limite
minimo fisico dei salari). (1) Un rapporto di lavoro individualizzato, in cui il carattere di massa del lavoro operaio viene totalmente negato. Il voucher è già la porta d’ingresso al mondo del lavoro per tantissimi giovani, mentre si fa sempre più ampia la possibilità di utilizzo anche per centinaia di migliaia di lavoratori dipendenti. (1) “Il massimo del profitto è dunque limitato solamente dal minimo fisico dei salari e dal massimo fisico della giornata di lavoro. È chiaro che fra questi due limiti del saggio massimo del profitto è possibile una serie immensa di variazioni. La determinazione del suo livello reale viene decisa soltanto dalla lotta incessante tra capitale e lavoro; il capitalista cerca costantemente di ridurre i salari al loro limite fisico minimo e di estendere la giornata di lavoro al suo limite fisico massimo, mentre l’operaio esercita costantemente una pressione in senso opposto. La cosa si riduce alla questione dei rapporti di forza delle parti in lotta”. (K. Marx)
COME CAMBIA IL LAVORO?
Amianto morti di “progresso” Segnaliamo l’uscita del libro Amianto morti di “progresso” che racconta le lotte del Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio e di altre associazioni in lotta contro l’amianto, i cancerogeni e le stragi causate dal profitto attraverso le testimonianze degli operai, i documenti processuali e lettere inedite fra Comitato e Inail. Il libro si compone dei seguenti capitali: Cap. 1 – Non solo nelle piazze: i processi penali Sconfitte e vittorie: i casi Eternit, Marlane, Enel, Franco Tosi, ThyssenKrupp, Fibronit, Cantieri navali, Montedison Cap. 2 – Morti per amianto alla Pirelli: la condanna dei manager Cap. 3 – Breda: omertà, lotta, solidarietà operaia, repressione Cap. 4 – La lotta contro l’amianto in Italia e nel mondo
Cap. 5 – Solidarietà operaia internazionale e nazionale Cap. 6 – La lotta contro il governo, l’INAIL e l’INPS Cap. 7 – Lavoro e/o salute? Cap. 8 – Conflitto sociale, solidarietà operaia e popolare, organizzazione. La lotta delle vittime organizzate in Comitati e Associazioni: le stragi dell’Aquila, di Viareggio e della Tricom di Tezze sul Brenta Il libro di 275 pagine e in vendita nelle librerie a 19,50 euro (costo stabilito dalla casa editrice) per gli associati e gli amici del Comitato, per copie limitate, già disponibili il prezzo è 15 euro richiedendolo per telefono ai n. 02 26224099 o 3357850799. CENTRO DI INIZIATIVA PROLETARIA “G. TAGARELLI” in via Magenta, 88 Sesto San Giovanni (Mi)
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Come districarsi nel labirinto della precarietà? SABATO 14 GENNAIO 2017 – ORE 16.00 PALAZZO TOALDI CAPRA – SCHIO Incontro con compagne e compagni di Lavoro Insubordinato, un collettivo di precari e precarie di Bologna, autori del libro “Il regime del salario”, il cui obiettivo, davanti alle sfide della frammentazione del lavoro, è dare voce al conflitto al suo interno, portando avanti processi di comunicazione, analisi, denuncia e organizzazione tra coloro che della precarietà fanno esperienza ogni giorno. Il deteriorarsi delle condizioni di lavoro va estendendosi a fasce sempre più ampie di occupati, con una sempre più accentuata riduzione dei salari e delle prestazioni sociali. Nello stesso tempo i senza lavoro fisso, gli occupabili intermittenti, devono essere sempre pronti a cogliere l’occasione di un lavoro qualsiasi, altrimenti perdono quel minimo di benefici riconosciuti. Ecco quindi i voucher stabilire ogni mese un nuovo record di utilizzo in valori assoluti, al di fuori di qualsiasi norma contrattuale, che viene esplicitamente esclusa quando vengono utilizzati, per sostituire altre forme di flessibilità e precarizzazione come il lavoro somministrato e quello a chiamata. Ed ecco il jobs act che, escluden-
do di fatto la possibilità di reintegrazione, rende il lavoro a tutele crescenti una perfida beffa per milioni di nuovi lavoratori occupati, mentre i padroni risparmiano miliardi di contributi, imbrogliando anche per avvantaggiarsi con sgravi che neppure la generosa legge di stabilità dello scorso anno gli riconosce. Con la frammentazione e la precarizzazione della forza-lavoro viene indebolito il potere contrattuale e politico di tutti i lavoratori. È tempo di fermare questa deriva tentando anzitutto di allargare il confronto tra chi la sta subendo, mettendo in comune le esperienze e le conoscenze che vanno maturando sia in ambito nazionale che negli altri paesi europei. L’Europa è accomunata da dinamiche di flussi migratori tanto di provenienza interna all’UE (vedi ad esempio il Veneto, seconda regione italiana per numero di espatri), che esterna (vedi i migranti extracomunitari artificiosamente divisi tra profughi, richiedenti asilo e migranti economici). Comitato di Solidarietà con le Lotte dei Lavoratori
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lavoro/leggi
Ape, fatta la legge trovato l’inganno L’Ape è diventata legge, anticipa la pensione solo per pochi con decurtazione dell’assegno e agli statali posticipa il TFR di cinque anni
Michele Michelino Con il Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019 composto da 111 pagine con continui rimandi che lo rendono incomprensibile il governo Renzi prima di fare le valigie da Palazzo Chigi sommerso da una valanga di NO sul referendum ha dato l’ultima mazzata ai lavoratori e ai malati di Taranto, facendo sparire dalla legge di Bilancio i 50 milioni per i malati dell’Ilva, Soldi già inseriti nel bilancio regionale, ricordiamo (1 bambino su 4, nelle zone vicine alla fabbrica, ha problemi respiratori) dovuta all’inquinamento ambientale provocato dall’Ilva. Spariti i soldi per l’emergenza sanitaria che servivano ad acquistare macchinari per le diagnosi, per le riconversioni ospedaliere in deroga al decreto ministeriale 70, all’assunzione di medici ed infermieri, ma non quelli per gli amici degli amici. Ora il nuovo governo si è impegnato nel decreto Milleproroghe di fine anno a trovare quei soldi. Intanto nell’attesa a Taranto gli operai e i cittadini continuano ad ammalarsi e morire come prima nell’indifferenza dei padroni e le lacrime di coccodrillo dei politi che le multinazionali e le varie lobbies hanno mandato in Parlamento, concedendo sgravi fiscali ai padroni e regali alle banche. La legge di bilancio 2017, dopo l’approvazione della Camera è stata approvata di corsa anche al Senato, senza modifiche esattamente come quella votata dalla Camera dei deputati. Un record, reso possibile dalla crisi di governo dimostrando che quando una legge interessa ai capitalisti, ai padroni del vapore anche con il bicameralismo perfetto, confermato dal referendum, il Parlamento riesce a fare leggi in tempi brevissimi. A noi interessa soffermarci sull’APE, una legge sostenuta anche da Confindustria, banche e assicurazioni e parte del sindacato confederale. Grande enfasi viene data dal PD e dal governo sulle misure previste dall’APE, una legge propagandistica di poco o nessun effetto per la stragrande maggioranza dei lavoratori e non intacca la riforma Fornero. Naturalmente la legge per essere applicata ha bisogno dei decreti attuativi e prima di tutto di accordi con l’ABI (Associazione Bancaria Italiana, con l’IVASS, l’istituto di vigilanza sulle assicurazioni, e di una riorganizzazione dell’Inps. Inoltre una legge per essere applicata ha bisogno dei decreti previsti dalla legge stessa, circolari interpretative dei ministeri interessati, circolari degli enti previdenziali e altro ancora che la rendono spesso una chimera. Come sempre i proverbi popolari raramente sbagliano. Il detto “fatta la legge fatto l’inganno”, per i proletari naturalmente mai fu azzeccato come in questo caso. L’Ape (di seguito riportiamo il testo di legge relativo all’Ape, art. da 166 a 186) è fatta su base volontaria ed è un prestito da restituire in vent’anni, mentre l’ape sociale dà diritto ad una indennità. Chi chiede l’Ape
ed è iscritto alla previdenza complementare può chiedere anche un anticipo della rendita integrativa e quindi dopo l’Ape usufruire della Rita (Rendita Integrativa Temporanea Anticipata). Cioè una rendita di misura previdenziale che permette nell’intenzione del governo di sfruttare l’Ape (Anticipo pensionistico) riducendo gli effetti negativi delle penalizzazioni previste per l’uscita anticipata dal lavoro, e in clima natalizio in cui tutti si impegnano ad essere più buoni, la legge in questo caso concede “parità di diritti” fra pubblico e privato. Così gli statali, se chiedono la Rita avranno diritto ai benefici fiscali dei lavoratori privati, ma per avere i loro soldi del TFR dovranno aspettare 5 anni e 7 mesi, perché i tempi decorrono da quando si compie l’età prevista dalla legge Fornero. Ad esempio se un lavoratore va in pensione con 3 e 7 mesi di anticipo, prima deve far trascorrere questo lasso di tempo, poi scattano i 2 anni previsti per le cessazioni volontarie. Inoltre, non bisogna dimenticare che se il proprio TFR è superiore a 50.000 euro dopo 5 anni si avrà diritto alla prima rata e il resto se va bene un anno dopo. Tuttavia per aiutare il lettore attento pubblichiamo il testo di Legge lasciando giudicare a lui quali interessi serve questa “riforma”.
l’uso dell’identità digitale SPID (Sistema Pubblico per la gestione dell’identità digitale) di secondo livello, e con i modelli da approvare con il decreto del Presidente del Consiglio la domanda di APE e domanda di pensione di vecchiaia da liquidare al raggiungimento dei requisiti di legge. La domanda di APE e di pensione non sono revocabili, salvo in caso di esercizio del diritto di recesso, il termine per recedere è di quattordici giorni. La facoltà di estinzione anticipata dell’APE è regolata dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 175 del presente articolo. Nella domanda il sogget-
richiesta, ovvero di recesso da parte del soggetto richiedente, la domanda di pensione è priva di effetti. L’erogazione del prestito ha inizio entro trenta giorni lavorativi dalla data del predetto perfezionamento. L’INPS trattiene a partire dalla prima pensione mensile l’importo della rata per il rimborso del finanziamento e lo riversa al finanziatore tempestivamente e comunque non oltre centottanta giorni dalla data di scadenza della medesima rata. 172. I datori di lavoro del settore privato del richiedente, gli enti bilaterali o i fondi di solidarietà, possono, previo accordo individuale
modalità di funzionamento del Fondo di garanzia sono disciplinati con decreto del Presidente del Consiglio, da emanare entro sessanta giorni dalla data d’entrata in vigore della presente legge. 176. La gestione del Fondo di garanzia di cui al comma 173 è affidata all’INPS sulla base di un’apposita convenzione da stipulare tra lo stesso Istituto e il Ministro dell’economia e il Ministro del lavoro. 177. Le somme erogate in quote mensili di cui al comma 166 del presente articolo non concorrono a formare il reddito ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. A fronte degli interessi sul
sta per l’accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia: a) si trovano in stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione, hanno concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante da almeno tre mesi e sono in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 30 anni; b) assistono, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 104/92,
to richiedente indica il finanziatore cui richiedere l’APE, nonché l’impresa assicurativa alla quale richiedere la copertura del rischio di premorienza. Le informazioni precontrattuali e contrattuali sono fornite, in formato elettronico e su supporto durevole, al soggetto richiedente dall’INPS, per conto del finanziatore e dell’impresa assicurativa; il finanziatore e l’impresa assicurativa forniscono all’INPS, in tempo utile, la documentazione necessaria. I finanziatori e le imprese assicurative sono scelti tra quelli che aderiscono agli accordi-quadro da stipulare. L’attività svolta dall’INPS ai sensi dei commi da 166 a 186 del presente articolo non costituisce esercizio di agenzia in attività finanziaria, né di mediazione creditizia, né di intermediazione assicurativa. 170. La durata minima dell’APE è di sei mesi. L’entità minima e l’entità massima di APE richiedibile sono stabilite dal decreto del Presidente del Consiglio di cui al comma 175 del presente articolo. Il prestito costituisce credito ai consumatori. 171. L’istituto finanziatore trasmette all’INPS e al soggetto richiedente il contratto di prestito, ovvero l’eventuale comunicazione di reiezione dello stesso. L’identificazione del richiedente è effettuata dall’INPS con lo SPID per il perfezionamento del contratto di finanziamento e della polizza assicurativa del rischio di premorienza. In caso di reiezione della
con il lavoratore, incrementare il montante contributivo individuale maturato da quest’ultimo, versando all’INPS in un’unica soluzione, alla scadenza prevista per il pagamento dei contributi del mese di erogazione della prima mensilità dell’APE, un contributo non inferiore, per ciascun anno o frazione di anno di anticipo rispetto alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia, all’importo determinato ai sensi dell’articolo 7 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184. Al contributo di cui al periodo precedente si applicano le disposizioni sanzionatorie previste nel caso di mancato o ritardato pagamento dei contributi previdenziali obbligatori. 173. È istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze un Fondo di garanzia per l’accesso all’APE, con una dotazione iniziale pari a 70 milioni di euro per l’anno 2017. La garanzia del Fondo copre l’80 per cento del finanziamento di cui al comma 166 del presente articolo e dei relativi interessi. 174. All’APE si applica il tasso di interesse e la misura del premio assicurativo relativa all’assicurazione di copertura del rischio di premorienza indicati negli accordi-quadro di cui al comma 169. 175. Le modalità di attuazione delle disposizioni di cui ai commi da 165 a 174 e gli ulteriori criteri, condizioni e adempimenti per l’accesso al finanziamento, nonché i criteri, le condizioni e le
finanziamento e dei premi assicurativi per la copertura del rischio di premorienza corrisposti al soggetto erogatore è riconosciuto, un credito d’imposta annuo nella misura massima del 50 per cento dell’importo pari a un ventesimo degli interessi e dei premi assicurativi pattuiti. Tale credito d’imposta non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi ed è riconosciuto dall’INPS per l’intero importo riportato a mese a partire dal primo pagamento del trattamento di pensione. L’INPS recupera il credito rivalendosi sulle ritenute da versare mensilmente all’erario nella sua qualità di sostituto d’imposta. 178. Gli effetti della trattenuta di cui al sesto periodo del comma 171 non rilevano ai fini del riconoscimento di prestazioni assistenziali e previdenziali. 179. In via sperimentale, dal 1° maggio 2017 e fino al 31 dicembre 2018, agli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria, alle forme sostitutive ed esclusive della medesima e alla Gestione separata, che si trovano in una delle seguenti condizioni di cui alle lettere da a) a d) del presente comma, al compimento del requisito anagrafico dei 63 anni, è riconosciuta, alle condizioni di cui ai commi 185 e 186 del presente articolo, un’indennità per una durata non superiore al periodo intercorrente tra la data di accesso a beneficio e il conseguimento dell’età anagrafica previ-
e sono in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 30 anni; c) hanno una riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile, superiore o uguale al 74 per cento e sono in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 30 anni; d) sono lavoratori dipendenti, al momento della decorrenza dell’indennità di cui al comma 181, all’interno delle professioni indicate nell’allegato C annesso alla presente legge che svolgono da almeno sei anni in via continuativa attività lavorative per le quali è richiesto un impegno tale da rendere particolarmente difficoltoso e rischioso il loro svolgimento in modo continuativo e sono in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 36 anni. (A. Operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici B. Conduttori di gru o di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni C. Conciatori di pelli e di pellicce D. Conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante E. Conduttori di mezzi pesanti e camion F. Personale delle professioni sanitarie infermieristiche ed ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni G. Addetti all’assistenza personale di persone in condizioni di non autosufficienza H. Insegnanti della scuola dell’infanzia e educatori degli asili nido I. Facchini, addetti allo spostamento merci e assimilati L. Personale non qualificato addetto ai servizi di pu-
APE, il testo della legge 166. (Anticipo finanziario a garanzia pensionistica – APE sociale). A decorrere dal 1° maggio 2017, in via sperimentale fino al 31 dicembre 2018, è istituito l’anticipo finanziario a garanzia pensionistica (APE). L’APE è un prestito corrisposto a quote mensili per dodici mensilità a un soggetto in possesso dei requisiti di cui al comma 167 fino alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia di cui all’articolo 24, commi 6 e 7, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201. La restituzione del prestito avviene a partire dalla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia, con rate di ammortamento mensili per una durata di venti anni. Il prestito è coperto da una polizza assicurativa obbligatoria per il rischio di premorienza. 167. L’APE può essere richiesto dagli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria e alla Gestione separata che, al momento della richiesta, hanno un’età anagrafica minima di 63 anni e che maturano il diritto a una pensione di vecchiaia entro 3 anni e 7 mesi, purché in possesso del requisito contributivo minimo di venti anni e la loro pensione, al netto della rata di ammortamento corrispondente all’APE richiesta, sia pari o superiore, al momento dell’accesso alla prestazione, a 1,4 volte il trattamento minimo (circa 700 euro). Non possono ottenere l’APE coloro che sono già titolari di un trattamento pensionistico diretto. 168. Il soggetto richiedente, direttamente o tramite un intermediario come i patronati, presenta all’Inps, tramite il suo portale, domanda di certificazione del diritto all’APE. L’INPS, verificato il possesso dei requisiti, certifica il diritto e comunica l’importo minimo e l’importo massimo dell’APE ottenibile. 169. Il soggetto in possesso della certificazione, presenta, attraverso
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referendum
Dopo il composito No torna il paese reale Riflessione sul risultato del referendum del 4 dicembre
Pacifico Il voto del 4 dicembre ha dato un esito per niente scontato, non essendo previsto un quorum. I votanti erano 50.773.284 (compresi gli italiani all’estero) e sono andati a votare 33.244.258 pari al 65,47%; hanno votato NO 19.420.730 pari al 59,12%, hanno votato SI 13.431.382 pari al 40,88% e si sono astenuti 17.522.550 pari al 34,51%. È stato rimandato al mittente un altro tentativo di controriforma costituzionale di stampo autoritario. I burattinai di questo referendum sono stati Confindustria, finazieri, Unione Europea e Usa per soggiogare la prima legge di questo Stato (appunto la Carta costituzionale) al servizio dei potenti e dei poteri forti. Un referendum utile a ristabilire le regole per i mutati rapporti fra le classi. Una campagna referendaria che ha permesso persino ai partiti della destra “moderata” ed eversiva (Lega nord compresa) di presentarsi come democratica, addirittura come difensori proprio di quella Costituzione che ne dovrebbe vietare l’esistenza e di fare la sua propaganda demagogica e populista occultando i veri motivi ancora più reazionari del loro dissenso sul sistema eleetorale maggioritario e sul presidenzialismo. Dopo anni, si è rivista una forte mobilitazione popolare (sia pur assai etereogenea) tramite vari comitati cittadini che, con impegno e costanza, si sono battuti in maniera capillare, informando e spiegando i rischi di una riforma che ci avrebbe portato ancora più indietro. Non era facile né scontato. Di fronte era schierato
il primo partito in Italia in termini di voti (il PD) con milioni di euro spesi nella campagna elettorale e una presenza ossessiva di Renzi e della sua cerchia in tutte le radio e TV, e come se non bastasse, appoggiato da una schiera di cosiddetti “uomini di cultura” come Benigni, Sorrentino, Ozpetek, Favino, Gabriele Salvatores, Paolo Virzì e via così che, approfittando della loro fama di finti progressisti, si sono dimostrati proni al potere per potersi mantenere le loro case di lusso e la loro vita privilegiata alla faccia di quel popolo che vorrebbero rappresentare. Si sono prodigati ad appoggiare Renzi e il Sì al referendum da Marchionne a Briatore, dai vertici del potere finanziario, delle banche e della Confindustria, fino ai massimi vertici della Unione Europea, dalla Merkel a Juncker fino a Obama, cercando di minacciare e terrorizzare come se un risultato diverso fosse la fine del mondo. Nel fronte del No vi erano schierati giovani vittime del jobs act, meno giovani vittime della legge Fornero, disoccupati senza prospettiva, i comitati popolari contro le devastazioni ambientali che volevano scongiurare la riforma costituzionale che prevedeva, a favore delle grandi opere, la clausola di supremazia, concedendo ai governi centrali ancor più potere per devastare la natura con inutili e spesso dannose opere, volte solo ad ingrassare i grossi monopoli privati. Dall’ANPI e dall’ARCI e dalla stessa CGIL fino ai “sinceri democratici” costituiti da ex presidenti o vice presidenti della Corte costituzionale o eminenti costituzionalisti. Un fronte assai ampio, legato ad una Costituzione nata
dalla Resistenza come compromesso costituito anche da chi ha taciuto o addirittura condiviso le innumerevoli violazioni avvenute nella sua applicazione o non applicazione. Un fronte che si è legato al rifiuto popolare nei confronti delle istituzioni e dei loro referenti economici ed internazionali. Un sentimento che serpeggia negli strati popolari cui i partiti borghesi e riformisti non sanno e non possono dare una risposta o una proposta adeguate. È un sentimento spesso contradditorio che ha nel suo seno
ragioni contemporaneamente regressive e progressive ma che indica, chiaro come il sole, la netta volontà di rottura con l’attuale sistema economico-capitalista. L’epilogo del 4 dicembre non può che essere una boccata d’ossigeno, la soddisfazione di aver dato uno schiaffone a Renzi e al suo seguito dopo anni di ripiegamento e sconfitte. Sarebbe pericolosamente illusorio e deviante pensare, come fanno alcune forze che si definiscono rivoluzionarie, aver superato una tappa nella lotta per governi di
blocco popolare o addirittura della rivoluzione socialista, o per altri più moderati tentare di convogliare quel sentimento verso soluzioni elettorali e parlamentari, ridando fiato a progetti riformisti-progressisti per una grande sinistra di governo come ha già avanzato l’ex sindaco Pisapia. Sono bastati pochi giorni dal risultato referendario che subito il paese è tornato senza veli e veline con milioni di poveri in aumento, con aziende che licenziano e delocalizzano con lo spettacolo delle forze politiche
che, in nome della responsabilità, pensano ai loro interessi, a nuove e diverse alleanze tra nuove menzogne e promesse mai mantenute. Rappresentanti dei vari settori e strati della borghesia divisi in decine di formazioni politiche tra le quali alcune completamente sconosciute venute alla ribalta solo in occasione delle consultazioni con il Capo dello Stato in seguito alle dimissioni di Renzi, pronti a saltare sul carro del prossimo vincitore per difendere i propri privilegi. Altro che responsabiltà verso il paese! Sono tutti pronti ad affermare questo sistema capitalista, la UE e la NATO. L’incarico a Gentiloni con la sua fedelta europeista, infatti, garantisce la continuità e la new entry Finocchiaro è un’assicurazione sulla legge elettorale. I capitalisti hanno bisogno di queste riforme e non vi 1rinunceranno certo per aver perso un round, devono solo decidere chi dovrà condurre la battaglia contro il movimento proletario e popolare nei prossimi mesi e anni e con quali forme parlamentari e governi condurla. Come comunisti, sappiamo bene che la storia, come le Costituzioni e le leggi sono determinati dai rapporti di forza tra le classi e che, con Renzi o altro presidente del Consiglio, per i proletari e le masse popolari non migliora la propria situazione se non si sviluppa e si determina coscienza di classe, autorganizzazione e mobilitazione di massa all’altezza di contrastare, fino ad abbatterlo, il sistema capitalista basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sul profitto e sulla proprietà privata.
lizia M. Operatori ecologici e altri raccoglitori e separatori di rifiuti) 180. La concessione dell’indennità di cui al comma 179 è subordinata alla cessazione dell’attività lavorativa e non spetta a coloro che sono già titolari di un trattamento pensionistico diretto. 181. L’indennità di cui al comma 179 è erogata mensilmente su dodici mensilità nell’anno ed è pari all’importo della rata mensile della pensione calcolata al momento dell’accesso alla prestazione. L’importo dell’indennità non può in ogni caso superare l’importo massimo mensile di 1.500 euro e non è soggetto a rivalutazione. 182. L’indennità di cui al comma 179 del presente articolo non è compatibile con i trattamenti di sostegno al reddito connessi allo stato di disoccupazione involontaria, nonché con l’indennizzo previsto dall’articolo 1 del decreto legislativo 28 marzo 1996, n. 207. 183. Il beneficiario decade dal diritto all’indennità nel caso di raggiungimento dei requisiti per il pensionamento anticipato. L’indennità è compatibile con la percezione dei redditi da lavoro dipendente o parasubordinato nel limite di 8.000 euro annui e dei redditi derivanti da attività di lavoro autonomo nel limite di 4.800 euro annui. 184. Per i dipendenti pubblici nonché per il personale degli enti
pubblici di ricerca, che cessano l’attività lavorativa e richiedono l’indennità di cui al comma 179 del presente articolo i termini di pagamento delle indennità di fine servizio comunque denominate, iniziano a decorrere al compimento dell’età di cui all’articolo 24, comma 6, del decretolegge 6 dicembre 2011, n. 201, e sulla base della disciplina vigente in materia di corresponsione del trattamento di fine servizio comunque denominato. 185. Le modalità di attuazione delle disposizioni di cui ai commi da 179 a 184, nel rispetto dei limiti di spesa annuali di cui al comma 186, sono disciplinate con decreto del Presidente del Consiglio, avuto particolare riguardo a: a) la determinazione delle caratteristiche specifiche delle attività lavorative di cui al comma 179, lettera d); b) le procedure per l’accertamento delle condizioni per l’accesso al beneficio di cui ai commi da 179 a 186 e la relativa documentazione da presentare a tali fini; c) le disposizioni attuative di quanto previsto dai commi da 179 a 186, con particolare riferimento: 1) all’attività di monitoraggio e alla procedura di cui al comma 186, 2) alla disciplina del procedimento di accertamento anche in relazione alla documentazione da presentare per accedere al beneficio;
3) alle comunicazioni che l’ente previdenziale erogatore dell’indennità di cui al comma 179 fornisce all’interessato in esito alla presentazione della domanda di accesso al beneficio; 4) alla predisposizione dei criteri da seguire nell’espletamento dell’attività di verifica ispettiva da parte del personale ispettivo del Ministero del lavoro nonché degli enti che gestiscono formediassicurazioneobbligatoria; 5) alle modalità di utilizzo da parte dell’ente previdenziale delle informazioni relative alla dimensione, all’assetto organizzativo dell’azienda e alle tipologie di lavorazioni aziendali, anche come risultanti dall’analisi dei dati amministrativi in possesso degli enti previdenziali, ivi compresi quelli assicuratori nei confronti degli infortuni sul lavoro; 6) all’individuazione dei criteri di priorità di cui al comma 186; 7) alle forme e modalità di collaborazione tra enti che gestiscono forme di assicurazione obbligatoria, con particolare riferimento allo scambio di dati ed elementi conoscitivi in ordine alle tipologie di lavoratori interessati. 186. Il beneficio dell’indennità disciplinata ai sensi dei commi da 179 a 185 è riconosciuto a domanda nel limite di 300 milioni di euro per l’anno 2017, di 609 milioni di euro per l’anno 2018, di 647 milio-
ni di euro per l’anno 2019, di 462 milioni di euro per l’anno 2020, di 280 milioni di euro per l’anno 2021, di 83 milioni di euro per l’anno 2022 e di 8 milioni di euro per l’anno 2023. Qualora dal monitoraggio delle domande presentate e accolte
emerga il verificarsi di scostamenti, anche in via prospettica, del numero di domande rispetto alle risorse finanziarie, la decorrenza dell’indennità è differita, con criteri di priorità in ragione della maturazione dei requisiti di cui al comma 180, individuati con il de-
creto del Presidente del Consiglio, e, a parità degli stessi, in ragione della data di presentazione della domanda, al fine di garantire un numero di accessi all’indennità non superiore al numero programmato in relazione alle risorse finanziarie.
nuova unità 7/2016
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Cuba
Fidel
Gli uomini muoiono fisicamente ma le loro idee - quando sono la sintesi dei desideri, delle aspirazioni, della storia di lotta dei loro popoli - non muoiono mai Daniela Trollio (*) Il Comandante se n’è andato, le sue ceneri riposano nel cimitero di Santa Ifigenia a Santiago de Cuba, culla della Rivoluzione cubana, vicino a quelle dei suoi compagni di lotta del Moncada e della Sierra Maestra, della clandestinità, delle missioni internazionaliste… e milioni di cubani (ma non solo) lo hanno accompagnato - questa volta televisioni e giornali non hanno potuto nasconderli - con dolore e dignità. È un compito impossibile quello di riassumere il significato della sua vita, inestricabilmente e per sempre legata alla rivoluzione che ha portato un piccolo paese, un’isola sperduta nel Mar dei Caraibi con 6 milioni di abitanti nel 1959, ad essere una nazione che ha influito sulla storia mondiale degli ultimi 60 anni. Questo compito lo lasciamo a Raùl Castro Ruz, che ha condiviso la sua lotta dal primo giorno e che parla non per sentito dire ma con il diritto di un altro protagonista: leggerete il suo discorso di commiato in altra parte di questa pagina Ci limiteremo quindi a ricordare poche cose che crediamo siano importanti. Un piccolo paese, dicevamo, con 6 milioni di abitanti: il bordello, il casinò e la zuccheriera della grande potenza che sta a meno di 100 miglia dalle sue coste. Alcune cifre di allora: mortalità infantile superiore a 60 su mille nati; speranza di vita di 60 anni per gli uomini e di 65 per le donne; 1 medico per 1.000 abitanti, il 44 per cento della popolazione mai entrata in una scuola. Pochissime industrie e lo sterminato latifondo della canna da zucchero, dove l’8 per cento dei proprietari possedeva il 70% delle terre. Fidel, nella sua arringa di difesa passata alla storia con il titolo di “La storia mi assolverà”, così descriveva le cifre di cui sopra, la sua analisi di classe che porterà al suo concetto di “popolo” (cubano, ovviamente): “600.000 cubani senza lavoro,
FOTO DI NECTOR PLANES 500.000 salariati agricoli che abitano in capanne miserabili; 400.000 operai industriali e braccianti cui vengono rubati i salari; 100.000 piccoli agricoltori che vivono e muoiono lavorando una terra che non è loro; 20.000 piccoli commercianti carichi di debiti; 10.000 tecnici giovani: medici, ingegneri, avvocati, veterinari, insegnanti, dentisti farmacisti, giornalisti, pittori, scultori ecc., che escono dalle aule con le loro lauree desiderosi di mettersi in gioco e pieni di speranza per trovarsi invece in una strada senza uscita”. A questo “popolo” Fidel promise un mondo diverso, una rivoluzione che cambiasse per sempre la loro vita e quella dei loro figli e nipoti, e insieme a loro, con loro e per loro, l’ha fatta e l’ha difesa per tutta la vita. Una rivoluzione che Ernesto Che Guevara, nel luglio 1967 in Bolivia, definiva nel suo Diario “ribellione contro le oligarchie e contro i dogmi rivoluzionari”. Sì, avete letto bene, “dogmi rivoluzionari”, perché per
una parte della sinistra il Moncada (e quello che noi ci ostiniamo a definire rivoluzione cubana) non era “politicamente corretto”. Perché le condizioni e le strategie dei bolscevichi russi non esistevano nella Cuba del 1959. E allora che fare? Come aveva scritto ben prima il grande pensatore marxista Carlos Mariàtegui – che aveva visitato l’Unione Sovietica di Lenin e conosciuto la Torino del biennio rosso di Gramsci – la rivoluzione in America Latina non doveva essere “né calco né copia, ma creazione eroica, o non sarà”. Così fu e da allora Cuba è stata il necessario riferimento di tutti i popoli e i rivoluzionari che non si trovavano in quelle condizioni. “Sì, si può fare” dice Raùl Castro nel suo discorso di commiato a Fidel, riprendendo ironicamente e rovesciando il lema – completamente fallito - di Obama, ed è l’insegnamento più grande di Fidel e della rivoluzione cubana agli sfruttati ed agli oppressi – di ieri, di oggi e di domani - del mondo intero
Dopo poco più di 60 anni, le cifre sono cambiate: più di 11 milioni di abitanti; mortalità infantile di circa il 4,2 per cento - inferiore a quella di Canada, Stati Uniti e di alcuni stati europei; speranza di vita elevata a 75 anni; 7,7 medici per abitante (uno ogni 130 cubani, la più alta percentuale del pianeta, compresi i 25.000 medici impegnati in missioni internazionaliste in tutto il globo); analfabetismo completamente sconfitto e un tasso di scolarizzazione altissimo, dove le donne costituiscono il 65% della forza produttiva del paese. Più del 70% delle terre coltivabili sono di proprietà dello Stato, così come il tessuto industriale di Cuba, circa 3.000 imprese. E tutto questo conseguito nonostante i 50 anni e più del blocco economico statunitense, il più feroce mai visto nella storia. Ma, dirà qualcuno, questa è semplice socialdemocrazia, non socialismo. Già, ma se traduciamo in altre pa-
role questi numeri e queste percentuali, otteniamo: la dignità, che significa vedere riconosciuto il proprio “essere umano” e la possibilità di svilupparlo completamente, di lavorare per i bisogni propri e degli altri senza che nessuno si appropri del frutto di questo lavoro; la proprietà dei mezzi di produzione ai produttori (e chi ha visto nei “Lineamenti” un cedimento al capitalismo se li vada a rileggere, o a leggere… perché ha creduto alla versione del Corriere della Sera); l’organizzazione di uno Stato e di un sistema politico di tutto il popolo, e da esso controllato dalle assemblee dei luoghi di lavoro fino all’Assemblea Nazionale del Potere Popolare e guidato da un Partito Comunista; la superiorità di questo sistema sociale, capace non certo di permetterci di comprare tre cellulari all’anno, ma di garantire una vita e un futuro, nel senso pieno della parola, a tutti. In una parola il potere di spezzare quel meccanismo infernale che è lo
sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che sta portando alla morte l’intero pianeta, e non è mai stato più chiaro di così. E se il socialismo non è questo, qualcuno mi spieghi cos’è. Certo, il socialismo cubano, o meglio le “conquiste del socialismo” come le definiscono i cubani, non è certo perfetto perché è opera di uomini di carne e ossa, con i loro errori e le loro contraddizioni e, soprattutto, che vivono circondati dal loro nemico mortale, il capitalismo. E Fidel fu il primo a dire che “l’errore più grande è stato di pensare che qualcuno sapesse come si costruiva il socialismo”. Così come, nel 2005, davanti al futuro del paese rappresentato dai giovani, gli studenti dell’Università dell’Avana, avvertì: “Questo paese può autodistruggersi. Questa rivoluzione può autodistruggersi, ma loro non potranno mai distruggerci. Potremmo distruggerci noi stessi e questa sarebbe colpa nostra”. Il resto è storia: l’antimperialismo in Africa e in America Latina, le missioni umanitarie (queste vere) in decine di paesi, dal Tibet ad Haiti al Venezuela… ci vorrebbe troppo spazio. Un’ultima, piccola nota: ogni volta che a Cuba accade un fatto (ed è successo innumerevoli volte ma gli uccellacci del malaugurio non imparano mai) in molti si affrettano a predire la sua fine, e così è stato anche per la scomparsa fisica di Fidel. Nel mondo in cui viviamo ci hanno abituato a considerare ogni ‘grande’ uomo una cosa a sé. Ma… ogni volta che è scoppiata una lotta, una ribellione, il volto di un altro “cubano” per adozione – Ernesto Che Guevara – anche lui scomparso fisicamente è tornato sulle barricate, sui muri, sulle bandiere. Gli uomini muoiono fisicamente ma le loro idee - quando sono la sintesi dei desideri, delle aspirazioni, della storia di lotta dei loro popoli e questo è più che mai il caso di Fidel - non muoiono mai..Hasta siempre, Comandante. (CIP “G.Tagarelli via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni)
21 gennaio
Non è nostalgia, è volontà di lotta per il comunismo Il prossimo 21 gennaio 2017 ricorre l’anniversario della fondazione del Partito Comunista d’Italia di Antonio Gramsci, una data che ogni anno vede la presenza militante di tanti comunisti giovani e meno giovani alla manifestazione-corteo che si svolge a Livorno per celebrare il ricordo e ribadire la volontà di lotta per il comunismo. Un anniversario, il prossimo, ancora più significativo per la combinazione con il centenario della vittoriosa Rivoluzione d’Ottobre del 1917. La ragioni che erano alla base della sua nascita sono attuali e indispensabili per la vittoria della classe operaia nella lotta di emancipazione dallo sfruttamento e dall’oppressione, la rottura con il riformismo e la prospettiva della Rivoluzione proletaria per l’instaurazione della dittatura del proletariato Oggi come ieri il movimento operaio ha di fronte a sé due possibilità: quella di aderire alla mobilitazione reazionaria promossa dai capitalisti che lo porterà verso il baratro del fascismo e della guerra – costringendolo a sempre maggiori privazioni e sfruttamento - oppure lottare per i suoi interessi, sempre con grandi sacrifici e privazioni ma questa volta per la propria vita, per l’emancipazione dallo sfruttamento e la vera libertà, per eliminare l’odioso sistema capitalista. Nel nostro paese la vittoria sul nazifascismo, condotta principalmente dai co-
munisti, non è bastata ad impedire che la borghesia si impadronisse di quel partito attraverso una politica revisionista e riformista, riuscendo a modificarne la strategia con la ‘democrazia progressiva’, la ‘via italiana al socialismo’, le ‘riforme di struttura’, il ‘compromesso storico’ fino a sciogliere l’ex-Pci per ridurlo all’attuale PD, sostenitore dell’imperialismo europeo, fedele alleato della Nato e garante del grande capitale e delle banche, responsabile di essere in prima fila nella lotta contro la classe operaia e le masse popolari ha rinchiuso l’esperienza della Resistenza nei musei e abbandonato l’antifascismo. Mentre quelli che a parole ne volevano riprendere le tradizioni, tentando di sfruttare il prestigio dei simboli e del nome tra i lavoratori come il PRC e il PdCI, hanno continuato ad illudere, partecipando ai governi di sinistra che bombardavano la Jugoslavia o votando a favore dei pacchetto Treu che apriva la strada all’attuale Job act di Renzi-Poletti. Sterili alleanze elettorali utili per mantenere le poltrone e la loro sopravvivenza riuscendo a cancellare anche la sola presenza formale del nome comunista dal Parlamento. L’esperienza di questi anni ci ha fatto vedere la frantumazione in piccoli gruppi che ha prevalso sul senso di unità di classe e anche sulla ragionevolezza. Nello stesso tempo sul piano internazionale le sconfitte del movimento operaio sono state cocenti e hanno dato fiato all’imperialismo e al rigurgito di gruppi neonazisti.
Il risultato è che per tanti anni, troppi, il proletariato è stato privato del suo Stato Maggiore, il Partito Comunista, e ne vediamo le tragiche conseguenze nella lotta di classe. Un problema che solo i comunisti e i proletari possono risolvere dando una sterzata al proprio modo di pensare e di agire. Se come diceva Marx “... l’emancipazione della classe deve essere opera della stessa classe operaia…” allora ancora di più devono essere gli operai e i lavoratori comunisti a battersi per la costruzione del loro Partito facendo fare un passo indietro ai vari dirigenti che vogliono continuare a coltivare il proprio orticello e far fare un passo in avanti verso la costruzione di un Partito Comunista, avanguardia della parte più avanzata e combattiva della classe operaia stessa e del proletariato, capace di esercitare quel ruolo egemone su tutti gli altri strati sociali, indispensabile a garantire la rivoluzione e la dittatura del proletariato. Il Partito Comunista, che vogliamo, non ha bisogno di folle di iscritti, ma di un’organizzazione di quadri proletari disseminata nei gangli vitali della società, in particolare là dove si produce il plusvalore, poiché la sua battaglia non è quella parlamentare bensì la lotta rivoluzionaria per il potere politico contro il potere del capitale.
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Cuba
Il saluto di Raul Castro Discorso pronunciato dal Generale dell’esercito Raùl Castro Ruz, Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba e Presidente del Consiglio di Stato e del Consiglio dei Ministri, nell’atto politico di omaggio postumo al Comandante in Capo della Rivoluzione, Fidel Castro Ruz, nella Piazza Generale Antonio Maceo Grajales di Santiago di Cuba, il 3 dicembre 2016, FOTO DI SAMUEL HERNANDEZ
“Anno 58° della Rivoluzione” Stimati Capi di Stato e di Governo, Illustri personalità che ci accompagnate, Compatrioti che vi trovate qui oggi in rappresentanza delle provincie orientali e del Camaguey; Cittadine e cittadini di Santiago; Caro popolo di Cuba Nel pomeriggio di oggi, dopo il suo arrivo in questa eroica città, il corteo funebre con le ceneri di Fidel, che ha nuovamente ripercorso in senso contrario la Carovana della Libertà del gennaio 1959, ha effettuato un tragitto per i luoghi emblematici di Santiago de Cuba, culla della Rvoluzione dove, come nel resto del paese, ha ricevuto la testimonianza dell’amore dei cubani. Domani le sue ceneri saranno deposte, con una semplice cerimonia, nel Cimitero di Santa Ifigenia, molto vicino al mausoleo dell’Eroe Nazionale José Martì, dei suoi compagni di lotta del Moncada, del Granma e dell’Esercito Ribelle, della clandestinità e delle missioni internazionaliste. A pochi passi si trovano le tombe di Carlos Manuel de Céspedes, il Padre della Patria, e della leggendaria Mariana Grajales, madre dei Maceo e, oso dirlo qui, madre anche di tutti i cubani e le cubane. Vicino è anche il pantheon con i resti dell’indimenticabile Frank Paìs Garcìa, giovane santiaghero, assassinato dagli sbirri della tiranni batistiana ad appena 22 anni, un mese dopo che era caduto combattendo in un’azione in questa città suo fratello minore Josuè. L’età di Frank non gli impedì di accumulare un’esemplare traiettorie di lotta contro la dittatura, in cui emerse come capo della rivolta armata di Santiago de Cuba il 30 novembre 1956, in appoggio allo sbarco di coloro che partecipavano alla spedizione del Granma, così come l’organizzatore del decisivo invio di armi e combattenti al nascente esercito Ribelle nella Sierra Maestra. Da quando si è saputa, nella tarda serata del 25 novembre, la notizia del decesso del leader storico della Rivoluzione Cubana, il dolore e la tristezza si sono impadroniti del popolo che, profondamente commosso per la sua irreparabile perdita fisica, ha dimostrato fermezza, convinzione patriottica, disciplina e maturità nel partecipare in massa alle attività di omaggio organizzate e nel far suo il giuramento di fedeltà al concetto di Rivoluzione espresso da Fidel il primo maggio dell’anno 2000. Tra il 28 e il 29 novembre milioni di compatrioti hanno apposto le loro firme a sostegno della Rivoluzione.
Nel dolore di questi giorni, ci siamo sentiti riconfortati e orgogliosi, una volta di più, per l’impressionante reazione dei bambini e dei giovani cubani, che hanno riaffermato la loro disposizione ad essere fedeli continuatori degli ideali del leader della Rivoluzione. A nome del nostro popolo, del Partito, dello Stato, del Governo e dei familiari porgo nuovamente il ringraziamento più profondo per le innumerevoli dimostrazioni di affetto e di rispetto a Fidel, alle sue idee e alla sua opera, che continuano ad arrivare da tutti i confini del pianeta. Fedele all’etica martiana che “tutta la gloria del mondo sta in un chicco di mais”, il leader della Rivoluzione ha sempre rifiutato qualsiasi manifestazione di culto alla personalità ed è stato coerente con questo atteggiamento fino alle ultime ore di vita, insistendo che, una volta scomparso, il suo nome e la sua figura non fossero mai utilizzate per denominare istituzioni, piazze, parchi, strade, vie o altri luoghi pubblici, nè che venissero eretti in sua memoria monumenti, busti, statue e altre forme di tributo simili. Conformemente alla determinazione del compagno Fidel, presenteremo al prossimo periodo di sessioni dell’Assemblea Nazionale del Potere Popolare le proposte legislative necessarie perchè sia rispettata la sua volontà. A ragione il caro amico Bouteflika, presidente d’Algeria, ha detto che Fidel possedeva la straordinaria capacità di viaggiare nel futuro, di tornare e di spiegarlo. Il 26 luglio 1989, nella città di Camaguey, il Comandante in Capo predisse, due anni e mezzo prima, la sparizione dell’Unione Sovietica e del campo socialista, e assicurò al mondo che, se si fossero compiute queste circostanze, Cuba avrebbe continuato a difendere le bandiere del socialismo. L’autorità di Fidel e la sua affettuosa relazione con il popolo furono determinanti per l’eroica resistenza del paese nei drammatici ani del periodo speciale, quando il Prodotto Interno Lordo cadde del 34,8% e l’alimentazione dei cubani peggiorò sensibilmente, quando soffrimmo sospensioni dell’elettricità di 16, e anche 20, ore al giorno e quando si paralizzò buona parte dell’industria e del trasporto pubblico. Ciò nonostante riuscimmo a preservare la sanità e l’educazione per tutta la nostra popolazione. Mi vengono in mente le riunioni del Partito nei territori: orientale, nella città di Holguìn, al centro; nella città di Santa Clara e, a occidente, nella capitale della
repubblica, L’Avana, svoltesi nel lugloi 1994 per analizzare come affrontare con maggiore efficienza e coesione le sfide del periodo speciale, il crescente blocco imperialista e le campagne mediatichedirette a seminare sconforto tra la cittadinanza. Da quelle riunioni, compresa quella occidentale, che Fidel presiedette, uscimmo tutti convinti che con la forza e l’intelligenza delle masse unite sotto la direzione del Partito si poteva – e si potè – trasformare il periodo speciale in una nuova battaglia vittoriosa nella storia della patria. Allora pochi nel mondo scommettevano sulla nostra capacità di resistere e vincere le avversità e il rafforzato accerchiamento nemico; ma il nostro popolo sotto la direzione di Fidel diede una indimenticabile lezione di fermezza e lealtà ai principi della Rivoluzione. Nel ricordare quei difficili momenti, credo sia giusto e pertinente riprendere quello che Fidel espresse il 26 luglio 1994, uno degli anni più difficili, sull’Isola della Gioventù, più di 22 anni fa, e cito: “... il più illustre figlio di Cuba in questo secolo, quello che ci dimostrò che si poteva tentatre la conquista del Cuartel Moncada; che si poteva trasfomare quella sconfitta in vittoria”, che ottenemmo in quel glorioso Primo Gennaio 1959, unito alle parole testuali che pronunciò in quella occasione. Egli ci dimostrò “che si poteva arrivare alle coste di Cuba sul battello Granma; che si poteva resistere al nemico, alla pioggio e al freddo, e organizzare un esercito rivoluzionario nella Sierra Maestra dopo la debacle di Alegrìa del Pio; che si potevano
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aprire nuovi fronti guerriglieri nella provincia di Oriente, con le colonne di Almeida e la nostra; che si poteva sconfiggere con 300 fucili la grande offensiva di più di 10.000 soldati”, tanto che, quando furono sconfitti, il Che scrisse nel suo Diario di Campagna che con quella vittoria si era spezzata la spina dorsale all’esercito della tirannia, “che si poteva ripetere l’epopea di Maceo e Gòmez, estendendo con le colonne del Che e di Camilo la lotta da oriente fino all’occidente dell’isola; che si poteva rovesciare, con l’appoggio di tutto il popolo, la tirannia batistiana appoggiata dall’imperialismo nordamericano”. Colui che ci insegnò che si poteva sconfiggere in 72 ore – e anche meno – l’invasione mercenaria di Playa Giròn e proseguire nello stesso tempo la campagna per sradicare l’analfabetismo in un anno, come si riuscì a fare nel 1961. Che si poteva proclamare il carattere socialista della Rivoluzione a 90 miglia dall’impero, e quando le sue navi da guerra avanzavano verso Cuba, dietro le truppe della brigata mercenaria, che si potevano mantenere con fermezza i principi irrinunciabili della nostra sovranità senza temere il ricatto nucleare degli Stati Uniti nei giorni della Crisi dei missili nell’ottobre del 1962. Che si, si potevano inviare aiuti solidali ad altri popoli fratelli in lotta contro l’oppressione coloniale, l’aggressione esterna ed il razzismo. Che sì, si poteva sconfiggere i razzisti sudafricani, salvando l’integrità territoriale dell’Angola, aiutando l’indipendenza della Namibia e assestando un duro colpo al
regime dell’apartheid. Che sì, si poteva trasformare Cuba in una potenza medica, ridurre la mortalità infantile al tasso più basso del Terzo Mondo prima, e poi dell’altro mondo ricco, perchè in questo continente per lo meno abbiamo meno mortalità infantile dei minori di un anno di età che il Canada e gli stessi Stati Uniti e, nello stesso tempo, elevare considerevolmente la speranza di vita della nostra popolazione. Che si, si poteva trasformare Cuba in un grande polo scientifico, avanzare nei moderni e decisivi campi dell’ingegneria genetica e della biotecnologia, inserirci nella riserva chiusa del commercio internazionale dei farmaci, sviluppare il turismo nonostante il blocco nordamericano, costruire piattaforme in mare per rendere Cuba un arcipelago sempre più attrattivo, ottenendo dalle nostre bellezze naturali un ingresso crescente di divise. Che si, si può resistere, sopravvivere e svilupparci senza rinunciare ai principi o alle conquiste del socialismo nel mondo unipolare e di onnipotenza delle multinazionali sorto dopo la caduta del campo socialista d’Europa e della disintegrazione dell’Unione Sovietica. Il continuo insegnamento di Fidel è che sì, si può, che l‘uomo è capace di imporsi alle più dure condizioni se non perde la sua volontà di vincere, se fa una valutazione corretta di ogni situazione e non rinuncia ai suoi giusti e nobili principi. Queste parole le dissi più di vent’anni fa su colui che, dopo il disastro di Alegrìa del Pio, da cui dopodomani saranno passati 60 anni, non perse mai la fede nella vittoria, e 13 giorni dopo, già sulle montagne della Sierra, un 18 dicembre dell’anno già detto, nel riunire 7 fucili e un pugno di combattenti, esclamò: “Adesso si che vinciamo la guerra!”. Questo è il Fidel mai sconfitto che ci convoca con il suo esempio e con la dimostrazione che si, si è potuto, si si può e sì, si potrà! Lo ripeto, che ha dimostrato che si è potuto, si può e si potrà superare qualsiasi ostacolo, minaccia o turbolenza nel nostro fermo impegno di costruire il socialismo a Cuba o, il che è lo stesso, garantire l’indipendenza e la sovranità della patria! Davanti ai resti di Fidel nella Piazza della Rivoluzione Maggiore Generale Antonio Maceo Grajales, nell’eroica città di Santiago, giuriamo di difendere la patria e il socialismo! E insieme riaffermiamo tutti la sentenza del Titano di Bronzo: “Chi cerchi di appropriarsi di Cuba, raccoglierà la polvere del suo suolo annegata nel sangue, se non muore nella lotta!”.
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lettere
La rubrica delle lettere è un punto fisso di quasi tutti i giornali. Noi chiediamo che in questa rubrica siano presenti le vostre lettere, anche quelle che spedite ai vari quotidiani e riviste che non vengono pubblicate. Il sommerso a volte è molto indicativo
Fca Termoli: di lavoro non si può morire Un nostro collega è morto stanotte (14 dicembre) mentre lavora, dopo quasi 30 anni di Fiat. Anche lui, come tanti, aveva chiesto di non tornare a lavorare su questo turno massacrante con un lavoro già di per sé pesantissimo. È morto in una fabbrica virtuosa, che oltre al necessario, sovvenziona ulteriori progetti di “salute e sicurezza”, tra i quali l’ultimo, “il progetto cuore”. … Una fabbrica che, evidentemente non ha tenuto nella giusta considerazione i precedenti malori di Massimo, sopraggiunti mentre lavorava. … Che non ha tenuto conto che Massimo prendesse la pillola per la pressione. … Che non ha tenuto conto che Massimo avesse espressamente chiesto di non fare la notte perché non ce la faceva. Questa è la stessa fabbrica che non ha tenuto conto, delle richieste di tanti di noi, che invece, al posto di Massimo, avevano contemporaneamente chiesto di poter lavorare la notte, magari perché monoreddito, ed in miglior salute. A Massimo si è fermato il cuore e noi avremmo voluto che tutta la fabbrica si fermasse con lo sciopero proclamato. Perché di lavoro e sul lavoro non si può è non si deve morire. Stefania Fantauzzi RSA USB - FCA Termoli
Imperialismo Usa e vittoria di Trump Il premio Nobel per la pace Obama ha iniziato ben 8 guerre durante il suo mandato di presidente; la Clinton non solo è stata una delle più strette collaboratrici del guerrafondaio Obama, ma si è avvalsa della sua esperienza di consorte dell’altrettanto guerrafondaio Bill Clinton. Trump usa certamente un linguaggio più acceso ed esasperato dei suoi ultimi due predecessori, ma come loro è il rappresentante delle multinazionali, delle industrie di armi, del capitale finanziario USA e come tale ne porterà avanti gli interessi guerrafondai ed imperialisti. La sostanza cambia di poco: gli USA come le altre “democrazie” occidentali fanno scegliere agli elettori tra candidati apparentemente diversi ma simili nel garantire la dittatura sostanziale del capitale. Sistema bipartitico, premio di maggioranza,
Cile: brutalità poliziesca
La cancelliera venezuelana Delcy Rodríguez ha accusato il cancelliere cileno Heraldo Munoz di fomentare la xenofobia contro i cittadini venezuelani residenti in Cile e di ignorare una flagrante violazione dei diritti umani di un cittadino venezuelano. Poliziotti cileni aggredirono arbitrariamente il giovane venezuelano Carlos Dìaz mentre tentava di difendere un haitiano detenuto e picchiato per non avere pagato il biglietto del trasporto pubblico. “Dai tempi della dittatura non c’era mai stato un
Divieto di armi nucleari? Gentiloni vota no
Recentemente all’ordine del giorno dell’Assemblea generale dell’Onu è stata messa una risoluzione perché dal 2017 partano i negoziati per un Trattato internazionale che vieti le armi nucleari, un voto importante. Ma indovinate? Oltre Matteo Renzi anche Paolo Gentiloni, l’attuale Primo ministro, hanno votato contro insieme a 37 Paesi. In compagnia con la quasi totalità di nazioni nucleari del mondo e alleati degli Stati Uniti. Del resto l’Italia ha sul suo svenduto territorio armi nucleari, sistemi di recente fabbri-
sbarramento per i partiti minori, porcellum, italicum, sono tutti espedienti per garantire la vittoria dei rappresentanti del capitale. E la storia ci insegna che qualora questi espedienti non riescano ad impedire la vittoria delle forze popolari e comuniste, si ricorre al colpo di Stato. I comunisti sono rispettosi della volontà degli elettori, ma vedono con chiarezza che la “democrazia” occidentale è solo forma e non sostanza: i mezzi di informazione sono in mano a chi ha i soldi, la macchina statale a cominciare dalle forze armate è al servizio del capitale. Per questo vogliamo e lottiamo per un allargamento degli spazzi democratici, per un sistema elettorale proporzionale e per il superamento del capitalismo. ORA COME IN PASSATO, SOCIALISMO O BARBARIE! Orlando Simoncini Castelfiorentino
cancelliere così pronto a mettersi in ginocchio davanti agli ordini del Dipartimento di Stato USA, tanto antisudamericano e anti-Patria Grande”, ha dichiarato Deicy Rodríguez. Ed ha aggiunto: “Lo invito pubblicamente a parlare del rispetto dei diritti umani nel suo paese nei confronti di mapuches, giovani, studenti, pensionati ed altri. La brutalità poliziesca è quotidiana”. Aldo Calcidese Milano
cazione che costano miliardi di dollari, nelle Basi, veri centri eversivi e di aggressione. Nessuna forza parlamentare si occupa delle spese militari esagerate con le quali si potrebbero fare un sacco di cose. Nessuna ha mai pensato di indire un referendum contro le armi o le basi Usa e Nato per liberare l’Italia dai pericoli di guerra e salvaguardare l’ambiente. Comunque il voto di Gentiloni a fianco degli Stati Uniti ha dimostrato - se ce ne fosse bisogno - le scelte di fondo di questo sostituto. L’incarico non poteva essere più appropriato! Dario Rossi, Cesenatico
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Non è lavoro, è schiavismo
Oggi si dicono tutti liberali. I liberali sono bastardi perché sostengono che per rilanciare l’economia del nostro paese, il lavoro deve diventare sempre più flessibile e precario e i lavoratori proletari devono accettare la riduzione del salario e dei loro diritti. Dicono che il lavoro flessibile e precario è la modernità del modo di lavorare e che è l’economia a determinare il lavoro flessibile e precario. I bastardi liberali mentono sapendo di mentire! Il lavoro flessibile e precario non è il modo moderno di lavorare, è il nuovo schiavismo, peggiore del vecchio perché i nuovi schiavisti non hanno interesse a conservare la salute dei nuovi schiavi. Il nuovo schiavismo non è determinato dall’economia, ma dall’economia capitalista il cui unico scopo è quello di fare profitti e non quello di soddisfare i bisogni storici dei popoli, primo fra tutti il lavoro. La disoccupazione non esiste in natura e non esisterà nel comunismo! La disoccupazione è un fenomeno peculiare del capitalismo che ha avuto storicamente origine quando la borghesia capitalista ha espropriato in tutta Europa milioni e milioni di contadini, artigiani e piccoli commercianti dei loro mezzi di produzione e sostentamento, altro che imprenditori che danno lavoro. Gli imprenditori lo tolgono e lo sfruttano il lavoro! Le rivoluzioni più sanguinose sono state quelle che si sono fatte in nome dell’uguaglianza, dicono i liberali. Certo, ma proprio perché i bastardi liberali si sono sempre opposti – e ancora oggi – con le armi ad ogni idea di uguaglianza, ritenendosi più intelligenti e meritevoli del proletariato e, quindi, indiretto di sfruttare e riguadagnare smisuratamente di più dei proletari. La concorrenza, prima
ancora che determinare la riduzione dei prezzi delle merci, determina la riduzione dei salari, peggiora tutte le altre condizioni di lavoro del proletariato e fa scomparire la piccola industria; ha dei costi aggiuntivi a quelli di produzione che sono quelli della pubblicità e quelli di una non ottimale economia su scala. Spesso per vincerla si producono merci di bassa qualità e si fanno lavori che sono un pericolo per le popolazioni! Il proletariato non accetterà mai lo sfruttamento diretto o indiretto della borghesia, sfruttamento che giustifica il mercato. Il proletariato non accetterà mai che i borghesi guadagnino centinaia di migliaia, milioni di euro all’anno senza sporcarsi né sudare, a fronte dei milioni di disoccupati e di senza casa. Per i liberali è giusto così perché se così non fosse non ci sarebbe più lo stimolo a produrre e la società si impoverirebbe. Ma al proletariato non interessa una società più ricca dato che non è il presupposto per farlo stare meglio, anzi, implica il peggioramento delle sue condizioni di lavoro e di vita. Inoltre una società meno ricca vuol dire avere e lasciare ai posteri una terra più ricca e più sana! Dare del bastardo ai liberali è l’espressione di un sentimento, nutrito dalla ragione, che non si può esprimere con altre parole. Chiediamo agli intellettuali panciafichisti quali altre parole si possono usare per esprimere un sentimento di odio e disprezzo verso quei bastardi che vogliono continuare a vivere nel lusso o nella servile agiatezza sfruttando e affamando il proletariato e i popoli di tutto il mondo. Ce le vogliono suggerire? Pietro Gori, Imperia
Articoli interessanti
Sono una lettrice saltuaria, leggo il vostro giornale quando lo trovo (credo che mi dovrò abbonare), ma ho letto gli ultimi due numeri e tra glia ltri ho trovato molto interessanti gli articoli di Fabrizio Poggi in partiolare le mire della Polonia sull’Ukraina. Sono notizie che non si trovano ed è sata molto interessante la ricostruzione storica. Spero che questo filone che ci fa capire cosa succede in quella parte del mondo possa continuare. Grazie Franca Sempreverdi Modena
nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) anno XXV n. 7/2016 - Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze - tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info - www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: GianLuca Da Rulando, Michele Michelino, Eraldo Mattarocci, Luciano Orio, Pacifico, Daniela Trollio , abbonamento annuo Italia euro 26,00 abbonamento annuo sostenitore euro 104,00 abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20 I versamenti vanno effettuati sul c/c postale nr. 001031575507 intestato a: nuova unità - Firenze Stampato interamente su carta riciclata, nessun albero è stato abbattuto per farvi leggere queste pagine Chiuso in redazione: 28/11/16
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