17 nu ottobre

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comma 20/B art. 2 Legge 662/96 filiale di Firenze

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Proletari di tutti i paesi unitevi!

La Rivoluzione russa è una grande dimostrazione mondiale di vitalità, forza, invincibilità del fattore sociale nello sviluppo storico, coscienza, risolutezza e attivismo delle masse proletarie, tendenti alla realizzazione del comunismo

nuova unità fondata nel 1964

Clara Zetkin

Periodico comunista di politica e cultura n. 5/2017 - anno XXVI

Rivoluzione d’Ottobre: 100 anni fa il nostro futuro

Il centenario della Rivoluzione d’Ottobre è l’occasione per, ritornare alle origini delle vittorie del movimento rivoluzionario proletario e riflettere sul che fare per lottare contro la barbarie capitalista e imperialista Con la rivoluzione e l’instaurazione di un governo operaio e contadino, il potere degli operai, proletari e contadini, mise fine a storiche ingiustizie, espropriando i padroni a favore degli sfruttati. La Rivoluzione d’Ottobre, distruggendo il “vecchio” ordine del potere e lo Stato borghese, basato su rapporti di classe determinati dallo sviluppo capitalistico, con il potere ai Soviet - attraverso tutto il potere ai Soviet -, risolve temporaneamente il conflitto di classe fra proletariato e borghesia a favore della classe operaia e delle classi sottomesse. Il conflitto di classe latente, che nel capitalismo esplode periodicamente durante le crisi, in Russia non si espresso semplicemente in rivolte spontanee inevitabili. La classe operaia organizzata in modo indipendente nel suo partito, guidata dalla teoria marxista-leninista (la teoria della liberazione di classe proletaria, l’unica classe che liberando se stessa dalla schiavitù salariata capitalista libera tutta l’umanità) ha saputo unificare sul suo programma altri strati e frazioni stabilendo alleanze con contadini, artigiani, piccolo borghesi ecc. contro il nemico comune: il capitalismo e l’imperialismo. Le forme spontanee delle classi in lotta, i consigli (soviet) degli operai, dei contadini e dei soldati stremati dalla fame e dalla guerra, oltre alla resistenza contro il capitalismo, si posero il problema del potere. Quando i bolscevichi conquistarono la maggioranza dei soviet, lanciarono la parola d’ordine “tutto il potere ai soviet” ponendo le condizioni del potere operaio e contadino degli sfruttati, distruggendo la sovrastruttura dello Stato borghese zarista e instaurando il potere Rivoluzionario operaio e contadino - la dittatura del proletariato - attraverso la forma di governo dei Soviet. Premessa della civiltà, di un mondo nuovo che, con l’esproprio, la cacciata dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti russi iniziano la marcia verso il socialismo. Il primo decreto della rivoluzione vittoriosa approvato dal Congresso dei soviet l’8 novembre 1917 è quello sulla pace. Il governo operaio e contadino propone subito a tutti i popoli belligeranti, e poi ai loro governi, l’immediato inizio di trattative per una pace giusta e democratica senza annessioni e senza indennità per la prima volta nella storia. In particolare Il governo sovietico, nel proporre un armistizio, si rivolge agli “operai coscienti delle tre nazioni più progredite (Francia, Inghilterra, Germania) affinché leghino la lotta per la pace a quella per il socialismo. Il secondo decreto approvato dal Congresso dei soviet nella notte tra l’8 e il 9 novembre è quello sulla terra che prevede l’abolizione immediata e senza alcun indennizzo della grande proprietà fondiaria mettendo a disposizione dei comitati contadini e dei soviet distrettuali tutti i possedimenti dei grandi proprietari fondiari e le terre dei conventi, delle chiese e della corona, con il compito di distribuirle ai contadini. In tal modo i bolscevichi, pur non condividendone appieno i contenuti di questa richiesta sostenuta e mai attuata dai socialisti rivoluzionari - che pure erano stati al governo - la realizzarono, anche se questo

A cento anni di distanza dalla rivoluzione siamo tornati a condizioni di sfruttamento ottocentesche

provocò diverse discussioni nei soviet. Alle critiche di una parte dei bolscevichi Lenin rispose così: «Si sentono qui voci le quali affermano che il mandato e il decreto stesso sono stati elaborati dai socialisti-rivoluzionari. Sia pure [...] Come governo democratico non potremmo trascurare una decisione delle masse del popolo, anche se non fossimo d’accordo. […] Ci pronunciamo perciò contro qualsiasi emendamento di questo progetto di legge […]. La Russia è grande e le condizioni locali sono diverse. Abbiamo fiducia che i contadini sapranno risolvere meglio di noi, in senso giusto, la questione. La risolvano essi secondo il nostro programma o secondo quello dei socialisti rivoluzionari: non è questo l’essenziale. L’essenziale è che i contadini abbiano la ferma convinzione che i grandi proprietari fondiari non esistano più nelle campagne, che i contadini risolvano essi stessi tutti i loro problemi, che essi stessi organizzino la loro vita». Gli operai comunisti, i rivoluzionari russi, seguendo l’esempio della Comune di Parigi, non si sono limitati a “conquistare” il governo e l’apparato statale borghese, sostituendosi nei posti di comando ai “vecchi” politici e all’aristocrazia. Da internazionalisti, pur essendo coscienti che la rivoluzione anche se vincente in solo paese ha bisogno di innescare un processo rivoluzionario in altri paesi pena la morte, hanno lottato e resistito contro l’imperialismo mondiale. In attesa di altre rivoluzioni proletarie in Europa, in particolare in Germania. Hanno iniziato la costruzione di un sistema socialista in un paese arretrato, anche se costruire il socialismo in un solo paese è una lotta impari. La rivoluzione sovietica, l’emancipazione del proletariato che si è liberato dalle catene dello sfruttamento capitalista, ha fatto tremare dalle fondamenta il sistema imperialista mondiale. Il terrore della borghesia imperialista e dei capitalisti di tutto il mondo verso il comu-

nismo e la solidarietà internazionalista hanno aiutato la lotta della classe operaia e dei popoli oppressi in tutti i paesi, favorendo le conquiste economiche e sociali. La sconfitta temporanea del socialismo ha oggi rimesso in discussione e rimangiato tutte le conquiste proletarie.

Le continue crisi capitaliste, l’intensificarsi dello sfruttamento nella ricerca del massimo profitto continuano inesorabilmente a colpire la classe operaia, le masse proletarie e popolari. Nei paesi capitalisti europei e negli USA si era sviluppata una forte aristocrazia operaia alimentata dalle briciole dei sovrapprofitti estorti dall’imperialismo ai popoli e alla classe operaia e proletaria internazionale, con la crisi anche questo cuscinetto che permetteva la pace sociale sta venendo meno. La sconfitta momentanea del socialismo, la scomposizione economicapolitica-organizzativa del proletariato e del movimento comunista in questi paesi ha fatto perdere in molti casi anche la memoria storica delle vittorie degli obiettivi storici del proletariato. La mancanza di un’organizzazione politica di classe comporta che oggi, spesso, non si lotta neanche più contro il sistema capitalista, vera causa delle disgrazie, dello sfruttamento, della disoccupazione, della miseria, della fame, della sete, delle guerre, dei morti sul lavoro e delle malattie professionali e ambientali, ma contro i suoi effetti. segue in terza pagina

Il nostro futuro non è il capitalismo

La classe operaia deve essere organizzata e preparata per conquistare una società che appartenga a chi la produce e che si chiama socialista pagina 2

Il capitalismo è barbarie e morte

La moderna condizione operaia nel 2017: sfruttamento, licenziamenti e morti sul lavoro pagina 3

La beata ignoranza del capitale: la “mala scuola” descolarizza, riduce l’istruzione, distrugge il diritto allo studio

pagina 4

La lotta di classe in Catalogna

“Una classe operaia subalterna al grande capitale finanziario ci dà uno Stato spagnolo allineato con l’imperialismo della NATO...” pagina 5

I miliardari tedeschi e gli schiavi del capitale

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lavoro

Il capitalismo è barbarie e morte La moderna condizione operaia nel 2017: sfruttamento, licenziamenti e morti sul lavoro

Michele Michelino

Il caso ILVA Per anni i sindacati FIOM (CGIL)-FIM (CISL)-UILM (UIL) UGL hanno garantito pace sociale e profitti ai vari padroni pubblici e privati, barattando il lavoro e il salario con la salute degli operai della fabbrica e dei cittadini di Taranto e dintorni. Non si lottava contro la nocività in fabbrica e, col padrone di turno, si accettava invece tranquillamente la politica padronale della monetizzazione della salute. La concertazione e la complicità hanno portato i sindacati a essere complici dei vari “piani industriali” che avevano l’unico scopo di realizzare il massimo profitto sulla pelle degli operai. Invece di lottare per eliminare la nocività e rivendicare nelle piattaforme contrattuali condizioni e ambienti di lavoro salubri, hanno accettato condizioni che hanno avvelenato prima i lavoratori e poi il territorio, coinvolgendo tutta la popolazione. Il governo, dopo essere intervenuto con soldi pubblici (di tutti i cittadini) per sanare le perdite della vecchia proprietà di Ilva (padron Riva) socializzando i debiti e privatizzando il profitto, regala la fabbrica - che sorge su 15 milioni di metri quadri di area, 200 chilometri interni di ferrovie, altri 50 di treni-nastri - ai nuovi padroni della ArcelorMittal-Marcegaglia, azienda che da subito ha preso il controllo di Ilva annunciando che il piano di “risanamento” dell’azienda consiste semplicemente in licenziamenti e tagli dei salari. La nuova proprietà dichiara di voler applicare il jobs act e annuncia che a livello nazionale è previsto un organico totale di 9.885 dipendenti tra quadri, impiegati e operai rispetto ai circa 14mila attuali. Circa 3.300 dei 4mila esuberi, su un totale di 14.200 lavoratori del gruppo Ilva, riguarderebbero la sede di Taranto, 599 quella di Genova. Immediate le reazioni dei lavoratori, con proteste e scioperi compatti che hanno costretto a scendere in campo anche il governo. “Quello che oggi manca rispetto all’offerta non sono i numeri degli esuberi, su cui si può discutere, fanno parte della trattativa sindacale - ha spiegato il Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda - ma il pezzo sugli impegni che l’acquirente ha

preso nei confronti del Governo che riguarda i livelli salariali e di scatti di anzianità”. Gli esuberi per Ilva “erano noti a partire dall’offerta”, e “il tavolo con i sindacati ha l’obiettivo di ridurli”, ma “non possiamo accettare alcun passo indietro, come Governo, per quanto riguarda le retribuzioni e gli scatti acquisiti”, ha detto. In sostanza per il Ministro si può ridurre il personale e licenziare a patto che il conflitto sia contenuto. Una decisione accolta con favore da Maurizio Landini: “Il governo ha fatto bene a sospendere il tavolo sull’Ilva, ma ora l’esecutivo deve occuparsi di tutti gli altri temi”. Secondo l’ex leader Fiom potrebbe esserci un “ruolo di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), e di altre forme che il Governo può garantire, dentro l’assetto societario che viene definito”. Nella società capitalista il sindacato ha lo scopo di contrattare al meglio la condizione della forza lavoro e anche un sindacato di classe, oggi inesistente nel regime del lavoro salariato, non può andare oltre questo obiettivo. La lotta sindacale contro gli attacchi del capitale è necessaria e indispensabile per la difesa delle condizioni di vita e di lavoro, tuttavia gli operai non devono mai delegare al sindacato la difesa dei propri interessi, ma essere protagonisti. Mai

dimenticare che l’unico obiettivo, o unico scopo, dei vertici sindacali è di farsi riconoscere e sedere al tavolo delle trattative con i padroni. Infatti, le trattative, i mercanteggiamenti e i loro risultati sono alla fine destinati a colpire comunque i lavoratori, a gettare fumo negli occhi delle masse proletarie salvaguardando sempre e in definitiva gli interessi del capitale. Anche se temporaneamente in alcune circostanze favorevoli è possibile “vincere”, difendersi, arginare gli attacchi dei padroni, il modo di produzione capitalista non può in alcun modo essere riformato e migliorato. Il futuro, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro duraturo può avvenire solo nel socialismo, dopo aver definitivamente distrutto dalle fondamenta il sistema capitalista. Lottare e battersi per ridurre il margine dello sfruttamento, contrapponendosi al capitale e allo Stato dei padroni, è necessario per non morire di fame, ma non bisogna dimenticare che, finché esiste lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, il potere, la forza è ancora tutta dalla parte del capitale. Non basta lottare contro gli effetti del capitale - licenziamenti, fame, miseria e guerre - bisogna lottare anche e soprattutto contro le cause dello sfruttamento.

Fino a quando le lotte del proletariato non riacquisteranno la necessaria centralizzazione e solidarietà di classe attorno a obiettivi socialisti - interessi contrapposti e antagonisti a quelli del capitalismo e della classe borghese che detiene il potere economico e politico - la barbarie continuerà a incombere e colpire la classe operaia e le masse popolari.

Morti sul lavoro: al lavoro come in guerra Aumentano gli infortuni sul lavoro. Nel 2017 gli incidenti mortali sono stati 682. Secondo i dati INAIL pubblicati a fine agosto, nei primi 8 mesi gli infortuni sul lavoro sono stati 422 mila, con un aumento dell’1,2% rispetto allo stesso periodo del 2016. Quelli mortali denunciati sono stati 682, con un incremento addirittura del 4,7%. Un fatto che non accadeva nel nostro Paese da anni. In Italia gli operai e i lavoratori continuano a morire più che in guerra fra l’indifferenza e l’ipocrisia del governo e delle istituzioni. Davanti a questa guerra di classe dei padroni contro i proletari, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si limita a sottolineare come sia “inconcepibile”

registrare tutte queste morti sul lavoro, specialmente tra i giovanissimi, senza fare nulla in proposito per fermare questa mattanza operaia. Dai dati INAIL si evidenzia che l’aumento degli infortuni riguarda soprattutto l’industria e servizi (+2%) e i dipendenti pubblici (+3,3%), dimostrando così che la sicurezza sui posti di lavoro è inesistente e l’obiettivo del massimo profitto realizzato sulla pelle dei lavoratori non ha nessun rispetto della salute e della vita dei lavoratori.

Di lavoro si continua ogni giorno a morire Al 10 ottobre, secondo il report dell’Osservatorio Indipendente di Bologna sui morti sul lavoro, nei primi 9 mesi del 2017 i morti sul lavoro, compresi quelli in itinere, superano invece i 1.100. L’anno scorso in Europa sono stati 10.000 i lavoratori morti mentre andavano o tornavano dal lavoro (indagine europea). Oltre ai lavoratori regolarmente assicurati dall’INAIL esistono anche milioni di lavoratori in nero che non entrano dei conteggi, come quelli che subiscono diverse forme di sfruttamento nelle cooperative, nella logistica e in “stage”. Ogni giorno decine di migliaia di

Amianto morti di “progresso” Segnaliamo l’uscita del libro Amianto morti di “progresso” che racconta le lotte del Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio e di altre associazioni in lotta contro l’amianto, i cancerogeni e le stragi causate dal profitto attraverso le testimonianze degli operai, i documenti processuali e lettere inedite fra Comitato e Inail. Il libro si compone dei seguenti capitali: Cap. 1 – Non solo nelle piazze: i processi penali Sconfitte e vittorie: i casi Eternit, Marlane, Enel, Franco Tosi, ThyssenKrupp, Fibronit, Cantieri navali, Montedison Cap. 2 – Morti per amianto alla Pirelli: la condanna dei manager Cap. 3 – Breda: omertà, lotta, solidarietà operaia, repressione Cap. 4 – La lotta contro l’amianto in Italia e nel mondo Cap. 5 – Solidarietà operaia internazionale e nazionale Cap. 6 – La lotta contro il governo, l’INAIL e l’INPS Cap. 7 – Lavoro e/o salute?

Il libro di 275 pagine e in vendita nelle librerie a 19,50 euro (costo stabilito dalla casa editrice) per gli associati e gli amici del Comitato, per copie limitate il prezzo è 15 euro richiedendolo per telefono ai n. 02 26224099 o 3357850799 CENTRO DI INIZIATIVA PROLETARIA “G. TAGARELLI” in via Magenta, 88 Sesto San Giovanni (Mi)

persone - uomini e donne, un esercito silenzioso e spesso disperato legge gli annunci sui quotidiani e su internet, manda il proprio curricula sperando, se non in un contratto, quantomeno in un colloquio, ma alla fine la stragrande maggioranza resta senza lavoro e senza salario. Una parte della forza lavoro che forma questo esercito è costituita dai 3 milioni e 127 mila disoccupati che compongono la giungla degli stagisti. Da anni le aziende usano giovani nell’industria e nei servizi per coprire mancanze di manodopera nel proprio organico, spendendo poco o addirittura a costo zero (si tratta del cosiddetto “stage rolling”, cioè la rotazione continua e senza speranza di assunzione), oppure per individuare un futuro dipendente (e questo è il caso dello stage volto ad assunzione). Secondo il rapporto Excelsior redatto da UnionCamere e Ministero del Lavoro, nel 2011 sono stati attivati 307 mila tirocini in 215 mila aziende private. Di questi soltanto il 10,6% ha dato luogo a un rapporto di lavoro. Le aziende sostituiscono ogni sei-dieci mesi un dipendente con uno o più stagisti a ciclo continuo. E questo non riguarda soltanto il settore privato ma anche quello pubblico: ad esempio avviene ampiamente negli uffici giudiziari. In questo settore gli infortuni sono completamente ignorati e solo in casi estremi vengono denunciati. Lampante l’ultimo esempio. Vittima dell’infortunio, accaduto alla Spezia il 6 ottobre, è uno studente di un istituto superiore di 17 anni, impegnato in un progetto di alternanza scuola-lavoro all’interno di una ditta specializzata nella revisione e riparazione di motori nautici e industriali. Senza alcuna formazione, il giovane è stato costretto a salire su un muletto. Il ragazzo è rimasto schiacciato sotto il carrello elevatore quando questo, all’improvviso, si è capovolto nel piazzale dell’azienda. Il ragazzo è stato soccorso dai lavoratori della ditta che l’hanno estratto dal mezzo e hanno chiamato il 118. Trasportato in ospedale, lo studente (lavoratore) ne avrà per almeno 40 giorni secondo la prognosi. Se non cambiamo – e presto – la realtà di oggi, questo non è solo il presente ma il futuro che spetterà alle prossime generazioni.

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Cap. 8 – Conflitto sociale, solidarietà operaia e popolare, organizzazione. La lotta delle vittime organizzate in Comitati e Associazioni: le stragi dell’Aquila, di Viareggio e della Tricom di Tezze sul Brenta

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attualità

Il nostro futuro non è il capitalismo

La classe operaia deve essere organizzata e preparata per conquistare una società che appartenga a chi la produce e che si chiama socialista Carla Francone Il governo ci sta martellando sulla ripresa e sull’aumento dell’occupazione. Logico, siamo alla vigilia delle elezioni e la campagna elettorale si fa sempre più incessante. Eppure la classe lavoratrice vive un brutale attacco a tutti i livelli: dall’attacco al diritto di sciopero all’aumento dell’età pensionabile, alla continua penalizzazione delle donne, alla privatizzazione di sanità e trasporti ecc. fino alla mancanza di sicurezza sui luoghi di lavoro - dove muoiono migliaia di uomini e donne ogni anno - e adesso si aggiungeranno anche i giovanissimi che vi entrano grazie all’infausta istituzione dell’alternanza scuola-lavoro - prevista dalla “buona scuola” targata Renzi - il cui obiettivo è quello di utilizzarli nella riorganizzazione del capitale, addestrarli alla precarizzazione e abituarli ad un approccio acritico verso la realtà dominata dal profitto. Le industrie italiane sono svendute e con loro i lavoratori già ricattati tra occupazione e salute: 4mila esuberi all’Ilva, dopo anni di socializzazione dei debiti e di privatizzazione dei profitti, fanno notizia, ma ogni giorno dai 15 ai 200 operai sono licenziati, praticamente nel silenzio. E le masse popolari sono sempre più impoverite, tanto che rinunciano a curarsi, e alle prese con carovita, caroaffitti, mancanza o perdita di abitazioni in conseguenza della disoccupazione. La borghesia, per sopravvivere, sa bene che deve schiacciare il movimento operaio imponendo soluzioni drastiche e utilizzando ogni mezzo: dal Partito democratico alla Lega, ai fascisti fino a prospettare un ritorno al governo di forze di destra ancora più reazionarie. E il governo difende gli interessi della classe dominante anche sul piano nazionale: aumenta a dismisura le spese militari e per l’appartenenza alla NATO - un’alleanza militare che non garantisce certo la sicurezza, anzi porta morte e distruzione a favore degli imperialisti - nella quale l’Italia è il quinto maggiore contributore. È proprio Gentiloni a confermare l’impegno di raggiungere il 2 per cento del Pil nelle spese militari che porterà a sborsare circa 100 milioni di euro al giorno, pagati col sacrificio, tasse e ticket sanitari dei proletari. Nel 2016 la spesa militare (che si aggiunge all’aumento del debito pubblico) dell’Italia è salita a 27,9 miliardi di dollari.

Gli interventi in Siria, Iraq, Afghanistan, Libia, Yemen, il sostegno dell’Arabia Saudita del fanatismo religioso e dell’oscurantismo attraverso i gruppi terroristi (finanziati anche da Usa e UE) per spartirsi zone e ricchezze ci toccano da vicino. La voracità dell’imperialismo, l’ultimo stadio del capitalismo, per mantenere il dominio economico e militare nel mondo rafforza la sua presenza attraverso la NATO e il rafforzamento della militarizzazione dell’UE. Alla base c’è la difesa degli interessi della classe dominante che comporta le competizioni imperialiste con le guerre, infatti, gli Stati Uniti hanno raddoppiato le spese di guerra, la Cina di 5 volte e 10 volte la UE. Di pari passo cresce la campagna di denigrazione del socialismo e degli ideali comunisti. Dopo aver stabilito la data del 23 agosto “Giornata europea di ricordo delle vittime dei regimi totalitari” l’Unione europea ha finanziato la “Casa della storia europea” e il programma “Europa per i cittadini” che porta avanti con la collaborazione delle amministrazioni locali e delle ONG. Sono continue le misure anticomuniste già in atto in molti Paesi europei: Ucraina, Estonia, Polonia, Ungheria, Lituania, Lettonia) - che si traducono in persecuzione, condanne, divieto di attività dei partiti comunisti e dell’uso dei simboli sotto i quali 20 milioni di sovietici dell’Urss fondata nella Rivoluzione d’Ottobre, di cui ricordiamo i 100 anni, sono morti proprio per liberare le popolazioni dall’oppressione nazifascista - mentre rendono onore e concedono pensioni ai collaboratori dei nazisti e ai loro eredi politici. Anche l’Italia si avvia su questa strada. Se nel 2009 Violante ha iniziato ad attaccare i valori della Resistenza mettendo sullo stesso piano i morti partigiani con quelli fascisti, ora è toccato a Fiano, buon servitore del Pd e amico degli israeliani, sovvertire la storia e presentare la legge - il provvedimento è già approvato dalla Camera - per punire le diverse forme di manifestazione dell’apologia fascista. Visto che l’apologia di fascismo è già vietata dalla Costituzione, viene da sé che dietro questo DDL si nasconde un sordido attacco alle idee comuniste. Infatti sulla base della legge Fiano è già partita dal comune di Soragno (PR) - che ha subito la rappresaglia nazi-fascista del 18 marzo 1945 - oggi a conduzione Lega nord, la richiesta di mettere al

bando chiunque propagandi contenuti o immagini relativi al Partito comunista. Ad accentuare il significato, la mozione ricorda che “ancora oggi il Partito comunista in molti paesi del mondo è sinonimo di feroci dittature o deboli democrazie, tra le più note: Corea del Nord e Venezuela”. Ricordiamo che la “democratica” presidente Laura Boldrini ha ricevuto (l’8 giugno) con tutti gli onori il presidente ucraino Andriy Parubiy ed ha precisato, in piena sintonia con Parubiy, che è in atto una grave campagna di disinformazione atta a destabilizzare il territorio ucraino. Ebbene il Presidente della Rada ucraina è colui che nel 1991 fondò con Oleg Tyahnybok - attuale leader della formazione nazionalista Svoboda - il Partito Nazional Sociale Ucraino, la cui fonte di ispirazione è il Partito Nazional Socialista di Hitler. Sono azioni che contribuiscono a creare confusione e legittimare idee reazionarie utili a dividere e sfruttare ulteriormente i lavoratori. Ovunque proliferano organizzazioni fasciste e nazionaliste foraggiate dal capitale che entrano anche nei Parlamenti di vari paesi (Germania, Danimarca, Finlandia, Francia ecc.). Per fare solo un esempio candidato a primo ministro del Kosovo è un ricercato dell’UCK. A 100 anni dalla Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre, a 150 anni dalla pubblicazione della prima edizione del Capitale (14 settembre 1867) - nel quale Marx smontava il modo di produzione dello sfruttamento capitalista del lavoro - l’intensificazione dell’anticomunismo marcia di pari passo con misure antipopolari, attacchi ai diritti, guerre imperialiste e corsa al riarmo nucleare. Il Capitale di Marx ha rafforzato la lotta politica della classe operaia per il socialismo e la Rivoluzione d’Ottobre - basata sulla parola d’ordine leninista “tutto il potere ai soviet” creati dagli operai, dai contadini e dai soldati -, e seguendo l’esperienza della Comune di Parigi, ha dimostrato la superiorità del socialismo. È per questo che le forze opportuniste conducono da sempre una campagna antisovietica e anticomunista utilizzando varie teorie, a partire dall’eurocomunismo. Disorientano la classe lavoratrice con idee di raggruppamenti dal vago sapore di sinistra per continuare a illudere su

I giovani, i lavoratori, gli sfruttati che oggi si avvicinano, tra mille difficoltà e ostracismi, all’idea di comunismo, sa­pranno fare tesoro dei tanti insegnamenti che l’assalto al cielo degli sfruttati del secolo passato ci ha lasciato, a partire dalla formidabile, anche se incompiuta, opera di costruzione del socialismo iniziata da Lenin, da Stalin e dal partito bolscevico, e si potranno così porre le premesse per il rilancio del movi­ mento comunista e per una radicale trasformazione della realtà. Forti della storia del movimento comunista del secolo passato, dei suoi successi come delle sue sconfitte, la prossima volta gli sfruttati faranno molto ma molto meglio.

Fresco di stampa “Imparare dalle sconfitte: l’Unione Sovietica dal socialismo alla barbarie” di Concetto Solano edizione “La Città del Sole”, euro 8, si può richiedere tramite email: concetto.solano@gmail.com

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cambiamenti governativi che hanno l’unico scopo elettoralista in quanto prosecutori del sistema capitalista. E usano i sindacati concertativi per far passare tutti i disegni in difesa di quegli interessi nazionali che si traducono in misure antipopolari, miseria, sfruttamento, guerre, ovvero ciò che offre il capitalismo. Ecco perché la classe operaia - oltre ad essere preparata per respingere l’attacco padronale del capitalismo - deve

diventare una forza per essere pronta ad affrontare una lotta contro la dittatura della borghesia che sfrutta e opprime; contro il fascismo e il razzismo; contro i conflitti degli imperialisti che danno vita alle guerre di rapina e spartizione che vedono protagonista anche l’Italia. La classe operaia deve essere organizzata e preparata per conquistare una società che appartenga a chi la produce e che si chiama socialista.

dalla prima Il fondamento di ogni politica rivoluzionaria deriva da una corretta analisi di classe, è vero che i principi sono sempre attuali, ma vanno calati nella realtà per cambiarla. La Rivoluzione d’Ottobre si è attuata perché c’è stata una saldatura fra la teoria comunista e la pratica rivoluzionaria. Anche oggi, la classe operaia e il proletariato sono il soggetto rivoluzionario da cui dobbiamo partire. Dobbiamo distinguere e capire la differenza fra operai comunisti, rivoluzionari che agiscono ogni giorno nello scontro di classe e le organizzazioni in cui militano i loro dirigenti. Discutere oggi della Rivoluzione d’Ottobre, delle sue conquiste per gli sfruttati serve per confrontarci e dibattere come costruire la nostra organizzazione politica di classe - l’unico strumento con cui la classe operaia può liberarsi dalla schiavitù salariata - con i proletari coscienti, fra operai comunisti, avanguardie di lotta e intellettuali onesti. Non ci interessano le unità di vertice, l’unità dei vari partiti esistenti in Italia che si dichiarano comunisti. Noi oggi vogliamo lavorare insieme a chi nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro o sul territorio si scontra quotidianamente con il capitale e lo Stato borghese. L’unità dei lavoratori comunisti si realizza su alcuni punti condivisi, superando le sette e i localismi. Oggi pochi parlano poco e in modo distorto di socialismo, ma socialismo vuol dire potere operaio, dittatura del proletariato. Rimettere all’ordine del giorno questi obiettivi significa unire le lotte di resistenza contro gli attacchi del capitale a quelle della presa del potere operaio. Noi lavoriamo nella classe perché senza classe non si costruisce nessun partito comunista. La Rivoluzione d’Ottobre, come la Comune di Parigi, hanno cambiato radicalmente il modo di vita e di lavoro delle masse proletarie che hanno preso nelle proprie mani il potere ed ha permesso loro di vivere, per un determinato periodo, in sintonia e in pace con gli esseri umani e la natura. Agli operai comunisti, ai rivoluzionari spetta il compito di costruire il proprio partito senza delegare ad altri, né rincorrere le teorie della “sinistra” sul mo-vimentismo o alleanze a scopo elettoralistico. Tutti coloro che riconoscono il ruolo centrale e dirigente della classe operaia e del proletariato organiz-zato, che riconoscono la necessità di ricostruire il partito comunista per dare l’assalto al cielo come ha fatto il proletariato russo, hanno il compito di unirsi e dimostrare che il socialismo non è un’utopia, non è un sogno ma una realtà concreta già realizzata nel 1917 e oggi, più che mai, è necessario per lottare contro la barbarie capitalista e imperialista.

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note di classe

La beata ignoranza del capitale: la “mala scuola” descolarizza, riduce l’istruzione, distrugge il diritto allo studio

Ovvero: come l’istituzione dell’alternanza scuola-lavoro, il processo abbreviato dell’istruzione e perfino l’innalzamento dell’obbligo scolastico siano funzionali alla riorganizzazione del capitale nell’era della globalizzazione imperialistica, in cui la formazione abbia l’obiettivo di addestrare alla precarizzazione dell’impiego lavorativo (e della vita) e di abituare ad un approccio acritico verso la realtà esistente dominata unicamente dal profitto, in modo che le giovani generazioni considerino questo come unico orizzonte brugio

attuali, viene spiegata con l’esigenza di armonizzare l’uscita dalla scuola con i percorsi delle scuole in altre nazioni europee, dove effettivamente la conclusione è un anno prima: quello che non si dice è che in altri paesi il processo di formazione inizia con una prescolarizzazione obbligatoria a cinque anni (mentre da noi l’obbligo scolastico comincia a sei anni), i programmi disciplinari sono calibrati per un percorso che si conclude in anticipo rispetto al nostro (mentre la proposta del Ministro Fedeli è mantenere la stessa mole di argomenti e discipline), il personale impiegato è molto più numeroso e meglio retribuito rispetto agli insegnanti e al personale ATA delle nostre scuole. Insomma, vi sono altre forme organizzative e diversi impianti pedagogico-didattici che non sono minimamente stati considerati. La domanda che sorge immediatamente è: ma per svolgere il periodo di ASL obbligatorio, che oggi è spalmato nel triennio, in un periodo più ridotto (di due anni, ameno che non si voglia estendere anche a studenti ancora più giovani), come si farà? La risposta viene dalla “idea di (pseudo)sinistra” che la Ministra Fedeli ha enunciato: innalzare l’obbligo scolastico a diciotto anni, con l’effetto di avere una massa di giovani studenti che obbligatoriamente dovranno prestare (anzi: regalare) le proprie prestazioni lavorative non retribuiti. Il genio italico sorprende sempre! In conclusione, occorre comprendere da quale parte cominciare per contrapporsi a questi processi di distruzione della scuola pubblica e del diritto allo studio, in una fase già avanzata di destrutturazione del sistema pubblico dell’istruzione. Un lato da cui iniziare a mettere granelli di sabbia nell’ingranaggio è quello studentesco, e in particolare dell’ASL: avviare una serie di iniziative con gli studenti (da incontri, dibattiti, assemblee pubbliche, assemblee di istituto nelle scuole) per avviare un confronto e una discussione, attivare la consapevolezza, suscitare una reazione in vista di mobilitazioni che abbiano al centro l’obiettivo di eliminare, o almeno ridurre drasticamente, l’obbligatorietà dell’ASL sono le azioni su cui sindacati degli studenti e di categoria e forze politiche (soprattutto comuniste) dovranno impegnarsi nei prossimi mesi. È un obiettivo difficile, che non può essere raggiunto completamente se non si sviluppa un movimento generale e di massa con caratteri anticapitalistici (non solo antiliberisti), ma è un obiettivo su cui occorre lavorare per riavviare una coscienza di classe ormai sopita e anestetizzata nelle giovani generazioni.

Il processo di disgregazione della scuola pubblica italiana - sempre rimasta interna ad un sistema di distinzione di classe, comunque tra le migliori del secondo Novecento per la diffusione dell’istruzione e l’approfondimento culturale, offerti dalla Costituzione, rispetto a tutto il mondo occidentale - procede a passi lunghi e distesi, anche con un Governo Gentiloni rattoppato (eterodiretto e commissariato) e una Ministra dell’Istruzione del tutto improvvisata quale è la Fedeli, che di scuola non si è mai occupata, ma è stata significativamente sindacalista nel settore dei tessili (infatti, in questa fase, alla scuola serve un’esperta di lavoro sfruttato per meglio gestire l’alternanza scuola-lavoro (ASL), ma con un profilo meno esplicito di quello di un imprenditore). Nonostante il basso profilo del Governo, e forse proprio per questo, le controriforme, i provvedimenti nei licei, 400 negli istituti tecnici e professionali) che abusi e violenza sessuali verso studentesse da parapplicativi, lo smantellamento dell’impianto costi- corrisponde ad un periodo tra i due e i quattro mesi te di titolari di attività che chiedevano prestazioni tuzionale del diritto allo studio (come in altri settori) di svolgimento dell’obbligo scolastico (oggi chia- per far svolgere l’ASL (probabilmente solo la punprosegue senza sosta: intanto, l’annuncio balneare mato “diritto/dovere”) fuori dalle aule scolastiche, ta di un fenomeno molto più diffuso e profondo). della Ministra Fedeli di avviare la sperimentazione in aziende, uffici, cantieri, luoghi di lavoro in cui gli Tutto questo ci parla di un imbarbarimento della sodella scuola superiore di secondo grado breve ha studenti e le studentesse sono messi a fare attivi- cietà, avallato e incrementato dalla destrutturazione prodotto immediate reazioni entusiaste dell’as- tà inutili, pesanti o puramente perditempo oppure del diritto allo studio che in questi anni sta avansessore all’Istruzione, Formazione e Lavoro della (spesso e volentieri) sfruttati senza avere retribuzio- zando, da un istituto come quello dell’ASL, innanziRegione Lombardia Valentina Aprea (Forza Italia), ne minima e togliendo lavoro ad altri (pensiamo a tutto propagandistico (addestrare i e le giovani alla la quale non solo si è dichiarata favorevole, ma ha tutti gli impieghi stagionali e/o nella ristorazione: i precarietà del lavoro, alla totale mancanza di diritti chiesto un ampliamento dell’offerta: infatti, la speri- titolari di bar, ristoranti, bagni o altre attività similari sindacali, ad abbandonare obiettivi di dignità e rementazione per ora è limitata a cento scuole, tra cui hanno a disposizione un bel bacino di manodopera a tribuzione adeguati), con ricadute materiali (nello potranno esserci anche private paritarie, ma proba- costo zero da spremere e far trottare per settimane). sfruttamento di manodopera a costo zero e priva di bilmente verrà presto allargata a più istituti; in con- La prospettiva è che, a regime, gli studenti coinvolti d strumenti individuali e collettivi di difesa della protemporanea, presumibilmente per riequilibrare la lle classi terze, quarte e quinte raggiungeranno un pria dignità e di un proprio profilo professionale deproposta con una “idea di (pseudo)sinistra”, Fedeli numero complessivo su scala nazionale di tre milioni finito), con effetti devastanti di descolarizzazione di ha dichiarato che vorrebbe innalzare l’obbligo scola- di persone: una massa enorme di manodopera che massa che nei prossimi anni rileveremo. È la scuola stico a 18 anni, affrettandosi però a dire che questo si aggiunge a quella impiegata per l’apprendistato, e dell’addestramento, della “beata ignoranza” (che è solo un suo desiderio, non un piano del governo. che produrrà un’intensificazione dello sfruttamento neghi i diritti ed esalti il profitto, che impronti le reUscendo dalla dimensione degli annunci e del- dei giovani, che si accentuerà e diffonderà nei pros- lazioni sociali sulla divisione piuttosto che sull’eguaglianza, che riduca la cultura a competenze e compela propaganda, proviamo a fare un primo bilancio simi anni. della 107 (la legge della “mala scuola”) e tentiamo Il bilancio di questi primi anni di alternanza (ASL) tizione eliminando qualsiasi ideale di solidarietà, che di comprendere quali potrebbero essere gli effetti è già significativo: accanto alle (poche e limitate) instilli la paura e istighi alla violenza razzista contro che i due provvedimenti annunciati (percorso breve esperienze interessanti per studenti e studentesse, lo straniero povero) di cui il capitale ha bisogno per di quattro anni delle scuole superiori ed eventuale comunque sempre basate sull’elargizione di lavo- perpetrare il proprio dominio in una fase di estrema innalzamento a diciotto anni) avrebbero. Intanto ro gratuito da parte degli studenti, vi sono racconti crisi del sistema economico-sociale su cui è fondato. dobbiamo ribadire che l’impianto complessivo della numerosi di impiego anomalo (studenti utilizzati per In questo quadro allarmante e desolante, si inseriLg.107, che abbiamo ribattezzato della “mala scuo- fare fotocopie, spazzare gli uffici, rimettere a posto scono le proposte di percorso breve in quattro anni la”, è completamente neoliberista, si iscrive nella di- archivi, ordinare magazzini, scaricare materiale); di delle scuole secondarie superiori e quella (apparenmensione aziendalistica della scuola dell’autonomia sfruttamento intensivo (studenti utilizzati come ca- temente in contraddizione, invece perfettamente che dall’inizio degli anni duemila ha provocato la merieri, bagnini, sguatteri praticamente senza ora- funzionale) di innalzamento dell’obbligo (diritto/ disgregazione del sistema pubblico dell’istruzione, ri definiti); di trattamento on adeguato (con lavori dovere) scolastico a diciotto anni. La riduzione di e infine sta portando a compimento il processo di rischiosi o in situazioni in cui mancano le norme di un anno del percorso scolastico, portando le scuole destrutturazione del diritto allo studio sancito dalla sicurezza). Vi sono anche gravi episodi di molestie, superiori di secondo grado a quattro anni dai cinque (15 settembre 2017) Costituzione nata dalla Resistenza. La Lg.107 infatti trasforma la figura del docente in un gestore/amministratore della burocrazia scolastica che sta soffocando le scuole (sacrificando peraltro il personale tecnico, amministrativo e ausiliario ATA), aumenta la concorrenza tra gli istituti per ottenere iscritti forme dell’opportunismo, ma anche Un breve ricordo di Marcello, un com- alzare la testa. e fondi, scatena la competizione pagno che ha lottato tutta la vita con- Il suo carattere focoso, battagliero e in- l’attenzione con cui ascoltava ogni perinterna alle scuole tra docenti per tro le ingiustizie e per la dignità di lavo- domito, era sempre pronto a mettersi sona, cui dedicava tempo ed energie accedere ai “bonus” graziosamenal servizio di qualunque causa ritenesse per cercare di risolvere problemi che gli ratori e lavoratrici te elargiti dai Dirigenti Scolastici ai Alcune settimane fa ci ha lasciato il giusta, per restituire diritti e dignità a venivano sottoposti quotidianamente più “meritevoli” (sulla base di quali da lavoratori e lavoratrici dei più dispacompagno Marcello Pantani, dopo una lavoratori offesi dal padronato. criteri oggettivi non si sa: il rischio breve e maligna malattia contro cui ha In questi ultimi anni ha prestato il suo rati settori. concreto è piuttosto quello del difgeneroso impegno militando nella Con- Lo vogliamo ricordare per le sue analisi lottato coraggiosamente fino alla fine. fondersi della clientela e la neutraDa sempre, Marcello è stato un com- federazione Cobas di Pisa, instancabile complesse e articolate, ma anche per lo lizzazione della conflittualità) con pagno impegnato nelle lotte operaie nel sostenere, coordinare e organizzare sforzo che ha sempre fatto per rendere la gerarchizzazione del personale e nelle mobilitazioni studentesche che lavoratrici e lavoratori nei settori del il suo pensiero e le sue parole comprendocente, costringe a riorganizzare hanno contraddistinto il nostro paese Lavoro Privato e del Pubblico Impiego, sibili a chiunque, nella ricerca costante il lavoro di insegnamento in funsempre al servizio degli sfruttati per di- di fornire strumenti e conoscenze a chi nell’intensa stagione degli anni Sessan zione della “didattica dei test” (a fenderli dai soprusi e dalle prepotenze non ne aveva a sufficienza, senza mai ta e Settanta. partire dai malefici test INVALSI, La sua lunga storia politica è infatti delle aziende, sia private sia pubbliche, risparmiarsi. che addestrano al pensiero acritiradicata nelle lotte: dirigente di Lotta senza mai accettare compromessi con L’ultimo pensiero che ti dedichiamo, co e puramente funzionale, su cui Continua in Piemonte e in Puglia, ha i burocrati delle confederazioni sinda- Marcello - che ci mancherai anche si valutano il lavoro dei docenti e sempre lottato a fianco dei lavoratori cali concertative, né tantomeno con i come sostenitore di “nuova unità” -, è le competenze raggiunte degli per la difesa dei loro diritti fondamen- poteri politici e sociali che dominano le un saluto a pugno chiuso, intonando le studenti), determina un procescanzoni di lotta che tanto hai amato. tali, esercitando il suo desiderio di giu- nostre città e il paese. so di descolarizzazione coatto stizia e di trasformazione radicale con Di Marcello, tutti coloro che lo hanno con l’inserimento dell’alternanza i compagni l’impegno in ogni situazione dove lavo- conosciuto ricordano le reazioni furioscuola-lavoro obbligatoria per un della redazione ratrici e lavoratori sono stati disposti ad se di fronte alle ingiustizie o alle mille numero spropositato di ore (200

CIAO Marcello

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Spagna

La lotta di classe in Catalogna

“Una classe operaia subalterna al grande capitale finanziario ci dà uno Stato spagnolo allineato con l’imperialismo della NATO...” Miguel Manzanera Salavert C’è un’apparente contraddizione negli argomenti filo-spagnoli contro l’autodeterminazione catalana: da un lato ci si dice che si tratta di un processo guidato dalla borghesia, e dall’altro si afferma che le società se ne andranno dalla Catalogna nel caso ci sia l’indipendenza. Di fatto l’esodo degli industriali è già cominciato davanti alla mera possibilità che diventi effettiva la disconnessione catalana dallo Stato spagnolo. Ma dato che la borghesia è formata dall’insieme degli imprenditori, quali sono i suoi motivi per guidare il processo indipendentista e poi andarsene dal paese indipendente? Lo fa per affondare l’economia catalana portandosi via le ricchezze del paese? Suona paradossale. La situazione si può chiarire se consideriamo la struttura della classe borghese, divisa in settori differenziati in concorrenza fra loro, e non come un’unità senza crepe. È un dato ovvio della nostra vita sociale che i motivi fondamentali di ogni membro della società capitalista sono gli interessi economici individuali nella loro versione monetaria, che sia il profitto per il capitale investito o che sia la retribuzione economica per il lavoro. E sappiamo che la concorrenza per ottenere profitti e retribuzioni avviene a tutti i livelli della vita sociale ma, specialmente, negli strati dirigenti. L’associazione tra individui si realizza per interessi corporativi, cioè per comunità di interessi all’interno di un’organizzazione sociale data. L’identità nazionale è un tratto sufficientemente forte per creare questi interessi corporativi? Dal punto di vista della razionalità capitalista è un dato irrilevante e controproducente. Ma se da un lato sembra che la nazionalità sia superata dalla globalizzazione economica, dall’altro vediamo che gioca un ruolo importante negli avvenimenti internazionali attraverso la configurazione statale dell’ordine mondiale. La politica non può essere ridotta né subordinata alla razionalità capitalista, ma consiste nella creazione di una razionalità alternativa. Specialmente, in una fase del capitalismo in crisi con una lunga depressione negli Stati imperialisti – com’è quella attuale – appaiono e si sviluppano le contraddizioni inerenti alla società capitalista.

L’assottigliamento delle classi medie nei paesi capitalisti sviluppati (mal sviluppati) e l’aumento del coefficiente Gini in tutti i paesi (da: wikipedia: Il coefficiente di Gini è una misura della diseguaglianza di una distribuzione. È spesso usato come indice di concentrazione per misurare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito o anche della ricchezza. È un numero compreso tra 0 ed 1. Valori bassi del coefficiente indicano una distribuzione abbastanza omogenea, con il valore 0 che corrisponde alla pura equidistribuzione, ad esempio la situazione in cui tutti percepiscono esattamente lo stesso reddito; valori alti del coefficiente indicano una distribuzione più diseguale, con il valore 1 che corrisponde alla massima concentrazione, ovvero la situazione dove una persona percepisca tutto il reddito del paese mentre tutti gli altri hanno un reddito nullo), sono indici del fatto che la concorrenza per ottenere profitti si è fatta feroce e sta sacrificando il benessere di milioni di persone in tutto il mondo. Allo stesso tempo attraversiamo una fase dello sviluppo capitalistico caratterizzata dalla distruzione di forze produttive su larga scala, come si è potuto vedere in Medio Oriente e in Africa, il che è complementare allo sviluppo di movimenti fascisti in tutto il mondo. È un’esacerbazione di quello che alcuni economisti chiamano la “distruzione creativa” del capitalismo e che ha il suo paradigma esemplare nelle guerre mondiali del secolo scorso.

Torniamo al tema catalano Come considerare questa differenziazione interna della borghesia in questo caso concreto? Ci si propone una divisione basata sul suo carattere nazionale: borghesia spagnola contro borghesia catalana – la teoria dello ‘scontro di treni’ – interpretando in questa chiave lo scontro del PdeCat con il PP (Partito Democratico Europeo Catalano di Puigdemont e Partido Popular di Mariano Rajoy, premier spagnolo, n.d.t.), dove il più forte liquiderà senza remissione il più debole. Ma questa soluzione semplicistica non sembra sufficiente per interpretare un’economia complessa e globalizzata com’è il capitalismo post-moderno e liberista. Ma si è anche detto che il capitale non ha

patria e che non c’è nulla di più codardo del denaro – come non smette di dire Jiménez Losantos (giornalista e scrittore, ha militato in gruppi di sinistra, n.d.t.); cioè che gli investitori se ne andranno dalla Catalogna nel momento in cui vedranno in pericolo i loro interessi, e non pare possibile spiegare questo fenomeno sulla base della cecità di una borghesia catalana riguardo ai propri interessi. Anche se si potrebbe dire che la borghesia catalana è messa alle corde dalla borghesia spagnola, che ha dimostrato sufficientemente nel corso della sua storia il suo carattere mafioso. Abbiamo bisogno, quindi, di una spiegazione più sviluppata. Ci sono tre tipi di capitalismo che svolgono la loro funzione nell’economia: finanziario, commerciale e industriale. Nella lotta per il profitto trionfa il più forte, cioè quello che realizza funzioni più importanti per la struttura sociale – il che nella società capitalista consiste nel maneggio del denaro, il capitale finanziario. Nell’economia di mercato comandano le banche, perché controllano il denaro come unità di conto e mezzo essenziale dell’interscambio. Cioè il governo spagnolo rappresenta gli interessi della borghesia finanziaria, che ha sufficienti risorse per controllare la borghesia commerciale e industriale, grazie al potere che dà il denaro. Forse allora possiamo considerare che il capitale finanziario ha provocato la crisi catalana per saccheggiare la Catalogna, e che gli altri strati della borghesia stiano cercando di difendere i loro interessi attraverso una lotta per il controllo del potere politico e chiamando alla mobilitazione generale il popolo catalano. Ci troviamo, quindi, nella tipica situazione di lotta nazionale guidata dalla borghesia catalana contro un imperialismo finanziario imposto dalle politiche neoliberiste predominanti nelle società occidentali. Per tutto quanto detto, questa è una lotta persa all’interno dei parametri della società capitalista neoliberista. A meno che la classe operaia prenda in mano la guida della lotta politica catalana, proponendo un’alternativa che trasformi le strutture stesse dell’ordine sociale vigente. Sarebbe possibile? Possiamo osservare che la classe operaia europea manifesta una completa subalternità a fronte degli

interessi del capitale finanziario dominante, e in Catalogna ci sono ampi settori di lavoratori che abbracciano l’unionismo spagnolo come strumento di lotta contro la propria borghesia nazionale. Non è un fenomeno nuovo, basta guardare alla storia per rendersi conto che si tratta di un fenomeno ricorrente, che costituisce la base sociale dell’imperialismo dai secoli finali della Repubblica di Roma. Come si può vedere, siamo davanti ad un problema politico di difficile soluzione che condiziona gravemente il futuro dei popoli dello Stato spagnolo. La chiave interpretativa della congiuntura storica è lo scontro economico e politico del vecchio imperialismo occidentale con le nuove potenze emergenti in Asia. Dato che la battaglia economica è già persa per l’Occidente, l’imperialismo è passato a sviluppare un confronto militare tra la NATO e gli Stati raggruppati attorno all’alleanza della Repubblica Popolare Cinese con la Federazione Russa. Questa contraddizione ci si presenta anche nel conflitto catalano, dove una società cinese ha fornito le urne che hanno reso possibile il referendum contro la repressione dello Stato spagnolo. È un simbolo che sembra una barzelletta; ma è molto serio ciò che sta succedendo. Altro sull’analisi di classe: possiamo classificare i borghesi in base alla dimensione delle loro proprietà in grande borghesia, media borghesia e piccola borghesia. C’è l’impressione – qualcuno mi smentisca se ha dati che provano altro – che l’enorme mobilitazione del popolo catalano il giorno 1° ottobre sia stata spinta principalmente da settori della piccola borghesia catalana, legati alla piccola e media impresa, ai settori del commercio, dell’industria e dell’agricoltura, compresi le piccole ditte dei lavoratori autonomi, i lavoratori qualificati e gli intellettuali di professione liberale. Classi medie in via di proletarizzazione che saranno le più colpite dalla distruzione del tessuto economico in Catalogna, e che hanno presentato un fronte di lotta importante e ben coordinato. È stata una mobilitazione esemplare, con un alto grado di organizzazione e con tattiche pacifiste di resistenza passiva, che ha commosso l’opinione pubblica mondiale. Ci fa pensare a Gandhi e a Martin Luther King, e dimostra la forza del tessuto sociale in

Catalogna, così come l’enorme influenza che l’anarchismo ha sempre avuto in questo paese. Settori della classe operaia hanno appoggiato a denti stretti questa mobilitazione; ma hanno cominciato ad appoggiarla. Questo è fondamentale e lo si può considerare un passo importante per il trionfo della causa repubblicana nella penisola iberica. Una classe operaia subalterna al grande capitale finanziario ci dà uno Stato spagnolo allineato con l’imperialismo della NATO, come abbiamo visto negli anni del bipartitismo “juancarlista”. Uno Stato che ora è immerso in un processo trasformista verso il fascismo di Felipe VI. Invece solo una classe operaia organizzata e alleata alla piccola borghesia contadina e intellettuale, capace di affermare la sua egemonia politica in una democrazia partecipativa per la costruzione del socialismo, può essere garanzia di un futuro migliore. Se la grande borghesia ha intenzione di saccheggiare la Catalogna per mantenere il tasso di profitto dei suoi investimenti, solo la lotta decisa della classe operaia, con l’appoggio dei settori in via di proletarizzazione, potrebbe offrire una resistenza sufficiente ai suoi piani. Altrimenti l’estorsione finanziaria riuscirà ad abbattere la resistenza della piccola borghesia. Così va interpretato il discorso di Puigdemont che proclama l’indipendenza e poi la pospone per proporre il dialogo con le forze sociali in sintonia con Ada Colau (sindaca di Barcellona, espressione di una lista “civica”con Verdi, Sinistra Civica e Podemos, n.d.t.) e con i consigli dei dirigenti di Podemos (di area socialista democratica, contrario alle politiche di austerità della UE; è il terzo partito del Congresso, n.d.t.). Sarebbe un errore, invece, che questa posizione fosse considerata il preambolo per sottomettersi ai diktat del grande capitale finanziario e alla sua strategia distruttiva della società contemporanea.

(*); da: rebelion.org; 12.10.2017 (*) Professore di filosofia, scrittore e attivista politico spagnolo (traduzione di Daniela Trollio C.I.P. “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni)

Lombardia e Veneto

Sconfiggere il disegno reazionario del referendum truffa

L’unica autonomia da conquistare è quella dei lavoratori dal capitale. Lavoratori e proletari rifiutino il voto Luciano Orio Pensiamo che i nostri lettori siano sufficientemente informati e diserteranno le urne del referendum del 22 ottobre. La consultazione referendaria dovrà esprimersi circa la concessione di maggior autonomia (soprattutto in materia fiscale) a Lombardia e Veneto, come proposto dai governatori leghisti Maroni e Zaia. Il referendum ci costerà circa 50 milioni di soldi pubblici, spesi inutilmente, dato che non produrrà alcun effetto concreto ed è pure ambiguo, perché non chiarisce gli indirizzi concreti da dare alla richiesta di maggior autonomia. Si tratta della solita ipocrita propaganda leghista cui strizza l’occhio

il PD, ma anche M5S, in un vortice di confusione politica e storica creato ad arte. C’è da farsi rizzare i capelli in testa di fronte a simili richieste quando si riportano i disastri combinati dai due governi regionali tra fallimenti e truffe bancarie, scandalo Mose e Pedemontana Veneta, inquinamenti e cementificazione dei territori, scandali sanità ecc. ecc., mentre l’indice di sfruttamento cresce, la disoccupazione dilaga in pianta stabile e i morti di lavoro aumentano (alla faccia delle cifre, statistiche e sondaggi con cui tentano quotidianamente di tranquillizzarci). Una volta scelto di starcene a casa, però, si tratta di capire un po’ di più il significato politico di questo passaggio all’interno di

un processo economico-politico che coinvolge l’Europa intera e di cui in questi giorni si fa un gran parlare per via di un altro referendum, in Catalogna. Ampi settori di borghesia lombardo-veneta lavorano da tempo sul piano economico e politico per favorire un processo di integrazione regionale a trazione “nordica”, teso al superamento dei limiti nazionali, attraverso un processo di secessione “morbida”. Servendosi a piene mani di propaganda e demagogia, usano questi inconsistenti referendum autonomisti, esclusivamente consultivi, per negoziare con il governo di Roma il riconoscimento di nuovi poteri e competenze e contrattare nuovi livelli della tassazione dovuta

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allo Stato. Se, come dice la Lega, l’obiettivo è quello di trattenere il 90% della tasse, ci rendiamo facilmente conto che è in gioco una partita importante, dell’ordine di decine e decine di miliardi di euro. Si capisce bene allora che c’è poco da votare: qui la secessione sarà solo per i padroni, la loro indipendenza di classe sarà largamente premiata, dato che a guadagnarci saranno solo loro. Per i lavoratori oppressi e sfruttati all’interno dello Stato centralizzato o della Regione federata poco cambierà: sfruttamento era e tale rimane. Piuttosto c’è da riflettere sulla crisi dello Stato nazionale in tempi di crisi generale del sistema. Si avvertono evidenti affinità con

situazioni analoghe (Catalogna, Scozia, Belgio): nella prospettiva di un’Europa a due velocità, le borghesie di ogni ordine e grado dei singoli paesi europei non possono che allinearsi e mantenere il passo, puntando sul carattere regressivo e reazionario della rivendicazione nazionale. In questi casi il bla-bla sull’identità storica e nazionale nasconde il puro ed egoistico interesse economico. In altri territori, tuttavia, questi processi presentano un carattere politico opposto (Donbass, Paesi Baschi). Non esistono quindi criteri formali; sono i rapporti di classe e le forze che li rappresentano a decidere del carattere regressivo o progressivo della rivendicazione nazionale. Come comunisti siamo

per l’indipendenza e la libertà dei popoli oppressi, ma questo non significa che sosteniamo qualunque nazionalismo. Sarà interessante vedere, anche nell’immediato futuro, lo sviluppo di queste contraddizioni e l’esito del referendum. Funzionerà ancora l’eterno slogan leghista “paroni a casa nostra” per aggregare il consenso popolare al carro delle spinte indipendentiste e dell’interesse capitalista? Nel frattempo godiamocela: la Scozia se ne va dal Regno Unito, la Catalogna si stacca dalla Spagna, l’Emilia si separa dalla Romagna e il Veneto perde Sappada, che va in Friuli, Treschè Conca e Lamon che passano al Trentino. Meglio del calcio-mercato, no?

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Germania

I miliardari tedeschi e gli schiavi del capitale

Disoccupazione crescente, bassi salari e conseguente mancanza di contributi pensionistici, lavoro precario e part time, “dumping salariale” e innalzamento dell’età pensionabile (già si discute tra 67 e 70 anni) per le donne, sovvenzioni alle agenzie di lavoro interinale, spese militari superiori a quelle per sanità e istruzione ecc. Fabrizio Poggi Alle elezioni del 24 settembre scorso la CDU/CSU, pur ottenendo il peggior risultato da 68 anni, ha ottenuto comunque il 33% dei voti, contro la debacle della SPD (20,5%) e l’avanzata (ampiamente prevista) della destra di AfD (12,6%), che ha superato FDP (10,7%), Die Linke (9,2%) e Verdi (8,9%). Al momento di andare in stampa, non è ancora chiaro quale sarà la coalizione di governo: immediatamente dopo il voto, la SPD ha dichiarato finita la “Grosse Koalitions” e si ipotizza un’alleanza “Jamaica”, dai colori della sua bandiera, che corrispondo a quelli di CDU/CSU, Verdi e FDP. Ma, indicativo della polarizzazione sociale, è il voto nei Länder dell’ex DDR, che avrebbe notevolmente contribuito alla tenuta della sinistra (+0,6% Die Linke a livello nazionale) ma, dall’altro, vede AfD diventare il primo partito in alcune circoscrizioni della Sassonia e il secondo nel Brandenburg. Patrik Köbele, presidente del Partito Comunista Tedesco (il DKP si è costituito nel 1968, dopo il bando, nel 1956, del KPD), aveva dato quasi per certa l’esclusione del partito dal Bundestag, a causa dello sbarramento del 5%. “C’è persino una grande probabilità che il risultato del DKP si collochi nettamente al di sotto dell’1%. Eppure presentiamo nostri candidati. Perché?”, aveva detto, quasi rispondendo a distanza a quei “comunisti” nostrani, pronti ad allearsi con D’Alema e Bersani. Nel programma elettorale del DKP figuravano la massiccia costruzione di alloggi popolari, 260.000 posti di lavoro in sanità e scuole: da far pagare ai “fautori delle guerre, dell’esodo e della povertà, con un’imposta sui milionari”. Già: i milionari. Nel bilancio federale 2017 il governo tedesco avrebbe previsto uno stanziamento di 21 miliardi di euro per i 6,4 milioni di cittadini beneficiari di Hartz IV e Sozialgeld (le indennità di disoccupazione varate nel 2005 dalla coalizione SPD-Verdi di Gerhard Schröder): poco più della metà, notava lo scorso agosto Susan Bonath su Die junge Welt, degli averi del tedesco più ricco, il fondatore della “Lidl”, Dieter Schwarz e che, stando alla rubrica Bilanz, ammontano a oltre 37 miliardi di euro. Schwarz fa parte del “club” dei 195 miliardari tedeschi, seguito dai vari Reimann (30 mld: Jacobs, cosmetici, Wella), Schaefflers (25,5 mld: pneumatici Continental), i fratelli Klatten e Quandt (BMW: 18 mld ciascuno), gli Albrecht (discount: Aldi süd, 21 mld e Aldi Nord, 18 mld), le farmaceutiche Boehringer (41 mld) e Merck (34 mld); poi Henkel (31 mld), Porsche (18 mld), Siemens (8 mld) e una serie di “poveracci” con meno di 10 miliardi ciascuno. Secondo Bilanz, i 1.000 tedeschi più ricchi possiedono oltre 900 miliardi di euro; contando gli oltre 170 miliardi dei 13 più ricchi tra i più ricchi, si ha un totale di oltre 1 trilione di euro, più di un terzo del PIL tedesco e Bilanz sottolinea come gli ultimi dodici mesi siano stati “un buon momento per le famiglie ricche nella maggiore economia d’Europa”, con un aumento del 12% dei loro beni. Si accumula ricchezza a un polo per aumentare la povertà all’altro polo, diceva Karl Marx. “Allo stesso modo che la riproduzione semplice riproduce costantemente lo stesso rapporto capitalistico, capitalisti da un lato e salariati dall’altro, la riproduzione su scala allargata, ossia l’accumulazione, riproduce il rapporto capitalistico su scala allargata: più capitalisti o più grossi capitalisti a questo polo e più salariati a quell’altro”. E infatti, scrive Bonath, va molto meno bene ai poveri. Secondo la relazione federale su povertà e ricchezza, due anni fa

la metà più povera della Germania possedeva solo l’1% del totale della ricchezza. Il 40% dei lavoratori dipendenti riceveva un salario reale inferiore a quello di metà anni ‘90. Secondo le associazioni sociali, circa 13 milioni di cittadini tedeschi vivono al livello di sussistenza. Si è avverato quanto scriveva tre anni fa Neues Deutschland: già allora sempre più pensionati erano occupati in minijob: 137.000 persone di età superiore ai 74 anni. A giugno 2013 erano 829.173 i minijobbers di almeno 65 anni: circa 36.000 in più rispetto al 2013 e quasi 270.000 più del 2003. Era in aumento anche il numero di dipendenti di oltre 65 anni di età soggetti all’assicurazione sociale: 183.435 persone, ovvero quasi 19.000 più del 2012. Ma c’è una parte della Germania in cui, all’accumulazione di miseria a un polo della società, si aggiunge anche l’accumulazione di povertà a un polo geografico, quello rappresentato dai territori che costituivano una volta la DDR e in cui, da oltre 25 anni, si è tirato a “lucidare” solo i maggiori centri turistici, desertificando regioni un tempo altamente industriali. Circa 1/4 degli occupati nella parte orientale del paese – quella annessa dopo il 1989, con una deindustrializzazione che ancora oggi impressiona, per il numero di edifici industriali in rovina sul territorio dell’ex DDR - lavora per salari minimi e le donne quasi solo part-time. È sufficiente essersi intrattenuti un po’ con abitanti della parte orientale del paese, che hanno vissuto l’esperienza della DDR, per rendersi conto di cosa abbia significato, l’annessione da parte dei colossi finanziario-industriali dell’ovest di tutto il tessuto produttivo orientale, in termini di mancanza di prospettive, per lavoratori ritrovatisi improvvisamente disoccupati e privi delle passate garanzie sociali. A inizio agosto, riporta ancora Susan Bonath, la Fondazione Hans Böckler si è concentrata sulla crescente povertà infantile, aumentata nel 2016 dal 19,7 al 20,3%: circa 2,7 milioni di bambini, circa 1/5 del numero complessivo, vivono a livello del minimo garantito o poco più. Soprattutto nella parte orientale, secondo mdr.de, aumenta la percentuale di bambini che vivono in famiglie a livello di sostentamento. In Sassonia-Anhalt, ad Halle, 1/3 di minori di 18 anni vive in famiglie che beneficiano dell’Hartz IV; a Magdeburgo, il problema riguarda il 30% dei minori; a Lipsia, in Sassonia, oltre il 25%. Complessivamente, circa due milioni di bambini dipendono da Hartz IV. Non che le cose vadano molto meglio anche in altre parti della Repubblica Federale. Appena due mesi fa, neuesdeutschland.de scriveva che in Bassa Sassonia il 20% degli occupati lavora con un “minijob”: 11% in più rispetto a dieci anni fa. Secondo le cifre fornite dal governo federale in risposta a un’interrogazione di Die Linke, nel 2016 erano circa 765.000 le persone occupate con un “minijob”: il 2,6% più del 2015. Con il 22,6% di lavoratori dipendenti, la Bassa Sassonia è poco al di sotto della quota federale del 23%; il 61% di “minijobbers” sono donne e quasi 1/3 del totale è occupato nei supermarket o nella ristorazione. Il tratto più appariscente, scrive l’ex organo della SED, è che nei minijobs siano occupati sempre più anziani. In Bassa Sassonia, il 31,4% degli occupati in lavori non qualificati ha un’età superiore ai 55 anni: il 50% in più di dieci anni fa. In generale, scriveva a fine agosto Die Linke, più di 2,5 milioni di persone sono costrette a svolgere un secondo lavoro. Ancora Susan Bonath su Die junge Welt del 9 settembre, scriveva della condizione particolarmente dura, anche nella

ricca Amburgo, per chi riunisce in una stessa persona il fatto di essere “anziana, povera e donna singola” e questo grazie soprattutto a lavoro precario e part time, “dumping salariale” e innalzamento dell’età pensionabile (già si discute tra 67 e 70 anni), con una differenza di 400 euro - 1.118 contro 710 - nella pensione di uomini e donne. Coloro che, uomini e donne, sono andati in pensione in anticipo, con assegni di poco superiori ai 600 euro, ricorrono sempre più numerosi all’Hartz IV. Secondo l’Ufficio federale di statistica, a marzo 2017, oltre un milione di pensionati dipendeva dagli assegni di sicurezza sociale: 50.000 persone più di due anni fa. Die Linke denuncia inoltre come dalle statistiche ufficiali diffuse in agosto fossero scomparsi quasi un milione di disoccupati: 2.544.845 invece di 3.456.023, tra maggiori di 58 anni, posti di lavoro a 1 euro, avviamento al lavoro, partecipazione sociale al mercato del lavoro, formazione e integrazione professionale, disoccupati malati ecc. Un quadro significativo della situazione attuale è stato dipinto da Olivier Cyran che, sul numero di settembre de Le Monde Diplomatique, con il titolo “L’inferno del miracolo tedesco”, descrive l’odissea dei disoccupati alle prese con i Centri per l’impiego e la disperazione degli anziani costretti a ricorrere ai minijob a causa di pensioni troppo basse. Cyran parla dei furgoni di “sostegno mobile”, organizzati dalla chiesa protestante, in aiuto ai disoccupati in difficoltà con l’alloggio, per il rincaro degli affitti che va al di là di quanto concesso dal Jobcenter: è il caso del 40% dei 500.000 Hartz IV di Berlino. Il BAGW, l’Associazione federale di assistenza abitativa, stima infatti che se nel 2014 335.000 persone erano prive di alloggio (+18% rispetto al 2012), saranno 536.000 nel 2018 (+60%); mancherebbero almeno 1 milione di appartamenti e poco meno di 2 milioni di persone vivono in condizioni abitative inadeguate. Le maggiori città, sono sempre più spesso attraversate da manifestazioni per la casa. Die Linke chiede la costruzione di 80.000 nuovi appartamenti sociali all’anno. Particolarmente odioso il quadro tracciato da Cyran di come il Jobcenter disponga della vita privata degli “assistiti”, secondo le linee tracciate già nel 1999 dai “socialdemocratici” Schröder e Tony Blair, in cui si decantavano le delizie del “lavoro a tempo parziale” e si predicava che “un impiego scarsamente remunerato è meglio che non avere un lavoro per niente”: del resto, vi si ispirano tutte le attuali “riforme del lavoro” della “sinistra in doppiopetto” europeista. Insomma: disoccupazione crescente, espansione di lavoro precario e bassi salari e conseguente mancanza di contributi pensionistici. La deregolamentazione del mercato del lavoro si basa su defiscalizzazione delle basi salariali, mini jobs a 400 euro al mese, soppressione dei limiti di ricorso al lavoro temporaneo, sovvenzioni alle agenzie di lavoro interinale che richiamano disoccupati di lunga durata, coda al Jobcenter per integrare la paga ridotta. I lavoratori interinali sono passati da 300.000 nel 2000 a quasi un milione nel 2016, mentre i lavoratori con salari inferiori ai 979 euro sono passati dal 18% al 22%; nel 2015 il salario minimo è stato portato a 8,84 euro l’ora, ma 4,7 milioni di lavoratori hanno un salario bloccato a 450 euro al mese. Diermar Bartsch, deputato di Die Linke, notava a settembre come il numero di ultra65enni che dipendono dai Servizi sociali sia aumentato del 44% negli ultimi dieci anni, passando da 364.535 nel 2006 a 525.595 nel 2016. Da un quarto di secolo, afferma Bartsch, tutti i governi federali hanno trasformato la Germania in

un paese di lavoro poco pagato e precario, mirando a distruggere le pensioni. La pensione dovrebbe assicurare un tenore standard di vita in età avanzata e proteggere contro la povertà. Dobbiamo assicurare che nessun anziano riceva meno di 1.000 euro e che il salario minimo legale salga a 12 euro l’ora. Nelle trasmissioni televisive pre-elettorali di settembre, i cittadini rimpiangevano addirittura i livelli pensionistici dell’era Kohl, accusavano il governo di lavorare per le compagnie pensionistiche private (cui sono costretti a ricorrere i lavoratori, senza che i padroni vi versino alcunché) e rivendicavano livelli pensionistici austriaci, mediamente di 800 euro più alti che in Germania. L’altra faccia del “miracolo tedesco” è rappresentata dalla scuola. Dieci anni fa, Angela Merkel aveva annunciato un Bildungsrepublik Deutschland, con miliardi di investimenti per materne, scuole, e università: le spese per istruzione e ricerca avrebbero dovuto aumentare fino al 10% del PIL. Ma, secondo il DGB, il 13,8% dei giovani è oggi privo di qualifica professionale e quasi 1,4 milioni di essi, tra i 20 e i 29 anni, non hanno alcuna formazione. Secondo il Ministero dell’istruzione, testi semplici non sono comprensibili per circa 7,5 milioni di persone, non in grado di leggere e scrivere correttamente.

Esportatrice di armi In compenso, la Germania (7%) occupa il terzo posto mondiale (dietro USA, 30% e Russia, 26%) con un export annuo di armi di circa 7 miliardi di euro e il Ministero della difesa prevede una spesa 130 miliardi di euro nei prossimi 13 anni, per modernizzare i sistemi d’arma e potenziare la Bundeswehr: il 2% del PIL, come richiesto dalla NATO, invece dell’attuale 1,2%, con le spese per la difesa superiori a quelle per sanità e istruzione. Ciò significa 33 miliardi in più all’anno, con cui si potrebbero ristrutturare tutte le scuole in appena 12 mesi. A questo si somma il costo per le 55 missioni militari estere: 17 miliardi dal 1992 a oggi. Con i previsti 3,6 miliardi per carri armati e navi da guerra, scrive Die Linke, si potrebbero aumentare a 5 miliardi le sovvenzioni federali per gli alloggi sociali, con un loro incremento annuo di 250.000 unità, nel momento in cui cresce continuamente il numero di senzatetto. Altri 6 miliardi per unità da combattimento e droni spia permetterebbero di retribuire per 5 anni 28.000 infermieri in più per la cura degli anziani. Invece di ulteriori soldati per 280 milioni di euro l’anno, si potrebbero occupare 1.500 lavoratori qualificati, per emergenze umanitarie nei paesi in via di sviluppo. La questione del disarmo è uno dei temi centrali, sia per DKP, sia per Die Linke: al culmine della settimana

“Stop Ramstein”, lo scorso 9 settembre, una catena umana di 5.000 persone aveva manifestato contro “i droni da guerra e l’uso della base aerea di Ramstein per gli omicidi extralegali e la partecipazione alle guerre in tutto il mondo”.

Perenni impunità dei nazifascisti La risposta del governo federale è costituita da perenne impunità per le violenze della destra e repressioni contro la sinistra, anche contro le reti di informazione indipendenti, com’è il caso di “Indymedia”, accusata di aver “incoraggiato le rivolte al G-20 di Amburgo, in una spirale di sforzi combinati della coalizione “nero-rossoverde” a Berlino e Amburgo, volta a demonizzare i manifestanti come criminali. Ciò, mentre i nazionalisti di AfD, presenti anche tra le file della Bundeswehr, o i fascisti di Holger Arppe, attivi specialmente in Mecleburgo-Pomerania (un altro Land dell’ex DDR, al pari o forse più della Sassonia, in cui più accese sono le espressioni di razzismo e in cui si alimentano le simpatie anche per i nazisti del NPD, tanto che alle elezioni regionali di un anno fa, AfD aveva superato la CDU) possono impunemente minacciare di omicidio via internet i militanti di sinistra, senza che le procure vi scorgano rilevanza penale. Così come, di fronte ai cortei neonazisti, gli esponenti di CDU e CSU adottano la “Dichiarazione di Berlino”, contro “delinquenti stranieri, estremismo di sinistra, tifoserie e Internet”. Il 9 settembre scorso Der Spiegel scriveva che, a due settimane dal voto, “il 46% dell’elettorato è ancora indeciso sulla scelta”, buona parte della “popolazione si sente non rappresentata o abbandonata dai partiti” e la maggioranza della parte “orientale della stessa capitale Berlino si sente di 2° classe”. In tale situazione, era abbastanza logico che determinate forze - e tra queste, nei fatti se non nelle dichiarazioni, anche quelle di governo - incanalassero contro i migranti il malcontento di quelle periferie, di quei settori declassati, dei lavoratori impoveriti dalle scelte di tutti i governi negli ultimi 30 anni. I risultati nei Länder dell’ex DDR, i più sottoposti a tale scempio, sembrano dimostrarlo, con una polarizzazione dello scontro sociale che, a livello elettorale, si è tradotta in un voto che, da una parte, sembra aver notevolmente contribuito, secondo Die junge Welt, per un buon 5% alla tenuta della sinistra e, dall’altro, vede AfD diventare addirittura il primo partito in alcune circoscrizioni della Sassonia e il secondo nel Brandenburg. I poli elettorali come specchio della contrapposizione sociale.

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rassegna stampa

Notizie in breve dal mondo settembre 2017 Buenos Aires, Argentina 1° settembre

federali dell’Immigrazione. Si stima che gli “indocumentati” nello stato californiano siano circa 2 milioni. Il progetto prevede sostegno finanziario per l’assistenza giuridica e borse di studio universitarie, oltre alla proibizione per gli imprenditori privati e i funzionari pubblici di rivelare la condizione migratoria delle persone assunte. Proibisce anche alla polizia di indagare sulla condizione migratoria, di tenere in prigione eventuali arrestati più del tempo assegnato al reato per indagare sulla loro condizione.

Nella storica Plaza de Mayo più di 250.000 persone si sono riunite per protestare e chiedere la “apariciòn con vida” di Santiago Maldonado, giovane arrestato dalla gendarmeria durante la repressione delle proteste mapuche a Lof de Cushamen, nel Chubut, regione della Patagonia argentina. Il 1° agosto circa 100 agenti della Gna (Gendarmeria nazionale argentina) sono entrate illegalmente nel territorio della comunità mapuche Pu Lof, sparando proiettili di piombo e gomma. Alcuni testimoni hanno visto fermare Santiago, giovane attivista di 28 anni. Da allora è scomparso.

Saint Louis, USA 18 settembre

Più di 80 persone sono state arrestate nella terza giornata di proteste contro l’assoluzione di un poliziotto bianco che uccise un automobilista nero, Anthony Lamar Smith. Le manifestazioni sono cominciate pacificamente, ma ieri gruppi di persone hanno sfidato l’ordine di disperdersi della polizia. Più di 1.000 persone presidiavano il Dipartimento di Polizia, dopo aver marciato per alcuni quartieri della città. Nella notte gruppi di decine di manifestanti si sono diretti nel centro della città, rompendo vetrine di negozi e hotels.

Washington, USA 4 settembre

Donald Trump annuncia che cancellerà il DACA, programma di Attenzione ad Azione Differita per gli immigrati arrivati nell’infanzia, che protegge dalla deportazione circa 800 mila giovani entrati negli USA senza documenti con meno di 16 anni. Tale programma, che Trump vuole cancellare, oltre ad impedire la deportazione, concede permessi di lavoro ai giovani. Il Congresso avrà sei mesi di tempo, secondo Trump, per varare una legge in merito. In campagna elettorale Trump aveva promesso di cancellare immediatamente il programma ma, di fronte a proteste provenienti anche dai repubblicani, ha concesso i 6 mesi al Congresso per varare una nuova legge.

Londra, Inghilterra 5 settembre

Sono stati arrestati 4 membri di un gruppo di estrema destra che, secondo il Ministero della Difesa britannico, preparavano attentati terroristici. I 4 arrestati fanno parte dell’Esercito inglese, ed appartengono anche al gruppo neonazista Azione Nazionale, illegale in Inghilterra.

Washington, USA 5 settembre

Donald Trump ha annunciato che permetterà la vendita di “equipaggiamento militare sofisticato” al Giappone e alla Corea del Sud. Secondo la legge USA sull’esportazione di armi, il presidente deve informare il Congresso 30 giorni prima se si tratta di una vendita maggiore di 14 milioni di dollari. La dichiarazione segue alla sesta prova nucleare realizzata dalla Corea del Nord e cade nel secondo giorno di esercitazioni militari congiunte tra Corea del Sud e USA nelle acque vicine alla penisola di Corea.

Newark, USA 6 settembre

E’ cominciato oggi il processo per corruzione al senatore Robert “Bob” Menèndez. E’ la prima volta in 36 anni che un senatore USA siede sul banco degli imputati, e non si tratta di uno “qualunque” Di origine cubana, Menèndez ha presieduto la potente Commissione per le Relazioni Estere del Senato, dimostrandosi uno dei più feroci nemici di Cuba, Venezuela e dei movimenti latino-americani. Menèndez, che ha perso ben 3 appelli in tribunale, è accusato di aver ricevuto circa 800.000 dollari, regali, viaggi e vacanza per un totale di 18 casi di corruzione.

Parigi, Francia 6 settembre

È morta oggi, all’età di 82 anni, la scrittrice femminista Kate Millet. Il suo libro più famoso, Sexual Politics (La Politica del sesso), considerato il manifesto del femminismo di seconda generazione, fu pubblicato nel 1970.

Brasile, 7 settembre

Nel quadro della 22° giornata dedicata al “Grido degli Esclusi” – storicamente dedicata a chiedere migliori condizioni di vita e di lavoro per i più poveri, in cui si commemora anche l’indipendenza del Brasile, in molte città si sono svolte manifestazioni contro il governo Temer: 20.000 manifestanti a Rio de Janeiro, 10.000 a Belo Horizonte, 5.000 a Macreiò, 15.000 a San Paolo, tutti al grido di “Via Temer, non un diritto in meno”.

Siria, 8 settembre

Secondo l’agenzia russa Sputnik, che ha citato fonti diplomatico-militari, durante gli ultimi giorni di agosto le forze statunitensi hanno evacuato almeno 20 comandanti del Daesh dalle zone circostanti la città di Deir al-Zur. Elicotteri USA li hanno trasportati in zone ancora controllate dal Daesh nel nord del paese.

Madrid, Spagna 10 settembre

Il quotidiano digitale Pùblico scrive oggi che l’Esercito spagnolo ha addestrato nella base di Moròn de la Frontera 18 piloti del contingente Eurofighters che ora stanno realizzando attacchi aerei in Yemen. Composto da membri dell’élite militare saudita, questo gruppo di piloti ha soggiornato per mesi in Spagna tra il 2010 e il 2011 grazie ad un accordo di cooperazione tra i due paesi. Sono stati addestrati sui caccia Eurofihter Typhoon spagnoli, identici ai 72 venduti dalla britannica Bae System all’Arabia Saudita. In base al suddetto accordo l’Arabia Saudita ha comprato da società spagnole 200 carri armati Leopardo

ed altro materiale militare. I bombardamenti dei sauditi hanno già fatto più di 12.000 morti e 20.000 feriti in uno dei paesi più poveri in assoluto al mondo.

Buenos Aires, Argentina 13 settembre

Chiamate dal Comitato Argentino di Solidarietà con il Popolo Palestinese, migliaia di persone hanno manifestato oggi contro la visita di Benjamin Netanyahu in Argentina davanti al Consolato israeliano. Proteste vivissime anche contro il sequestro – preventivo e in violazione della sovranità del paese - di due militanti argentini da parte di agenti del Mosssad israeliano, che sono stati portati all’ambasciata, denudati, colpi, interrogati e minacciati di morte.

Sacramento, California 16 settembre

Approvato oggi un progetto per proteggere gli immigrati senza documenti e restringere la collaborazione tra la polizia locale e gli agenti

memoria

Parigi, Francia 23 settembre

Decine di migliaia di persone (150.000 secondo gli organizzatori e 30.000 secondo la polizia francese) hanno manifestato a Parigi contro la riforma del lavoro approvata dal governo Macron venerdì scorso. La manifestazione era convocata da France Insoumise di Jean.Luc Mélenchon contro le politiche di austerità ed è stata la più grande fatta fino ad ora a Parigi.

Germania, 24 settembre

Migliaia di persone, soprattutto giovani, hanno manifestato in varie città della Germania, tra cui Colonia, Amburgo e Francoforte, contro la vittoria elettorale di Alternativa per la Germania (AfD), un partito dichiaratamente nazista. A Berlino hanno bloccato per ore un locale, nei pressi della Alexander Platz, affittato dalla AfD per festeggiare la vittoria.

Damasco, Siria 28 settembre

L’agenzia informativa SANA informa oggi di un attacco aereo, avvenuto nella regione di Deir Ezzor, nell’est del paese, per mano delle forze della coalizione USA-Europa, in cui è stato utilizzato il fosforo bianco. Sono morte 3 persone ed altre 5 sono state ferite. Da tempo il governo siriano denuncia l’uso di munizioni al fosforo bianco negli attacchi della cosiddetta coalizione che - secondo lo stesso Osservatorio Siriano dei Diritti Umani, organismo filo-USA!! – hanno causato la morte di almeno 2.800 civili siriani, tra cui 615 bambini.

La strage di Sabra e Chatila

Il 14 settembre 1982 viene assassinato a Beirut il leader maronita e presidente eletto libanese Bashir Gemayel. Due divisioni delle forze armate di Israele, al comando del ministro della Difesa Ariel Sharon, invadono Beirut ovest il giorno seguente, accerchiando completamente i campi di rifugiati palestinesi di Sabra e Shatila. Il capo di Stato maggiore israeliano Rafael Eitàn e Sharon si riuniscono con i dirigenti della Falange cristianolibanese nell’aeroporto di Beirut e concordano manovre congiunte per il giorno dopo. Il 16 settembre comincia il massacro: centinaia di falangisti armati entrano nei campi; violentano, mutilano, assassinano, seppelliscono vivi donne, bambini e anziani per più di 30 ore. Le forze armate israeliane israeliane sparano bengala nella notte per “illuminare” il lavoro dei falangisti. Almeno 3.000 rifugiati palestinesi vengono barbaramente assassinati. Così scrive Robert Fisk, uno dei primi giornalisti ad entrare nei campi: Furono le mosche a farcelo capire. Erano milioni e il loro ronzio era eloquente quasi quanto l’odore. Grosse come mosconi, all’inizio ci coprirono completamente, ignare della differenza tra vivi e morti. Se stavamo fermi a scrivere, si insediavano come un esercito – a legioni – sulla superficie bianca dei nostri taccuini, sulle mani, le braccia, le facce, sempre concentrandosi intorno agli occhi e alla bocca, spostandosi da un corpo all’altro, dai molti morti ai pochi vivi, da cadavere a giornalista, con i corpicini verdi, palpitanti di eccitazione quando trovavano carne fresca sulla quale fermarsi a banchettare… … Erano dappertutto, nelle strade, nei vicoli, nei cortili e nelle stanze distrutte, sotto i mattoni crollati e sui cumuli di spazzatura. Gli assassini – i miliziani cristiani che Israele aveva lasciato entrare nei campi per «spazzare via i terroristi» – se n’erano appena andati. In alcuni casi il sangue a terra era ancora fresco. Dopo aver visto un centinaio di morti, smettemmo di contarli. In ogni vicolo c’erano cadaveri – donne, giovani, nonni e neonati – stesi uno accanto all’altro, in quantità assurda e terribile, dove erano stati accoltellati o uccisi con i mitra. In ogni corridoio tra le macerie trovavamo nuovi cadaveri. I pazienti di un ospedale palestinese erano scomparsi dopo che i miliziani avevano ordinato ai medici di andarsene. Dappertutto, trovavamo i segni di fosse comuni scavate in fretta. Probabilmente erano state massacrate mille persone; e poi forse altre cinquecento. Il primo ministro Begin afferma: “A Shatila dei non ebrei hanno ammazzato dei non ebrei. Cosa abbiamo noi a che vedere con questo?”. Ma, grazie al movimento pacifista Shalom Ahshav, in Israele il 25 settembre ha luogo la più grande manifestazione di protesta nella storia del paese, per chiedere conto delle responsabilità, le dimissioni del governo e una inchiesta indipendente. Nessuno pagherà per questo orribile crimine.

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Sudafrica, 29 settembre

Sciopero generale in tutto il paese, proclamato dal COSATU (Congresso dei Sindacati del Sudafrica) contro la corruzione e per migliori condizioni di vita della classe operaia. A Johannesburg migliaia di lavoratori in camicia rossa hanno assediato la sede del Comune; a Città del Capo la manifestazione si è svolta sui binari della stazione per protestare contro “l’inferno quotidiano” cui sono costretti i lavoratori che utilizzano i treni;il cui stato causa ogni giorno incidenti e morti tra i viaggiatori. Altre manifestazioni si sono svolte a Durban, East London e Port Elizabeth.

Buenos Aires, Argentina 30 settembre

Nella Giornata Internazionale per il Diritto all’Aborto, una marea di donne, con un fazzoletto verde al collo, si è riversata nelle strade della capitale per chiedere l’approvazione del progetto di legge che da un anno il Congresso rifiuta di discutere (ogni anno nel paese si registrano circa 35 morti per aborto clandestino). Partita dalla storica Plaza de Mayo la manifestazione è arrivata alla piazza del Congresso.

Cuba, 23 agosto

Le donne cubane celebrano oggi il 57° anniversario di un’organizzazione che è stata baluardo delle battaglie per la loro emancipazione, parità e uguaglianza sociali. La Federazione di Donne Cubane (FMC), creata il 23 agosto 1960, ha riunito diverse organizzazioni femminili, per incanalare i loro sforzi nella difesa del ruolo della donna nel processo rivoluzionario del paese nato da poco. Il Presidente cubano, Raúl Castro, ha inviato un augurio a tutte le donne del paese, ha informato la televisione nazionale e la segretaria generale della FMC, Teresa Amarelle, ha detto che ricevere il messaggio del Presidente cubano - oltre a rappresentare un orgoglio - presuppone un grande impegno per le cubane nel loro agire quotidiano in tutte le sfere della società, per la continuità dell’opera della Rivoluzione.

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La rubrica delle lettere è un punto fisso di quasi tutti i giornali. Noi chiediamo che in questa rubrica siano presenti le vostre lettere, anche quelle che spedite ai vari quotidiani e riviste che non vengono pubblicate. Il sommerso a volte è molto indicativo

COMPARINI IN SOCCORSO DI COLANINNO? Il segretario provinciale della Fiom ha dichiarato a mezzo stampa che esiste una sola Fiom e quindi le voci dei delegati eletti dai lavoratori debbono soccombere contrastando con quelle della segreteria Cgil. Per noi la democrazia è ben altra cosa e bene fanno i delegati combattivi della rsu in Piaggio e Continental a contestare e respingere la linea collaborazionista e arrendevole della segreteria Fiom rispetto a Confindustra e Colaninno perché questa è la volontà dei lavoratori. Colaninno vuole introdurre una rapida e intensiva nuova teconologia in tutta la filiera produttiva, dietro all’innovazione tecnologica ci sono gli esuberi dal ciclo produttivo, a partire dalla verniciatura e dai vari magazzini (logistica) appaltati ad altre aziende. Colaninno non baderà a spese per le innovazioni tecnologiche e a farne le spese saranno gli operai della Piaggio e dell’indotto, posti di lavoro sacrificati per accrescere i già elevati profitti della Piaggio. Nel frattempo l’azienda beneficerà di finanziamenti statali previsti da Industria 4.0. La levata di scudi del segretario Comparini contro i delegati scomodi è funzionale agli interessi di Colaninno, ma poi siamo certi che la maggiore competitiva sui mercati potrà garantire riduzione dei carichi di lavoro e salvaguardia dell’occupazione? Noi siamo certi di No! La Segreteria provinciale della Fiom non vuole opposizione nelle fabbriche ed è disposta a tappare la bocca a tutte le voci scomode. Sono anni che il padronato ristruttura le proprie fabbriche introducendo macchinari e accadrà così anche per questa rivoluzione industriale 4.0. Avremo così un’enorme capacità di produrre merci che il mercato non riuscirà comunque ad assorbire, perché senza salario e reddito non ci sono soldi per acquistare i motorini. Per assecondare Colaninno e Confindustria, Cgil Cisl Uil stanno già invocando leggi antisciopero e provvedimenti repressivi contro gli operai conflittuali, daranno una mano al padrone nel riempire le liste di licenziamenti di chi non vuole abbassare la testa. Faranno i sindacalisti dentro a fabbriche piene di robot senza operai/e elemosinando la magnanimità dei padroni e ottenendo in cambio la cogestione dei fondi pensioni, della sanità integrativa e dei fondi assicurativi, cui aggiungere il business dei Patronati. Ma le più importanti conquiste del movimento operaio sono arrivate quando il sindacato ha messo apertamente in discussione il modello di sviluppo capitalista, i ritmi e i tempi di lavoro, le qualifiche e le categorie costruite per dividere gli operai/e. La posta in gioco è di vitale importanza, bisogna difenderci per portare a casa un pezzo di pane ma per farlo bisogna anche pensare ad un’organizzazione del tutto diversa della produzione e della società, una società dove la produzione non sia più guidata da singoli imprenditori in reciproca concorrenza, ma da tutta la società secondo un piano programmato e determinato e secondo il fabbisogno dei suoi cittadini. Il sindacato generale di base sostiene la maggioranza dei delegati e operai/e combattivi Piaggio e Continental, certi che non saranno gli esuberi a rilanciare la produzione, del resto tra part time e cassa integrazione la forza lavoro è in costante riduzione. Urge rivendicare la riduzione di orario a parita di salario soprattutto alla vigilia di trasformazioni tecnologiche importanti. Dobbiamo iniziare a fare una seria lotta a tutte le forme di delocalizzazione delle produzioni. Così come dobbiamo lottare per una forte riduzione dell’età pensionabile. Tre strumenti semplici ma necessari se non vogliamo subire un altro ventennio di sfruttamento miseria e umiliazioni. Antonio Piro/Federico Giusti Pisa

“SICUREZZA”, IMMIGRATI E SALVATAGGI IN MARE Alla Festa de “L’Unità” di Certaldo, prima di un dibattito sul clima, con un preavviso di poche ore, è stato organizzato dal P.D. un intervento del ministro Minniti senza prevedere interventi e domande dal pubblico. Nella presentazione al ministro il segretario regionale del P.D. Parrini ha esposto la linea del suo partito sul tema della “sicurezza”: la percezione dell’insicurezza che molti cittadini sentono non va combattuta contrapponendole dati reali, ma cercando di strappare alle destre xenofobe il monopolio della trattazione di questi temi per dargli la “dovuta” importanza. Secondo Parrini e P.D. non importa la realtà dei fatti, la diminuzione dei reati, il ruolo dei migranti ecc., conta rincorrere Lega, Fratelli d’Italia e 5 Stelle e contribuire a raggranellare consensi fomentando la guerra tra poveri. In questo quadro di meschina demagogia populista i provvedimenti di Minniti hanno trovato l’appoggio delle destre, che, per altro, rivendicano la primogenitura di tali posizioni.Tali provvedimenti si possono sintetizzare nell’ostacolo dei salvataggi in mare e nel finanziamento di qualche generale libico al fine di imprigionare i migranti in campi di concentramento libici, in condizioni disumane. Si vuole creare un modello turco anche per la Libia, demandare a macellai locali la gestione dei migranti. Alcuni compagni di Rifondazioni, insieme ad altri giovani e militanti antirazzisti, al termine del discorso di Minniti hanno manifestato con grida e ululati la loro contrarietà, impossibilitati dagli organizzatori ad intervenire ed esprimer le loro posizioni. Essendo uno di quei compagni voglio esporre le mie posizioni. 1)Alla base del fenomeno migratorio c’è la politica imperialista delle potenze occidentali, che usano la guerra per affermare la loro egemonia militare ed economica e depredare i paesi sottosviluppati; 2)La fuga dalla miseria e dai teatri di guerra è causata dalla borghesia imperialista e dai governi che la rappresentano. In questo senso il governo italiano e l’industria di armi italiana sono tra le cause dell’emigrazione; 3)Nauseante è l’ipocrisia del P.D. quando dice di voler gestire l’immigrazione al contrario delle destre che vogliono bloccarla: entrambe hanno sostenuto l’intervento militare italiano presentandolo come “missioni di pace”, tradendo la nostra Costituzione, ed ora si rincorrono sul piano della fomentazione della guerra tra poveri; 4)La soluzione definitiva dei flussi migratori è la fine della politica imperialista e guerrafondaia; 5)Sperare che i fabbricanti di armi e le multinazionali abbandonino la loro politica è un’utopia. Soltanto un regime socialista può farlo e la storia lo dimostra; 6)I comunisti e tutti i sinceri pacifisti devono lottare per il cambiamento del sistema economico borgheseimperialista come condizione necessaria per un mondo migliore basato sulla fratellanza dei lavoratori di tutti i paesi. Orlando Simoncini Castelfiorentino

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Realtà da avanspettacolo...

Il traffico di politici che si scontrano sulle varie reti televisive per parlare tanto e non fare niente, mi fa riflettere sul fatto che la politica non è più l’arte del buon vivere, bensì l’arte di arrangiarsi. Osservandoli infastidito spremo come un limone il telecomando nel tentativo di allontanarli dal canale per poi vedermeli apparire su di un altro. Ci vogliono giudici spettatori, costretti a memorizzare le loro squallide beghe personali in vista di campagne elettorali condannate all’insuccesso. Momentaneamente ci abbandonano per l’intervallo che dà la parola a colei che è l’anima del commercio: la pubblicità corredata dai messaggi della società dei consumi (o sprechi), che ci invita a far incetta di prodotti che, una volta usati, lasceranno sul campo come in una guerra il loro bottino di tonnellate di imballi che non vorremmo vedere, ma che certamente contribuiranno a mantenere comode poltrone a certi santoni che dell’ecologia hanno fatto un metodo di vita e di resurrezione dopo la morte del ‘68. Movimenti, movimentini e partitini che, come i topi, inseguiranno il formaggio grana, mentre i cosiddetti partitoni, avendo esaurito la loro storia, decidendo di rinunciare alla pensione, cambiano e ricambiano simboli e gli manca solo un intervento di plastica facciale per presentarsi al popolo sovrano come artefici del nuovo corso. Il nuovo consisterebbe nel farci abbandonare l’idea di andare in pensione con 35 anni di contributi. E chissà mai se con qualche trattativa sindacale si riuscirà anche ad ottenere la camera ardente sul posto di lavoro con il relativo funerale pagato dall’Inps. Ci sentiamo dire che bisogna fare sacrifici per finanziare i partiti e i loro organi di stampa. Gli ospedali sarebbero troppi e dispendiosi e intanto il territorio si arrichisce di ospedali incompiuti trasformati in vere e propie cattedrali nel deserto. Vedasi ad esempio l’ospedale ferrarese di Cona portato a termine dopo una ventina di anni e con una vagonata di miliardi in lire o di milioni di euro, situato in località “Valle della morte” e pare non sia di buon auspicio per chi entra facendo i debiti scongiuri trattandosi di ospedale galleggiante sulle accque e continuando di questo passo, non vorrei che in futuro i barellieri venissero sostituiti dai gondolieri. Ci parlano di risalita dell’economia mentre i disoccupati non possono nemmeno nutrirsi di aria perchè anche questa gliela hanno inquinata. Siamo costretti a convivere con la criminalità, mentre le tangenti proseguono indisturbate il loro corso. Il nostro più che un Parlamento, ha l’aria di essere una società di brevetti con proposte di primo e secondo turno, all’inglese o alla francese, di premierato, di semipresidenzialismo, di ritorno al proporzionale e chi più ne ha più ne metta. Per non parlare del vizio di proporre inutili e costosi referendum che difficilmente supereranno il quorum e se lo fanno saranno successivamente resi nulli o aggirati. Questa è la realtà da avanspettacolo che la regia politica manda in scena quotidianamente per stancarci di giorno ed addormentarci la sera. La nave sta lentamente affondando, salviamola evitandole la fine del Titanic. A. Finotti Milano

Dalla Sardegna Bombe sullo Yemen

I sindacati confederali del Sulcis Iglesiente con la Confindustria Sardegna Meridionale hanno emesso un comunicato dove ribadiscono fermamente il diritto dei lavoratori e della società Rwm Italia SpA di esercitare serenamente il diritto al proprio lavoro e all’iniziativa economica. Lavorare serenamente per produrre armi che vengono vendute all’Arabia Saudita utilizzate per bombardare lo Yemen. Bombe non intelligenti che uccidono la popolazione, comrpeso i bambini, e provocano un’enorme crisi umanitaria colpita da un’epidemia di colera che ha ucciso 1.600 persone e una carestia che ne ha messo alla fame milioni. Ancora una volta si ripresenta la stessa scelta che si è già presentata in altre fabbriche tra lavoro e salute. Qui si tratta di lavoro e guerra, intesa come collaborazionismo imperialista. RWM è una delle rare realtà industriali ancora rimaste nel Sulcis Iglesiente, 270 lavoratori più numerose imprese di appalto, e sembra utopico parlare di riconversione industriale soprattutto di fronte al collaborazionismo di Cgil-Filctem e Cisl-Femca. Mario Franco Pesaro

nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) anno XXVI n. 5/2017 - Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze - tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Michele Michelino, Luciano Orio, Fabrizio Poggi, Daniela Trollio abbonamento annuo Italia euro 26,00 abbonamento annuo sostenitore euro 104,00 abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20 I versamenti vanno effettuati sul c/c postale nr. 001031575507 intestato a: nuova unità - Firenze Stampato interamente su carta riciclata, nessun albero è stato abbattuto per farvi leggere queste pagine Chiuso in redazione: 15/09/2017

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