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Periodico comunista di politica e cultura n. 1/2018 - anno XXVII
È il colmo dell’ottusità e dell’ipocrisia credere che si possa, per mezzo delle votazioni, conquistare prima la maggioranza e solamente dopo il potere Lenin
L’interesse del proletariato L’obiettivo della ricostituzione del partito comunista è all’ordine del giorno dei comunisti rivoluzionari Siamo in campagna elettorale, che in effetti è partita da tempo, grazie anche alla piaggeria dei vari mezzi di informazione. Tutti, lacerati dalle scelte dei candidati, sono lanciati in una gara di promesse improbabili e tutti uniti per convincere gli elettori ad andare a votare. Con una legge, peraltro, diabolica e truffaldina che non garantisce assolutamente quella stabilità tanto invocata da governo e politici. Anche la sinistra è sensibile al richiamo delle sirene del voto alimentando illusioni, parlamentarismo e fiducia negli strumenti della democrazia borghese. Ebbene noi, ancora una volta, ci distinguiamo e ci pronunciamo per l’astensionismo. Perché? Perché nessuna forza che si candida può rappresentare gli interessi della classe lavoratrice nell’attuale situazione e perché siamo convinti che la macchina statale borghese deve essere demolita e non si possa semplicemente impossessarsene. Ci richiamiamo all’unico modo per cambiare effettivamente le condizioni drammatiche in cui si vive e che, nonostante le “rassicurazioni” dei governanti, peggioreranno sempre più. Da marxisti e leninisti ci basiamo su teorie scientifiche, e non dogmi incontrastabili, che sono state applicate con successo e che sono più che mai valide. Seguendo Marx (ricordiamo quest’anno i 170 anni del “Manifesto” del partito comunista) e Lenin sappiamo che solo distruggendo il capitalismo e con esso tutti i borghesi, che solo capovolgendo i rapporti di forza a favore del proletariato si può instaurare un sistema sociale di liberi dallo sfruttamento. Ma per arrivare a questo ci vuole un autentico partito comunista che non ripercorri le teorie riformiste ed opportuniste che la spudorata disonestà intellettuale ha portato alla sconfitta del PCI. Il partito, per permettere alla classe operaia di soppiantare e sostituirsi alla borghesia confermando che gli operai possono “fare da sé e fare bene”, impadronirsi della produzione e avviare una rigenerazione di tutta la società, come sosteneva Gramsci. Sappiamo che la costruzione del partito comunista è opera lunga e complessa, comprende l’organizzazione, la struttura, il metodo e il contenuto del lavoro rivoluzionario, l’assimilazione del marxismoleninismo e farne pratica nella vita interna e nell’azione politica del partito con l’obiettivo di portare la lotta di classe alla rivoluzione. Cosa ben diversa da un’adesione generale a un movimento rivoluzionario. Quando si parla di rivoluzione, di presa del potere, di rovesciamento della borghesia si deve essere coscienti che al proletariato è necessario il suo stato maggiore, cioè il partito leninista. Qualcuno dirà che ce ne sono anche troppi di partiti comunisti nel panorama italiano, ciò che distingue la nostra concezione è che per noi il partito comunista, pur “rappresentando” gli interessi delle masse lavoratrici, attua la volontà di una determinata parte delle masse, quella più avanzata, la parte del proletariato che vuole rovesciare il regime esistente con mezzi rivoluzionari per fondare il comunismo. Guardiamo a Gramsci perché ha posto le basi e indicato la strada per compiere in Italia la rivoluzione proletaria, non a caso il fascismo lo imprigionò perché capo del Partito Comunista e riferimento del proletariato italiano e lo condannò per la grande opera da lui svolta. Ma al tempo stesso guardiamo a Lenin e Stalin tanto più oggi che il revisionismo, il riformismo, lo sviluppo di teorie di ogni genere: dalla fine della storia, alla fine dell’ideologia, alla scomparsa della classe operaia ecc. ecc. - generate o da precisi interessi di classe della borghesia, o da interpretazioni errate circa le forme assunte dal capitalismo nella sua fase imperialista, mentre rimane intatto il raggiungimento del massimo profitto attraverso lo sfruttamento della classe operaia e la rapina dei popoli - sembra abbiano portato indietro la
Milano: al lavoro come in guerra e non è una fatalità pagina 2
Per un Antifascismo militante, per una nuova Resistenza pagina 3
Elezioni: Anche oggi “ogni cuoca deve imparare a dirigere lo Stato” pagina 4
Potere al popolo o Potere operaio? pagina 5
Avvoltoi tricolori sul Niger pagina 6
situazione. Lenin intendeva l’organizzazione all’opposto delle organizzazioni tradizionali dei cosiddetti partiti di massa della sinistra dove chiunque può iscriversi con il conseguente annacquamento della sua composizione di classe e dove si perpetua la separazione tra la lotta economica e quella politica, dove gli intellettuali elaborano la teoria, i dirigenti fanno la politica e ai proletari rimane solo la lotta rivendicativa economica-sindacale, sempre nell’ambito delle compatibilità col sistema capitalista, in conformità alle forme dello Stato borghese. La più ampia democrazia si ottiene obbligando tutti i militanti a partecipare attivamente alla vita politica del partito. Come sosteneva Lenin nel saggio “Un passo avanti, due passi indietro”: “Il partito, nella sua attività pratica - se vuole conservare l’unità delle sue fila - deve applicare una disciplina proletaria unica, egualmente obbligatoria per tuttti i membri del Partito, tanto per i capi, quanto per i semplici membri. Perciò nel Partito non deve esserci alcuna divisione in membri dell’élite, per i quali la disciplina non sia obbligatoria e i non membri dell’élite, che debbano sottomettersi alla disciplina...” Stalin, ritenendo il partito “il capo politico della classe operaia”, precisava che “non deve limitarsi a registrare quello che la massa della classe operaia sente e pensa e trascinarsi alla coda del movimento spontaneo, ma deve condurre dietro a sé il proletariato, elevarsi al di sopra degli interessi immediati del proletariato, elevare le masse al livello degli interessi di classe del proletariato”. Per Stalin, essere in grado di dirigere la lotta del proletariato il partito, armato d’una teoria rivoluzionaria, deve conoscere le leggi del movimento e le leggi della rivoluzione. Deve assorbire tutti i migliori elementi della classe operaia, la loro essenza, il loro spirito rivoluzionario, la loro devozione sconfinata alla causa del proletariato. Deve porsi alla testa della classe operaia e vedere più lontano della classe operaia perché solo così è in grado di trasformare la classe operaia in forza politica indipendente. L’obiettivo della ricostituzione del partito comunista è all’ordine del giorno dei comunisti che non praticano il riformismo, che si distinguono nella lotta sindacale-rivendicativa per difendere gli interessi immediati, e vincere l’opportunismo, uno dei principali nemici del movimento operaio. La pratica dimostra che quando i sindacalisti attivi tra la classe lavoratrice sono opportunisti difendono gli interessi della borghesia meglio degli stessi borghesi. Ma al tempo stesso i comunisti difendono gli interessi futuri del movimento operaio senza dimenticare mai che lo scopo finale della lotta di classe - affermazione che non deve essere solo teorica - è quello dell’abolizione del sistema del lavoro salariato e dell’emancipazione del proletariato. Gli insegnamenti e l’operato di Marx, Lenin, Stalin, Gramsci, ancora oggi, sono di grande attualità per chi vuole condurre la lotta di classe sino all’abbattimento violento del capitalismo per una società fondata sul lavoro e sull’emancipazione da ogni forma di schiavitù dell’uomo sull’uomo. Approfondire i loro scritti non è anacronistico come vuole inculcare la borghesia che non perde occasione per attaccarli, manipolarli, mistificarli. L’obiettivo deve essere la rivoluzione sociale attraverso la quale la classe lavoratrice diventi padrone della situazione, con la condizione della dittatura del proletariato, indispensabile nella lotta contro le forze e le tradizioni della vecchia società, nel passaggio dal capitalismo al comunismo, cioè la società senza classi. Non c’è altra via, se non si capisce, non c’è salvezza!
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lavoro
Al lavoro come in guerra e non è una fatalità Milano: 4 operai morti in fabbrica; 3 donne morte, 100 feriti di cui 5 gravi per il deragliamento di un treno di pendolari Michele Michelino
Morti di lavoro a Milano Il 16 gennaio un grave incidente sul lavoro ha provocato la morte di 4 operai. I primi due lavoratori - Arrigo Barbieri, 57 anni, responsabile di produzione e Marco Santamaria, 42 anni, elettricista - scesi nel locale sotterraneo, profondo due metri, che contiene un forno in cui si scalda l’acciaio, hanno perso subito i sensi a causa dell’aria satura di gas (azoto e argon). Un altro operaio - Giuseppe Barbieri, fratello di Arrigo - resosi conto del pericolo, con il compagno di lavoro Giuseppe Setzu, 48 anni, nel tentativo di salvarli è sceso nella camera sotterranea: entrambi, a loro volta, si sono intossicati mortalmente. Altri due lavoratori hanno tentato di portare aiuto ai compagni ma l’ambiente saturo di gas li ha costretti a indietreggiare. Ancora una volta dei lavoratori rimangono intrappolati in una camera a gas – questa volta nella fabbrica, «Lamina Spa» di via Rho 9 a Milano (quartiere di Greco) - e perdono la vita. Qualche cosa nelle misure di sicurezza non ha funzionato: il sistema di rilevamento della dispersione dei gas, la sirena d’allarme sonoro e altri dispositivi non sono entrati in funzione. Quando si lavora e si vive quotidianamente fianco a fianco per un salario da fame, quando la solidarietà con i propri compagni resta l’unica possibilità di difendersi dallo sfruttamento, può succedere che non si esiti a portare aiuto anche in situazioni di pericolo. La solidarietà, che è la forza degli operai, questa volta si è trasformata in tragedia. Al momento non sappiamo se questa strage operaia poteva essere evitata con adeguate misure di sicurezza o se i padroni, come spesso accade, hanno
risparmiato anche sulle misure antinfortunistiche. Sarà l’inchiesta della magistratura a stabilirlo. La principale causa dei morti sul lavoro non è mai la fatalità e neanche il destino, ma la mancanza di misure di sicurezza, come hanno affermato i lavoratori scesi in sciopero per la sicurezza nei posti di lavoro venerdì 19 gennaio durante la manifestazione indetta dai sindacati metalmeccanici contro i morti sul lavoro. Davanti a questo ennesimo omicidio di massa ora si sprecano le solite lacrime e i moniti dei rappresentanti di governo, istituzioni, padroni e sindacati, che parlano di morti bianche come se non ci fosse nessun colpevole.
Milano: incidente ferroviario a Pioltello Il 25 gennaio alle 7 di un giovedì mattina, un treno carico di pendolari e studenti è deragliato a Pioltello alle porte di Milano per il cedimento di un pezzo di binario, schiantandosi poi contro un pilone. Il bilancio, mentre scriviamo, è di tre morti e centinaia di feriti, una decina dei quali gravissimi. Da anni i pendolari denunciano disservizi e carenze del trasporto ferroviario locale a loro danno in Lombardia, e più volte hanno lanciato allarmi sul fronte della sicurezza di treni e infrastrutture Trenord. Da una prima ricostruzione, sembra che il convoglio formato da cinque carrozze sia deragliato vicino a uno scambio tra Segrate e Pioltello. Le prime due carrozze sono passate mentre le altre tre sono uscite dai binari “per un cedimento tra i vagoni“ come ha affermato il questore di Milano Marcello Cardona subito dopo l’incidente, mentre un passeggero intervistato ha parlato di una vibrazione, fortissima, che
ha preceduto il deragliamento, causata evidentemente dal cedimento. È uno dei tanti incidenti che avvengono nelle ferrovie, anche se questi assurgono alle cronache solo quando ci sono dei morti. Come sempre prima si muore al lavoro o in itinere e poi la magistratura interverrà con i tempi lunghi della giustizia di classe mentre i responsabili, grazie alla prescrizione, continuano a rimanere impuniti. I dati Inail del 2017 parlano di 1.029 lavoratori morti (con un aumento del +5,2% le morti avvenute in itinere) e per questi omicidi nessuno ha pagato, nessuno è in galera per questi morti di lavoro. Non serve piangere oggi lacrime di coccodrillo se ogni giorno, in nome dell’aumento della produttività e del profitto, in nome del mercato, si costringono milioni di lavoratori a lavorare in condizioni pericolose. Una società nella quale il profitto vale più della vita degli esseri umani è una società incivile e barbara. Una società civile deve garantire la sicurezza sui posti di lavoro come la sicurezza dei mezzi di trasporto pubblici, affinché un lavoratore che esce al mattino per lavorare possa tranquillamente tornare a casa dalla propria famiglia la sera.
Morti per amianto alla Pirelli a Milano: la Cassazione assolve definitivamente i manager
Il 17 gennaio la Corte di Cassazione ha messo la parola “fine” sui morti d’amianto, assolvendo definitivamente i 7 ex manager della Pirelli di Milano accusati di omicidio colposo per la morte di 24 operai e di lesioni gravissime nei confronti di altri 4 lavoratori degli stabilimenti milanesi di viale Sarca e via
Ripamonti. Le vittime avevano lavorato nell’azienda tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80 e si erano ammalati di forme tumorali causate dall’amianto presente sul posto di lavoro – presenza dimostrata oltre ogni dubbio nel corso dei processi. Così i dirigenti Pirelli – già assolti in appello con l’assurda motivazione che gli operai morti “avevano già lavorato in settori fortemente caratterizzati dalla presenza di amianto” prima di essere esposti alla stessa sostanza alla Pirelli, non hanno alcuna responsabilità, come del resto non l’hanno mai, in particolare nel Tribunale di Milano, i responsabili della morte di centinaia di lavoratori morti di lavoro nel 2017. Nel processo di primo grado erano stati tutti condannati con pene fino a 7 anni e 8 mesi. Per la magistratura ormai questi processi “non s’hanno più da fare”. Se i familiari delle vittime e le Associazioni vogliono giustizia e si presentano par-
te civile nei processi non accettando transazioni economiche, devono anche pagare le spese processuali; così al danno si aggiunge la beffa. Fra i temi della campagna elettorale, quello della sicurezza sul lavoro e della giustizia per i morti di lavoro e di malattie professionali - che riguardano la vita concreta di milioni di persone - sembra non interessare a nessuno o quasi. Eppure solo per amianto in Italia perdono la vita più 4mila persone l’anno, 11 al giorno, 2 ogni ora. E nessuno è colpevole. Le elezioni passeranno ma, chiunque vinca, le condizioni di lavoro degli operai non cambieranno: senza sicurezza i lavoratori continueranno a rischiare di non tornare a casa la sera, dopo una giornata di lavoro; ma evidentemente, a parte l’emotività del momento in cui accadono infortuni eclatanti, la sicurezza sul lavoro non è materia di interesse per i politicanti.
Rapporto Oxfam: aumento della povertà in Italia e nel mondo In una società nella quale il profitto viene prima della salute e della vita, in cui i ricchi diventano sempre più ricchi a scapito dei sempre più poveri, rimanere indifferenti e non ribellarsi rasenta la complicità Michele Michelino Nel mese di dicembre 2017 l’Ufficio Statistico dell’Unione Europea (Eurostat) ha comunicato i dati sulla povertà in Europa, confermando un dato che vediamo spesso anche nelle nostre città. Basta percorrere nel pomeriggio le strade in cui si tengono i mercati per vedere persone che passano, prima degli addetti delle pulizie, con un coltellino in mano, a raccogliere e mondare parti di frutta e verdura scartata dai commercianti. Ancor più evidente è la povertà se si passa davanti alle varie associazioni presenti nelle grandi città: ad esempio a Milano dove c’è l’Associazione Pane Quotidiano che ogni giorno offre gratuitamente cibo alle fasce più povere della popolazione, oppure davanti alle sedi della Caritas e di altri enti. Contrariamente a quello che molti pensano, non sono solo gli stranieri a fare la fila, ormai anche gli italiani sono sempre più numerosi e anche i dati EUROSTAT lo confermano. L’Italia è il Paese europeo in cui vivono più poveri. Sono 10,5 milioni, su un
totale a livello Ue di 75 milioni. Rappresentano il 14% del totale europeo e sono più dei 9,8 milioni di abitanti della Romania nella stessa situazione, anche se in termini percentuali l’Italia è undicesima tra i 28 Stati membri, con un 17,2% di indigenti sul totale. Sono cittadini che hanno difficoltà a fare un pasto proteico ogni due giorni, a sostenere spese impreviste, a riscaldare a sufficienza la casa, a pagare in tempo l’affitto e a comprarsi un paio di scarpe per stagione o abiti decorosi.
Povertà triplicata in dieci anni La classifica Eurostat vede l’Italia davanti a Romania e Francia, e i poveri assoluti nella Penisola sono triplicati in 10 anni. La povertà in Italia è aumentata dopo la crisi economica, la cassa integrazione massiccia e i licenziamenti: tra il 2007 e il 2008. I poveri assoluti – chi non è in grado di acquistare nemmeno beni e servizi essenziali – sono triplicati, sono saliti di 400mila unità, arrivando a 2,1 milioni, e i poveri “relativi” sono aumentati altrettanto, a 6,5 milioni.
I poveri assoluti sono aumentati costantemente: erano 2,3 milioni nel 2009, 2,47 milioni nel 2010, 2,65 nel 2011, addirittura 3,5 nel 2012 e 4,4 nel 2013. L’incidenza della povertà assoluta nella popolazione italiana è passata, di conseguenza, dal 2,9% del 2006 al 7,9% del 2016. Per fronteggiare questa situazione il governo Gentiloni ha istituito il nuovo Reddito di inclusione, un assegno variabile tra 187 e 485 euro che può essere richiesto ai Comuni dai nuclei in difficoltà. Una cifra irrisoria, una piccola boccata d’ossigeno per pochi; i fondi stanziati dal governo bastano per meno di 2 milioni di persone, un terzo di chi ne avrebbe bisogno. Sempre stando ai dati Istat, ben 18 milioni di italiani si sono ritrovati “a rischio povertà o esclusione”. Si tratta del 30% della popolazione, in salita rispetto al 2015, mentre a livello UE la percentuale è diminuita dal 23,8 al 23,5%. È l’effetto, secondo l’istituto di statistica, di un aumento della disuguaglianza: il quinto più ricco della popolazione ha visto crescere i propri redditi molto più di quelli della parte più povera. La povertà nel mondo
Secondo il Rapporto Oxfam, una ong britannica, diffuso alla vigilia del World Economic Forum di Davos, in Svizzera, “nel mondo 8 uomini, da soli, posseggono 426 miliardi di dollari, la stessa ricchezza della metà più povera del pianeta, ossia 3,6 miliardi di persone. Ed è dal 2015 che l’1% più ricco dell’umanità possiede più del restante 99%. L’attuale sistema economico favorisce l’accumulo di risorse nelle mani di un’élite super privilegiata ai danni dei più poveri (in maggioranza donne)”. E l’Italia non fa eccezione se, stando ai dati del 2016, l’1% più facoltoso della popolazione ha nelle mani il 25% della ricchezza nazionale netta. · Tra il 1995 e il 2016 il numero di persone che vivevano in estrema povertà con meno di 1,90 dollari al giorno si è dimezzato, ma metà della popolazione mondiale vive con un reddito che varia tra i 2 e i 10 dollari al giorno, e 7 cittadini su 10 vivono in un Paesi in cui la disuguaglianza di reddito è aumentata negli ultimi 30 anni. ricchezza nazionale netta. · Nel 2016 erano 40 milioni le persone “schiavizzate” nel mercato del lavoro, tra
cui 4 milioni di bambini. ricchezza nazionale netta. · Nel 2016, le 50 più grandi corporations mondiali hanno impiegato lungo le proprie filiere produttive una forza lavoro di 116 milioni di “invisibili”, il 94% della loro forza lavoro complessiva. ricchezza nazionale netta. · A livello globale si stima che nel 2017 erano 1,4 miliardi le persone impiegate in lavori precari, oltre il 40% degli occupati totali. - Quasi il 43% dei giovani in età lavorativa a livello globale è disoccupato o occupato ma a rischio di povertà. - Le donne subiscono in media un divario retributivo del 23% ed hanno un tasso di partecipazione al mercato del lavoro del 26% più basso rispetto agli uomini. Persino tra i ricchi si registra una sostanziale disparità di genere, 9 su 10 miliardari sono uomini.
I dati italiani
Stando ai dati del 2016 i primi 7 miliardari italiani posseggono una ricchezza superiore a quella del 30% più povero dei nostri connazionali. L’1% più ricco del Belpaese può contare su oltre 30
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attualità
Per un Antifascismo militante, per una nuova Resistenza Il tema della lotta al fascismo, in considerazione della sua crescente gravità e sotto qualsiasi veste tale pericolo possa oggi presentarsi, è tra i molteplici punti che si pongono all’ordine del giorno. Ed è un punto che ci riporta immediatamente alle origini stesse della storia de i comunisti italiani Stefano De Ranieri* Pochi giorni fa è stato ricordato dal movimento comunista del nostro Paese il 97° anniversario della nascita del Partito Comunista d’Italia, sezione italiana dell’Internazionale Comunista. Un evento storico di eccezionale importanza per tutte quelle comuniste e per tutti quei comunisti che hanno avviato già da alcuni anni un percorso - non facile ma assolutamente necessario - di costruzione di una nuova organizzazione comunista la quale, rifuggendo da controproducenti scorciatoie organizzative o da ingannevoli tentazioni elettorali, miri a recuperare innanzitutto un rapporto stretto e diretto con i lavoratori e con le masse popolari nel loro complesso, con i loro bisogni concreti e con la loro aspirazione a condizioni di lavoro e di vita più dignitose. Con il fine ultimo di poter ricostruire finalmente in Italia un autentico partito rivoluzionario, cioè un vero e proprio Partito Comunista. Tra i molteplici punti che si pongono all’ordine del giorno della discussione delle compagne e dei compagni che si sono impegnati in questo processo di ricompattamento delle disperse file del proletariato e delle sue avanguardie più coscienti, vi è una questione che, in considerazione della sua crescente gravità, deve essere affrontata con urgenza. Ed è un punto che ci riporta immediatamente alle origini stesse della storia dei comunisti italiani. È il tema della lotta al fascismo, sotto qualsiasi veste tale pericolo possa oggi presentarsi. Il Partito Comunista d’Italia nasce - rompendo definitivamente con le componenti riformistiche e massimaliste del Partito Socialista - il 21 gennaio 1921 in un contesto politico rovente, con un terrorismo fascista già ampiamente scatenatosi contro le organizzazioni politiche e sindacali della sinistra. I comunisti si organizzano comunque e cercano di strutturare, con non poche difficoltà, il loro partito nel pieno di una vera e propria guerra civile, nel cui dispiegarsi diventeranno uno, se non il principale, dei bersagli da colpire. Una contrapposizione profonda ed irriducibile viene a dividere coloro che volevano per così dire “colorare” il mondo
di ROSSO - il colore del riscatto operaio e della libertà dei popoli, della giustizia sociale e della vera pace che ne consegue, il colore della… vita in una parola - e coloro che viceversa volevano sprofondare l’umanità nell’oscurità, nel buio dell’arroganza padronale, dell’oppressione coloniale, della guerra, cioè della… morte. Un contrasto che attraversò un intero ventennio, durante il quale il Partito Comunista, pur subendo colpi durissimi dagli apparati repressivi della dittatura fascista, fu l’unico partito a mantenere in piedi, nonostante la morte o la carcerazione di dirigenti, quadri, eroici militanti, una struttura organizzativa clandestina che costituì una delle basi, sicuramente la più importante, su cui fu costruita l’esperienza resistenziale e la lotta armata partigiana. Quella Resistenza che rappresentò il punto più alto mai raggiunto nella sua storia dalla classe operaia italiana nella lotta per la conquista del potere; una Resistenza prima tradita nei suoi valori fondanti e nei suoi propositi di rigenerazione politica e sociale; poi, oramai da diversi anni, addirittura umiliata e criminalizzata, manomessa nei suoi contenuti pregnanti di Guerra di Classe - oltreché di Liberazione Nazionale - e nel ruolo determinante che vi svolsero i comunisti. Oggi a distanza di anni da quegli eventi tanto formidabili quanto drammatici, nel ricordare la fondazione del P.C.d’I., non possiamo evitare purtroppo di doverci nuovamente confrontare, pur tra i tanti problemi che i comunisti debbono affrontare, con i pericolosi rigurgiti della mai totalmente estirpata feccia fascista. Apparentemente non ci muoviamo, come invece i nostri compagni nel ’21, in un contesto di guerra civile anche se, viste le dimensioni del massacro sociale in atto da anni nel nostro Paese o il numero impressionante di lavoratori che ogni giorno escono di casa al mattino per non farvi più ritorno la sera, le cifre ci riportano crudelmente a quelle proprie di un latente ma reale stato di guerra. Apparentemente non viviamo
volte le risorse del 30% più povero e 415 volte quella del 20% più povero della popolazione. Per quanto riguarda il reddito tra il 1988 e il 2011, il 10% più facoltoso ha accumulato un incremento di reddito superiore a quello della metà più povera degli italiani. Nel 2015 il 20% più povero (in termini di reddito) dei nostri connazionali disponeva solo del 6,3% del reddito nazionale equivalente contro il 40% posseduto dal 20% più ricco. Nel 2016 l’Italia occupava la ventesima posizione (su 28) in UE per il livello di disuguaglianza nei redditi individuali, e si è collocata all’82 posto su 144 Paesi esaminati dal World Economic Forum
sotto il peso di una dittatura. Anzi tra poche settimane si voterà ed il “supermercato” elettorale si presenta - in modo ineccepibilmente “democratico” - particolarmente ricco di simboli e di sigle di varia origine e natura. Un’ampia congèrie di “prodotti”, tutti assai utili! A chi? A che cosa? Ad assicurare - gran parte di essi e qualunque sia l’esito della consultazione - il dominio incontrastato della
loro disumane leggi di mercato. Una dittatura “globale” quella che la borghesia capitalista può assicurarsi sul piano politico variando, da paese a paese, gli strumenti politici con cui esercitarla. Si pensi, in tal senso, a quanto sta accadendo da tempo in diversi paesi dell’Europa dell’Est che, pur associati a vario titolo alla “democratica” Unione Europea, sono caduti nelle mani
borghesia capitalista; ad illudere - quelli sistemati sugli “scaffali” posti un po’ più a sinistra - i lavoratori, le famiglie operaie, le masse popolari che, sebbene in assenza di mobilitazioni di massa e di lotta nelle piazze e nei luoghi di lavoro, apporre una crocetta sulla scheda elettorale possa cambiare in meglio il corso della loro vita. Tutto ciò concorre a sostenere quel regime dittatoriale in cui, magari inconsapevolmente, ci troviamo in realtà a vivere. Perché la “Dittatura del Capitale” esiste, eccome; ferrea e più spietata che mai. Ce lo ricordano gli esponenti di Confindustria quando si riuniscono periodicamente a Cernobbio per decidere le sorti della “Bell’Italia” o i manager dei grandi istituti finanziari transnazionali che impongono agli Stati europei le
di governi apertamente fascisti o parafascisti (Ucraina, Ungheria ed altri ancora). E quanto si è verificato nelle ultime elezioni politiche in Francia, in Germania, in Austria - con la faticosa tenuta dei partiti centristi e conservatori, il massiccio ridimensionamento della socialdemocrazia e l’ascesa dei partiti di estrema destra - deve suonare come campanello d’allarme anche per il nostro Paese. La Resistenza ha vinto 70 e passa anni fa, ma ci pare di poter dire solo apparentemente, se oggi le camicie nere di nefasta memoria sono tornate a circolare impunemente nelle strade di tutta Italia. Che si tratti dei pro-nipotini di Hitler di Forza Nuova, dei “fascisti sociali” di Casa Pound o dei mussoliniani d.o.c. di diverse altre organizzazioni dell’e-
per il suo Global Gender Gap Index 2017. Per l’uguaglianza retributiva di genere (a parità di mansione) l’Italia si è collocata in 126esima posizione. Tra i lavoratori dipendenti in Italia le donne prevalevano solo nel profilo di impiegato e rappresentavano appena il 28,4% dei profili dirigenziali nazionali. A novembre 2017 il tasso di disoccupazione giovanile (18-24 anni) era del 32,7%. Un Amministratore Delegato di una delle 5 principali compagnie del settore dell’abbigliamento guadagna in 4 giorni ciò che una lavoratrice della filiera di produzione in Bangladesh guadagna nella sua intera vita lavorativa (figuriamoci il padrone!).
Cause e conseguenze della povertà e delle diseguaglianze secondo Oxfam Alla logica della massimizzazione dei profitti si contrappone una realtà di salari stagnanti e inadeguati mentre chi è al vertice è gratificato con bonus miliardari; mentre “i servizi pubblici essenziali come sanità e istruzione subiscono tagli, a multinazionali e super ricchi è permesso di eludere impunemente il fisco”. Inoltre, è leggenda metropolitana che i miliardari si siano fatti tutti da sé: Oxfam ha calcolato che un terzo del-
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strema destra, pur non perdendo il loro carattere originario di bande squadristiche - sovente colluse con la criminalità comune e mafiosa - utilizzate tatticamente dalla reazione padronale per colpire lavoratori avanzati ed oppositori di sinistra, oggi possono aspirare a diventare anche una risorsa strategica per il grande capitale italiano ed europeo. Salvo che ovviamente la dittatura esercitata dal capitale, ora direttamente (sull’esempio del presidente francese Macròn, emanazione diretta per l’appunto di potenti gruppi bancari), ora tramite i rappresentanti dei tradizionali partiti politici borghesi, possa procedere tranquillamente, senza incontrare particolari resistenze, sulla via di un progressivo autoritarismo che pervada sempre più lo Stato e la società. In Italia tale compito è stato egregiamente svolto, almeno fino ad oggi, dai governi di centro-sinistra a guida PD che hanno approvato - o tentato di far passare, come nel caso del referendum costituzionale del dicembre 2016 - misure liberticide soprattutto nel campo del lavoro (leggi limitative del diritto di sciopero, sull’abolizione dell’art. 18, sulla rappresentanza sindacale, sulla repressione dei lavoratori “ribelli” ai diktat padronali), e poi sul terreno dell’immigrazione, della riforma degli apparati e degli strumenti di controllo e di repressione politica e sociale -ed altre “chicche” partorite sempre dagli esecutivi comunque facenti capo al Partito Democratico potrebbero essere facilmente ricordate. E non ci ingannano i loro vuoti appelli e le loro ipocrite manifestazioni a difesa dell’antifascismo; a maggior ragione quando vengono approvate leggi come la “Legge Fiano” che altro non è se non uno strumento legislativo infido e pericoloso, finalizzato com’è ad accomunare, nel corso della sua applicazione, fascismo e comunismo, chiedendo alla fine della corsa la messa al bando delle forze e dei simboli che da sempre e più di ogni altro il fascismo lo hanno veramente combattuto. Oggi un antifascismo vissuto in
la ricchezza dei miliardari è dovuta ad eredità, mentre il 43% è dovuta a relazioni clientelari. “Poi c’è l’uso di denaro e relazioni da parte dei ricchissimi – spiega il rapporto – per influenzare le decisioni politiche a loro favore”. Un esempio viene dal Brasile, dove i cittadini più facoltosi sono riusciti a ottenere dal governo cospicui tagli fiscali in una fase in cui il governo stesso inaugurava un piano ventennale di congelamento della spesa pubblica in sanità e istruzione.
Le conseguenze?
Nei prossimi 20 anni, 500 persone trasmetteranno ai propri eredi 2.100
modo militante guarda senz’altro oltre la data, che rimane pur sempre fondamentale per i comunisti e per i sinceri antifascisti, del 25 Aprile, quando si pensò di aver finalmente fatta piazza pulita di camicie nere e di fasci littori. Oggi un antifascismo non retorico non può che esprimersi se non opponendosi quotidianamente alle selvagge scelte economiche ed ai conseguenti disastri sociali che la “Dittatura del Capitale” impone alle masse proletarie e popolari, qualunque coalizione politica se ne faccia poi concretamente carico anche dopo l’ennesima farsa delle ormai imminenti elezioni politiche: che si tratti del centrodestra o del centro-sinistra, di chi sostiene in modo menzognero il superamento di ogni ideologia (tipo Movimento 5 Stelle) o di chi pone sullo stesso piano comunismo e fascismo in quanto “categorie” entrambe bocciate dalla Storia (la Lega di Salvini), salvo poi manifestare apertamente la propria ammirazione per l’ultra fascista e razzista francese Marine Le Pen. Oggi un antifascismo attivo deve saper parlare di tutto ciò soprattutto ai giovani, la cui naturale sensibilità - almeno per una parte consistente di essi - verso concetti come la giustizia sociale, l’uguaglianza, la libertà, la solidarietà - che furono elementi decisivi per la vittoria della Resistenza nell’Aprile del ‘45 - risulta sopita, confusa, manipolata anche a causa delle distorte “verità”, sull’esperienza resistenziale e sulle successive battaglie antifasciste combattute nel nostro Paese, propagandate dai mezzi di comunicazione o dagli ambienti culturali asserviti al dominio del Capitale. Da un antifascismo non meramente parolaio e da un risveglio politico e culturale, etico ed esistenziale, dei nostri giovani può sorgere nel nostro Paese l’alba di una nuova RESISTENZA, che porti alla definitiva sconfitta di ogni forma di fascismo e all’abolizione dello sfruttamento capitalistico dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura; che è quanto dire alla vittoria del SOCIALISMO. * Coordinamento Comunista Toscano
miliardi di dollari: una somma superiore al Pil dell’India, paese in cui vivono 1,3 miliardi di persone “I mega Paperoni dei nostri giorni si arricchiscono a un ritmo così spaventosamente veloce che potremmo veder nascere il primo trillionaire (ovvero un individuo con risorse superiori ai mille miliardi di dollari) nei prossimi 25 anni”. Davanti a questa realtà nella quale il profitto viene prima della salute e della vita degli esseri umani, in cui i ricchi diventano sempre più ricchi a scapito dei più poveri, rimanere indifferenti e non ribellarsi rasenta la complicità.
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elezioni Si è aperta ufficialmente la campagna elettorale e tutti i partiti, mentre si azzuffano per i nomi dei candidati, vanno a caccia di voti promettendo di tutto e di più. Gli elettori non saranno così ingenui - l’astensionismo degli ultimi tempi l’ha dimostrato - da farsi ingannare per l’ennesima volta da forze politiche che negli anni hanno già governato imponendo misure antipopolari e repressive solo a favore della borghesia, dei capitalisti e dell’imperialismo. Tralasciamo di affrontare le varie forze in campo sulle quali ci pronunciamo e attacchiamo costantemente, ma nelle elezioni del 4 marzo si è affacciata una nuova lista, un cartello di forze eterogenee, che rappresenta una novità ed è per questo che ce ne occupiamo
Anche oggi “ogni cuoca deve imparare a dirigere lo Stato” Fabrizio Poggi Si avvicina l’ennesima tornata elettorale e con essa la riproposizione, sulle schede, dei simboli di varie forze che si richiamano alla sinistra, o direttamente al comunismo. Il raggruppamento che sembra rappresentare la “novità” è costituito dalla lista Potere al Popolo, che riunisce “comitati, associazioni, centri sociali, partiti e sindacati”, un cartello elettorale (improvvisato) che mette insieme posizioni molto spesso in contrasto tra loro, sia sulla politica interna che internazionale, sulle posizioni sindacali e sulla strategia politica. Potere al Popolo si presenta con un programma sterminato di rivendicazioni - quelle del popolo, appunto, buone anche per la borghesia “illuminata”, e non del proletariato - che, lungi dall’avanzare una prospettiva socialista, rispecchiano piuttosto il variegato mondo dell’opposizione genericamente antiliberista di cui si compone PaP, “per contrastare la disumanità dei nostri tempi, il cinismo del profitto e della rendita, le discriminazioni di ogni tipo” e per “costruire democrazia reale attraverso le pratiche quotidiane, le esperienze di autogoverno, la socializzazione dei saperi, la partecipazione popolare”. Ciò, come recita una nota dei giovani del PRC, nell’ottica di “una sinistra antiliberista, radicale, popolare”, che unifichi “la sinistra sociale e politica e le tante forme di civismo e partecipazione”. Molti punti del programma sono, infatti, espressione degli obiettivi del sindacalismo di base. E così, chi più ne ha, più ne metta: basta tener fuori l’antagonismo di classe tra capitale e lavoro, concentrandosi solo sugli effetti del sistema capitalista nella sua fase imperialista, nascondendolo dietro la cristiana rappresentazione di ricchi e poveri. Si vuol così rispondere sia alla visione di quanti, pur dicendosi comunisti, sono contrari all’organizzazione leninista, sia di chi, sebbene favorevole a una struttura di classe, punta sulla spontaneità, sui movimenti slegati e disarticolati, cui dar voce in parlamento. Alcuni, sono orfani delle fallimentari esperienze di governi arcobaleno (da cui hanno potuto godere di vantaggi di sottogoverno) e anche seguaci e sostenitori del referendum di Tsipras, una dolorosa esperienza per il proletariato, greco e non solo, che invece dovrebbe quantomeno fornire spunti di riflessione critica. In sintesi, l’intero senso di PaP si esprime nelle perle di alcuni esponenti nazionali: “Appoggiamo PaP non per come andrà a finire, ma per quello che costruirà lungo la strada”, perché “la forza di PaP è nell’utopia”: battute arcinote dell’italico movimentismo e del bernsteiniano “il fine è nulla; il movimento è tutto”, messo alla berlina da Lenin un secolo fa. Ora, i comunisti non sono astensionisti di principio. In Italia, ci sono stati sia periodi in cui si è optato per il voto a raggruppamenti poi rivelatisi men che socialdemocratici; ci sono stati altri periodi, prima e dopo, in cui si è data l’indicazione di annullamento della scheda elettorale con scritte rivoluzionarie, per liquidare le illusioni parlamentaristiche, in un quadro in cui la speranza o il miraggio di poter cambiare il sistema con il voto erano ancora molto radicati nella maggioranza degli operai e, in generale, delle masse. La questione sembra ripresentarsi oggi, con la comparsa di PaP, ma in maniera rovesciata. Nel 1920, Lenin, dopo la polemica con i bordighisti italiani, nella Lettera agli operai austriaci scriveva che “Noi, comunisti, entriamo nel parlamento borghese, per smascherare l’inganno da quella tribuna di un istituto capitalista interamente imputridito in cui si ingannano gli operai e i lavoratori. Finché non abbiamo la forza di sciogliere il parlamento borghese, dobbiamo lavorare contro
di esso, sia dentro che fuori. Finché un numero abbastanza significativo di lavoratori... hanno ancora fiducia negli strumenti borghesi-democratici di inganno degli operai da parte della borghesia, noi dobbiamo chiarire l’inganno proprio da quella tribuna, che gli strati arretrati degli operai e in particolare delle masse lavoratrici non proletarie considerano come il più importante, il più autorevole”. Ma, è questa la situazione nel nostro paese? Quale fiducia hanno oggi le masse nei confronti del parlamento borghese? In Italia, ma non solo, quella fiducia è da tempo in forte diminuzione; le percentuali di astensionismo – precisiamo: astensionismo; non annullamento cosciente del voto - sono tali, quasi da capovolgere la questione, rispetto a 20 o 30 anni fa. Si può ritenere che le strade (parcellizzazione produttiva; frantumazione del lavoro; decomposizione sociale, dispersione e scomposizioni di classe ecc.) attraverso cui il capitale ha tentato la propria stabilizzazione, insieme a un quadro partitico che poco o nulla ha in comune col passato, abbiano notevolmente contribuito ad accrescere sempre più il fenomeno dell’astensionismo. Sia come sia, il fatto rimane. Non a caso le varie istituzioni, dal Presidente della Repubblica a tutti i partiti di destra, centro, “sinistra”, da tutti gli organi di informazione alla stessa Confindustria, sono preoccupati dell’astensionismo e fanno appello a esercitare il “diritto” del voto. Nelle scorse settimane, è stata citata, a torto e a ragione – da detrattori borghesi del “popolo” di PaP e da suoi fautori - la famosa “cuoca” leniniana che “deve imparare a dirigere lo Stato”. In effetti, sappiamo che non tutte le “cuoche” di Lenin, nell’immediato e nella loro totalità, furono di fatto in grado, subito, seduta stante, una volta conquistato il potere, di dirigere lo stato. Sappiamo di contadini, operai metallurgici, carpentieri (Kalinin, Šmidt, Vorošilov, Bljukher; per citare solo alcuni dei più noti) assurti subito alle più alte cariche statali e militari. Nella larga maggioranza, le “cuoche” e i “cuochi”, cui la Rivoluzione, pochissimi giorni dopo il 7 novembre 1917, affidò il controllo su fabbriche, banche nazionalizzate, ministeri, esercito, se non ne furono messi immediatamente a capo, furono però in grado, con competenza e coscienza, di controllare, tenere sotto strettissima sorveglianza, far lavorare per il Potere Proletario, tutti i “competenti” cui si fu costretti a rivolgersi nell’immediato, per dirigere fabbriche, enti amministrativi, forze armate, in attesa che le “cuoche” prendessero confidenza con quei compiti. Ma, per far questo, per poter mettere i “competenti” al lavoro per il “popolo”, è sottinteso che il potere statale sia nelle mani delle “cuoche”: oggi, anche per liquidare quei trattati sovranazionali di cui si è ostaggio e che anche alcuni settori di PaP indicano da tempo quale primo obiettivo contro cui combattere. Dunque, la questione centrale, ancora una volta, è quella del potere. Non a caso, nel programma di PaP, si afferma di lottare per “rompere l’Unione Europea dei trattati, rifiutare l’ossessione della “governabilità”, lo svuotamento di potere del Parlamento, il rafforzamento degli esecutivi” ecc. Ma, si intende farlo, o si crede di poterlo fare, a partire dai seggi parlamentari, come forse intendono alcune delle formazioni organizzate che partecipano a PaP? Eppure, dall’Europa stessa avvertono di non farsi illusioni: già due mesi prima del voto italiano, il Commissario europeo Pierre Moscovici informava l’Italia che in primavera verrà riesaminato il rispetto dei criteri del debito, con i relativi vincoli di bilancio. Vale a dire: il parlamento italiano può chiacchierare quanto vuole, che tanto, poi, decidono i monopoli a Bruxelles.
Come si intende dunque lottare “contro lo svuotamento di potere del Parlamento”? Nelle tesi su “I partiti comunisti e il parlamentarismo”, enunciate nel 1920 al secondo Congresso del Comintern, si diceva che i “parlamenti borghesi, che costituiscono uno dei principali apparati della macchina statale borghese, non possono esser conquistati, così come non può esser conquistato dal proletariato lo Stato borghese in generale. Il compito del proletariato consiste nel far saltare la macchina statale della borghesia, liquidarla insieme agli istituti parlamentari. … Il partito comunista entra in questa istituzione non per condurvi un lavoro organico, bensì per aiutare le masse, attraverso il parlamento, a far saltare la macchina statale della borghesia e lo stesso parlamento dall’interno”, per mezzo della “agitazione rivoluzionaria dalla tribuna parlamentare, lo smascheramento degli avversari, il rinsaldare idealmente le masse, le quali, specialmente nelle regioni arretrate, contemplano la tribuna parlamentare, piene delle illusioni democratiche”. Ma, oggi che le “illusioni parlamentaristiche” sfumano sempre più, PaP sembra voler ridare speranza a tutti quelli che hanno perso fiducia, a quei milioni di operai, di disoccupati, sottoccupati, giovani, pensionati, che da anni si rifiutano di seguire questa o quella formazione che dice di rappresentarli in parlamento e che, in realtà, non ha fatto che gli interessi dei propri padroni, padrini, e di se stessi, dimenticando tutte le promesse fatte e favorendo solo il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro della popolazione. Siamo sicuri che la sola presentazione del programma di PaP sia sufficiente a ridare speranza e fiducia a tutti coloro che “non credono più nella politica” (certo, in parecchi casi, è molto sottile la linea tra sfiducia e astensionismo “coscienti”, da un lato, e indifferenza, apatia e disaffezione, dall’altro) e non si rischi invece di convogliare, nella sola tornata elettorale, preziosissime energie che, se il risultato non fosse quello atteso, la delusione rischierebbe di veder perse, e per parecchio tempo non disponibili, per il necessario e doveroso lavoro di aggregazione e organizzazione politica, rivolto proprio verso quei settori di risoluto astensionismo? Dice qualcosa, forse proprio au contraire degli intendimenti di chi l’ha scritta, questa nota di un sostenitore di PaP: “Prima che partisse la campagna elettorale ero un po’ pessimista. Vedevo quanta difficoltà si incontra per mettere insieme pochi compagni, quelli necessari per un presidio o un volantinaggio. Ma è bastato parlare di candidature e si sono presentati a migliaia…”?! Si vuol insomma, a quanto pare, riportare nell’alveo parlamentare, resuscitando le illusioni parlamentaristiche, tutto il mondo di lotta, di resistenza, di opposizione al sistema borghese, che oggi ne è fuori e ha bisogno di essere organizzato su una base classista proletaria e con un programma autenticamente anticapitalista, verso il socialismo e la dittatura del proletariato. PaP ha presentato un dettagliatissimo programma di riforme, ma non spende due righe per scrivere, quantomeno, quale sia il tipo di “fiducia” che i comunisti che intendono partecipare a PaP ripongono nel parlamento della borghesia, del capitale, dei trattati; quale dovrebbe essere il compito dei comunisti in quel parlamento, come utilizzarlo. In questo modo, sembra di voler ridare fiducia nel parlamento della borghesia, infondere la speranza che si possa, direttamente dai suoi scranni, davvero cambiare, che si possa “rompere l’Unione Europea” e ridare “potere al parlamento”. Ed è probabile che alcune delle formazioni attive in PaP ne siano davvero convinte. D’altronde, in due parole si getta a mare tutta l’esperienza dei Soviet, dicendo che PaP indica “autentica democrazia, parola che significa, appunto, pote-
re del popolo, perché qualcosa di meglio della democrazia (borghese; ndr) non è stato ancora inventato”! Si parla di “modello capitalistico predatorio” sull’ambiente e si dice che questa “è anche una questione di classe”; si condannano giustamente “le guerre, la siccità, la desertificazione” ai danni di “un intero continente”; si citano leggi su leggi, riforme e miglioramenti da attuare, ma non si dice che solo il socialismo e una coerente lotta antimperialista siano in grado di porre fine a tale stato di cose, generato dall’ingordigia del capitale. Si condannano giustamente le controriforme che negli ultimi trent’anni hanno soffocato i più elementari diritti sia del mondo del lavoro, della scuola, della sanità, dei servizi, sia della popolazione anziana, ma non si parla della lotta fondamentale tra lavoro e capitale. Si constata che nel mondo “c’è la capacità di produrre cibo per 12 miliardi di abitanti, ma un miliardo di persone soffre la fame”: è questa la conseguenza di scelte politiche, oppure della natura stessa del capitalismo? Si denuncia il fatto che abbiano “trasferito poteri e risorse ai ricchi e ai potenti in una dimensione senza precedenti”, quasi che, se quelle “dimensioni” fossero meno ampie, le si potrebbero anche accettare, lasciando che il capitale continui a esser capitale, cioè un rapporto sociale di sfruttamento, forse solo un po’ mitigato, come nella vulgata corrente, che definisce sfruttamento solo le forme assunte con Jobs act e voucher, quasi che la sottomissione del lavoro al capitale non sia, di per sé, sfruttamento del lavoro salariato per l’accumulazione capitalistica. Nessun riferimento a un diverso tipo di società, alla necessità di eliminare la proprietà privata dei principali mezzi di produzione attraverso il socialismo. PaP vuol forse tentare di ridare alle masse quella speranza che non hanno più, ponendosi come argine all’astensionismo già percorso dal M5S; distogliendole dalla necessità di organizzarsi, di riunire le forze e le agitazioni sparpagliate, indirizzandole verso l’obiettivo fondamentale della lotta non semplicemente contro le “nefandezze” del capitalismo, ma per l’abbattimento del capitalismo stesso? “I bernsteiniani accettavano e accettano il marxismo”, scriveva Lenin (marzo 1906, La vittoria dei kadetti e i compiti del partito operaio) “a esclusione del suo carattere direttamente rivoluzionario. Essi guardano alla lotta parlamentare non come a uno dei mezzi di lotta, adatto soprattutto a determinati periodi storici, bensì come alla principale e quasi esclusiva forma di lotta, che rende inutili la “violenza”, la “conquista”, la “dittatura”...”. E ancora (aprile 1906, Congresso di unificazione del POSDR): “Si tolga i suoi occhiali di kadetto, compagno Ptitsyn; lei crede che la principale forma di lotta sia il parlamentarismo. Guardi: il movimento dei disoccupati, il movimento tra i soldati, il movimento contadino. La principale forma di movimento non è nella Duma; là essa può rivestire solo un ruolo indiretto”. Poi (maggio 1906, Rapporto al Congresso di unificazione del POSDR), affermava: “La borghesia lodava la corrente di destra dei socialdemocratici tedeschi per ... la tattica riformista, a differenza della tattica rivoluzionaria. Per il riconoscimento quale forma di lotta principale, o quasi unica, della lotta legale, parlamentare, riformista... lodavano Bernstein... per l’ottundimento della contraddizione tra lavoro e capitale”. Potere al Popolo scrive di voler “ricostruire un terreno sociale tramite pratiche di lotta, mutualismo, solidarietà, controllo popolare delle istituzioni”; di voler “ri-politicizzare ampi settori delle masse” e “riportare una grossa fetta giovanile a parlare di politica”: il tutto, a partire dal parlamento! La presentazione della lista di PaP sembra voler rispondere alla visione di quanti, dicendosi comunisti,
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Potere al popolo o Potere operaio? Costruire il potere popolare significa tutto e niente, è una frase a effetto, perché il popolo è diviso in classi sociali, quindi quale deve essere la classe che dirige questo cambiamento? Michele Michelino La nuova lista alle prossime elezioni politiche - il cartello elettorale “Potere al popolo” composto da più partiti, lanciato dal Centro sociale “Je so’ pazzo” di Napoli e dall’organizzazione politica cui fanno riferimento, i Clash City Workers, con l’adesione di Rifondazione Comunista, PCI, Eurostop, Sinistra anticapitalista, Contropiano, NO TAV, sindacalisti di Cobas e Usb e altri. È una lista interclassista che raccoglie spezzoni di movimenti politici e di lotta. La “novità” ha suscitato in alcuni settori nuove speranze in chi cerca una rappresentanza parlamentare e una sponda politica alle lotte, con l’illusione di riuscire a cambiare la realtà politico-sociale con il voto e il parlamentarismo. Ognuno dei componenti eterogenei della lista, a seconda delle convenienze e della base sociale di riferimento, la definisce “anticapitalista”, “di rottura”, “comunista”, ma si tengono ben lontani dal caratterizzarla col simbolo della falce e martello. È vero che Potere al popolo non è un partito, ma un cartello elettorale con programma condiviso, quindi una mediazione fra le posizioni di tutti i partecipanti; tuttavia nel programma e nelle rivendicazioni non va oltre una serie di obiettivi riformisti, al più antiliberisti, perfettamente compatibili col sistema capitalista. Nel programma di Potere al popolo, infatti, si legge che “Per noi potere al popolo significa restituire alle classi popolari il controllo sulla produzione e sulla distribuzione della ricchezza; significa realizzare la democrazia nel suo senso vero e originario. Per arrivarci abbiamo bisogno di fare dei passaggi intermedi e, soprattutto, di costruire e sperimentare un metodo, che noi abbiamo chiamato controllo popolare”. Il cartello elettorale quindi rivendica il “controllo sulla produzione” e la “distribuzione della ricchezza”, cioè il potere popolare, non il potere operaio e l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione. Per Potere al Popolo i ricchi possono essere sempre più ricchi, basta che con il controllo popolare distribuiscano un po’ più di ricchezza. Potere al Popolo nel suo programma rivendica maggiore democrazia all’interno del sistema capitalista, non lotta contro il potere borghese, per il potere operaio e proletario, per il socialismo, per una società libera dallo sfruttamento capitalista che oggi non va di moda fra i piccolo borghesi, ma per un obiettivo condiviso anche da
settori della borghesia “progressista” illuminata. La lunga lista di rivendicazioni di Potere al Popolo chiede la cancellazione del Jobs act, il ripristino della scala mobile e dell’articolo 18 per tutti i lavoratori, l’abolizione della Legge Fornero e l’età pensionabile a 60 anni; la nazionalizzazione della Banca d’Italia e la separazione fra banche di risparmio e banche d’affari. Massimo di pensione fissato a 5.000 euro lordi, la cancellazione della riforma “la Buona Scuola” e un aumento della quota del PIL per scuola e ricerca. Obiettivi di per sè condivisibili, ma alcuni promessi in campagna elettorale anche da Lega, Movimento 5 Stelle, Liberi e Uguali. Anche sull’Europa Potere al Popolo si pronuncia per “rompere l’Unione Europea dei trattati per costruire un’Europa fondata sulla solidarietà, sui diritti sociali e sulla pace”, per il taglio delle spese per la difesa, la cancellazione degli F35, il ritiro delle truppe italiane dalle missioni all’estero e la rottura dei vincoli Nato, oltre ad un “piano straordinario per disporre di un milione di alloggi in dieci anni utilizzando il patrimonio esistente” e la “la parità di genere a tutti i livelli, anche a livello salariale, fra uomini e donne”. Inoltre Potere al Popolo si schiera “contro le grandi opere come la TAV” per promuovere invece un “piano per la messa in sicurezza idrogeologica e sismica del paese.” Ripetiamo, molti di questi obiettivi sono condivisibili, peccato che non si possano ottenere per via parlamentare. Non è un caso che la prima rivendicazione pregnante e fondamentale sia la richiesta della difesa e applicazione della Costituzione: “Vogliamo la piena attuazione della Costituzione nata dalla Resistenza, e in particolare dei suoi aspetti più progressisti”. Difesa della Costituzione sì ma senza la “rimozione del vincolo di pareggio di bilancio”, rivendicando - come scrive nelle conclusioni del suo programma - “una società più libera, più giusta, più equa”: cioè, sempre capitalista, come se sotto il controllo popolare il capitalismo, per la lista Potere al popolo, potesse assumere un volto umano. Gli estensori del programma di Potere al Popolo sanno benissimo che la “Costituzione nata dalla Resistenza” stabilisce una serie di principi, di diritti e doveri dei cittadini di uno Stato democratico borghese capitalista, principi democratici dello Stato di diritto borghese e non principi socialisti; tuttavia rivendicano la piena attuazione
sono contrari all’organizzazione dei comunisti, sia agli obiettivi di chi, a parole favorevole alla struttura di classe che raccolga i comunisti, punta in effetti alla spontaneità, ai movimenti slegati e disarticolati, ai quali “dar voce in parlamento”. Nell’elenco sconfinato di propositi enunciati nel programma, si va dalla difesa della Costituzione, alla lotta (a quanto pare, non ultimativa) contro UE e NATO, alla difesa dell’ambiente, passando per la giusta rivendicazione della “cancellazione di Jobs act, legge Fornero” e “delle principali forme di lavoro diverse dal contratto a tempo indeterminato, a partire dal contratto a termine “acausale” e dai voucher”, per “il ripristino dell’originario articolo 18 e la sua estensione alle imprese con meno di 15 dipendenti, e il ripristino della scala mobile”. Non si è però trovato spazio per accennare a ruolo e compiti da assegnare a quei candidati che eventualmente dovessero finire in parlamento. Non si dice cosa debbano fare gli eventuali eletti, cosa debbano denunciare in parlamento: i singoli provvedimenti dei “governi di sua maestà” Bruxelles, o invece il carattere stesso del parlamento in quanto istituzione di classe, lontano da quella prospettiva di “governo a buon mercato” avanzata da Marx e in cui la “cuoca” di Lenin costituiva proprio l’antitesi del parlamentarismo ed evocava invece una forma di potere statale alla cui base stessero i lavoratori organizzati? “L’utilizzo della tribuna parlamentare e il diritto di iniziativa e di referendum in modo non riformistico”, è ancora Lenin che parla (novembre 1916, I
“dei suoi aspetti più progressisti” Ma basta questo? Vediamo nel dettaglio: L’art. 1 della Costituzione afferma che: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”: questo significa semplicemente che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro salariato, cioè sfruttato, e che la sovranità appartiene alla classe borghese al potere. I capitalisti sono maestri nell’usare la Costituzione. Così lo Stato italiano si è attrezzato per aggirare e vanificare anche l’art. 11 della Costituzione che recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Senza modificare una virgola dell’art. 11, la borghesia italiana - tramite i governi suoi comitati d’affari - si è creata una forza d’intervento militare pronta a difendere la “patria capitalista” e gli interessi dell’imperialismo italiano nel mondo. È bastato sostituire la parola “guerra” con “missioni di pace”, formare un esercito professionale pronto a intervenire in difesa degli interessi dei capitalisti in ogni parte del mondo e partecipare alle guerre imperialiste in corso. Tutti i governi italiani (di destra e di sinistra), insieme ai predoni della NATO, hanno partecipato ai massacri d’intere popolazioni con le guerre per la spartizione del bottino in tutto il mondo (Somalia, Iraq, Afganistan, Jugoslavia, Libia ecc.), e oggi in Niger, con buona pace di tutti i borghesi, “progressisti” e di alcuni “compagni” che – dopo aver votato e sostenuto le missioni militari all’estero quando erano al governo e al parlamento - sono oggi sostenitori della lista. Lo stesso art. 32 (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”), con la privatizzazione della sanità pubblica è ormai carta straccia, un affare per le assicurazioni, gli ospedali priva-
compiti degli zimmerwaldiani di sinistra nel partito socialdemocratico svizzero), “cioè non per la difesa delle riforme, “accettabili” per la borghesia e perciò impotenti a eliminare le principali e radicali piaghe delle masse, ma per la propaganda della trasformazione socialista… Pretendere dai rappresentanti parlamentari… che sfruttino la propria posizione politica particolarmente vantaggiosa non tanto per il vaniloquio riformista in parlamento, che suscita legittimamente noia e sfiducia nei lavoratori, quanto per la propaganda della rivoluzione socialista tra gli strati più arretrati del proletariato e del semiproletariato delle città e soprattutto delle campagne”. Sono queste le indicazioni che PaP dà ai propri futuri potenziali rappresentanti in parlamento? “La Duma deve essere utilizzata per gli obiettivi della rivoluzione” (novembre 1907, Quarta conferenza del POSDR), “utilizzata, principalmente, per una larga diffusione delle vedute politiche e socialiste del partito, e non per le “riforme” legislative che, in ogni caso, costituiranno un sostegno alla controrivoluzione e una decurtazione della democrazia”. Ancora nelle tesi del secondo Congresso del Comintern, si diceva che “L’atteggiamento dei partiti socialisti verso il parlamentarismo è consistito sin dall’inizio, già all’epoca della I Internazionale, nell’utilizzare i parlamenti borghesi per l’agitazione. La partecipazione al parlamento era considerata dal punto di vista dello sviluppo dell’autocoscienza di classe, cioè del risveglio dell’ostilità di classe del proletariato verso le classi dominanti”.
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ti e le multinazionali farmaceutiche a scapito del diritto alla salute dei cittadini, tuttora formalmente garantito dalla Costituzione. L’art. 42 della Costituzione afferma che: “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità”. Ancora una volta, cioè, si afferma che la proprietà privata è riconosciuta dalla legge e i beni economici appartengono allo Stato, cioè allo Stato borghese organo del dominio di classe, prodotto dell’antagonismo inconciliabile tra le classi, “forza repressiva particolare” del proletariato da parte della borghesia, di milioni di lavoratori da parte di un pugno di ricchi sfruttatori. Anche se la Costituzione afferma che l’operaio e il padrone sono uguali e hanno stessi diritti, la condizione di completa subordinazione economica sancita dall’ordinamento giuridico borghese fa sì che la “libertà” e la “uguaglianza” dei cittadini sia solo formale, essendo l’ordinamento giuridico capitalista fondato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione. In realtà il proletario “libero” nel sistema economico borghese è semplicemente “libero di essere schiavo”. Tuttavia non siamo di quelli che dicono che la Costituzione va abolita. Alcuni articoli della Costituzione, come alcune leggi borghesi, possono essere usate anche dai rivoluzionari nella battaglia politica, senza tuttavia dimenticare il loro carattere di classe e senza illusioni. Costruire il potere popolare significa tutto e niente, è una frase a effetto, perché il popolo è diviso in classi sociali, quindi quale deve essere la classe che dirige questo cambiamento? Qual è il ruolo della classe operaia, del proletariato, di chi produce la ricchezza del paese di cui si appropriano i capitalisti e altre classi sociali? Al di là delle fantasie e delle illusioni di chi pensa cambiare il sistema capitalista e il mondo attraverso l’allargamento del potere popolare senza distruggere il capitale, la contraddizione capitale-lavoro è sempre
E inoltre: “Al momento attuale, il parlamento non può in alcun modo rappresentare per i comunisti un’arena di lotta per le riforme, per il miglioramento delle condizioni della classe operaia. Il centro di gravità della vita politica si è spostato completamente e definitivamente fuori del parlamento. D’altra parte, la borghesia … è costretta a condurre, in un modo o nell’altro, parte delle proprie azioni, attraverso il parlamento, in cui cricche diverse mercanteggiano il proprio potere, mostrano i propri lati forti e scoprono quelli deboli, si compromettono, e così via. Per questo, compito storico immediato della classe operaia è quello di strappare questi apparati dalle mani delle classi dominanti, spezzarli, liquidarli e creare al loro posto nuovi organi del potere proletario. Al tempo stesso, lo stato maggiore della classe operaia, per agevolare tale obiettivo distruttivo, ha pieno interesse ad avere una propria unità di ricognizione negli istituti parlamentari della borghesia”. Oggi, in Italia, si stanno spendendo grosse energie nella campagna elettorale, per far conoscere il programma di PaP, in cui si chiedono, giustamente, “l’abolizione della “riforma” Fornero, un trattamento pensionistico dignitoso, proporzionato all’ultimo salario percepito; il diritto alla pensione a 60 anni per tutti e l’adeguamento delle pensioni minime al reale costo della vita; un’imposta sui grandi patrimoni; il ripristino della progressività del sistema fiscale secondo il dettato costituzionale, diminuendo le tasse sui redditi bassi e aumentandole su quelli più alti”. Un programma in
più evidente e attuale e lo sfruttamento che vivono giornalmente sulla loro pelle i lavoratori li riporta ogni giorno alla cruda realtà: profitti più alti per i capitalisti e peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari. Pensare di conquistare lo Stato borghese attraverso la lotta parlamentare cambiandolo “dall’interno” attraverso il “potere popolare” è un’illusione che è costata cara a chi ci ha creduto. Solo nella lotta per distruggere il capitalismo e lo Stato borghese con la rivoluzione socialista, gli operai, i lavoratori, gli sfruttati, coloro che producono la ricchezza del paese sono gli unici che - se organizzati in loro partito su un programma rivoluzionario - possono essere gli artefici del “blocco sociale” attorno cui aggregare tutte le altre classi oppresse. Le elezioni possono (forse) essere un momento di visibilità per propagandare le proprie posizioni, noi oggi riteniamo sia un errore presentarsi alle elezioni con un programma “minimo” senza denunciare la democrazia borghese che nasconde la dittatura del capitale imperialista e delle sue istituzioni. Noi crediamo che il compito dei comunisti oggi sia quello non solo di chiedere limitazioni allo sfruttamento, ma la sua abolizione con l’eliminazione della società capitalista. La lotta degli operai coscienti, dei rivoluzionari, dei comunisti, per quanto a volte deve necessariamente difendere i singoli diritti civili borghesi per non arretrare, non può mai dimenticare che le costituzioni e le leggi borghesi servono a difendere il sistema imperialista. Noi lottiamo per un’altra società nella quale lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo sia abolito e considerato un crimine contro l’umanità. Per una società socialista in cui il potere operaio, la dittatura del proletariato, la più alta forma di democrazia degli sfruttati, sia esercitato attraverso i consigli degli operai e delle classi sfruttate. Le illusioni elettorali di chi pensa di cambiare il paese e il mondo con le elezioni porta solo a delusioni e sconfitte, con gravi conseguenze sul proletariato. La proprietà dei mezzi di produzione in mano ai capitalisti, la divisione del lavoro e le condizioni materiali degli esseri umani sono alla base delle divisioni in classe e se non sono eliminate, continueranno a riprodurre sfruttati e sfruttatori.
cui si pongono sacrosante rivendicazioni su temi urgenti quali scuola, diritto alla casa, immigrazione, ecc. Ma, quali e quante energie devono spendere i comunisti per far sì che quei milioni che oggi non vanno a votare riacquistino fiducia, non tanto nel parlamento, quanto nella capacità collettiva, nelle azioni di massa, nella lotta per liquidare il sistema dello sfruttamento capitalista? In generale, “Ogni lotta di classe è una lotta politica, giacché essa, in ultima analisi, è lotta per il potere. Ogni sciopero che abbracci l’intero paese, comincia a minacciare lo Stato borghese e acquista con ciò stesso carattere politico”, affermavano quelle tesi dell’Internazionale Comunista. Così che “la questione della lotta politica non si riduce alla questione dell’atteggiamento verso il parlamentarismo. Si tratta della questione generale della lotta di classe del proletariato, dato che questa lotta si trasforma da limitata e settoriale in lotta per il rovesciamento dell’ordine capitalista generale”. E dunque “il partito del proletariato deve rinforzare tutte le posizioni legali conquistate, trasformandole in basi d’appoggio sussidiarie del proprio lavoro rivoluzionario e assoggettando tali posizioni al piano della campagna generale, della campagna della lotta di massa”. E una di tali basi sussidiarie è rappresentata dalla “tribuna del parlamento borghese. … Il partito comunista entra in questa istituzione non per condurvi un lavoro organico, bensì per aiutare le masse, attraverso il parlamento, a far saltare la macchina statale della borghesia e lo stesso parlamento dall’interno”.
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imperialismo
Avvoltoi tricolori sul Niger Un’altra missione all’estero che alimenta il terrorismo e ci espone a ritorsioni Daniela Trollio (*) “Paesi specializzati nel guadagnare e paesi specializzati nel rimetterci: ecco il significato della divisione internazionale del lavoro… La nostra ricchezza ha sempre generato la nostra povertà per accrescere la prosperità degli altri: gli imperi e i loro caporali locali” Eduardo Galeano, Le vene aperte dell’America Latina
acquisti in tutto il continente, Niger compreso, tant’è vero che è il principale creditore del Paese. Numerose sono le imprese cinesi attive nel campo dell’estrazione del petrolio nella regione di Diffa e nella raffinazione nella regione centrale del Paese. E se la multinazionale francese Areva estrae l’uranio che contribuisce per il 30% al fabbisogno di casa, la Cina ha recentemente ottenuto la concessione per lo sfruttamento delle miniere di Azelik.
Leonardo) si piazza oggi all’8° posto mondiale. Lo scorso anno abbiamo esportato per 14 miliardi di euro, il doppio del 2015! Grazie alla vendita di 28 Eurofighter al Kuwait per otto miliardi di euro, merito della ministra Pinotti, ottima piazzista d’armi. E abbiamo venduto armi a tanti paesi in guerra, in barba alla legge 185 che ce lo proibisce. Continuiamo a vendere bombe, prodotte dall’azienda RMW Italia a Domusnovas (Sardegna), all’Arabia Saudita che le usa per bombardare lo Yemen,
Mentitori, come sempre. Nello scorso maggio 2017 il Ministero della Difesa “smentisce le notizie relative all’invio di militari italiani in Niger”. Si trattava di quella che già tutti chiamavano Operazione “Deserto Rosso”. In settembre i ministri Roberta Pinotti e Kalla Moutari firmano un accordo di cooperazione, senza che ne siano precisati i contenuti. Il 17 gennaio 2018 la 27° legislazione si conclude con il voto favorevole - oltre al proseguimento delle attuali missioni militari… scusate, “interventi umanitari”, li chiamano loro… - ad una nuova missione, quella in Niger, “nel quadro di uno sforzo congiunto europeo e statunitense per la stabilizzazione dell’area”, oltre all’intervento in Tunisia in supporto alle “forze di sicurezza” locali impegnate a reprimere le manifestazioni delle masse popolari contro i continui aumenti dei prezzi che peggiorano le condizioni di vita.
Eppure l’Italia non l’ha votato e non ha intenzione di votarlo”.
Qualche dato
Il Niger è uno degli ultimi 10 stati nel mondo per PIL pro capite. La sua è una delle più povere economie degli stati del Terzo Mondo ed è basata essenzialmente sulla pastorizia e sull’agricoltura. Il paese importa prodotti alimentari di base come olii, latte in polvere, farine, zucchero e cereali. Esporta cipolle e fagioli secchi! Il 13,9% della popolazione nigerina è malnutrito, il 59,5% vive sotto la soglia della povertà, che colpisce in particolare la popolazione rurale (il 63,9%). I due terzi dei 19 milioni di abitanti vivono con meno di un dollaro al giorno. Ma… c’è un ma: come nel caso di altri paesi estremamente poveri, il Niger è ricco di minerali. Uranio, carbone, ferro, fosfati, oro e petrolio, tant’è vero che è il 5° paese al mondo per estrazione dell’uranio (più di 3.000 tonnellate l’anno), estrazione gestita in gran parte dalla multinazionale francese Areva.
“Deserto Rosso”
Di uno degli obiettivi dichiarati, quello di “combattere il terrorismo”, non è neanche il caso di parlare: l’Europa si lecca le ferite sanguinanti di questa lotta e non è certo finita, purtroppo. Un altro, invece, è quello di bloccare il ‘nodo’ di Agadez, passo obbligato verso l’imbarco successivo sulle coste libiche dei gruppi di migranti provenienti dall’Africa occidentale che cercano di attraversare il Mediterraneo. Obiettivo un po’ in ritardo, visto che l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (OIM), a fine 2016, aveva registrato una significativa diminuzione: “L’affluenza è diminuita in modo importante dal settembre 2016, quando l’azione del governo contro i trafficanti ha cominciato ad essere più visibile e forte” affermava il capo della missione OIM in Niger, Giuseppe Loprete. Viene naturale, quindi, chiedersi cosa c’è sotto. Tanto per cominciare, l’imperialismo italiano è solo l’ultimo arrivato: la Francia, che possedeva la colonia fino al 1963, gioca in casa grazie al suo passato coloniale facendo la parte del leone, con 4.000 soldati e decine di basi militari sparse nell’area; la Germania ha circa 1.000 militari nel Sahel e una base nella capitale nigerina. Gli Stati Uniti hanno la base militare per i droni più grande dell’Africa sub sahariana poco fuori Agadez e da tempo conducono missioni sia in Niger che in Burkina Faso utilizzando aerei-spia, forze speciali e contractors con basi a Ougagadougou, Niamey e Agadez. Pur essendo in po’ in ritardo, l’Italia è comunque il terzo investitore al mondo nel continente. ENI ed ENEL sono in testa, seguono aziende delle costruzioni, del settore infrastrutture ecc. Ma c’è un inciampo a questa nuova corsa dell’imperialismo europeo, e questo inciampo si chiama Cina. L’Africa è un continente allo stesso tempo poverissimo e ricchissimo, dipende da chi la guarda: materie prime, metalli preziosi e strategici, terre coltivabili, manodopera a bassissimo costo. Con più di un miliardo di persone da sfamare, con le terre coltivabili che vanno perdute per il riscaldamento globale, zitta zitta la Cina ha fatto
armi all’anno. Trump chiede ora ai 28 paesi membri della NATO di destinare il 2% del Pil alla Difesa. L’Italia destina oggi 1,2 % del Pil per la Difesa. Gentiloni e la Pinotti hanno già detto di sì al diktat di Trump. Così l’Italia arriverà a spendere 100 milioni al giorno in armi. Fa parte di questo piano anche l’ammodernamento delle oltre duecento bombe atomiche B61, piazzate in Europa e sostituite con le nuove B61-12. Il Ministero della Difesa ha pubblicato in questi giorni sulla Gazzetta Ufficiale il bando di costruzione a Ghedi (Brescia) di nuove infrastrutture che ospiteranno una trentina di F-35 capaci di portare cadauno due bombe atomiche B61-12. Quindi solo a Ghedi potremo avere sessantina di B61-12, il triplo delle attuali! Sarà così anche ad Aviano? Se fosse così rischiamo di avere in Italia una forza atomica pari a 300 bombe atomiche di Hiroshima! Nel silenzio più totale! Mai come oggi, ci dicono gli esperti, siamo vicini al ‘baratro atomico’. Ecco perché è stato provvidenziale il Trattato dell’ONU, votato il 7 luglio scorso, che mette al bando le armi nucleari.
Manodopera a bassissimo costo, dicevamo. Ed ecco spiegato il ritornello che ripetono tutte le istituzioni e i partiti: “aiutiamoli a casa loro”. Erigendo muri, tagliando a milioni di uomini, donne e bambini ogni possibilità di sfuggire a guerre, violenze, fame e miseria attraverso l’intervento e il controllo militare diretto sul territorio, ecco che gli imperialisti disporranno di un’immensa riserva di schiavi salariati da sfruttare alle peggiori condizioni possibili, oltre ad incrementare l’unica industria che tira, anche in tempi di crisi: quella delle armi.
Ma quanto mi costi!
L’operazione annunciata da Gentiloni al termine del G5 Sahel prevede l’invio di 470 uomini e 150 veicoli. Si stima che il costo dell’operazione sarà di circa 1.500 miliardi, che pagheranno i proletari italiani con ulteriori tagli alla sanità, all’istruzione, alla sicurezza sul lavoro, a quello che resta del welfare, insieme ai costi delle altre missioni “umanitarie”. A questo proposito, il pacifista cattolico Alex Zanotelli, che è uno che se ne intende, negli ultimi giorni del 2017 ha fatto un riassunto delle “iniziative di pace” presenti e future, con i relativi costi. Qui sotto riportiamo alcuni paragrafi. “Nel 2015 è stata inaugurata a Lago Patria (parte della città metropolitana di Napoli) una delle più importanti basi NATO d’Europa, che il 5 settembre scorso (2017) è stata trasformata nell’Hub contro il terrorismo (centro di spionaggio per il Mediterraneo e l’Africa). Sempre a Napoli, la famosa caserma della Nunziatella è stata venduta dal Comune di Napoli per diventare la Scuola Europea di guerra. Ad Amendola (Foggia) è arrivato lo scorso anno il primo cacciabombardiere F-35 armabile con le nuove bombe atomiche B 61-12. In Sicilia, la base militare di Sigonella (Catania) diventerà nel 2018 la capitale mondiale dei droni. E sempre in Sicilia, a Niscemi (Trapani) è stato installato il quarto polo mondiale delle comunicazioni militari, il cosiddetto MUOS. Sempre più spese in armi e sempre meno per l’istruzione, sanità e welfare. Basta vedere il Fondo di investimenti del governo italiano per i prossimi anni per rendersene conto. Su 46 miliardi previsti, ben 10 miliardi sono destinati al Ministero della Difesa: 5.3 miliardi per modernizzare le nostre armi e 2.6 per costruire il Pentagono italiano, ossia un’unica struttura per i vertici di tutte le nostre forze armate, con sede a Centocelle (Roma). Quest’anno il governo italiano spenderà 24 miliardi di euro in Difesa, pari a 64 milioni di euro al giorno. Per il 2018 si prevede un miliardo in più. Ma è ancora più impressionante l’esponenziale produzione bellica nostrana: Finmeccanica (oggi
dov’è in atto la più grave crisi umanitaria mondiale secondo l’ONU (e questo nonostante le quattro mozioni del Parlamento Europeo!).L’Italia ha venduto armi al Qatar e agli Emirati Arabi con cui quei paesi armano i gruppi jihadisti in Medio Oriente e in Africa (noi che ci gloriamo di fare la guerra al terrorismo!). Siamo diventati talmente competitivi in questo settore che abbiamo vinto una commessa per costruire quattro corvette e due pattugliatori per un valore di 40 miliardi per il Kuwait. Non meno preoccupante è la nostra produzione di armi leggere: siamo al secondo posto dopo gli USA! Sono queste le armi che uccidono di più! E di questo commercio si sa pochissimo. Quest’economia di guerra sospinge il governo italiano ad appoggiare la militarizzazione della UE. È stato inaugurato a Bruxelles il Centro di pianificazione e comando per tutte le missioni di addestramento, vero e proprio quartier generale unico. Inoltre la Commissione Europea ha lanciato un Fondo per la Difesa che a regime svilupperà 5,5 miliardi di investimento l’anno per la ricerca e lo sviluppo industriale nel settore militare. Questo fondo, lanciato il 22 giugno, rappresenta una massiccia iniezione di denaro pubblico nell’industria bellica europea. Sta per nascere la PESCO - Cooperazione Strutturata Permanente della UE nel settore militare (la Shengen della Difesa!). “Rafforzare l’Europa della Difesa – afferma la Mogherini, Alto Rappresentante della UE per gli Affari Esteri – rafforza anche la NATO”. La NATO, di cui la UE è prigioniera, è diventata un mostro che spende 1000 miliardi di dollari in
Non c’è bisogno di commentare quanto sopra, che dimostra che quello italiano non è affatto un imperialismo “straccione” come molti tendono a pensare. Nella realtà della nuova ri-colonizzazione e della spartizione dei mercati noi ci siamo immersi fino al collo; la guerra non è mai stata tanto vicino a noi. Non solo perché tocca le nostre vite con il peggioramento delle condizioni di lavoro e sociali. Sono in atto alcuni meccanismi classici di tutte le guerre imperialiste: la militarizzazione quale strumento di risoluzione di tutti i problemi sociali e il conseguente appello al “patriottismo”, in base al quale dovremmo smettere di rivendicare i nostri diritti; la creazione di un “nemico” cui addebitare i nostri problemi: quei nostri fratelli di classe che chiamano – spersonalizzandoli – “migranti”, che “ci rubano il lavoro” e sono causa dell’insicurezza del nostro paese (non solo del nostro, visto che il discorso tocca tutto il mondo, Trump dixit…). Se torniamo con la memoria al periodo immediatamente precedente la 2° guerra mondiale, che non è poi così lontano, ce li ritroviamo tutti. Verrà il giorno, purtroppo, - e bisogna dirlo chiaramente – in cui saremo chiamati anche noi a versare il nostro sangue per i padroni, sangue che già versiamo visto che i morti di lavoro sono circa 500 all’anno, se non capiremo che - come diciamo da anni – il nemico è in casa nostra, se non decidiamo di dire “basta”. Basta alle guerre imperialiste, basta allo sfruttamento, ormai senza freni, basta ad una società dove conta solo il massimo profitto dei capitalisti. Oggi, nel nostro paese, pare che – nonostante le cose agghiaccianti che avete letto sopra – ci sia un unico problema: le elezioni. Può davvero cambiare qualcosa? Decisamente no e, tanto per restare in tema con l’articolo, ricordiamo che tutte le avventure militari italiane hanno sempre goduto del sostegno bi-partisan delle forze politiche. Le elezioni passano, i padroni restano. Il resto sono solo vuote chiacchiere, che ci rifilano da troppo tempo, contando sulla nostra mancanza di memoria e, soprattutto, di organizzazione. (*) CIP “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni
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rassegna stampa
Notizie in breve dal mondo gennaio 2018 nuare a manifestare contro l’alto costo della vita. Il corteo è stato organizzato, tra gli altri, dall’Unione Generale dei Lavoratori Tunisini, che reclama anche migliori condizioni per i lavoratori. Le manifestazioni avvengono nell’anniversario della “Rivoluzione dei Gelsomini” del 2011. Il governo ha annunciato una serie di misure per aiutare le famiglie più povere, con un investimento di 23 milioni di euro circa.
Seul, Corea del Sud 4 gennaio
Centinaia di sud-coreani hanno manifestato davanti all’ambasciata giapponese, per protestare contro l’accordo segreto siglato nel 2015 tra Corea del Sud e Giappone, reso noto solo la scorsa settimana, sul tema delle schiave sessuali durante l’invasione giapponese. Secondo gli studiosi, circa 200.000 giovani donne, soprattutto della Corea del Sud, vennero sequestrate e obbligate a prostituirsi nei bordelli giapponesi durante la guerra nel Pacifico. L’accordo che i manifestanti vogliono sia cancellato prevede l’accettazione della richiesta del Giappone di persuadere le vittime ad accettarlo, l’eliminazione della parola “schiava sessuale” e la demolizione della piccola statua che le ricorda, contro il pagamento di circa 9 milioni di dollari USA da parte del Giappone per, genericamente, “aiutare le vittime della Corea del Sud”. Il gruppo che appoggia le ex shiave sessuali da quasi trent’anni chiede invece che il governo sud-coreano restituisca i fondi e annulli gli accordi del 2015.
Tel Aviv, Israele 6 gennaio
Qualche centinaia di persone si sono riunite nell’hotel Abraham come primo atto delle proteste previste contro la deportazione pianificata dal governo - dei richiedenti asilo provenienti dall’Eritrea e dal Sudan. Il governo aveva annunciato recentemente la propria intenzione di dare come risposta alle richieste o la carcerazione a tempo indefinito o la deportazione.
Berlino, Germania 6 gennaio
Scoppiano le polemiche sulla stampa e sulle reti sociali contro le parole del leader del gruppo parlamentare del Partito Popolare Europeo (PPE) Manfred Weber: “Nell’anno 2018 il tema europeo centrale è la soluzione finale per la questione dei rifugiati”, termini che ricordano la “soluzione finale per la questione ebrea” dei nazisti. Weber lo ha detto durante la convenzione dell’Unione Socialcristiana di Baviera, aggiungendo che gli interlocutori principali devono essere i paesi centroeuropei e il primo ministro ungherese, Viktor Urban.
Ginevra, Svizzera 7 gennaio
Secondo quanto informa oggi l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), almeno 3.116 immigranti e rifugiati hanno perso la vita nel 2017 mentre cercavano di arrivare in Europa attraverso il mare. Si tratta del totale più ‘basso’ registrato in 4 anni dall’inizio della crisi migratoria nel Mediterraneo. I migranti che sono riusciti ad arrivare in Europa via mare nel 2017 sono 171.635. Meno del 70% sono arrivati in Italia, gli altri in Grecia, Cipro e Spagna. Secondo i dati di Frontex (agenzia europea della guardia di frontiera e costiera) i migranti giunti nei paesi dell’Unione Europea durante il 2017 sono stati 204.300, il 60% in meno del 2016.
Svezia, 8 gennaio
Con una decisione a dir poco delirante, il “Försvarsberedningen” (Comitato per la Difesa della Svezia), una commissione di alto livello composta da membri di tutti i partiti politici, della Difesa e da vari ministri, chiede a tutti i cittadini svedesi di rifornirsi di acqua e viveri a fronte di un “possibile attacco russo”. Si chiede ai cittadini di rifornirsi di quanto necessario per una settimana. Il Comitato raccomanda quindi che la Svezia si prepari alla difesa militare e civile perchè il paese possa superare una situazione di crisi, o di guerra, per tre mesi. Chiede quindi allo Stato che per i prossimi 5 anni vengano riservati 325 milioni di corone (33,6 milioni di euro) annuali per pagare i costi di rinnovamento e mantenimento dei rifugi aerei sparsi in tutto il paese.
Khartum, Sudan 8 gennaio
Uno studente ucciso, diversi capi dell’opposizione arrestati e sei quotidiani sequestrati dalle autorità sono il bilancio delle manifestazioni che si sono svolte ieri in diverse città del Sudan. A Khartum, la polizia ha lanciato gas lacrimogeni contro i manifestanti – organizzati dal Partito Comunista sudanese - che accerchiavano il Palazzo presidenziale. Una persona è morta nella città di al Janina, nella parte occidentale della provincia del Darfour. Le manifestazioni sono state indette contro il carovita, in particolare contro il rincaro del prezzo del pane, decuplicatosi dopo l’aumento del prezzo della farina a causa della decisione governativa di non importare grano e di permettere invece di farlo alle società private. Le proteste sono iniziate alla fine del 2016.
Palm Beach, Florida, USA 15 gennaio
repressi dalla polizia che ha usato gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per respingere coloro che si stavano dirigendo verso il palazzo presidenziale, dove il 27 gennaio dovrebbe prendere posto Hernàndez, eletto fraudolentemente. Alla marcia partecipava anche Manuel Zelaya, l’ex presidente rovesciato da un colpo di Stato nel 2009.
Berna, Svizzera 13 gennaio
A 10 giorni dall’inizio del Foro Economico Mondiale di Davos, 1.500 persone, in maggioranza giovani, hanno manifestato nella centrale piazza del Kafigturn, ad un centinaia di metri dal Palazzo Federale, sede del governo e del Parlamento, per protestare contro la riunione. Dopo aver percorso le principali vie del centro storico, i manifestanti hanno tentato di fermarsi davanti all’Ambasciata USA, ma ne sono stati impediti da un forte schieramente poliziesco. La manifestazione non era autorizzata ma è stata ‘tollerata’ dalle forze di polizia schierate.lungo tutto il corteo.
Vienna, Austria 13 gennaio
Circa 20.000 persone (secondo la polizia della città; 80.000 secondo gli organizzatori) sono scese in piazza contro quello che considerano un giro verso posizioni ultra-nazionaliste e di estrema destra della coalizione di governo formata dal Partito Popolare (ÖVP) e dall’anti-europeo e xenofobo Partito Liberale (FPÖ, partito fondato da ex nazisti dopo la 2° guerra mondiale), per la loro politica di asilo restrittiva e per il taglio dei diritti per i migranti. Sulla maggioranza dei cartelli e degli striscioni era scritto: “Non lasciate governare i nazisti”. 1.300 poliziotti hanno sorvegliato la rumorosa manifestazione. Le proteste erano cominciate dopo che il ministro dell’Interno, Herbert Kickl, aveva annunciato un piano per mantenere “concentrati” in luoghi precisi i richiedenti asilo, resuscitando il ricordo dei “campi di concentramento”. Nonostante la smentita del ministro, persino il presidente della repubblica, Alexander van der Bellen, ha emesso un comunicato ricordando che non c’è spazio nei discorsi politici per espressioni che “possano intendersi come allusioni all’epoca più oscura del paese”.
Berlino, Germania 15 gennaio
Come tutti gli anni, migliaia di persone hanno reso omaggio ai fondatori del Partito Comunista Tedesco, Rosa Luxemburg e Karl Liebkncht, assassinati dai fascisti dei Freikorps il 15 gennaio 1919. La manifestazione si è conclusa davanti al Monumento Socialista nel cimitero di Friedrichfeld, dove sono seppelliti i loro corpi. Il Monumento fu costruito nel 1920 e ricostruito nel 1946 dopo essere stato distrutto dai nazisti.
Tunisi, Tunisia 15 gennaio
Migliaia di tunisini scendono oggi in piazza contro gli arresti effettuati nei giorni precedenti (ufficialmente 800 fermati) e per conti-
Atene, Grecia 10 gennaio
Militanti del sindacato PAME hanno protestato oggi davanti al palazzo del governo contro la legge che inasprisce le condizioni per la convocazione degli sciopero, elevando da 20 al 50% il quorum nelle votazioni sulla proclamazione degli scioperi. Il progetto di legge è stato presentato ieri sera e verrà approvato nei prossimi giorni. Ieri militanti del PAME avevano occupato per breve tempo la sede del Ministero del Lavoro. Tra le richieste fatte al ministro durante l’occupazione, i lavoratori aveva chiesto anche l’annullamento della procedura elettronica per gli sfratti ipotecari – chiesta dai creditori internazionali – nei riguardi di persone o imprese che non possano pagare i loro debiti verso le banche. Nello scorso dicembre il parlamento aveva approvato una legge che infligge 6 mesi di carcere a chiunque cerchi di impedire uno sfratto. Anche il sindacato dei funzionari e altri collettivi contrari alle vendite all’asta degli immobili ha annunciato manifestazioni di protesta.
I membri della comunità haitiana residenti in Florida hanno organizzato oggi una protesta davanti alla residenza di Donald Trump per chiedere le sue scuse dopo i commenti su Haiti, El Salvador e altri paesi africani da cui provengono i migranti (“... sono paesi di merda”). La stessa protesta ha avuto luogo contemporaneamente a New York. In questo giorno, che commemora la nascita di Martin Luther King, la figlia Bernice ha detto che “non si può permettere che le nazioni del mondo prendano le parole provenienti dal nostro presidente come un riflesso del vero spirito degli Stati Uniti”.
Buenos Aires, Argentina 16 gennaio
Dopo le grandi manifestazioni di fronte al Congresso della fine di dicembre e in tutto il paese, il governo ha annunciato che non convocherà riunioni straordinarie in febbraio: si sposta così a marzo il dibattito sulla controversa riforma del lavoro e delle pensioni proposta da Mauricio Macri, che prevede ulteriori misure di flessibilità del lavoro.
Grecia, 16 gennaio
Una nuova ondata di scioperi e proteste ha scosso ieri la Grecia contro le annunciate misure del governo contro il diritto di sciopero. Paralizzati i trasporti. Ad Atene – nella storica piazza Syntagma ci sono state cariche poliziesche contro i manifestanti. Il Parlamento greco, su richiesta della Troika ha appena approvato un pacchetto di più di 100 misure contro i diritti dei lavoratori. D’ora in poi chi voglia proclamare uno sciopero deve ottenere l’assenso del 50% dei lavoratori del settore per farlo (finora la legge prevedeva il 20%). Le associazini padronali avevano richiesto flessibilità nei licenziamenti, la legalizzazione delle serrate e di rendere più difficoltosa la proclamazione degli scioperi. Richieste accolte dal governo di Syriza. Sempre secondo il governo, queste misure permetteranno l’approvazione della “terza fase” del piano di riscatto della Troika. Da quando è cominciata la crisi, in Grecia ci sono stati più di 50 scioperi generali.
New York, USA 21 gennaio
Parlando in un sinagoga della città, il segretario dell’ONU, Antonio Guterres, avverte che “simboli, linguaggio e mentalità nazista sono ancora presenti tra gli esseri umani” e che “la minaccia neonazista cresce in tutto il mondo”. A quasi 80 anni dalla caduta del III Reich, avverte, esistono 65 gruppi neonazisti in 25 diversi paesi. Questi gruppi hannno migliaia di seguaci non solo in Europa e negli USA ma in tutto il mondo ed il reclutamente di simpatizzanti della ‘supremazia bianca” e de nazismo è aumentata nei campus universitari. Segnala infine che gli incidenti antisemiti sono cresciuti negli USA del 76% durante il 2017 e nel Regno Unito del 30%.
Zurigo, Svizzera 24 gennaio
Migliaia di persone hanno manifestato in città contro la pesenza di Trump al Foro Economico Mondiale di Davos. I cartelli, in maggioranza, dicevano “Trump non sei benvenuto” e, riguardo le sue dichiarazioni sui paesi da cui provengono in maggioranza i migranti, “Trump sei una persona di merda”. A proteggere la riunione di Davos ci sono più di 4.000 soldati svizzeri oltre a 1.000 poliziotti, oltre all’istituzione di una zona di esclusione aerea.
MEMORIA
Ales, Sardegna 22 gennaio 1891 Nasce oggi nel piccolo paese sardo Antonio Gramsci. Diventerà il più grande pensatore marxista del nostro Paese, fondatore e segretario del Partito Comunista d’Italia. Diventerà il prigioniero n. 7047 della Casa Penale Speciale di Turi, dopo la condanna a 20 anni di reclusione del tribunale speciale fascista. Morirà il 27 aprile 1927. Come diceva il filosofo tedesco Max Horkheimer “la carriera rivoluzionaria non conduce a banchetti e titoli onorifici, a ricerche interessanti e a stipendi da professore, ma alla miseria, alla calunnia, che solo una fede sovrumana può illuminare”. E così scriverà Gramsci al fratello Carlo dal carcere: “La mia posizione morale è ottima: c’è chi mi crede un satana, c’è chi mi crede un santo. Non voglio essere né un martire né un eroe. Credo di essere semplicemente un uomo comune, qualsiasi, che ha le sue convinzioni profonde, e che non le cambierebbe per nulla al mondo”.
Tegucigalpa, Honduras 13 gennaio
Migliaia di manifestanti - in piazza contro la rielezione del presidente dell’Honduras, Juan Orlando Hernàndez – sono stati duramente
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La rubrica delle lettere è un punto fisso di quasi tutti i giornali. Noi chiediamo che in questa rubrica siano presenti le vostre lettere, anche quelle che spediteai vari quotidiani e rivisteche non vengono pubblicate. Il sommerso a volte
lettere
è molto indicativo
La Toscana non è rossa
Morti sul lavoro per interesse padronale
In Toscana, le condizioni di lavoro di molti giovani, soprattutto nel settore del turismo e della ristorazione, sono molto dure. A Livorno è balzata agli onori delle cronache la vicenda di 4 lavoratori licenziati dal Porca Vacca (addirittura tramite Whatsapp) perché non avevano accettato un contratto più svantaggioso. A Grosseto, un’impresa di pulizie ha chiesto a una giovane coppia di pulire in un villaggio turistico ben 14 appartamenti in 4 ore, per soli 6,50 €, compreso il costo del carburante per lo spostamento. In provincia di Massa una cuoca tuttofare riceve la bellezza di 3 euro l’ora, ma assicurata per sole 4 ore giornaliere contro le dieci effettuate. Nella ricca Forte dei Marmi un albergo di lusso paga solo 500 euro ad un bagnino per la sorveglianza in piscina e si rifiuta di pagare le ore straordinarie. E quanti ancora se ne potrebbero trovare in una regione dove la disoccupazione giovanile è al 35%, nonostante la propaganda di Governo e Regione sostenga il calo. I giovani, definiti schizzinosi dall’autrice della famigerata legge sulle pensioni, quando trovano lavoro - spesso a scadenza - sono supersfruttati e ricattati. In barba ai bamboccioni!!! Francesca Allegri Livorno
Le donne morte sul treno deragliato a Milano erano lavoratori, quindi vanno considerate morti sul lavoro come, negli stessi giorni, i 4 nella fabbrica di Milano, il giovane in una fabbrica di Ascoli Piceno, lo straniero in una cava di Rapolano. Morti per la sete di profitto dei padroni che riconoscono solo i loro interessi. Anche la proprietà e la gestione privata dei treni che, come tutte le privatizzazioni tanto auspicate dai governi al potere, non migliorano con la concorrenza, anzi più privatizzano, più vogliono guadagnare. E non ci stupisce più neppure l’informazione, ci devono essere più di due morti alla volta per far precipitare i giornalisti in servizi sensazionalisti con stupide domande a presenti e parenti. Se ne muore uno al giorno, com’è vero, o se il morto è straniero non c’è interesse a comunicare quanti sono i lavoratori che effettivamente muoiono ogni giorno. Forse ci sarebbe assuefazione, forse ci sarebbe più interesse e... partecipazione non solo emotiva del momento, ma organizzativa per impedire queste continue stragi. Davide Imperato Perugia
Cinquemila in fila per... uno Ha sollevato scalpore il fatto che 5mila giovani si siano presentati a Parma ad un concorso per ottenere un posto di infermiere. Una macchina tra l’altro, costata all’Asl 40mila euro e ai partecipanti le spese di trasferta, in molti casi complicata soprattutto per quelli spostatisi dal Sud. I “soloni” opinionisti si sono scandalizzati perché ciò ha rappresentato la voglia di un posto fisso anziché come ha detto qualcuno “mettersi in gioco”. Io penso che in questi tempi di precariato la voglia di avere un posto che permetta di progettare il futuro sia del tutto legittima e dimostra che i giovani non sono bamboccioni - se non i figli dei ricchi - né schizzinosi! La vergogna è che in Italia c’è mancanza di 60 mila infermieri, il turn over è bloccato, i tagli sono continui in qualsiasi regione e gli operatori degli ospedali sono costretti a turni massacranti. Anche questo fa parte dello smantellamento della sanità pubblica che ci obbliga a pagare il sovrapiù dei ticket e ci costringe ad interminabili liste di attesa. Angelica Franco Ostia
Campagna per la liberazione di Ahed Tamimi Ahed Tamimi, 16 anni, attivista della resistenza palestinese nel villaggio di Nabi Saleh, è stata arrestata. Il suo crimine, affrontare con dignità e determinazione e la forza delle sue parole i soldati armati fino ai denti a difesa delle terre rubate, della costruzione delle colonie, dello sfruttamento delle risorse in territorio palestinese. La mattina del 19 dicembre lei e la sua famiglia sono diventate l’obiettivo delle forze di occupazione israeliane a seguito della protesta per il grave ferimento di Mohamed Tamimi, il cugino di Ahed, colpito alla testa da uno di quei micidiali proiettili di metallo ricoperti di gomma e ora in coma. I soldati hanno fatto violentemente irruzione in casa, confiscato telefoni, macchine fotografiche, computer, picchiato la madre di Ahed e arrestato la ragazza. Anche sua madre Nariman e sua cugina Nur (21 anni) sono state arrestate nelle ore e giornate successive. Non è la prima volta… a turno i ragazzi e specie le ragazze di questa famiglia vengono picchiate e arrestate E alcuni mesi fa ad Ahed era stata impedita la partecipazione alla carovana di solidarietà “Palestina-Movimento Nero uniti nella lotta” negli Stati Uniti insieme all’attivista e scrittore Nadya Tannous e all’attivista per la liberazione nera Amanda Weatherspoon. Denunciamo l’arresto di Ahed, Nariman e Nur, gli ultimi dei 450 arresti di palestinesi dopo la decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Firma per liberare Ahed Tamimi e tutti i minori palestinesi in prigione https://secure.avaaz.org/campaign/en/free_ahed/?kVdCKdb
Diritto alla salute, solo un ricordo È possibile che mentre governo e i suoi organi di (dis)informazione mettono in primo piano i loro meriti sulla fine della crisi, sull’economia che tira aumenta la povertà? E lo si vede non solo per le file alle mense popolari, ma per un fatto meno evidente: la povertà sanitaria. Nel 2017 le persone che non hanno potuto comprare farmaci sono salite del +4% rispetto al 2015. Le cure mediche sono diventate un privilegio anche chi non è povero: il 26% ha rinunciato almeno una volta in un anno a visite specialistiche o accertamenti diagnostici e gran parte di queste persone ha dovuto anche rinunciare a curarsi. Poco meno di un quarto, il 23 per cento, ha rinunciato almeno qualche volta ad acquistare farmaci, al Sud, addirittura è metà della popolazione che deve rinunciare. Perfino più del 10% degli utenti coperti dal Servizio Sanitario Nazionale ha rinunciato a visite ospedaliere o a esami del sangue, non potendosi permettere il ticket. La popolazione si ammalerà sempre di più, aiutata dallo stress lavorativo o per disoccupazione e dall’inquinamento ambientale, mentre il ministero della Salute spende in spot pubblicitari sulla prevenzione. Quale prevenzione davanti a questi dati? A suono di trasformazione degli ospedali in aziende con manager inetti ma superpagati, di tagli ai posti letto e agli infermieri anziché sugli sprechi, di finte razionalizzazioni, di permettere agli specialisti dipendenti dei servizi pubblici di operare anche privatamente, stanno distruggendo il servizio pubblico a favore del privato e creando sanità di serie A e di serie B come negli Stati Uniti. Il SSN e il diritto alla salute saranno solo un ricordo! Andrea Franceschi Ravenna
Vergogna a Gorizia Questa mattina, a Gorizia, un municipio di un comune italiano, nella Repubblica nata dalla Resistenza, è stato violato dalla presenza delle bandiere fuorilegge e golpiste della RSI, sventolate in nome di un malinteso senso di “amor patrio” dai nostalgici di quella parte d’Italia che, tradendo il legittimo governo in carica, scelsero di dare vita ad una repubblica golpista alleata con gli invasori nazisti; alleanza che contribuì a far proseguire ancora per quasi due anni la scellerata guerra scatenata dai nazifascisti, causando in tal modo la morte di altri milioni di persone: nei combattimenti, sotto le bombe, nei lager nazisti, ma non solo. I militi della Decima Mas (commemorata oggi a Gorizia da nostalgici, nazionalisti e fascisti) collaborarono nelle azioni di rappresaglia a fianco dei nazisti massacrando altri italiani, propri connazionali, “colpevoli” di volere un’Italia libera e non fascista. Oggi ce li presentano come difensori della patria e dell’italianità, ma noi sappiamo bene che gli italiani che combattevano nelle formazioni al fianco del Reich di Hitler combattevano contro la loro stessa patria. Oggi abbiamo sentito dichiarare da più parti che è giusto commemorare chiunque abbia lottato ed è morto per le proprie idee: a quando una commemorazione solenne anche per Adolf Hitler? Oppure, per fare un paragone coi giorni nostri, dovremmo rendere onori anche ai kamikaze sedicenti dell’Isis che in nome delle loro idee provocano stragi nel mondo? Manifestazioni come quella di stamattina a Gorizia non solo sono inaccettabili politicamente ed umanamente, ma va aggiunto che l’esposizione di vessilli e simboli fascisti costituisce violazione di legge. Non dobbiamo permettere ai fascisti di tornare nelle piazze a seminare odio! L’antifascismo oggi è necessario più che mai per fermare questa avanzata reazionaria che ci sta minacciando. Claudia Cernigoi - 20 gennaio 2018
Fake news o necessità? In questo periodo si è affacciata una nuova parola: fake news e con questa ci martellano come fosse una novità. Da sempre il potere ha usato l’informazione per trasmettere notizie a proprio vantaggio. Come quella della fine delle ideologie, creata solo per inculcare alla classe che credeva nel socialismo che il socialismo era finito. E cosa sono quelle che ci hanno propinato per scatenare guerre, in primis, l’Iraq. Quel potere che aveva bisogno di mani libere per accumulare ricchezze e armi per fare guerre e conquistare sempre più nuove terre dividendo i popoli! Enrico Biancheri Imperia
nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) anno XXVII n. 1/2018 - Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze - tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Emiliano, Michele Michelino, Fabrizio Poggi, Stefano Ranieri, Daniela Trollio abbonamento annuo Italia euro 26,00 abbonamento annuo sostenitore euro 104,00 abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20 I versamenti vanno effettuati sul c/c postale nr. 001031575507 intestato a: nuova unità - Firenze Stampato interamente su carta riciclata, nessun albero è stato abbattuto per farvi leggere queste pagine
Chiuso in redazione: 25/01/2018
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