nuova unità n. 1/2019

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comma 20/B art. 2 Legge 662/96 filiale di Firenze

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Proletari di tutti i paesi unitevi!

nuova unità fondata nel 1964

“Colui che intende il passaggio al socialismo senza la repressone della borghesia, non è un socialista… la libertà per la borghesia non la vogliamo, l’uguaglianza di sfruttatori e sfruttati non l’ammettiamo”

V.I. Lenin Periodico comunista di politica e cultura n. 1/2019 - anno XXVIII

Borghesia e imperialismo sempre all’attacco Non è il momento di stare a guardare, ma di parteggiare

La borghesia non cede il potere. È per questo che la lotta rivoluzionaria deve annientarla. Non c’è un altro sistema. E la rivoluzione va portata alle estreme conseguenze. Argentina, Colombia, Brasile, Nicaragua, il Venezuela oggi dimostrano che per costruire il socialismo non si può lasciare spazio a privatizzazioni, liberalizzazioni, alla conciliazione con la borghesia, al capitalismo - sono oltre 3mila le aziende statunitensi sul territorio - e alle forze di destra che ne fanno gli interessi. L’imperialismo con a capo gli Stati Uniti sono sempre pronti a punire gli Stati che giudicano scomodi e a utilizzarli per denigrare il comunismo. Washington ha concertato l’operazione contro il Venezuela con il pretesto delle elezioni che hanno favorito Maduro, garantite da un sistema che impedisce brogli e con la presenza degli osservatori internazionali del Consiglio dei Periti elettorali latino-americani (Ceela), dell’Unione africana, della Comunità dei Caraibi (Caricom) (assente l’UE che si è rifiutata), commissione presieduta da Jimmi Carter. A fianco degli Stati Uniti il Canada, molti Stati latinoamericani ed europei e la UE che aveva rifiutato - per voce di Federica Mogherini di monitorare le elezioni - e che ha anche bloccato i fondi statali venezuelani in Belgio. Ma il sabotaggio, le sanzioni e la costruzione di simulazioni della borghesia che è in atto da tempo, è riuscito: è causa dell’aggravamento delle condizioni di vita delle masse e della divisione tra la popolazione, molto favorevole agli interessi del capitale euro-atlantico. Destituire Maduro lo chiamano ripristino della democrazia. È la democrazia del potere che disconosce la volontà degli elettori e invoca l’intervento militare da parte di un paese straniero. Un deja vu da anni in troppe parti del mondo. La classe dominante borghese non accetta neppure la democrazia formale se non può governare con il consenso dei subalterni e degli alleati e perciò grida alla democrazia tradita, ma si accorda con i talebani sul ritiro delle truppe lasciando il paese nelle loro mani. L’Italia non si distingue. Sul Venezuela il Governo traccheggia tra varie posizioni e viene sollecitato da quel vecchio arnese del Presidente Mattarella (che si manifesta sempre più reazionario) per schierarsi e riconoscere ufficialmente il fantoccio Guaidò autoproclamatosi presidente (così patriottico da invocare l’intervento militare degli USA), un anticomunista, militante dell’organizzazione di estrema destra Voluntad popular, che non ha neppure partecipato alle elezioni del 2018, anzi le ha boicottate per paura di perderle, e che sta ingannando la parte della popolazione venezuelana che lo segue con promesse che non manterrà. Accodati al clima politico imperante si sono scatenati: massmedia, opinionisti, politicanti, partiti di “sinistra” fino alla Cgil che, dopo la condanna del colpo di Stato, ha rettificato ribadendo nessun sostegno a Maduro. Il nemico di classe ha le idee molto chiare. Anche screditare Maduro considerandolo comunista è utilizzato per far avanzare la campagna contro gli ideali del socialismo e del comunismo che rappresentano un modo di vista diverso, a favore della maggioranza della popolazione, contro l’imperante individualismo, della privatizzazione. Le crescenti forme reazionarie e nazionaliste possono penetrare nel movimento operaio e popolare a causa dell’indebolimento della coscienza di classe e grazie all’attività del revisionismo, del “riformismo” della cosiddetta sinistra e del conciliatorismo dei sindacati, scatenano la guerra tra poveri e rafforzano i veri nemici. L’aggressività del padronato, che conosce solo la legge del profitto, non diminuisce con il cambiare dei governi, così come il peggioramento delle condizioni di vita e l’imbarbarimento delle condizioni di lavoro - sul quale pesano sempre più per i proletari la mancanza di sicurezza di avere un lavoro, una casa, il diritto a curarsi o di far studiare

i figli mentre le morti di e da lavoro mietono vittime quotidiane. Per la loro sicurezza i padroni attaccano il diritto di sciopero e criminalizzano le manifestazioni di protesta, i blocchi stradali e i picchetti, strumenti della lotta di classe per la difesa dell’occupazione, di fronte alle continue chiusure (ultime in ordine di tempo Alessi e Zara) e le delocalizzazioni di aziende. Delocalizzazioni che, in nome della libertà di mercato, anche questo governo così prepotente con i deboli (proletari e immigrati) finge di non vedere per non disturbare i forti, le multinazionali e gli interessi del grande capitale. Al momento rivoluzionario ci si arriva con la pratica della lotta di classe che i vari governi di centrosinistra o centrodestra tentano in tutti i modi di frenare promettendo demagogicamente cambiamenti per risolvere i problemi irrisolvibili fermo restando il capitalismo. L’organizzazione

e l’unità sono le chiavi per vincere ogni battaglia parziale nei luoghi di lavoro - quella del recupero di alcuni dei diritti perduti -, ma la classe lavoratrice deve capire che sta pagando una crisi imposta dalle scelte e dagli interessi del capitalismo che utilizza questo o quel governo, o partito, a seconda delle proprie necessità. Il movimento operaio deve dimostrare che è con la lotta politica, organizzata nel Partito comunista, che si può e si deve arrivare ad un sistema sociale dove non esistano più padroni e, quindi, senza sfruttamento. L’imperialismo vuole imporre la propria dittatura in tutto il mondo. Non è il momento di stare a guardare, ma di parteggiare. Di fronte ad una situazione mondiale molto grave, ad una situazione interna di piena fascistizzazione dello Stato, occorre uno sforzo organizzativo per vincere la frammentazione della classe e favorire l’unità della classe e dei comunisti.

Lotte di classe, rapporti giuridici e diritto borghese/Che cosa cambia con il Decreto sicurezza?

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1919-2019: i cento anni dell’Internazionale Comunista pagine 4/5 Venezuela, una dichiarazione di guerra pagina 6 Foibe: revisionismo storico e anticomunismo. Una delle più sconcertanti e oltraggiose disposizioni di legge nel nostro paese pagina 7 intervista/ Eduardo Barranco, 2° Console generale del Venezuela a Milano: “La guerra che c’è adesso è quella con i mezzi di comunicazione in campo”. pagine 6/7

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lavoro

Lotte di classe, rapporti giuridici e diritto borghese Che cosa cambia con il Decreto sicurezza? Michele Michelino Solo il proletariato cosciente che è estraneo al suo nemico osa ribellarsi riconoscendo il proprio nemico di classe nella borghesia, nei suoi rappresentanti politici, istituzionali, non si sente coinvolto nella sorte del suo nemico, è cosciente di non viaggiare sulla stessa barca. Il proletariato che lotta - lo schiavo salariato che si ribella - ha imparato a non andare a trattare dal padrone col cappello in mano, a essere “insolente”, ha capito che ogni “conquista” basata sui rapporti di forza può essere vanificata subito dopo averla ottenuta. Il proletariato cosciente e le sue avanguardie non si limitano a rivendicazioni economiche ma a volere tutto, il potere, mentre la borghesia ha imparato che non può concedere niente, se non vuole che sia proprio il suo potere a essere messo in discussione. Il sistema capitalista ha imparato a gestire le varie forme di conflitto, tollerando quelle sociali, rivendicative o politiche, compatibili col sistema stesso e reprimendo violentemente le altre. Lo Stato è democratico, pacifico, con quelli che cercano - o si illudono - di trovare la soluzione ai loro problemi muovendosi sul terreno delle compatibilità col sistema di sfruttamento capitalistico, con tutti quelli che si illudono di cambiare la realtà economica sociale e politica a favore delle classi sottomesse affascinati dal parlamentarismo. È tollerante con coloro che si muovono e creano conflitto ma cercano momenti di legittimazione da parte del potere, ed è inflessibile con chi mette in discussione il profitto e il suo dominio. La borghesia, classe di minoranza che detiene il potere nella società, è maestra nel far apparire come interessi generali della collettività i suoi meschini tornaconti e guadagni. Le leggi non sono mai fatte nell’interesse del “popolo”, degli “italiani”, parafrasando una parola che ha fatto le fortune elettorali di Lega e 5Stelle, ma di quella parte che detiene il potere economico e politico, i grandi capitalisti, le multinazionali, l’imperialismo, a scapito della stragrande maggioranza della popolazione. Gli attuali partiti al governo rappresentanti della piccola e media borghesia andati a governare con una campagna contro i poteri forti, al pari delle forze politiche che li hanno preceduti (Pd, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega ecc.), si sono genuflessi davanti all’Unione Europea, alle multinazionali, al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale, alla Bce, all’imperialismo mondiale, a cominciare da quello USA. Uno degli ultimi esempi della loro politica demagogica al servizio del grande capitale è il “decreto sicurezza” voluto insistentemente dal Ministro dell’interno leghista Salvini e dal governo Lega e 5 stelle, diventato legge e presentato come un argine contro l’invasione “straniera”, in particolare contro gli immigrati poveri, perché un nero, un arabo, indiano, o di qualunque altra nazionalità o colore purché ricco in Italia è benvenuto, servito e riverito.

Il Decreto sicurezza In realtà il decreto “sicurezza” di Salvini e del governo gialloverde non è solo contro gli immigrati, ma contro tutti i lavoratori, i proletari italiani o no che lottano per difendere i propri interessi, il posto di lavoro e i propri diritti, visto che prevede un aumento delle pene e la galera per una serie di azioni di lotta

tradizionali del movimento operaio e popolare come riportato in particolare nei punti 23 e 30 della legge. Viene reintrodotto il reato di blocco stradale e invasione di altrui proprietà privata, inteso come ostruzione di strade e binari, punibile con pene da 1 a 6 anni, raddoppiate (da 2 a 12 anni) se il fatto è commesso da più persone usando violenza o minaccia a persone o cose. Da notare che il reato di blocco ferroviario e stradale fu introdotto nel 1948, su iniziativa del Ministro dell’Interno Scelba e nel 1999 era stato depenalizzato e punito con una sanzione amministrativa pecuniaria. Anche per l’invasione dell’altrui proprietà privata (occupazione di case, fabbriche che licenziano ecc.) oltre all’aumento della multa la pena passa da due a quattro anni con le aggravanti a seconda che il fatto sia compiuto in gruppo. Come è evidente queste misure sono rivolte contro i lavoratori in lotta per intimidire, frenare ogni forma di opposizione sociale di chi mette in discussione il sistema capitalista basato sullo sfruttamento e il conflitto di classe. Contro questo decreto, che è in continuità con le politiche contro gli immigrati di Minniti del PD, si sono levate più voci. In particolare dai sindaci e governatori di Regioni che denunciano la chiusura dei grandi Centri Sprar, anche se nessuno di loro denuncia che nei 40 articoli della legge il sale è dato dai provvedimenti contro le lotte operaie e sociali. Le uniche critiche riguardano il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati creato a partire dalla legge Bossi-Fini nel 2002, oggi a rischio scomparsa per effetto del decreto Salvini. Con questa legge i sindaci che devono gestire sul territorio i flussi migratori denunciano che non c’è già più una politica dell’accoglienza e, con la chiusura dei porti, si arriva all’inaccettabilità di chiunque arrivi da richiedente. In questo modo si depotenzia il sistema dell’accoglienza cancellandolo, creando caos, continuando ad alimentare il fantasma del nemico, dell’invasore straniero, attuando una politica che avvantaggia i padroni del lavoro nero e le varie mafie a discapito dei più deboli. Con l’abolizione del permesso di soggiorno concesso per motivi umanitari, poi, crescerà il numero dei

“clandestini”, un aspetto paradossale perché non crea sicurezza ed è punitivo nei confronti dei richiedenti asilo. Contro questa legge alcune Regioni hanno fatto ricorso alla Corte Costituzionale e alcuni sindaci hanno annunciato e cominciato a praticare “l’obiezione di coscienza” ritenendo la legge una violazione dello stesso diritto borghese, dal momento che il decreto prevede anche l’esclusione dei richiedenti asilo dal registro anagrafico. La magistratura, al pari di altre istituzioni dello Stato, è da sempre schierata con il potere, ora più che mai. Illuminante al riguardo è la sentenza della magistratura milanese dell’8 gennaio scorso per lo sciopero davanti ai cancelli della DHL di Settala del marzo 2015 che ha condannato a: 1 anno e 8 mesi il Coordinatore nazionale del S.I. Cobas e ad altri compagni e delegati DHL del S.i.Cobas e del C.s.a Vittoria; 2 anni 3 mesi e 15 giorni ad una compagna del C.s.a Vittoria; e 2 anni 6 mesi e 5 giorni ad un altro compagno del C.s.a Vittoria. Questa sentenza, che si colloca inoltre nel solco delle scelte repressive del razzista, xenofobo e antioperaio decreto “sicurezza”, arriva dopo molteplici denunce, fermi, cariche poliziesche, intimidazioni ai delegati e ai lavoratori del S.I. Cobas e di altre realtà sindacali. Criminalizzare gli avversari, i nemici, incarcerando o ricorrendo all’azione penale processuale è uno dei tanti modi usati dal potere per contenere i conflitti. Il processo di integrazione delle organizzazioni tradizionali della classe operaia, in particolare dei sindacati confederali storici Cgil-Cisl-Uil, dell’Ugl e altre sigle falsamente autonome, li ha trasformati da organismi di lotta delle rivendicazioni operaie a organismi collaborativi del capitale, funzionali al dominio ideologico e politico del proletariato nel sistema capitalista. Questo processo investe anche di alcuni sindacati di base che, per frenare a lotta di classe che si esprime sempre più su contenuti e obiettivi anticapitalisti/ antimperialisti, avvallano l’azione repressiva dello Stato e degli industriali contro le sue avanguardie in caso di licenziamenti politici e mancati diritti dei lavoratori. L’illusione di chi, per anni, ha pensato di cambiare i sindacati di regime o il

sistema dall’Interno “democraticamente per via elettorale” senza tenere conto del loro ruolo al servizio dei padroni ha finito per trasformare alcuni individui e organizzazioni in complici attivi del sistema di sfruttamento. Le manganellate ai picchetti, le denunce e i conseguenti processi sono, in un certo senso, sempre esemplari perché, attraverso la persecuzione degli imputati, si persegue non solo la loro condanna, ma la condanna delle classi o dei settori di classe che hanno espresso queste lotte. In questi processi, infatti, insieme agli imputati si condanna l’organizzazione, la tattica, la strategia, la solidarietà - indipendentemente dai fatti contestati ai singoli - trasformando la lotta di classe in atti criminali. Il processo contro le avanguardie è prima di tutto un atto autoritario, legalizzato, intimidatorio, di cui lo Stato si serve per rafforzare il controllo sociale attraverso la persecuzione e l’eliminazione di chi si oppone all’attuale società capitalista. La repressione “legale” è un atto di forza, reso legittimo dalle leggi borghesi e dai rapporti di forza derivanti dalle condizioni dei rapporti sociali che esprimono consenso alla repressione di chi mette in discussione l’ordine “democratico” borghese. La lotta fra le classi condiziona gli assetti sociali e anche il processo giudiziario non può prescindere dal rapporto di forza esistente in dato momento, anzi ne è fortemente condizionato.

Non possiamo limitarci a ricordare nostalgicamente la fine degli anni ‘60/70, gli anni delle “conquiste operaie” e dei diritti civili ottenuti sull’onda dei movimenti di massa, perché nella società capitalista la lotta di classe e i rapporti di forza influiscono anche sul diritto e il processo; la punizione, il carcere, la legislazione penale e del lavoro hanno sempre avuto dei connotati di classe. L’attacco dei padroni contro le lotte operaie che mettono in discussione il profitto e il potere dei capitalisti si fa sempre più duro e l’utilizzo dei crumiri, dei fascisti, della polizia e della magistratura contro i proletari in lotta viene utilizzato per rompere l’unità dei lavoratori e ottenere la pace sociale. Il sistema capitalistico di produzione ha come fine il massimo profitto che si regge sullo sfruttamento e sulla violenza del capitale. Al padrone non interessa la sicurezza sul lavoro dell’operaio, del lavoratore, la sua integrità fisica e psicologica non interessa la morte di miliardi di persone e la distruzione della natura, interessa unicamente il profitto che persegue con ogni mezzo, con il bastone o la carota. La repressione attuata attraverso lo Stato e le sue istituzioni legalizza la violenza borghese e poliziesca e lo sfruttamento, criminalizzando le lotte anticapitaliste. Oggi viviamo in un periodo storico in cui la lotta di classe l’hanno vinta i padroni, ma la lotta di classe continua e con essa cresce in settori del movimento operaio e proletario la necessita di un’organizzazione rivoluzionaria, un partito operaio, comunista, che si batta per abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione, per una società socialista. Il tempo delle sette è finito. Continuare ad alimentare la divisione sindacale e politica pensando di essere gli unici ad avere la verità del marxismo-lenismo in tasca, mantenendo tante piccole organizzazioni rivoluzionarie in concorrenza e in lotta fra loro invece di unirsi nella lotta comune contro il capitalismo, significa continuare ad essere subalterni al nemico che si dice di voler combattere. L’obiettivo di costruire una società in cui si produca per soddisfare i bisogni degli esseri umani, in cui lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo sia considerato un crimine contro l’umanità e che salvaguardi la natura è possibile solo distruggendo dalle fondamenta questa società dove i borghesi, i ricchi diventano sempre più ricchi sulla miseria di miliardi di esseri umani.

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rassegna stampa

Notizie in breve dal mondo gennaio 2019 50.000 bambini torneranno da domani a scuola nella provincia siriana. Il capo del Dipartimento dell’Educazione, Ahmad Ibrahim, ha annunciato che è terminata la ricostruzione di 78 scuole in tale provincia. Sono in corso i lavori di ricostruzione delle scuole in altre 50 località della zona.

Buenos Aires, Argentina 2 gennaio

Nonostante la profonda crisi economica che il paese attraversa, il presidente Mauricio Macri firma oggi un decreto che stabilisce per lui e per tutto il suo gabinetto un aumento dei compensi di circa il 25%; ne godranno circa 300 funzionari tra ministri, segretari e sottosegretari. Per il resto degli argentini il 2019 si apre con nuovi aumenti – secondo il piano del Fondo Monetario Internazionale – delle tariffe dei servizi pubblici di trasporto, elettricità e gas.

Addis Abeba, Etiopia 31 gennaio

Il vice presidente dell’Unione Africana – blocco composto da 55 paesi del continente – ha inviato un messaggio di solidarietà e appoggio al presidente venezuelano Nicolàs Maduro e al suo popolo. Manifestazioni di solidarietà si sono svolte in Mali, Tunisia e Namibia.

Stato del Kerala, India 2 gennaio

Più di 3 milioni di donne hanno formato oggi nello stato indiano una catena umana (il Muro delle Donne o Vanitha Mathil) di 600 km. per difendere l’uguaglianza di genere e i diritti delle donne. La manifestazione era stata convocata da 176 organizzazioni progressiste e preparata da centinaia di riunioni.

Buenos Aires, Argentina 31 gennaio

In piazza dei Due Congressi, migliaia di persone hanno bruciato pubblicamente e collettivamente le bollette della luce e del gas, per protestare contro i forti rialzi dei prezzi, che vanno dal 30 al 48% nonostante le continue interruzioni dei suddetti servizi. Nella stessa giornata ilo Segretariato per la Sicurezza Sociale ha fornito i dati a novembre 2018 sui salari medi dei lavoratori stabili: il salario medio dei lavoratori argentini è caduto del 13,2% in termini reali. Si tratta della perdita maggiore dal 2002.

Washington, USA 3 gennaio

Nel primo discorso al personale, il nuovo segretario alla Difesa – Patrick Shanahan nominato dopo che il generale J. Mattis ha dato le dimissioni per disaccordi con Trump - ha ricordato che la priorità per la strategia di difesa nazionale è adattarsi ad una nuova “era di grandi lotte di potere” con la Russia e la Cina. Ha aggiunto che “il rafforzamento militare statunitense continua ad essere il nostro obiettivo”. Poco conosciuto dal pubblico Shanahan, che non ha mai servito nell’esercito, ha passato gran parte del suo tempo nel settore privato, in particolare come dirigente della Boeing.

Delhi, India 8-9 gennaio

Più di 20 milioni di lavoratori del settore privato e pubblico in sciopero in tutto il paese per l’aumento del salario minimo e migliori condizioni di lavoro. Lo sciopero è stato convocato da diversi sindacati e ha paralizzato il trasporto pubblico, le banche, i negozi. Nella capitale lavoratori, giovani e studenti hanno manifestato davanti al Parlamento per chiedere l’aumento del salario minimo a 18.000 rupìe (circa 206 dollari), dati anche il costante aumento dei prezzi degli alimenti e dei prodotti di base. Allo sciopero partecipano anche le organizzazioni contadine. Gli stati del Kerala, Assam Odisha, Puducherry, Manipur e Meghalaya sono stati completamente paralizzati.

Mosca, Russia 10 gennaio

Secondo un bollettino emesso oggi dalla Banca Centrale di Russia, il governo ha terminato il trasferimento - nell’ultimo quadrimestre del 2018 – di circa 100 milioni di dollari verso altre monete: lo yuan cinese, l’euro e lo yen giapponese, nel quadro dell’annunciato programma di dismissione delle riserve in dollari USA, che sono passate così dal 43,7% al 21,9%. È opinione di vari commentatori che tali misure vadano intese come risposta all’indurimento delle sanzioni USA contro la Russia.

Dacca, Bangladesh 11 gennaio

Dopo cinque giorni di sciopero delle operaie del settore tessile, duri scontri iniziati una settimana fa e un morto, il Ministro del Commercio annuncia il possibile aumento del salario minimo nel settore stesso che impiega circa 3,5 milioni di lavoratori, in gran parte donne. Con 15.300 milioni di euro di indumenti importati in Europa nel 2017 e 8.000 milioni di euro nel primo semestre del 2018, il Bangladesh è il secondo maggior fornitore di indumenti a basso costo dell’Unione Europea.

New York, USA 13 gennaio

Secondo quanto scrive oggi The Wall Street Journal, il consigliere alla Sicurezza Nazionale John Bolton ha chiesto al Pentagono di presentare al governo le possibili opzioni militari per attaccare l’Iran, dopo il lancio di tre proiettili di mortaio contro l’ambasciata Usa a Bagdad nel settembre scorso. L’incidente non ha causato danni perché i proiettili sono caduti su un campo.

Lima, Perù 17 gennaio

Giornata di sciopero e manifestazioni dei lavoratori – in numerosi distretti e città del paese, oltre che nella capitale - organizzate dalla Confederazione Generale dei Lavoratori CGTP e dal Comando Nazionale Unitario di Lotta contro le misure previste nel decreto sulla “Politica Nazionale di Competitività e Produttività” del governo di Martin Vizcarra. Il decreto, approvato lo scorso dicembre, prevede un taglio ai diritti dei lavoratori contemplando misure quali contratti di lavoro senza stabilità, licenziamenti collettivi senza indennizzo oltre a cancellare il diritto alla negoziazione collettiva e quello di sciopero.

Los Angeles, USA 19 gennaio

Lo sciopero dei professori californiani ha paralizzato oggi il secondo sistema di educazione pubblica più grande degli Stati Uniti: più di 30.000 professori che chiedono un aumento dei fondi di bilancio statali per le scuole pubbliche e la riduzione del numero di studenti

per classe (sono attualmente tra i 32 e i 40), oltre al blocco della privatizzazione del sistema scolastico. Lo sciopero tocca circa 600.000 studenti della città, dei quali il 72% è di origine latina. Lo sciopero convocato dal sindacato UTLA (Union Teachers of Los Angeles) è il più grande degli ultimi 30 anni ed è appoggiato dalla Federazione Americana degli Insegnanti, la maggiore organizzazione sindacale del paese.

Davos, Svizzera 27 gennaio

Assenti Trump, Xi Jinping, Macron e May, si apre oggi il Foro Economico Mondiale di Davos, dove ogni anno si riuniscono capitalisti e politici di tutto il mondo. Sempre oggi esce il rapporto Oxfam intitolato Bene pubblico o ricchezza privata?” relativo all’anno 2018. I dati provengono dal cuore stesso del mondo capitalista, la rivista nordamericana Forbes e il Crédit Suisse. Vediamoli: Tra il 2017 e il 2018 la ricchezza di 1.900 miliardari è aumentata di oltre 900 miliardi di dollari, il 12% in più; La ricchezza (sic!) della parte più povera della popolazione mondiale è diminuita dell’11%; 3 miliardi e mezzo di persone vivono con 5,5 dollari al giorno; 2,4 miliardi di persone – per lo più nell’Africa sub sahariana e nell’Asia meridionale – sono in condizione di povertà estrema L’1% della popolazione mondiale se la passa, invece, benissimo: detiene quasi il 50% della “ricchezza aggregata netta”. E il Belpaese? Il 5% dei super-ricchi detiene – da solo – la ricchezza posseduta dal 90% dei cittadini più poveri. A metà del 2018 il 20% degli italiani più ricchi possedeva il 72% dell’intera ricchezza nazionale.

Brasilia, Brasile 28 gennaio

A seguito del crollo di una diga di sbarramento di residui minerari nello stato del Minas Gerais che ha sommerso con un’ondata di fango e acqua centinaia di persone e che ha causato circa 60 morti accertati, il governo di Jair Bolsonaro ha accolto oggi 130 militari isareliani - invece di servirsi delle proprie truppe - che “aiuteranno nella ricerca degli scomparsi”. Il fatto ha prodotto malumori nelle Forze Armate brasiliane. Il governo del Minas Gerais ha intanto imposto una multa di circa 26 milioni di dollari ai proprietari della miniera Vale per i danni causati.

Aleppo, Siria 30 gennaio

Secondo l’agenzia turca Anadolu, nonostante l’annuncio del ritiro delle truppe USA fatto da Trump, 600 soldati sono giunti nelle basi militari situate nella provincia di Aleppo. Dovrebbero supportare l’annunciato processo di ritiro. Anche la CNN, la scorsa settimana, aveva affermato che le nuove truppe avrebbero garantito la sicurezza del ritiro. Washington, comunque, ha annunciato che non comunicherà la data di tale ritiro e ha promesso che la lotta della coalizione internazionale guidata dagli USA continuerà.

Homs, Siria 30 gennaio

NUOVO FORMATO?

Il n. 7/2018 è arrivato in una forma un po’ particolare... Alcuni lettori hanno pensato che si trattasse di un nuovo formato. Non è così. È stato un errore della tipografia che ha tagliato la carta dalla parte sbagliata. Ristamparlo avrebbe comportato un aumento dei tempi della diffusione che abbiamo evitato. Ci scusiamo con i compagni e gli affezionati abbonati e cercheremo che il disguido non si ripeta. la redazione

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MEMORIA

Rosa e Karl 15 gennaio 1919: a Berlino viene assassinata dalla sbirraglia socialdemocratica – con KARL LIEBKNECHT ROSA LUXEMBURG, la Rosa rossa degli operai tedeschi. Berthold Brecht così la ricorda. 27 gennaio 1945: i soldati dell’Armata Rossa su-

perano i cancelli del campo di sterminio nazista di AUSCHWITZ e liberano i 7.000 prigionieri sopravvissuti. Secondo i dati dell’Holocaust Memorial Museum, i nazisti uccisero ad Auschwitz circa 960.000 ebrei, 74.000 polacchi, 21.000 rom, 15.000 prigionieri di guerra sovietici e 10.000 persone di varie nazionalità. Da allora questa data diventerà il “Giorno della Memoria”.

nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) anno XXVIII n. 1/2019 Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Emiliano, Michele Michelino, Fabrizio Poggi, Daniela Trollio abbonamento annuo Italia euro 26,00 abbonamento annuo sostenitore euro 104,00 abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20 I versamenti vanno effettuati sul c/c postale nr. 1031575507 intestato a: nuova unità - Firenze

Chiuso in redazione: 20/01/2019

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anniversari

1919-2019: i cento anni dell’Internazionale Comunista

Dal 2 al 6 marzo 1919 si svolse a Mosca il primo Congresso del Comintern, in un momento di crescita del movimento rivoluzionario mondiale e di generale entusiasmo per la nuova organizzazione, tanto che il secondo Congresso, un anno dopo, con le famose 21 condizioni, ritenne necessario porre un freno all’adesione di quei partiti socialisti ancora impregnati di opportunismo Fabrizio Poggi Dopo il centenario della Rivoluzione d’Ottobre, nel 2017; dopo il bicentenario della nascita di Karl Marx, nel 2018; i comunisti celebrano quest’anno i cento anni di quella Conferenza comunista internazionale, apertasi il 2 marzo 1919 a Mosca, che il 4 marzo proclamò la fondazione dell’Internazionale Comunista e si trasformò nel primo Congresso del Comintern. L’atmosfera in cui si tenne l’incontro era di generale entusiasmo, per la crescita del movimento rivoluzionario mondiale; tutti gli interventi in quel primo Congresso, conclusosi il 6 marzo, esprimevano la certezza che in molti paesi europei si sarebbe presto arrivati alla rivoluzione proletaria. Il delegato del giovane Partito comunista tedesco, Hugo Eberlein, disse che non era “lontano il tempo in cui il proletariato tedesco porterà la rivoluzione alla sua vittoriosa conclusione”. Il rappresentante ungherese concluse: “Possiamo già ora predire che il Comunismo in Ungheria rivestirà un ruolo decisivo”. Molti delegati si dichiararono convinti che “l’idea di collaborazione con la borghesia è già praticamente spenta all’interno del movimento operaio e il proletariato sempre più decisamente volta le spalle ai capi social-riformisti”. In effetti, nonostante la sanguinosa repressione della rivoluzione a Berlino, nel gennaio precedente, a opera del governo socialdemocratico, con il massacro di centinaia di operai e dei capi del movimento spartachista, col feroce assassinio di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, poi di Leo Jogiches e di tanti altri capi comunisti negli eccidi di marzo, la situazione europea infondeva entusiasmo: di lì a poco sarebbero state proclamate Repubbliche sovietiche in Ungheria, Baviera, Slovacchia, poi però soffocate nel sangue, al pari delle rivoluzioni tedesca e finlandese. Anche in campo riformista si cercava di riallacciare i legami internazionali. Tra i partiti socialisti restii ai tentativi di rianimare la morta II Internazionale o di trovare “terze vie” (Internazionale “due e mezzo”) alcuni chiesero l’adesione all’IC. Tra il 1° e il 2° Congresso, i partiti socialisti di Francia, Italia, Germania, Norvegia e altri avevano rotto con l’Internazionale di Berna, orientandosi verso Mosca. Si trattava di partiti centristi, diretti da elementi di destra e ciò dettò la necessità di adottare le famose 21 condizioni per l’ammissione all’IC, approvate dal 2° Congresso nel 1920, tra cui le principali erano il riconoscimento della dittatura del proletariato, espulsione dal partito di riformisti e centristi, centralismo democratico

La degenerazione della II Internazionale Lenin e i bolscevichi russi denunciavano da molti anni la degenerazione della II Internazionale e allo scoppio della prima guerra mondiale, col vergognoso atteggiamento dei principali capi riformisti, avevano cominciato a parlare della necessità della fondazione di una nuova Internazionale, comunista. Il 1° novembre 1914, Lenin scriveva sul Sotzialdemocrat, organo del Partito bolscevico: “La maggioranza dei capi dell’attuale II Internazionale socialista ... hanno tradito il socialismo votando i crediti di guerra, ripetendo le parole d’ordine scioviniste (“patriottiche”) della borghesia dei “loro” paesi, giustificando e difendendo la guerra, partecipando ai ministeri borghesi... Il fallimento della II Internazionale è il fallimento dell’opportunismo, che si è sviluppato sul terreno delle particolarità del periodo storico trascorso (cosiddetto “pacifico”) ... Oggi non si può costituire un’effettiva unione internazionale dei lavoratori senza rompere decisamente con l’opportunismo... Alla III Internazionale spetta il compito di organizzare le forze del proletariato ... per la guerra civile contro la borghesia di tutti i paesi, per il potere politico, per la vittoria del socialismo!”. Alcuni embrioni della futura III Internazionale era-

no spuntati prima del 1914. Nonostante i partiti socialisti fossero ridotti ad appendici governative, di fronte alla prospettiva della guerra, al VII Congresso di Stoccarda della II Internazionale nel 1907 e a quello straordinario di Basilea nel 1912 si erano levate voci contro la guerra. Il manifesto di Basilea dichiarava che “i lavoratori gridano ai governi un ammonimento che è una sfida: osate di proclamare la guerra e noi reagiremo con tutti i mezzi. Se dobbiamo morire, non moriremo uccidendo i nostri fratelli, ma ci sacrificheremo per la causa della emancipazione operaia, cercando di rovesciare per sempre il dominio della borghesia”. La coscienza dell’irriformabilità della II Internazionale e dell’impellenza della creazione di una nuova Internazionale si faceva strada, e non solo tra i dirigenti bolscevichi. Nella corrispondenza con Aleksandr Shliapnikov dell’ottobre 1914, Lenin scriveva che “Nostro compito oggi è la lotta inflessibile e aperta contro l’opportunismo internazionale e coloro che lo coprono (Kautsky)... È sbagliata la parola d’ordine della “pace”: la parola d’ordine deve essere quella della trasformazione della guerra nazionale in guerra civile”. Un mese dopo, in “La guerra e la socialdemocrazia russa”, lanciava l’appello a trasformare la guerra imperialista in guerra civile, accolto sprezzantemente dai vertici socialsciovinisti e dagli opportunisti alla Kautsky. A essi rispose Rosa Luxemburg, rinfacciando a Kautsky di aver trasfigurato l’appello del Manifesto dei Comunisti, trasformandolo in “Proletari di tutti i paesi unitevi in tempo di pace e prendetevi reciprocamente alla gola in tempo di guerra”. Nel 1915, alla Conferenza di Zimmerwald, si crearono una destra e una sinistra e quest’ultima, disse Lenin, costituiva “un primo passo verso la III Internazionale; un timido e incoerente passo verso la scissione dall’opportunismo”. Un anno dopo, a Kienthal, ancora “un modesto passo in avanti – in sostanza si segna il passo” (Lenin): la destra di Zimmerwald era ancora per la conciliazione con i social-sciovinisti e respingeva l’idea di una III Internazionale. Ne “Il programma militare della rivoluzione”, Lenin scriveva che “La lotta contro l’imperialismo, se non è strettamente collegata alla lotta contro l’opportunismo, è una frase vuota o un inganno. Uno dei principali difetti di Zimmerwald e di Kienthal, una delle cause fondamentali del possibile fiasco di questi germi della III Internazionale, consiste appunto nel fatto che la questione della lotta contro l’opportunismo non è stata, non dico, risolta nel senso della necessità di rompere con gli opportunisti, ma neppure posta apertamente”. Nella primavera del ‘15 scriveva ad Aleksandra Kollontaj: “Come si può “riconoscere” la lotta di classe senza capire che è inevitabile che in dati momenti essa si trasformi in guerra civile?”; e nel dicembre 1916, rivolto a Ines Armand: “Bisogna saper combinare la lotta per la democrazia con la lotta per la rivoluzione so-

cialista, subordinando la prima alla seconda”. In numerose opere di quel periodo, Lenin continuò a denunciare l’opportunismo e il social-sciovinismo, delineando al contempo le basi ideologiche della nuova Internazionale. “La difesa della collaborazione delle classi” scriveva Lenin, “il ripudio dell’idea della rivoluzione socialista e dei metodi rivoluzionari di lotta … la trasformazione in feticcio della legalità borghese, la rinuncia al punto di vista di classe e alla lotta di classe... queste sono le basi ideologiche dell’opportuni smo”.

Verso l’Internazionale Comunista Ancora rivolto alla Kollontaj, nel marzo del ‘17 Lenin scriveva: “È chiaro che “Zimmerwald” è fallita… La maggioranza di Zimmerwald è costituita da Turati e C, Kautsky e Ledebour, Merrheim: tutti costoro sono passati sulla posizione del socialpacifismo, condannato così solennemente (e così sterilmente!) a Kienthal... Il “centro” di Zimmerwald poi è Robert Grimm, il quale il 7 gennaio 1917 si è alleato con i socialpatrioti della Svizzera per la lotta contro la sinistra!”. In quell’anno, tra le famose “Tesi di Aprile”, scriveva: “Rinnovare l’Internazionale. Prendere l’iniziativa della creazione di una Internazionale rivoluzionaria contro i social-sciovinisti e contro il “centro”; la VII Conferenza del POSDR (b), poi, impegnava il Partito a prendere l’iniziativa di creare una Terza Internazionale. Nell’agosto successivo, rivolto all’Ufficio estero del CC, scriveva: “Considero la partecipazione alla conferenza di Stoccolma e a qualsiasi altra insieme coi ministri (e farabutti) Cernov, Tsereteli, Skobelev, un vero e proprio tradimento … tutta questa “semi”-socialsciovinistica Commissione di Zimmerwald, che dipende dagli italiani e dai ledebouriani, i quali desiderano l’”unità” coi socialsciovinisti, è la più deleteria delle istituzioni... Noi commettiamo il più grave degli errori … mandare per le lunghe o differire la convocazione di una conferenza della sinistra per la fondazione della III Internazionale… I bolscevichi, la socialdemocrazia polacca, gli olandesi, la Arbeiterpolitik, il Demain: ecco un nucleo già sufficiente. Ad esso si aggiungeranno di certo... una parte dei danesi... una parte dei giovani svedesi... una parte dei bulgari, i sinistri dell’Austria, una parte degli amici di Loriot in Francia, una parte dei sinistri in Svizzera e in Italia e poi gli elementi... del movimento anglo-americano”. Nel gennaio 1918, una conferenza di partiti e gruppi socialisti, indetta a Pietroburgo dal Partito bolscevico, decise la convocazione della conferenza internazionale. Un ulteriore stimolo venne dalla fondazione, nella seconda metà del 1918, di partiti comunisti in Austria, Polonia, Ungheria, Finlandia, Lettonia, Argentina. La situazione suscitava entusiasmo, ma ciò che più mancava, come

osservava Lenin, era il fattore soggettivo: l’organizzazione internazionale dei comunisti avrebbe aiutato a superare quella carenza. A conclusione dell’articolo pubblicato sulla Pravda dell’11 ottobre 1918, dal titolo “La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky” (dato il procrastinarsi dei tempi della pubblicazione dell’omonima opera e l’urgenza di smascherare le calunnie al potere sovietico lanciate da Kautsky che, nonostante tutto, godeva ancora di una certa influenza, Lenin aveva sintetizzato il contenuto del libro in un articolo di giornale) Lenin scriveva che “La più grande disgrazia e il maggior pericolo per l’Europa è il fatto che qui non c’è un partito rivoluzionario. Ci sono partiti di traditori, del tipo degli Scheideman, Renaudel, Henderson, Webb e Co, oppure degli spiriti servili del tipo di Kautsky. Non c’è un partito rivoluzionario... [questa è] una grande disgrazia e un grande pericolo. Per questo, è necessario smascherare in ogni modo i rinnegati del tipo di Kautsky, sostenendo i gruppi rivoluzionari dei proletari effettivamente internazionalisti, che ci sono in tutti i paesi. Il proletariato volterà presto le spalle ai traditori e ai rinnegati e seguirà quei gruppi, formerà da essi i propri capi”. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, dopo l’urgenza di far fronte alla guerra civile e arginare i primi interventi di truppe straniere, a Mosca si tornò a mettere al centro la creazione della nuova Internazionale. Due fattori convinsero i bolscevichi che la situazione fosse matura per la creazione della Terza Internazionale. Il primo, fu la fondazione, a dicembre 1918, del Partito comunista in Germania, considerata il cuore del movimento rivoluzionario in Europa; il secondo, a febbraio 1919, fu il congresso socialdemocratico di Berna, che condannava la Rivoluzione d’Ottobre e ribadiva l’ostilità alla rivoluzione socialista.

Il 1° Congresso dell’IC Si giunse così alla fondazione dell’Internazionale Comunista, le cui prime deliberazioni, per la sostanza stessa della propria nascita, in lotta con l’opportunismo socialdemocratico, si incentrarono sulla denuncia del tradimento dei principi del socialismo scientifico da parte della vecchia II Internazionale. Ciò si riflesse nei principali documenti adottati al Congresso. Contro le formule opportunistiche che consideravano la repubblica parlamentare borghese come la migliore delle repubbliche e ponevano lo Stato “al di sopra delle classi”; contro i centristi socialdemocratici che parlavano di “democrazia pura”, o di “democrazia in generale”, contrapposta al potere proletario della Russia sovietica, i comunisti consideravano urgente smascherare tali concezioni riformiste, che idealizzavano la democrazia borghese. “Il punto di vista democratico-formale” scriveva Lenin, è proprio “il punto di vista del democratico borghese, il quale non riconosce che gli interessi del proletariato e della lotta di classe proletaria stanno al di sopra”. E ancora: “La democrazia è una delle forme dello stato borghese, difesa da tutti i traditori dell’autentico socialismo, che si trovano ora alla testa del socialismo ufficiale e che sostengono che la democrazia contraddice la dittatura del proletariato”. L’assassinio di Liebknecht, Luxemburg e di centinaia di operai tedeschi, costituiva una tragica prova del cinismo della democrazia borghese. Il Congresso dichiarò che non esiste alcuna “democrazia pura”, che rispecchia un’unica “volontà popolare”, dato che nella società divisa in classi e nello Stato di classe non può esserci una volontà unica. Già nel 1916 Lenin aveva scritto che “la democrazia è anch’essa una forma di Stato, che dovrà scomparire allorché scomparirà lo Stato” e che “la democrazia è anch’essa il dominio di “una parte della popolazione sull’altra”, è anch’essa uno stato”. Avrebbe poi ribadito il concetto all’VIII Congresso del Partito bolscevico, nel marzo 1919: “Oggi vediamo che molti ex-marxisti – ad esempio, in campo menscevico – sostengono che nel perio-

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anniversari do della battaglia decisiva tra proletariato e borghesia possa regnare la democrazia in generale”. In quel periodo di ascesa del movimento rivoluzionario, in cui era all’ordine del giorno l’abbattimento del capitalismo, il congresso fondativo dell’IC non poteva non porre come centrale la questione della conquista del potere da parte del proletariato, la questione della forma statale del potere proletario. Contro le litanie opportuniste sulla “democrazia pura”, seguendo i concetti del Manifesto di Marx ed Engels, secondo cui la borghesia non lascia volontariamente il potere, il Congresso fece propri i concetti leninisti su democrazia e dittatura. “La cosa più importante, ora” aveva scritto Lenin un anno prima, “è dire addio a quel pregiudizio intellettuale borghese, secondo cui dirigere lo Stato possono solo speciali funzionari, interamente dipendenti dal capitale”; al contrario, la strada verso la “progressiva liquidazione dello Stato” passa per “il sistematico coinvolgimento di un numero sempre maggiore di cittadini al diretto e quotidiano adempimento della propria parte di onere alla direzione dello Stato”.

Lo Stato proletario All’inizio degli anni ‘90 del XIX secolo Friedrich Engels aveva detto che“... l’unica istituzione che il proletariato trova pronta dopo la propria vittoria, è proprio lo Stato. Per la verità, questo Stato necessita di cambiamenti molto significativi, prima di poter adempiere alle sue nuove funzioni”. Ora, stravolgendo il pensiero di Engels, gli opportunisti sostenevano che egli proponesse non di distruggere il vecchio Stato, ma solo di cambiarne le funzioni. In realtà, Engels polemizzava con gli anarchici, secondo i quali il primo atto della rivoluzione socialista sarebbe stato la liquidazione di ogni Stato, anche dello Stato proletario. Dopo la Comune di Parigi, sia Engels che Marx avevano sempre parlato di “spezzare”, “eliminare”, “tagliare”, “liquidare” lo Stato borghese, quale macchina per l’oppressione della classe operaia, e sostituirlo con il nuovo Stato proletario. Il primo Congresso dell’IC ritenne fondamentale chiarire che l’instaurazione del potere proletario equivale a eliminare, spezzare la macchina statale borghese e creare una struttura statale nuova, che in Russia si era concretizzata nei Soviet, definiti da Gramsci “forma immortale di organizzazione della società” e che avevano cominciato a diffondersi in numerosi paesi europei, quali embrioni di un nuovo potere. La “rivoluzione è un’autentica rivoluzione e non vuota e gonfiata retorica demagogica” scriveva Gramsci nell’estate 1919, “solo quando si incarna in uno Stato di un tipo determinato, allorché diviene sistema organizzato di potere... La rivoluzione proletaria è tale solo quando dà vita a uno stato di tipo nuovo – lo stato proletario – e si incarna in esso… Lo Stato socialista non può incarnarsi nelle istituzioni dello Stato capitalista, ma è una creazione fondamentalmente nuova rispetto ad esse… La formula “conquista dello Stato” deve essere intesa in questo senso: creazione di un nuovo tipo di Stato, generato dalla esperienza associativa della classe proletaria, e sostituzione di esso allo Stato democratico-parlamentare”. Un tratto importantissimo del potere proletario consiste nella sua funzione di repressione della resistenza delle classi sfruttatrici e nella costruzione del socialismo. L’essenza della questione, aveva già scritto Lenin, è “se si conserva la vecchia macchina statale (legata con mille fili alla borghesia e interamente impregnata di routine e immobilismo) o se essa venga distrutta e sostituita con una nuova”. Nel 1917, in “Stato e rivoluzione”, scriveva che “L’opportunismo non conduce il riconoscimento della lotta di classe per l’appunto fino al momento principale, fino al periodo del passaggio dal capitalismo al comunismo, fino al periodo dell’abbattimento della borghesia e della sua piena liquidazione. Di fatto, questo periodo è inevitabilmente un periodo di lotta di classe di un accanimento senza precedenti, in forme quanto mai aspre e, conseguentemente, anche lo Stato di questo periodo deve essere uno Stato democratico in modo nuovo (per i proletari e i non possidenti in generale), e dittatoriale in modo nuovo (contro la borghesia)”. Uno Stato che, in Russia, si esprimeva nei Soviet degli operai dei soldati e dei contadini. Il “passaggio dal capitalismo al comunismo” produrrà un’immensa “varietà di forme politiche” nei diversi paesi, scriveva Lenin, “ma la essenza sarà inevitabilmente una: la dittatura del proletariato”. E Gramsci, su L’Ordine Nuovo: “L’essenziale fatto della rivoluzione russa è l’instaurazione di un tipo nuovo di Stato: lo Stato dei Consigli”; poi, nel luglio 1919, continuava: “Aderire alla Internazionale comuni-

sta significa aderire alla concezione dello Stato soviettista e ripudiare ogni residuo della ideologia democratica, anche nel seno della attuale organizzazione del movimento socialista e proletario”. E a novembre, pensando all’Italia, scriveva: “Gli operai e i contadini d’avanguardia … hanno indicato al Partito la via della presa del potere, la via del governo, la cui base costituzionale non sia il parlamento eletto a suffragio universale, sia dagli sfruttati che dagli sfruttatori, bensì il sistema dei Consigli degli operai e dei contadini, che incarnino sia il governo del potere industriale, sia quello del potere politico, che servano quale strumento per la rimozione dei capitalisti dal processo di produzione e per la privazione del loro ruolo di classe dominante in tutti gli organismi nazionali di gestione centralizzata dell’attività economica del paese”.

I documenti del 1° Congresso ell’IC Il 4 marzo 1919 il Congresso approva la Piattaforma dell’IC. In essa si dice che, date le crescenti contraddizioni del sistema capitalista, l’umanità “è minacciata di completo annientamento” e vi è “una sola forza che può salvarla, ed è il proletariato”. La “conquista del potere politico da parte del proletariato significa la liquidazione del potere politico della borghesia”, con “il suo esercito, la sua polizia, i suoi giudici e direttori di carcere, i suoi preti, funzionari”. E ciò “non significa soltanto un cambiamento della compagine ministeriale, ma l’annientamento dell’apparato statale del nemico, il disarmo della borghesia, degli ufficiali controrivoluzionari, delle guardie bianche e l’armamento del proletariato, dei soldati rivoluzionari, della guardia rossa operaia; la destituzione di tutti i giudici borghesi e l’insediamento di tribunali proletari; l’abolizione del dominio dei funzionari statali reazionari e la creazione di nuovi organi d’amministrazione proletari. La vittoria del proletariato sta nel distruggere l’organizzazione del potere avversario e nell’organizzazione del potere proletario”. Si afferma quindi che, “come ogni Stato, lo Stato proletario è un apparato coercitivo... diretto contro i nemici della classe operaia … per spezzare e rendere impossibile la resistenza degli sfruttatori”. Di contro, “la democrazia borghese, non è niente altro che la dittatura mascherata della borghesia. La tanto esaltata “volontà collettiva del popolo” non esiste più di quanto esista il popolo come un tutto unico. Di fatto le masse e le loro organizzazioni sono totalmente estromesse dall’effettiva amministrazione statale. Nel sistema sovietico l’amministrazione passa per le organizzazioni di massa, e tramite loro per le masse stesse, poiché i soviet accostano un numero sempre crescente di lavoratori all’amministrazione statale”. Il nuovo Stato proletario, si afferma nella Piattaforma, espropria la borghesia e socializza la produzione; condizione della vittoria, è però la “rottura non solo con i diretti lacchè del capitale e i boia della rivoluzione comunista, ruolo ricoperto dalla destra socialdemocratica, ma anche la separazione dal “centro” (kautskyani) che nel momento decisivo abbandona il proletariato e flirta con i suoi nemici dichiarati”. È maturo il tempo, si afferma, per la lotta del proletariato internazionale per il potere, per la dittatura del proletariato, che deve spezzare la resistenza della borghesia e assicurare il passaggio al so-

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cialismo. “La dittatura del proletariato è la lotta di classe del proletariato che ha vinto e ha preso nelle proprie mani il potere politico contro la borghesia vinta, ma non ancora liquidata”. Il Congresso approva poi le 22 Tesi di Lenin su “Democrazia borghese e dittatura del proletariato”, in cui vengono sviluppati i concetti già esposti in Stato e rivoluzione e La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky. Vi si illustra il carattere limitato, di classe, della democrazia borghese e la necessità storica della sua sostituzione con la dittatura del proletariato: “In nessun paese capitalistico esiste la “democrazia in generale”, ma esiste soltanto la democrazia borghese”. Si denuncia il ruolo della socialdemocrazia, che usa ipocritamente le formule di “democrazia pura”, “democrazia in generale” e “dittatura in generale”, senza specificare di quale classe e contro quale classe, per calunniare lo Stato sovietico, lottare in generale contro la rivoluzione proletaria e difendere, di fatto, la borghesia. Il potere sovietico, dice Lenin, è la forma statale concreta, scoperta dalle masse stesse, della dittatura del proletariato. La storia insegna che nessuna classe oppressa è mai giunta al dominio, senza attraversare un periodo di dittatura, cioè di conquista del potere politico e di repressione violenta della più disperata e più rabbiosa resistenza degli sfruttatori, che non arretrano dinanzi a nessun delitto. La borghesia, continua Lenin, il cui dominio è difeso oggi dai socialisti che parlano contro la “dittatura in generale” e si spolmonano per la “democrazia in generale”, ha conquistato il potere nei paesi progrediti a prezzo di “una serie di insurrezioni, guerre civili, repressione violenta di re, feudatari, proprietari di schiavi e dei loro tentativi di restaurazione. I socialisti di tutti i paesi … hanno illustrato al popolo migliaia e milioni di volte il carattere di classe di queste rivoluzioni borghesi, di questa dittatura borghese. Perciò, l’odierna difesa della democrazia borghese sotto forma di “democrazia in generale” e le odierne urla e grida contro la dittatura del proletariato sotto forma di urla contro la “dittatura in generale”, rappresentano un aperto tradimento del socialismo, il passaggio di fatto dalla parte della borghesia… Tutti i socialisti, illustrando il carattere di classe della civiltà borghese, della democrazia borghese, del parlamentarismo borghese, hanno interpretato l’idea che già Marx ed Engels, con maggior precisione scientifica, avevano espresso con le parole secondo cui la repubblica borghese più democratica non è altro che una macchina per la repressione della classe operaia da parte della borghesia, della massa dei lavoratori da parte di un pugno di capitalisti”. Parlando dello Stato proletario, Lenin afferma che l’essenza del potere sovietico consiste nel fatto che “la costante e unico fondamento di tutto il potere statale, di tutto l’apparato statale è l’organizzazione di massa proprio di quelle classi che erano oppresse dal capitalismo, cioè operai e semi-proletari... Proprio quelle masse che, anche nelle repubbliche borghesi più democratiche, pur avendo per legge uguali diritti, di fatto, con mille mezzi e trucchi, erano escluse dalla partecipazione alla vita politica e dal godimento dei diritti e libertà democratiche, partecipano ora in permanenza e immancabilmente, e in modo decisivo, alla gestione democratica dello stato”. Del resto, in Stato e rivoluzione, aveva già scritto che “la rivoluzione deve consistere non nel fatto che una nuova classe comandi, diriga per mezzo della vecchia macchina statale, ma nel fatto che essa spezzi quella macchina e comandi, diriga con

una nuova macchina”. E nel dicembre del 1919, a proposito di Assemblea costituente e Dittatura del proletariato, scriverà: “Pieni di pregiudizi piccolo-borghesi, avendo dimenticato la cosa più importante dell’insegnamento di Marx sullo Stato, i signori “socialisti” della II Internazionale guardano al potere statale come a qualcosa di sacro, un idolo oppure la risultante di elezioni formali, l’assoluto della “democrazia conseguente”. Nel “Manifesto dell’IC al proletariato di tutto il mondo” si afferma infine che “Settantadue anni fa, il Partito Comunista annunciò al mondo il proprio programma sotto forma di “Manifesto”. Già allora il comunismo, appena apparso sull’arena della lotta, fu circondato dalle vessazioni, menzogne, odio e persecuzioni delle classi possidenti. L’epoca dell’ultima decisiva lotta è giunta più tardi di quanto si attendessero e sperassero gli apostoli della rivoluzione sociale. Ma essa è giunta. Noi comunisti, rappresentanti del proletariato rivoluzionario di diversi paesi d’Europa, America e Asia, riuniti nella Mosca sovietica, ci sentiamo e ci riconosciamo quali successori e dirigenti di quella causa, il cui programma era stato proclamato 72 anni fa. Il nostro compito consiste nel generalizzare l’esperienza rivoluzionaria della classe operaia, epurare il movimento dall’opportunismo e dal social-patriottismo, unire gli sforzi di tutti i partiti veramente rivoluzionari del proletariato mondiale e con ciò facilitare e accelerare la vittoria della rivoluzione comunista in tutto il mondo”. Oltre a Piattaforma, Tesi e Manifesto, tra i principali documenti del Congresso ci furono le Risoluzioni su: Atteggiamento verso le correnti “socialiste” e la conferenza di Berna, Terrore bianco, Coinvolgimento delle operaie alla lotta per il socialismo; le Tesi sulla situazione internazionale e la politica dell’Intesa; l’Appello agli operai di tutti i paesi. Nel luglio 1919, in risposta a un intervento del leader del Partito operaio indipendente britannico, Ramsay MacDonald, a proposito della fondazione dell’IC e della rottura con l’Internazionale gialla di Berna, Lenin scrive che con persone quali MacDonald, “tipico rappresentante della II Internazionale, degno compagno d’armi di Scheidemann e Kautsky, di Vandervelde e Branting e compagnia bella”... la scissione è necessaria e inevitabile, perché non si può compiere la rivoluzione socialista a fianco di coloro che difendono la causa della borghesia. … Noi consideriamo l’Internazionale di Berna, nel suo complesso, un’Internazionale gialla, di traditori e di rinnegati, perché tutta la sua politica è una “concessione” alla borghesia. Ramsay MacDonald sa bene che abbiamo costituito la III Internazionale e abbiamo rotto incondizionatamente con la II, poiché ci siamo convinti della sua irrimediabilità, della sua incorreggibilità, del suo ruolo di serva dell’imperialismo, di conduttrice dell’influenza borghese... nel movimento operaio. … L’Internazionale “di Berna” è ... un’organizzazione di agenti dell’imperialismo internazionale, che agiscono all’interno del movimento operaio. Per vincere effettivamente l’opportunismo, che ha condotto alla fine ignominiosa della II Internazionale, per aiutare di fatto la rivoluzione ... bisogna: fare tutta l’agitazione e la propaganda dal punto di vista della rivoluzione, in opposizione al riformismo... Nessuno dei partiti dell’Internazionale “di Berna” soddisfa questa esigenza. Nessuno dimostra anche solo d’aver capito che in tutta l’agitazione e propaganda bisogna spiegare la differenza tra riforme e rivoluzione, bisogna educare incessantemente alla rivoluzione (...)”. “... esiste una sola Internazionale di fatto ed esistono due uffici, due burocrazie dell’Internazionale operaia: uno a Mosca, un altro a Berna”, scriveva Gramsci nel giugno 1919; “uno, vicino, che non riscuote nessun prestigio, che non gode nessuna autorità, larva evanescente che passeggia l’Europa occidentale col passaporto vidimato e timbrato dai governi capitalistici. L’altro, lontano, comunicante con i suoi aderenti, saltuariamente, con senzafilo lacunosi e mal tradotti; ma vivo nelle coscienze, attivo ed operante come tutte le energie storiche che scaturiscono dalla necessità sociale. L’internazionale operaia è una sola, l’Internazionale comunista rivoluzionaria”. A cento anni di distanza, oggi che il posto dei social-sciovinisti a difesa degli interessi della “propria” borghesia e del “proprio” Stato è occupato dai liberal-reazionari del PD e il ruolo di centro-conciliatore è rivestito dalle loro appendici della “sinistra” sakharoviana, è compito dei comunisti dar vita a una organizzazione strutturata su base marxista-leninista, radicata tra i reparti d’avanguardia della classe operaia, che smascheri i reggicoda “democratici” di capitalisti e banchieri, per giungere a spezzare, frantumare il loro apparato statale, sulla strada della dittatura del proletariato e del socialismo.

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imperialismo

Venezuela, una dichiarazione di guerra Brevi note su un copione già visto Daniela Trollio Cosa sta succedendo in Venezuela è noto a tutti i lettori di “nuova unità” e vi invitiamo a leggere l’intervista al 2° console del Venezuela a Milano pubblicata in questa pagina, anche perché – come sempre – nessun rappresentante della nostra tanto decantata stampa “libera e democratica” (le maggiori testate italiane appartengono a De Benedetti, Berlusconi, Confindustria e Mediobanca, alla faccia della “pluralità”…) ha ritenuto di far sentire la voce del governo bolivariano legittimamente eletto (attraverso un sistema elettorale definito da anni come il più sicuro del mondo) e del suo popolo. Del resto è noto che la prima vittima delle guerre è sempre la verità. Ci limitiamo quindi a poche, brevi note. Brevi perché si tratta di un copione già visto, che è comunque ripetuto contando sulla nostra deplorevole mancanza di memoria. Uno dei primi atti del governo statunitense nella crisi venezuelana è stato il blocco dei conti e dei pagamenti della Citgo, la filiale statunitense della PDVSA venezuelana che raffina il petrolio (venezuelano) negli Stati Uniti e dei depositi bancari dello Stato venezuelano negli USA, il cui titolare diventa, per grazia di Trump, il presidente-autonominato Juan Guaidò. Ricordate il cosiddetto “oro di Gheddafi”? Si trattava di 143 tonnellate di oro e di circa 130 miliardi in valuta della Banca Centrale Libica, quindi dello stato libico, letteralmente spariti dalla faccia della terra… e dall’informazione “libera e democratica”. Le riserve naturali: il Venezuela è un paese ricchissimo di risorse naturali, tra cui quelle di petrolio che rappresentano il 24% della produzione dell’OPEC (l’Arabia Saudita ne possiede il 21%). Oggi gli USA sono alla ricerca disperata di petrolio: la loro produzione interna sta diminuendo e, nonostante per questo abbiano incendiato il Medio Oriente, il loro problema si fa sempre più grave. Il Venezuela ha la più grande riserva di acqua dolce dell’America Latina.

Da anni scienziati e analisti avvertono che le prossime guerre – grazie al dissennato sfruttamento imperialistico delle risorse del pianeta – avranno per oggetto proprio l’acqua, “l’oro blu”. Il Medio Oriente, dicevamo. Nonostante le devastanti aggressioni militari dell’imperialismo USA e dei suoi alleati (Europa in prima fila, non dimentichiamocene) che hanno distrutto negli anni la vita di circa 100 milioni di persone, non sono riusciti a controllare Iraq, Afganistan, Libia, Sudan e – ultima ma importantissima – la Siria, che ha resistito e contrattaccato. Bisogna quindi recuperare terreno: e allora ritornano al cortile di casa, l’America Latina, con tutti i mezzi, dalle elezioni fraudolente alle minacce militari. Oggi stanno cercando di sganciarsi anche dall’Afganistan, dove stanno attivamente trattando con i talebani:

dove andranno tutti i militari statunitensi “ritirati”? Un indizio lo abbiamo. Pochi giorni fa, durante un’intervista televisiva, John Bolton – il consigliere alla Sicurezza Nazionale di Trump – si è presentato con un bloc notes sotto il braccio su cui era scritta la seguente frase “5.000 uomini in Colombia?”. Forse un po’ incautamente, l’auto-nominato Guaidò gli ha fatto subito eco annunciando il seguente progetto: “Annunciamo una coalizione mondiale per gli aiuti umanitari e la libertà in Venezuela. Abbiamo già tre punti di raccolta per gli aiuti: Cucutà (Colombia) è il primo. Un altro sarà in Brasile e un altro in un’isola dei Caraibi”. La Colombia, Stato narco-trafficante e terra promessa delle bande paramilitari. Già, perché prima di utilizzare i propri soldati quando la guerra non viene fatta dall’aria ma direttamente sul terreno, gli USA - evidentemente il Vietnam brucia ancora - prefe-

riscono che siano altri a sporcarsi le mani, loro consigliano, addestrano e forniscono soldi, armamenti e logistica. Non per niente l’organizzatore della “transizione democratica” in Venezuela nominato da Trump è Elliot Abrams, il venditore di armi dello scandalo Iran-Contra, condannato ma amnistiato da Bush padre, organizzatore degli Squadroni della morte in Salvador, Honduras, Nicaragua e Guatemala, Dall’altra abbiamo il legittimo presidente del Venezuela bolivariano, Nicolàs Maduro, che dice al suo popolo: “Se vogliamo la pace, prepariamoci a difenderla!”, annunciando che le 50.000 “unità popolari di difesa” - le milizie popolari che assommeranno a circa due milioni di miliziani, “in tutti i quartieri, paesi, città e villaggi”- saranno incorporate alla Forza Armata Nazionale Bolivariana (FANB). Ci sono altri obiettivi: far fuori il Mer-

cosur, il progetto di integrazione economica latino-americana e l’ALBA, il Trattato di Commerci dei Popoli, alternativa all’ALCA, il trattato di “libero” commercio promosso dagli USA; smantellare Petrocaribe, che fornisce petrolio ai paesi della regione (come Cuba e Nicaragua) a condizioni più favorevoli del mercato internazionale; bloccare i crescenti investimenti in Venezuela di Cina e Russia… Non si tratta, comunque, solo di economia e geopolitica. L’imperialismo non può più tollerare che ci siano popoli – e governi – ribelli che vogliono liberarsi dalla sua morsa e decidere in prima persona del proprio destino. Il Venezuela, come già Cuba, Bolivia e altri paesi, rappresenta un pericoloso esempio che è possibile farlo, e perciò va cancellato perché altri non lo raccolgano. Ed è questo che interessa anche noi, questo che fa della battaglia del Venezuela bolivariano e antimperialista oggi – e di altri paesi ieri e domani – la nostra stessa lotta. È interesse della classe operaia internazionale sostenere le lotte antimperialiste e dei popoli oppressi perché ogni sconfitta dell’imperialismo significa un rafforzamento della lotta di classe per la liberazione dallo sfruttamento capitalista e dall’oppressione all’interno dei singoli paesi. Poche parole ancora, rivolte a tutti quei “rivoluzionari” nostrani che in questi anni hanno scelto la via della… non scelta. Né con l’imperialismo né con Gheddafi, né con gli USA né con Assad… e adesso né con l’imperialismo né con Maduro (= né con il popolo venezuelano). Sono le parole di qualcuno che di anti-imperialismo e di lotte dei popoli oppressi e sfruttati se ne intendeva parecchio e che per questo ha dato la vita. Sono le parole di Ernesto Che Guevara ad Algeri, il 24 febbraio 1965: “E ogni volta che un paese si stacca dal tronco imperialista non solo si vince una parziale battaglia contro il nemico fondamentale, ma si contribuisce anche al suo reale indebolimento e si fa un passo avanti verso la vittoria definitiva”

intervista

“La guerra che c’è adesso è quella con i mezzi di comunicazione in campo” Daniela Trollio *

Il 26 gennaio scorso, davanti al Consolato della Repubblica Bolivariana del Venezuela di Milano, più di un centinaio di persone hanno partecipato ad un presidio di solidarietà organizzato dal Comitato contro la Guerra, cui hanno aderito varie organizzazioni. Al termine abbiamo potuto intervistare Eduardo Barranco, 2° console

generale del Venezuela a Milano Vorremmo sapere com’è organizzato, in questi giorni, il popolo venezuelano, il popolo bolivariano. Ci sono comitati per la difesa della Rivoluzione? Noi in Venezuela apparteniamo al Partito Socialista Unico del Venezuela; poi il comandante Chàvez, nei suoi ultimi anni, creò la figura delle Comuni. Le Comuni sono piccole organizzazioni, all’interno delle grandi città esistono molte Comuni. La Comune può essere l’organiz-

zazione di un piccolo settore; nella città di Milano, ad esempio, potrebbero esserci 400 Comuni, tanto per fare un numero. Il Partito Socialista è all’interno delle Comuni, che controllano, nella loro area, qualsiasi movimento sospetto, che può andare contro la stabilità del governo del Venezuela, e sono informate in modo immediato di qualsiasi anomalia. Quando il Presidente Maduro stava facendo un discorso nell’Avenida Bolìvar, un drone si avvicinò al palco e scoppiò. Grazie alle Comuni, al fatto che avevano visto da dove era partito, la polizia ha potuto attivare la ricerca dei

colpevoli e li ha arrestati tutti. In questo momento stiamo lavorando 24 ore su 24, per quello che si riferisce alla sicurezza. Ora, la guerra che c’è adesso è quella con i mezzi di comunicazione in campo. È una guerra in cui si sta cercando di “vendere” al mondo che il governo è già caduto, che è già finito. Perché? Perché gli Stati Uniti praticamente hanno già fatto tutto, l’unica cosa che gli manca è l’intervento militare, e l’hanno già minacciato. Per voi è molto importante la battaglia mediatica, in questo momento?

Noi riconosciamo che hanno un grande vantaggio, perché i grandi mezzi di comunicazione obbediscono a quello che gli Stati Uniti ordinano ed è molto difficile competere. Per fortuna il comandante Chàvez lo capì molti anni fa e fondò un canale televisivo che si chiama Telesur, che copre tutta l’America del Sud e si vede negli Stati del sud degli USA. Naturalmente siamo riusciti a mantenere un poco l’equilibrio ma è anche vero che il livello di comunicazione che c’è negli Stati Uniti è molto, molto più elevato. Dieci anni fa praticamente tutta l’America Latina era so-

cialista e loro sapevano che il Venezuela era il cuore, l’ancora forte, e l’hanno fatta finita col Cile, con l’Argentina, con l’Ecuador, al punto che il vice presidente del presidente Correa, Lenìn Moreno, vuole arrestare il presidente Correa. Immaginatevi dove siamo arrivati. È come se Maduro l’avesse fatto con Chàvez. Una cosa inconcepibile, incredibile. Ora loro sanno che la pedina più importante è in Venezuela. A parte questo, il mio paese è conosciuto per la ricchezza. A livello mondiale si sa che il Venezuela possiede la prima riserva di petrolio al mondo. Ma

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antifascismo

Revisionismo storico e anticomunismo Una delle più sconcertanti e oltraggiose disposizioni di legge nel nostro paese redazione Firenze Dal 30 marzo 2004, dall’istituzione del Giorno del Ricordo, per una convergenza delle forze di destra e di centrosinistra all’interno del Parlamento con la legge 92, ogni anno dobbiamo sopportare che istituzioni, stampa, scuole, spettacoli (indecente quello del “cantante” Cristicchi), film, fiction, celebrino questa giornata portando avanti il processo di revisionismo storico attraverso falsità, strumentalizzazioni politiche e mistificazioni. Come dire, perché una testimonianza diventi di molti e una falsa voce diventi verità bisogna che lo Stato ne favorisca la diffusione! Non stupisce, quindi, che il Presidente della Repubblica, da consumato democristiano, celebri questa giornata alla presenza di politici bipartisan, al Quirinale con parole revansciste e persino fasciste trascurando le occupazioni nazifasciste, sposando l’uso politico della storia manipolata per, ancora una volta, trovare la giustificazione per infamare il “comunismo titino”, travisare fra chi scatenò gli orrori della seconda guerra mondiale e chi fermò e sconfisse la gentaglia nazifascista, escludere la differenza fra vittime e carnefici. Attaccando come negazionisti coloro che ricercano la verità mentre applica il negazionismo consentendo al revisionismo storico di assumere vesti istituzionali. Con questa giornata alla quale hanno dato un buon contributo gli eredi del PCI i vincitori che avevano sconfitto i criminali nazifascisti che avevano dato origine alla guerra diventano carnefici mentre i criminali diventano vittime meritevoli della medaglia al valore. Secondo la cultura dominante centinaia di migliaia di italiani sono stati ammazzati infoibati addirittura vivi - per la becera propaganda di Salvini che a Basovizza, anche numerosi bambini - nell’attuazione di un piano di pulizia etnica operato dai partigiani comunisti jugoslavi, piano al quale presero parte anche delle formazioni garibaldine, per calcare la mano sulle colpe comuniste. Quando si parla di foibe bisogna affidarsi agli storici che tengono ben presente del contesto nel quale sono maturati gli avvenimenti. Intanto tutti coloro che morirono in prigionia e, comunque, dopo un regolare processo, non si possono assimilare agli infoibati. Le rappresaglie spontanee avvenute dopo l’8 settembre,

non c’è solo il petrolio, è la terza riserva mondiale di gas del mondo, l’ottava riserva di diamanti, la quinta riserva di oro del mondo e la prima riserva d’acqua dolce dell’America e la settima o l’ottava a livello mondiale di acqua dolce; cioè… un paese che non arriva ad un milione di chilometri quadrati con tante riserve naturali. Dimenticavo altre due cose: il coltan, un elemento utilizzato nell’elettronica e nelle comunicazioni e ora è ne stato scoperto un altro, che si chiama torio (v. nota 1): bene, il Venezuela ha la prima riserva del mondo di torio e la terza di coltan. È ovvio che vogliano prendersi il Venezuela. Non possono accusarci di avere armi di distruzione di massa come accusarono l’Iraq perché sono anni che dicono che siamo un paese alla fame. Il Venezuela ne aveva coscienza perché sapeva che cosa stava per succedere con gli Stati Uniti e con il suo sistema di difesa… aerei... il più grande del primo mondo. Sì, ci sono analisi - e sono così sfrontati che lo hanno persino pubblicato - che dicono che, di tutta la flotta che hanno, anche qualsiasi aereo può penetrare in Venezuela senza essere toccato dalla contraerea venezuelana che è eccellente; dicono che ne hanno alme-

quando l’intera zona tornò direttamente sotto il controllo tedesco e si sviluppò una feroce repressione della resistenza partigiana, non furono rivolte indiscriminatamente contro gli italiani, ma contro i rappresentanti del potere fascista gerarchi, podestà, polizia, cioè tutti i colpevoli di collaborazionismo con i nazifascisti, che avevano perpetrato atti criminali ai danni della popolazione slava prima e soprattutto dopo l’invasione jugoslava da parte delle forze dell’Asse. E quando, nel 1941 Lubiana divenne provincia italiana, furono accertati numerosissimi crimini di guerra compiuti dall’esercito italiano. Quella che viene spacciata per immane tragedia dei profughi - mentre non si riconosce quella che vivono attualmente altri popoli - è un’altra strumentalizzazione. Gli italiani di Istria e Dalmazia non furono scacciati dalle loro terre - che peraltro non erano le loro, ma che condividevano con i popoli slavi, costretti nel ventennio ad una italianizzazione forzata, che hanno subito distruzione, incendi e saccheggi di villaggi, decine di migliaia di internati e di morti -. Fu un abbandono spontaneo di coloro - soprattutto delle classi borghesi e agiate, dei proprietari terrieri ecc. che scelsero la cittadinanza italiana che non scappavano perché italiani, ma perché contrari a condividere l’esperienza collettiva che si sta-

no 800 operativi che potrebbero utilizzare in Venezuela. Bene, immaginate il seguente scenario: una notte 40, 50 aerei e 5.000 tonnellate di bombe per ogni aereo. Stiamo parlato di quasi 300, 400 mila tonnellate di bombe. Ora, che colpa ha il 40/50% della popolazione venezuelana che non è attivo in politica, che non è né di destra né di sinistra; che colpa ha la gente di sinistra per avere un’idea ed essere convinta che è la nostra migliore forma di vivere; che colpa hanno anche quelli di destra, che rischiano comunque che gli cada una bomba sul tetto di casa?! È una cosa folle, è la cosa più incredibile che abbiamo visto; e noi siamo così preoccupati, così nervosi perché sappiamo che se gli Stati Uniti lo fanno al Venezuela, lo possono fare a qualsiasi paese del mondo, a qualsiasi altro paese del mondo. E naturalmente tutta la popolazione civile è all’erta e anche, naturalmente gli organi di intelligence. Ma è impossibile credere che la mostruosità arrivi a questo livello.

Il Venezuela ha un nome per l’unione di tutti i partiti di sinistra, che è Polo Patriottico. Il Polo Patriottico ha dato l’appoggio assoluto al Presidente Maduro, primo perché sanno che ciò stanno facendo è illegale e incostituzionale; per esempio alcuni ex candidati presidenziali di destra e dei due partiti del Venezuela che si chiamano Azione Democratica e il partito cristiano-sociale COPEI, l’ex candidato Fermìn ha detto pubblicamente che quello che l’Assemblea Nazionale, e che quel tipo (Guaidò, n.d.t.), stava facendo era illegale e dall’altra parte un altro ex candidato alle presidenziali, conosciuto in tutta America perché è un socialdemocratico, di destra, anche lui ha detto che ciò che stanno facendo non è legale, e si riferiva sia all’Assemblea Nazionale che al paese. Certo, perché le cose non sono solo personali, politiche, sono economiche e sono anche umanitarie. Questo Polo Patriottico, questa unione dei partiti di sinistra, è unito a fianco del Presidente Maduro in questo momento.

Altra domanda: gli altri partiti di sinistra - ad esempio c’è un Partito Comunista che ruolo giocano in questo momento?

La solidarietà internazionale è importante per voi? La solidarietà internazionale è importantissima, anche in re-

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va attuando in quelle zone. Le comunità italiane che rimasero oltre confine e che tuttora abitano la Croazia e la Slovenia beneficiarono dei diritti riconosciuti a tutte le minoranze, compreso il mantenimento della lingua e della cultura di origine. Non abbiamo visto l’ultimo prodotto anticomunista (partigiani che violentano una studentessa figlia di un dirigente fascista) passato alla TV l’8 febbraio col titolo “Red land-Rosso Istria”, ma possiamo ricordare il film Porzus, uscito nel 1997 (recensito subito da “nuova unità”). Realizzato con ben 3 miliardi e 200 milioni di lire generosamente erogati dal governo dell’Ulivo. Ma appagava - da parte della “sinistra” ulivista - il presentare la Resistenza come uno scontro tra bande animate da smanie ideologiche per chiudere i conti con una importante pagina della storia italiana culminata con la Liberazione da parte dei partigiani dalla dittatura nazifascista. Alla base dell’avvenimento di Porzus - l’uccisione, fra il 7 e il 18 febbraio 1945 di diciassette partigiani invenzioni, manipolazioni, omissioni per un altro pezzo di storia in funzione anticomunista perché accusa la ferocia dei partigiani comunisti contro i democristiani e nasconde il ruolo di una delle bande fasciste più sanguinarie, la X Mas di J. V. Borghese.

lazione a quanto è successo nella riunione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU: i votanti si sono divisi perché Cina e Russia hanno bloccato gli Stati Uniti. Pensate quanto importanti sono diventati il Venezuela e questo problema a livello mondiale, due potenze mondiali come Russia e Cina si stanno unendo per fermare gli Stati Uniti … e anche, due giorni fa, alla richiesta di riconoscere un nuovo presunto ambasciatore del Venezuela, il presidente dell’Assemblea ha risposto “un momento, questo non è conforme alle procedure delle Nazioni Unite”. È un esempio piccolo, ma non per questo meno importante. E anche nell’OEA (Organizzazione degli Stati Americani, n.d.t.) ci hanno provato, con un nuovo ambasciatore e un nuovo presidente, l’autoproclamato presidente ad interim Guaidò, ma non ci sono riusciti e dei 32 voti ne hanno avuto solo 14, neanche lì hanno avuto la capacità di farlo. Ultima domanda: è importante per voi la solidarietà di operai e lavoratori - che qui c’è, nonostante che governo, televisione, media e stampa parlino di un dittatore, di un Venezuela con il colpo di Stato?

I fascisti sono sempre utilizzati dal potere per rinsaldare l’ordine borghese con l’involuzione della società in senso sempre più reazionario ed autoritario, pensiamo alla madre delle stragi: Piazza Fontana a Milano il 12 dicembre ’69. o all’operazione di Gelli con il “Piano di rinascita democratica-P2”. Anche i fascisti, oggi, sono utilizzati sempre come strumento di provocazione e aggressione. I fascisti operano nelle strade e nelle piazze con campagne anti-immigrati, anti-aborto, contro le foibe, ammantate di populismo e “nazional-socialismo” e anticomunismo viscerale per intercettare fasce giovanili arrabbiate per la crisi, ma confuse e disorientate dalla mancanza di un punto di vista politico e culturale dei valori comunisti. I discorsi di Mattarella sono la negazione della matrice antifascista dell’Italia repubblicana, e in sintonia con la politica dell’attuale governo (che non si discosta molto dal precedente!), politica di repressione nei confronti dei lavoratori, dei giovani dei centri sociali sgomberati, degli immigrati, di tutti coloro che si ribellano e rifiutano l’antifascismo di maniera, di facciata per far avanzare quello militante. Diventa indispensabile, quindi parlare di storia con gli storici per smontare una propaganda falsa e martellante.

È sempre importante. Quando sono arrivato l’anno scorso in Italia, ho cominciato a guardare i mezzi di comunicazione, i giornali e ho capito che il Corriere della Sera è il più importante che si legge in Italia. Leggevo poco l’italiano ma c’era una rivista allegata che usciva la domenica e c’era un reportage contro il Venezuela molto negativo; qualche tempo dopo mi sono messo in contatto col mio ambasciatore, il dott. Isaias Rodriguez, una persona che fa politica da trent’anni, vado a trovarlo con la rivista e gli dico “Ambasciatore, che posizione ha preso lei riguardo al Corriere della Sera?”. E lui mi risponde: “Barranco (Barranco è il mio nome), in Italia non esiste il diritto di replica. Qui possono scrivere che Barranco è un omicida e non permettono che tu dica che non lo sei”. “Ma pagando…” “No, se tu gli chiedi quanto costa una pagina la domenica, ve la pago, ti dicono di no, che non gli interessa, che non te la vendono”. Io mi sono detto: “Dio mio, che posizione così dura, in cui non c’è equilibrio”, ma uno rispetta sempre il paese dove lavora. Io ho girato per un anno tutto il nord Italia, Venezia, Parma, Toscana, Livorno, Firenze e altre città che non ricordo e parlavo di Chàvez, di Madu-

ro, del Venezuela, della Bolivia e sempre con persone e in luoghi di sinistra e l’appoggio degli italiani di sinistra è stato grandissimo e noi vi ringraziamo profondamente, di cuore, ma purtroppo mi ha sorpreso, negativamente, che la CGIL si sia pronunciata contro Maduro. Non ho capito il perché e non lo capisco adesso. Capisco i dirigenti, ma i lavoratori no. Note 1) Il torio è uno degli unici due significativi elementi che si trovano ancora radioattivi naturalmente in grandi quantità (l’altro è l’uranio). Si stima che il torio sia di circa tre o quattro volte più abbondante dell’uranio nella crosta terrestre. Si prevede che il torio possa essere in grado di sostituire l’uranio come combustibile nucleare nei reattori, ma finora ne sono stati costruiti solo pochi.

Intervista e traduzione di Daniela Trollio, Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”, via Magenta, 88 Sesto S. Giovanni, Tel. 02.26224099 mail: cip.mi@tiscali.it

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