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comma 20/B art. 2 Legge 662/96 filiale di Firenze

Spedizione in abb. postale 70%

Proletari di tutti i paesi unitevi!

nuova unità fondata nel 1964

Periodico comunista di politica e cultura n. 2/2019 - anno XXVIII

L’evoluzione verso il comunismo avviene passando per la dittatura del proletariato e non può avvenire altrimenti, poiché non v’è nessun’altra classe e nessun altro mezzo che possa spezzare la resistenza dei capitalisti sfruttatori

V.I. Lenin

Moltiplicare gli sforzi

Rafforziamo gli strumenti per quell’unità e quell’organizzazione necessarie per copovolgere i rapporti di forza e liberarci per sempre da questo sistema dominante sfruttatore, reazionario, razzista, che conosce solo il profitto e che è sempre alla ricerca di nuovi mezzi pur di sopravvivere Il governo dei posticipi ci ha tenuto per settimane “occupati” sull’argomento del tunnel della Val di Susa utile solo alla demagogia e alla costante propaganda di Lega e M5S. Un’opera di notevole impatto ambientale, uno spreco di soldi (solo 1,8 miliardi in studi, progettazione e lavori preliminari più quelli spesi per militarizzare la zona) che non è prioritario né per l’Italia, né per la Francia, né per l’Europa perché il traffico è fortemente diminuito dagli anni ‘90 e molti esperti hanno stabilito che il trend discendente sarebbe proseguito. Non per colpa della mancanza del buco nella montagna o dell’ineguatezza della linea ferroviaria storica del Frejus, ma perché fortemente sottovalutata anche a causa della scarsa domanda su questa linea. Anche il ricatto di chi sostiene che dovremmo ripagare l’UE di penali fa parte della disinformazione cui ci sta abituando questo governo. L’UE ha deciso nel 2013 di finanziare i lavori preparatori e l’inizio dei lavori (non meglio identificati, dato che il progetto definitivo è stato approvato solo nel 2017) per 813 milioni di euro. Come si fa a pagare penali su finanziamenti non ancora decisi? Questa è una sola delle opere sparse su tutto il paese che danneggiano l’ambiente e, chi contesta, viene criminalizzato, caricato dalla polizia, incarcerato, processato. Poi appare il miracolo ecologico! Venerdì 15 marzo tutto il mondo politico e giornalistico si è “emozionato” nel vedere gli studenti scendere in piazza in tutto il mondo (naturalmente Italia compresa) in seguito all’appello per la protesta iniziata da una ragazzina svedese - e rimbalzata sui social - giovane non così ingenua come vogliono farci intendere visto che ha già potuto parlare a Davos quando chi ha protestato a Davos è sempre stato represso dalle potenti forze di polizia messe in campo (all’interno un articolo). Così come vengono repressi e fatti affogare gli immigrati che scappano dalle loro terre distrutte dalla mano - non dell’uomo come sostengono i benpensanti - ma dell’imperialismo e della sua voracità di sfruttamento e di conquista di sempre nuovi territori con ogni mezzo. L’industria degli armamenti, infatti, è sempre più fiorente. Nel 2016 sono stati spesi circa 1.700 miliardi di dollari con una crescita annuale del 5%. Gli Stati Uniti guidano la classifica con 611 miliardi, segue la Cina con 215. Anche in Europa è aumentata la spesa militare portata a 334 mililardi. La stessa Unione europea è possibilista sull’installazione di nuovi missili nucleari Usa in Europa, Italia compresa. E l’Italia? Per non farsi mancare nulla guida gli incrementi dei Paesi europei con l’11% in più dal 2015 al 2016 (27,9 miliardi, all’11° posto nella classifica mondiale). Gli ottimi rapporti tra il governo e l’industria bellica nostrana (in mano a Mauro Moretti, l’ex amministratore delegato FS al momento della strage di Viareggio) favoriscono l’esportazione della guerra: missili, siluri, bombe, aeromobili, pari a 10 miliardi di euro. Il governo della triade si riempie la bocca di sovranità nazionale, ma si accoda all’UE (anche su questo piano) che, a sua volta, segue la Nato. A quante domande del paese si potrebbe rispondere con 27,9 miliardi di dollari destinati al militare? Invece si preferisce deindustrializzare il paese alimentando l’esercito dei disoccupati. Si

Intervista con il gilet giallo Samuel l’operaio, che il 7 novembre scorso ha contestato pubblicamente il Presidente francese Macron in visita alla fabbrica dove lavora pagina 2 Grandi manovre per sostenere il polo imperialista europeo. L’Unione europea non è riformabile se non si elimina la causa per cui è stata creata pagina 3 Autonomia regionale differenziata o secessione? pagina 3

25 Aprile Lottare contro le basi materiali,

economiche e sociali del fascismo che ci sono ancora pagina 4

Il Primo maggio e le battaglie operaie per l’emancipazione

pagina 5 I comunisti britannici: Politica di identità o politica di classe? pagina 6 Pianeta verde? Si, ma pagina 7

preferisce continuare a tagliare sulla sanità pubblica, nonostante sia sostenuta dalla fiscalità generale e attraverso il pagamento dei ticket. Tagli sui servizi costringendo a interminabili liste d’attesa, sui posti letto rimandando i degenti a casa prima della completa guarigione, sul personale costringendolo all’aumento di carichi di lavoro e a turni massacranti (dati ufficiali ci dicono che è di 50/60 mila la carenza di infermieri). Ma i governi, per fare accettare le loro malefatte, devono inventarsi qualcosa, qualche nuovo sistema, e questo non è diverso. Allora ecco apparire l’autonomia regionale che dividerebbe l’Italia tra regioni “ricche” e quelle sempre più povere (ne parliamo all’interno) con gravi ripercussioni sulla gestione della sanità, quindi sulla salute della popolazione (altro che prevenzione!). Ecco arrivare il patto di fabbrica che sancisce la concertazione sindacale con una visione praticamente proprietaria ed esclusivista della rappresentanza anche sui temi della tutela della salute e della sicurezza del lavoro. Ecco la dichiarazione di guerra alle donne che potranno lavorare fino al nono mese di gravidanza e a pagare saranno le donne malpagate e precarie che si aggiungono a quel 30% sottoposto a casi di mobbing da maternità (4 su 10 sono costrette a rassegnare le dimissioni) o per aver osato richiedere di conciliare lavoro e vita familiare. Ti interessa la famiglia? Allora stai in casa così sei libera di badare ai figli, ai genitori, ai disabili, ai vecchi e non ti lamenti più della carenza dei servizi e delle strutture. A lavorare ci pensa il marito. Si fa per dire vista la dilagante disoccupazione! Il congresso dei ministri reazionari europei della famiglia, previsto a fine marzo a Verona, si occuperà - oltre che a rigettare il diritto di aborto - di come ricacciare la donna nel suo ruolo di madre e moglie sottomessa, in una famigllia “tradizionale”, in piena sintonia con le idee di mussoliana memoria. E se ti viene in mente di separarti ci pensa il ministro Pillon (uno degli organizzatori del Family Day) con la sua riforma in materia di diritto di famiglia che, con l’introduzione del concetto di “unità familiare” renderà più complicato e oneroso il divorzio - soprattutto per le vittime di violenza - e più facile la sottrazione dei figli alla madre. Tutto rientra nel “contratto di governo” quindi nell’alleanza LegaM5Stelle, compreso l’incarico ad un uomo (prima volta nella storia) delle pari opportunità. Un attacco al percorso di emancipazione femminile, un arretramento dei pochi diritti conquistati in anni di lotte, che presta il fianco alla politica fascio-nazista che sta avanzando in Italia e nel resto d’Europa. Anche di fronte alle elezioni europee non illudiamoci che siano possibili dei cambiamenti. Impediamo che partiti e raggruppamenti continuino a rappresentare la grande borghesia che, per mantenere la sua posizione, distrugge le libertà e i diritti della maggioranza della popolazione per schiacciarla definitivamente quando lo ritiene necessario anche con metodi di matrice fascista. Rafforziamo gli strumenti per quell’unità del proletariato (che la borghesia continua a dividere) e quell’organizzazione necessarie per capovolgere i rapporti di forza e liberarci per sempre da questo sistema dominante sfruttatore, reazionario, razzista, che conosce solo il profitto e che è sempre alla ricerca di nuovi mezzi pur di sopravvivere.

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intervista

Gilet gialli per far cadere Macron e la sua grandeur Samuel è l’operaio che il 7 novembre 2018 ha contestato pubblicamente il Presidente francese Macron in visita alla fabbrica dove lavora a cambiare il governo Macron, a ottenere un salario dignitoso e la patrimoniale che Macron ha abolito o vi ponete l’obiettivo di cambiare la società?

Michele Michelino In occasione dell’iniziativa del 16 marzo a Milano, abbiamo intervistato il “gilet giallo” presente, attivo nella lotta fin dall’inizio: Samuel Beauvois, operaio MCA RENAULT MAUBERGE, delegato di fabbrica per il sindacato SUD Industrie/Solidaires. Il movimento dei gilet gialli è composto da frazioni di varie classi sociali; qual è il punto di vista di un operaio, di quel settore della classe operaia industriale che partecipa a questo movimento? È una buona cosa che strati sociali diversi si trovino a lottare insieme, dagli operai ai professionisti, ai padroncini, ai dirigenti, perché questo significa che il popolo francese dice basta a un governo repressivo che in pratica reprime i francesi. È un governo che fa parte di una élite ben precisa. Macron sostiene tutte le multinazionali penalizzando le piccole e medie imprese, facendole fallire. Esiste un’organizzazione nazionale dei gilet gialli? Qual è il ruolo degli operai e delle loro organizzazioni in questo movimento? Come siete organizzati. Non esiste un’organizzazione nazionale centralizzata, è un movimento in un certo senso anarchico che si organizza sui territori. Per quanto riguarda gli operai che partecipano a questo movimento, riporto

l’esempio della fabbrica in cui lavoro, la Renault: su 2.400 lavoratori gli aderenti ai gilet gialli sono circa 800. Inoltre esiste un coordinamento nazionale dei sindacati dell’industria, cui non partecipano i riformisti favorevoli al governo Macron. Questa lotta si è radicalizzata sempre più, le manifestazioni continuano e ci sono stati molti arresti; cosa fa questo movimento per i compagni e i manifestanti arrestati? Chi viene arrestato non è mai una sola persona, è sempre un gruppetto. Dopo gli arresti i gilet gialli si precipitano al commissariato locale assediandolo e dopo il presidio di mezz’ora o un’ora la maggior parte viene liberata. Io stesso sono stato arrestato e poi liberato.

Questa lotta che è partita per motivi economici, contro l’aumento del prezzo del carburante, si è trasformata in una lotta politica contro il governo Macron e le multinazionali; cosa pensi della decisione di una parte dei gilet gialli d i presentarsi alle elezioni istituzionalizzando la lotta? Quelli che vogliono costituirsi in partito e presentarsi alle elezioni sono degli infiltrati. In questo momento il movimento si sta radicalizzando e quindi ci sono delle azioni di distruzione dei radar sulle strade, delle pompe di benzina, dei bancomat e oggi anche il sindacato Solidaires si presenterà in piazza a Parigi e sarà una giornata molto calda.

Giustizia per le vittime dell’amianto IN RICORDO DI TUTTI I LAVORATORI E I CITTADINI ASSASSINATI PER IL PROFITTO

Sabato 27 aprile 2019 – ore 16.00 corteo Partenza dal Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” di via Magenta 88, Sesto San Giovanni, fino alla lapide di via Carducci

Il movimento dei gilet gialli ha dimostrato a tutta l’Europa che con la lotta radicale è possibile ottenere, anche se finora solo in parte, dei risultati. Il vostro obiettivo si limita

L’obiettivo principale che ci poniamo è quello di far cadere il governo francese, il nemico di classe. Certo che sarebbe un’ottima cosa se il movimento dei gilet gialli si estendesse in Europa e contro le istituzioni europee che hanno l’obiettivo di abbassare i salari facendoli precipitare, portando i nostri salari ai livelli della Romania, della Polonia ecc. In Belgio il movimento dei gilet gialli è abbastanza cresciuto, ci sono già delle frange anche in Inghilterra e quindi l’auspicio sarebbe quello di dilagare in tutta Europa.

fra i vari sindacati, ma anche di altri settori di massa, di caratterizzarsi con casacche di diverso colore. Dato il carattere del movimento che vede scendere in lotta insieme frazioni di classi diverse è stato scelto il giallo perché è un colore neutro. Grazie dell’intervista a “nuova unità”. La vostra lotta contro le multinazionali e il governo è anche la nostra lotta, la lotta degli operai italiani e di tutto il mondo, perché abbiamo un obiettivo comune che è quello di cambiare questo sistema basato sullo sfruttamento capitalista dell’uomo sull’uomo.

Perché avete deciso di caratterizzare questo movimento con i gilet gialli? In Francia è tradizione del movimento operaio, ad esempio

(Intervista rilasciata la mattina del 16 marzo 2019)

Se vi interessa reperire i numeri precedenti potete trovarli su Issuu profilo

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L’amianto in Italia, in Europa e nel mondo In Italia la strage infinita dell’amianto provoca 4.000 mila morti ogni anno L’Italia è il paese delle stragi impunite. Conviviamo con amianto, cromo esavalente, scorie cancerogene: i disastri ambientali e le stragi di cittadini avvengono giornalmente. L’amianto si trova ancora ovunque, nelle tettoie, nei rivestimenti delle scuole, nelle intercapedini dei nostri appartamenti, negli ospedali e nelle caserme, negli edifici pubblici. In Europa: Sono circa 15 mila le persone che ogni anno perdono la vita in Europa a causa di patologie amianto-correlate: una persona su tre è a rischio. Nel mondo: L’Organizzazione Mondiale della Sanità valuta che siano almeno 125 milioni i lavoratori nel mondo esposti all’amianto; che ogni anno siano circa centomila i morti, ma gli esperti avvertono che si tratta di cifre sottostimate. Quando la legge difende l’ingiustizia, ribellarsi è giusto e la resistenza diventa un dovere. La storia dell’amianto, dimostra che in questa società il profitto dei capitalisti viene prima della vita e il sistema borghese in cui viviamo è strutturato per difendere unicamente questo “diritto” del capitale, che chiamano “legalità”. L’amianto non è un problema del passato, ma del presente e futuro …. perché è in questi tempi che l’amianto uccide.

BONIFICARE L’AMBIENTE E I LUOGHI DI LAVORO E DI VITA È INTERESSE DI TUTTI Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio Sesto San Giovanni (Mi), aprile 2019

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attualità

Grandi manovre per sostenere il polo imperialista europeo L’Unione europea non è riformabile se non si elimina la causa per cui è stata creata Emiliano Si avvicina la scadenza per la presentazione delle liste alle elezioni europee e tutte le forze che intendono partecipare sono in grande agitazione, cercano alleanze in campo europeo e non solo. A destra si va dai cosiddetti sovranisti (nazionalisti, fascisti e razzisti) Lega e Fratelli d’Italia - reduci da viaggi negli Usa per ottenere riconoscimenti e appoggi da Trump - impegnati a creare un cartello con tutte quelle forze reazionarie europee, dall’ungherese Orban alla francese Le Pen, che vogliono le frontiere chiuse in difesa di una Europa dei “bianchi” contro “l’invasione” di neri, arabi e musulmani. Altre forze di destra come Forza Italia si rifanno al partito popolare europeo che ha avuto come massima espressione la Merkel e vede in Tajani - ex-monarchico, presidente del Parlamento europeo - il massimo dirigente, naturalmente dopo il capo-padrone e suo Re Berlusconi. Il Movimento 5 stelle, è ammansito alla prova del governo, dopo i vaffa e gli urli contro l’Europa, cerca alleanze con frange populiste, di ispirazione liberale e/o estrema destra sparse in diversi paesi che si dichiarano nè di destra nè di sinistra al fine di riuscire a creare un gruppo parlamentare europeo con cui aumentare il proprio peso politico. Per portare avanti “l’idea di una Europa diversa” i pentastellati vanno dai polacchi Kukiz 15, contrari all’aborto e all’adozione dei bambini da parte delle coppie gay e fiancheggiatori del Movimento nazionale di ispirazione neo-nazista, ai croati di Zivi Zid, ai liberali finlandesi di Liike Nytal, al partito greco dell’agricoltura e dell’allevamento Akkel. Il M5S è pronto a rifare nella campagna elettorale europea quello che hanno fatto il 4 marzo alle politiche: promettere e non mantenere ed essere sponda in Europa per le altre formazioni di destra, come hanno fatto con la Lega di Salvini. Le elezioni europee si svolgono con il sistema proporzionale e quindi ogni partito o movimento ha interesse a partecipare in prima persona, ma le regole elettorali impongono la raccolta di almeno 180.000 firme ad ogni forza che non possa usufruire di quei simboli che abbiano già partecipato alle elezioni ed eletto dei parlamentari. La politica la fanno le regole elettorali e non le idee, si deve fare i conti con la realtà: trovare simboli che permettano di saltare le firme e partecipare al voto senza rischiare di perdere troppo la faccia. Da ciò derivano le varie manovre cui assistiamo, con disgusto, sul gioco delle tre carte che i vari partiti stanno facendo per camuffarsi nel tentativo di fare dimenticare le loro malefatte e di convincere gli elettori a votare. In primo luogo il PD che, pur avendo un simbolo riconosciuto cerca di coinvolgere altre forze - pronto anche a

rinunciare al proprio simbolo - per tentare di risalire la china elettorale che lo ha visto perdere consensi ad ogni tornata elettorale sia politica che amministrativa. Il PD si ripropone come forza europeista centrista capace di governare e di rappresentare e garantire il grande capitale in alternativa al partito popolare europeo. L’ultimo acquisto, Calenda, con un appello - che tutti i candidati alla segreteria prima delle primarie hanno firmato – propone un listone europeista e liberista che vada da Monti a Bonino, allargato ad esponenti di centro destra. Zingaretti - che appena vinte le primarie, si defila da Calenda e cerca una proposta un pochino “più a sinistra” di quella precedente, ma non troppo tanto che si precipita subito a Torino per sostenere il TAV - apre ad un’alleanza che, oltre al PD, raccolga sempre Bonino, i Verdi, una parte di LEU e qualche componente di Sinistra Italiana. Ma anche i Verdi hanno un simbolo riconosciuto che evita la raccolta delle firme e possono giocarsi un ruolo da protagonisti vista la loro scomparsa dallo scenario della politica. Probabili allea-

ti sono il sindaco di Parma, Pizzarotti proprio quello che, appena eletto, con la prima valutazione costi-benefici diede il via all’inceneritore nella sua città, e con loro potrebbero andare anche settori di LEU e Diem25, l’organizzazione italiana di Varoufakis. Infine Rifondazione comunista che, essendo titolare del simbolo Sinistra Europea, eviterebbe la raccolta delle firme. La sua proposta è sballottata tra quella avanzata dal sindaco di Napoli di coalizione, attraverso DemA (il partito-movimento di De Magistris), con Sinistra Italiana, Possibile, Diem 25 e altre formazioni minori, e una possibile apertura a Potere al Popolo. Scomposizione e ricomposizione sono in continuo movimento in tutti i raggruppamenti alla ricerca delle poltrone perdute. Alcune delle forze partecipano a più tavoli pur di essere presenti in qualche lista e questo potrà produrre sorprese finali ed improbabili quanto “strane” combinazioni e alleanze. I partiti possono camuffarsi come vogliono, ma la partecipazione alle votazioni sempre più bassa, come si registra in quelle amministrative, fa ben sperare sulla (in)capacità delle forze borghesi di esercitare la loro influenza, anche se questa astensione non corrisponde ancora ad una presa di coscienza della necessità della lotta di classe organizzata e di massa. Non partecipare alle votazioni vuol dire non credere alle promesse, non stare con nessuno degli sfruttatori, delle multinazionali, delle banche che spadroneggiano, delle polizie e degli eserciti della piramide imperialista. Tutti i partiti in corsa, sia di destra che di “sinistra”, sono per un’Europa diversa, ma tutti ci sguazzano e la difendono anche perché garantisce una buona fonte di introiti. Ribadiamo che l’Unione Europea è un insieme di Stati imperialisti in continua concorrenza tra di loro per garantirsi l’egemonia nella lotta contro altri imperialismi e contro la propria classe lavoratrice. L’Unione europea non è riformabile se non si elimina la causa per cui è stata creata cioè lo sviluppo del capitalismo in polo imperialista europeo. Chi nega questo e vuole riformare l’Unione europea è un capitalista o un suo sostenitore oppure un traditore degli interessi dei proletari. Quello che manca in tutti partiti interessati alla campagna elettorale in Europa è il proletariato, i suoi interessi di classe strategici ovvero la necessità dell’abbattimento del capitalismo e dell’imperialismo europeo e mondiale, la necessità di eliminare la proprietà privata dei mezzi di produzione attraverso una rivoluzione proletaria che sappia unire i popoli sulla base dei propri interessi di classe contrapposti a quelli della borghesia.

Autonomia regionale differenziata Inizio di secessione? Ovvero una riforma che esprime unicamente gli interessi di classe della borghesia del nord. La classe lavoratrice non ha bisogno di autonomie regionali, ma di uno Stato socialista che abolisca la proprietà privata e, di conseguenza, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo Fabio Zannoni L’autonomia differenziata è la concessione di maggiori risorse alle regioni che ne facciano richiesta in base all’art. 116 della Costituzione. In pratica, particolarmente Lombardia e Veneto guidate entrambe dalla Lega, chiedono di trattenere una quota più alta delle loro risorse fiscali e di avere maggiori poteri in una serie di materie tra le quali emergono per importanza l’istruzione e la sanità, destinate ad aggravare ancora di più le disparità fra i cittadini residenti nelle diverse regioni italiane, che nel caso della sanità sono già al limite per il SSN. Un disegno di riorganizzazione del territorio (trasporti, erogazione dei servizi, infrastrutture ecc.) che si inserisce nella politica imperialista dell’Europa in quanto corrispondente alle esigenze del capitale finanziario, infatti i fautori dell’autonomia regionale chiedono libertà anche per i rapporti internazionali. Negli ultimi tempi si sono aggiunte altre regioni del Centro nord nonostante che il processo per l’autonomia differenziata abbia subito una battuta d’arresto dovuto ai contrasti tra la Lega e i Cinquestelle. Ma sappiamo ormai come vanno a finire i litigi politici tra Lega e Cinquestelle. Vince la Lega e, nel migliore dei casi, i Cinquestelle ottengono una contropartita: il reddito di cittadinanza che però rischia un fallimento per i ritardi e i contrasti tra le regioni e il vice ministro Di Maio. Ma anche altri aspetti dell‘autonomia differenziata fanno ritenere che la sua attuazione comporterebbe una serie di squilibri nei rapporti tra Stato e Regioni. L’esecutivo – ma non

merita alcun credito – sostiene che i valori della solidarietà non saranno abbandonati, che non vi saranno aggravi di spesa da finanziare a scapito del resto d’Italia. In altre parole il governo vuole farci credere che il passaggio di competenze dallo Stato alle Regioni possa avvenire tranquillamente trasformando le spese dello Stato in spese regionali, senza spendere un euro in più. In realtà questa lettura del progetto di autonomia differenziata è di un semplicismo incredibile. Il progetto dell’autonomia differenziata, ad iniziare da quello per il Veneto, prevede infatti che dopo il primo anno ed entro il quinto, le necessità di spesa per le nuove competenze regionali vengono collegate al gettito fiscale. Conseguentemente saranno tanto più alte quanto più alto è il gettito fiscale di quella regione. In poche parole il governo vuole fare passare il seguente principio: se sei un cittadino ricco e perciò paghi più tasse hai diritto a più spesa pubblica. E come finanziarla? Non con un aumento fiscale a carico della Regione, ma con una maggiore compartecipazione al gettito di uno o più tributi erariali. Insomma si autorizza quella Regione ad avere più diritti e a ritagliarsi una fetta più grande della torta complessiva. Si viene così ad istituzionalizzare due distorsioni chiaramente incostituzionali. La prima è che si riconoscono ai cittadini più ricchi più diritti al welfare. La seconda è che le spese aggiuntive per le regioni più ricche peseranno sul resto del paese. Inoltre, tutto questo, avverrà senza che siano stati definiti i livelli essenziali delle prestazioni sociali (i Lep) da assicurare in maniera omogenea in tutta Italia rispetto ai quali dal 2001, a seguito della riforma del titolo V della Costituzione, esiste un vuoto normativo. Possiamo capire come saranno concretamente applicati que-

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sti criteri autonomistici dal modo in cui viene affrontato il tema dell’istruzione nelle trattative con il Veneto e la Lombardia. Il governo sembra orientato ad accettare la ”regionalizzazione” della scuola, ad iniziare dal personale, con contratti di lavoro collettivi. Ed è evidente, a questo punto, il via libera agli aumenti di stipendio ai propri insegnanti con la conseguenza che gli aumenti solo in alcune regioni comporteranno una divisione della categoria. Si vuole dividere i lavoratori tra chi insegna - poniamo - in una scuola nel centro di Milano o di Treviso e una scuola di periferia a Roma o a Napoli. Appare evidente che l’autonomia regionale differenziata, in questo momento ferma per contrasti che dividono tutti gli schieramenti politici - mentre l’opinione pubblica viene distratta dall’assordante propaganda razzista e xenofoba -, divide ulteriormente il Paese, affossa definivamente il concetto di solidarietà ed esprime l’egoismo territoriale e di classe di una parte, quella più retriva, della borghesia del Nord i cui interessi oggi sono rappresentati dalla Lega. Cosa ci guadagna il proletariato dal regionalismo? Divisione dell’unità, della forza di mobilitazione e di lotta della classe lavoratrice, contratti differenziati per arrivare a nuove gabbie salariali, maggiori difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari ecc. Ecco perché dobbiamo lottare contro la politica populista del federalismo che, con la sua avidità, dimostra che gli italiani che “vengono prima” sono i ricchi, i capitalisti, i privilegiati. Al tempo stesso lottare contro le tendenze nazionaliste che vorrebbero uno Stato forte basato su ordine e repressione. La classe lavoratrice non ha bisogno di autonomie regionali, ma di uno Stato che abolisca la proprietà privata e, di conseguenza, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

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25 aprile

Lottare contro le basi materiali, economiche e sociali del fascismo che ci sono ancora

Aspetti della strategia di classe del fascismo che comportano infinite modalità con le quali reazionari e riformisti piegano i lavoratori ai diktat del capitale Luciano Orio

“L’antitesi sistematica nella quale hanno giocato tutte le teorie socialiste non è un dato della realtà. La collaborazione è in atto. Bisogna costruire un fronte unico dell’economia italiana, bisogna eliminare tutto ciò che può turbare il processo produttivo, raccogliere in fascio le energie produttive del paese nell’interesse della nazione”. Benito Mussolini “Bisogna ottenere che gli imprenditori siano buoni imprenditori, gli impiegati buoni impiegati, insomma i ricchi buoni ricchi e i poveri buoni poveri. Sono convinto che verrà il tempo in cui lo Stato sarà guidato in questo modo”. Gino Giugni “La legislazione sul lavoro salariato… fin dalla nascita è coniata per lo sfruttamento dell’operaio e gli è sempre ugualmente ostile”. Karl Marx

Reazione fascista e deriva interclassista, strategie

dell’attacco neo liberista Per un 25 Aprile di lotta 25 Aprile, una data celebrata dai pulpiti ufficiali con costante banalità e retorica, un rito che ha svuotato anno dopo anno gli ideali, le aspirazioni e il pensiero politico di chi quella lotta ha combattuto. Ci parlano di “vittoria della pace” in un mondo che gronda sangue per guerre di cui sono sempre responsabili i “democratici” governi occidentali. Ci parlano di “fine del nazismo” quando in Ucraina è al potere una giunta nazista, voluta e supportata sempre dai “democratici” di cui sopra. Si investono centinaia di milioni di euro in armi e si riducono i letti d’ospedale, si lascia la sanità a chi può pagarsela. Ci parlano di libertà, ma quale? Quella dei padroni di licenziare o degli imprenditori e mafiosi di ingrassare con opere pubbliche inutili e costose? Ci parlano di un interesse nazionale comune, per favorire i padroni. Parlare oggi di conflitto di classe, dalla parte del movimento operaio, è tabù. La lotta di classe, quella fatta dai lavoratori, è contrastata e delegittimata. Le basi materiali, economiche e sociali del fascismo ci sono ancora, ora più che mai. Ci siamo appena lasciati alle spalle la riedizione annuale della “giornata del ricordo” e del mito delle foibe, una data-simbolo che la destra liberal-fascista celebra e farà celebrare ad imperitura memoria, con il chiaro intento di sostituirla, nel cosiddetto immaginario collettivo della nazione, con la data simbolo della liberazione dal nazifascismo, il 25 Aprile. La reazione imperversa e, come da copione, Dio, Patria, Famiglia, mette insieme le varie anime della destra per inscenare la nuova forzatura politico culturale.

Il congresso di fine marzo a Verona sulla famiglia. Se il primo (Dio) dichiara, per bocca del segretario di stato Vaticano Parolin, di concordare sulla sostanza, ma non sul metodo, i rappresentanti di Stato e Famiglia Salvini e Fontana, accolgono entusiasticamente l’iniziativa, al punto di farsene convinti patrocinatori. La destra neo-liberale gongola e i fascisti vecchi e nuovi si riabilitano nell’immagine pubblica. Dopo la devastazione dei diritti dei lavoratori, dopo l’attacco alla memoria storica, tocca ora alle conquiste culturali frutto delle lotte dei decenni passati, quelle della sinistra, quelle che ancora dovrebbero riflettere, nel desolato panorama della sinistra odierna, il tema centrale dell’azione di lotta unitaria della classe. Dall’altra parte preme l’interclassismo dei movimenti piccolo borghesi e riformisti, e dei confederali, tutto imperniato sull’obiettivo della crescita, per sostenere proprietà e impresa, attraverso il ruolo dello Stato. Non sarà sfuggito il primo atto pubblico di Landini, neo segretario CGIL: la manifestazione di Roma del 9 febbraio con CISL e UIL, settori di Confindustria ed esponenti PD e LEU. Tutti uniti con il comune obiettivo della crescita, talmente uniti da superare in suo nome e per conto dei padroni il conflitto capitale-lavoro. Non è certo una novità. Proprio il fascismo si fece portavoce di tale strategia, attraverso il riconoscimento dell’organizzazione privata della produzione quale “funzione di interesse nazionale” e della impresa economica privata come motore dell’economia. La Carta del Lavoro, approvata nel 1927, diede il via alla strategia classista del fascismo, ne segnò l’indirizzo di politica economica (privata) e sancì la nascita dello Stato corporativo fa-

scista, caratterizzato dalla presenza del sindacato unico quale ente pubblico amministrativo al fine di ingabbiare i lavoratori entro i limiti della “contrattazione economica corporativa”. La lotta di classe era superata (quante volte abbiamo sentito questa espressione!) per fare posto ad una superiore “armonia” che coniugava “il benessere dei singoli con lo sviluppo della potenza nazionale”. L’interclassismo, nella forma della corporazione fascista, doveva servire al capitalismo italiano nel periodo di crisi economica e generale, tra la prima e la seconda guerra mondiale, per risolvere sia pure parzialmente la crisi a spese

della classe operaia e contadina e sancire la subalternità della società al sistema delle imprese private. Esso fu espressione dell’offensiva della borghesia monopolistica contro la classe operaia. Ma la deriva aclassista e neocorporativa si trova collocata in vicende anche più recenti della nostra storia: la “svolta dell’Eur” del 1978, ad esempio, la “linea dei sacrifici”, in nome dell’interesse comune e della pace sociale, era indirizzata a centralizzare e gerarchizzare il sindacato, istituzionalizzarlo (sindacato di Stato), impedendo di fatto, dall’alto, ogni autonomia della classe operaia. Volevamo segnalare questi due aspetti della strategia di classe del

fascismo che comportano infinite modalità con le quali reazionari e riformisti piegano i lavoratori ai diktat del capitale. Le condizioni di sfruttamento e di impoverimento delle classi subalterne sono inequivocabili, stanno lì a denunciare l’inconsistenza di ogni visione interclassista, finta alternativa, ipocrita e inconsistente mediazione stabilita dall’alto che ci consegna dritti filati alla reazione. Anche oggi l’interclassismo opera per la grande borghesia monopolistica, tutta unita a chiedere sblocca cantieri, tav, grandi opere, F35, nuove tecnologie… devastanti programmi di spesa pubblica propagandati per il bene comune della nazione e di noi tutti; in realtà una redistribuzione delle risorse pubbliche alle imprese, con l’adeguamento di salari e condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e devastazione dell’ambiente (Ilva). Programmi che prevedono, in ogni caso, l’intensificazione del tasso di sfruttamento della forza lavoro, col parallelo smantellamento del sindacato (Cgil Cisl Uil), lasciato alla sua lenta deriva, ridotto ad un ruolo para istituzionale, appiattito sulle proprie visioni di compatibilità con i padroni. Fare dell’impresa capitalistica il centro di ogni valore della vita sociale, questo vogliono i padroni nella loro sfrenata corsa ai profitti; di fronte a queste strategie l’antifascismo di facciata, aclassista, è solo uno strumento nelle mani dei padroni e serve per occultare la realtà dello sfruttamento e indirizzare lavoratori e grandi masse alla collaborazione di classe anziché alla lotta. Il 25 Aprile deve servire per rilanciare la lotta di classe, oggi indispensabile più che mai, altrimenti rimarrà solo una giornata balneare. Finché ce la lasceranno.

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1 maggio

Il Primo maggio e le battaglie operaie per l’emancipazione

La lotta fra capitale e lavoro, le battaglie operaie contro lo sfruttamento, contro quella parte del lavoro non pagato di cui si appropria il padrone capitalista, vero furto del salario, è lastricata da un fiume di sangue proletario Michele Michelino Il 3 maggio 1886, davanti alle fabbriche Mc Cormik in Haymarket Square, c’è un presidio di operai e lavoratori contro azioni di crumiraggio, durante il quale prendono la parola gli esponenti più importanti del movimento operaio, tra cui i militanti anarchici e socialisti, che consideravano la campagna per le otto ore solo come un primo passo verso la rivoluzione sociale. La polizia carica i manifestanti, spara e uccide 4 lavoratori, ferendone centinaia. Il giorno dopo migliaia di lavoratori scendono nuovamente in piazza protestando contro la brutale violenza poliziesca. Nella piazza piena di manifestanti, mentre la polizia si avvicina al palco degli oratori per interrompere il comizio, viene lanciata una bomba su un gruppo di poliziotti. Un poliziotto muore, molti rimangono feriti. I poliziotti per vendicarsi e presi dal panico sparano all’impazzata sui manifestanti uccidendo 10 persone e ferendone centinaia. Non si scoprirà mai né il numero esatto delle vittime, né chi sia stato a lanciare la bomba. Subito vengono incolpati gli anarchici. Una feroce ondata repressiva si abbatté contro le organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori, le loro sedi furono devastate e chiuse e i dirigenti arrestati. Le prime vittime di questa caccia al “rosso” furono proprio gli esponenti di maggiore spicco del movimento dei lavoratori, ovvero gli anarchici. Il processo contro gli anarchici seguì il solito copione di una condanna già scritta, anche se non c’era alcuna prova contro di loro. Il 20 agosto 1887 il tribunale dei padroni emette la sentenza: August Spies, Michael Schwab, Samuel Fielden, Albert R. Parsons, Adolph Fischer, George Engel e Louis Lingg furono condannati a morte (in seguito a pressioni internazionali la condanna a morte di Fielden e Schwab fu commutata in ergastolo). Oscar W. Neebe fu condannato a 15 di reclusione. Otto lavoratori furono condannati per essere anarchici, sette di loro a morte. L’11 novembre 1887 i condannati furono impiccati a Chicago e passeranno alla storia come i “Martiri di Chigago”. In seguito il movimento internazionale dei lavoratori, nel 1889 a Parigi, propose di ricordare con una giornata di sciopero generale, fissata per il Primo maggio di ogni anno, gli avvenimenti di Chicago. La conquista del diritto ad una giornata lavorativa di otto ore è stata il frutto di una lotta di una classe che la impose prima in America e, successivamente grazie alla Prima Internazionale e alle lotte del movimento operaio internazionale, fu introdotta anche in Europa. La giornata di lotta e la manifestazione del 1° Maggio, nata a Chicago nel 1886, dal 1890 è diventata una scadenza di lotta internazionale contro lo sfruttamento capitalista, per la limitazione dello sfruttamento giornaliero e la giornata lavorativa per le otto ore e altri provvedimenti legislativi al fine di tutelare l’integrità fisica del proletariato. La giornata di lotta internazionale degli operai contro il capitalismo si è sempre basata sulla solidarietà internazionalista, sul riconoscimento che gli interessi degli sfruttati di ogni paesi sono comuni. La giornata lavorativa di otto ore 8 conquistata circa 132 anni fa (ormai messa continuamente in discussione) e le “conquiste” operaie sono sempre state il risultato di una guerra civile fra la classe dei capitalisti e quella degli operai e dei rapporti di forza esistenti in quel momento. È il risultato di una lotta di classe che fin dagli albori il movimento operaio internazionale condusse contro i capitalisti. Nel corso degli anni, con il cambiamento dei rapporti di forza nella lotta fra capitale e lavoro, anche la legislazione riguardante le normative, le leggi, i diritti e i contratti di lavoro sono cambiati. I limiti del diritto di sciopero - contemplato dall’art. 40 della Costituzione italiana nata

dalla Resistenza, sono stati più volte cambiati nel corso degli anni per intervento del potere economico, politico e giurisprudenziale. Il rapporto tra contratto collettivo e conflitto ha subito molte restrizioni, mutando la disciplina degli obblighi impliciti ed espliciti di tregua sindacale. Non è un caso che l’art. 40 della Costituzione affermi che il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano, leggi che seguono l’evolversi della lotta di classe. Infatti la prima limitazione dello sciopero è stata attuata nei servizi pubblici, regolamentandolo con la legge 146/1990, successivamente modificata e integrata dalla legge 83/2000. Per la legge borghese lo sciopero è un’astensione collettiva dal lavoro di più persone per il perseguimento di un fine comune con l’intento di unire l’interesse del lavoratore con l’iniziativa economica del datore. La legge riconosce che, nel corso degli anni, sono cambiate varie forme di lotta e varie tipologie di sciopero: scioperi a singhiozzo, a scacchiera, parziale e breve. Dice anche che lo sciopero può essere attuato in alcuni servizi non da tutto il personale e non per l’intera giornata di lavoro e ha adeguato la legislazione a difesa del profitto stabilendo nuovi reati nell’interesse collettivo dei capitalisti. Non è un caso che sono ritenute estranee dalla tutela del diritto di sciopero le azioni di lotta che non si concretizzano in astensioni dal lavoro quali la non collaborazione, l’ostruzionismo e lo sciopero pignolo o alla rovescia, consistente nell’applicazione cavillosa di direttive e regolamenti, poiché costituenti condotte diverse dalla mera astensione dal lavoro. Non rientra neanche nella nozione di sciopero il c.d. “sciopero delle mansioni” che si concretizza in un’astensione parziale dal lavoro e, nello specifico, nel rifiuto di svolgere soltanto alcuni dei compiti assegnati al dipendente. Sono invece state ritenute forme di sciopero vero e proprio gli scioperi a singhiozzo, a scacchiera, parziale e breve, perché in questi casi si verifica un’effettiva totale astensione dal lavoro in cui lo scioperante non può selezionare i compiti da svolgere e quelli da sospendere. La Corte di Cassazione con due recenti sentenze ha esaminato i limiti interni del diritto di sciopero utili a fare il punto della situazione sull’attuale regolamentazione del diritto di sciopero. La legge stabilisce il rapporto tra contratto collettivo e conflitto attraverso una disciplina e degli obblighi impliciti ed espliciti di tregua sindacale. Il tema della natura collettiva sia degli interessi coinvolti, sia delle modalità dell’esercizio del diritto di sciopero incidono anche sulla questione della validità delle clausole “di tregua sindacale”, introdotte dal paragrafo 6 dell’Accordo interconfederale 28 giugno 2011. La disciplina delle clausole di tregua sindacale, ovvero di quelle clausole del contratto collettivo che regolano l’esercizio del diritto di scio-

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pero, riflette il modo in cui viene concepito, in ciascun ordinamento, il rapporto tra contratto collettivo e conflitto. La regolazione della tregua sindacale, che mette degli argini alla lotta, stabilisce quando il conflitto è legale o diventa reato fissando i vincoli del contratto collettivo rispetto all’azione collettiva.

Lo sciopero politico

La regolamentazione dello sciopero ha riguardato anche quello politico, che ha subito anch’esso trasformazioni adeguandosi alla lotta di classe. Oggi lo sciopero politico è ammesso “solo se non è diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale e non impedisca né ostacoli il libero esercizio dei diritti e dei poteri in cui si esprime la sovranità popolare”: lo sciopero politico diventa reato se usato contro il potere borghese.

Il Decreto sicurezza

Il cambiamento dei rapporti di forza tra le classi è evidenziato e sancito anche nel cd. Decreto Sicurezza (o Decreto Salvini) varato recentemente dal governo giallo-verde che regolamenta ulteriormente le forme di lotta del conflitto di classe, con un inasprimento delle regole repressive a tutela della proprietà privata e del profitto. Il conflitto di classe latente, con l’acuirsi della crisi economica, si manifesta in modo sempre più dirompente. La brutalità e la violenza del sistema capitalista mostra sempre più il suo vero volto e un sempre maggior numero di persone scende in lotta per difendere i propri interessi. La lotta in difesa del posto di lavoro e dei propri diritti che ostacola l’accumulazione del profitto o frena lo sfruttamento capitalista rispetto ai limiti imposti dai padroni è vista dal capitale come un atto di guerra contro il sistema capitalista, e il potere borghese agisce di conseguenza e preventivamente con un aumento delle pene e con la galera. Alcune azioni di lotta tradizionali del movimento operaio e popolare, che fino a ieri erano represse timidamente o tollerate, oggi sono brutalmente represse come previsto in particolare nei punti 23 e 30 della legge del Decreto sicurezza. È stato reintrodotto il reato di blocco stradale e invasione di altrui proprietà privata, inteso come ostruzione di strade e binari, punibile oggi con pene da 1 a 6 anni, raddoppiate (da 2 a 12 anni) se il fatto è commesso da più persone che usano violenza o minaccia a persone o cose. (Da notare che il reato di blocco ferroviario e stradale fu introdotto nel 1948 su iniziativa del Ministro dell’Interno Scelba e nel 1999 era stato depenalizzato e punito con una sanzione amministrativa pecuniaria.) Anche per l’occupazione di case, fabbriche che licenziano ecc., oltre all’aumento della multa, la pena passa da due a quattro anni con le aggravanti a seconda che il fatto sia compiuto in

gruppo. Per gli attivisti politici e sindacali che organizzano le lotte è contemplato il Daspo e addirittura l’arresto preventivo, come ai tempi del fascismo. Mentre i padroni rubano a man bassa il salario e miliardi di euro alla collettività, la classe operaia priva di un’organizzazione di classe nazionale, sindacale e politica, è alla completa mercé del padrone. In caso di conflitto, di ribellione alle regole stabilite dal governo dei padroni e delle multinazionali, deve subire e pagare multe salate, licenziamenti e persino il carcere. Se nell’immediato queste misure repressive possono contenere le lotte isolate frazionate e divise - grazie alla collaborazione e al controllo sul movimento operaio di sindacati e partiti filo padronali – in futuro, davanti a un movimento operaio e proletario unito e organizzato, sono destinate a essere travolte. Questo, decreto che è in continuità con le politiche del PD e dei governi di centro destra e centro sinistra che l’hanno preceduto, sancisce i nuovi rapporti di forza delle classi in lotta oggi in Italia. Nel corso degli anni, grazie ai sindacati e partiti borghesi al servizio del profitto, il 1° Maggio è stato svuotato dai suoi contenuti di classe internazionalista, impregnandolo di nazionalismo, sovranismo, trasformando questa giornata di lotta in una festa, in molti casi in un normale giorno lavorativo. La storia insegna. Nel 1919, solo per ricordare alcuni fatti storici, il primo a farlo fu il socialdemocratico governo Scheidemann, che dichiarò il 1° Maggio festa nazionale mentre nel frattempo massacrava migliaia di operai spartachisti, istituendo i primi campi di concentramento per detenuti politici. Subito dopo, nel 1933 Hitler dichiarò il Primo maggio “Festa del Lavoro Nazionale” facendo sfilare i nazisti. Negli anni successivi in Francia questa giornata di lotta fu trasformata in festa “tricolore” e, in anni recenti, in Italia è diventata la giornata di festa delle cresime. Nel nostro paese il 1° Maggio - trasformato in generica “festa del lavoro”, nel giorno di San Giuseppe voluto da papa Pio XII nel 1955 patrono degli artigiani e degli operai – è diventato l’appuntamento con il “concertone canoro” a Roma organizzato da Cgil-Cisl-Uil e il giorno della pacificazione tra sfruttati e sfruttatori. Anche nella manifestazione nazionale del 1° Maggio dei sindacati collaborazionisti sui palchi si sostituiscono le bandiere rosse con il tricolore, i sindacalisti parlano di emancipazione, di difesa della pace e dei diritti dei lavoratori mentre non fanno nulla per difendere i lavoratori dai licenziamenti e dalle delocalizzazioni delle aziende. Riconoscono come sacra e inviolabile la proprietà privata del capitale e il profitto, come legale lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Il 1° Maggio, ormai, per molti lavoratori dei centri commerciali e delle fabbriche non è più neanche una festa, ma è una normale giornata lavorativa, lasciando solo ai sindacati di base e a gruppi di compagni comunisti e anarchici la giornata di lotta. La mancanza di un partito operaio rivoluzionario, internazionalista, comunista che si batte per il potere operaio ci rende deboli e succubi del capitale. Senza un’organizzazione proletaria internazionale che si ponga l’obiettivo di abbattere il potere borghese per il socialismo continueremo a subire i colpi del nemico di classe. Oggi diventa imprescindibile il motto “Proletari di tutto il mondo uniamoci”. LA NOSTRA FORZA È NELLA SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALISTA tra gli operai che in tutto il mondo si battono contro lo sfruttamento, il capitale, l’imperialismo, le guerre. È così che vogliamo celebrare il 1° Maggio.

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cultura

I comunisti britannici: Politica di identità o politica di classe? Quello che ci insegna il capitalismo è una parodia della classe lavoratrice Uno dei temi su cui si è soffermato l’8° Congresso del Communist Party of Great Britain (marxist–leninist), lo scorso settembre, è stato quello della cosiddetta identità di genere. “L’unica cosa che ci unisce è la classe”, hanno detto i comunisti che militano nel CPGB (m-l), al cui interno, a quanto pare, è in corso una serrata discussione sul tema dell’identità e dell’attivismo LGBT+. Al Congresso è stata adottata in modo preponderante la mozione del CC, mentre sono state respinte altre mozioni, in cui si chiedeva di inserire l’attivismo LGBT+ nel programma del partito. “I socialisti devono evitare la trappola della politica borghese dell’identità, se vogliono fare progressi nell’unire la classe lavoratrice contro il capitalismo”, ha detto nel suo intervento un membro del CC del partito. La ragione del nostro dibattito di oggi è “un fenomeno che ho incontrato per la prima volta come accademico facendo un master e poi un dottorato in discipline umanistiche. Negli ultimi otto anni, sono stato impegnato a tenere conferenze sulle identità LGBTQ, la teoria queer e le politiche di identità. La prima cosa che mi è stata insegnata, come studente e successivamente come parte dello staff accademico nei primi anni 2000 - basata su… quello che l’Euroleftismo considerava “la fine della lotta di classe” - era che non abbiamo bisogno di parlare di classi nelle discipline umanistiche; che non è più “trendy” considerare “la grande narrativa di classe”, e che tali idee erano decadute dopo il maggio ‘68. Invece, mi è stato detto, dovevamo parlare di “identità”, basata sulla nozione di “differenza”. Dovevo familiarizzare con il movimento filosofico che si concentra sulla differenza; che non parla più di cose che possono riunire persone attorno a una realtà condivisa, o condizioni materiali che le persone possono avere in comune, ma dichiara tutto ciò un “fallimento”, sostenendo che sia inutile cercare cose in comune con gli altri. Mi è stato insegnato che questa comprensione del “fallimento” dovrebbe essere alla base delle scienze umane e della cultura contemporanea, e che non è più necessario studiare le scienze “positive” come la sociologia con le sue rigide categorie; che non c’è bisogno di ricercare spiegazioni sociologiche per i fenomeni culturali, perché ciò porta a conclusioni “deterministiche”. Invece, è necessario andare direttamente alle teorie poststrutturaliste, alle idee sulla “decostruzione” e ai filosofi postmoderni come Jacques Derrida, per affrontare la “differenza”, quale unica idea che unisce le persone. Sono retribuito a ore, senza contratto a tempo indeterminato, come docente donna, perché le imprese universitarie hanno messo in atto una politica di discriminazione positiva, che fa battere cassa quando assume un uomo che si identifica come “donna” e che può ottenere il posto di docente e che ha molto più senso finanziario per la direzione dell’università invece che pagare il mio congedo di maternità. Bisogna confrontare le basi materiali della mia esistenza e l’identità di uomo che si definisce donna, e che ha studiato Derrida, come ho fatto io. Quest’uomo ha tutto il sostegno filosofico, oltre ai finanziamenti universitari, per rafforzare la sua posizione e definire le preoccupazioni di classe un “progetto fallito”: questo è ciò che insegnano nel postmodernismo - la fine della logica, la fine della storia, la futilità della lotta

sociale e della resistenza. Siamo in questo partito perché siamo d’accordo con ciò che ha detto Karl Marx? Comprendiamo la necessità di sfuggire a questa educazione capitalistica che ci disabilita; che disabilita la nostra capacità di unire e di comprendere ciò che abbiamo in comune e di agire su di esso; che ci insegna a feticizzare la nostra sconfitta? Mi sono stati offerti vari lavori per parlare della mia “sconfitta”, di ciò che mi rende diverso, come donna... Si può approdare alle carriere accademiche essendo “antipatriarcali” e considerando se stessi come “una classe per noi”. Ma non siamo in questo partito perché crediamo di essere una classe “di genere”: nessun marxista-leninista dovrebbe crederci. Si può sicuramente guadagnare di più insegnando agli altri a credere di essere una classe in sé, ma noi siamo qui perché difendiamo la verità, non la carriera. Difendiamo Stalin perché difendiamo la verità storica, non perché Stalin ci distingue come “diversi”. Sono sicuro che oggigiorno alcuni possono venire in questo partito per essere ‘loro stessi’: un altro modo “radicale” di feticizzare la loro “identità” e dichiararsi “diversi” da altri gay o altre lesbiche o altre persone “di genere”. Difendere Stalin può diventare un altro modo di autoidentificarsi. Ma non siamo qui per difendere le nostre identità individuali; siamo qui per trovare veramente ciò che ci può condurre alla società comunista. Se vogliamo aiutare le persone che si trovano in uno stato di dipendenza, allora dobbiamo essere comunisti e avere il coraggio di parlare delle cose che sono un’alternativa a ciò che ci insegnano. In primo luogo, dobbiamo diventare consapevoli di quali siano esattamente le bugie e gli errori che la classe dominante ci sta insegnando, e di come queste ideologie ci disabilitino, mentre ci nascondiamo in una narrazione sulla “legittimazione” individuale, “azione” e “auto-liberazione”. Ci insegnano che abbiamo un agire più “ibrido”, “fluido”, individuale, distaccato dalla biologia o dai fondamenti materiali, dal precariato. Ci insegnano che in realtà è fuori moda aspettarsi di godere della pensione, di un reddito o di un’abitazione permanente; è trendy essere “raminghi”; è creativo vivere nella precarietà e non avere un lavoro permanente. Ci insegnano ad amare il “cambiamento” e disprezzare la “stabilità”; unirci agli altri per amare la nostra “miseria” - ciò che il capitalismo ci ha rubato. Ci insegnano ad amare le imposizioni del capitalismo, i traumi dello sfruttamento; insegnano alla gente a pensare che questo atteggiamento sia rivoluzionario. Ma è falsa coscienza e nient’altro. Fanno una parodia della classe lavoratrice. Questa ideologia ci segrega, ci isola in folle solitarie e passive di “io”. Ci insegnano a odiare ciò che è sano e ad amare invece le nostre malattie. Il momento della verità è venuto per me quando è stato negato il mio dottorato di ricerca. La mia tesi era una critica all’educazione “inclusiva” del New Labour. In esso, parlavo della disabilità degli studenti e, apparentemente, commettevo “l’errore” di non riuscire a collegare la disabilità con la politica dell’identità, e ne parlavo invece in termini di classe. Sostenevo che l’educazione borghese opprime i bambini non perché siano disabili, fisici o mentali, ma perché sono bambini della classe lavoratrice. Sostenevo che il capitalismo definisce l’identità borghese come

capacità; le persone sono considerate capaci quando appartengono alla borghesia e si sottomettono alla sua ideologia. Il capitalismo considera l’identità della classe lavoratrice come una disabilità e cerca di “gestirla” e integrarla nel suo sistema di sfruttamento. Nel momento in cui ho iniziato a trarre tali conclusioni, gli esaminatori hanno contestato la mia metodologia con “motivi etici” e mi hanno negato il dottorato. Ho dovuto ripresentare la mia tesi, perché, secondo gli esaminatori, stavo “etichettando” le persone chiamandole “classe lavoratrice”. L’unica autentica identità è stata da loro censurata come “etichettatura”. Mi è stato proibito di parlare della classe dei miei studenti, mentre potevo condurre senza problemi sondaggi sui “desideri sessuali” dei bambini delle scuole elementari. Sono in questo partito perché il comunismo è l’unico discorso, l’unica filosofia, l’unico modo per parlare delle cose come stanno e radunare le persone non attorno alla loro “deficienza”, ma attorno alla loro unica identità collettiva, l’unica che abbiamo e che è basata sulla nostra classe. Non siamo qui per feticizzare i nostri traumi, come li viviamo sotto il capitalismo. In una società comunista, le persone sperimentano se stesse e gli altri in modo diverso, ad esempio in una società come quella cubana. Non possiamo paragonarci a Cuba. Cuba si è sviluppata lungo un percorso socialista; il popolo è al potere; essi approvano una legislazione rilevante per la loro società e il suo posto nella sfera internazionale. Ai bambini cubani non viene insegnato ciò che insegnano ai nostri figli. Lo Stato e il governo socialista filtrano le cose in modo molto diverso perché l’economia non è la stessa che abbiamo qui. Le leggi cubane sulla LGBTQ non possono essere paragonate alla politica britannica dominante. Dobbiamo ripristinare le cose che ci uniscono e non le cose che ci dividono. L’unica cosa che ci unisce è la classe, e se ti preoccupi del benessere degli omosessuali, delle donne violentate, dei bambini disabili ecc., devi dichiarare che l’unica opzione che hanno è quella di agire collettivamente, in modo politico organizzato, basato sui loro interessi di classe, e non su un vago idealismo. Il marxismo-leninismo è l’unico modo per garantire il successo della lotta dei lavoratori. In quanto leninisti, marxisti, non diciamo alle persone che ciò che stanno attraversando è qualcosa che dovrebbero indossare come identità, perché tali identità isolanti li disabili-

tano. I “diritti dei transgender” rappresentano l’ideologia borghese; l’intera questione confonde la realtà. È puro idealismo, perché la realtà è che non possiamo scegliere la nostra identità a volontà. È un’illusione, un errore e un crimine insegnare alle persone a pensare di poter scegliere in questo modo, sotto il capitalismo. Siamo qui per aiutarli a dissipare le loro illusioni borghesi, e le nostre per prime, per quanto gravose e dolorose possano essere.

Mozione approvata dall’8° Congresso: “Le politiche di identità sono anti-marxiane e un diversivo dannoso dalla lotta di classe” Pur essendo totalmente contrario alla discriminazione basata sulla razza, il sesso o la propensione sessuale, questo Congresso dichiara che l’ossessione per la politica di identità, compresa la politica sessuale, è anti-marxista. Il Congresso decide quindi che la diffusione della politica di identità, compresa l’ideologia LGBT, essendo reazionaria, contraria alla classe lavoratrice, pericolosa distrazione e diversione dalla lotta di classe del proletariato per la sua emancipazione sociale, è incompatibile con l’appartenenza al partito, rendendo coloro che se ne fanno promotori, passibili di espulsione.

Lettera di un iscritto al CPGB (m-l): Politica di identità contro politica di classe

Se le nostre attività politiche non minacciano l’imperialismo, dobbiamo ripensare a ciò che stiamo facendo. Riguardo all’attuale questione, della politica di identità, penso che la questione più importante qui sia come organizzarci per una trasformazione socialista nella nostra società. Il CPGB-ML sostiene correttamente che ciò può essere raggiunto solo organizzando la classe operaia per prendere il potere e, tutto ciò che distoglie da ciò, è obiettivamente reazionario. La politica di identità sembra assorbire molte energie del movimento operaio; la domanda è: questo aiuta o ostacola la lotta per la trasformazione socialista? La vera oppressione è data da senzatetto, fame, indigenza, guerra, povertà, brutalità della polizia, leggi anti-sindacali ecc. Quando parliamo di identità, stiamo seriamente sfidando questa oppressione? Siamo tutti molto preoccupati, quando

le minoranze diventano il capro espiatorio dello Stato e sono prese di mira dalle classi dominanti, che organizzano l’estrema destra, specialmente in tempi di crisi, quale braccio extra-legale per attaccare i lavoratori sulla base dell’identità. Il movimento ha sempre visto simili tattiche, come mezzi per dividere la classe, promuovendo nel contempo idee suprematiste, cioè la sopravvivenza del “più adatto”, che alla fine si esprime nel più vile imperialismo e nella guerra. Storicamente è stato il movimento della classe operaia che ha combattuto l’oppressione razziale, rendendosi conto che “una ferita inferta a uno, è un danno per tutti”. La domanda chiave è questa: il movimento può sconfiggere il razzismo, il sessismo e l’omofobia, se è diviso su questi temi? E inoltre: può trovare soluzioni durature per essi all’interno di una società capitalista, che promuove la competizione e la divisione? Possiamo solo fare appello alla classe operaia sulla base del fatto che una ferita inferta a uno è un danno per tutti. La questione che ci unisce è essere membri della classe lavoratrice, persone che soffrono le stesse ingiustizie. Non possiamo raggiungere questa unità cercando di elevare le nostre differenze in primo piano, spostando l’attenzione dal nemico di classe, che gode del suo privilegio a nostre spese e usa queste differenze per dividerci. Questa è la posizione marxista, che sostiene che le principali contraddizioni nella società sono basate sulla lotta di classe, e che la classe è determinata dai rapporti coi mezzi di produzione. Basta leggere il Manifesto dei comunisti, scritto nel 1848: in esso, Marx ed Engels hanno trasformato le questioni di identità in conflitto di classe. Ha una base di classe l’attuale azione politica basata sull’identità e, cosa più importante, minaccia l’imperialismo? Da marxisti, come ci aspettiamo di sconfiggere l’oppressione senza l’unità della classe operaia? Se parliamo seriamente, è così che dovremmo affrontare il problema. Traduzione e sintesi a cura di fp

Il Communist Party of Great Britain (Marxist–Leninist) https:// www.cpgb-ml.org, fondato nel 2004, ha fatto parte fino al 2014 dell’International Communist Seminar, promosso dal defunto leader del PVDA-PTB, il comunista belga Ludo Martens. La maggior parte dei partiti aderenti all’ICS sono poi confluiti nell’International Meeting of Communist and Workers Parties. Il CPGB (m-l) si considera erede del CPGB degli anni ‘20 e ‘30, cui ha aggiunto la specificazione di “marxista-leninista, perché, dopo che i revisionisti avevano preso il controllo del vecchio partito”, era caduto in mano a “un gruppo di trotzkisti che gestiscono un fogliaccio di pettegolezzi (il Weekly Worker) pieno di bile anti-comunista. Nonostante ciò, siamo orgogliosi di usare il nome CPGB. La fondazione del CPGB nel 1920 fu il più grande passo in avanti compiuto finora dal proletariato britannico e riteniamo sia nostro dovere continuare questa marcia in avanti”.

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cultura

Pianeta verde? Si, ma...

Mentre ci avviciniamo al ‘punto di non ritorno’ come avvertono molti scienziati, il capitalismo diventa anche “verde”, un affare assai redditizio per un sistema che genera e riproduce costantemente i meccanismi della distruzione della natura Daniela Trollio (*) Marzo è stato il mese di alcuni movimenti “globali”. Dallo sciopero delle donne l’8 marzo allo sciopero per il clima del 15 marzo. Ed è di quest’ultimo che vogliamo parlare. Decine e decine di migliaia di giovani – ed è un fatto importantissimo che essi non vogliano lasciare in mani altrui il proprio futuro - si sono mobilitati in tutto il mondo contro l’indifferenza, la complicità e la responsabilità dei governi verso il cambiamento climatico già in atto, e le cui conseguenze ognuno di noi può vedere nel proprio paese. Meno visibili sono alcune azioni che da anni compromettono non solo il clima ma la vita dei più poveri, e non solo. A partire dalla campagna di alcuni anni fa per i bio-combustibili, che tanto bio non sono: un aumento della produzione di grano, mais, canna da zucchero ecc. che andrebbero a produrre tali combustibili. Peccato però che questo significhi sottrarre terreni agricoli - ovviamente nelle parti più povere del pianeta - da destinare non all’alimentazione ma a questo tipo di prodotto “verde” per le auto dei più ricchi. Risultato: la rovina dei piccoli agricoltori, delle economie familiari, un aumento della fame nel mondo. Paladino di questa battaglia, per cui ricevette un premio internazionale nel non troppo lontano 2007, fu niente meno che il vice-presidente degli Stati Uniti, Al Gore. Il progetto – almeno ufficialmente – abortì grazie alle lotte e alle proteste dei contadini messicani. E se Greta Thunberg, l’attivista svedese di 16 anni che il 4 dicembre 2018 ha parlato del tema alla COP24, il vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici tenutosi in Polonia, è diventata un’icona del movimento, nessuno si è ricordato, nelle manifestazioni, di Berta Càceres, uccisa il 2 marzo 2016, ambientalista e leader del Consiglio delle organizzazioni popolari e indigene, che da anni si batteva contro la realizzazione di un impianto idroelettrico nell’Honduras del Nord. I mandanti: i dirigenti della DESA S.A., l’impresa incaricata di costruirla… E nessuno ha ricordato i 207 ambientalisti che sono stati assassinati in 22 paesi nel 2017. Nella stragrande maggioranza dei casi perché la loro lotta andava direttamente al cuore del problema: non gli Stati e la loro apparente inerzia riguardo alla distruzione del pianeta che avanza, ma le multinazionali ed i loro progetti predatori alla ricerca del massimo profitto. Ma c’è un’altra dimenticanza più grave e gravida di conseguenze, in questo movimento globale, quella che ha fatto - e continua a fare - più morti in assoluto perché… va bene il pianeta ma i suoi abitanti non sono un elemento secondario: le guerre imperialiste e le loro conseguenze sugli esseri umani e sull’ambiente. Yugoslavia, Afganistan, Iraq, Libia, Yemen, Siria:

circa 150 milioni di morti e terra, acqua e aria contaminati per i millenni futuri e per le generazioni future non ancora nate - grazie all’uso dell’uranio impoverito e di chi sa quali altri veleni. Se, come ricorda qualcuno, i romani spargevano sale sulle terre conquistate per assoggettare anche in futuro i nemici vinti, noi abbiamo visto il Vietnam annaffiato di Agente Orange, che ancor oggi – 44 anni dopo – ‘produce’ 500.000 bambini ciechi o deformi; la Yugoslavia e l’Afganistan seminati di bombe all’uranio impoverito, 320 tonnellate nel solo Iraq in cui, oltretutto, le forze angloamericane bombardarono i campi petroliferi per mesi, producendo milioni di tonnellate di diossido di carbonio, zolfo e mercurio e una pioggia acida che distrusse la vegetazione e gli animali. Proprio l’Iraq ha sperimentato nel 2015 la temperatura più alta al mondo a causa della distruzione, causata dalla guerra, del manto vegetale e i pescatori e i ragazzi che fanno il bagno nel fiume Tigri continuano a incontrare cadaveri nelle sue acque. Più recentemente, va ricordato che il governo degli Stati Uniti – amministrazione Trump buona ultima – ha investito 1,2 bilioni di dollari

per fabbricare nuove bombe atomiche, perché il mondo “sia più sicuro”. E ci fermiamo qui. Sappiamo bene che il capitalismo distrugge l’uomo e la natura. Per sua natura ha bisogno di produrre e sfruttare sempre più intensamente per realizzare il profitto, il che implica non solo un sempre più sfrenato e brutale sfruttamento della forza lavoro ma lo sfruttamento sempre più intensivo della natura stessa che, lungi dall’essere in questa società un “bene comune” di proprietà di tutti i suoi abitanti, diventa una merce anch’essa. E come tale viene ampiamente pubblicizzata. Mentre ci avviciniamo al ‘punto di non ritorno’ come avvertono molti scienziati, il capitalismo diventa anche “verde”, un affare assai redditizio per un sistema che genera e riproduce costantemente i meccanismi della distruzione della natura. Solo che il nostro pianeta è “finito” e questo processo va in una sola direzione: una catastrofe per il genere umano. È questo il nodo di ogni lotta: da quelle più piccole, che chiamiamo di solito ‘rivendicative’, a quelle ‘globali’: chiamare le cose con il loro nome, identificare le vere cause dei problemi. E non è così

difficile, oltre ad essere l’unico modo perché nelle lotte si sviluppi la coscienza di chi è il vero nemico. Facciamo un esempio in tema: il movimento dei gilet gialli. Nato da un apparente rifiuto “antiecologista” di pagare di più la benzina per favorire “un mondo più pulito” (accidenti… questi francesi che non vogliono pagare per il miglioramento dell’ambiente…), si è subito scontrato con la nuda realtà del potere del capitale e del ruolo dello Stato: sono andati così velocemente in pezzi - con le cariche della polizia, le pallottole di gomma, gli arresti - i tanto blaterati concetti di ‘democrazia’, di uguaglianza, progresso sociale ecc. Così ora è chiaro a moltissimi francesi che Macron è il rappresentante dei “ricchi”- che fa regali ai capitalisti in nome della competitività e impone tasse ai poveri in nome dell’ecologia - e che chi ogni sabato si incontra, si scontra e manifesta vuole un mondo diverso, dove siano le necessità delle persone – e non del grande capitale – a guidare le scelte della società. Detto in altri termini, e senza enfasi, si sta facendo strada l’idea di una società che produca per i bisogni reali della maggioranza. Dategli voi il nome che volete, io la chiamerei socialismo. Un bel salto di qualità, che ci dice che la lotta produce avanguardie, chiarisce chi è il nemico (moltissimi di quei giovani che hanno scioperato per il clima sono nelle piazze di Francia ogni sabato anche loro con il gilet giallo e vengono manganellati, arrestati, incarcerati), crea unità e contiguità tra movimenti che partono da diversi punti di crisi di questa società. Sono movimenti contradditori, dove ci sono ambiguità, diversi livelli di coscienza e vari attori sociali? Verissimo, ma questo movimento prima di tutto è un movimento - proletari, lavoratori, piccoli artigiani immiseriti, studenti, professori ecc. che si ribellano, che lottano, si organizzano, ragionano sulla propria esperienza, sui loro veri problemi e interessi e tracciano bilanci – che sta causando la perdita della legittimità del potere e del sistema capitalistico. Di questi tempi, qui da noi almeno, non è poco: bentornata, lotta di classe! Quindi non si tratta di arrendersi alle mode, o ai ‘movimenti’ in quanto tali, ma di parteciparvi attivamente portando la nostra esperienza di lotta, l’analisi di classe, la coscienza della necessità dell’organizzazione, se vogliamo svolgere il ruolo che i comunisti devono svolgere, altrimenti tali non sono. Ricordando anche, rispetto agli obiettivi, che se la seconda parola d’ordine della Rivoluzione bolscevica era “Tutto il potere ai Soviet”, la prima era “Pane, pace, lavoro e libertà”. (CIP “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni)

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rassegna stampa

Notizie in breve dal mondo marzo 2019 rischio di violenza sessuale perché in genere sono esse le incaricate della ricerca dell’acqua. L’Unicef chiede quindi ai governi di fermare ogni attacco alle infrastrutture di sanificazione dell’acqua.

Madrid, Spagna 7 marzo

Migliaia di medici manifestano nelle piazze di Madrid per protestare contro il deterioramento della sanità pubblica e chiedere al governo finanziamenti sufficienti a garantirne la qualità. Chiedono inoltre di mettere fine alla precarietà del lavoro, di equiparare i loro stipendi a quelli degli altri paesi. Nel manifesto letto davanti al Congresso dei Deputati durante la manifestazione i medici affermano che “non solo vogliamo essere trattati meglio, ma vogliamo anche gli strumenti per trattare meglio i nostri pazienti”.

Washington, USA 23 marzoLa Banca Interameri-

cana di Sviluppo (BID) annuncia oggi la sospensione della sua assemblea annuale, prevista per il 26-31 marzo a Chengdu, e fissa una nuova data per l’incontro perché la Cina ha rifiutato di accettare come “rappresentante” del Venezuela Ricardo Hausmann, incaricato dell’autoproclamato presidente Juan Guaidò. La cancelleria cinese afferma che Guaidò “manca di legittimità” e, nella sua nota, scrive che “alcuni paesi hanno cercato di imporre le proprie idee agli altri, di manipolare la questione venezuelana e di forzare la partecipazione dei rappresentanti di Guaidò alla riunione”.

Washington, USA 14 marzo

Con una maggioranza di 59 voti contro 41, il Senato degli Stati Uniti ha votato per l’annullamento dell’emergenza nazionale decretata da Trump, che chiedeva di utilizzare fondi provenienti da altri capitoli di bilancio per la costruzione del muro di frontiera con il Messico senza l’approvazione del Congresso. La dichiarazione dell’ “emergenza nazionale” permetteva a Trump di oltrepassare il voto del Congresso e destinare 8.000 milioni di dollari per la costruzione di un muro di 3.200 km. lungo tutta la frontiera. Secondo i senatori del Partito Democratico, cui si sono aggiunti i voti di 12 repubblicani, la dichiarazione è anticostituzionale e il muro significa uno spreco di fondi.

Washington, USA 16 marzo

Il segretario di Stato USA, Mike Pompeo, annuncia che da oggi gli USA negheranno i visti di entrata al personale del Tribunale Penale Internazionale (TPI) e revocheranno quelli già concessi, per impedire una possibile inchiesta sui crimini di guerra commessi dalle truppe statunitensi in Afganistan e avverte che il suo paese potrebbe adottare sanzioni economiche contro la corte dell’Aia se “non cambia strada”. Il procuratore generale del TPI, Fatou Bensouda, aveva chiesto nel 2017 di aprire un’inchiesta contro i crimini commessi in Afganistan perché “vi sono ragionevoli dubbi” per credere che membri delle Forze armate e della CIA abbiano commesso crimini di guerra. Il TPI non aveva ancora preso una decisione. Pompeo ha anche aggiunto che “queste restrizioni sui visti possono essere usate per scoraggiare gli sforzi del TPI di perseguire il personale alleato, compreso quello israeliano”. Anche l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha chiesto al TPI di mettere sotto inchiesta lo Stato di Israele per i massacri commessi durante le sue operazioni militari.

New York, USA 18 marzo

L’ONU avverte che Israele ha privato dell’accesso regolare all’acqua i palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza. Il relatore speciale ONU per i diritti umani in Palestina, Michael Lynk, ha affermato nel Consiglio per i Diritti Umani: “A Gaza, il collasso dell’acquifero costiero, unica fonte naturale di acqua potabile nella Striscia e ora quasi completamente inadeguato per il consumo umano, sta provocando una grave crisi sanitaria tra i due milioni di palestinesi che vivono là”. Ha anche segnalato che, nonostante il ritiro dei coloni e delle truppe israeliane da Gaza nel 2005, il regime ha mantenuto “una chiusura ermetica fatta di blocco aereo, marittimo e terrestre” attorno alla zona.

Parigi, Francia 23 marzo Francia, 19 marzo

Decine di migliaia di lavoratori sono scesi in piazza, questo martedì, a seguito della convocazione dei due più grandi sindacati del paese (CGT e FO) per chiedere aumenti salariali e misure di sostegno del potere d’acquisto. A Parigi, luogo della manifestazione più importante, hanno partecipato più di 17 mila lavoratori, secondo il governo, mentre la Confederazione Generale del Lavoro ne ha stimati 50 mila. Sono state organizzate manifestazioni simili in 150 città del paese. Le richieste: un salario minimo lordo di 1.800 euro a fronte degli attuali 1.500 e l’apertura delle trattative salariali nelle aziende e nelle amministrazioni pubbliche, oltre alla riduzione delle tasse e alla soppressione dell’IVA sui prodotti di prima necessità. Non ci sono stati incidenti.

San Paolo, Brasile 21 marzo

Arrestato per “corruzione, riciclaggio e appartenenza ad un’organizzazione criminale” Michel Temer, ex presidente brasiliano, nell’ambito dell’operazione “Lava Jato”, inchiesta sulla Tangentopoli brasiliana basata sui fondi neri Petrobras, per la quale Ignacio Lula da Silva è stato condannato a 12 anni. Temer era diventato presidente dopo il processo di impeachment a Dilma Rousseff, ex presidentessa succeduta a Lula da Silva, che l’aveva accusato di colpo di Stato giudiziario. Grazie al voto negativo del Congresso Temer era riuscito finora ad evitare ogni procedura a suo carico.

New York, USA 22 marzo

Esce il rapporto dell’UNICEF “Acqua sotto il fuoco”. In esso, dove si analizzano i tassi di mortalità di 16 paesi in conflitti prolungati, si afferma che i bambini sotto i 15 anni hanno più probabilità di morire per malattie diarroiche legate alla mancanza di acqua potabile che per motivi legati ai conflitti. Per i bambini sotto i 5 anni, la probabilità è di 20 punti in più. Nel rapporto sono stati analizzati i casi dei seguenti paesi: Afganistan, Birmania, Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centroafricana (RCA), Chad, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Irak, Libia, Mali, Somalia, Sudan del Sur, Sudan, Siria e Yemen. I numeri: 85.700 morti di minori di 15 anni per diarrea a fronte di 30.900 per violenza e 72.000 morti di minori di 5 anni a fronte di 3.400. Secondo l’Unicef, inoltre, le bambine corrono inoltre maggior

Memoria

Mentre i gilet gialli manifestano per il 19° sabato, in risposta alle affermazioni di Macron sul fatto che coloro che partecipano alle manifestazioni “violente” sono “complici”, 350 universitari fanno pubblicare sulla rivista Lundimatin i loro nomi ed un appello a “non cedere di un millimetro alla repressone”. Scrivono i 350: “Non contenti di proibire aministrativamente manifestazioni a persone presunte pericolose, il governo intende ora impedire manifestazioni in intere zone, creare unità speciali con poteri rafforzati e utilizzare droni e marcature chimiche dei manifestanti”. Chiedono inoltre la fine dell’utilizzo di armi da guerra (LBD e granate) per mantenere l’ordine. Nonostante che le autorità abbiano annunciato il rafforzamento delle unità militari della forza antiterroristica Sentinelle, Macron ha assicurato che l’esercito non sarà “in nessun caso incaricato di mantenere l’ordine”.

Parigi, Francia 24 marzo

La ministra della Giustizia, Nicole Belloubet, fornisce oggi i dati sugli arresti dei “gilet gialli”: ci sono stati già 2.000 processi e ne sono pendenti altri 1.800. Il 40% di questi processi è terminato con la comminazione di pene detentive. La dichiarazione viene fatta il giorno dopo il 19° sabato consecutivo di mobilitazione dei gilet gialli, nel quale 65.000 poliziotti hanno limitato gli scontri. Secondo il Ministero dell’Interno, nella giornata hanno manifestato più di 40 mila persone in tutta la Francia, cifra superiore a quella fornita per il sabato precedente, 32 mila. Vi sono comunque stati 233 arresti e 107 persone multate per essersi concentrate in zone di una quindicina di città dove erano state proibite le manifestazioni.

Golan occupato, Palestina 24 marzo

I giornali israeliani annunciano un rafforzamento militare del regime israeliano nella regione, attribuendone la causa a possibili mobilitazioni degli abitanti autoctoni di questa regione siriana – fedeli al Governo di Damasco – a fronte dei tentativi di Israele di legittimare l’occupazione delle Alture con l’appoggio USA. Nella regione vivono circa 20.000 drusi arabi, che hanno protestato in numerose occasioni contro l’occupazione israeliana. L’esercito israeliano ha predisposto anche una linea di franco tiratori lungo la linea divisoria che separa il Golan da resto delle alture. “Ci stiamo preparando alla possibilità che ci siano tensioni nella parte alta del Golan” ha detto alla radio un portavoce dell’esercito di occupazione.

nuova unità

24 marzo 1944. A seguito dell’attentato di via Rasella, a Roma,(atto di resistenza contro l’occupazione tedesca, in cui muoio-

Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) anno XXVIII n. 2/2019 - Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992

24 marzo 1976. Colpo di Stato in Argentina, si insedia una giunta militare composta da un rappresentante per ogni settore

Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info www.nuovaunità.info

no 33 soldati tedeschi) la rappresaglia nazifascista non si fa attendere: 335 civili, scelti grazie alle indicazioni della polizia fascista, verrannno fucilati alle Fosse Ardeatine dalle forze di Polizia della Sicurezza nazista al comando di Erich Priebke e Karl Hass.

dell’esercito: Jorge Rafael Videla, Emilio Eduardo Massera e Orlando Ramòn Agosti. 30.000 desaparecidos (operai 30%, studenti 21%, impiegati 17,9%, casalinghe 3,8%), rubati circa 500 bambini, nati nelle carceri da madri sequestrate, torturate e uccise.

18 marzo 1978. A Milano, in via Mancinelli, vengono uccisi con 8 colpi di pistola due ragazzi di 18 anni, Fausto Tinelli e Lorenzo

Iannucci - Fausto e Iaio - che stavano conducendo un’inchiesta sullo spaccio di droga. L’omicidio viene rivendicato da estremisti di destra. Ai loro funerali parteciperà una folla immensa, tra cui i delegati del Consiglio di fabbrica della Fiat Mirafiori. La giustizia italiana archivia il caso nel 2000 senza aver individuato alcun colpevole.

Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Emiliano, Michele Michelino, Luciano Orio, Fabrizio Poggi, Daniela Trollio, Fabio Zannoni

Rìos Montt in una conferenza alle ore 17, annunciando che si tratta di un golpe “esclusivamente militare” e che l’Esercito arrivava come “salvatore dei valori del popolo”. Le cifre ufficiali della repressione: su una popolazione di circa 10 milioni di abitanti, 200.000 morti e più di 45.000 “desaparecidos”.

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24 marzo 1999. Inizia la prima “guerra umanitaria”. La NATO comincia i bombardamenti su tutto il territorio della Repubblica

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23 marzo 1982. Un triumvirato militare guidato dal generale Efraìn Rios Montt prende il potere in Guatemala. Lo annuncia

Federativa Socialista della Yugoslavia. Alla fine del conflitto, gli USA costruiranno in Kosovo la base militare di Camp Bondsteel, la più grande del mondo fuori dal territorio statunitense.

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20/03/2019

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