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Proletari di tutti i paesi unitevi!
nuova unità fondata nel 1964
Sarebbe errato pensare che la seconda guerra mondiale sia scoppiata casualmente …
Stalin
Periodico comunista di politica e cultura n. 5/2019 - anno XXVIII
Il comunismo continua a fare paura
Il vero problema è il sistema capitalista, per questo deve essere abbattuto e sostituito con un sistema socialista, l’unico che può eliminare padroni e sfruttamento ed emancipare la lasse lavoratrice e tutta la società Abbiamo chiuso il numero scorso con l’autogol di Salvini, la presentazione di una mozione di sfiducia - che poi ha ritirato alle ore 20 mentre era in corso il dibattito in Senato. Salvini - che sosteneva che questo governo avrebbe durato una legislatura - ha rotto il contratto della convivenza populista pensando di ottenere pieni poteri e avanzare nella sua politica sempre più reazionaria al servizio del capitale e dell’imperialismo Usa. Invece la scelta del Quirinale di non indire elezioni e la manovra M5S e PD (che si accolla una bella eredità debitoria, la manovra finanziaria, le vertenze operaie, l’aumento IVA) ci hanno portato ad un governo Conte 2, che rifiutiamo di definire giallo rosso come molti lo chiamano perché il PD di rosso non ha proprio nulla. Sarà un altro governo antioperaio e antipopolare, delle autonomie differenziate, del proseguimento dei decreti sulla sicurezza, delle privatizzazioni dei servizi e, soprattutto, gradito alla UE. La crisi era nell’aria, ma Salvini - che dice di non badare alle poltrone - a due giorni dal dibattito in Senato, dopo averne dette di cotte e di crude sul M5S, prima ha tentato un riavvicinamento ai 5Stelle per un rimpasto, poi accusa il PD di aver sempre sostenuto mai con i 5stelle, proprio lui che ha basato la sua campagna elettorale a suon di “mai con i 5 Stelle!”. Ora ci troviamo con un governo Conte 2 e con Gentiloni commissario UE. Artefice di questa alleanza è stato il rottamatore rottamato Matteo Renzi (reduce dall’incontro con il più potente circolo finanziario para-massonico mondiale, il Bilderberg) che - dopo soli pochi giorni - ha fatto la sua scissione portandosi via onorevoli e senatori, ha formato il nuovo gruppo “Italia viva” - all’insegna dell’allegria e del divertimento (così lo presenta) - per ritornare alla ribalta e tenere in pugno il governo. L’Unione europea - quella, votata a maggio, delle banche, quella che promuove le riforme di peggioramento delle condizioni della classe lavoratrice, la privatizzazione dei servizi, delle scelte imperialiste - il 19 settembre adotta una risoluzione che equipara il comunismo al nazifascismo. In un sostanziale revisionismo storico e politico, condanna l’esperienza sovietica e di costruzione socialista come “totalitaria” ed esorta il divieto di simboli e manifestazioni in appoggio all’ideologia comunista criminalizzando l’unica ideologia - quella marxista-leninista - che, con la Rivoluzione d’Ottobre, ha realmente messo in discussione il dominio capitalista e che, con l’intervento e il sacrificio dei soldati dell’Armata rossa, ha liberato i campi di sterminio e sconfitto il nazismo. L’UE riscrive la storia mettendo sullo stesso piano vittime e carnefici, rappresentando l’Europa occidentale come patria della libertà e della democrazia e l’Europa orientale come teatro della dittatura e del terrore. Con grossolane falsità addebita lo scoppio della Seconda Guerra mondiale alla firma del patto Molotov-Ribbentropp, quando è evidente, comprovato e accertato persino dal tribunale di Norimberga che quella devastante guerra è dovuta al nazismo. Una risoluzione “ideologica” che accontenta i Paesi dell’est Europa (in molti i comunisti erano già messi al bando), la borghesia e il capitalismo che, ieri hanno dato carta bianca a Hitler e Mussolini, e oggi sostengono governi e gruppi fascisti e nazisti in ogni paese pur di evitare che le idee comuniste - di fronte al crescente malcontento e all’insofferenza della clas-
se lavoratrice e delle masse popolari - possano attecchire ed avanzare. Il comunismo - che è la forza della liberazione del proletariato dallo sfruttamento - fa ancora paura e non è bastato aver ordito con traditori revisionisti e Vaticano per far cadere il muro di Berlino 30 anni fa. Tant’è che per motivare più convintamente la risoluzione -
Una strage inarrestabile. Al lavoro peggio che in guerra pagina 2
Rivoluzioni “colorate”. Il turno di Hong Kong pagina 3
Il fronte unico proletario e la lotta contro la socialdemocrazia pagine 4/5
La UE falsifica la storia, il comunismo e l’antifascismo pagina 6
secondo la quale l’unico modo per essere uno Stato democratico è far parte dell’Unione Europea e della NATO - si richiama al totalitarismo stalinista, trovandosi in buona compagnia con i trotskisti, con coloro che si definiscono di sinistra e con generici democratici. Ma anche con chi - come PRC - si definisce comunista e si allinea sull’attacco allo stalinismo. Il suo segretario avrebbe fatto meglio a tacere piuttosto che sostenere che l’ungherese Imre Nagy fu vittima dello stalinismo quando morì nel 1958, 5 anni dopo la morte di Stalin, durante il periodo kruscioviano. Ma tant’è! Nel frattempo il mondo è distratto dal salvataggio del pianeta. Un milione di giovani sono scesi in piazza in molte città d’Italia fortemente condizionati dalla forza dei mass-media che per settimane gonfiato l’evento. Gli studenti sono usciti dalle scuole, tutti giustificati (mai successo per altri obiettivi), e hanno manifestato con gli insegnanti in sciopero coperto dai sindacati e con altri strati di popolazione. Non si sa quanto l’idea iniziale di Greta Thunberg fosse personale, sta di fatto che è diventata simbolo e riferimento del FridaysForFuture che l’ha portata fino all’intervento all’ONU. Anche se non è la prima: nel 1992 una giovane canadese di 12 anni di età, Severn Cullis-Suzuki pronunciò un discorso al vertice della Terra di Rio de Janeiro, ma nessuno se ne ricorda più. Perché questo movimento è appoggiato dalla borghesia e dai capitalisti che reprimono qualsiasi forma di protesta operaia e studentesca? Perché gran parte della pubblicità commerciale è impostata sulla difesa dei cambiamenti climatici e contro la plastica? Perché queste masse di giovani non si chiedono chi siano i veri responsabili del disastro ambientale e pensano che bastino piccole azioni quotidiane e individuali per risolvere il problema? Perché ignorano le conseguenze dello sfruttamento padronale, dell’inquinamento prodotto dai bombardamenti delle guerre, dagli incendi dell’Amazzonia e della Siberia, dagli esperimenti nucleari sulla salute ecc. Il movimento FFF - se rimane tale e se il proletariato e i comunisti non riescono a trasformarlo in lotta anticapitalista e antimonopolista - rischia di essere un boomerang, e diventare una buona opportunità per il sistema capitalistaimperialista. Infatti sono già molti i capitalisti che cavalcano l’ondata verde e hanno già pronto i loro piani per trarre nuove fonti di profitto, ad esempio con la green economy. Il vero problema è il sistema capitalista, per questo deve essere abbattuto e sostituito con un sistema socialista, l’unico che può eliminare padroni e sfruttamento ed emancipare la classe lavoratrice e tutta la società. Per cambiare realmente la classe operaia ha un ruolo fondamentale se rifiuta ciò che viene propinato dalla destra, dalla cosiddetta sinistra, dai sindacati compiacenti con il potere, ma si organizza e lotta in prima persona, diventando protagonista del proprio futuro. I prossimi mesi saranno molto difficili e richiederanno maggiore impegno a tutti i livelli - anche per difendere l’attacco al comunismo - in ogni luogo di lavoro e di studio. In difesa degli interessi della classe lavoratrice noi comunisti ci siamo.
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lavoro/morti
Una strage inarrestabile Al lavoro peggio che in guerra
Michele Michelino Ogni giorno dal nord al sud il bollettino di guerra riporta il numero dei morti e dei feriti operai massacrati per il profitto, fra l’indignazione, la rabbia di alcuni e l’indifferenza di molti. Il potere borghese, i capitalisti, considerano normale che un certo numero di lavoratori ogni giorno muoia per il profitto e ritengono questi omicidi effetti collaterali della guerra di classe che conducono contro gli sfruttati. La realtà dimostra che la contraddizione fra capitale e lavoro si manifesta in tutta la sua brutalità nello sfruttamento e nell’aumento continuo dei morti sul lavoro e nell’indifferenza delle istituzioni. Nell’ultimo decennio sono stati registrati più di 10.000 lavoratori morti sul luogo di lavoro. Numeri impressionanti, drammatici; più morti sul lavoro che in una guerra. Gli incidenti sul lavoro in Italia hanno fatto più morti fra i lavoratori che fra i soldati della coalizione occidentale della 2° guerra del Golfo. L’Eurispes ha calcolato che dall’aprile 2003 all’aprile 2007 i militari della coalizione imperialista che hanno perso la vita sono stati 3.520, mentre dal 2003 al 2006 in Italia i morti sul lavoro sono stati ben 5.252 e l’età media di chi perde la vita è intorno ai 37 anni. Con la crisi si riducono i posti di lavoro e se i lavoratori occupati diminuiscono, i morti sul lavoro aumentano. I dati INAIL (sottostimati perché non tengono conto dei lavoratori senza contratto, in nero) nel 2018 registrano 1.133 vittime, 104 morti in più del 2017. Una strage di lavoratori di quasi 100 persone al mese, e sono in aumento anche le patologie di origine professionale denunciate, che sono state 59.585 (+2,5%). Più delle parole e delle ideologie, i dati dimostrano che la condizione della classe operaia è andata peggiorando sempre più. Con il cambio dei rapporti di forza, anche le grandi lotte operaie dell’autunno caldo e dei primi anni ‘70 che portarono alle “conquiste” salariali, normative e legislative sono state rimangiate e, grazie ai partiti borghesi e ai sindacati collaborazionisti (Cgil-Cils-Uil), il comando di fabbrica e sociale si è rafforzato sempre più a garanzia del profitto dei padroni. Questo processo, il peggioramento continuo della condizione di lavoro e di vita, ha avuto alcune tappe significative. Nel 1997 vennero istituiti gli uffici di collocamento di natura privatistica (Bassanini); e successivamente la legge Biagi trasferì le funzioni di collocamento dal pubblico al privato. Molte agenzie di collocamento furono regalate a imprenditori, sindacati e politici. Il lavoratore divenne ostaggio delle imprese, privato di qualunque possibilità di difesa, condannato al precariato perenne senza diritti e senza tutele. Con il pacchetto Treu del primo Governo Prodi, si intervenne pesantemente per la prima volta a destrutturare il mercato del lavoro, adeguandolo alle esigenze del padronato a scapito dei lavoratori, con introduzione della “flessibilità”, della “precarietà”, e con nuove forme di contratti precari: interinale, co.co.co., contratto a progetto. Nel 2003, il Governo Berlusconi continuò l’attacco ancor più pesantemente con nuove forme di con-
tratti precari: i contratti di somministrazione lavoro, lavoro accessorio, lavoro occasionale ecc. ecc. Nel 2012 il Governo Monti e il ministro del lavoro e delle politiche sociali, Fornero diedero il primo colpo all’art. 18 della legge 300, lo Statuto dei Lavoratori, provocando il dramma degli esodati e l’aumento dell’età pensionabile. Nel 2015, il governo Renzi completò l’opera con il contratto a tutela crescente o “Jobs Act”, che abrogava completamente l’art. 18, che garantiva il reintegro del lavoratore in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo. Il governo gialloverde - Lega e 5stelle - ha confermato la cancellazione dell’art. 18 sancita da accordi fra padroni, governi (di centrosinistra, di centrodestra) e sindacati, dimostrando in tal modo, una volta di più, che tutti i governi non sono altro che comitati d’affari del capitale. Tutti i governi di qualsiasi colore e i sindacati filo padronali hanno permesso che il capitalismo potesse disporre a suo piacimento della forza lavoro accrescendo i propri profitti. Il risultato è che il lavoro è diventato sempre più precario, senza protezioni e sicurezza; sottoponendo a continuo ricatto la forza-lavoro, è aumentato lo sfruttamento e il totale disprezzo per la salute dei lavoratori: il “lavoro” è così diventato fonte di alienazione, di disperazione, di povertà, di morte per migliaia di lavoratori. Nel capitalismo la vita degli operai per i padroni non vale niente; per ottenere il massimo profitto
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risparmiano anche i pochi euro necessari a fornire misure di protezione individuali e collettive, mandandoli consapevolmente a morte certa. Il peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita, il ricatto occupazionale, la mancanza di un’organizzazione politica e sindacale di classe, proletaria, lascia i lavoratori completamente alla mercé dei padroni. Per i capitalisti gli operai e i lavoratori sono solo merce-forza lavoro, carne da macello e ci sono tanti disoccupati pronti a prendere il loro posto per lavorare in cambio di un tozzo di pane. Per i padroni gli investimenti devono essere produttivi, ciò che non rende profitto è capitale morto. Muoia dunque l’operaio purché si valorizzi il capitale! Il proletariato, la classe degli operai moderni, che non vivono se non a condizione di trovare lavoro e che non ne trovano più, quando il loro lavoro cessa di aumentare il capitale, senza un’organizzazione può solo subire. Governi e istituzioni di destra o di presunta “sinistra” difendono solo gli interessi della loro stessa classe. Per loro gli operai e i lavoratori sono solo merce forza lavoro, non esseri umani, e gli omicidi del profitto al più suscitano solo qualche frase di circostanza, effetti collaterali dello sfruttamento capitalista legalizzato. Per i proletari, per gli operai e i lavoratori costretti a vendere quotidianamente le proprie braccia per vivere, la solidarietà con i propri compagni, il riconoscersi come un’unica classe internazionale
OPERAI, CARNE DA MACELLO La lotta contro l’amianto a Sesto S.Giovanni di Michele Michelino e Daniela Trollio Questo libro racconta come un gruppo di operai della Breda Fucine di Sesto S. Giovanni siano riusciti a portare sul banco degli imputati non solo i dirigenti di una fabbrica “di morte”, ma un sistema economico che, in nome del profitto, calpesta e uccide uomini e natura. È una storia “vera”, una storia collettiva come tante altre – magari sconosciute – ma che formano la Storia del movimento operaio, di uomini e donne, spesso senza nome
con gli stessi interessi e diritti diventa l’unica possibilità di difendersi dallo sfruttamento. Purtroppo senza un’organizzazione politica indipendente della classe operaia questa mattanza non si riesce a fermare. Ogni giorno sui posti di lavoro, gli operai e i lavoratori, ma anche i cittadini e la natura, vengono violentati, sacrificati e muoiono per il profitto e la voracità di un sistema di sfruttamento inumano. Ai lavoratori gli onori della cronaca vengono riservati, e solo per un giorno, quando muoiono in gruppo, tutti insieme. Solo in questo caso sui media si sprecano le lacrime di coccodrillo del capo dello Stato, del Governo, di Confindustria e dei sindacati loro complici. Alle famiglie delle vittime restano solo il dolore e i drammi, il pianto per i loro morti, l’attesa di una giustizia che non arriverà mai. Nel sistema capitalista tutte le istituzioni, compresi i sindacati collaborazionisti e di regime che “rappresentano i lavoratori”, considerano legittimo e legale lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo; quindi perché “ostacolare il progresso” da cui traggono i loro privilegi? D’altra parte ogni giorno ci sono decine di morti sul lavoro e per malattie professionali, migliaia gli operai e i lavoratori che ogni anno vengono assassinati sul posto di lavoro e scioperare per costringere i padroni a bonificare gli ambienti e rispettare le misure di sicurezza antinfortunistiche significherebbe far perdere ai padroni decine di migliaia di ore di profitti. Per assecondare lo Stato e i Governi dei padroni, per i sindacalisti sul libro paga dei capitalisti e che godono di benevolenza, agevolazioni e privilegi, distacchi e permessi sindacali solo se collaborano allo sfruttamento degli operai, è più facile instillare il dubbio che la colpa degli infortuni sia la disattenzione dei lavoratori, della “fatalità”, che del mancato rispetto delle leggi e norme antinfortunistiche. La contraddizione fra capitale e lavoro fa morti, feriti e invalidi ogni giorno ed è giunto il momento di scioperare a difesa della nostra vita, della nostra salute e quella del pianeta, scendere in piazza per gridare forte la nostra protesta. Non possiamo più limitarci a listare a lutto le nostre bandiere rosse per il sangue proletario versato. Il capitalismo è morte per gli sfruttati. Solo cambiando questo modo di produzione e il sistema sociale capitalista finalizzato alla ricerca del massimo profitto si salvaguarda la salute umana e quella del pianeta. Solo nel sistema socialista in cui si produce per soddisfare i bisogni degli esseri umani, dove lo sfruttamento e i morti per il profitto siano considerati crimini contro l’umanità, si può mettere fine a questa mattanza operaia. Basta lacrime e arrivato il momento di organizzarci a livello nazionale, far sentire la nostra rabbia e odio di classe contro i padroni e il sistema capitalista responsabile di questi omicidi: organizziamo assemblee nei posti di lavoro e nel territorio, lavoriamo per organizzare una manifestazione nazionale operaia e proletaria contro il sistema di sfruttamento capitalista che uccide gli esseri umani e la natura. SOLIDARIETÀ A TUTTE LE VITTIME DELLO SFRUTTAMENTO CAPITALISTA E ALLE LORO FAMIGLIE.
e senza volto che hanno portato avanti contro tutto e contro tutti una battaglia per la salvaguardia del diritto alla salute di lavoratori e cittadini. È a loro, alla loro tenacia e al loro coraggio che dedicato questo libro. Dodici anni di lotte con interviste, testimonianze, fotografie dei compagni che ci hanno lasciato. Il ricavato della vendita del libro va interamente al Comitato per sostenere le sue battaglie Costo, 8 euro
Si può richiedere al Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio, Sesto S. Giovanni, via Magenta, 88 tel/fax 0226224099
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rivoluzioni colorate
Il turno di Hong Kong
È un copione che abbiamo già visto. In Iraq, in Libia, in Siria, in Ucraina, in Venezuela… Proteste e ribellioni nate su problemi specifici che si trasformano in altro e diventano guerre, interventi militari aperti o “a bassa intensità”: l’obiettivo, improvvisamente, cambia. Diventa il rovesciamento di governi non graditi all’imperialismo Daniela Trollio (*) È un copione che abbiamo già visto. In Iraq, in Libia, in Siria, in Ucraina, in Venezuela… Proteste e ribellioni nate su problemi specifici che si trasformano in altro e diventano guerre, interventi militari aperti o “a bassa intensità”: l’obiettivo, improvvisamente, cambia. Diventa il rovesciamento di governi non graditi all’imperialismo Tagliare gole e teste, bruciare vivo chi si ritiene un avversario, spaccare vetrine, buttare bombe molotov ai poliziotti e incendiare le loro caserme, bloccare stazioni ferroviarie distruggendone le installazioni, occupare aeroporti (fatto eccezionale e forse unico se avviene in zone non in guerra dichiarata), sono azioni che hanno un peso diverso a seconda delle latitudini in cui avvengono. O meglio, a seconda dei governi contro cui sono rivolte e degli interessi economici e geopolitici che ci stanno dietro. Per cui assistiamo ad una curiosa contraddizione: se i gilet gialli francesi hanno già totalizzato più di 30 arresti solo nel mese di settembre e se le centinaia e centinaia di morti e feriti palestinesi sono totalmente ignorati dai media – solo per fare due esempi - i manifestanti (organizzati e addestrati militarmente, da quanto si può vedere) che si riversano da mesi nelle strade di Hong Kong sono “democratici pacifici” che si battono per i diritti umani e che tutte le potenze occidentali si affrettano a difendere (130 parlamentari inglesi hanno presentato addirittura la proposta di dare la cittadinanza britannica ai cittadini di Hong Kong, cittadinanza che nessuno si era mai sognato di dare loro quando l’isoletta era colonia britannica). È un copione che abbiamo già visto. In Iraq, in Libia, in Siria, in Ucraina, in Venezuela… Proteste e ribellioni nate su problemi specifici che si trasformano in altro e diventano guerre, interventi militari aperti o “a bassa (andatelo a dire alle vittime…) intensità”: l’obiettivo, improvvisamente, cambia. Diventa il rovesciamento di governi non graditi all’impero. C’è da chiedersi come mai questo copione viene costantemente ripetuto. Forse gli strateghi delle “rivoluzioni colorate” contano sulla nostra scarsa memoria storica.
Ora tale copione si replica ad Hong Kong Uno che se ne intende, il giornalista Manlio Dinucci, si chiede giustamente in un articolo – davanti alle immagini dei manifestanti che sfilano con bandiere inglesi e statunitensi – “che libri di storia usano i giovani che oggi chiedono al Regno Unito di ‘salvare Hong Kong?’”. Ignorano, o hanno dimenticato, le Guerre dell’Oppio, la rivolta dei Boxers (alla cui repressione prese parte anche il corpo di spedizione italiano), il trattato di Nanchino che, all’art. 3, recita “Essendo evidentemente (!) necessario e conveniente che i sudditi britannici dispongano di porti per le loro navi e i loro commerci, la Cina cede per sempre l’isola di Hong
Kong a Sua Maestà la Regina di Gran Bretagna e ai suoi eredi”. Hong Kong divenne così colonia britannica nel 1842 ed è stata restituita alla Repubblica Popolare Cinese nel 1997, dopo 156 anni di dominio coloniale inglese. Anni nei quali ai cinesi (e ai cani) era vietato entrare nei luoghi pubblici. Dalla metà del secolo scorso - tra il 1949 e il 2000 - Hong Kong è cresciuta e si è arricchita grazie al suo particolare ‘status’ di porto franco per i capitali internazionali (è diventata la terza piazza finanziaria del mondo) e di porta commerciale verso la Cina maoista. O meglio, una parte dei cittadini di Hong Kong si è arricchita, quella classe media di 1,3 milioni di abitanti sui sette dell’isola, che poteva contare su un reddito pro-capite di circa 48.000 dollari annui. Ma in quest’ultimo decennio le cose stanno cambiando. La Cina è ormai diventata la prima potenza economica del pianeta, scalzando gli Stati Uniti, non ha più bisogno di “porte”, è un mercato aperto e l’importanza di Hong Kong è ormai minima: a metà degli anni ‘70 rappresentava il 27% del PIL cinese e oggi pesa solo per un 2,7%. Questo passaggio si è lasciato dietro parecchi problemi: ad esempio quello della casa, che tocca da vicino i giovani. Negli ultimi dieci anni il mercato immobiliare di Hong Kong è stato il meno accessibile del mondo. I prezzi delle case, tra il 2018 e il 2019, sono aumentati 20 volte più delle entrate familiari e 33 metri quadrati a Kowloon si vendono a 700.000 dollari. Così molti giovani sono costretti a vivere con i genitori. Altro problema – in una città trasformata in piazza finanziaria e paradiso degli immobiliaristi – è l’enorme disuguaglianza che si è generata. Da questa situazione, e non certo dalla legge sull’estradizione, è partita la cosiddetta “rivoluzione degli ombrelli”. Torniamo al copione. I leader delle rivolte, evidentemente sempre contando sulla poca me-
moria e in perfetta sintonia con la guerra commerciale dei dazi lanciata da Donald Trump, non hanno perso tempo e sono stati ricevuti – e fotografati – a Washington con il vice-presidente statunitense Mike Pence, con il segretario di Stato Mike Pompeo e con il defenestrato Consigliere alla Sicurezza John Bolton. Joshua Wong, fin dal 2014 aveva regolari contatti con il consolato USA e vanta regolari contatti con il senatore Marco Rubio, uno dei promotori del fallito tentativo di golpe in Venezuela, che ha addirittura presentato la sua candidatura per il Premio Nobel della Pace. Anche la Germania fa la sua parte: il giornale di destra Bild ha pubblicato la foto dell’incontro di Joshua Wong con l’ucraino sindaco di Kiev Vitali Klitschko, con il capo dei “Caschi Bianchi” siriani (foraggiati da Israele, Regno Unito e Stati Uniti, addestrati in Turchia) Raed Al Saleh e con il milionario russo esiliato Mikail Jodorkovski. Curiose frequentazioni, che peraltro abbiamo già visto: l’ultima è quella del presidente “marionetta” venezuelano Juan Guaidò fotografato con i leader dei narco-trafficanti paramilitari colombiani, altri “campioni” della democrazia. Possiamo, a questo punto, dare un altro nome al “copione”: possiamo chiamarlo più correttamente “strategia del caos controllato” o “guerra ibrida”. Sono gli strumenti dell’imperialismo per colpire qualsiasi governo che non obbedisca agli ordini del capitale internazionale. Danneggiare economicamente il paese da sottomettere provocando carestie, danni alle sue infrastrutture, blocchi commerciali e finanziari ecc. ecc. (vedi Venezuela e Cuba), organizzando “rivolte” nella speranza che la conseguente “repressione” governativa fornisca la scusa per un intervento militare più o meno diretto. Insomma, un’altra ‘piazza Maidan’ contro la Cina, questa volta. Ad esempio, contro il Venezuela, proprio l’11 settembre di quest’anno – anniversario del colpo di Stato in Cile - è stato riattivato il TIAR, Tratta-
to Interamericano di Assistenza Reciproca, che prevede di rispondere congiuntamente “ad un attacco armato di qualsiasi Stato contro un Paese americano” che verrebbe considerato “un attacco a tutti i Paesi Americani”. Dei 19 paesi partecipanti al TIAR, 12 hanno approvato l’utilizzazione di questo meccanismo contro il Venezuela, 6 si sono astenuti e 1 era assente. Ricordavamo prima il ruolo di prima economia del mondo che oggi ricopre la Cina. Già nel 2000 l’Istituto di Ricerca PNAC (Progetto per un Nuovo Secolo Americano) fondato, tra gli altri da Donald Rumsfeld e Dick Cheney, presentando all’amministrazione Obama un “un progetto per conservare la preminenza globale degli Stati Uniti, impedendo il sorgere di ogni grande potenza rivale, e modellando l’ordine della sicurezza internazionale in modo da allinearlo ai principi e agli interessi americani”, prendeva in esame la Cina affermando che “era arrivata l’ora di aumentare la presenza delle forze armate americane nell’Asia sudorientale. Ciò potrebbe portare a una situazione in cui le forze americane e alleate forniscano la spinta al processo di democratizzazione in Cina”. Di sfuggita, tra gli altri paesi definiti ‘pericolosi’ dal progetto c’erano la Corea del Nord, la Libia, la Siria e l’Iran. Bisogna proprio dire che, se il capitalismo è cieco nel lungo periodo, nel breve ci vede benissimo. C’è inoltre un fatto nuovo: la “Nuova via della seta”, il grande piano infrastrutturale cinese che coinvolge più di sessanta paesi tra Asia, Africa ed Europa, che rischia di diminuire il legame dell’Occidente con gli USA e di sconvolgere il “nuovo ordine mondiale” imperiale progettato dallo “Stato profondo” del complesso militare-industriale statunitense. Non dimentichiamo però – ma non è oggetto di questo articolo - che questa Cina non è più quella della rivoluzione di Mao e che da anni ha avviato un capitalismo controllato dallo Stato. I “Paperoni” nel mondo sono 22 milioni e se due terzi di loro - 14,6 milioni - vivono negli Stati Uniti, in Cina sono 1,3 milioni, seguita da Giappone (1,1 milione) e dalla Svizzera (500.000 persone); gli altri sono sparsi nel mondo (fonte: ADN Kronos, 20.6.2019). La Cina è anche il paese dove, se da una parte circolano più di 900 Ferrari (nell’area EMEA – Europa, Medio Oriente e Africa - ne circolano 9.000), dall’altra ci sono durissime e continue lotte operaie per i salari e il miglioramento delle condizioni sociali. È vero che spesso non è facile orientarsi nei fatti internazionali, soprattutto grazie ad un’informazione che è diventata non solo disinformazione ma un’arma fondamentale di guerra. Ma bisognerebbe sempre, in questi casi, rifarsi al vecchio Seneca che, nella tragedia “Medea” scritta nel I secolo d.C., si chiedeva “Cui prodest?”. Ovvero: a chi giova? (*) CIP “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni
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documenti
Il fronte unico proletario e la lotta contro la socialdemocrazia Fabrizio Poggi Lo scorso 18 agosto i comunisti hanno ricordato il 75° anniversario dell’assassinio, a Buchenwald, di Ernst Thälmann, segretario della KPD - Kommunistische Partei Deutschlands. Arrestato nel marzo 1933, un mese dopo la nomina di Hitler a cancelliere, per 11 anni Thälmann fu trasferito da un carcere all’altro. Verso la mezzanotte del 17 agosto 1944, secondo la ricostruzione fatta sull’organo della DKP, Unsere Zeit, “una limousine arrivò al lager di Buchenwald. Il prigioniero fu fatto scendere. Il suo ultimo cammino fu tra un’ala di SS. Si avvertirono tre colpi in rapida successione”, poi un quarto. Hitler in persona aveva ordinato l’assassinio. In certa sinistra, si incappa oggi di rado in giudizi favorevoli su Ernst Thälmann. Sopravvive la stantia omelia di socialdemocratici e trotskisti, secondo cui la contrapposizione, ispirata da Stalin, dei comunisti tedeschi alla socialdemocrazia, avrebbe favorito Hitler. Ma, in quante occasioni, i socialisti in posizioni di comando avevano chiuso sedi comuniste, proibito l’attività dei sindacati comunisti, inviato la polizia a sparare contro i comunisti, come avvenne il 1° Maggio 1929 a Berlino, sotto il governo di Otto Braun, quando il capo socialdemocratico della polizia, Karl Zörgiebel, represse una dimostrazione operaia, provocando 30 morti, o il 17 luglio 1932 ad Amburgo, allorché un altro capo socialdemocratico della polizia fece sparare su un corteo di comunisti, uccidendone 17, e come avvenne a Brema, Monaco, nella Ruhr, in Slesia... Anche certa sinistra-sinistra, trattando dei comunisti tedeschi dell’epoca, si riduce ai cliché sulle “oscillazioni senza principio dello stalinismo”, una delle cui varianti, “nello spartito ideologico staliniano”, era la politica del socialfascismo, “promossa da Stalin e dall’Internazionale Comunista stalinizzata tra il 1929 e il 1933”, e che “portò il KPD (Kommunistische Partei Deutschlands) nel 1931 a sostenere un referendum promosso dai nazisti contro il governo Brüning”.
La situazione tedesca
In sintesi: nel 1931 la KPD si era dapprima opposta al referendum indetto da Elmi d’acciaio e NSDAP contro il governo socialdemocratico di Otto Braun in Prussia; dopo che la SPD ignorò l’appello a unire le forze contro i nazisti, i comunisti si schierarono per il referendum che, pensavano, poteva aprire crepe nell’ala prussiana della NSDAP, di Gregor Strasser. Oggi, i comunisti imputano doverosamente a Palmiro Togliatti la degenerazione revisionista del PCI, che data anche prima del 1956. Ma, illustrando la posizione dell’Internazionale Comunista sul referendum dell’agosto 1931 in Prussia, egli scriveva: “potevano i comunisti astenersi dal prendere parte alla lotta? ...l’astensione poteva avere un valore solamente... come un appoggio al governo socialdemocratico. Era possibile ai comunisti dare questo appoggio? ... La socialdemocrazia tedesca è, sul continente europeo, la più forte organizzazione reazionaria la quale tenga incatenati al carro del capitalismo dei milioni di lavoratori... La influenza dei capi socialdemocratici sugli operai è il più grave ostacolo a una lotta efficace contro il fascismo, è uno dei più forti elementi che i fascisti, nella loro lotta per giungere al potere, hanno a loro favore”. La SPD continuava infatti a sostenere sia il governo Brüning - con la sua Notverordnungpolitik, fatta di decreti d’urgenza e misure antioperaie e antipopolari – sia, come dicevano i comunisti “la sua filiale prussiana” di Otto Braun, sostenendo che ciò “serve a evitare un male più grave, cioè un governo fascista. La teoria del minor male è, oggi, lo strumento di cui essi si servono per disarmare ideologicamente le masse”. I comunisti contavano inoltre di conquistare determinati settori della NSDAP. In una lettera aperta del novembre 1931 “Agli elettori della NSDAP e ai membri delle SA”, ad esempio, la KPD di Berlino-Brandenburgo scriveva che, mentre il “vostro Führer” non fa che servire grande capitale e grossi banchieri, i lavoratori berlinesi dovrebbero seguire l’esempio di tanti membri della NSDAP, che “hanno marciato insieme” ai comunisti; “combattete insieme con noi nel fronte dell’esercito rivoluzionario, per il pane, il lavoro, la libertà, il Socialismo”. La KPD, anche nei momenti di più acuta contrapposizione ai governi socialdemocratici, non aveva mai smesso di cercare l’unità d’azione con quella parte della SPD disposta a lottare contro il Zentrum cristiano-liberale e la destra nazionalista. Nel 1926, comunisti e socialdemocratici avevano fatto fronte comune al referendum, poi perso, sull’esproprio senza indennizzo dei latifondi dei nobili prussiani. Tra fine anni ‘20 e inizio ‘30, Thälmann chiama ripetutamente all’unità d’azione operai socialdemocratici e cattolici, per lottare spalla a spalla: Schulter an Schulter mit uns zu kämfen; questo, nonostante le posizioni filo-governative della SPD, che proseguiva nella Tolereriungspolitik, a sostegno dell’impopolare governo Brüning quale “kleinere Übel”, male minore. Nel febbraio 1930, al Presidium allargato dell’IKKI (Com. Esec. dell’IC), mentre si ribadiva la necessità di un “implacabile smascheramento della socialdemocrazia quale principale sostegno per l’instaurazione della dittatura fascista”, si sottolineava che si deve “saper distinguere tra apparato partitico social-fascista e operai di fabbrica ancora sotto l’influenza della socialdemocrazia, in modo che, con un’applicazione conseguente della tattica del fronte unico dal basso, si possano conquistare questi operai a una decisa lotta rivoluzionaria comune”.
Fronte unico dal basso
Appaiono oggi quantomeno singolari certi sibillini riferimenti alla politica della KPD, e arbitrari accostamenti alla linea dell’IC. È vero che, con il pretesto di “stare in mezzo alle masse”, perché si giunga alla “costituzione del Governo di Blocco Popolare che spalancherà le porte al Socialismo”, qualcuno aveva aperto un credito in bianco al passato governo gialloverde. È pure vero che altri, pretendendo di lottare contro un PD euro-atlantico (di per sé, cosa doverosa) e suoi accoliti, che “si mobilitano alacremente solo per il Gay Pride e per difendere un’immigrazione senza regole, funzionale e foraggiata dal neoliberismo”, hanno finito ugualmente per schierarsi con i fascio-leghisti salviniani. Ma, vedere in tali esternazioni, presunte “oscillazioni senza principio dello stalinismo”, significa prendersi gioco della storia. La KPD, a difesa delle condizioni di vita della classe operaia, massacrata da imposizioni di Versalles e Piano Young, crisi economica e disoccupazione, non poteva non smascherare la politica dei vertici della SPD che, già col governo di Hermann Müller, predecessore di Brüning, aveva proibito gli scioperi, decretato il blocco delle assunzioni, la fine delle assicurazioni sociali, sparato sugli operai, minacciando l’aperta dittatura fascista. Nel dicembre 1930, l’organo della KPD, Die Rote Fahne scriveva: “La dittatura fascista non è più una minaccia, ma è già qui. Il capitalismo tedesco è al collasso e nessuna dittatura, nemmeno quella fascista, potrebbe salvarlo. Il nemico principale è ora la dittatura fascista”. All’XI Plenum del IKKI, nel marzo-aprile 1931, Thälmann affermava che lo sviluppo del fascismo in Germania “non è una manifestazione della forza della borghesia e di debolezza o sconfitta del proletariato, bensì del fatto che la borghesia deve ricorrere alla sua forma estrema di dominio, il fascismo, per impedire l’incombente rivoluzione proletaria”. Il “culmine del movimento nazionalsocialista è ormai passato”, dirà Thälmann. Correggendo quella valutazione, la stessa sessione dell’IKKI stabilì però che “Se ci ponessimo dal punto di vista che la crisi politica in Germania è già una tappa superata, che siamo entrati in una fase di crisi rivoluzionaria, ... inizieremmo rapidamente ad annullare i compiti che ancora non abbiamo risolto”. E proseguiva: “La crescita del fascismo negli ultimi tempi è stata possibile solo sulla base del sostegno della socialdemocrazia... apripista della fascistizzazione dello stato capitalista… Una lotta vittoriosa contro il fascismo richiede dai partiti comunisti la mobilitazione delle masse sulla base di un fronte unico dal basso contro tutte le forme di dittatura borghese... la borghesia monopolista e il suo Stato organizzano e utilizzano il movimento fascista (nazionalsocialista) delle masse piccolo-borghesi per indirizzare il loro malcontento sul binario del rafforzamento del capitalismo... una vittoriosa lotta contro il fascismo in Germania richiede il tempestivo smascheramento del governo Brüning quale apripista della dittatura fascista”.
La socialdemocrazia e il fascismo
Intervenendo il 18 settembre 1931 di fronte agli operai amburghesi, Thälmann si rivolgeva ai capi della SPD: “Che cosa ne avete fatto del partito di August Bebel e Wilhelm Liebknecht? Di un partito di
socialisti, avete fatto un partito di capi di polizia, ministri, del più incredibile tradimento di classe contro il proletariato!”; e agli operai socialdemocratici: “Il governo prussiano e l’ADGB (Allgemeiner Deutscher Gewerkschaftsbund: sindacati socialdemocratici) non sono elementi di forza per la classe operaia, ma baluardi per il governo Brüning e la reazione capitalista. ...Vi chiediamo, compagni socialdemocratici: volete combattere per Brüning o per il socialismo? Con i comunisti... contro il governo che porta avanti la dittatura fascista, contro Brüning! ... a tutti i compagni di classe socialdemocratici: ... rompete con i socialisti di polizia!”. Due mesi dopo, Thälmann scriveva su Die Rote Fahne che “la socialdemocrazia ha sempre raccontato agli operai che solo Hitler era il fascismo, mentre Brüning era l’ultimo baluardo della <democrazia>”... Si immaginano davvero i capi socialdemocratici che gli operai tedeschi abbiano dimenticato come qualche deputato socialdemocratico abbia dichiarato <Meglio dieci volte con Groener, dieci volte con i monarchici, con i generali della Reichswehr, che una volta con i comunisti>? abbiano scordato le parole del deputato di Amburgo, Dahrendorf, <meglio dieci nazisti che un comunista nel presidium della municipalità di Amburgo>?... il fascismo non comincerà quando arriverà Hitler, esso è già cominciato da tempo”. Già nel 1924 Stalin scriveva che “Il fascismo è l’organizzazione di combattimento della borghesia, che si fonda sull’attivo sostegno della socialdemocrazia. ... Non c’è motivo di supporre che l’organizzazione di combattimento della borghesia possa ottenere successi decisivi nelle lotte o nella direzione del paese, senza l’attivo sostegno della socialdemocrazia”. D’altro canto, parlando dell’Internazionale sindacale di Amsterdam, osservava che essa “riunisce non meno di quattordici milioni di operai organizzati sindacalmente. Pensare che si possa raggiungere in Europa la dittatura del proletariato contro la volontà di questi milioni di operai, significa ingannarsi profondamente, uscire dal terreno del leninismo, condannarsi a un’inevitabile disfatta. Per questo, il compito consiste nel conquistare alla rivoluzione e al comunismo questi milioni di masse, liberarle dall’influenza della burocrazia sindacale reazionaria”. Nel maggio 1932 Die Rote Fahne scriveva che “per due anni i socialdemocratici hanno mentito a milioni di lavoratori, sostenendo che la politica del “male minore” rappresentasse una difesa contro il fascismo... Oggi si rivela giusto quanto detto dai comunisti, che la politica di accelerata fascistizzazione del governo Brüning e della sua filiale prussiana Braun-Severing non costituisce alcun “male minore” per la classe operaia, ma ha preparato la strada a quelle forze che volevano l’aperta dittatura fascista”.
La SPD ignora gli appelli all’unità
Il 23 gennaio 1933, una settimana prima della nomina di Hitler a cancelliere, la KPD fa appello a SPD e sindacati cristiani, per lo sciopero generale e invita tutti i lavoratori a lottare insieme ai comunisti per un fronte unico contro il nascente governo nazista; ma la SPD respinge l’appello. Il 7 febbraio, con Hitler già cancelliere, la KPD esorta di nuovo all’unità di tutte le forze antifasciste, ma la SPD ignora ancora una volta l’appello. Il 19 febbraio, il Sozintern risponde finalmente agli appelli della KPD e conviene per l’avvio di negoziati con il Comintern; questo, propone di condurre i negoziati a livello di partito: la SPD si oppone all’unità d’azione con i comunisti e il 17 marzo, i suoi deputati approvano il discorso di politica revanscista di Hitler. Ciononostante, come tra 1931 e ‘32 si erano ripetuti i tentativi di Thälmann di correggere gli errori settari del gruppo di Heinz Neumann, puntando sul fronte unico con gli operai socialdemocratici e “qualsiasi organizzazione in cui siano raggruppati gli operai”, così anche nei due anni successivi, in Germania, e poi, una volta messa fuori legge, dall’estero, la KPD continuò a lanciare appelli per un fronte antifascista, tanto alla direzione socialdemocratica, quanto alla sua base operaia. Ma le risposte dei vertici socialdemocratici furono immancabilmente negative, a partire dal rifiuto degli scioperi generali proposti dai comunisti: uno, nel luglio 1932, quando il Presidente Hindenburg e il cancelliere von Papen deposero, con un autentico colpo di stato, il governo socialdemocratico di Otto Braun nel Landtag di Prussia e, un altro, all’indomani della presa del potere hitleriana, nel gennaio ‘33. Da parte socialdemocratica, ancora nel 1932 si respinge ogni idea di fronte unico operaio e si risponde come Rudolf Hilferding - “il rovesciamento del governo da parte della sinistra, spingerebbe il Centro a destra” - o Karl Kautsky: “La socialdemocrazia... è ancora la roccaforte contro la quale si infrangeranno senza successo le maree del fascismo e dei suoi manutengoli comunisti”. Al XII Esecutivo allargato dell’IC, nel settembre ‘32, ancora Togliatti denunciava come Trotskij fosse “ipnotizzato da quel caratteristico colpo di Stato fascista... che fu la marcia su Roma. Sino a che non vi è <marcia su Roma>, non vi è dittatura fascista: ecco tutta la saggezza del trotskismo”. E invece, in Germania “il processo di fascistizzazione dello Stato è incominciato e dura da anni”. E, riguardo alle prospettive della KPD nei confronti delle masse attratte dal nazismo: “mentre il fascismo italiano non aveva tra gli operai né tra i disoccupati alcuna base di massa, una simile base possiede il fascismo tedesco, in misura relativa nelle officine, ma in misura non indifferente tra i disoccupati”. Da qui, l’impostazione della KPD “che non è possibile battere il fascismo se non si riesce a penetrare nel fronte di Hitler”. Impostazione che sarà ribadita tre anni dopo da
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documenti Georgi Dimitrov, al VII Congresso dell’IC: “Il compito fondamentale nei paesi fascisti, specialmente in Germania e in Italia... consiste nel saper combinare la lotta contro la dittatura fascista dall’esterno con il lavoro in seno alle organizzazioni di massa fasciste... Dove si trova il tallone d’Achille della dittatura fascista? Nella sua base sociale... estremamente eterogenea. Essa abbraccia diverse classi e diversi strati della società... Orbene, è particolarmente importante nei paesi fascisti che i comunisti siano ovunque si trovano le masse”. Si deve in ogni caso riconoscere che le valutazioni della KPD - forse per il prevalere, in alcuni momenti, della corrente di “sinistra”, che considerava il fascismo il “battistrada della rivoluzione” e giungeva a vedere nei nazisti degli autentici anticapitalisti - non sempre furono puntuali. Si reputava, ad esempio, di non lunga durata il successo elettorale della NSDAP, o, comunque, lo si riteneva un sintomo della radicalizzazione delle masse e, dunque, in qualche modo, una sorta di vigilia della svolta delle masse verso il comunismo. Precise le critiche del segretario dell’IKKI, Dmitrij Manujlskij, che disse che tale impostazione, “come se lo sviluppo del fascismo prepari la vittoria del comunismo... avrebbe condotto alla passività nella lotta contro il fascismo”.
I comunisti e le masse
Dunque, partendo da alcune false premesse in cui qualcuno può incappare, altri pretenderebbero di ridicolizzare la storia della KPD e dell’IC, col dire che lavorare in mezzo alle masse significherebbe “schierarsi nel 1922 con la marcia su Roma” o “col movimento di Piazza Maidan in Ucraina”. Non capiscono che, lavorare dove sono le masse, non significa “schierarsi” con chi, nell’interesse di banche e monopoli, manipola quelle masse di disoccupati, di operai disillusi, di piccola borghesia rovinata dal grosso capitale? Come la KPD del 1930 o 1931 non si schierava con la NSDAP, ma tentava di penetrare tra quegli strati di disoccupati (a proposito della base sociale della NSDAP, si legga il romanzo di Arnold Zweig “La scure di Wandsbek”) divenuti inconsapevolmente massa di manovra dei nazisti, così oggi, compito dei comunisti non è certo quello di sostenere questo o quel partito al soldo del capitale, grosso o piccolo, ma lavorare anche là dove sono i settori popolari strumentalizzati da tali partiti. Per rimanere in tema di referendum: per il fatto che nel 2016, in Italia, tra i sostenitori del No figurasse anche la degna nipote del duce, i comunisti avrebbero dovuto forse votare per il ducetto fiorentino e il grande capitale europeo? La polemica sollevata strumentalmente da certuni, non fa che rivelare molta confusione “ideologica”. Se si dice che “Normalmente la scuola ideologica staliniana sostiene storicamente la politica dei fronti popolari antifascisti, cioè la subordinazione dei lavoratori ai liberali e alla sinistra borghesi nel nome della lotta al pericolo fascista” e poi si aggiunge che “una variante nello spartito ideologico staliniano è la politica opposta del socialfascismo”, non si vede, o si ignora consapevolmente, il contesto storico (tra l’altro, ribaltandolo) in cui operavano i comunisti dell’epoca. Contesto in cui, dapprima, la socialdemocrazia aveva aggravato la propria parabola regressiva iniziata nel primo decennio del secolo, aveva ripudiato il socialismo, combattuto contro la Rivoluzione d’Ottobre ed era divenuta, effettivamente, il puntello dei governi borghesi, autoritari o apertamente fascisti e, successivamente, dopo la presa del potere da parte dei fascisti in vari Paesi europei, la stessa socialdemocrazia, dovendo rispondere alla domanda posta dalle larghe masse che ancora la seguivano, di porre un argine al fascismo, prese a lavorare (spesso malvolentieri, o soltanto perché messa fuori legge dal fascismo) coi comunisti e altre forze antifasciste. Dunque, concludeva Dimitrov a chiusura del VII Congresso dell’IC, “Per la mobilitazione delle masse lavoratrici contro il fascismo è in particolar modo importante la creazione di un largo fronte popolare antifascista sulla base del fronte unico proletario”, attraverso una “alleanza di combattimento del proletariato con i contadini lavoratori e con le masse fondamentali della piccola borghesia urbana”; e avvertiva che “il fronte unico del proletariato e il fronte popolare antifascista sono connessi dalla viva dialettica della lotta, si intrecciano... non si può pensare seriamente che la realizzazione del fronte popolare antifascista sia possibile senza l’unità di azione della classe operaia, che è la forza motrice di questo fronte popolare. D’altra parte, l’ulteriore sviluppo del fronte unico proletario dipende in grande misura dalla sua trasformazione in fronte popolare contro il fascismo”, pur se “in tutta una serie di paesi” si dovrà “spezzare la resistenza della socialdemocrazia al fronte unico di lotta del proletariato, mobilitando le masse operaie”.
I nazisti al potere e la guerra incombente Ernst Thälmann e la KPD giudicavano la lotta contro il fascismo parallela a quella contro la socialdemocrazia e al tempo stesso esortavano al fronte unico gli operai socialdemocratici. Consapevoli del bisogno di difendere da ogni attacco il primo Stato socialista al mondo, i comunisti vedevano gli avversari più pericolosi dell’amicizia tedescosovietica nei socialdemocratici, che sostenevano Brüning orientato verso la Francia, giudicata all’epoca la più pericolosa minaccia imperialista europea. Brüning infatti, tramite il Vaticano, cercava contatti coi cattolici francesi e con quelli più reazionari di USA e Gran Bretagna, allarmandoli con “il pericolo bolscevico”. Nell’agosto 1930, la KPD diceva che “I capi socialdemocratici... sono i tirapiedi della borghesia tedesca, e al tempo stesso gli agenti volontari dell’imperialismo francese e polacco”. Con la guerra che si stava avvicinando sempre più, l’IC poneva alle proprie sezioni nazionali il compito della difesa dell’URSS, i cui principali nemici, su scala internazionale, erano considerate allora quelle potenze che respingevano ogni proposta di accordo sulla sicurezza collettiva lanciato da Mosca. L’URSS infatti, consapevole della propria debolezza militare, si stava muovendo alla ricerca di alleati o, quantomeno, di Paesi disposti alla neutralità, contro quelle capitali che, dall’intervento del 1918, non avevano mai smesso di tentare il soffocamento della Repubblica dei Soviet. È così che Mosca aderisce alla lega delle Nazioni, opera per la creazione del Patto orientale, tenta un avvicinamento con Francia e Piccola Intesa e l’IC fa i primi tentativi di dar vita a Fronti popolari. Tant’è che è proprio in quegli anni, fine 1933-inizi ‘34, che all’interno dell’URSS prende avvio il complotto di “sinistra” Enukidze-Tukhačevskij per eliminare la cosiddetta “dirigenza ristretta” del Politbjuro (Stalin, Molotov, Kaganovič, Vorošilov, Ordžonikidze, Ždanov), in cui vedeva una “svolta borghese” e rispondere così all’appello lanciato dall’estero da Trotskij a liquidare “la burocrazia staliniana termidoriana”. Al XVII Congresso del VKP(b), nel 1934, Stalin, constatata la positiva conclusione di patti di non aggressione tra URSS e vari paesi, tra cui Polonia, Finlandia, Francia, Italia, e rispondendo indirettamente a “certi politici tedeschi”, che accusavano Mosca di “orientarsi verso Francia e Polonia e da nemica del trattato di Versailles trasformarsi in sostenitrice”, disse esplicitamente che “non eravamo orientati prima verso la Germania, così come ora non lo siamo verso Polonia e Francia. Noi ci orientavamo in passato e ci orientiamo al presente verso l’URSS e soltanto verso l’URSS. E se gli interessi dell’URSS richiedono l’avvicinamento a questi o quei paesi non interessati a distruggere la pace, noi seguiremo questa via”.
La Repubblica spagnola
Venne quindi la rivolta di Franco e l’aggressione italo-tedesca alla Repubblica spagnola; venne l’autunno 1936, con l’Asse Roma-Berlino in ottobre e, un mese dopo, il patto anti-Comintern Germania-Giappone. A novembre, il Ministro degli esteri dell’URSS, Maksim Litvinov, intervenendo all’VIII Congresso straordinario dei Soviet, in cui si discuteva il progetto di nuova Costituzione, e rigettando le accuse mosse al Politbjuro, di ritornare con essa “in seno al democratismo europeo, alle libertà borghesi”, disse che invece era “più corretto affermare che noi prendiamo dalle deboli mani della decrepita borghesia, la bandiera della democrazia che essa ha lasciato cadere, e riempiamo questo concetto di un contenuto sovietico”. Sui temi internazionali, disse che “la nostra cooperazione con altri paesi, la nostra partecipazione alla Lega delle Nazioni si basano sul principio della coesistenza pacifica di due sistemi”; e, nello specifico delle vicende spagnole: “... abbiamo a che fare con la prima grande sortita del fascismo al di fuori dei confini nazionali... Abbiamo a che fare con un tentativo di instaurazione violenta in Spagna del regime fascista dall’esterno... Se tale tentativo riuscisse, non ci sarebbe garanzia alcuna contro una sua ripetizione più larga in altri Stati. È necessario partire dal fatto che il fascismo è non solo un particolare regime interno, ma è allo stesso tempo preparazione alla guerra contro altri Stati”. Ecco contro chi ci si preparava, già da anni, a Mosca, sicuri dell’inevitabilità di un attacco da occidente. Il fascismo e il militarismo al potere erano una realtà che significava una cosa certa: guerra; contro di essa, chiunque non sia mosso da sole considerazioni libresche, cerca ogni via per scongiurarla o, almeno, per costruire un argine da opporre alla marea aggressiva. Un argine in cui, guarda caso, finiscono per trovarsi anche diversi partiti o vari settori popolari che, disgraziatamente, non ne vogliono proprio sentir parlare di rivoluzione e di socialismo. Ma tant’è: anch’essi sono
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contro il fascismo e contro la guerra. E, però, la sinistra-sinistra afferma che “la scuola ideologica staliniana sostiene storicamente la politica dei fronti popolari antifascisti, cioè la subordinazione dei lavoratori ai liberali e alla sinistra borghesi nel nome della lotta al pericolo fascista: fu la politica che nella guerra di Spagna disarmò la rivoluzione a tutto vantaggio del generale Franco”. Chi combatté davvero, e chi meno, contro Franco e il fascismo italo-tedesco in Spagna? In occasione del 1° maggio 1937, Georgi Dimitrov ribadiva sulla Pravda i concetti espressi due anni prima, al VII Congresso del Comintern: “l’importante consiste ora, rafforzando ulteriormente l’unità della classe operaia su scala nazionale, trovare un linguaggio comune, una piattaforma comune, che assicuri la possibilità per il proletariato di esprimersi con un fronte comune su scala internazionale, concentrando tempestivamente le proprie forze principali contro il fascismo”. Condannando le posizioni della Seconda Internazionale e di quella di Amsterdam, che respingevano le proposte del PCE e dell’IKKI per azioni comuni contro Franco, Dimitrov insisté su quattro necessità: concentrare la lotta contro il nemico principale, cioè il fascismo; rintuzzare i nemici del fronte unico in seno al movimento operaio; dare la più energica risposta a coloro che alimentano la campagna di calunnie contro l’URSS; mentre si conduce la lotta contro il fascismo, colpire senza pietà i suoi agenti trotskisti; lottare contro il riformismo.
Anarchici, trotskisti, guerra
Questi accenti riflettevano direttamente la nuova situazione venutasi a creare in Catalogna, dopo l’uscita degli anarco-sindacalisti della CNT dalla Generalidad, nel marzo precedente, dopo la (molto) relativa concordia dei mesi precedenti, quando leader quali Garcia Oliver e Buenaventura Durruti si erano espressi per l’unità col PCE nella lotta al fascismo. L’11 maggio ‘37, una delle prime cronache della Pravda dopo la rivolta anarchica di Barcelona, parlava di “Putsch trotskistafascista a Barcelona”; e il rappresentante ufficiale dell’IKKI in Spagna, Stojan Minev ne riversava la piena responsabilità sul POUM (Partido Obrero de Unificación Marxista): “I trotskisti spagnoli costituiscono di per sé il reparto organizzato della quinta colonna di Franco”. Con la rivolta del 3 maggio a Barcelona, anarchici e trotskisti pretendevano vari Ministeri, tra cui quelli di guerra, polizia, agricoltura. Invece di combattere al fronte, le armi erano usate nei centri repubblicani per le proprie mire di partito. Quanto poco fossero interessati i poumisti al Fronte popolare e quanto invece perseguissero propri interessi, incuranti della guerra, lo dimostrarono appunto le giornate di Barcelona. Il pretesto per il putsch, scrive Dolores Ibarruri, era che, secondo loro, la rivoluzione falliva e che per salvarla era necessaria la socializzazione e la collettivizzazione di tutto il paese. Tra diversi settori di operai catalani, FAI e CNT continuavano a essere abbastanza forti, anche se stavano perdendo molti appoggi tra i contadini, a causa della collettivizzazione forzata e delle riscossioni violente a favore dei “Comitati”. Al fronte, invece, anarchici e poumisti si distinguevano per inattività, così che i fascisti potevano ritirare forze dal fronte d’Aragona per concentrarle su Madrid. A parte l’eccezione di Durruti, scrive Ibarruri, “la guerra si svolgeva con una minima partecipazione anarchica alle operazioni fondamentali”, e continua: “la verità vera dell’immobilismo del fronte aragonese stava nella volontà del conclave faista-trotskista diretto da Abad de Santillan”, che “non voleva logorare le forze al fronte” e impiegarle “come mezzo di pressione sulle altre forze del Fronte popolare”. Il corrispondente della Pravda in Spagna, Mikhail Koltsov, racconta come tre colonne del POUM (circa 800 uomini) avessero abbandonato il fronte d’Aragona prima dell’inizio dei combattimenti e l’11° e 12° Brigate internazionali avessero smentito di contare tra i propri reparti uomini del POUM, come invece da essi sostenuto. Luigi Longo scrive delle “isole di anarchismo” di CNT e FAI in Aragona, cui partecipavano anche elementi del POUM, e che di tutto un po’ si occupavano, tranne che della guerra. Sicuramente riferendosi a tali “oasi di comunismo libertario”, il segretario del PCE Josè Diaz affermava alle Cortes il 1 dicembre 1936 che “Non bisogna soffermarsi troppo in esperimenti di questa o quella dottrina economica, di questo o quel sistema teorico, nel desiderio di costruire troppo il futuro, dimenticandosi del presente. Il presente ci dice che primordiale, immediato, urgente, indispensabile è ganar la guerra. Primero ganar la guerra: ¡basta de “ensayos” y “proyectos”! Per prima cosa vincere la guerra: basta con “esperimenti” e “progetti”! Per questo obiettivo, il PCE è disposto a sospendere ogni altra rivendicazione”. Il POUM, racconta qualcuno, “accusava l’IC di aver abbandonato ogni prospettiva socialista ponen-
do la centralità della dicotomia fascismo-democrazia, favorendo in questo modo le socialdemocrazie e le classi borghesi”. Di fatto, coloro che anteponevano i propri “programmi rivoluzionari” allo sforzo bellico anti-franchista, non facevano che sguarnire il fronte e, in definitiva, finirono per avvantaggiare la vittoria di Franco. Mentre le fabbriche di armi controllate da CNT e FAI producevano quasi solo per le colonne anarchiche, anche le industrie fedeli alla Repubblica riuscivano a produrre solo una parte infinitesimale (o non producevano affatto) di armamenti e munizionamento occorrenti: a marzo 1937 si sfornarono circa 500.000 proiettili per armi leggere, artiglieria, o mine da mortaio, contro un fabbisogno di oltre 3,5 milioni. La Repubblica, visti i rifiuti delle “democrazie” occidentali, si rivolse all’URSS per l’acquisto di armi. A settembre 1936, non senza molte discussioni, Mosca decise il passaggio da aiuti puramente umanitari e sanitari, a quelli militari. Gli iniziali dubbi sovietici erano dovuti al fatto che, con la guerra mondiale alle porte, fossero in gioco i rapporti esterni dell’URSS. Come scrive Jurij Rybalkin: “verosimilmente... la questione se prestare o meno aiuto alla Spagna era fuori discussione. Il problema si presentava piuttosto nel decidere le forme e la scala di tale aiuto, data anche l’assenza di una frontiera terrestre comune tra i due paesi”. Fu così che cominciarono ad arrivare in Spagna le prime navi con gli aiuti russi: caccia biplano e monoplano Polikarpov I-15 e I-16 (i famosi “Chatos” e “Moscas”), bombardieri veloci Tupolev SB-2 e R-Z; carri armati T-26 e BT-5; autoblindo BA-3, BA-6 e FAI; motosiluranti G-5; artiglierie, mortai, mitragliatrici, granate, bombe da aereo, combustibile, ecc. Tra il 1936 e il ‘39 l’URSS fornì 650 aerei, 350 carri, 1.200 pezzi d’artiglieria, 21.000 mitragliatrici e circa 500.000 fucili, oltre a 870 milioni di proiettili, 110.000 bombe da aereo e altro materiale.
I comunisti oggi senza l’URSS
L’esperienza del movimento comunista internazionale, dell’Unione Sovietica staliniana, dell’Internazionale Comunista e delle sue sezioni nazionali, insieme a indubbi errori, analisi non sempre esatte, previsioni a volte troppo ottimistiche, hanno in ogni caso consegnato ai comunisti un preziosissimo bagaglio che sarebbe scandaloso ignorare e diabolico ridurre a considerazioni opportunistiche, volte a demonizzare – alla maniera demo-revanscista “europeista” - o ridurre a obbrobrio dottrinario – al modo trotskista – la costruzione del primo Stato socialista che, proprio grazie alla salvaguardia delle conquiste economiche, a una corretta linea politica interna e duttili rapporti internazionali, riuscì in poco più di un decennio a creare le condizioni per annientare l’aggressione hitleriana e liberare mezza Europa dal nazismo. E ci riuscì anche grazie al lavoro di decine di migliaia di comunisti che, in tanti Paesi, operarono con quella doverosa duttilità nei rapporti con le masse non comuniste, che deve accompagnare la denuncia delle politiche liberalborghesi con cui il nemico di classe assopisce le coscienze. Quella duttilità leninista, quella pratica politica interna ed esterna staliniana, poterono conservare ai comunisti di tutto il mondo la piazzaforte che rintuzzava gli attacchi del nemico di classe; lo poterono, almeno finché l’aggressione ideologica e politica esterna e il lavorio revisionista interno non ne minarono le basi politiche (la svolta khruščëviana) ed economiche (le famigerate “riforme” Liberman-Kosygin), portando infine alla caduta degli anni ‘80. Non c’è purtroppo bisogno di ricordare quanto la fine dell’URSS pesi oggi sul movimento comunista mondiale. Proprio come diceva Stalin, con drammatica e lucida previsione, già nel 1926: “Cosa accadrebbe se il capitale riuscisse ad annientare la Repubblica dei Soviet? Avrebbe inizio l’epoca della reazione più nera in tutti i paesi capitalisti e coloniali, si comincerebbe a soffocare la classe operaia e i popoli oppressi, verrebbero liquidate le posizioni del comunismo internazionale”. Così è, purtroppo, per ora; perlomeno, fino alla prossima, ineluttabile, ondata rivoluzionaria, perché “Il sistema socialista finirà col sostituirsi al sistema capitalista; è una legge obiettiva, indipendente dalla volontà dell’uomo” (Mao). Decisivo sarà, allora, che i comunisti siano pronti, forti dell’organizzazione indipendente del proletariato. FONTI
Unsere Zeit, https://www.unsere-zeit.de/de/5133/theorie_geschichte/11994 Willi Bredel, Ernst Thälmann; Dietz verlag, 1950 Jurij Žukov, Inoj Stalin; Moskva, 2017 Kommunističeskij Internatsional v dokumentakh; Moskva, 1933 Zur Geschichte der KPD; Berlin, 1955 Thomas Weingartner, Stalin und der Aufstieg Hitlers; Berlin, 1970 Aldo Agosti, La Terza Internazionale; Ed. Riuniti, 1979 Arkadij Erusalimskij, Da Bismarck a Hitler; Ed. Riuniti, 1974 Palmiro Togliatti, Opere, voll. 3*, 3**; Ed. Riuniti, 1973 Franco De Felice, Fascismo democrazia fronte popolare; De Donato, 1973 Enzo Collotti, La Germania nazista; Einaudi, 1962 Mikhail Koltsov, Ispanija v ogne; Moskva, 1987
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attualità
La UE falsifica la storia, il comunismo e l’antifascismo
Il 19 settembre la Risoluzione del Parlamento europeo “sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa” ovvero vittime e carnefici sullo stesso piano Emiliano La risoluzione della neo Unione europea raccoglie una serie di dichiarazioni e atti già presentati negli anni precedenti da gruppi europei, Parlamenti di paesi ex-comunisti che già al loro interno perseguitavano le organizzazioni comuniste. Sono 22 punti che non pubblichiamo integralmente ma affrontiamo solo alcuni punti (la versione integrale si può trovare su internet) partendo dalle motivazioni alla base della risoluzione che abbiamo ritenuto più significative per capire l’infamità di tale presa di posizione e della sua pericolosità. Di seguito alcune delle considerazioni generali: “A. considerando che quest’anno si celebra l’ottantesimo anniversario dello scoppio della Seconda guerra mondiale, che ha causato sofferenze umane fino ad allora inaudite e ha portato all’occupazione di taluni paesi europei per molti decenni a venire; B. considerando che ottanta anni fa, il 23 agosto 1939, l’Unione Sovietica comunista e la Germania nazista firmarono il trattato di non aggressione, noto come patto Molotov-Ribbentrop, e i suoi protocolli segreti, dividendo l’Europa e i territori di Stati indipendenti tra i due regimi totalitari e raggruppandoli in sfere di interesse, il che ha spianato la strada allo scoppio della Seconda guerra mondiale; E. considerando che, sebbene i crimini del regime nazista siano stati giudicati e puniti attraverso i processi di Norimberga, vi è ancora un’urgente necessità di sensibilizzare, effettuare valutazioni morali e condurre indagini giudiziarie in relazione ai crimini dello stalinismo e di altre dittature; F. considerando che in alcuni Stati membri la legge vieta le ideologie comuniste e naziste; L. considerando che la memoria delle vittime dei regimi totalitari e autoritari, il riconoscimento del retaggio europeo comune dei crimini commessi dalla dittatura comunista, nazista e di altro tipo, nonché la sensibilizzazione a tale riguardo, sono di vitale importanza per l’unità dell’Europa e dei suoi cittadini e per costruire la resilienza europea alle moderne minacce esterne.” Ed ecco alcuni dei 22 punti della risoluzione: “2. sottolinea che la Seconda guerra mondiale, il conflitto più devastante della storia d’Europa, è iniziata come conseguenza immediata del famigerato trattato di non aggressione nazi-sovietico del 23 agosto 1939, noto anche come patto Molotov-Ribbentrop, e dei suoi protocolli segreti, in base ai quali due regimi totalitari, che avevano in comune l’obiettivo di conquistare il mondo, hanno diviso l’Europa in due zone d’influenza; 3. ricorda che i regimi nazisti e comunisti hanno commesso omicidi di massa, genocidi e deportazioni, causando, nel corso del XX secolo, perdite di vite umane e di libertà di una portata inaudita nella storia dell’umanità, e rammenta l’orrendo crimine dell’Olocausto perpetrato dal regime nazista; condanna con la massima fermezza gli atti di aggressione, i crimini contro l’umanità e le massicce violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime nazista, da quello comunista e da altri regimi totalitari; 6. condanna tutte le manifestazioni e la diffusione di ideologie totalitarie, come il nazismo e lo stalinismo, all’interno dell’Unione; 8. invita tutti gli Stati membri a celebrare il 23 agosto come la Giornata europea di commemorazione delle vittime dei regimi totalitari a livello sia nazionale che dell’UE e a sensibilizzare le generazioni più giovani su questi temi inserendo la storia e l’analisi delle conseguenze dei regimi totalitari nei programmi didattici e nei libri di testo di tutte le scuole dell’Unione; invita gli Stati membri a promuovere la documentazione del tragico passato europeo, ad esempio attraverso la traduzione dei lavori dei processi di Norimberga in tutte le lingue dell’UE; 10. chiede l’affermazione di una cultura della memoria condivisa, che respinga i crimini dei regimi fascisti e stalinisti e di altri regimi totalitari e autoritari del passato come modalità per promuovere la resilienza alle moderne minacce alla democrazia, in particolare tra le generazioni più giovani; incoraggia gli Stati membri a promuovere l’istruzione attraverso la cultura tradizionale sulla diversità della nostra società e sulla nostra
storia comune, compresa l’istruzione in merito alle atrocità della Seconda guerra mondiale, come l’Olocausto, e alla sistematica disumanizzazione delle sue vittime nell’arco di alcuni anni; 12. invita la Commissione a fornire un sostegno effettivo ai progetti di memoria e commemorazione storica negli Stati membri e alle attività della Piattaforma della memoria e della coscienza europee, nonché a stanziare risorse finanziarie adeguate nel quadro del programma “Europa per i cittadini” per sostenere la commemorazione e il ricordo delle vittime del totalitarismo, come indicato nella posizione del Parlamento sul programma “Diritti e valori” 2021-2027; 14. sottolinea che, alla luce della loro adesione all’UE e alla NATO, i paesi dell’Europa centrale e orientale non solo sono tornati in seno alla famiglia europea di paesi democratici liberi, ma hanno anche dato prova di successo, con l’assistenza dell’UE, nelle riforme e nello sviluppo socioeconomico; sottolinea, tuttavia, che questa opzione dovrebbe rimanere aperta ad altri paesi europei, come previsto dall’articolo 49 TUE; 17. esprime inquietudine per l’uso continuato di simboli di regimi totalitari nella sfera pubblica e a fini commerciali e ricorda che alcuni paesi europei hanno vietato l’uso di simboli sia nazisti che comunisti; 18. osserva la permanenza, negli spazi pubblici di alcuni Stati membri, di monumenti e luoghi commemorativi (parchi, piazze, strade, ecc.) che esaltano regimi totalitari, il che spiana la strada alla distorsione dei fatti storici circa le conseguenze della Seconda guerra mondiale, nonché alla pro-
pagazione di regimi politici totalitari.” La prima cosa che salta agli occhi è la distorsione della storia per fini anticomunisti, il revisionismo storico è uno degli strumenti usato per influenzare negativamente soprattutto le giovani generazioni. Un veleno usato nel nostro paese già con le foibe per giustificare lo sdoganamento dei fascisti. L’altro aspetto è la necessità di equiparare la più odiosa, terribile e sanguinaria dittatura come quella nazista - ricordiamolo appoggiata dalle maggiori aziende capitaliste non solo tedesche, alcune delle quali sono ancora in testa del capitalismo internazionale come la Krupp - al comunismo. Simbolo della lotta contro i padroni che hanno foraggiato nazisti e fascisti. Operazioni già tentate nel nostro paese prima con l’equiparazione tra i repubblichini di Salò con i partigiani che li combattevano fatta da Violante e successivamente con la legge Fiano che, in nome dell’antifascismo, ha aperto le porte a provvedimenti anticomunisti, non a caso i parlamentari europei del Pd hanno votato a favore, tranne uno che però ha preso le distanze da Stalin. Gli attacchi sono al comunismo, all’Unione Sovietica e alla figura ed opera di Stalin perché la borghesia considera un crimine contro l’umanità l’avere edificato uno Stato Sovietico, uno Stato di dittatura del proletariato implacabile contro i capitalisti e la proprietà privata. Dai Problemi della pace del 1946 ricordiamo la posizione di Stalin: “Sarebbe errato pensare che la seconda guerra mondiale sia scoppiata casualmente … In realtà la guerra è scoppiata come risultato inevitabile dello sviluppo
delle forze economiche e politiche mondiali sulla base dell’odierno capitalismo monopolistico. I marxisti hanno dichiarato più volte che il sistema capitalistico dell’economia mondiale cela nel suo seno gli elementi di una crisi generale e di conflitti armati... È un fatto che l’ineguale sviluppo dei paesi capitalistici porta abitualmente, con il passare del tempo, ad una brusca rottura dell’equilibrio nell’interno del sistema mondiale del capitalismo; e il gruppo dei paesi capitalistici che si considera meno provvisto di materie prime e di mercati di sbocco, tenta solitamente di modificare la situazione a proprio vantaggio e di procedere ad una nuova ripartizione delle “sfere d’influenza” facendo ricorso alla forza armata...” Stalin si poneva come un nemico implacabile contro la borghesia e i falsi comunisti, che da sempre si sono prodigati in attacchi velenosi tesi ad impedire la realizzazione del socialismo. Con buona pace dei trotskisti e dei vari revisionisti che da sempre strillano contro i suoi cosiddetti crimini. Le loro lamentele sono state finalmente accolte dal famigerato Parlamento europeo, e si trovano ancora una volta a fianco dei fascisti a votare una risoluzione anticomunista. Pronti ad accusare la repressione stalinista o a pentirsi (forse) allorquando il proletariato eserciterà la propria giustizia di classe. Ma perchè una simile risoluzione oggi? Nonostante siano passati 80 anni dall’inizio della guerra la borghesia sente ancora il bisogno di diffamare - anche se non è la prima volta - le idee di libertà ed emancipazione per tentare di far perdere la memoria, soprattutto tra i giovani, ma anche perché è ancora immensa la stima che i lavoratori di tutto il mondo hanno per il paese del socialismo, l’URSS con a capo Stalin. Evidentemente la borghesia, ancora oggi, vede come pericolo per la propria sopravvivenza, l’esperienza storica della Rivoluzione d’ottobre e, di fronte all’avanzare della crisi inevitabile del sistema capitalista e imperialista teme che i comunisti si uniscano e si riorganizzino, insieme al proletariato dei vari paesi, per abbattere la dittatura della borghesia e instaurare la propria dittatura quella del proletariato. I comunisti non si arrendono. La lotta contro il fascismo, la reazione, l’imperialismo, per l’abbattimento del capitalismo e la costruzione di una società socialista continuerà con più forza. Così come lo smascheramento della UE - che ancora una volta - dimostra di non essere riformabile o cambiata come sostengono molti che si definiscono di “sinistra” perché è uno strumento imperialista a favore degli interessi delle banche, delle multinazionali, della NATO e dei partiti al loro servizio.
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rassegna stampa
Notizie in breve dal mondo - settembre pensioni previsto dal governo Macron, che vuol creare un sistema “a punti” e unificare i regimi di pensionamento esistenti nel settore pubblico. La prossima settimana sono previsti gli scioperi del personale sanitario e dei piloti e personale di bordo degli aerei.
Tel Aviv, Israele 1° settembre
Un gruppo di 40 attivisti per i diritti umani ha presentato oggi una petizione al Tribunale Superiore di Giustizia perché cessi l’esportazione di armi israeliane in Ucraina. La petizione sostiene che tali armi sono fornite a forze che difendono apertamente una ideologia nazista, presentando prove che la milizia di destra Azov - i cui membri fanno parte delle forze armate ucraine, sono sostenuti dal Ministero dell’Interno, usano il saluto nazista - sta utilizzando tali armi. Il Ministero della Difesa israeliano non divulga alcuna informazione sull’esportazione di armi israeliane all’estero.
L’Avana, Cuba 13 settembre
Alcuni minuti prima che il Presidente Miguel Dìaz Canel e altri funzionari presentassero alla TV le misure economiche eccezionali prese dal governo in risposta alle nuove sanzioni imposte dagli USA, la piattaforma Twitter ha bloccato le utenze di decine di giornalisti cubani. Tra gli accounts bloccati quelli del gfranma Digital, di Cubadebate, Radio Rebelde, quelli del tean stampa del Presidente e del VicePresidente dell’Unione dei Giornalisti. Bloccati anche gli accounts istituzionali del Ministero delle Comunicazioni. Lo scorso giugno il “Gruppo di Lavoro di Internet per Cuba” del Dipartimento di Stato USA ha pubblicato le sue raccomandazioni su come utilizzare la rete come autostrada per la sovversione a Cuba.
Canberra, Australia 2 settembre
L’avvocato militare australiano David McBride verrà processato nell’aprile 2020 per aver diffuso “informazioni sensibili”, secondo i media. McBride ha diffuso nel 2017 documenti segreti che provano operazioni clandestine e crimini di guerra commessi dalle truppe australiane in Afganistan, tra
cui assassinii di civili disarmati e bambini e la pratica del taglio delle mani a talebani già abbattuti. Già nello scorso giugno sono stati perquisiti giornali e giornalisti che hanno diffuso tali documenti. I documenti erano stati diffusi dalla catena pubblica ABC (Australian Broadcasting Corporation) nel luglio 2017 sotto il nome di “The Afghan Files”. Dal luglio scorso il governo ha introdotto una serie di leggi sulla sicurezza nazionale, che obbligano le compagnie di telecomunicazioni a conservare per due anni tutti i metadati, comprese le telefonate, che le agenzie governative possono consultare senza l’ordine di un giudice.
Parigi,
Francia
13 settembre
Massiccio sciopero – la più grande protesta degli ultimi 12 anni dei trasporti urbani contro la riforma delle pensioni blocca l’intera città. Dieci linee - su 16 - della metropolitana sono completamente ferme, insieme a quelle che connettono la città con gli aeroporti. Circola solo un terzo degli autobus e intorno alla capitale ci sono code di centinaia di chilometri. Lo sciopero è la prima grande protesta al progetto di riforma delle
Brasile 7 settembre
Mentre il presidente Jair Bolsonaro invita tutti i brasiliani a “vestirsi di verde e giallo” per il Giorno dell’Indipendenza e presenza ad una parata militare, in tutto il paese migliaia di studenti protestano, vestendosi di nero, contro i tagli alla scuola e alle politiche ambientali, unendosi alla marcia del tradizionale “Grido degli esclusi”, una manifestazione organizzata ogni anno da gruppi politici, sindacali e religiosi . “Oggi il nero è una risposta a Bolsonaro, che ha chiamato il popolo brasiliano a vestirsi di verde e giallo per difendere l’Amazzonia. Ma questo è burlarsi del popolo, perché è lui il responsabile della distruzione dell’Amazzonia, della distruzione dell’educazione e della distruzione dell’università” ha detto il presidente dell’Unione Nazionale degli Studenti.
L’Avana, Cuba 11 settembre
Se n’è andato oggi il Comandante della Rivoluzione Juan Almeida Bosque. Uno tra gli 8 figli di una famiglia povera, operaio edile, conobbe Fidel Castro all’Università, partecipò all’assalto al Moncada, fu arrestato e andò in esilio in Messico. Partecipò allo sbarco del Granma e prese parte alla guerriglia, venne promosso comandante della colonna di Santiago de Cuba dell’esercito ribelle nel 1958. Dopo il trionfo della Rivoluzione raggiunse il grado di generale. Fu membro del Partito Comunista di Cuba, dell’Assemblea Nazionale del Potere Popolare e vice-Presidente del Consiglio di Stato. Divenne anche un apprezzato compositore musicale, scrivendo più di 300 canzoni. In occasione del 40° anniversario della sua nomina a comandante dell’Esercito Ribelle, gli fu conferito il titolo di Eroe della Repubblica di Cuba.
Cile 11 settembre
Migliaia di cileni hanno partecipato oggi alla Marcia per i Diritti Umani per non dimenticare, a 46 anni, le vittime della dittatura di Augusto Pinochet. A Santiago la giornata è iniziata davanti al Cimitero Generale, per poi sfilare lungo le principali vie della capitale. I manifestanti chiedono anche al governo conservatore di Sebastián Piñera che sblocchi le inchieste giudiziarie che sono bloccate. Ci sono stati scontri con i carabineros, che hanno arrestato 23 persone.
New York, USA 12 settembre
Per la prima volta un organismo pubblico statunitense dichiara “indiscutibile” il fatto che la distruzione delle Torri Gemelle l’11 settembre 2001 non è stata solo conseguenza dell’impatto degli aerei, ma che esse furono “abbattute tramite esplosivi”. Lo hanno affermato i delegati dei pompieri di due distretti di New York, che hanno adottato una risoluzione che chiede nuove indagini sull’11 settembre e che cita le “prove evidenti” della presenza di esplosivi nelle tre Torri. Tra queste il crollo dell’Edificio 7, con la caduta quasi simultanea di tutti i pilastri dell’edificio. Essi chiedono quindi una nuova indagine federale.
Memoria 16/18 settembre 1982, Libano: Il massacro di Sabra e Chatila “Furono le mosche a farcelo capire. Erano milioni e il loro ronzio era eloquente quasi quanto l’odore. Grosse come mosconi, all’inizio ci coprirono completamente, ignare della differenza tra vivi e morti. Se stavamo fermi a scrivere, si insediavano come un esercito – a legioni – sulla superficie bianca dei nostri taccuini, sulle mani, le braccia, le facce, sempre concentrandosi intorno agli occhi e alla bocca, spostandosi da un corpo all’altro, dai molti morti ai pochi vivi, da cadavere a giornalista, con i corpicini verdi, palpitanti di eccitazione quando trovavano carne fresca sulla quale fermarsi a banchettare … Erano dappertutto, nelle strade, nei vicoli, nei cortili e nelle stanze distrutte, sotto i mattoni crollati e sui cumuli di spazzatura. Gli assassini – i miliziani cristiani che Israele aveva lasciato entrare nei campi per «spazzare via i terroristi» – se n’erano appena andati. In alcuni casi il sangue a terra era ancora fresco. Dopo aver visto un centinaio di morti, smettemmo di contarli. In ogni vicolo c’erano cadaveri – donne, giovani, nonni e neonati – stesi uno accanto all’altro, in quantità assurda e terribile, dove erano stati accoltellati o uccisi con i mitra. In ogni corridoio tra le macerie trovavamo nuovi cadaveri. I pazienti di un ospedale palestinese erano scomparsi dopo che i miliziani avevano ordinato ai medici di andarsene. Dappertutto, trovavamo i segni di fosse comuni scavate in fretta. Probabilmente erano state massacrate mille persone; e poi forse altre cinquecento”. È l’inizio del reportage di Robert Fisk, uno dei primi giornalisti ad entrare nel campo di rifugiati palestinesi di Shatila dove, insieme a quello di Sabra, nei pressi di Beirut, fu scritto uno dei capitoli più sanguinosi della storia dei palestinesi. Durante una mattanza durata tre giorni, la milizia falangista cristiana, alleata di Israele in Libano, massacrò migliaia di rifugiati palestinesi nei due campi. Le truppe israeliane permisero alla milizia falangista di entrare nei campi senza ostacoli e di perpetrare il massacro alla luce dei loro bengala, fornendo anche le ruspe per seppellire i morti, circa 3.000 persone. Colpevoli? Praticamente nessuno. La “Commissione Kahan” israeliana, nel settembre di quell’anno, concluse che la “responsabilità diretta” ricadeva sui falangisti. Il Ministro della Difesa Ariel Sharon aveva solo una “responsabilità personale per aver ignorato il pericolo di un massacro e di una vendetta e per non aver preso le misure adeguate per evitare il massacro”. Sharon fu rimosso dal suo incarico, ma questo non danneggiò la sua carriera politica: diventò Primo Ministro di Israele nel 2001.
nuova unità 5/2019
Striscia di Gaza, Palestina 14 settembre
Anche questo sabato le forze di occupazione israeliane hanno attaccato la manifestazione contro l’occupazione, nel quadro della 74° giornata della Marcia del Ritorno, ferendo più di 55 persone. Dall’inizio delle proteste, secondo il Ministero della Salute di Gaza, le truppe di occupazione israeliane hanno assassinato almeno 307 palestinesi e ne hanno ferito più di 18.000.
Nantes, Francia 15 settembre
Durante la manifestazione consueta dei “gilet gialli”, migliaia di persone hanno sfilato contro il governo del presidente Macron. E, come di consueto, la polizia ha utilizzato contro i manifestanti gas lacrimogeni e cannoni ad acqua. Secondo il portavoce della prefettura, ci sono stati 26 arresti e decine di feriti.
New York, USA 15 settembre
76 persone sono state arrestate durante una protesta contro la politica razzista verso l’immigrazione davanti al negozio Microsoft della Quinta Strada, nel centro della città, mentre bloccavano il traffico verso Manhattan. I manifestanti criticano Microsoft perché fornisce l’elettronica al Servizio di Immigrazione e Controllo delle Dogane.
La Plata, Argentina 16 settembre
A 43 anni dalla “Notte delle Matite” (nome in codice dell’operazione organizzata dalla polizia argentina, con lo scopo di sequestrare, reprimere, torturare e uccidere gli studenti delle scuole superiori che si fossero resi colpevoli di “attività atee e anti nazionaliste”), studenti, docenti e organismi per i diritti umani hanno sfilato nel centro della città per ricordare i dieci studenti sequestrati dalla polizia cittadina su ordine dei capi del Battaglione 601 dell’esercito, tre dei quali sopravvissero mentre gli altri sono tuttora “desaparecidos”. “Rivendichiamo i nostri compagni arrestati, torturati e spariti durante l’ultima dittatura militare, condannati per essere giovani e militanti, perché sognavano una Patria più giusta, libera e sovrana” scrive l’Unione degli Studenti Secondari e la Federazione degli Studenti. Anche l’Università di La Plata ha organizzato una serie di eventi per ricordare gli studenti sequestrati nel 1976.
Haiti 17 settembre
Porto Principe e altre città di Haiti vedono in una nuova giornata di protesta conto la scarsità di carburanti. I servizi e i trasporti pubblici sono stati completamente paralizzati. Ci sono state sparatorie e lanci di pietre, barricate e pneumatici incendiati in varie strade. Si tratta del primo giorno di uno sciopero generale di tre giorni, nonostante il governo abbia annunciato l’arrivo di carichi di petrolio. La scarsità è dovuta, in gran parte, alla fine delle forniture di petrolio del Venezuela a prezzi inferiori a quelli di mercato – nel quadro del programma Petrocaribe – a causa delle sanzioni del governo USA.
Argentina 19 settembre
È ufficiale: in Argentina c’è la fame. Fino al al 2022, è prevista la “emergenza alimentare”. Lo dichiara, tramite una legge che prevede un aumento del 50% dei fondi destinati alle mense popolari, il Senato argentino, mentre fuori dall’edificio del Conggresso, migliaia di persone manifestano la loro rabbia da più di una settimana. L’ultima statistica ufficiale fissa la cifra della povertà nel 32%.
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lettere La rubrica delle lettere è un punto fisso di quasi tutti i giornali. Noi chiediamo che in questa rubrica siano presenti le vostre lettere, anche quelle che spedite ai vari quotidiani e riviste che non vengono pubblicate. Il sommerso a volte è molto indicativo
Storie cancellate...
Sebbene non ritenga l’attuale Cina socialista, condivido l’articolo di Dinucci che, a proposito delle lotte di Hong Kong, ha riassunto la storia di oppressione e liberazione e la perdita di vite umane che è costata. Giustamente lui rileva che è “Una storia volutamente cancellata da politici e opinion makers perché porta alla luce i crimini dall’imperialismo, mettendo sul banco degli imputati le potenze europee, il Giappone e gli Stati Uniti”. E le corrispondenze della Botteri - spostata al momento giusto dagli Usa in Cina - ne sono una prova. Di fronte al canto di centinaia di giovani cinesi per “Dio Salvi la Regina” e “Gran Bretagna salva Hong Kong”, che chiedono la cittadinanza della Gran Bretagna che - da sempre - viene presentata come garante di legalità e diritti umani, Dinucci si chiede su quali libri di storia studiano i ragazzi che chiedono a Londra di salvare Hong Kong. Ebbene, a parte che penso che la Cina dovrebbe dare a Hong Kong l’autonomia, non solo politica, ma anche economica ritirando tutti gli investimenti, mi pongo il problema che abbiamo anche noi. Su quali libri studiano i nostri ragazzi per conoscere ad esempio la lotta dei partigiani per liberare l’Italia da fascisti e nazisti? O ci ritroveremo anche noi le piazze richiedenti sostegno dagli Stati Uniti, presentati ovunque come il “paese della libertà” e con tante forze politiche che inculcano che l’Italia è stata liberata dagli americani? Gianna Arcestri Perugia
L’intesa firmata oggi in Prefettura è un primo passo per condizioni di lavoro più sicure e dignitose Dopo l’infortunio mortale, a Trieste è stato firmato - dopo 24 ore di sciopero, 3 giorni di blocco del porto, l’assemblea generale, con assemblea permanente - l’”accordo” sulla sicurezza. Riportiamo il comunicato stampa dei lavoratori portuali. “Vogliamo innanzitutto ringraziare tutti i lavoratori del porto per l’impegno, l’unità e la determinazione messi in questi tre giorni, per aver evitato qualsiasi strumentalizzazione ed aver avuto sempre presente che l’obiettivo era garantire condizioni di lavoro più sicure in primo luogo ai colleghi guardiafuochi, come pure a tutti i lavoratori del porto. È stato grazie alla perseveranza dei lavoratori se si è arrivati al risultato parziale ottenuto oggi, con la firma dell’intesa sulla tutela della sicurezza della salute dei lavoratori portuali. Un’intesa che consideriamo un punto di partenza per migliorare radicalmente le condizioni di lavoro nel Porto Franco Internazionale di Trieste ed evitare che la tragedia che ha colpito uno di noi si ripeta (come purtroppo accaduto in passato) L’accordo contiene impegni precisi, con date per l’avvio delle discussioni su singoli aspetti e la cui effettiva applicazione avrà una prima verifica già il 31/10. Da parte nostra ci impegniamo a tenere costantemente informati i lavoratori, passo passo, dell’applicazione di quanto sottoscritto. Invitiamo i lavoratori a vigilare a loro volta sull’applicazione delle normative di sicurezza, come pure sull’effettiva applicazione di quanto sottoscritto nell’accordo odierno. Tutto questo purtroppo non potrà restituire alla sua famiglia il lavoratore morto – famiglia per la quale chiediamo impegni concreti da parte di aziende ed istituzioni che le consentano una vita dignitosa – ma potrà servire ad evitare che altri di noi muoiano sul e di lavoro. Ancora un grosso grazie a tutti!” Coordinamento Lavoratori Portuali Trieste - CLPT Trieste, 1 ottobre 2019 Via S. Maurizio 9, Triesteverificata tel. 3896431638 - 3519490303/ mail: clptrieste@libero.it /Pec clpt@pec.it / C.F.: 940141220328
Le associazioni delle vittime dell’amianto in piazza per la difesa dell’ambiente Le vittime dell’amianto il 27 settembre sono scese in piazza a fianco dei giovani, studenti, operai, lavoratori e pensionati che con scioperi e cortei in tutto il mondo lottavano in difesa dell’ambiente. Riportiamo uno stralcio del comunicato del Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio e del Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli” diffuso nella giornata: Le vittime dell’amianto riconoscono che la ricerca del massimo profitto, lo sfruttamento degli esseri umani e della natura, il non rispetto della salute in fabbrica, sui luoghi di lavoro e nel territorio hanno ucciso prima i lavoratori - che nei processi di produzione lavoravano o usavano l’amianto e altre sostanze cancerogene - e poi i loro famigliari e i cittadini. Le sostanze inquinanti, uscendo dai luoghi di lavoro, hanno poi avvelenato il territorio. Il “progresso” ha provocato guerre di rapina delle nazioni ricche, imperialiste, contro i paesi più poveri rubando le loro risorse. Il modello di sviluppo capitalista - con la distruzione di foreste, montagne, laghi, mari e oceani, gli scioglimenti dei ghiacciai, la desertificazione di interi continenti dovuto all’accumulazione - sta distruggendo il pianeta e spinge milioni esseri umani, affamati dalle sue politiche economiche, all’emigrazione. Le vittime dell’amianto in piazza con cartelli e striscioni hanno denunciato le conseguenze di questo modo di produzione, che non esita a mandare a morte milioni di persone, risparmiando anche pochi centesimi sulla sicurezza per il profitto. Il principale nemico dell’umanità responsabile dell’inquinamento, del cambiamento climatico, della fame, della miseria crescente è il capitalismo, un sistema che considera normale che - per il guadagno di pochi - miliardi di persone muoiano di stenti. Solo in Italia questo modello di “sviluppo” causa ed è responsabile di più di mille morti sul lavoro e di decine di miglia di morti per malattie professionali (più di 5000mila persone ogni anno vengono uccise dall’amianto, 120.000 nel mondo). Un sistema economico, politico sociale e legislativo che riconosce come unico diritto quello della ricerca del massimo profitto, subordinandovi tutti gli altri diritti previsti dalla Costituzione (al lavoro, alla salute, alla scuola, giustizia ecc), che considera normale che degli esseri umani siano sfruttati e muoiano per il profitto, è un sistema barbaro e inumano. Le stragi, i morti sul lavoro e di lavoro, i crimini ambientali, i morti del profitto sono crimini contro l’umanità e come tale andrebbero perseguiti senza prescrizioni o impunità. Il capitalismo, le multinazionali e le grandi potenze imperialiste, sostenuti dagli stati, con il suo sistema di accumulazione che fa del profitto lo scopo della sua produzione, il motore della sua esistenza a discapito degli esseri umani e della natura, sono i responsabili della lenta morte del pianeta e dei suoi abitanti, allo stesso modo dei morti d’amianto e dello sfruttamento. La lotta per difendere il clima è prima di tutto lotta contro il capitalismo, per il rischio zero nei luoghi di lavoro, di vita e nel territorio, per cambiare questo modo di produzione. Tocca ai lavoratori in prima persona, alle associazioni delle vittime, mobilitarsi nei luoghi di lavoro per migliorare le condizioni di vita. Se davvero vogliamo salvare il pianeta, e gli esseri viventi che ci vivono, dobbiamo lottare contro questo sistema di distruzione e di morte. Non esiste, né mai esisterà, un capitalismo “buono o verde”. Corrispondenza da Milano
nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) anno XXVIII n. 5/2019 - Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992
La prima causa del disastro delle ferrovie è la loro privatizzazione
Ferragosto è stata una giornata che difficilmente i viaggiatori liguri dimenticheranno: Trenitalia, infatti, si è vista costretta a cancellare le corse di ben ventitre treni Regionali, ufficialmente per «mancanza di personale». Naturalmente i politicanti ne hanno subito approfittato per scagliarsi contro il gestore delle strade ferrate, arrivando persino ad accusarlo di aver creato la situazione di disagio per aver “prestato” i lavoratori al vicino Piemonte. Non sappiamo, e temiamo che non saremo mai in grado di determinare con certezza, se le accuse – principalmente dell’assessore regionale ai Trasporti, quel Giovanni Berrino esponente della cricca fascista Fratelli d’Italia, e di Alberto Pandolfo, segretario provinciale genovese del Partito Democratico – abbiano un qualche fondamento. Quello che è certo è che chi fa parte delle consorterie che hanno dato il via libera, di fatto, alla privatizzatizzazione delle Ferrovie dello Stato – causa prima di tutti i mali di cui soffre il servizio di trasporto su rotaia – dovrebbe avere almeno la decenza di tacere. È del tutto evidente che la situazione attuale in cui versano le ferrovie è figlia della smania di regalare montagne di soldi ai padroni che se ne sono impossessati, per poi convertire il servizio pubblico in un qualcosa di lontanissimo da esso. Per l’ingordigia dei soldi, il primo provvedimento adottato dai nuovi “gestori” privati è stato quello di licenziare più della metà dei dipendenti, che in poco tempo sono passati da essere duecentomila a soli novantamila. In queste condizioni è evidente che tutti i settori – dalla manutenzione delle tratte, a quella del materiale rotabile, al servizio offerto alla clientela – non potevano che essere sempre più in sofferenza. Non ci voleva certamente Albert Einstein per capirlo, ma i “comitati di affari della borghesia” – di qualunque colore si presentino, i governi borghesi sono questo – hanno lavorato, anche in questo, per favorire le tasche dei loro padroni.
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Stefano Ghio Bosio (Al)
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