art. 2 Legge 662/96 filiale di Firenze
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Proletari di tutti i paesi unitevi!
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Periodico comunista di politica e cultura n. 1/2020 - anno XXIX
fondata nel 1964
“Occorre invece violentemente attirare l’attenzione nel presente così com’è, se si vuole trasformarlo” Antonio Gramsci
Colpire alla radice Se non si mette il capitalismo in discussione non c’è via d’uscita Ci hanno martellato per anni con l’uso della plastica, che ha sostituito anche le bottiglie di vetro; con il rinnovamento dei mobili di legno, con l’usa e getta perché niente poteva essere riparato. Ci hanno portato sul mercato la frutta fuori stagione e abituati a mangiare carne tutti i giorni, ad usare l’auto per farcela comprare. Ora la plastica è criminalizzata e da più parti si esorta il recupero, il riciclo; tutti i super cuochi che invadono la TV consigliano di mangiare prodotti di stagione e di seguire la dieta mediterranea, i sindaci bloccano il traffico delle auto senza provvedere un efficiente trasporto pubblico. In particolare la plastica sembra diventata il mostro dell’era moderna e tanti giovani ne fanno oggetto delle proprie proteste con il beneplacito delle industrie che si riconvertono per trarre nuovi profitti. Eppure viviamo nell’era della supertecnologia, dell’industria 4.0 e del G5 (i cui effetti nocivi sono già dimostrati), delle grandi opere, tutte modernizzazioni inquinanti e dannose per la salute sia dei lavoratori che della popolazione, lungi dalla sostenibilità di cui parlano i potenti e che non sono oggetto di protesta da parte della gran massa dei giovani. Quando si toccano, invece, gli interessi di capitalisti e politici, come ha scelto di fare il movimento No Tav in val di Susa che da anni si batte per difendere l’ambiente da un’opera inutile e dannosa anche per il riscaldamento climatico come il Tav e propone un impiego razionale del denaro pubblico in favore dei tanti pendolari e non per i Tav per pochi ricchi è sempre pronta la repressione. Che è culminata proprio l’ultimo giorno del 2019 - mentre il presidente della Repubblica trasmetteva agli italiani il disegno di un paese che non esiste - con l’arresto di Nicoletta Dosio storica militante, da sempre impegnata contro il progetto dell’alta velocità Torino–Lione. Il reato contestato è quello di violenza privata e interruzione di pubblico servizio. Siccome la giustizia non è uguale per tutti, Nicoletta è in carcere e alla corrotta prefetta di Paola Galeone, colta mentre intascava una mazzetta a Cosenza, sono stati concessi i domiciliari. I potenti del mondo si sono riuniti a Davos per il Wef (World Economic Forum) per discutere delle loro questioni economiche e... anche di clima, aperto agli ambientalisti (a nessun altro è permesso arrivare a Davos). E mentre Donald Trump, nel giorno dell’impeachment, col suo tono trionfalista parla di “rilancio spettacolare dell’economia” e di “grande boom come mai prima”, Greta lancia i suoi soliti schematici strali - col risultato di un nulla di fatto. Si può veramente credere che i rappresentanti dell’imperialismo si interessino al cambiamento climatico? Oltre la distruzione dell’Amazzonia, della Siberia, dell’Australia, dell’Africa, che dire dell’inquinamento dovuto alle conseguenze delle guerre passate (quante bombe giaccioni nell’Adriatico sganciate dagli aerei che hanno bombardato la Jugoslavia?) e in corso, degli esperimenti nucleari? Delle esercitazioni Nato? Di tutto ciò che riguarda operazioni militari, produzione di armamenti, riarmo - il governo sta per avviare programmi militari del valore miliardario (21 miliardi, +3,4 per cento in un anno, l’1,2 % del Pil +8,2% dal 2015 più i contributi nascosti: gli “scivoli d’oro” agli alti ufficiali e al “caro pensioni” dei cappellani militari con grado di ufficiale), per l’acquisto non solo degli F35, ma di missili, blindati, droni, sommergibili - passano nel silenzio generale. Se si esclude il blocco attuato dai portuali di Genova del carico sulla nave Bahri Yanbu e sulla Bahri Jazan dei generatori elettrici spediti alla Guardia nazionale Saudita - che è un corpo militare impegnato nella guerra civile in Yemen (già attuato dai portuali francesi sulla stessa nave a Le Havre) - rimasti isolati, sembra che il riarmo, il commercio di armi, la provenienza dei miliardi che si spendono per appartenere alla NATO, per le missioni cosiddette umanitarie ecc. non interessino a nessuno. Eppure sono miliardi pagati con le tasse dei lavoratori ai quali si chiedono sempre più sacrifici. E i lavoratori... pagano ma non collegano il fatto neppure quando affrontano le estenuanti vertenze.
I lavoratori italiani sono completamente soggiogati dall’influenza del “riformismo”, della socialdemocrazia, e dei sindacati confederali che per anni hanno sostituito la lotta di classe con la delega e i “tavoli” delle trattative, accettate sempre più al ribasso. La classe lavoratrice nostrana è davvero il fanalino di coda del mondo dove invece si sviluppano lotte senza precedenti che la borghesia, attraverso i suoi servitori dell’informazione, cerca di tenere nascoste per paura del contagio. Che, di certo, per ora non c’è. È vero che anche negli anni del grande movimento partito dalla Francia, il ‘68, c’è voluto più di un anno per lo sviluppo in Italia, ma non c’è nessun segnale di ripresa delle lotte se non le mobilitazioni dei lavoratori stranieri organizzati che rifiutano le forme di lavoro schiavizzato. Le altre, poche, riguardano i lavoratori di multinazionali che decidono da chiudere o delocalizzare da un giorno all’altro, lotte che - per volere dei confederali - restano isolate sia nel movimento operaio, sia nel paese. Se la classe lavoratrice non prende in mano la situazione e non fa pressioni sui sindacati accomodanti, com’è successo in Francia, saranno lotte e sacrifici disperanti quanto inutili. Il nuovo anno è iniziato, oltre che con l’ennesimo intervento militare USA per destabilizzare l’Iran e con un famigerato “accordo del secolo”, sbandierato da Trump sotto il segno delle lobby sioniste, ancora una volta a danno della popolazione palestinese. Ma anche con uno sciopero unitario (208 diverse organizzazioni) in India che ha coinvolto 250 milioni di lavoratori ai quali si sono aggiunti molte organizzazioni studentesche da una sessantina di università del Paese. Operai e contadini che si sono stancati delle condizioni di lavoro umilianti, della mancanza di contratti e della sicurezza, dello sfruttamento, del carovita, della disoccupazione giovanile. E a difesa del diritto di sciopero che, anche in India come in tutto il mondo capitalista, Italia compresa, è messo in discussione. Un fatto senza precedenti sfuggito alla corrispondente dall’Asia, Giovanna Botteri, sempre così solerte ed empatica quando si tratta di raccontare gli scontri e la repressione a Hong Kong, strizzando l’occhio agli studenti che inneggiano agli Usa e alla Gran Bretagna! Ed è arrivato il fatidico 26 gennaio! Dopo un’insopportabile, aggressiva e becera campagna elettorale di Salvini che ha oscurato la candidata alla regione Emilia-Romagna, il “voto utile”, dovuto anche al movimento delle sardine, ha confermato il precedente presidente. In Calabria, dove i voti persi dal M5S sono confluiti nel cartello della destra, ha vinto la candi-
data del Popolo delle libertà che rappresenta il malaffare politico ed economico, il clero, la mafia ecc. tant’è che proprio nelle liste di questa coalizione la Commissione parlamentare antimafia ha rilevato candidati impresentabili e ineleggibili. Per la classe operaia e i comunisti non cambia nulla. Tutti i problemi che attanagliano anche queste regioni, a partire dalla sanità che in Calabria è disastrosa, non troveranno soluzioni perché l’offensiva capitalista non si ferma se non la ferma un’organizzazione comunista che non ceda alle lusinghe elettoraliste (ben poco appaganti), ma che investa le proprie risorse per il rovesciamento del sistema sociale.
Organizzarsi per rompere le catene dello sfruttamento pagina 2 La solidarietà è un’arma. “Liberi dai decreti Salvini”, “Prato sta con gli operai’”
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Sesto san Giovanni: impedito lo sgombero. Per la casa contro gli sfratti. No alla guerra contro i poveri. La lotta (per ora) paga pagina 3 Il progetto della borghesia
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La nuova Russia del capitalismo eltsiniano-putiniano pagina 6 Dalla Sicilia un grido contro l’imperialismo Usa!
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Organizzarsi per rompere le catene dello sfruttamento Davanti all’attacco borghese la lotta della classe oppressa e sfruttata deve superare le decine di organizzazioni sedicenti comuniste che disperdono le poche avanguardie coscienti, facendoli combattere in ordine sparso Michele Michelino Anni di battaglie operaie, proletarie e sociali hanno prodotto molte avanguardie di lotta. Oggi è arrivato il momento - e ne siamo in grado - di cominciare a fare un bilancio basandoci su dati concreti. Lotte di resistenza, a volte eroiche, che però non sono riuscite a formare avanguardie comuniste. La mancanza di un’organizzazione politica unitaria della classe rappresenta il fallimento di tutti noi impegnati da decenni nel tentativo di costruire un’organizzazione dei comunisti in Italia e, sebbene ne siamo in parte tutti responsabili, la responsabilità più grave è quella degli intellettuali e dei dirigenti dei vecchi partiti pseudo comunisti e revisionisti. Alcune di queste forze – il PCI e successivamente Rifondazione Comunista e il Pdci - una volta nell’area del governo sono state responsabili delle guerre imperialiste, chiamandole “umanitarie” o “missione di pace”, difendendo gli interessi del capitale e dell’imperialismo italiano nel mondo, tradendo la stessa “Costituzione nata dalla Resistenza” (Costituzione borghese frutto di rapporti di forza dopo la lotta antifascista/antinazista), negando persino l’art. 11 che recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”. Gli operai comunisti che hanno preso coscienza e conoscono le leggi che stanno alla base della società capitalista sono quadri capaci di organizzare, orientare, dirigere sia le lotte sindacali, economiche e sociali che politiche, sia parziali o generali, e oggi sono in grado di non delegare più agli intellettuali la costruzione del loro partito. Gli intellettuali di cui oggi ha bisogno la classe operaia sono gli operai che, attraverso lo studio e la comprensione dei classici del marxismo-leninismo, hanno assimilato nello scontro di classe e nel rapporto prassi-teoriaprassi la giustezza di questa teoria. Gli intellettuali e i militanti comunisti provenienti da altre classi sociali diventano intellettuali rivoluzionari e sono benvenuti nelle nostre file solo se si pongono al servizio della classe e del loro partito. L’esperienza storica ci insegna che pochi quadri comunisti ma organizzati, possono essere egemoni sulla grande massa e che anche un’organizzazione piccola può essere alla testa di grandi masse. In questi anni la mancanza di una politica di classe, marxista, ha contribuito a sottomettere gli operai ai partiti borghesi. Evidente a tale riguardo è la divisione prodotta dalla separazione fra lotta economica e politica, che ha visto da una parte coloro che lottavano per costruire il “sindacato di classe” e dall’altra quelli che concepivano la lotta politica come mera lotta parlamentare e istituzionale. Concezioni che hanno cristallizzato la frammentazione e favorito la dispersione delle lotte in mille rivoli di conflitti parziali, in aziende, fabbriche, settori produttivi e territorio portandole, a volte anche di là dalle loro intenzioni, tra le compatibilità borghesi. La divisione delle organizzazioni rivoluzionarie - in Italia come altrove - non è solo soggettiva e organizzativa, deriva da condizioni materiali e storiche. Il capitalismo e l’imperialismo, da sempre, corrompono strati di
aristocrazia operaia e dirigenti di movimenti pseudo-rivoluzionari, concedendo briciole derivanti dai sovrapprofitti a capi e capetti che si ritagliano i loro piccoli spazi e prosperano nelle nicchie del sistema. Quindi, anche se la classe è una, oggi purtroppo sono molte le organizzazioni e i partiti sedicenti “comunisti” che si arrogano il diritto di rappresentarla presentandosi come l’unico vero e autentico partito comunista. Spesso queste organizzazioni e mini-partiti - alcuni senza un operaio al loro interno - in concorrenza feroce fra loro, non riescono a trovare momenti di unità d’azione neanche nella lotta anticapitalista. L’avanguardia rivoluzionaria, i futuri capi del movimento operaio non possono essere che gli operai intellettuali, che uniscono pensiero e azione, operai che partecipano alla lotta di classe avendo assimilato la teoria rivoluzionaria della liberazione proletaria. Oggi molte “avanguardie comuniste” si sono diluite nelle lotte o inserite nei giochi del parlamentarismo borghese, costituendo agguerriti stati maggiori i cui capi sono sempre ospitati dai media borghesi in TV o sui giornali nella misura in cui si limitano a criticare aspetti secondari del capitalismo, limitandosi a proporre “miglioramenti”, senza mai evidenziare un progetto o una visione alternativa al capitalismo e dichiarare apertamente di lottare per distruggere lo Stato borghese a favore del potere proletario e del socialismo. Per questo è più valida che mai l’affermazione che “l’emancipazione della classe deve essere opera della stessa classe operaia”, anche se - come ricordavano Marx ed Engels nel Manifesto del Partito Comunista - “... questa organizzazione dei proletari in classe, e quindi in partito politico, torna ad essere spezzata in ogni momento dalla concorrenza tra gli operai stessi”. La classe operaia e il proletariato mondiale da troppo tempo non hanno un loro partito, una internazionale operaia comunista con sezioni nei vari paesi, con una strategia unitaria contro il capitalismo e l’imperialismo. La guerra di classe - che il capitalismo internazionale, l’imperialismo (nonostante le
contraddizioni fra blocchi imperialista contrapposti) conduce giornalmente contro i popoli oppressi e il proletariato per rapinare le materie prime, nella ricerca del massimo profitto - continua a produrre morti, feriti e invalidi in tutto il mondo e mai, come in questo momento, mette in pericolo persino la stessa sopravvivenza del nostro pianeta. La lotta fra le classi, sebbene latente in molte parti del mondo, in altre si manifesta violentemente. Le recenti lotte e sollevazioni popolari contro i governi (Francia) e regimi al servizio degli imperialisti in Cile, Ecuador, Bolivia, Haiti e la resistenza antimperialista–antisionista del popolo palestinese, dei popoli e governi venezuelano e siriano e altri che resistono alla penetrazione imperialista, per quanto importanti e che per questo vanno sostenute, hanno però il limite di non porsi l’obiettivo della distruzione del sistema capitalista/imperialista e della conquista del potere politico in mano alla classe operaia rivoluzionaria. La storia dimostra che anche le lotte più radicali per cambiare la realtà economica, politica e sociale responsabile dello sfruttamento capitalista necessitano di uno strumento in grado di unificare il proletariato e la classe operaia sui suoi interessi immediati e storici, per superare la frammentazione del proletariato, la divisione, e per la sua ricomposizione politica verso l’obiettivo dell’abbattimento del sistema capitalista. Oggi serve un’organizzazione unica del pro-
letariato rivoluzionario, la sola in grado di dirigere questo processo. Da troppi anni la classe operaia italiana è priva di un’organizzazione politica, di un partito comunista che dichiari apertamente di battersi per la distruzione del sistema borghese e per il socialismo. Davanti all’attacco borghese, oggi la lotta della classe oppressa e sfruttata ha necessità di superare le decine di organizzazioni sedicenti comuniste che disperdono in mille rivoli le poche avanguardie coscienti, facendoli combattere in ordine sparso. Quindi oggi non abbiamo bisogno di una formazione politica che agisca “in nome” del proletariato, ma di un’organizzazione, di un reparto d’avanguardia della classe operaia composta in maggioranza da appartenenti all’unica classe realmente antagonista al capitale: la classe operaia. Un’organizzazione di operai e proletari rivoluzionari, di militanti comunisti che hanno assimilato e praticano quotidianamente nello scontro di classe e nel conflitto sociale la teoria della liberazione del proletariato dallo sfruttamento. Bisogna ripartire dalla materialità dei rapporti di produzione, dalla centralità della classe operaia e proletaria che, al di là della sua coscienza attuale, ha interessi antagonistici al capitale. Rimettere al centro del lavoro politico rivoluzionario la centralità della classe significa usare e applicare il marxismo leninismo come una guida per l’azione. Il proletariato liberando se stesso libera tutta l’umanità.
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La solidarietà è un’arma ‘Liberi dai decreti Salvini’, ‘Prato sta con gli operai’ redazione nuova unità, Firenze “Una manifestazione così a Prato non si vedeva da tempo”. Così dicevano i pochi pratesi partecipanti al corteo di sabato 18 gennaio, ma neppure si era mai visto un così enorme spiegamento di polizia. I lavoratori del Si Cobas si erano mobilitati, con delegazioni provenienti da altre città, per rispondere alla repressione che ha colpito 21 operai della tintoria Superlativa: senza stipendio da 8 mesi e raggiunti da multe di 4000 euro ciascuno per aver protestato, secondo i decreti Salvini. Si Cobas che non è rimasto solo. Alla chiamata hanno risposto i sindacati di base (Cub-Cobas-USB), il Coordinamento lavoratori/lavoratrici autoconvocati per l’unità di classe, delegati di fabbriche come Piaggo di Pontedera e GKN di Firenze che fanno capo alla Fiom, i cassintegrati del Camping Cig di Piombino, alcuni rappresentanti dei centri sociali e di qualche forza politica, tranne ovviamente il PD e la Cgil che si è pronunciata con un vergognoso comunicato. Voci “fuori dal coro” due consigliere comunali, alcuni iscritti alla Cgil, quella dell’ex sindaco di Montemurlo ed ex sindacalista Cgil Mauro Lorenzini che ha detto: “Non possiamo chiudere gli occhi difronte a queste situazioni e a forme di schiavismo sul lavoro che a Prato ci sono. Il mio partito, il Pd, deve aprire una riflessione vera e intervenire con maggiore decisione”. Ancora ci crede? Una manifestazione contro la limitazione delle libertà democratico-borghesi anche
in seguito alle decisioni del sindaco di Prato, il PD Matteo Biffoni che, con prefetto e questore, aveva stabilito un percorso di corteo di 700 metri negando la possibilità di snodarsi in centro e raggiungere il Comune. Che, invece, considerato il numero dei partecipanti, ha proseguito fino al Comune dove, ovviamente, alla fine dell’iniziativa la polizia ha affermato il suo pugno duro scagliandosi contro quelli rimasti in piazza. Il sindaco si infuria e chiede che il questore lasci la questura; il segretario provinciale del Pd Gabriele Bosi dice che “Questore e Prefetto devono rispondere dell’incapacità di gestire in modo serio e corretto quanto avvenuto oggi a Prato”, il consigliere regionale Nicola Ciolini sostiene che “chi aveva il compito di garantire l’ordine pubblico in città dovrà assumersi la responsabilità di quanto successo”. E, per non essere da meno, il deputato Antonello Giacomelli, sottolineando la gravità di quanto accaduto, cioè del centro della città occupato da un corteo non autorizzato, si è impegnato a portare il fatto al Parlamento e al governo per l’avvicendamento di prefetto e questore. Tutte dichiarazioni che confermano che sul piano della repressione il PD può essere meglio della destra, infatti, nulla fa rispetto alla condizione di schiavismo degli operai pratesi, tantomeno delle sanzioni che devono pagare. È meglio stare dalla parte degli imprenditori. Gli organizzatori sono soddisfatti per la riuscita della manifestazione. Ora si tratta di vedere se la solidarietà e l’unità di classe dimostrata in questa occasione sarà portata avanti dai responsabili del SìCobas in base ai comuni interessi del movimento operaio e sindacale e non andrà dispersa a causa di posizioni settarie e di autorefenzialità. E restiamo anche in attesa degli sviluppi sul piano sindacale per portare avanti gli obiettivi che sono stati posti.
Non basta una manifestazione per rispondere all’attacco padronale finalizzato a minare la capacità di azione e lotta di tutti i lavoratori, per fare avere i salari arretrati agli operai, per risolvere il problema delle sanzioni e la richiesta dell’abolizione dei decreti Salvini per i quali non basterà certo la sola attività sindacale. I lavoratori di Prato devono fare i conti con i padroni normali, con i padroni che operano fuori dalla “legalità” legati a varie mafie, che usano il lavoro nero senza rispetto dei con-
tratti e di ogni norma sulla sicurezza, che abusano della mano d’opera immigrata. Devono fare i conti con una CGIL (al pari di Cisl e Uil) che sa, ma non interviene e copre queste forme di supersfuttamento, legata com’è ad una amministrazione locale a guida PD che non vuole “rompere gli equilibri” consolidati nell’economia pratese, che invoca maggiore repressione poliziesca contro i lavoratori mentre copre sfruttamento e il supersfruttamento che si alimentano a vicenda e comunque fanno “ricchezza” per la città.
Sesto san Giovanni: impedito lo sgombero Per la casa contro gli sfratti. No alla guerra contro i poveri. La lotta (per ora) paga
redazione di Milano Martedì 21 gennaio, in via Gilberto Levi 22 a Sesto San Giovanni, un centinaio di compagni solidali in presidio ha impedito lo sfratto di una famiglia proletaria in sublocazione provocato dall’Amministrazione comunale. Ancora una volta la lotta ha pagato, la polizia presente insieme all’ufficiale giudiziario per lo sgombero prendendo atto della numerosa partecipazione al picchetto ha rimandato l’esecuzione per motivi di ordine pubblico. La famiglia sfrattata con bambini ha avuto la proroga fino al 12 marzo. La mobilitazione e il presidio organizzato dal Centro di Iniziativa Proletaria “Giambattista Tagarelli” di Sesto San Giovanni e dall’Unione Inquilini Nord Milano è proseguita poi con una conferenza stampa sotto il palazzo comunale in piazza della Resistenza. Sono intervenuti Michele Michelino (Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli), l’avvocato Gianluigi Montalto e Marco De Guio (Unione Inquilini), Moni Ovadia, e hanno portato la loro solidarietà anche don Gino Rigoldi e don Virginio Colmegna Presidente fondazione Casa della carità. Gli organizzatori hanno denunciato in un documento che: “L’Amministrazione ha
già tentato di sfrattare le famiglie che la precedente Giunta aveva ricoverato in subaffitto e nei residence in attesa di un’assegnazione in emergenza, ma l’aveva fatto in modo maldestro e illegale, per cui eravamo riusciti a bloccare gli escomi. Ora Sindaco e Assessore sono tornati alla carica concordando con i proprietari di case l’interruzione anticipata dei contratti e rifiutando il pagamento del dovuto ai residenti, anche se le famiglie ospiti continuano a pagare la loro pigione mensile. Nei prossimi mesi se non metteremo in atto le iniziative necessarie, più di 40 famiglie saranno buttate in mezzo alla strada con decine di bambini piccoli, che pagheranno le conseguenze più gravi di una politica abitativa del Comune basata sulla disumanità e la discriminazione. La Regione ha previsto che le pratiche di assegnazione in corso siano portate a termine, ma a Sesto la legge non è rispettata, la graduatoria delle emergenze nella quale sono collocate le famiglie non viene attivata, gli alloggi provvisori non sono messi a disposizione e gli affitti di alloggi privati finanziati con fondi regionali per impedire lo sfratto senza soluzioni non vengono stipulati. Il prossimo 26 febbraio è previsto lo sgombero del Residence Puccini e nove famiglie finiranno in strada, anche se stanno pagando il canone, perché il Comune si è trattenuto i soldi e si è fatto fare uno sfratto per morosità. Il comportamento della Giunta leghista è assolutamente inqualificabile e inaccettabile. Viviamo in una società che vuole essere civile, non accettiamo la cancellazione dei diritti, le vendette sulla pelle dei più deboli,
le discriminazioni nei confronti dei poveri. Chiediamo che le famiglie vengano rialloggiate utilizzando la normativa regionale e nazionale esistente: Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 20202022 articolo 1, comma 234 Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione e DGR XI/2065 del 31/7/2019. La presenza al picchetto antisfratto è un atto dovuto, un dovere morale. Chi non vuole vedere, chi sottovaluta quanto sta accaden-
do, si assume la sua parte di responsabilità dentro una politica complessiva di guerra contro i più deboli in difesa dei presunti privilegi che secondo qualcuno dovrebbero spettare a chi è nato nell’agiatezza”. Ora la lotta continua per impedire il prossimo sgombero annunciato il 26 febbraio. http://ciptagarelli.jimdo.com/ http://www.comitatodifesasalutessg.com/ https://www.facebook.com/sindacatocasauisestosg/
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Il progetto della borghesia Documento: dalla deindustrializzazione al capitalismo 4.0: obiettivi economici della borghesia lombarda e il suo attacco frontale al comunismo Nell’ennesima fase in cui il calo del saggio di profitto obbliga il capitalismo a cambiamenti radicali nella struttura produttiva e, quindi, nell’organizzazione del lavoro, i comunisti devono capire per primi come il capitalismo si sta ristrutturando per poter agire e non alienarsi dalla realtà e dalla classe di riferimento. Le condizioni materiali di vita determinano le forme assunte da diritto, politica, filosofia, arte, religione… quindi la realtà economica è la sola che vale la pena di studiare. Marx anticipava il concetto di primato dell’economia su ogni altro ambito della vita. Se il nostro scopo è combattere e sconfiggere il capitalismo, e non possiamo farlo senza l’antagonista di classe, ossia senza i lavoratori, e poiché il capitalismo occulta lo sfruttamento, scambiando per relazione tra cose e merci i rapporti fra gruppi umani, i rapporti di forza fra classi (feticismo della merce), per essere utili ed efficaci dobbiamo comprendere come il capitale progetta l’organizzazione produttiva, per capire come sfrutterà il lavoro e quindi come i comunisti devono attrezzarsi per capire e combattere uno sfruttamento di tipo nuovo. Non averlo compreso in passato e non aver agito di conseguenza ha determinato l’attuale sconfitta.
A questo scopo la storia del nordovest milanese è esemplare Era un’area di insediamento della grande industria (l’Alfa Romeo e la raffineria più grande d’Europa ne sono solo gli esempi più conosciuti). Era un’area fortemente politicizzata e sindacalizzata e, addirittura, radicalizzata (erano presenti nel territorio cellule BR all’Istituto Tecnico Industriale Cannizzaro di Rho, all’Alfa Romeo di Arese, di Bollate era il Bonisoli che fece parte della cellula che attaccò la scorta di Aldo Moro, persino l’oratorio di Pero era un laboratorio politico di estrema sinistra con un prete estremista ed era frequentato da figli di operai dei grandi insediamenti industriali della zona e che aderirono ad organizzazioni extra parlamentari o di lotta armata). Lo smantellamento di queste due aree produttive è questione cruciale che non abbiamo saputo veder per tempo, analizzare e quindi contrastare efficacemente. La deindustrializzazione del nord-ovest milanese rappresenta un momento centrale di raccordo fra le scelte neoliberiste del capitalismo mondiale e l’attuazione di tale modello da parte del capitalismo italiano. Evidentemente una storia che parte da lontano. Una storia che è la realizzazione della strategia del capitalismo mondiale con tappe chiare e rintracciabili; una storia che inizia con la decrescita dei tassi di profitto industriali negli Usa dagli anni ’70 e la crescita del petroldollaro. È il momento il cui capitale decide che è più conveniente spostare gli investimenti dall’economia reale a quella finanziaria e gli interventi legislativi a livello globale sono immediatamente conseguenti: nel 1979 la deregulation finanziaria determina la riaffermazione del modello liberista, l’inizio della fase delle liberalizzazioni e della distruzione del Welfare State là dove esisteva. Intanto l’imperialismo (Vietnam) crea il suo abisso finanziario che provoca la crescita incontrollata del Debito Pubblico cui gli USA reagiscono iniziando a stamparsi la moneta fuori da ogni vincolo. Le conseguenze non si fanno attendere: speculazione su cambi valutari e sempre più voglia dei grandi capitali di investire in finanza. Negli anni ’80,
con il modello socialista ormai in crisi, si realizza l’egemonia economica e culturale degli Usa in un mondo sempre più unipolare e privo di alternative sistemiche: edonismo reaganiano e yuppismo italiano, il modello “Milano da bere” promuovono una crescita con ulteriore indebitamento pubblico e privato. Intanto in Italia nel 1981 si realizza il divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia con un’ulteriore crescita Debito Pubblico, una decrescita dei tassi di profitto industriali e una crescita degli investimenti finanziari speculativi. Il capitali-
ne del lavoro produttivo, la parcellizzazione del mondo del lavoro, che la politica e leggi avrebbero assecondato la borghesia perché lo Stato è borghese ed è strumento della classe dominante. Ma la borghesia è stata più capace di noi, già divisi e marginali e, da lì a breve, privi di ogni riferimento organizzativo nazionale e internazionale. E la borghesia iniziò il suo attacco senza trovare alcun ostacolo. Nel 1990 Amato, per ridurre il Debito Pubblico, sdoganò privatizzazioni, ticket sanitari,
incapaci di incidere. Il capitalismo ha conseguito il suo obiettivo. Ma tutto ciò non basta. È necessario dare il colpo di grazia. Il capitalismo non è certo buonista come certa sinistra… Ed ecco il nuovo cambiamento: il capitalismo 4.0, industria 4.0, smart economy, Internet of things. Un uovo modello di produzione e gestione aziendale. Non è la robotica. L’ignoranza dei comunisti rispetto a questo tema non è tollerabile per chi pretende di occuparsi di lavoro e lavoratori.
smo era chiaramente cambiato. Gli servivano quindi leggi per assecondare l’ulteriore concentrazione della ricchezza. Quindi attacca il Debito Pubblico e costruisce l’idea che il Debito possa essere ridotto e controllato solo attraverso la distruzione del Welfare e l’affidamento dei servizi alla gestione privatistica “più efficiente e meno costosa per la collettività”; ha bisogno di liberare capitali per le speculazioni e lo fa costruendo l’idea di un nuovo modello urbano che necessita della deindustrializzazione per aumentare la qualità della vita della collettività; tenta la strada delle delocalizzazioni. Il vero obiettivo è la distruzione della fabbrica e del lavoro garantito da diritti, troppo costoso per una borghesia accaparratrice, la distruzione della coesione di classe, perché la sua parcellizzazione, oltre che indebolire progressivamente le sue possibilità di lottare, faranno prevalere la cultura individualista e qualunquista, ossia il mare in cui il liberismo può spadroneggiare. Non è casuale la sequenza degli eventi: settembre 1980 crisi della Fiat con 15000 licenziamenti (mobilità) e sconfitta sindacale con cui inizia la fase discendente per il movimento operaio; 1985 il PCI e la CGIL vengono sconfitti nel referendum sulla scala mobile; nel 1987 l’Alfa Romeo passa dallo Stato alla Fiat e i lavoratori da 18000 diventano 4000. Intanto si sviluppava il dibattito intellettuale. In quegli anni alla Statale di Milano si discuteva ancora negli storici cortili e nelle aule occupate: studi come quelli di Sapelli “Sul capitalismo italiano” o “Cleptocrazia” palesavano il concetto di capitalismo italiano come capitalismo straccione e parassitario abituato ad appoggiarsi allo Stato con la collettivizzazione del debito privato e anticipavano l’inchiesta Mani Pulite. Eravamo perfettamente in grado di comprendere che la costante della politica industriale in Italia era il rapporto industria/politica. Capivamo tutto sui bassi saggi di profitto industriali che necessitavano di una riduzione dei costi per liberare i capitali e destinarli agli investimenti finanziari; sapevamo che la politica non avrebbe fatto altro che assecondare con leggi questo processo di deindustrializzazioni garantendo la terziarizzazione, le delocalizzazioni, le esternalizzazioni; dicevamo altrettanto chiaramente che l’obiettivo del capitale era la distruzio-
ICI, blocco delle assunzioni e aumento dell’età pensionabile. Intanto nel 1989 crollava il Muro di Berlino, nel 1990-91 crollava l’URSS, nel 1991 chiuse i battenti il PCI, nel 1992 firmarono il Trattato di Maastricht. L’obiettivo principale di Maastricht fu da subito la stabilità dei prezzi che implicava chiaramente l’abbattimento dell’inflazione; per contrastare l’inflazione era necessaria una decrescita dei consumi e quindi il blocco salari; per evitare gli aumenti salariali era necessario distruggere la possibilità di lotta da parte dei lavoratori: alla borghesia servivano leggi per distruggere il lavoro stabile e la collaborazione sindacale. Infatti nel 1993 passa la concertazione sindacale, nel 2003 la Legge Biagi, nel 2014 il Testo unico sulle rappresentanze. L’attacco alla libertà sindacale e al diritto di sciopero è frontale perché è l’unico strumento dei lavoratori per attuare la lotta di classe, come ci disse Gramsci “gli operai non devono dimenticare mai che dai padroni otterranno sempre per quanto saranno forti”. I dati del 2010 ci dicono che gli scambi mondiali per merci e servizi hanno un valore di 19.500 miliardi di $ mentre transazioni finanziarie sono di 3,6 miliardi di dollari (un valore di 200 volte superiore!). Ma i soldi che vanno all’economia finanziaria vengono comunque dall’economia produttiva: le merci producono denaro che va alle banche che danno capitale da prestito. Marx ci diceva che il denaro fabbrica denaro. Quindi a chi chiede buone leggi (tutti indignati e riformisti) dobbiamo rispondere che “non sono le leggi a determinare i rapporti sociali ma i rapporti sociali a determinare le leggi “ (Gramsci). Non servono buone riforme ma togliere il potere economico al capitale. Ora, 2019, nel nord-ovest milanese, al posto delle grandi fabbriche, abbiamo: uno dei centri commerciali più grandi d’Europa, logistica e terziario, lavoro precario e senza regole, il 20% delle case di proprietà delle famiglie dei lavoratori sono finite all’asta, un tasso di abbandono scolastico al 4% e in crescita, un’evidente proletarizzazione del ceto medio con fenomeni di radicalizzazione politica attestati sul populismo leghista e neofascista. Abbiamo partiti comunisti divisi e marginali, sindacati padronali che assecondano mobilità e licenziamenti, sindacati di base troppo impegnati a difendere il proprio orticello e
Il Mise definisce l’industria 4.0 come “macchinari connessi al web, analisi delle informazioni ricavate dalla rete e direttamente dai consumatori per gestire flessibilmente il processo produttivo”. In pratica, dalla rete arrivano informazioni su gusti e ordini, si analizzano punti di forza e debolezza della produzione, si adatta attraverso l’informatica in tempo reale la produzione al mercato. Ansip, vice presidente della commissione europea per il digitale afferma: “l’Ict è il settore che cresce di più, il mondo sta andando online, dobbiamo avere connettività globale per creare crescita sostenibile, dare forza a start up e pmi; l’economia digitale renderà il mondo più equo, con maggiore inclusione sociale e più ricchezza a lungo termine per tutti”. Nel 2018 i dati Iulm dicono che: “solo il 20% delle aziende italiane dichiara l’effettiva adozione di soluzioni di Intelligenza Artificiale, uno scenario di scarsa consapevolezza su cos’è: sul fatto che intelligenza artificiale è l’abilità dei computer di svolgere funzioni e ragionamenti tipici della mente umana; applicata alla produzione rappresenta una nuova rivoluzione non solo industriale ma anche sociale e umana”. In Italia sembra evidenziarsi una carenza di risorse economiche da destinare all’industria 4.0 a causa di una struttura produttiva storicamente parcellizzata e fondata su pmi, a causa di una carenza tecnologica cronica e di personale adeguato. Quindi si rischia di avere un sistema a due velocità “AIDivide”: poche grandi imprese affronteranno questa trasformazione e troppe imprese pensano invece che non sia adatta a loro. Intanto Confindustria ringrazia il Governo: “grazie al Governo e al Piano Impresa 4.0 (credito d’imposta per chi investe) avremo un forte aumento nei comparti strategici industria, building, energia e infrastrutture” (tutti settori ad alta intensità di capitale) e chiede al Governo nuovi finanziamenti per infrastrutture e per creare il portare Piano Impresa 4.0 nel settore delle costruzioni al fine di realizzare Edificio Sostenibile 4.0, ossia un passo verso la “città elettrica del futuro”. Arrivano anche i primi dati: le imprese che hanno adottato il modello 4.0 hanno avuto una crescita di fatturato del 58% ma l’86% delle imprese segnala difficoltà a reperire ingegneri e tecnici e segnala difficoltà nel mantenere i livelli occupazionali del personale non qualificato. In Italia (dati Osser-
nuova unità 1/2020 vatorio Industria 4.0 della School of Management del Politecnico di Milano) a giugno del 2018 l’industria 4.0 era in crescita del 30% e in Lombardia la sua maggiore localizzazione (guarda caso con immediata recessione occupazionale pari a -1%). Ancora una volta il nord-ovest milanese sarà il laboratorio in cui la borghesia sperimenterà le sue nuove forme di accumulazione. Un laboratorio progettato fin dal 1996 dal “celeste” Formigoni su mandato di “poteri celestiali invisibili”: Malpensa, il polo fieristico Rho-Fiera, Expo, Il centro commerciale di Arese, il futuro “mall” (centro commerciale camuffato da un nuovo nome visto che i centri commerciali sono in crisi in tutto il mondo) di Cascina Merlata, il post Expo con Mind (Milano Innovation District), chilometri di rete stradale, Alta Velocità, prolungamento della metropolitana. A fronte di tutta questa “celestiale bellezza” in tre mesi sono aumentate le crisi industriali improvvise e le “crisi” di aziende sane. Un esempio? L’Ex Iveco, ora Cnh Industrial di Pregnana Milanese, multinazionale del gruppo Exor (famiglia Agnelli) che chiuderà nel 2020 lasciando a casa 300 lavoratori oltre i lavoratori delle 40 società in appalto e delle 110 aziende dell’indotto. Chiuderà pur essendo considerata un modello per produttività, organizzazione e utili. Chiuderà perché gli Agnelli hanno deciso, con il piano “transform 2 win”, di centralizzare la produzione a Torino dove investiranno in industria e logistica 4.0 e, grazie ai finanziamenti Ue al sostegno di Trump all’agricoltura statunitense, investiranno nel green e macchine agricole. I lavoratori italiani coinvolti nella riorganizzazione saranno 17.000 e almeno 700 i licenziati perché non qualificati per il nuovo modello industriale. Nelle numerosissime assemblee pubbliche tenutesi dal 2017 in poi ci è stato detto: “l’area Expo sarà il laboratorio sociale di tutti i cambiamenti 4.0. Infatti diventerà “Parco della scienza e dell’innovazione” sul modello della Silicon Valley. Il tutto sarà gestito da progetto MIND, Milano Innovation District di Lenlease (società australiana che fattura 50 miliardi di euro anno e ha ottenuto una concessione di sfruttamento su area expo per 99 anni; dovrà gestire 1.000.000 mq dentro Expo di cui 250.000 mq. a suo piacimento). È uno sviluppo privato dell’area e il privato è svincolato dalle procedure del codice d’appalto e quindi sarà tutto più facile da gestire per i privati che vogliono insediarsi. Ma Mind avrà successo solo se il territorio asseconderà lo sviluppo e quindi servirà intercettare le PMI del territorio e il territorio dovrà fornire le competenze (scuole). Tutte le scuole dovranno collaborare (Rho ha tutti gli indirizzi delle scuole superiori). Dentro Mind ci promettono 50.000 posti di lavoro nuovi ma il territorio dovrà fornire competenze adeguate; inoltre arriveranno 60.000 persone al giorno che dovremo far insediare nel territorio rendendolo attrattivo. In Mind si insedieranno nuove multinazionali e migliori lavoratori che potranno insediarsi nel territorio se lo stile di vita che sapremo offrire sarà attraente. Mind sarà un ecosistema dell’innovazione e delle scienze della vita di livello internazionale. Bisogna investire e il pgt non dovrà essere un ostacolo. Ad oggi l’area industriale di via Risorgimento - che ha 173 fabbriche con 3300 lavoratori - ha pgt a bassa trasformabilità; bisogna cambiarlo per poter cambiare la destinazione d’uso dei capannoni in commercio, ricettivo, indifferenza fra le attività, terziario, attività innovative 4.0 e anche attività tempo-
5 ranee. La popolazione mondiale ha un trend in crescita ma è in declino la capacità di crescita economica e c’è un aumento dell’età media; quindi bisogna migliorare la qualità della vita”. Il Presidente del Consiglio di Regione Lombardia ha affermato: “Rho è l’asse di sviluppo strategico dell’economia italiana, come previsto da Piano Formigoni del 1996 (Malpensa, Fiera, Expo, Parco scientifico); l’Alfa Romeo e la raffineria sono crepate ed è finalmente entrata la luce”. Ma vediamo “le magnifiche sorti progressive” in che cosa consistono. Il post Expo prevede, nel Parco della scienza, l’insediamento di: Human Technopole, un centro di ricerca sulla qualità della vita (7 ambiti di ricerca: genetica, dna, neurologia, alimentazione, sociologia e trasformazioni sociali…) e porterà almeno 1500 ricercatori reclutati in UE; Università Statale, attualmente distribuita su 13 poli, verrà raggruppata in 3 poli (Festa del Perdono, Città Studi, Expo). In Expo verranno 47 corsi di laurea con 20000 studenti e 2000 prof e ricercatori. Scienze for Citizen formerà i migliori studenti che troveranno immediatamente lavoro nell’industria 4.0 o nelle multinazionali dell’area; L’Ospedale Galeazzi si trasferirà totalmente in Expo (sia ospedale che centro ricerca) in nuova struttura di 6 piani. Porterà: 1500 posti letto, 1000 lavoratori di personale ausiliario, 700 medici, 500 ricercatori, 5000 utenti al giorno. Ovviamente è gestito da una fondazione privata; Multinazionali prevalentemente chimiche, farmaceutiche e alimentari: alcune hanno già opzionato terreni in Expo e saranno tutte collegate a ricerche di Human Technopole, Università e Galeazzi. Il Post Expo avrà un impatto per 7 miliardi di euro di investimento, con ampliamento delle aree residenziali, dei servizi alle imprese, dei servizi alla persona e ricreativi e nuove infrastrutture con miglioramento della viabilità e dei mezzi pubblici. Ovviamente i Sindaci dell’area, indipendentemente dal colore politico, sono trasversalmente entusiasti. Il Sindaco di Rho (PD) dichiara: “obiettivo: post expo deve essere grande opportunità di trasformazione del territorio e Rho deve saper cogliere l’opportunità diventando area di stanziamento stabile dei nuovi lavoratori e studenti (non seguire esempio di Città Studi che di sera è zona morta). Via Risorgimento (zona industriale) non deve essere una barriera a questo sviluppo, non deve essere una barriera tra post Expo, Rho e Arese ma deve diventare un grande boulevard che unisce il post Expo a Rho e al centro commerciale di Arese e al centro commerciale di Cascina Merlata (fra Pero e Milano)”. Dichiarazione di Assolombarda: “ Le aree da trasformare sono Ex Alfa Romeo, Cascina Merlata, post Expo, Bovisa e lo Scalo Farini. Bisogna creare infrastrutture a carico del pubblico e far riferimento al documento di Assolombarda “Il futuro del lavoro” per assecondare crescita. Ogni giorno arriveranno a Rho 60000 persone (oggi ha 50000 residenti) e quindi fuori Expo l’ambito trasformabile dovrà essere su 5 comuni con 3.000.000 mq per nuove costruzioni, terziario e residenziale. Bisogna investire in mobilità, scuola, tempo libero, sport, socialità, immobili residenziali. Bisogna aumentare la qualità urbana. Il progetto si svilupperà fra il 2018 e il 2023”. Alla domanda: “ma se la zona industriale di via Risorgimento dovrà diventare un grande boulevard dove finisce il lavoro?” Non otteniamo nessuna risposta se non “il lavoro non è competenza
dei Comuni”. E invece noi sappiamo cosa succederà e la nostra pratica politica lo conferma immediatamente. Alla prima giornata di apertura dello “Sportello Lavoro Rhodense”, servizio che abbiamo inaugurato proprio nell’autunno in collaborazione con altre organizzazioni sindacali e politiche del territorio nell’ambito del coordinamento di lotte del Nord-Ovest Milanese, servizio che abbiamo voluto perché coscienti che la situazione lavorativa peggiorerà velocemente, immediatamente si sono presentate lavoratrici di un’azienda francese in via Risorgimento che chiuderà a breve. L’impresa ha deciso di accentrare la produzione in Francia sviluppando il modello 4.0 (grazie a finanziamenti UE e del governo francese) e quindi abbandonerà l’Italia licenziando e risparmiando. Inoltre il proprietario del capannone in cui l’impresa è attualmente localizzata sembra essere molto contento della decisione perché potrà finalmente vendere l’area a impresa ricettiva multinazionale. Sessanta lavoratori dequalificati italiani saranno disoccupati, l’azienda accentrerà la produzione in madrepatria grazie ad investimenti pubblici che le consentiranno di riconvertirsi in modello 4.0 e aumentando gli utili, a noi resterà l’ennesimo grande hotel con lavoro a chiamata per giovani che si abitueranno al precariato perenne.
Il progetto sociale della borghesia D’altro canto la borghesia lombarda ha già presentato il suo piano pubblicamente. A maggio 2018 Assolombarda ha presentato alla regione Lombardia “Il futuro del lavoro”, libro bianco sul lavoro. Non è un libro di ciò che gli imprenditori desiderano ma di ciò che ordinano alla politica di fare, di ciò che dovrà essere il futuro del lavoro, ma non solo. È stato definito il Main Kampf della borghesia lombarda. In sostanza la borghesia dichiara chiusa la fase delle delocalizzazioni in questa nuova fase della globalizzazione, in cui il mercato interno del lavoro, totalmente ormai deregolamentato, offre migliori opportunità di sfruttamento in patria perché maggiormente qualificato e adatto a sfruttare l’occasione della rivoluzione 4.0. Nell’organizzazione del lavoro dell’industria 4.0 non esiste più l’orario di lavoro e il luogo di lavoro, il salario non è più rapportabile al tempo e al luogo in cui il lavoratore viene usato ma solo alla performance del lavoratore, alla sua individuale abilità e utilità per l’impresa. Il mercato del lavoro dovrà essere caratterizzato da un nuovo concetto di stabilità “non più basata sul posto di lavoro ma sulla costruzione di carriere discontinue”. Ma il piano della borghesia lombarda va oltre l’impresa. Il libro bianco presenta un quadro chiaro del progetto sociale della borghesia. L’invecchiamento della popolazione comporterà forti pressioni sulla sostenibilità del welfare che non potrà più essere universale ma necessariamente aziendale, la contrattazione dovrà essere aziendale, tutti gli elementi poco produttivi (ammalati, cronici, disabili) dovranno essere resi più produttivi, le donne dovranno sostituire la maternità con voucher per il pagamento di baby-sitter, la rappresentanza dei lavoratori deve recepire gli accordi fra le parti, gli studenti dovranno iniziare l’alternanza fin dalle elementari visitando le aziende del territorio, i manager potranno insegnare in aula con pari dignità degli insegnanti, il diritto del lavoro dovrà essere semplificato per “non essere
pregiudizialmente ostile all’impresa”. Un progetto complessivo di società totalmente assoggettata agli interessi esclusivi dell’impresa. La borghesia afferma: “con l’avvento della IV Rivoluzione Industriale… emerge una rinnovata relazione tra aree urbane, territorio e catene globali del valore… la dimensione globale non esaurisce lo spazio delle imprese … esiste oggi un ruolo fondamentale nel livello locale e territoriale che, proiettandosi verso il mondo, cambia volto … questo avviene mediante la costruzione di ecosistemi e hub territoriali che sappiano attrarre tutti gli attori che concorrono a creare valore… la fabbrica non è più soltanto un perimetro entro il quale avviene la produzione, ma si sviluppa orizzontalmente giungendo a coincidere con un’intera area urbana e con il territorio circostante. I modelli di integrazione locale partono quindi dall’impresa e si allargano intercettando tutto ciò che può portare valore all’impresa … infrastrutture fisiche e digitali, scuole che forniscono competenze, università, parchi scientifici, centri di ricerca completano lo sviluppo in house, istituzioni garantiscono infrastrutture materiali e immateriali … una geografia dei lavori che avrà sempre più come stella polare le competenze e la qualità del capitale umano”. Tutto questo è Mind! Tutto questo sta già avvenendo nella Silicon Valley italiana, in una frazione che si chiama Mazzo di Rho… E non basta. Il vero scopo del libro bianco della borghesia è l’attacco frontale al comunismo. Non può essere un caso che il libro bianco di Assolombarda inizi proprio con la seguente affermazione: “gli ultimi anni hanno fatto registrare ampi miglioramenti nel mercato del lavoro e nella sua regolamentazione ma lo scenario presenta ancora molti elementi di criticità e, soprattutto, continua ad essere caratterizzato da contese ideologiche e politiche, con preoccupanti orientamenti di ritorno al passato. Non sorprende quindi, il cospicuo divario che ci allontana dal resto d’Europa su tutti i principali indicatori del mercato del lavoro a partire dal nodo della produttività”. Quindi se vogliamo resistere e tornare ad essere efficaci e percepiti come utili dobbiamo non abbandonare il metodo del materialismo storico: è il metodo la nostra arma vincente che ci consente di non scollarci dalla realtà. Non siamo più negli anni ‘70, comprendere la nuova fase del capitalismo, usare i suoi stessi strumenti e a volte il suo stesso linguaggio, essere coscienti della sua forza, sapere che loro sanno di noi e organizzarci di conseguenza; studiare il nemico, l’economia, il capitalismo e la struttura produttiva; di conseguenza chiederci cos’è il proletariato oggi e cosa sarà nel futuro e, se sarà sempre meno una tuta blu e sempre più un tecnico. Come superare la separatezza attuale, che si amplierà in futuro, fra comunisti e proletariato e nuovo proletariato? Tre sono le nostre lotte: economica, politica, ideologica. In questa fase di resistenza: presenza nei sindacati, organizzazione politica per organizzare i lavoratori per combattere le sconfitte e garantire ai lavoratori rapporti di forza adeguati nello Stato borghese verso il Partito che faccia lotta ideologica e ogni membro sia un dirigente attraverso la preparazione ideologica e di massa. Non può essere un processo di ricostruzione accelerato ma deve essere iniziato prima possibile per occupare quello spazio politico che la stessa evoluzione dello sfruttamento potrebbe creare.
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La nuova Russia del capitalismo eltsiniano-putiniano Fabrizio Poggi Per qualche ragione, l’atteggiamento di molta pubblicistica di sinistra (qualunque significato si attribuisca al termine) nei confronti della Russia odierna si divide in due grandi filoni. Da un lato, la venerazione di tutto quanto proviene da Mosca, ignorando persino le critiche rivolte al Cremlino dal KPRF di Gennadij Zjuganov (non certo un partito “bolscevico”), di cui, pure, spesso ci si fa portavoce. Dall’altro, il completo silenzio su qualsiasi manifestazione dell’opposizione che non sia quella liberal-borghese o confessionale, come se altra non ne esistesse. Raro leggere qualcosa, ad esempio, sui 200 dipendenti licenziati dai supermarket SPAR e SemJA di Pietroburgo, caricati il 30 dicembre dalla polizia mentre stavano picchettando gli uffici di Intertorg, chiedendo il pagamento di 10 milioni di rubli di salari arretrati. Lo stesso giorno, a Mosca, una cinquantina di custodi addetti a manutenzione e pulizia dei caseggiati del rione “Lomonosov” avevano chiesto un incontro con l’impresa, per lamentare l’organico ridotto alla metà, il non esser ammessi al convitto se non dopo le 18, anche se malati (sono tutti migranti da altre Repubbliche dell’ex URSS, privi di abitazioni, con salari dai 20 ai 27mila rubli: 3-400 euro) mancata fornitura di tenute invernali e di materiali. Il direttore li sbatte fuori dell’ufficio e loro cominciano la protesta in strada. Risultato: tutti alla stazione di polizia e in tribunale. A metà dicembre c’è stata una settimana di “sciopero all’italiana” (seguendo alla lettera regolamenti e istruzioni) dei conducenti di tram a Pietroburgo, contro la videosorveglianza e la perdita dei premi alla minima infrazione. Si chiedeva anche la modifica dell’impianto salariale, che ora dipende dal numero di corse, il che li costringe a velocità pericolose, con conseguenti incidenti, anche mortali. Manifestazioni di protesta si sono avute al cantiere navale di Kostroma, per i salari in arretrato di due mesi; uno sciopero dei caldaisti a Blagoveščensk, per un ritardo di sei mesi; a fine dicembre avevano manifestato i mille lavoratori moscoviti dello stabilimento di Karačarovskij, contro la liquidazione dell’azienda. Ma, per molti lavoratori, non c’è alcun contratto e non conoscono il padrone, che si rivolge loro via Instagram. Cose che accadono quotidianamente in ogni paese capitalista che si rispetti. Denis Šafen, presidente del sindacato regionale di Murmansk per la S.p.A. “Tander”, da cui dipende la catena alimentare “Magnit”, descrive la situazione in tali negozi. Non ci sono cassieri o magazzinieri: ci sono solo commessi; e per lo più donne, che lavorano 13-14 ore al giorno, con un breve intervallo per il pranzo. Sono loro a occuparsi di tutto: casse, prodotti sugli scaffali, spingono carrelli; si occupano spesso del controllo delle merci, che di solito si effettua alle 4-5 di mattina. Alla vigilia del controllo, preparano il negozio e dunque si trattengono fino all’1 e alle 2 del mattino. Tutto questo tempo, ovviamente, non è pagato come dovrebbe. Si riduce continuamente l’intervallo del pranzo; non si tien conto degli straordinari, che sono pagati una misera o non pagati affatto. Il salario ufficiale di un commesso, dice Šafen, è di 16-19.000 rubli, compresi i premi: ma di rado raggiunge il “minimo salariale”. Il salario base è 4.000 rubli e i premi sono a discrezione del padrone: il Codice del lavoro gli permette di pagarli o no. Poi ci sono le multe: una commessa sta togliendo i prodotti scaduti e all’improvviso la chiamano alla cassa, il controllore urla che è arrivato il camion e c’è da scaricarlo e lei non fa a tempo a mettere le etichette dei prezzi. Con una tale disorganizzazione, è impossibile che non ci siano mancanze e il padrone le compensa con le multe sui salari. Così che c’è un grosso ricambio di personale: spesso le persone se ne van-
no dopo il primo stipendio. A proposito del “minimo salariale”, si deve osservare che, secondo il KPRF, è oggi di 12.130 rubli, ossia 188 dollari, inferiore a quello della maggior parte dei Paesi latino-americani, dell’Africa sub-sahariana (Gabon: 270$; Guinea Equatoriale: 224 $) e persino dell’Ucraina, che lo ha ora portato a 199 dollari. La frazione del KPRF alla Duma aveva presentato un disegno di legge per portarlo a 25.000 rubli, ma vi si è opposto il partito governativo Russia Unita. La Federazione dei Sindacati Indipendenti, chiede addirittura un “paniere di consumo” minimo di 40.000 rubli.
Proteste, manifestazioni e scioperi ignorati dai mass media che si occupano solo dell’opposizione liberal-borghese o confessionale
La protesta operaia Pur se appare difficile parlare di movimento operaio vero e proprio, ancor meno guidato da organizzazioni di classe, proteste e manifestazioni operaie abbracciano più o meno tutta la Russia, anche se sui media occidentali non riscuotono la stessa visibilità dei “ragazzi di Navalnyj” o delle ONG liberal-religiose. Secondo la rete web “ZabastKom” (zabastovka= sciopero – dall’italiano “basta”) la maggior parte delle proteste operaie nel 2019 è stata innescata da bassi salari e ritardi nella riscossione: a luglio 2019, i lavoratori aspettavano ancora 2,57 miliardi di rubli. Rispetto al 2018, però, la causa primaria dei conflitti è passata dai ritardi (30,4% dei casi) ai livelli salariali (33,6%); seguono, chiusura di aziende, condizioni di lavoro, licenziamenti. La maggior parte delle vertenze si è registrata in trasporti, manifatture e sanità; quindi: industria estrattiva, edilizia, istruzione e scienza, servizi pubblici, commercio. Si è trattato per lo più di richieste rivolte direttamente al padrone, scioperi e manifestazioni, con alterni risultati. Oltre il 77% dei conflitti ha visto
Russia: nuovo governo, vecchia politica Il 15 gennaio, dopo aver prospettato di fronte all’Assemblea Federale una serie di ritocchi costituzionali, Putin ha congedato il governo di Dmitrij Medvedev e ha nominato premier Mikhail Mišustin. Nel suo discorso, Putin ha toccato appena alcuni problemi sociali più acuti - calo demografico, sostegno alle famiglie, sanità, salari ecc. – e ha quindi proposto: 1) affidare la nomina di Premier e Ministri all’Assemblea federale (Duma e Senato), che sinora poteva solo dare l’assenso ai nomi presentati dal Presidente; 2) istituzionalizzare il Consiglio di stato, cioè la futura poltrona per Putin stesso dopo il 2024; 3) far prevalere tutte le leggi russe sulle norme internazionali. Con i punti 1 e 2, si riducono i poteri del Presidente, per quando Putin non lo sarà più; con il punto 3, si annulla l’efficacia in Russia degli accordi internazionali, a partire dalle norme dell’Organizzazione internazionale del lavoro”. Per quanto riguarda le dimissioni del governo Medvedev, alquanto entusiasta il leader del KPRF, Gennadij Zjuganov: “Insistevamo da tempo per la formazione di un Governo di difesa degli interessi nazionali” e, nel segno della “concordia nazionale”, di cui è assertore, ha aggiunto “Spero che, tutti insieme, faremo un passo in avanti”. Meno ottimista il suo compagno di partito, Valerij Raškin: “di fronte alla profonda insoddisfazione del popolo, Putin “doveva pur sacrificare qualcosa e qualcuno”. L’ex deputato del KPRF, Ivan Nikitčuk, ha osservato che Putin “il problema chiave non lo ha nemmeno toccato: il fatto che un pugno di oligarchi derubi il nostro paese, creando così miseria di massa, mancanza di diritti, selvaggia stratificazione sociale”. Quali “interessi nazionali” intenda difendere il nuovo governo, è stato chiaro sin dal primo giorno: prima ancora della nomina ufficiale, incontrandosi la mattina del 16 gennaio con le varie frazioni alla Duma, Mišustin ha detto ai deputati di Russia Unita: “La cosa più importante è rimuovere le barriere per il business e ridurre i costi per il business”. Ai deputati del KPRF ha ribadito che la riforma che ha innalzato l’età pensionistica non si tocca.
una vittoria più o meno parziale e nel 35% dei casi le richieste dei lavoratori sono state pienamente accolte. Renat Karimov, leader del sindacato dei lavoratori migranti, dice che “il movimento operaio russo è abbastanza organizzato nei settori in cui i posti di lavoro sono legali e necessitano di lavoro specializzato: il settore dei trasporti, ad esempio, o dei marittimi. Ha avuto successo la lotta di piloti e assistenti di volo, contro la riduzione di giornate libere. Ma c’è un “settore” gigantesco di 15-20 milioni di persone, di fatto senza contratti: per quegli operai è molto difficile la difesa dei diritti”. Il vice presidente della Confederazione del lavoro, Oleg Šein, a suo tempo tra gli esponenti del RKRP, oggi deputato del socialdemocratico “Russia Giusta”, attacca il Codice del lavoro adottato nel 2001 (i precedenti risalivano al 1918, 1922 e 1971) che in pratica, dice, “aumenta l’orario di lavoro, con conseguente forte aumento degli incidenti. Col nuovo codice, inoltre, di fatto i sindacati hanno perso la possibilità di rappresentare i lavoratori. Occorrono cambiamenti nella legislazione sul lavoro” dice Šein, che “allarghino i diritti dei sindacati; ma ciò è possibile solo con cambiamenti politici, per i quali siamo molto indietro”. Karimov lamenta soprattutto la carenza di sindacati combattivi, di un forte partito proletario: le persone sono disperse, i conflitti di lavoro sono di natura locale, dice; non ci sono scioperi di solidarietà, che d’altronde sono proibiti dall’attuale legislazione. Attraverso il Partito comunista, i lavoratori sono rappresentati nell’arena politica, ma sono rappresentati in forma distorta, che non corrisponde al loro ruolo nella società. C’è molta ingiustizia sociale: le persone con ricchezze miliardarie continuano ad arricchirsi e i restanti milioni di persone diventano più povere”. Viktor Kotelnikov, sindacalista di Samara, dice che la mostruosa stratificazione tra ricchi e poveri porterà a un corto circuito. Si sono formate tre classi, dice: la prima è costituita dall’amministrazione feudale dei vertici del potere, che ci deruba con le imposte indirette; la seconda dai proprietari dei mezzi di produzione, proprietari di fabbriche, palazzi, navi. Infine, la classe operaia, che conduce un’esistenza miserabile: prima viene spolpata dai capitalisti; poi, ciò che rimane, va alla burocrazia.
Scelte liberali
Intanto, si riduce ulteriormente il controllo statale su imprese strategiche, quali Sovkomflot, RusGidro, Transneft, Rostelekom, Ferrovie, Aeroflot, Rosselkhozbank. Tutte aziende che nel 2018 avevano portato alle casse federali utili fino al 65% più del 2017. E le privatizzazioni portano al declino del potenziale industriale. Secondo lo scienziato Jurij Savelev, dalle “80mila macchine utensili prodotte nel 1985, si è scesi a 9.000 nel 2000, a 4.232 nel 2018. Compriamo tutto all’estero”. È così che si approfondisce sempre più il divario tra miliardari – i vari Potanin (Nornikel), Alekperov (Lukoil), Mordašov (Severstal), Abramovič (Evraz) - dei settori energetico, chimico, metallurgico, e il resto della popolazione: dal 2010 al 2019, i primi hanno incrementato i propri patrimoni di decine di miliardi dollari, mentre i redditi della popolazione sono diminuiti dell’8,3%. Pare che il 3% dei più ricchi detenga l’89% delle risorse finanziarie del paese. Secondo il KPRF, la povertà sta attanagliando sempre più non solo gli anziani, falcidiati dall’innalzamento dell’età pensionistica: il 61% delle persone tra i 18 e i 40 anni sarebbe oltre la soglia di povertà. Il “coefficiente Gini” del livello (da 0 a 1) di stratificazione sociale, dice l’analista Aleksej Korenev, è “oggi per la Russia di 0,44, più o meno lo stesso dell’impero romano al suo massimo splendore; mentre in epoca sovietica era di 0,25 e solo a fine anni ‘80 era salito
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Dalla Sicilia un grido contro l’imperialismo Usa! In questo gennaio 2020 la Sicilia alza nuovamente la voce per lo smantellamento di tutti i siti militari presenti sul proprio territorio
corrispondenza da Catania Sigonella è un aeroporto della Aeronautica Militare italiana che ospita, fin dalla sua nascita negli anni ’50, la Naval Air Station (NAS) dell’aviazione marina statunitense nonché funge da base per numerose operazioni NATO. Tale base militare sorge alle pendici dell’Etna, a 15 Km dal centro di Catania e a 12 Km. dall’aeroporto civile di Fontanarossa. Sigonella rappresenta la più importante base militare USA nel Mediterraneo per una serie di ragioni: Dal punto di vista geografico si trova esattamente al centro del Mar Mediterraneo, vicino paesi di grande interesse nella geopolitica moderna come Libia, Siria, Iraq, Turchia, Iran ecc. Si trova a 50 Km dallo scalo marittimo di Augusta, punto di attracco di navi e sottomarini USA. A soli 80 Km sorge il MUOS, potentissimo sistema di telecomunicazioni USA che permette il controllo da remoto di tutte le apparecchiature teleguidate militari nonché di navi, aerei e sottomarini dell’esercito statunitense in questa parte di globo. Sigonella è la base prescelta per ospitare i droni da ricogni-
zione e da attacco dell’esercito USA, da qui partono per le loro missioni di guerra per l’Africa e tutto il Medio-Oriente. Funge da punto di raccolta e smistamento di enormi quantità di viveri, armi, carburante e mezzi militari per tutte le missioni USA e NATO in Europa, Africa e Medio-Oriente. Negli ultimi anni tale sito militare ha visto un’enorme crescita in termini di truppe presenti, di armamenti, di tecnologie installate. Risulta evidente come il ruolo strategico di questa base stia crescendo grazie anche all’uso massiccio di droni a controllo remoto e all’uso del sistema MUOS, recentemente attivato dopo anni di battaglie della popolazione siciliana contro di esso. La recente escalation di violenze USA a danno dell’Iran ha alzato nuovamente l’attenzione sulla presenza di basi USA e NATO in Italia. Ricordiamo che l’Italia ospita il 15% delle truppe USA in Europa (oltre 16.000 unità), contro il 5% del 1991 e ben 113 basi USA e NATO presenti sul territorio. Tuttavia la storia di Sigonella e più recentemente quella del MUOS, sono state caratterizzate da anni di lotte e battaglie per la smilitarizzazione e contro l’imperialismo USA ed europeo.
continua da pagina 6 a 0,28: grosso modo quanto è oggi nei paesi scandinavi”. Ma, evidentemente, il governo giudica ancora troppo basso lo 0,44; ecco dunque che l’IVA, passata nel 2019 dal 18 al 20% per tutti, viene eliminata per quei “poveri” oligarchi “gravati” da sanzioni occidentali. Quanto a tasse, nulla di più sfacciato della flat tax: ci sono 5 diversi coefficienti (dal 9 al 35%, a seconda di stipendio, dividendi, obbligazioni, lotterie, ecc.), ma quello base, uguale per tutti, è al 13% e la maggioranza governativa alla Duma ha sempre respinto ogni progetto di tassazione progressiva. Non ha dubbi Nikolaj Arefeev del KPRF: “Il governo lavora per l’oligarchia! Se un oligarca viene privato di una proprietà da un tribunale straniero, viene compensato dal bilancio russo; se all’estero è soggetto a sanzioni, non paga le tasse in Russia”. È in questa situazione che si accentua il calo di popolazione che, scrive ROTFront “va avanti dagli anni ‘90, dalla vittoria del capitalismo. Un calo favorito da impoverimento, declino degli standard di vita, colpi ricevuti da istruzione e sistema sanitario, che hanno determinato il calo di aspettativa di vita e natalità, unite all’aumento della mortalità. L’innalzamento dell’età pensionabile sta ora facendo il resto”. Secondo il demografo Vladimir Timakov, “intorno al 2050 la popolazione russa sarà ridotta a circa 120 milioni, rispetto ai 146 attuali”: effetto delle riforme liberali eltsiniane, della catastrofica situazione economica e socio-assistenziale, che negli anni ‘90 e 2000 fecero registrare una “mortalità record”. Negli anni eltsiniani, dice Timakov “le perdite sono state di 12 milioni di nati in meno e 7 milioni di morti in più: un calo di 20 milioni di persone”.
Un nuovo zarismo? Se il KPRF dice che “il sogno dell’oligarchia al potere in Russia è di ripristinare il tipo pre-rivoluzionario di società divisa in ceti”, c’è chi replica che “abbiamo già una società di censo, medievale. Lo strato superiore dei ricchi detiene quasi tutta la ricchezza, commercia in risorse naturali, che invece dovrebbero appartenere al popolo”. Dunque, “come possono non sentirsi nuovi principi e conti, ai quali tutto è permesso e ai quali la vita sembra una fiaba? Hanno accesso alla migliore medicina, hanno residenza all’estero, i loro figli studiano all’estero. Chiaro che considerino tutti gli altri bestiame, come i servi della Russia zarista. Nel 1917 il popolo smise di sopportare, mentre oggi noi tolleriamo in silenzio”. In definitiva, si può concordare con i comunisti del RKRP, a proposito della famosa frase di Putin, che “il crollo dell’URSS è la più grande catastrofe geopolitica del secolo”. In realtà, il crollo dell’URSS rappresentò “un’intera serie di catastrofi: ideologica, socio-economica, demografica. Ma il liberale Putin si rammarica solo del lato geopolitico. Lui non rimpiange il sistema economico sovietico e le sue conquiste sociali: assenza di disoccupazione, istruzione e sanità gratuite. Oltretutto, su scala geopolitica, l’URSS non sarebbe stata un ostacolo, per i liberali, nel defraudare il sottosuolo e venderne il bottino. Putin si rammarica però solo del crollo geopolitico: non del sistema sociale”. È il capitalismo. Come diceva il vecchio Sismondi “L’uomo isolato accumulava i prodotti per utilizzarli dopo; l’uomo sociale vede ammassare il frutto dei suoi sudori da parte di colui che li godrà”.
Decine e decine le manifestazioni ed azioni portate avanti per chiedere lo smantellamento di questi siti di guerra e morte. A pochi giorni dall’attacco USA in Iran con l’uccisione del generale Soleimani, la Sicilia ricomincia a parlare di smilitarizzazione e di lotta anti-imperialista. La presenza di una base USA come Sigonella, insieme agli altri siti presenti in Sicilia, spaventa. Questi 50 anni di lotta per la smilitarizzazione dei territori siciliani hanno mostrato in modo chiaro cosa ha spinto decine di migliaia di persone a protestare contro le basi USA e NATO: sicuramente la paura del convivere con un luogo che ospita ordigni di ogni tipo, bombe nucleari ecc. sicuramente la paura di essere esposti a ritorsioni dei tanti, tantissimi, paesi attaccati dagli USA negli ultimi decenni, la paura di vedere le proprie città invase da migliaia di militari stranieri che imperversano senza regole e tutelati dal proprio governo (migliaia di incidenti stradali quasi sempre restati impuniti), la consapevolezza di essere indirettamente complici di quelle morti, di quelle guerre che a qualche migliaio di chilometri generano terrore. La lotta antimperialista è viva in questa terra, anche per un istinto di sopravvivenza. In questo gennaio 2020 la Sicilia alza nuovamente la voce per lo smantellamento di tutti i siti militari presenti sul proprio territorio, contro l’imperialismo, per la pace in Mediooriente e nel mondo. Sono stati subito organizzati alcuni eventi: l’11 gennaio ore 17,30 un presidio sotto la prefettura di Catania e il 12 gennaio ore 14,00 la manifestazione davanti la base di Sigonella sotto gli slogan MAI PIÙ AL SERVIZIO DI USA e NATO! STOP ALL’IMPERIALISMO! VIA TUTTE LE BASI MILITARI DALLE NOSTRE TERRE!
Auguri Attendiamo con ansia il rientro della compagna Daniela per il prezioso contributo che da anni fornisce alla redazione. Alla compagna, che ha subito un delicato intervento chirurgico, ma sta già riacquistando la sua caratteristica grinta, tutti i nostri fraterni auguri. I compagni della la redazione
nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) anno XXIX n. 1/2020 - Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Emiliano, Michele Michelino, Fabrizio Poggi, Daniela Trollio abbonamento annuo Italia euro 26,00 abbonamento annuo sostenitore euro 104,00 abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20 I versamenti vanno effettuati sul c/c postale nr. 1031575507 intestato a: nuova unità - Firenze
Chiuso in redazione: 20/01/2020
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Notizie in breve dal mondo - gennaio Cuba, 19 dicembre 2019
a Civitavecchia e la sua Mad Srl dietro la New Green Roma abbia rilevato il 55% della nuova discarica.
Il Ministro cubano dell’Economia e della Pianificazione, Alejandro Gil, ha affermato che l’economia nazionale resiste e progredisce nonostante un anno complesso dovuto all’intensificarsi del blocco degli Stati Uniti. Davanti al Presidente cubano, Miguel Díaz-Canel e ai deputati riuniti nel Palazzo dei Convegni di La Habana, Gil ha spiegato che Cuba quest’anno non decrescerà e che continuerà verso lo sviluppo della società nonostante l’aggressività dell’assedio economico, commerciale e finanziario di Washington, che colpisce il popolo nella sua interezza.
Disuguaglianze, 20 gennaio
Nel mondo appena 2.153 miliardari detengono una ricchezza superiore al patrimonio di 4,6 miliardi di persone. In Italia il 20% più ricco detiene quasi il 70% della ricchezza nazionale. Il 10% più ricco possiede oggi oltre 6 volte la ricchezza della metà più povera della popolazione. Il 5% più ricco possiede il 41% della ricchezza nazionale, cioè più di tutta la ricchezza detenuta dall’80% più povero. L’1% più ricco detiene il 22% della ricchezza nazionale, cioè 17 volte la ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione italiana. I 3 miliardari italiani più ricchi possiedono più ricchezza di 6 milioni di poveri sommati.
Italia, 31 dicembre Val di Susa
Il 2019 si conclude con l’arresto di Nicoletta Dosio, storica militante No Tav, è un’attivista politica, una militante comunista, un’ambientalista dalla coerenza esemplare che ha deciso di portare alle estreme conseguenze le idee in cui crede e che lo fa da una vita, da ben prima che certi temi – come la difesa dell’ambiente – diventassero “pop” in tutto il mondo. Nicoletta è una delle vittime di un sistema repressivo – messo in atto dalla Procura di Torino – che tratta un tema politico di primo piano come la costruzione di una grande opera come una banale questione di ordine pubblico e che negli anni ha portato alla sbarra centinaia di persone con le accuse più disparate, persino quella di terrorismo. Nicoletta non è una “nonnina”, è una combattente: “Andrò in carcere – commentava alcuni giorni prima – dove troverò altri oppressi, altri ultimi, con cui solidarizzare e creare una nuova famiglia. Andrò in carcere perché di Tav non si parla più. Lo si considera un capitolo chiuso: e quindi con il mio corpo dietro le sbarre voglio riaprire questa storia indecente”.
Iraq, 3 gennaio 2020
L’assassinio del più importante generale iraniano nei corpi della Guardia Rivoluzionaria Islamica e comandante della sua Forza Quds, Suleimani, insieme con altri dirigenti militari iraniani da parte di un drone USA ha testimoniato del livello di disperazione degli Usa e di Israele. Nonostante l’assenza di conferme o smentite ufficiali del ruolo di Israele nell’operazione statunitense, è logico supporre un coinvolgimento indiretto o persino diretto di Israele nell’assassinio, nei mesi scorsi la possibilità di una guerra contro l’Iran ha acquisito nuovo slancio, diventando una priorità nell’agenda dei responsabili della politica estera israeliana. Netanyahu, politicamente assediato, ha ripetutamente e instancabilmente chiesto ai suoi amici di Washington di accentuare la pressione su Teheran.
Cuba, 8 gennaio
Il Parlamento cubano è al secondo posto nel mondo in termini di rappresentanza femminile con il 53.22 % dei seggi. Non sempre è stato così, nonostante il fatto che le donne sull’isola avessero un’attiva partecipazione alle lotte sociali e per l’indipendenza, fin dalle loro origini. é stata anche una donna, Emilia Teurbe Tolón, ha cucire la prima bandiera cubana, quella della stella solitaria, nel 1849. Il Ministro della Cultura cubano, Alpidio Alonso, ricordando ai deputati dell’Assemblea Nazionale della Commissione del Poder Popular che il Governo adotta strategie per sradicare i pregiudizi discriminatori, anche etnici, ereditati dal sistema capitalista, per i bambini, i giovani e i diritti delle donne, ha fatto appello a vigilare sui diritti delle donne affinché i risultati ottenuti nell’isola nei 60 anni di Rivoluzione non retrocedano.
India, 8 gennaio la Bharat Bandh (Grande Mobilitazione) 250 milioni di indiani in sciopero l’8 gennaio in tutti gli stati dell’India hanno dato vita al più imponente sciopero generale della storia del paese che già aveva registrato record con le mega-mobilitazioni del 2 settembre 2015 (circa 120 milioni di lavoratori) e nel settembre 2016 (180 milioni). Hanno invaso le città di tutti gli Stati dell’India per rivendicare migliori condizioni di lavoro, assunti senza alcuna tutela e costretti a lavorare in fabbriche tipo campi di concentramento, sorvegliate giorno e notte da guardie armate. Lavoratori spesso importati da territori lontanissimi, privati di documenti e costretti a lavorare per ripagare il ‘debito’ del viaggio, o del ricovero messo a disposizione in condizioni di totale disumanità dai padroni. Al tempo stesso hanno messo al centro lo stesso diritto di sciopero messo in discussione. Il maggior impatto si è registrato nelle zone industriali con la chiusura completa degli impianti: Honda, Maruti Suzuki & Co, delle numerose medie e piccole industrie concentrate alla periferia di Delhi e Mumbai. Numerose anche le organizzazioni del settore agricolo. Ovviamente non sono mancati momenti di tensione: a Patna, capitale dello stato settentrionale del Bihar, la polizia ha disperso i dimostranti che occupavano
Bolivia, 22 gennaio il centro-città, a Kolkata, in varie città dell’Odissea, come in Assam, gli scioperanti si sono stesi sui binari per bloccare il passaggio di alcuni treni e ovunque hanno bloccato il traffico. La risposta del governo di Narendra Modi - che ha proseguito le scelte capitaliste dei vari governi dall’inizio degli anni ‘90 davanti a questa enorme mobilitazione è stata tipicamente indifferente.
Panama, 15 gennaio
Le autorità trovano sette corpi in una fossa comune situata in un luogo remoto di Ngäbe Buglé, una regione a maggioranza indigena nella parte occidentale del paese, molto remoto e di difficile accesso in un’area della foresta pluviale. I membri della comunità locale, 15 dei quali hanno affermato di essere stati sequestrati, denunciano la presenza nell’area di una setta religiosa che ha rapito alcuni indigeni e sottoposto le vittime a riti di esorcismo. Le quindici persone che hanno denunciato il sequestro sono state portate nei centri sanitari della regione per essere curati da colpi e lesioni che presentavano su tutto il corpo.
Venezuela, 15 gennaio
La Polizia venezuelana impedisce l’accesso al Palazzo Legislativo a Juan Guaidò - riconosciuto presidente ad interim per quasi 60 paesi - e ai deputati suoi sostenitori, mentre gruppi di civili attaccano con lanci di pietre e uova i veicoli che trasportano deputati e giornalisti.
Israele, 16 gennaio
La Corte penale internazionale (CPI) respinge l’accusa di antisemitismo in seguito al suo annuncio di avviare un’indagine completa su presunti crimini di guerra israeliani nei territori palestinesi. La decisione storica è stata accolta con ostilità a Tel Aviv. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha definito la decisione della corte “puro antisemitismo” e affermato che non ha giurisdizione per indagare nei Territori Palestinesi. Per interrompere le indagini della corte, Israele ha minacciato di impedire ai funzionari dell’ICC di entrare nei territori occupati. Una mossa che rispecchierebbe il suo trattamento nei confronti degli investigatori delle Nazioni Unite, impedendo anche l’ingresso nella regione
Francia, 18 gennaio
L’ultima giornata di scioperi migliaia di manifestanti che si oppongono alla riforma delle pensioni, e non solo, è segnata dall’uso intenso di gas lacrimogeni. Ma anche da strattoni, spinte, manganellate, un poliziotto ha colpito una vecchia signora col gilet giallo, un altro continua a picchiare un uomo col volto insanguinato mentre era già a terra.
Italia, 20 gennaio, Bagnoli
Nel giorno dell’apertura del cantiere dei lavori di bonifica dell’area ex Italsider di Bagnoli, i comitati cittadini e movimento disoccupati manifestano all’esterno della struttura. I cittadini chiedono di essere coinvolti nel progetto di rilancio che deve essere occasione di inclusione sociale e nuova occupazione. “Basta passerelle elettorali”, gridano i manifestanti.
Italia, 20 gennaio, Campidoglio
Il Comitato della Valle Galeria manifesta fuori dal Municipio di Roma per protestare contro la delibera del 31 dicembre 2018, in cui il sito di Monte Carnevale è stato indicato come idoneo per la realizzazione di una discarica. “Basta immondizia nella Valle. Protestiamo contro tutte le istituzioni, chiedendo una riqualificazione. “Ci state rompendo i polmoni da più di 50 anni”, “Non vogliamo un’altra Malagrotta“, “Non avete il diritto di avvelenarci”. Pare che Valter Lozza– già patron del mega-impianto di Roccasecca, ben 2,5 milioni di metri cubi in provincia di Frosinone, e di un’altra cava più piccola
Il Movimiento Al Socialismo (MAS-IPSP), organizzazione politica che, dal 2005 al 2019, ha espresso il binomio Evo Morales-Álvaro García alla presidenza della Bolivia, ha appena annunciato che l’ex ministro dell’Economia Luis Arce e l’ex ministro degli Esteri David Choquehuanca saranno i loro candidati alla presidenza e alla vicepresidenza - rispettivamente - per le elezioni generali del prossimo 3 maggio.
Colombia, 21 gennaio
Dalla Colombia il Segretario di Stato statunitense Mike Pompeo è tornato ad attaccare il Venezuela: «Il regime iraniano con il braccio armato Hezbollah è in Venezuela», subito seguito a ruota dal presidente colombiano Ivan Duque e dall’autoproclamato presidente ad interim del Venezuela, ma ormai declassato a semplice deputato dalla stessa opposizione, Juan Guaidò. Il golpista ai suoi attacchi ha aggiunto anche Gustavo Petro, esponente della sinistra colombiana e già candidato a presidente nell’ultima tornata elettorale. Proprio da Petro arriva una puntuale risposta agli attacchi strumentali di Pompeo ricordando chi intrattiene rapporti comprovati con gruppi narco-paramilitari e quindi terroristici. «I Rastrojos e i loro simili sono veri gruppi terroristici. Uccidono più americani ogni giorno di al Qaeda. Tuttavia, sono alleati di coloro che affermano di combattere il terrorismo.
Iraq, 24 gennaio
Riprendono le proteste contro il governo. Nuove manifestazioni antigovernative a Baghdad, Nassyria e nel sud del Paese. Soprattutto le fasce più giovani protestano contro corruzione, disoccupazione e per una riforma del sistema politico e contro la presenza militare americana nel Paese e chiedono lavoro e dignità. La polizia ha caricato provocando almeno 21 morti e diverse centinaia di feriti, almeno 350.
Francia, 24 gennaio
Moltiplicato il numero dei manifestanti dopo 50 giorni di lotta contro la riforma delle pensioni. Lo sciopero delle ferrovie (SNCF) e del trasporto metropolitano parigino (RATP) ha raggiunto il suo 51° giorno. Rispetto alle precedenti mobilitazioni è notevole presenza di lavoratori precari dell’istruzione superiore. Forte presenza del “mondo della cultura”, con biblioteche e musei, l’Opera e la Comédie Française, e la Torre Eiffel in sciopero. Ma anche gli addetti all’energia, i lavoratori dell’aeroporto di Parigi e di Air France, nonché gli addetti alle pulizie e alle fognature di Parigi. Ovunque, lo stesso slogan: la ghigliottina di Luigi XVI potrebbe tornare in servizio entro il 2020.
MEMORIA
27 gennaio 1945 75 anni fa l’esercito sovietico liberava il campo di concentramento nazista di Auschwitz dove furono assassinati sistematicamente più di un milione e centomila persone nelle camere a gas, per torture, fame, malattia, fucilazioni. Prigionieri di guerra e civili sovietici, ebrei, slavi, rom, omosessuali, ma soprattutto comunisti che furono le prime vittime del fascismo, ma che hanno guidato la Resistenza e la lotta che ha sconfitto il nazifascismo a costo di enormi sacrifici. È nel nome dell’anticomunismo che gran parte della classe dominante ha ideato e sostenuto l’ascesa e la brutalità del fascismo, e non solo. Nella sconfitta di Hitler e del nazi-fascismo decisivo fu il ruolo dell’URSS, del popolo sovietico e della sua Armata Rossa e nessuna campagna di menzogne e falsificazione storica potrà mai cancellare questo contributo.