Nu 2018 marzo

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comma 20/B art. 2 Legge 662/96 filiale di Firenze

Spedizione in abb. postale 45%

Proletari di tutti i paesi unitevi!

nuova unità fondata nel 1964

Finché ci sarà uno Stato non ci sarà libertà. Quando ci sarà libertà non ci sarà uno Stato Lenin

Periodico comunista di politica e cultura n. 2/2018 - anno XXVII

Ci aspetta un nuovo governo della borghesia Ci sono tutti gli elementi per capire che è sempre più necessario organizzarsi per affrontare lo scontro di classe

Abbiamo impostato la nostra campagna elettorale sull’astensionismo in rifiuto a tutti gli appelli al voto perché, in quanto comunisti, non possiamo contribuire all’avanzata delle forze borghesi che da anni aggravano le condizioni di lavoro e di vita di milioni di proletari: lavoratori e pensionati e perché non ci sono le condizioni per presentare liste rivoluzionarie contro il sistema di sfruttamento e oppressione (all’interno la nostra analisi sui risultati). “Le elezioni passano e i padroni restano” è stato il nostro slogan e così è. Dopo aver illuso gli elettori ora gli eletti si scannano per la presa del potere mentre ogni giorno chiude una fabbrica e gli operai ingrossano le file dei disoccupati. Il costo della vita aumenta sia per le bollette, acqua, luce, riscaldamento, che per i continui rincari alimentari. È già previsto un prossimo aumento dell’Iva e accise sui carburanti. Aumenta il prezzo del biglietto del trasporto, il pedaggio autostradale, il carburante è alle stelle, mentre i servizi sociali e la sanità diminuiscono e sono depotenziati. Ormai è risaputo che milioni di persone sono costrette a rinunciare alle cure mediche perché non possono pagare le medicine né i ticket. Tra contraddizioni e manovre più o meno sotterranee, trasformismi sulle promesse in campagna elettorale, tra le ingerenze straniere: dalla Ue al Vaticano, agli Stati Uniti i partiti sgomitano per prendere il potere e formare un governo che continuerà la politica antipopolare, repressiva, europeista e di riforme istituzionali. Una politica di smantellamento del mondo del lavoro e di guerra a favore dell’imperialismo. Tant’è che mentre tutti erano concentrati sulle elezioni Confindustria ha siglato un famigerato accordo con Cgil-Cisl-UilUgl. L’ennesimo che si caratterizza per impedire il conflitto di classe tra capitale e lavoro garantendo ai padroni mano libera nello sfruttamento. Governo e Parlamento prenderanno forma con il carico di 2300 miliardi di euro di debito pubblico, con rappresentanti di forze politiche sempre più spostate a destra in continuità con la gestione degli interessi della borghesia sia sul piano economico che di guerra, sia sulle scelte fatte all’interno dell’Unione europea i cui trattati, nelle promesse elettorali, non sono stati (e non saranno) messi in discussione. Compito già assolto egregiamente dai governi di centro sinistra a guida PD. Non continuino ad illudersi quelli che hanno votato il M5S contro la casta, dandogli una paternità di sinistra, né quelli che hanno votato Lega credendo che libererà il Paese dai vincoli europei. Qualunque sia la coalizione sul proletariato piomberà una nuova stagione di sacrifici, autoritarismo, repressione e disoccupazione perché non sarà certo il prossimo governo ad impedire la fuga degli imprenditori, dopo aver preso le sovvenzioni statali, a far rientrare le 36mila aziende delocalizzate in varie parti dell’Europa e dell’Asia dove sfruttano nuova classe operaia. Non sarà un governo che aumenterà le tasse alle multinazionali che producono in Italia (già ridotte dal 27,5 al 24% dal PD), né che fermerà l’aggressività dell’Unione europea per il suo sostegno degli interessi del complesso militare industriale e per la militarizzazione dell’Europa, per la quale la Commissione ha proposto la spesa di 500 milioni per il

biennio 2018-2020. L’Italia non uscirà dalla Nato perché nessun partito eletto l’ha messa in discussione nella campagna elettorale, anzi rispetterà la richiesta degli Stati Uniti di aumentare la spesa per la Difesa e raggiungere almeno il 2% del Pil: più soldi per più armi, per più capacità militare, quindi guerra. Per i comunisti la lotta sarà ancora più dura perché dovranno affrontare un attacco anticomunista, ancora più profondo, sostenuto dalle teorie di chi pone sullo stesso piano comunismo e fascismo e dai ciarlatani che dichiarano di non essere né di destra, né di sinistra - salvo propendere nella pratica per la destra -. Il mondo è diviso in classi, ci sono gli sfruttatori e gli sfruttati e ci sono le ideologie. Perché i comunisti dovrebbero rinunciare alla propria - l’unica in grado di sostituire il sistema capitalista nelle mani di pochi con quello socialista nelle mani dei lavoratori - quando la borghesia e i suoi rappresentanti fanno valere la propria in tutti i settori della vita? Il proletariato, i lavoratori - compresi coloro che sono caduti nella trappola del “voto utile” - si accorgeranno ben presto che il sistema capitalista non è riformabile, che la risposta alle selvagge scelte economiche e ai conseguenti disastri sociali imposti dalla “dittatura del capitale” richiede la partecipazione attiva e diretta, la lotta e non la delega. Richiede l’unità dei lavoratori contro il nemico comune che non sono gli immigrati, ma i padroni che sfruttano sempre di più per proseguire la loro corsa al massimo profitto. Dovremo impegnare tutte le nostre energie contro le forze che governeranno anche sul tema del progressivo autoritarismo, di controllo, militarizzazione, di repressione politica e sociale e della crescente gravità del fascismo sotto qualsiasi veste si presenti. Comprese le bande squadristiche - spesso colluse con mafia e criminalità - utilizzate tatticamente dalla reazione padronale per colpire lavoratori in lotta e militanti di sinistra, che oggi si rivitalizzano nelle strade di tutto il Paese perché forti dell’avanzata delle forze reazionarie elette al Parlamento.

Alla vigilia del 25 Aprile, dopo 73 anni, è doveroso ribadire l’importanza dell’impegno per un antifascismo attivo, vissuto in modo militante e non retorico o parolaio come abbiamo registrato in questi ultimi mesi in realzione ai fatti di Macerata e di Firenze. Un antifascismo basato sulle aspirazioni di classe che hanno animato la Resistenza (sopita, manipolata, distorta, tradita) nella sua lotta contro il capitalismo e i suoi governi nella quale operai, proletari, uomini e donne - che compresero l’inscindibile legame tra fascismo guerrafondaio e sistema capitalistico - misero in gioco la propria vita combattendo nelle brigate partigiane

e nei Gap rimanendo uccisi, torturati, deportati nei campi di sterminio nazi-fascisti. Abbiamo bisogno di quel risveglio politico e culturale, etico ed esistenziale, di quell’esperienza resistenziale e delle successive battaglie antifasciste combattute nel nostro Paese. In particolare i giovani, defraudati della memoria storica, schiacciati tra il consumismo, la precarietà esistenziale e lavorativa fatta di disoccupazione e spietato sfruttamento di un mercato del lavoro senza più regole devono capire, che per evitare di vivere un presente senza futuro, è possibile costruire una società diversa.

Automazione, robotizzazione, verso la quarta rivoluzione industriale? pagina 2 Operai, intellettuali e socialismo

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La farsa elettorale è finita. Illudersi che settori della classe borghese possano difendere gli interessi proletari dalle poltrone parlamentari è un abbaglio che i proletari hanno già pagato caro nella storia e che rischiano di pagare ancora pagina 3 L’accordo sulle 28 ore nel Baden-Württemberg. La riduzione di orario è temporanea e individuale... A guadagnarci è solo il capitale

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E adesso? Qualche riflessione sull’8 marzo

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Attenti alle “forze dell’ordine”. Nel 2017 gli uomini in divisa che hanno ucciso una donna pagina 6 con la pistola d’ordinanza sono stati l’8,5%

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lavoro

Automazione, robotizzazione, verso la quarta rivoluzione industriale? Non dimentichiamo che oggi, più di ieri, o si lotta per abbattere il potere della borghesia, contro la società capitalista e per il socialismo o si va incontro alla sconfitta totale e alla barbarie Michele Michelino Oggi sempre più spesso si parla di quarta rivoluzione industriale fantasticando un mondo dove il lavoro salariato è sostituito dai robot. Su questo tema si stanno sprecando fiumi d’inchiostro. Gli apologeti del capitalismo prospettano nuovi mirabolanti scenari. Alcuni pensano che sia arrivato il momento in cui le macchine faranno tutta la produzione e l’umanità non avrà più necessita di lavorare ma sarà mantenuta dai profitti generati dalle macchine. Questo, naturalmente, è un sogno che non tiene conto che è dallo sfruttamento del lavoro salariato che sono generati i profitti che intascano i capitalisti. In realtà il capitale ha una continua necessità di ristrutturarsi usando le nuove scoperte della scienza e della tecnica, asservite al capitale per intensificare sempre più lo sfruttamento della forza lavoro. Generalmente le cosiddette rivoluzioni industriali sono state corrisposte alle scoperte scientifiche e tecniche applicate al processo produttivo. L’aumento della produttività in una società divisa in classi in cui il potere è nelle mani dei borghesi si realizza sullo sfruttamento operaio. All’inizio del XIX secolo - agli albori della nascita del capitalismo - contro l’introduzione delle macchine si sviluppò in Inghilterra un forte movimento popolare degli operai e lavoratori a domicilio che, impoveriti dallo sviluppo industriale, decisero di colpire macchine e impianti. Questo movimento popolare di lavoratori, ancora privi di una coscienza di classe, vedeva le macchine come nemici che “toglievano” il lavoro e prese il nome da Ned Ludd che, nel 1779, spezzò un telaio in segno di protesta. Questo movimento di massa di lavoratori ribelli fu duramente represso e nel 1813, in un processo a York, molti furono condannati all’impiccagione e deportati. Con lo sviluppo della tecnica e della scienza al servizio dei capitalisti la ricchezza dei borghesi aumentava a discapito dei salari, dell’occupazione e della condizione operaia. Queste prime ribellioni di una primordiale e nascente classe operaia contro una certa tecnologia e un “progresso” che li costringeva alla fame e alla miseria negli anni seguenti - con lo sviluppo dell’industria e del capitalismo e del sistema di fabbrica sulla società - diventarono obiettivi dei nascenti sindacati operai: gli orari di lavoro, il minimo salariale, le condizioni del lavoro minorile e delle donne, le condizioni di salute. La condizione operaia nella fabbrica capitalista che aveva come obiettivo la ricerca del massimo profitto e lo sfruttamento della forza-lavoro fin dalla sua origine aveva grandi conseguenze sulla salute. I licenziamenti degli ex lavoratori a domicilio a causa dell’introduzione delle macchine e del sistema di fabbrica provocarono suicidi, alcolismo, prostituzione e criminalità. Finora le rivoluzioni industriali del mondo occidentale sono state tre: La prima nel 1784 con la nascita della macchina a vapore, con l’uso e lo sfruttamento della potenza di acqua e vapore per meccanizzare la produzione sostituendo attraverso le macchine il lavoro artigianale. La seconda nel 1870 con il via alla produzione di massa attraverso l’uso sempre più diffuso dell’elettricità, l’avvento del motore a scoppio e l’aumento dell’utilizzo del petrolio come nuova

fonte energetica, che portò le popolazioni rurali a emigrare nelle città e a lavorare nelle fabbriche. La terza nel 1970 con la nascita dell’informatica e della rete, dalla quale è scaturita l’era digitale destinata a incrementare i livelli di automazione avvalendosi di sistemi elettronici e dell’IT (Information Technology) che ha cambiato nuovamente le forme di produzione. Il lavoro del segretario, del compositore tipografo e del correttore di bozze nei giornali, del contabile, dell’archivista e altre centinaia di professioni sono diventate obsolete e in parte già sparite. Oggi è iniziata la quarta, con la nuova ondata di automazione, che gli economisti chiamano Quarta Rivoluzione Industriale. L’argomento è stato al centro del World Economic Forum 2016, tenutosi dal 20 al 24 gennaio a Davos (Svizzera), intitolato appunto “Mastering the Fourth Industrial Revolution”.

Quali gli effetti della quarta rivoluzione industriale sul mercato del lavoro? Questa nuova ristrutturazione del capitale porterà altri pesanti cambiamenti. Esperti e osservatori stanno cercando di immaginare come cambierà il lavoro, quali nuove professionalità saranno necessarie e quali invece presto potrebbero scomparire. Dalla ricerca “The Future of the Jobs” presentata al World Economic Forum è emerso che, nei prossimi anni, fattori tecnologici e demografici influenzeranno profondamente l’evoluzione del lavoro. La tecnologia del cloud (che consente di utilizzare qualsiasi tipo di documento senza aver bisogno di chiavette usb, hard disk e archivi digitali), e la flessibilizzazione del lavoro, influenzano già ora le dinamiche del mondo del lavoro e lo faranno ancora di più nei prossimi 2-3 anni. L’effetto sarà la creazione di 2 nuovi milioni di posti di lavoro, ma contemporaneamente ne spariranno 7, con un saldo netto negativo di oltre 5 milioni di posti di lavoro. L’industria petrolifera USA stima che entro tre anni ridurrà il personale richiesto in ogni pozzo da 20 lavoratori a 5. I piccoli hotel fra tre anni avranno una reception completamente automatica. Basterà passare la propria carta di credito e si riceverà una chiave della camera. In caso di bisogno basterà chiamare un ufficio centrale dove un incaricato risponderà alle domande svolgendo le funzioni che facevano prima gli impiegati alla reception eliminando questi posti di lavoro. L’Ufficio Nazionale di Ricerche Economiche ha scoperto che, per ogni robot introdotto nella produzione, vengono eliminati 6 posti di lavoro. Dopo l’industria automobilistica, il settore più avanzato, in questo processo è quello farmaceutico e medico. Nel maggio 2016 il rapporto sui dividendi digitali della Banca Mondiale calcolava che la sostituzione con robot di lavoratori poco qualificati nei paesi in via di sviluppo coprirebbe due terzi del lavoro. La Cina sarà il maggior utente di robot. In Europa, secondo questi studi, l’Italia – più arretrata tecnologicamente - esce con un danno minore rispetto ad altri Paesi come Francia e Germania. A livello di gruppi professionali, le perdite si concentreranno nelle aree amministrative e della produzione: rispettiva-

mente 4,8 e 1,6 milioni di posti distrutti. Già oggi in diversi settori, ad esempio nelle banche, si riduce massicciamente il personale, le operazioni le fanno i clienti; in posta e nei supermercati si riducono le cassiere e i clienti pagano con il “salvatempo” e con lo smartphone, come anche i trasferimenti di denaro ecc. Tuttavia, a fianco delle “innovazioni”, continuano a rimanere le vecchie forme di sfruttamento, come le raccolte dei pomodori, degli ortaggi, dell’uva e stanno ritornando alcune vecchie forme di lavoro a domicilio. In un paese che promuove il tele-lavoro, che ha delocalizzato all’estero le maggiori industrie private italiane (vedi Fiat, Montedison, Pirelli, Olivetti) e smantellato o privatizzato quelle pubbliche (l’IRI, le banche, l’Eni, l’Enel, Finmeccanica, Telecom, Poste, Alitalia, Ferrovie, al punto che oggi l’unica pubblica rimane la Cassa depositi e prestiti), le maggiori imprese europee (in particolare di Germania e Francia, ma anche statunitensi, indiane e cinesi) comprano aziende che poi chiudono, tenendosi i brevetti. Davanti a questo scenario molti chiedono di rivedere i trattati europei, di rinunciare al pareggio di bilancio imposto dall’Europa che impedisce o limita gli investimenti pubblici, chiedono una riduzione degli orari di lavoro, vanamente perché il capitale ha necessità di realizzare dai lavoratori il massimo di flessibilità, con il peggioramento delle condizioni di lavoro, e leggi contro i lavoratori come

il jobs act, passato in Italia senza alcuna seria opposizione sindacale. In mancanza di un partito che rappresenti gli interessi degli operai, di lotte che contrastino questo processo mettendo in discussione il modo di produzione capitalista e il sistema imperialista, gli operai non possono che subire. In questo quadro si inseriscono le varie proposte dei partiti, dal “reddito di cittadinanza” del M5 stelle al “reddito di dignità” di Berlusconi al “reddito di inclusione” di Renzi-Gentiloni, tutte misure proposte come “contrasto alla povertà”, quest’ultima già in vigore dal 1° gennaio 2018, come mancia per assicurare un piatto di minestra a chi non può mangiare nel tentativo di ritardare l’inevitabile esplosione sociale.

Ruolo del sindacato

Le varie proposte sindacali in questa situazione sono solo all’insegna della subalternità totale al capitale. Con la prima rivoluzione industriale e l’affermarsi del metodo di produzione capitalista nascono la classe operaia e i sindacati che contrattarono le condizioni di sfruttamento ponendo degli argini. Poi con la nascita dei partiti operai, socialisti e comunisti, si misero in discussione la proprietà privata dei mezzi di produzione e lo Stato borghese. Con la Comune di Parigi del 26 marzo 1871 e la Rivoluzione Proletaria in Russia nel 1917, i Soviet degli ope-

rai, contadini e soldati espropriando i capitalisti e la proprietà privata dei mezzi di produzione, usarono la tecnologia e le macchine al servizio della società anticapitalista.

Necessità del partito

Lottare per difendere le condizioni di lavoro attuali, resistere per difendere il posto di lavoro e il salario, è indispensabile. Tuttavia non possiamo dimenticare che, oggi più di ieri, o si lotta per abbattere il potere della borghesia, contro la società capitalista e per il socialismo o si va incontro alla sconfitta totale e alla barbarie. Spesso anche i compagni che si battono per il sindacato di classe dimenticano che un sindacato di classe non può fare altro che contrattare al meglio la condizione operaia, mettere un argine o limitare lo sfruttamento. Il sindacato svolge un compito importante nella lotta contro gli effetti del sistema capitalista, una scuola di guerra di classe, ma non può eliminare le cause dello sfruttamento. Oggi serve un partito operaio comunista, internazionale che lotti contro gli sfruttatori e quelli che si accontentano delle loro briciole, contro tutti quelli che parlano di pace sociale, amore fra le classi, a favore dei più poveri mentre giustificano ogni giorno lo schiavismo predicando la conciliazione fra oppressi e oppressori. La storia dimostra che il potere operaio non si conquista sulla base del consenso elettorale, perché esso è la negazione della democrazia borghese.

Operai, intellettuali e socialismo Liberarci dei lacci e lacciuoli che tengono imbrigliata la classe operaia e i proletari e li legano ai loro sfruttatori è oggi indispensabile Michele Michelino Le ultime tornate elettorali hanno evidenziato il grande distacco esistente fra la classe operaia e i partiti che dicono di rappresentarla, a cominciare da chi si dichiara “comunista” nella forma, ma è riformista nella sostanza. Non c’è da meravigliarsi né da scandalizzarsi. I più grandi tradimenti degli interessi proletari sono stati attuati proprio da chi diceva di rappresentarne gli interessi. Le guerre, le varie “riforme del lavoro” che hanno peggiorato le condizioni di vita e di lavoro di operai e pro-

letari sono state compiute proprio dai governi “amici”, dimostrando agli operai e ai proletari che di amici, nel palazzo, non ne hanno. Coperti dal simbolo della falce e martello, i cosiddetti “comunisti” - con la loro partecipazione ai governi che hanno sostenuto gli interessi dell’imperialismo e dei grandi industriali, delle banche ecc. – si sono guadagnati invece il loro posto al sole. E ora i gruppi dirigenti di queste organizzazioni - composte dai riciclati di vecchi partiti “comunisti” che nella pratica sono stati le mosche cocchiere dell’imperiali-

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attualità

La farsa elettorale è finita Illudersi che settori della classe borghese possano difendere gli interessi proletari dalle poltrone parlamentari è un abbaglio che i proletari hanno già pagato caro nella storia e che rischiano di pagare ancora Emiliano Finalmente è finita la campagna elettorale nella quale abbiamo assistito ad ogni sorta di promessa e illusione. Vediamo un po’ di numeri. Per la Camera dei Deputati gli elettori sul territorio nazionale sono stati 46.604.925, di cui 22.430.202 maschi e 24.174.723 femmine, per il Senato della Repubblica 42.871.428, di cui 20.509.631 maschi e 22.361.797 femmine, che hanno eletto 618 deputati e 309 senatori. Gli elettori della circoscrizione estero, erano per la Camera dei Deputati 4.177.725, e per il Senato della Repubblica 3.791.774 e hanno eletto, rispettivamente, 12 deputati e 6 senatori. La partecipazione è stata di circa 34 milioni di votanti mentre l’astensione ha sfiorato i 13 milioni con un incremento di ben 2 punti percentuali (quasi 1 milione) rispetto alle precedenti elezioni del 2013, malgrado la campagna forsennata per la partecipazione portata avanti dalle istituzioni Presidente della Repubblica in testa - e da tutti i partiti. In quanto comunisti non siamo affetti da malattie elettorali neanche per quanto riguarda il dato astensionista, ma ci serve per capire meglio con i numeri le posizioni varie. Abbiamo detto chiaramente che non basta non votare, ma questo è un segnale di dissociazione dalla partecipazione ad un rito imposto dalle istituzioni borghesi, un distacco che si incrementa, tra la società reale e lo Stato. Uno Stato borghese che i comunisti devono abbattere e non legittimare con la partecipazione. La partecipazione è un errore politico di fondo in cui sono caduti quanti, pur dichiarandosi comunisti o rivoluzionari, hanno presentato liste rinunciando così anche a battersi coerentemente contro la nuova legge elettorale truffa. I successi impietosi sono stati per Potere al popolo 370 mila voti, per il PC 100 mila e per la sinistra rivoluzionaria (trotskisti) 29 mila voti. La lista del M5S raccoglie più di 10 milioni di voti confermandosi il primo partito. Con la propaganda contro le ideologie in una posizione che definiscono né di destra

né di sinistra, contro l’odiata casta politica, in nome dell’onestà e per il reddito di cittadinanza sono riusciti a spostare un considerevole numero di consensi dal PD e dalla stessa lista appena nata di Liberi ed Eguali (LEU). Una posizione interclassista che diventa un contenitore del malcontento e del mugugno, in particolare nel Meridione, già provato dallo sviluppo ineguale del nostro paese, che la crisi ha approfondito gettando nella disperazione milioni di persone senza lavoro che hanno puntato sul M5S come ultima spiaggia e speranza. I dirigenti del M5S si sono impegnati, fin dall’inizio della campagna elettorale, a tranquillizzare i mercati internazionali (padroni e multinazionali) che loro sono responsabili e affidabili sfumando le loro posizioni originali sull’euro e l’Europa, dichiarandosi pronti e maturi per compromessi governativi ed europei. A contendersi con il M5S la guida alla formazione del nuovo governo abbiamo Salvini della Lega che si ritrova a capo della coalizione di destra (con 12milioni di voti) grazie al superamento, con i circa 6 milioni di voti, presi a scapito di Forza Italia che si era posta come formazione moderata e garante tra la Lega e Fratelli d’Italia apertamente fascista e razzista. Una destra coalizzata sullo spauracchio dell’invasione degli immigrati che ci portano via il lavoro, con lo slogan “prima di tutto gli italiani”, ha cavalcato la protesta contro la legge Fornero e promesso l’abbassamento delle tasse per i ceti medi e più abbienti. Razzisti, xenofobi e sciovinisti hanno conquistato quei settori, soprattutto del Nord, impauriti di perdere le loro posizioni di privilegio e di ricchezza, sventolando il nazionalismo e promettono ai poveri di potersi conquistare un posto al sole a danno di altre popolazioni. Il sorpasso della parte più oltranzista della coalizione Lega e Fratelli d’Italia ha frenato quello che ormai sembrava assodato per il bene della nazione, quello del governo delle larghe intese tra Forza Italia e PD, come in Germania. Il PD con 6 milioni di voti ha visto perdere consistenti settori di

smo - davanti ai fallimenti e alla perdita di una poltrona “conquistata” attraverso il voto operaio e popolare, incolpano del loro fallimento gli operai e parlano di “arretratezza” della classe operaia che vota Lega o Cinque stelle. Anni di riformismo, di socialdemocrazia, di legalitarismo e di difesa della “democrazia” borghese hanno rovinato anche molti sinceri compagni. La presunzione li porta a incolpare delle sconfitte sempre gli altri. Invece di cercare di capire le ragioni della sconfitta analizzandone gli errori, incolpano la classe operaia ritenendo che, senza di loro, questa non è in grado di sviluppare una propria, autonoma, visione del mondo. Nascondo a se stessi il fatto che sono stati proprio loro a propagandare nel proletariato le idee del nemico, l’ideologia “democratico-borghese” a sostegno degli interessi della classe dominante. I risultati di oggi sono frutto della politica del passato. L’offensiva del capitale è partita da lontano, inglobando nel sistema e nel governo prima il

elettorato. Ha perso pezzi (2,5milioni) sia nei confronti della Lega e soprattutto nei confronti del M5S, trascinando nella sua caduta anche quelli che solo all’ultimo momento hanno abbandonato il PD come LEU pur avendone condiviso le politiche antipopolari. La frana del PD di Renzi, trascina con sé tutta la sinistra riformista, facile preda di quanti hanno tutto l’interesse di fare un sol fascio della sinistra scambiando addirittura socialdemocratici con comunisti, grazie anche alla debolezza e alla confusione di questi ultimi anni. Il PD, dopo il fallito tentativo di cambiare la Costituzione con il Referendum che gli avrebbe fatto da scudo e garantito la governabilità, ha pagato le sue politiche antioperaie e antipopolari: dal Job act all’attacco alla sanità, alla riforma della scuola, dalla legge Fornero alla difesa delle banche e delle politiche di guerra che hanno potenziato la partecipazione dell’esercito italiano nei teatri di guerra. Ad arginare la frana elettorale non sono bastati i vari bonus, la firma di molti contratti nazionali fermi da anni proprio a ridosso delle elezioni, né la rincorsa a destra portata avanti dal ministro Minniti sulla sicurezza e contro il cosiddetto degrado. I principali partiti della contesa elettorale sono però, con varie sfumature, tutti concordi sulla necessità di aumentare il numero delle forze dell’ordine, polizia e carabinieri e di aumentare i loro stipendi, così come aumentare gli aiuti a favore delle aziende (i padroni) per renderle più competitive sul mercato internazionale e permettere loro di delocalizzare, come dimostra la vicenda Embraco e migliaia di altre imprese italiane e multinazionali. Prendere i finanziamenti per poi spostare le unità produttive all’estero buttando sul lastrico centinaia e migliaia di famiglie per fare cassa e incrementare i propri profitti con operazioni di borsa, alla faccia della disoccupazione crescente e non certo a causa dell’arrivo degli immigrati. In questa tornata elettorale abbiamo anche assistito alla presenza dei fascisti di Casapound e Forza nuova che, a dispetto di tutte le parole sulla Costituzione che ne

PCI e i sindacati confederali Cgil–Cisl–Uil-Ugl e, poi, Rifondazione Comunista. Il sistema capitalista, l’imperialismo, con l’aiuto dei suoi agenti nel movimento operaio, prima ha cercato di cancellare la memoria storica comunista, il concetto di classe, di capitale e di sfruttamento, di conflitto, di lotta di classe che sono alla base della società su cui si fondano le sue istituzioni. In seguito, gli ex comunisti, convertiti al mercato capitalista, sono diventati ministri nei governi borghesi. Sfruttando il loro passato “sovversivo” hanno ottenuto posti di comando nei vari gangli della società borghese, nei partiti e nei sindacati. Hanno deriso e criminalizzato il potere operaio, la dittatura del proletariato, il socialismo, cioè il sistema sociale che considera la proprietà privata dei mezzi di produzione e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo un crimine contro l’umanità. Infine - dopo esserne diventati sostenitori e aver inneggiato alla democrazia borghese e al capitalismo come al “migliore dei mondi possibili” - hanno cambiato anche il conteni-

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vieta l’esistenza, hanno avuto la possibilità di presentare le loro liste e di fare la loro sporca propaganda elettorale sulle reti nazionali. Il loro ruolo non è stato quello di raccogliere voti, in realtà ben pochi, bensì quello di provocare, di picchiare e accoltellare compagni e stranieri in varie parti del paese, per poter scatenare le forze di polizia contro chi si opponeva alla loro presenza, per permettere a tutte le forze “democratiche” di puntare sulla teoria degli opposti estremismi e per la libertà di espressione per tutti. Provocazioni che hanno portato, in un primo tempo, il ministro Minniti a vietare la manifestazione antifascista a Macerata dopo che ben due manifestazioni fasciste erano state permesse e protette. Utilizzate da chi a destra svolgeva la politica con il doppio petto come Fratelli d’Italia e Lega per rivoltare la frittata sul razzismo, giustificando però gli atti criminali compiuti da italiani con l’esasperazione causata dall’invasione di stranieri. Alimentare la guerra tra poveri per invocare maggiore repressione da parte dello Stato, politica già usata dal PD per invocare il voto utile e mettere in primo piano nel campo della repressione l’ultimo campione (Minniti) del governo. Scoprendo un antifascismo di comodo sopito da anni e poco credibile anche per loro, ma utile a rafforzare la tendenza di mettere sullo stesso piano i fascisti con l’antifascismo militante nella campagna borghese contro gli opposti estremismi. I vari gruppi fascisti hanno svolto il loro ruolo di servi del potere borghese e si sono impegnati nelle provocazioni per creare allarme e quella tensione utile a far marciare più speditamente la macchina della fascistizzazione dello Stato e stimolare una mobilitazione reazionaria di massa sostenuta da tutto l’arco costituzionale. Creare un clima che torni utile a padroni e governanti per far accettare i prossimi ulteriori provvedimenti che saranno imposti al movimento operaio e popolare. L’esito delle elezioni scompagina il quadro del sistema politico, ma non preoccupa i capitalisti come si è visto dalla tranquillità della Borsa nei giorni successivi alle

elezioni, convinti, a ragione, che nessuno dei vari concorrenti ha la volontà di mettere in discussione il sistema di sfruttamento. Non esiste democrazia quando i mezzi di produzione e di comunicazione sono nelle mani dei padroni e dei borghesi. Non comprendere questa realtà vuol dire essere incapaci di intendere e di volere o essere interessati al mantenimento dello stato di cose presente. La crisi generale del capitalismo ha accentuato lo scontro tra le varie fazioni della borghesia che si divide nelle varie formazioni di centro, centro destra e centro sinistra in tutte le loro sfumature portandosi dietro settori di sottoproletariato e anche di lavoratori ancora privilegiati. Una massa enorme di piccola borghesia che oscilla tra le varie posizione politiche creando una mobilità elettorale verso questa o quella tendenza politica che più rassicuri le posizioni sociali di privilegio raggiunte e che non vogliono perdere malgrado l’inevitabile tendenza del grande capitale di farli scendere nella scala sociale, nell’inferno proletario e nella povertà. Strati sociali che se la prendono con i sindacati, con gli immigrati, che vogliono ordine e sognano un’Italia imperialista. Molti lavoratori, anche operai privi di coscienza di classe, delusi dalla sinistra istituzionale e borghese si sono affidati a quei partiti populisti o razzisti che hanno maggiormente urlato contro il governo, le sue leggi e l’Europa senza peraltro dare alcuna prospettiva di cambiamento della società. Molti, troppi, lavoratori presi dallo sconforto e dalla disperazione, in un quadro di generale passività sociale determinata anche da forti responsabilità dei sindacati concertativi, e non solo, hanno rivolto i loro consensi verso direzioni contrapposte ai loro reali interessi di classe illudendosi di poter cambiare e difendere i propri interessi. Illudersi che settori della classe borghese possano difendere gli interessi proletari e che dalle poltrone parlamentari risolvano i propri problemi è un abbaglio che i proletari hanno già pagato caro nella storia e che rischiano di pagare ancora. Da qui biso-

tore, togliendo l’aggettivo “comunista” che non gli serviva più. Il soggetto rivoluzionario - la classe operaia, gli operai coscienti - non possono fare passi avanti sulla teoria e la pratica dell’organizzazione indipendente, sulla costruzione o sulla rifondazione di un loro partito se non si liberano della zavorra rappresentata dai dirigenti compromessi o sostenitori del sistema del lavoro salariato. Liberarci dei lacci e laccioli che tengono imbrigliata la classe operaia e proletaria e la legano ai loro sfruttatori è oggi indispensabile. La divisione del lavoro, la concorrenza fra proletari genera ogni giorno sempre più divisione nella classe e nelle sue avanguardie. E, a differenza del passato, gli operai comunisti, i rivoluzionari, non hanno più bisogno di delegare la costruzione del loro partito agli intellettuali, anche se questi possono servire alla causa se diretti dalla classe operaia. Scriveva già Gramsci nel lontano 1926 criticando le tesi di Bordiga sul partito e sul ruo-

gna partire, come comunisti, per indicare la necessità di non delegare a nessuno il proprio destino, tantomeno a borghesi o piccoloborghesi più o meno “rivoluzionari”. Condurre una decisa lotta ideologica per ribadire l’ideologia proletaria che va oltre gli interessi immediati della difesa dalle conseguenze del capitalismo, ma si pone l’obiettivo dell’abbattimento del capitalismo e l’eliminazione della proprietà privata dei mezzi di produzione. È solo nell’ambito della lotta di classe che è possibile acquisire coscienza del proprio ruolo e costruire le condizioni di un reale cambiamento nei rapporti di forza. Un piccolo passo sul terreno della presa di coscienza e della organizzazione della classe sfruttata vale, senza alcun dubbio, più di ogni illusione elettorale. Nel prossimo futuro ci attendono dure lotte contro la compagine governativa che si verrà a creare, qualunque sia la sua composizione sarà sicuramente antipopolare e contro il movimento operaio, e aggraverà le nostre condizioni di vita e di lavoro. In queste lotte dobbiamo batterci e appoggiare tutte quelle tendenze ad un protagonismo diretto dei lavoratori. Organizzare sia sul piano sindacale che su quello politico i comunisti e gli elementi più avanzati delle lotte. Il compito dei comunisti è concentrare le forze sulla necessità di organizzarsi, di riunire le forze e, nello stesso tempo, di impegnarsi per unificare le lotte e le agitazioni sparpagliate, indirizzandole verso l’obiettivo fondamentale della lotta non semplicemente contro le “nefandezze” del capitalismo, ma per l’abbattimento del capitalismo stesso. Solo nella lotta per distruggere il capitalismo e lo Stato borghese con la rivoluzione proletaria, gli operai, i lavoratori, gli sfruttati, coloro che producono la ricchezza, sono gli unici che, se organizzati in partito, dotato di una ideologia marxista-leninista - il loro stato maggiore - possono essere gli artefici nell’esercitare quella egemonia di classe attorno cui aggregare tutti gli altri strati popolari oppressi e riuscire ad imporre la propria dittatura di classe sulla borghesia capitalista.

lo preminente degli intellettuali: “La nostra posizione deriva da ciò che noi riteniamo si debba porre nel massimo rilievo, il fatto che il partito è unito alla classe non solo da legami ideologici ma anche da legami di carattere fisico…” La teoria e la pratica della lotta di classe hanno evidenziato che le avanguardie operaie, gli operai entrano nel partito – tesi leninista, tra l’altro – non solo semplicemente come operai ribelli, ma come operai comunisti, come “uomini politici”, come teorici del socialismo. Come proletari non abbiamo quindi scorciatoie da seguire per costruire il nostro partito. Confrontarci fra avanguardie, riconoscerci come appartenenti alla stessa classe sociale sfruttata, lottare e lavorare uniti nello scontro di classe contro il capitale per la ricomposizione della sua avanguardia costruendo ambiti e momenti d’incontro teorici - politici, è oggi il compito che possono compiere principalmente solo gli operai coscienti, costretti a diventare - nel fuoco della lotta di classe - anche teorici del socialismo.

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germania

L’accordo sulle 28 ore nel Baden-Württemberg La riduzione di orario è temporanea e individuale: permette il recupero psicofisico dell’operaio che lavora meno occupandosi di figli e familiari anziani, ma percepisce minore salario e lo Stato sociale risparmia. A guadagnarci è solo il capitale Fabrizio Poggi Nell’autunno 1952 Lavrentij Berija, in preparazione del XIX congresso del VKP(b), scriveva: “Il compagno Stalin ha posto un grande obiettivo: la giornata lavorativa di 5 ore” - Stalin ne aveva scritto in Problemi economici del socialismo in URSS - “se ce la faremo, sarà una grande svolta. Alle 9 inizio a lavorare, alle 2 finisco e ho tutto il tempo libero. Anche solo per questo sorpasseremo il capitalismo: loro non lo possono fare; per loro conta solo il profitto. Ma i lavoratori diranno: come fanno i russi a lavorare 5 ore e vivere bene? Date anche a noi il socialismo e il potere sovietico. Questa sarà l’offensiva pacifica del comunismo”. La riduzione delle ore di lavoro, in regime capitalistico, è stata una delle prime e fondamentali rivendicazioni del movimento operaio. La conquista delle 8 ore nei paesi dominati dal capitale ha costituito un punto fermo nel XX secolo, mentre l’URSS passava alla giornata di 7 ore già nel 1931, seppellendo la disoccupazione. In Europa occidentale, la questione ha avuto alti e bassi anche negli ultimi decenni; a metà anni ‘80, in alcuni settori dell’industria tedesca si era arrivati alla settimana di 35 ore. Ma, come ricorda Ursula Stöger su Neues Deutschland, i risultati “sono stati annullati da flessibilità, straordinari non retribuiti, “tempi di fiducia” e calcoli orari. Nel 2015, gli occupati a tempo pieno lavoravano in media 43,5 ore settimanali”. Ora, l’attenzione si è appuntata sull’accordo firmato lo scorso febbraio nel Land del Baden-Württemberg tra sindacato IG Metall e Gesamtmetall (industriali metallurgici), che prevede la possibilità di una riduzione temporanea individuale a 28 ore, per assistere familiari malati, con una compensazione salariale parziale per gli orari di lavoro gravosi. L’accordo ha una validità di 27 mesi e riguarda gli oltre 900.000 metalmeccanici del Land, ma non è ancora chiaro quando e se verrà esteso ai 4 milioni di metalmeccanici dell’intero paese. Anche perché, sostiene la Stöger, nonostante i profondi cambiamenti nel “mercato del lavoro”, sussiste tutt’oggi la pratica del “Versorgerehe”, vale a dire un ménage familiare (Ehe) secondo cui gli uomini lavorano a tempo pieno e le donne si occupano (versorgen) delle faccende domestiche e dei bambini o, al massimo, lavorano part-time; e gli uomini non hanno alcun incentivo a ridurre l’orario di lavoro. Ancora su Neues Deutschland, Steffen Lehndorff sostiene che, a partire dagli anni ‘90, stracciata la contrattazione collettiva, hanno trionfato flessibilità, responsabilità personale, aumento d’orario e di stress; e il parziale aumento dell’occupazione femminile (quasi solo nei Länder occidentali) ha assunto le forme di part-time e minijob. A causa del boom del tempo parziale, l’orario di lavoro è diminuito, ma solo in media e il comando sull’orario di lavoro è passato agli imprenditori, sebbene IG Metall sostenga che la “flessibilità non è più un privilegio dei datori di lavoro”.

Chi ci guadagna dall’accordo? Dunque, cosa prevede l’accordo di febbraio? Un aumento salariale del 4,3% (il sindacato chiedeva il 6%) nel primo anno, oltre a 400 euro una tantum la prossima estate; nell’immediato, appena un “supplemento concordato” del 27,5% dello stipendio mensile, ma solo fino a marzo. Il contentino per il ridotto aumento salariale sono 8 giorni di ferie dal 2019. Di fatto, nota Lars Mörking sull’organo del DKP, Unsere Zeit, il tempo di lavoro è solo apparentemente reso più flessibile per entrambe le parti: tutti i dipendenti a tempo pieno con più di due anni di anzianità, dal 2019 avranno diritto a un orario di lavoro ridotto fino a 28 ore settimanali per un massimo di 24 mesi; ma si tratta di un “privilegio” legato a fatturato, titoli di borsa dell’impresa e andamento industriale. Di fatto, la Gesamtmetall ha intascato una maggiore flessibilità oraria e di masione: dalle 35 ore, i singoli operai potranno passare alle 28 per due anni, ma l’impresa potrà imporre le 40 ore a più operai. A differenza di quanto scritto anche in Italia, non si tratta di una riduzione dell’orario a parità di salario: diminuisce sì l’orario (individualmente), ma insieme a quello anche la retribuzione. È stato notato che l’accordo scaturisce dal

fatto per cui, con la vertiginosa crescita di ritmi e stress, gli operai non riescono più a garantire 30 anni di lavoro ai ritmi attuali e sono disposti ad accettare salari minori pur di salvare il posto di lavoro, a meno ore, consentendo così all’impresa di assumere forza lavoro giovane, ancora tutta da torchiare con contratti capestro. A guadagnarci è il capitale, perché la riduzione è solo temporanea e individuale, permette il recupero psicofisico dell’operaio, che lavora sì meno, ma percepisce anche minore salario e lo Stato sociale risparmia: sarà l’operaio a occuparsi di figli e familiari anziani. Non a caso, l’accordo ha preceduto di poco l’intesa di governo SPD-CSU-CDU ed è stato firmato con una disoccupazione ufficiale a quota 2,4-2,8 milioni. Una cifra che non tiene di conto di ultra58enni, degli occupati a 1 euro l’ora, di iscritti ai corsi di riqualificazione, dei registrati ai centri per l’impiego (considerati come occupati) e di coloro che, ai centri, non si presentano più: per un totale di un altro milione; oltre ai 7 milioni che dipendono da aiuti e sovvenzioni sociali. Grazie a tale sistema di calcolo, se nel 2006 la disoccupazione era all’11%, nel 2016 era precipitata al 5,8%: frutto di impieghi temporanei, minijobs, 1 milione di pensionati che svolgono lavoretti e 1,5 milioni di lavoratori con integrazione salariale dallo Stato.

proprio salario. Oggi, osserva Werner, lo sfruttamento ha luogo anche con alti salari: anzi, con essi il tasso di sfruttamento è di solito persino più alto. E continua: “Marx lottava per l’abolizione definitiva del sistema salariale, ma non poteva prevedere quali for-

“Dumping salariale” A tutto ciò si aggiunge il cosiddetto “dumping salariale”. Ralf Wurzbacher scrive su Die junge Welt che, nonostante l’introduzione del minimo salariale per legge (dal 1 gennaio 2017: 8,84 euro) nel 2016 circa 2,7 milioni di lavoratori hanno riscosso meno del minimo, soprattutto in piccole imprese, impieghi precari e minijobs. In generale, si sono avute punte del 38% di occupati nell’industria alberghiera e della ristorazione retribuiti meno del minimo legale, il 20% nel commercio al dettaglio, il 17% nell’industria alimentare, il 42% tra il personale domestico. Anche nella metallurgia, sebbene settore a contrattazione collettiva, circa il 7% degli operai ha riscosso meno del minimo. Questo, nel quadro del famigerato “Hartz IV”, introdotto 12 anni fa dall’ex Cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder e che, dietro lo slogan di “aiutare e esigere”, ha dato vita al più enorme settore europeo a bassi salari, così profittevole per le imprese tedesche che ora se ne intravede l’italico adattamento nell’accordo Cgil-Cisl-Uil-Confindustria per ridurre i salari, bloccare ogni aumento nei contratti nazionali e legare quelli aziendali ai massimi profitti dell’impresa. Il tutto, elevando flessibilità, aumenti di orario, intensità delle prestazioni e precarietà. Con “Hartz IV”, in Germania, il ventaglio di contratti atipici e a tempo determinato non ha fatto che aumentare, con una costante diminuzione di stipendi, dato che la paura di perdere il lavoro e finire nella morsa di “Hartz IV” e della perenne povertà costringe gli operai a tener stretto anche il posto meno dignitoso.

“Forza-lavoro imprenditoriale” Analizzando la realtà odierna dei rapporti di produzione in Germania, su Zeitschrift Marxistische Erneuerung Harald Werner ha pubblicato il saggio <Da schiavi salariati a “imprenditori operai”. Il mutamento storico dello sfruttamento capitalistico>. All’epoca di Marx, scrive Werner, non c’era bisogno di una spiegazione teorica per riconoscere il lavoro salariato come sfruttamento; ma era necessaria un’analisi teorica per contrastare l’illusione diffusa del “giusto salario” e, nel Capitale, Marx dimostrava “come le diverse forme salariali servissero tutte il medesimo scopo: ridurre il lavoro necessario per aumentare il pluslavoro. All’inizio, estendendo la giornata lavorativa; ma, una volta oltrepassate le capacità fisiche della forza lavoro, ne era con ciò limitata la possibilità di ulteriore sfruttamento. Pertanto, l’estensione assoluta della giornata lavorativa fu sostituita dalla sua “espansione relativa”, volta a ridurre il tempo durante il quale l’operaio non fa che riprodurre il

me ibride si sarebbero sviluppate per aumentare l’accumulazione, anche con l’aumento dei salari e la riduzione dell’orario di lavoro”, con orari “ridotti al minimo, durante i quali viene spremuto il massimo delle prestazioni, secondo l’organizzazione del lavoro e la misurazione delle prestazioni fordista e taylorista. “Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, i riformisti borghesi iniziarono a capire che lo sfruttamento ha dei limiti e inasprisce la lotta di classe. Molto prima di Keynes, Henry Ford ricordava che i salari costituiscono per i padroni non solo una spesa: il loro taglio riduce il numero di clienti”. Dunque, all’epoca della Repubblica di Weimar si fece strada l’idea per cui i “lavoratori non dovessero più considerarsi estranei, ma parte di una “comunità di lavoro” che persegue collettivamente gli stessi obiettivi”. Un’idea ripresa prima dal Fronte del lavoro del Terzo Reich e poi, nel 1952, dal Betriebsverfassungsgesetz della RFT, in base a cui l’azienda è un’unità organizzativa in cui padrone e dipendenti perseguono obiettivi comuni”. Così, la “Comunità d’impresa” nazionalsocialista si trasformò in “parternariato sociale” e l’integrazione della classe operaia si consolidò poi nel 1967 nella “Azione concertata” tra politica, impresa e sindacato e ancora, dal 1998 al 2003, come “Alleanza per lavoro, formazione e competitività”. E oggi nel “partenariato sociale” può benissimo integrarsi, senza soluzione di continuità, il modello della cosiddetta “forzalavoro imprenditoriale”. Lo sfruttamento della forza-lavoro, scrive Werner, non è l’unico prerequisito dell’accumulazione capitalistica: il capitale agisce anche sulla produzione e riproduzione della forza lavoro sociale per adattarla ai propri bisogni. Secondo Marx, ciò porta alla produzione di una “sovrappopolazione relativa” e una “disoccupazione fluttuante”; e non sulla scia della diminuzione dell’accumulazione di capitale, bensì della sua accelerazione: è stato così durante le crisi petrolifere a metà anni ‘70, quando in Germania i tassi di disoccupazione raggiunsero i livelli più alti, mentre gli investimenti delle imprese raddoppiavano.

Disoccupazione condensata Questo divario tra la ripresa economica e la disoccupazione stagnante si è notevolmente ampliato dopo l’annessione dei Länder orientali e l’aumento dei disoccupati permanenti. A questo, le politiche neo-liberiste hanno risposto con la deregolamentazione del mercato del lavoro, in modo non da eliminare la disoccupazione, ma condensarla. Così, il numero di disoccupati registrati è sceso da 4,8 milioni nel 2005 a 2,6 milioni nel 2016, e nello stesso periodo il numero di occupati è salito da 39,9 a 43,5 milioni. Ma questo “successo” nasconde il fatto di come la riduzione statistica della disoccupazione vada di pari passo con un maggiore sfruttamento”, nonostante che “il PIL sia aumentato nello stesso periodo da 2,3 a 3,1 trilioni di euro. La sovrappopolazione relativa, come rovescio della crescente produttività del capitale, si riflette meno nel numero di disoccupati registrati che nell’aumento del lavoro precario. In Germania nel 2014 circa il 39% di tutti i dipendenti ha lavorato part-time, con impieghi temporanei o minijobs. Un numero sempre maggiore di lavoratori precari, in particolare donne e giovani, deve lavorare in due o più posti per sbarcare il lunario. Esternalizzando le attività operative e concentrandosi sulle cosiddette competenze chiave, all’ombra delle grandi aziende è emerso un enorme settore a basso salario e si sono creati sempre più lavoratori autonomi fittizi: se nel 1985 erano 770.000, nel 1996 erano già quattro milioni. Ed era più o meno in questo periodo che la Volkswagen (VW) avviava il progetto “5.000 per 5.000”, che trasformava i dipendenti in “imprenditori della propria forza-lavoro”: 5.000 posti di lavoro retribuiti a 5.000 marchi, con orario flessibile da una media di 48 ore a un massimo di 60 ore per sei giorni. Una linea, questa, scrive ancora Werner - “lavoro di gruppo e a progetto, gestione per obiettivi, modello imprenditoriale, centri di profitto e orari di lavoro estremamente flessibili” – sviluppata guarda caso dall’allora capo del personale della VW, Peter Hartz, (che ha dato poi il nome al famigerato “Hartz IV”) e negoziata tra VW, consiglio di fabbrica e IG Metall. Una linea così tanto reclamizzata, che la Confederazione delle associazioni degli imprenditori si rallegrò subito per l’elevato grado di flessibilità e l’aggancio di salario e orario agli obiettivi dell’impresa. Questa linea di una “forza-lavoro imprenditoriale” costituiva un ritorno al XIX secolo, con il cosiddetto orario di lavoro basato sulla fiducia: apparente sovranità temporale e fattiva disponibilità illimitata alle esigenze aziendali. La libertà di andare e venire a piacimento è generalmente una finzione, perché il tempo di lavoro è solitamente determinato dalla quantità di lavoro e questo, a sua volta, dagli accordi sugli obiettivi, per soddisfare le aspettative dell’impresa. Due decenni dopo quel progetto, gli odierni “imprenditori della propria forza-lavoro” debbono sottostare non solo agli obiettivi dell’impresa, ma anche ai parametri della prestazione lavorativa. Soprattutto nei settori in cui le prestazioni lavorative possono essere monitorate da computer e l’elettronica è alla base del rapporto di lavoro, si assiste a una crescente ritaylorizzazione: tipici i casi dei cassieri nei supermercati, di cui si conta il numero di merci scansionate, o dei call center, con la cronologia delle chiamate, o dei corrieri, seguiti passo passo coi GPS. Il risultato è che i nuovi “lavoratori imprenditori” soffrono sempre più di ansia e depressione, come mostra l’aumento delle malattie psichiche; secondo la Cassa malattie “DAK-Gesundheit”, 246 giornate perse ogni 100 assicurati nel 2016: cifra più che triplicata negli ultimi 20 anni”. L’accordo di febbraio, se risponde ad alcune esigenze individuali e temporanee del lavoratore, è però funzionale alle esigenze di mantenere un robusto esercito di forza-lavoro da sfruttare per l’accumulazione del capitale. È questo il futuro dei rapporti di classe anche nel resto dei paesi capitalisti?

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documenti

Nuova offensiva mediatica contro la Siria Internazionalisti, antimperialisti, devono prepararsi, di nuovo, a smontare completamente tutte le intossicazioni che presenteranno nei prossimi giorni i media e le agenzie di comunicazione per cercare un’escalation ad una guerra che sanno di aver già perso JuanLu Gonzàlez (*) Tutto indica che siamo alle porte di una nuova fase dell’aggressione internazionale contro la Siria. Ora che la situazione sul terreno fa intraveder la fine della guerra, di nuovo – come ad Aleppo – i battaglioni mediatici dell’Occidente si dirigono unanimemente contro la campagna di liberazione di Ghouta orientale, in prossimità di Damasco, dalle mani dei terroristi. I convogli delle famose forze Tigre sono già nelle vicinanze della sacca terrorista, dotate di batterie lanciamissili, artiglieria autoguidata, veicoli blindati e carri armati di ultima generazione come il temuto T-90 Armata. Durante gli ultimi giorni sia la Siria che la Russia stanno duramente bombardando le difese yihaidiste per facilitare il successivo lavoro della fanteria. Con il fronte di Idleb in forte ebollizione, qualsiasi analista sa che, se si libera Ghouta, la guerra sarebbe praticamente finita e la vittoria apparterrebbe, presto o tardi, al popolo siriano. I bilioni di dollari investiti da USA, Arabia Saudita o Qatar sarebbero serviti solo ad allungare la lotta e a renderla più distruttiva. Per questo hanno bisogno di fermare la battaglia prima che cominci. Proprio adesso tornano a sfilare dalla manica tregue-trappola come quelle che volevano ad Aleppo, per difendere gli yihaidisti e i loro istruttori imperiali. Né la Siria né la Russia rifiutano la tregua, ma non vogliono che in essa siano inclusi né i gruppi terroristi né i loro alleati, che sono la maggioranza nella sacca di Ghouta. Ma, nonostante il carnevale sia finito, gli yihaidisti stanno tornando ad utilizzare le loro maschere di Caschi Bianchi e cambiando, per qualche ora, i fucili con le videocamere per cercare di vincere, almeno, la guerra di propaganda con l’appoggio dei loro padroni d’Occidente. I numeri delle vittime, sempre perfetti, volano da un giornale all’altro e da un giorno all’altro come se si trattasse di una lotteria per vedere chi è più antiAssad. 100, 200, 500… chi ne

dà di più? Sì, di nuovo Assad, l’onnipresente, compare nei titoli di tutto il mondo, La personalizzazione torna di nuovo ad essere di rabbiosa attualità. È il presidente siriano che bombarda, uccide, distrugge e si mangia i bambini siriani. Nessuno ricorda che i civili di Ghouta, che l’Occidente dice di difendere, sono in realtà ostaggi trattenuti contro la loro volontà dai terroristi che la NATO e i suoi alleati difendono. È incredibile come tutto il mondo giochi ad inventarsi morti senza prove ma, allo stesso tempo, ignori i bambini e gli adulti morti a Damasco per i razzi lanciati contro la popolazione civile proprio da Ghouta. Persone con nome e cognome, con foto, con funerali. Ma non importa, questo non cambia i titoloni progettati precedentemente nei laboratori di propaganda delle grandi città lontane. I morti non interessano davvero se non servono gli interessi politici. I vassalli dell’ONU corrono per i corridoi della sede centrale dell’organizzazione agli ordini dell’establishment, cercando in tutti i modi che la Siria non prevalga su al-Qaeda. Gli stessi che idearono di lasciare Aleppo orientale ad un’amministrazione yihaidista per evitare la liberazione della città, con un’assurda e folle proposta, agitano ades-

so le bandiere bianche quando ormai sanno che sì – anche loro – stanno per perdere la guerra. E non importano neppure i morti civili provocati dai bombardamenti e dall’invasione turca nel nord-est del paese, nella regione di Afrin. Sono semplicemente invisibili per i media occidentali, con tutto che i kurdi sono stati gli alleati favoriti di USA, Francia e Regno Unito. I loro protettori li hanno abbandonati appena la situazione è cambiata. Forse perché nel loro distretto non c’è il petrolio, forse per non molestare troppo i turchi. È certo che i suoi abitanti hanno chiesto protezione al governo siriano – che prima rifiutavano – e lo stanno ricevendo a braccia aperte e con le bandiere tricolori tristellate insieme a quelle gialle tipiche kurde. Tornando a quanto stavamo discutendo, secondo i nostri “liberi” media i turchi bombardano e invadono pian pianino, senza uccidere nessuno, così come le nuvole di missili terroristici – provenienti da Ghouta - che devastano indiscriminatamente. Non si parla nemmeno degli attacchi della coalizione aggreditrice diretta dagli USA, e questo nonostante che abbiano ucciso migliaia di civili o trasformato in macerie città come Raqqa. Davanti ad un tale dispiegamento di disinformazione di

Russia: toponomastica ideologica Da tempo, sulla scia del golpe yankee-nazista in Ucraina e della legge lì approvata due anni fa, la “decomunistizzazione” sta investendo molti Paesi dell’ex campo socialista in Europa orientale. Strade, piazze, città e villaggi, nel migliore dei casi prendono i vecchi nomi prerivoluzionari; più spesso, quelli dei peggiori arnesi del passato nazionalista o fascista. In Polonia, si arrestano i comunisti e si distruggono i monumenti ai soldati sovietici caduti per la sua liberazione dal nazismo. Qualcosa di simile avviene in Bulgaria. In Ucraina, oltre 1.500 città stanno prendendo i nomi di “eroi” nazionalisti o di aperti collaboratori dei nazisti. Ma anche in Russia, dopo l’ondata degli anni ‘90, seguita al golpe eltsiniano, oggi le cose non vanno meglio. Ora si procede di nuovo a inaugurare targhe e monumenti, intitolare strade e luoghi a generali bianchi, zar e sanguinari atamani: tutto, pur di eliminare i nomi di esponenti o semplici militanti comunisti. Monumenti dedicati a leader sovietici nelle piazze vengono rimossi per far posto a chiese o centri commerciali. Succede non solo a Ekaterinburg, Sankt Peterburg, Nižnij Novgorod (3 città - Sverdlovsk, Leningrad, Gorkij - già da tempo “decomunistizzate”) ma anche a Mosca, Ivanovo, Stavropol, Tjumen. Ora, salvo i nomi delle città più famose, già negli anni ‘30 dedicati a esponenti sovietici, è vero che molte piazze e strade, ad esempio a Mosca, hanno conservato i vecchi nomi prerivoluzionari fin quasi agli anni ‘60, segno che, prima, c’erano cose più importanti e urgenti cui pensare. Oggi, nella Russia degli oligarchi e della restaurazione capitalista, il ritorno alla vecchia toponomastica non può che assumere un chiaro riferimento ideologico. fb

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massa, non c’è da stupirsi che determinati collettivi politici progressisti soccombano alla pressione e cadano nella sua trappola, conferendo credibilità alle informazioni fabbricate da Falsimedia. Quando non è così, ciò che si ottiene con la creazione di uno stato di opinione così parziale ottenuto con un lavoro permanente e congiunto dei principali media mondiali, è che nessuno può affrontare la corrente mediatica senza essere pubblicamente attaccato e accusato quasi di appoggiare governi genocidi. Così prepariamoci a quanto sta per arrivare nelle prossime settimane o mesi. Com’è successo per Aleppo, quanto più vicini siano a sparire i terroristi, più si acuiranno gli attacchi mediatici. Già circolano informazioni sulla preparazione di falsi attacchi chimici, sia a Idleb che a Ghouta, per provocare qualche tipo

di “attacco umanitario” da parte di USA e Francia. Quando, mesi dopo, arriveranno le smentite sarà ormai tardi, i bombardamenti occidentali avranno compiuto la loro missione. Questa stessa settimana abbiamo saputo, niente meno che da Newsweek, che i bombardamenti sulla base di Shayriat in risposta ad un presunto attacco chimico, sono stati eseguiti senza alcuna prova che tale attacco fosse stato effettuato dal governo siriano. Per questo, ora più che mai, è necessario mettere in quarantena qualsiasi informazione che provenga da radio, periodici e televisioni. La campagna di manipolazione è stata messa in marcia. L’informazione sarà sostituita – ancor di più se necessario – dalla propaganda di guerra. La fattoria della finzione dei Caschi Bianchi fuma in questi giorni per

fornire video con cui supportare le notizie false che appariranno in televisione nelle prossime settimane. Gli internazionalisti, gli antimperialisti, coloro che sostengono la causa araba devono prepararsi, di nuovo, ad affrontare quanto si avvicina e a smontare completamente tutte le intossicazioni che presenteranno nei prossimi giorni i media e le agenzie di comunicazione per cercare un’escalation ad una guerra che già sanno di aver perso. Diamoci da fare.

(*) Analista e blogger

spagnolo da:bitsrojiverdes.org; 27.2.2018

traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni

GIUSTIZIA PER LE VITTIME DELL’AMIANTO

In ricordo di tutti i lavoratori e i cittadini assassinati in nome del profitto sabato 28 aprile 2018 ore 16.00 CORTEO

partenza dal Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” di via Magenta 88, Sesto San Giovanni, fino alla lapide di via Carducci

In tutto il mondo il 28 aprile si celebra la giornata mondiale contro l’amianto. Una fibra killer che continua a uccidere nel mondo oltre 100 mila persone ogni anno. Secondo l’allarme lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità ogni anno, in Europa, perdono la vita per patologie asbesto correlate circa 15 mila persone (4mila in Italia) e una persona su tre è a rischio. L’amianto non è un problema del passato ma del presente e del futuro. Una vera emergenza sociale, ambientale e sanitaria. A 25 anni dalla messa al bando dell’amianto in Itala ci sono ancora 32 milioni di tonnellate d’amianto e le bonifiche sono ancora da fare. Per denunciare questo pericolo, rivendicando misure concrete per la tutela della salute degli esseri umani e la messa in sicurezza del territorio da anni, molte associazioni e Comitati delle vittime dell’amianto hanno intrapreso campagne informative e contenziosi giudiziari per la difesa della salute e della vita umana. La conoscenza è la prima forma di difesa. Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio Sesto san Giovanni (Mi) aprile 2018 cip.mi@tiscali.it

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donne

E adesso? Qualche riflessione sull’8 marzo Daniela Trollio (*)

mia” e così veniamo al corollario orribile di molti “femminicidi”: l’uccisione dei figli, anch’essi cose, proprietà private e non esseri umani. La gerarchia è necessaria al capitalismo per il mantenimento di un sistema di privilegio e di esclusione. Ci dicono che è un processo naturale: c’è il padrone e c’è l’operaio; ci sono i paesi sottosviluppati e quelli sviluppati, i ricchi e i poveri. E i morti sul lavoro, siano essi uomini o donne, sono un corollario certo doloroso ma inevitabile. È sempre stato così e non può essere altrimenti. La lotta delle donne – sfruttate e oppresse – dimostra invece che in tutto questo non c’è nulla di naturale né di eterno, svela la carica di violenza dei rapporti di produzione e di riproduzione e la possibilità concreta di distruggerli per costruire un mondo diverso.

Un altro 8 marzo è passato. È stato caratterizzato da “scioperi”, anzi per meglio dire da manifestazioni, in tutto il mondo. L’azione più incisiva l’hanno fatta in Brasile 800 donne del Movimento Sin Tierra occupando la stamperia del gruppo editoriale Globo, il più grande dell’America Latina. La protesta è stata diretta contro il governo e i suoi provvedimenti anti-lavoratori, contro la stampa asservita e contro l’utilizzo dell’esercito in città come Rio de Janeiro. Sembrano rivendicazioni un po’ poco femministe. Ma non è così, per varie ragioni. La principale è molto semplice: va bene l’8 marzo, ma c’è un prima e un dopo - altri 364 giorni - in cui continuiamo a vivere la nostra vita di sfruttate e di oppresse. Un intero anno in cui dovremo lottare, a quanto pare non più come – genericamente “donne” ma come parte di quell’immensa maggioranza che sono i proletari, i lavoratori; un anno in cui ci troveremo davanti, tutti i giorni, i nemici di cui sopra.

Parole E qui veniamo ad una parola d’ordine “storica” e centrale del femminismo nordamericano ed europeo: “il corpo è mio e lo gestisco io”. Bellissima parola d’ordine che sottoscrivo come desiderio, ma il corpo delle donne non esiste in un luogo senza spazio e senza tempo, ma nella realtà nuda e cruda di ieri, di oggi, di domani. Se è vero che il corpo è “mio”, chi lo gestisce sono altri. Se devo lavorare per vivere, il mio corpo sarà gestito dai miei padroni, che stabiliranno il suo valore, l’uso del suo tempo, la sua utilità. In altre parole stiamo parlando di salario, orario di lavoro, licenziamenti. Temi per nulla solo “femministi”, che accomunano invece l’intero mondo dei lavoratori, la classe dei proletari, escludendo invece, paradossalmente, quella porzione di donne che di questo mondo non fa parte. Dimostrazione: per gli operai del gruppo Marcegaglia, per fare un piccolo esempio, è forse cambiato qualcosa quando Emma ha sostituito il padre alla guida dell’azienda? SI (si fa per dire): chiusura di alcuni stabilimenti con relativi licenziamenti, lotta spietata alla sindacalizzazione, operai costretti a trasferirsi in altre regioni con buona pace dell’unità della famiglia, tanto sbandierata come principio cristiano, ma che i padroni si mettono sotto i piedi nella realtà di ogni giorno. “Femminicidio” è un’altra parola che leggiamo, purtroppo tutti i giorni sui giornali. Ma non quando a morire sono le operaie e le lavoratrici perché

Cosa viene prima?

allora, come per i loro compagni maschi, questo sacrificio è “normale” nella corsa al progresso. Dal 1973 ad oggi nella città messicana di Ciudad Juarez, almeno una donna sparisce ogni settimana, per venire poi ritrovata barbaramente torturata e uccisa (470 omicidi e 600 sparizioni circa). La città è stata definita la “capitale dei crimini contro le donne”. Tutte le donne uccise erano povere e la stragrande maggioranza lavorava come operaia nelle maquiladores – industria principale di Ciudad Juarez – fabbriche di proprietà di multinazionali dove si assemblano prodotti per l’esportazione in regime di esenzione fiscale, con un salario medio di 4 dollari per 10 ore di lavoro, condizioni di lavoro fondamentali perché questo tipo di rapporto di produzione, dove la mano d’opera è per il 99% donna, generi il massimo del profitto. Traetene voi le conclusioni. Oggi il tratto distintivo delle nostre società in tutto il mondo è la violenza: le guerre, il militarismo, il neo-colonialismo. Violenza senza più maschere per riprodurre capitale e profitto. C’è quindi da stupirsi se questa violenza si esercita in primis sui soggetti più “deboli” e che tali devono restare perché sono la maggioranza? Esempio: nel decennio 1970 in Bolivia l’avanguardia del movimento che rovescia la sanguinaria dittatura di Hugo Banzer sono le donne indigene di El Alto che lavorano in miniera. E, per venire ad oggi, pensiamo alla giovanissima palestinese Ahed Tamimi che schiaffeggia un soldato israeliano e finisce in

carcere con 18 capi di accusa e rischia 10 anni di carcere, o alla italiana Lavinia Cassaro, la maestra che ha insultato i poliziotti che difendevano i nazisti di CasaPound a Torino pochi giorni fa, per cui si invoca il licenziamento e che sta subendo un enorme, inedito, linciaggio mediatico (senza che alcuna voce “femminista” si sia levata a protestare). Sono donne che lottano, che non chinano la testa e possono trasformarsi in un pericolosissimo esempio. Anche perchè le donne rappresentano, nel mondo, il 49% della forza lavoro e, dei 1.500 milioni di persone che vivono nella miseria assoluta, il 70% sono – per l’appunto - donne.

Patriarcato... o capitalismo? Si attribuisce la causa del femminicidio alla mentalità distorta maschile, al “patriarcato”. Ma cos’è oggi il patriarcato? È un prodotto storico che il capitalismo ha “sussunto” (parola ostica che potremmo sostituire con “assumere”) come ha fatto con altre forme economiche e culturali. Non è possibile pensare al patriarcato come ad una struttura autonoma dal capitalismo. Il capitalismo, in questo caso, ne fa un duplice uso: la mercificazione (meglio sarebbe dire “cosificazione”, il rendere tutto “cosa”) e la gerarchia. L’operaio, e l’operaia, sono diventati merce e le merci sono interscambiabili, si usano, si consumano, si gettano. La merce che acquisto è “cosa

Lottiamo prima contro il capitalismo e poi per la liberazione delle donne o viceversa? È un vecchio dibattito, avvenuto decenni fa non solo nel nostro paese: negli Stati Uniti ha portato femministe “storiche” a teorizzare sia la lotta “totale” contro gli uomini sia il ritorno a casa da “regine” delle donne. Triste fine del femminismo borghese. Le due cose non possono andare distinte; è impossibile lottare contro lo sfruttamento capitalista e la sottomissione dei popoli del mondo senza contare sulla lotta delle sfruttate e delle oppresse, così com’è impossibile ottenere la liberazione delle donne – sfruttate e oppresse, è importante ripeterlo perché le “femministe” borghesi possono sì voler cambiare la sovrastruttura ma non certo la struttura, di cui sono parte integrante – senza abbattere quel sistema che genera il loro sfruttamento e la loro oppressione. È un errore già fatto, non ripetiamolo. E quindi, anche per quello che riguarda la liberazione delle donne, abbiamo bisogno degli stessi strumenti che servono alla liberazione del proletariato, di cui siamo parte integrante: lotta e organizzazione. Diceva Assata Shakur, la rivoluzionaria afroamericana ex membro delle Pantere Nere: “Difendo l’autodeterminazione del mio popolo e di tutti i popoli oppressi... Mi batto per la fine dello sfruttamento capitalista, per l’abolizione delle politiche razziste, lo sradicamento del sessismo e l’eliminazione della repressione politica. Se questo è un crimine, sono assolutamente colpevole”. (CIP “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni)

Attenti alle “forze dell’ordine”

Nel 2017 gli uomini in divisa che hanno ucciso una donna con la pistola d’ordinanza sono stati l’8,5% Carla Francone Vi ricordate delle due ragazze statunitensi ubriache stuprate dai carabinieri a Firenze? Vi ricordate della bandiera utilizzata in tutta Europa da gruppi neonazisti apparsa in una camerata della caserma Baldisserra a Firenze - quella che ospita il VI Battaglione carabinieri Toscana e gli uffici del comando regionale - con accanto un poster con l’immagine Matteo Salvini, leader della Lega che imbraccia un mitra? Al momento della scoperta dall’Arma resero noto che stavano “valutando provvedimenti disciplinari” per il militare ed eventuali conseguenze penali del gesto. La ministra della Difesa Roberta Pinotti chiese al Comandante Generale dei Carabinieri, Tullio Del Sette, “chiarimenti rapidi e provvedimenti rigorosi”. Il procuratore militare Marco De Paolis, avviò un’indagine sulla vicenda. “Chiunque giura di essere militare - ha detto Pinotti - lo fa dichiarando fedeltà alla Repubblica, alle sue leggi e alla Costituzione. Chi espone una bandiera del Reich, dunque, non può essere degno di far par-

te delle Forze Armate essendo venuto meno a quel giuramento”. Mariastella Gelmini di Forza Italia auspicò “provvedimenti esemplari”, mentre il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni definì «indecente» che una bandiera neonazista appaia in una caserma dei carabinieri ed ha chiesto che il Governo riferisca in Parlamento. Poi venne la campagna elettorale... Delle conseguenze per la bandiera non se ne sa nulla - questo a dimostrazione di quanto siano futili le dichiarazioni istituzionali. Per lo stupro, sempre a Firenze, e sempre da parte di carabinieri dopo una serie di violazioni: hanno fatto salire a bordo le studentesse, hanno sostato all’interno di un edificio privato lasciando l’auto incustodita con all’interno le armi “lunghe”, hanno modificato l’itinerario di competenza di un’altra forza di polizia ecc. - si è arrivati a processo in un clima degli anni ‘50. Dodici ore di interrogatorio per 250 domande nel quale alle giovani non è stato risparmiato nulla, tanto che lo stesso giudice ne ha respinto

un terzo. Domande di questo tenore: “Ha mai visitato un negozio di divise a Firenze?”, ha chiesto l’avvocato Giorgio Carta difensore del carabiniere Pietro Costa. “Lei indossava gli slip?” ha chiesto l’avvocata Cristina Menichetti difensore del carabiniere Marco Camuffo, a conferma che non tutte le donne sono uguali e che la questione non è di genere, ma di classe. Stiamo riferendoci a uomini delle cosiddette forze dell’ordine, quelle che - quando vengono schiaffeggiate dai lavoratori in lotta in seguito ad una carica - politici e mezzi di informazioni scatenano il finimondo in loro difesa. O, come nel caso di Lavinia, la maestra

che per aver insultato i poliziotti che difendevano i nazisti di CasaPound a Torino, si è scatenato il linciaggio mediatico fino ad invocare il licenziamento. Siccome le agguerrite neofemministe ignorano Lavinia, e si concetrano sul “femminicidio” è bene sapere che nel 2017 gli uomini in divisa che hanno ucciso una donna con la pistola d’ordinanza sono stati 10 su 117, l’8,5%. In Italia gli agenti armati fra i 18 e i 65 anni sono 450mila, il 2,5% della popolazione maschile. Il 12,8% delle uccisioni viene commesso con la pistola, quindi tre uomini su quattro fra quelli che sparano alla propria compagna - sono agenti della forza pubblica o guardie giurate che avrebbero il compito di difendere la popolazione. Dal momento del concorso l’idoneità psichica non viene più attestata, tranne in caso di anomalie, quindi solo se l’agente dà segni che possano preoccupare colleghi o superiori. Assurdo se si pensa all’ultimo caso, quello di Latina, per il quale né la visita dallo psicologo, né l’esposto della moglie, hanno tolto

l’arma all’assassino impedendogli di uccidere tutta la famiglia. Come dire, siamo proprio in buone mani! E, secondo le intenzioni sia della Lega (sostenuta da Berlusconi che ha promesso di riempire le strade di poliziotti) che del M5S - dopo il teatrino della campagna elettorale si stanno accordando e sgomitano per arrivare a governare -, si dovrebbe rafforzare il numero degli uomini in divisa per la maggiore sicurezza della popolazione! Due forze politiche tra le più votate che alimentano la guerra tra poveri e l’identificazione del nemico negli immigrati fomentando il razzismo. Dopo la sparatoria di Macerata, ancora una volta, infatti, a Firenze un altro senegalese - dopo i due uccisi da un iscritto a Casapound nel 2011 - è stato ucciso per mano di un italiano. Qualunque sia la composizione del governo che uscirà dagli accordi più o meno sottobanco ci aspetta un governo ancora più autoritario e più pericoloso dello stesso operato repressivo di Minniti e del PD. La vigilanza e la lotta antifascista restano all’ordine del giorno!

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rassegna stampa

Notizie in breve dal mondo febbraio/marzo Germania, 1° febbraio

David Castillo. Berta Càceres fu assassinata il 3 marzo 2016 nella città di La Esperanza: un gruppo di sconosciuti irruppe nella sua casa e la uccise. Secondo il Dipartimento di Investigazioni Criminali, David Castillo fornì le risorse e la logistica agli autori materiali. A oggi sono indagate 8 persone, tra dirigenti della società e poliziotti che hanno fatto sparire alcune prove.

Oggi gli operai tedeschi hanno incrociato le braccia per 24 ore, in più di 260 imprese, paralizzando anche 80 tra centrali elettriche e fabbriche metallurgiche. Allo sciopero “di avviso” ha partecipato circa 1 milione e mezzo di lavoratori, per la maggior parte sindacalizzati nella IG Metal, che rappresenta 4 milioni di lavoratori. Durante la trattativa, l’associazione padronale Suedwestmetall ha dovuto concedere aumenti salariali del 4,3% da aprile e, tra altre concessioni, la possibilità, per alcuni settori operai, di ridurre la settimana lavorativa a 28 ore. L’accordo ha tuttavia alcuni limiti: l’aumento richiesto dagli operai era del 6%; la riduzione di orario non si applica su scala nazionale e durerà solo 2 anni e, in cambio, gli imprenditori potranno assumere altri lavoratori a 40 ore settimanali, mentre l’attuale settimana è di 35.

Helsinki, Finlandia 3 febbraio

Migliaia di manifestanti si sono dati apuntamento nella Piazza del Senato per protestare contro le nuove leggi che penalizzano i disoccupati, che dovranno totalizzare almeno 18 ore di lavoro in tre mesi, oltre a partecipare ad un piano per la ricerca di un nuovo lavoro. La manifestazione è stata indetta dal sindacato operaio SAK, che ha circa un milione di membri (la popolazione finlandese è di circa 5,5 milioni di persone), contro il progetto del governo di sospendere il pagamento dell’indennità di disoccupazione e contro il “Patto di Competitività” del 2016 che prevede il congelamento degli aumenti salariali, tagli alla 14° mensilità e 24 ore in più di lavoro all’anno in nome della competitività, per abolire il quale sono state già raccolte 140.000 firme. In serata la Confindustria finlandese, la EK, ha fatto sapere che lo sciopero, a cui hanno partecipato 150.000 lavoratori, ha comportato perdite di più di 100 milioni di euro all’industria.

New York, USA 5 marzo

La Striscia di Gaza potrebbe essere dichiarata inabitabile, data la quasi inesistenza di infrastrutture e le restrizioni imposte da Israele, nel 2020. Lo ha dichiarato oggi il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, presentando uno studio dell’organizzazione. Se la situazione si manterrà quale è oggi, i servizi di base e l’infrastruttura collasseranno; due milioni di palestinesi si trovano davanti ad una infrastruttura in rovine, alla mancanza di elettricità e di servizi di base, alla disoccupazione cronica e ad un’economia paralizzata, nel mezzo di un disastro ecologico in sviluppo. Il diplomatico ha anche denunciato il deficit di finanziamenti per l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi (Unrwa), che colpisce la capacità dell’organizzazione di mantenere l’assistenza umanitaria e di preservare servizi essenziali come la salute e l’educazione.

Santiago del Cile, Cile 19 febbraio

Il giudice che si occupa del caso, Mario Carroza, ha rivelato oggi l’esistenza di una rete che organizzò l’adozione, in paesi stranieri, di circa 500 bambini sottratti alle loro famiglie durante la dittatura di Pinochet. Il paese scelto di preferenza erano gli Stati Uniti.

Sofia, Bulgaria 19 febbraio

Nazionalisti bulgari e gruppi neonazisti hanno manifestato per ricordare il generale Hristo Lukov, uno dei fondatori dell’Unione delle Legioni Nazionali Bulgare, gruppo neonazista che durante la 2° guerra mondiale ebbe un ruolo considerevole nel propagandare idee antisemite. Lukov fu giustiziato nel 1943 dai comunisti bulgari.

Maputo, Mozambico 20 febbraio

Qarah, Siria 3 marzo

città di Afrin. Completamente assenti i mezzi di comunicazione. La manifestazione voleva ricordare anche che sono passati 19 anni da quando Ocalan è recluso nell’isola di Imrali e che “da un anno non abbiamo prove che Ocalan sia ancora recluso là e che sia ancora vivo”, ha denunciato Sivan Zerdesti, membro del Congresso Nazionale del Kurdistan.

La suora franco-libanese Agnès-Maria De La Cruz, del monastero greco-cattolico di San Giacomo il Mutilato - smentendo quanto affermato dalla stampa occidentale - ha dichiarato che i cosiddetti ”ribelli” stanno ostacolando l’evacuazione dei civili di Guta Orientale perchè li utilizzano come scudi umani. La religiosa ha anche detto che, da quando è in atto la tregua umanitaria a Guta Orientale, solo 100 persone sono riuscite a fuggire dall’area assediata. Secondo la monaca sono ancora intrappolati nella città almeno 250.000 civili e non 500.000 come afferma l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (OSDH) che ha la sua base operativa a Londra. Essa ritiene che questa cifra sia stata “gonfiata” intenzionalmente per dimostrare il presunto appoggio della popolazione ai ribelli e conclude che le accuse contro Damasco su un presunto uso di armi chimiche hanno lo scopo di giustificare la distruzione della Siria

Spagna, 22 febbraio

Washington, USA 6 marzo

Migliaia di pensionati in tutta la Spagna hanno manifestato in più di 40 località per difendere il sistema pubblico pensionistico e per protestare contro l’insufficiente aumento dello 0,25% per quest’anno. La campagna di mobilitazione era cominciata lo scorso 15 febbraio. A Madrid centinaia di manifestanti hanno spezzato il cordone dei poliziotti, rovesciato le barriere di sicurezza poste davanti al palazzo del Congresso dei Deputati, nella Plaza de las Cortes. A Bilbao migliaia di persone hanno occupato il centro della città interrompendo il traffico. Ci sono state manifestazioni similari a Barcellona, Girona, Lleida, Tarragona, Sabadell, Oviedo, Siviglia, e a Las Palmas (Gran Canaria).

Lima, Perù 25 febbraio

Duramente repressa con manganelli e gas lacrimogeni la manifestazioni di giovani e studenti contro la nuova legge del lavoro (detta “legge dello schiavo giovanile”) che obbliga i giovani a lavorare 20 ore settimanali per tre anni senza salario e senza vacanze. Le violenze non sono riuscite a spezzare il corteo.

Rio de Janeiro, Brasile 27 marzo

È morto oggi Theotonio Dos Santos, sociologo, professore e militante politico marxista. Costretto a fuggire dal paese nel 1964 dopo il colpo di Stato, riparò in Cile dove, nel 1966 ebbe una cattedra universitaria e fondò, con Marta Harnecker, la rivista Chile Hoy. Nel 1972, in un articolo intitolato “Socialismo o fascismo” segnalava i pericoli di una nuova dittatura in risposta alle riforme del governo popolare di Salvador Allende. Tra le sue opere ricordiamo la “Teoria della dipendenza: bilancio e prospettive”, in cui formulava il concetto di dipendenza, la periodizzazione delle diverse fasi della dipendenza nella storia dell’accumulazione capitalistica mondiale e i meccanismi riproduttivi della dipendenza.

San Pedro Sula, Honduras 2 marzo

Arrestato all’aeroporto mentre cercava di fuggire l’autore “intellettuale” dell’assassinio di Berta Càceres, la leader indigena. Si tratta del presidente della società Desarrollos Energéticos S.A. (DESA),

Dopo le forti piogge cadute sul paese, oggi una valanga di spazzatura ha sepolto 17 persone nella capitale. Tutte vivevano a fianco del deposito, quando tonnellate di rifiuti si sono rovesciate sulle loro misera abitazioni. Negli ultimi anni sono state erette migliaia di baracche attorno ai 48 ettari de deposito di Hulene, attivo da 40 anni, che raccoglie rifiuti domestici, industriali e sanitari della capitale. L’anno scorso le autorità avevano progettato un piano per chiuderlo ma la mancanza di fondi lo ha impedito. Ora la tragedia.

Sudafrica, 20 febbraio

Oggi le autorità hanno dichiarato lo “stato di catastrofe naturale” in tutto il paese a causa della siccità – la più grave da un secolo - che colpisce da mesi Città del Capo. Il consumo di acqua viene da oggi limitato a non più di 50 litri al giorno, che equivalgono ad una doccia quotidiana di 3 minuti.

Buenos Aires, Argentina 21 febbraio

400.000 lavoratori in piazza nella capitale per dire NO al governo di Mauricio Macri e alla sua politica di tagli neoliberisti, definita dal sindacalista Hugo Moyano una “politica di fame”.

Strasburgo, Francia 21 febbraio

Nonostante una forte nevicata e il blocco delle strade da parte della polizia, 40.000 kurdi, provenienti in maggioranza da Francia e Germania, si sono dati appuntamento nella città francese – sede del Tribunale Europeo per i Diritti Umani - per chiedere la liberazione di Abdullah Ocalan, il riconoscimento di uno statuto per il Kurdistan e l’immediata cessazione dei bombardamenti turchi sulla

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La polizia della capitale ha arrestato 89 persone nell’arco di una serie di manifestazioni di appoggio ai “dreamers” (i sognatori), i circa 800.000 immigranti irregolari arrivati in USA da bambini a cui Donald Trump vuole togliere il programma DACA, che li tutela. 68 persone sono state arrestate per aver bloccato una via vicina alla sede del Congresso e altrei 19 per aver cercato di entrare nel’ufficio del presidente della Camera dei Rappresentanti.

Buenos Aires, Argentina 7 marzo

A 90 anni è morto oggi, all’Ospedale Militare, il generale genocida Reynaldo Bignone, l’ultimo dittatore del paese. Scontava 10 condanne per delitti di lesa umanità. Bignone è il militare che confessò che la tortura era stata approvata dalla Chiesa Cattolica e che, prima di rimettere le insegne al primo presidente civile, Raùl Alfonsìn, ordinò di distruggere tutti i documenti elaborati dallo Stato terrorista. Secondo l’organizzazione Hijos Capital “la morte è rimasta senza il suo ultimo capo. La sua famiglia sa l’ora, i motivi e il luogo della sua morte. Potrà anche decidere dove accomiatarsi da lui. Le migliaia di famiglie delle vittime di Bignone, no”. Intervistato anni fa dalla giornalista francese Marie Monique-Robin, egli ammise l’esistenza (sic!) di 8.000 desaparecidos e spiegò che erano stati i militari francesi ad insegnare a quelli argentini il metodo del sequestro, della tortura e dell’esecuzione clandestina e affermò che l’Episcopato argentino approovava queste pratiche.

Messico, 7 marzo

Preoccuparsi dell’ambiente può costare la vita. Secondo il rapporto del Centro Messicano per i Diritti Ambientali, tra il luglio 2016 e il dicembre 2017 sono stati assassinati nel paese 28 ecologisti. In questi mesi ci sono stati anche 88 attacchi, il 36% dei quali commessi dalle autorità. Nel rapporto si ricorda che “migliaia di attivisti affrontano quotidianamente minacce e intimidazioni perchè manifestano contro gli impatti devastatori di progetti di ogni tipo, quasi sempre consistenti in ‘iniziative statali’, o di corporations industriali e società multinazionali”. Il Messico non è lo Stato più pericoloso per gli ambientalisti: la lista è capitanata da Brasile, Colombia, Honduras e Nicaragua.

MEMORIA

Augusto César Sandino, vincitore delle truppe di invasione degli Stati Uniti in Nicaragua Il 21 febbraio 1934 muore assassinato Augusto César Sandino, generale di uomini liberi e vincitore delle truppe di invasione degli Stati Uniti in Nicaragua. Egli aveva messo in fuga i marines dopo una lunga guerra di guerriglia, che durò dal 1927 al 1933. Ma le forze statunitensi avevano già piantato i semi del mostro, creando la Guardia Nazionale e mettendole a capo Anastasio “Tacho” Somoza, di cui Franklin D.Roosevelt avrebbedetto, davanti al Congresso degli Stati Uniti, “sì, è un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana”.Tradito dal governo nazionale nicaraguense una volta partiti gli invasori, la Guardia cattura Sandino e due dei suoi generali dell’Esercito Difensore della Sovranità Nazionale e, in aperta campagna nelle vicinanze di Managua, li fucila nella notte. Prima di essere sotterrato, il cadavere di Sandino sarà portato davanti a Somoza perché questi constati personalmente il suo assassinio. Non abbandonerò le mie montagne finchè resterà un gringo in Nicaragua. Non abbandonerò la mia lotta finché ci sarà un diritto da difendere. La mia causa è la causa del mio popolo, la causa dell’America, la causa di tutti i popoli oppressi”.

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lettere

La rubrica delle lettere è un punto fisso di quasi tutti i giornali. Noi chiediamo che in questa rubrica siano presenti le vostre lettere, anche quelle che spediteai vari quotidiani e rivisteche non vengono pubblicate. Il sommerso a volte

è molto indicativo

Lottare contro il capitalismo-imperialismo causa degli effetti disastrosi, drammatici e tragici del sistema capitalista-imperialista Antifascismo democratico - non violento e antifascismo militante. Anche i partigiani in Italia e in tutta europa furono costretti a prendere le armi per sconfiggere la belva nazi-fascista. Così come non si può mettere sullo stesso piano fascismo e antifascismo, non si neppure mettere sullo stesso piano la violenza fascista e la violenza antifascista. Se dei fascisti (del 3° Millennio) massacrano di botte un immigrato, un omosessuale, un nero di pelle per il solo fatto di essere immigrato, omosessuale, nero di pelle, la violenza antifascista che va a colpire gli autori del massacro è giusta, antifascista, rivoluzionaria. Non ha niente a che fare con la violenza dei fascisti! Questo per principio etico-morale. Poi se politicamente non è premiante, perché fa il gioco del potere borghese che alimenta la guerra tra “opposti estremismi” è un discorso che l’antifascismo tutto deve fare. Il fascismo non è un’ideologia, un “sistema di valori” autonomo. Il fascismo è lo strumento criminale della borghesia volto a difendere e mettere in sicurezza il capitalismo e lo sfruttamento del proletariato. La borghesia liberale ricorre sempre al fascismo tutte le volte che capisce e teme che con la democrazia borghese non riesce più a difendere i suoi interessi fondati sullo sfruttamento del proletariato di tutto il mondo. Certo sono i capitalisti che fanno arrivare gli immigrati in Italia e in tutta Europa allo scopo di abbattere il costo del lavoro, il salario e i diritti dei lavoratori, ma guarda caso i neo fascisti fanno la guerra alla povera gente, ai lavoratori stranieri, invece di fare la guerra agli sfruttatori capitalisti miliardari. Dimenticando o non sapendo che milioni e milioni di lavoratori italiani sono stati la voratori stranieri un po’ in tutto il mondo, a prescindere dal fatto che potevano trovare il lavoro erano pur sempre emarginati, disprezzati e anche uccisi! Dimenticando o non sapendo che prima che gli immigrati venissero da noi, italiani ed europei, siamo andati da loro, nei loro paesi ad invaderli, con gli eserciti, a massacrarli, a derubarli, ormai da 500 anni. Le sanno queste cose i fascisti del 3° Millennio? L’”invasione” degli immigrati, il disordine, l’insicurezza, la disoccupazione in Italia, in Europa, in Africa, nel mondo, non sono altro che gli effetti disastrosi, drammatici e tragici del sistema capitalista-imperialista. Se vogliamo eliminarli dobbiamo lottare contro la causa di questi effetti, contro il capitalismo-imperialismo che li produce! Carlo Rivolta Sanremo

Socialismo o barbarie! Ho preso la briga di ascoltare qualche trasmissione televisiva il 27 gennaio giorno della memoria della Shoah. La prima cosa che salta all’occhio è la completa assenza della narrazione della verità storica che oltre agli ebrei, agli zingari, agli omosessuali e ai disabili, nei campi di sterminio nazisti c’erano anche i comunisti. Ma si sa bene che i comunisti devono essere dimenticati o, meglio, fatti dimenticare ai lavoratori in modo che non si organizzino per il loro riscatto... La questione più importante mi sembra, però, un’altra: quali furono le classi sociali che trovarono nel nazismo il rappresentante politico ed ideologico? A questa domanda nessuna risposta: solo teorizzazioni inconcludenti sul “male” e la malvagità umana. La realtà storica è che l’imperialismo tedesco, alimentato dalla grossa borghesia desiderosa di commesse militari e di espansione economica trovò nel nazismo lo strumento per raggiungere i suoi obiettivi. La distruzione dell’URSS e la conseguente sottomissione dei suoi territori oltre che a far gola all’imperialismo tedesco, era anche l’obiettivo di tutti gli altri paesi capitalisti: ciò spiega perchè tutte le potenze occidentali (USA in prima fila) non si opponessero all’avanzata tedesca in Unione Sovietica e perchè aprissero il fronte occidentale solo quando fu chiaro che la controffensiva Sovietica era vincente. Fronte occidentale che ebbe lo scopo non di aiutare il popolo sovietico, ma di frenare l’avanzata verso occidente dell’esercito rosso. Riconoscere i connotati politici di classe del nazismo vuol dire prima di tutto, essere consapevoli che nascono dall’imperialismo e che, quindi, fenomeni simili possono ripetersi finchè ci sara la borghesia imperialista. Le guerre imperialiste a cominciare da quelle più grandi scatenate dagli USA si sono accompagnate a genocidi e stragi efferate simili a quelle naziste. Restando sulla questione dello sterminio degli ebrei si vede chiaramente come ciò fu solo un pretesto per dare al popolo tedesco un capro espiatorio e distoglierlo dalla lotta verso i suoi veri nemici di classe. La storia si ripete anche oggi: in Italia e nel mondo (USA in testa) si aizza l’odio contro i migranti, si inneggia alla difesa della “razza bianca” e vaneggiamenti simili. Lo stesso stato di Israele finanziato dagli Stati Uniti come avamposto militare nel mondo arabo, è diventato uno degli strumenti più odiosi della politica guerrafondaia imperialista. Per concludere: la lotta contro i crimini nazi-fascisti deve da un lato unire il più ampio fronte comune, ma i comunisti devono dimostrare che solo l’eliminazione della matrice che ha generato questi crimini, l’eliminazione del capitalismo ne è la soluzione definitiva. SOCIALISMO O BARBARIE! Orlando Simoncini Castelfiorentino

Ricchi sulla pelle del proletariato e dei popoli Una ricerca sul cinema del ‘68 Nella terra di Sandino, il “Generale degli Uomini Liberi”, avvenne la rivoluzione sandinista nel 1979 e anche il colonialismo culturale venne sconfitto. Il Nicaragua venne allora percorso in lungo e in largo da troupes cinematografiche provenienti da tutto il mondo. Era un agitarsi continuo, fatto di ricerche e di sopralluoghi di decine di documentaristi, provenienti da tutte le parti del mondo, per fotografare, registrare e documentare colori, suoni, e umori e speranze di una rivoluzione che stava nascendo. Il “Circolo Itinerante Proletario Georges Politzer”, ispirandosi anche a quei giorni rivoluzionari, ha cercato di accostare con il suo nuovo percorso cinematografico e con la prima proiezione con il film I Cannibali” di Liliana Cavani (vedi allegato), due termini: cinema/68, cercando di raccontare con lo “strumento cinema” quel periodo. La nostra ricerca cinematografica sul cinema del ‘68, con il compito di studiare quella storia (“ci è entrato la strada in camera” The Dreamers di Bernardo Bertolucci), è stata difficile ma esaltante, come quasi quei giorni, ben sapendo che sarà alla fine solo un piccolo tassello nella nostra faticosa ricostruzione di quel fenomeno storico con le sue immagini in movimento. Per il “nostro cinema” fu data la possibilità di prendere a tutti una cinepresa (girati in Italia nel 1968 oltre 250 film), con uno spirito quasi pionieristico e spesso con mezzi di fortuna e con sgangherate troupes. Si arrivò però a un cinema con una concezione originale e con una ricchezza di temi e ritagliandosi spazi originali di racconto, un cinema non asservito e carico di vivacità polemica che oggi noi sembriamo del tutto aver perduto. Fu messo tutto in discussione lo stile, il linguaggio e perfino i premi (“oggi nel cinema italiano si premiano sempre fra di loro” Alberto Moro, “il Principe dei Proiezionisti” da Lorenzo Pellizzari “quando la parola critica esisteva”); doveva essere tutto rovesciato per soddisfare il bisogno di indipendenza culturale con dibattiti e confronti sempre aperti. Cercheremo di comprendere lo spirito del ‘68, con la sua esplosione di utopie (“l’utopia della realtà”) e di ideali, più che proiettare film sulle barricate (nonostante il titolo...) e su scontri in piazza, ma che abbiano filmato la lotta per “l’immaginazione al potere”, per spettatori che abbiano ancora voglia di imparare e di vedere e che non chiudano gli occhi e li non faccia chiudere di fronte alla realtà. Ci interrogheremo se il ‘68 fu “una rivoluzione mancata” e “se ha vinto e o se ha perso, e se ha lasciato rimorsi...” (parafrasando un titolo di un libro di Pino Cacucci). “La ricompensa sta nella lotta stessa, non in quello che vinci” Phil Ochs (cantautore di protesta statunitense e autore del vero inno dei sit-in contro la guerra in Vietnam). Tornerei per concludere però alle barricate, perché gli oppositori francesi contro la costruzione dell’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes hanno vinto ai giorni nostri dopo ben cinquant’anni di dura lotta, grazie anche a delle barricate che non si erano più viste così invalicabili dal “Maggio Francese”. Stefano Contena Valsecchi “Circolo Itinerante Proletario Georges Politzer”

Non bisogna fare la guerra alla ricchezza e ai ricchi perché se uno è diventato ricco per suo merito è giusto che si goda la sua ricchezza. Questo ha detto Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia alla tv (Agorà) il 25 gennaio. Ecco, la differenza di fondo tra comunisti marxisti da una parte e liberali e fascisti dall’altra, sta proprio in questo. I comunisti marxisti sono convinti, sulla base di quanto studiato da Marx ed Engels, che la ricchezza milionaria e miliardaria (non “quella” di chi con enormi sacrifici e privazioni è riuscito a comprare casa per sé e i propri figli) dei capitalisti e dei borghesi non sia il frutto meritato del loro studio e lavoro come l’ideologia liberale ci racconta, ma sia il frutto diretto e indiretto del proletariato di tutto il mondo; il frutto dei loro crimini, delle loro rapine, delle loro truffe e frodi (Berlusconi insegna!); il frutto delle loro guerre. I liberali, i fascisti, le destre e la Meloni, invece credono che la ricchezza milionaria e miliardaria dei capitalisti e dei borghesi sia il frutto del loro merito, delle loro capacità, del loro talento, della loro intelligenza. Qualità che milionari e miliardari possono anche avere, ma che certo usano per sfruttare e derubare il proletariato e i popoli di tutto il mondo. Pietro Gori - Imperia

nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) anno XXVII n. 2/2018 - Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze - tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Emiliano, Michele Michelino, Fabrizio Poggi, Daniela Trollio abbonamento annuo Italia euro 26,00 abbonamento annuo sostenitore euro 104,00 abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20 I versamenti vanno effettuati sul c/c postale nr. 1031575507 intestato a: nuova unità - Firenze Stampato interamente su carta riciclata, nessun albero è stato abbattuto per farvi leggere queste pagine

Chiuso in redazione: 20/03/2018

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