Nuova Unità aprile 2015

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RIVISTA COMUNISTA DI POLITICA E CULTURA Periodico n. 2/2015 - anno XXIV

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1° di maggio contro il capitalismo Il 25 Aprile la Resistenza continua!

A 70 anni dalla Liberazione sono continui gli attacchi alla Lotta partigiana per distruggerne il ricordo e imporre le controriforme e un sistema autoritario necessari al potere capitalista per scaricare la propria crisi sulla classe operaia e le masse popolari

Non ci servono cortei “festosi” e rituali, ci serve che il 1° Maggio diventi solo il simbolo della lotta di tutti gli sfruttati e gli oppressi negli altri 364 giorni dell’anno Il 1° Maggio come giornata internazionale dei lavoratori risale ad anni lontanissimi – ma purtroppo solo nel tempo – e precisamente al Congresso Operaio Socialista della 2° Internazionale a Parigi del 1889, che la fissò in omaggio ai Martiri di Chicago (7 di loro erano immigrati di nazionalità tedesca) e in ricordo delle giornate di lotta per le 8 ore di lavoro culminate nella rivolta di Haymarket. La lotta era iniziata dalla fabbrica di trattori McCormik, contro la giornata di 10/12 ore di lavoro, sabato compreso, in condizioni pericolose. Detto così… com’è tragicamente attuale, vero? E oggi ci rubano persino la domenica! È passato un secolo e ci ritroviamo nelle stesse condizioni. La precarietà - tratto sempre costante nella storia del capitalismo, non va dimenticato - sotto l’attacco del cosiddetto neo-liberismo, è diventata la costante delle nostre vite. Dopo un secolo di lotte sindacali e politiche, ad uno ad uno crollano le conquiste: la contrattazione collettiva, un salario che permetta di vivere con dignità o, semplicemente, di vivere, la giornata e il tempo di lavoro, il diritto di sciopero, la negoziazione collettiva, la rappresentanza sindacale ecc. ecc. Generazioni di giovani senza lavoro – quindi senza futuro, diciamocelo chiaro – donne ricacciate nelle loro case… e la lista è lunga. continua a pagina 3

La medaglia di onorificenza «in riconoscimento del sacrificio offerto alla Patria» che il governo di centrosinistra (Boldrini e Delrio alla presenza del Presidente Mattarella) ha consegnato alla memoria di Paride Mori, ex repubblichino e ufficiale del Battaglione Mussolini – che ha agito a fianco dei nazisti - è un altro insulto ai partigiani e antifascisti e un’altra tappa sulla via della “pacificazione nazionale” varata da Violante, che ha poi trovato un forte sostenitore in Napolitano, e ora ufficialmente dal governo Renzi che equipara i fascisti che hanno combattuto per la dittatura e l’oppressione a fianco dei nazisti ai partigiani che hanno lottato per la liberazione. Che questo non sia un fatto isolato è dimostrato anche dall’articolo di Alessandro Fulloni su “corriere.it” intitolato: “Foibe, 300 fascisti di Salò ricevono la medaglia per il giorno del ricordo” (tra cui almeno 5 criminali di guerra accusati di avere torturato civili e partigiani). Dal 2004 con il governo Berlusconi sono cominciati i riconoscimenti ai fascisti in memoria delle vittime delle foibe come previsto dalla legge istitutiva del Giorno del Ricordo. La “Giornata del ricordo” è nata dal governo Berlusconi su proposta di un gruppo di parlamentari in prevalenza Fi e An, ma non mancavano esponenti Udc e del centrosinistra. Oltre alla conservazione della memoria, la legge stabilisce la consegna delle medaglie ai familiari delle vittime sino al sesto grado. Onorificenze estese a chiunque, tra Friuli e Slovenia, sia stato ucciso «per cause riconducibili ad infoibamenti» nel periodo che va dall’8 settembre a metà del 1947, a seguito di «torture, annegamenti, fucilazione, massacri, attentati in qualsiasi modo perpetrati». Riscrivere la storia attraverso gesti simbolici come le medaglie o riconoscimenti “per il sacrificio alla Patria” ai fascisti è solo uno dei tentativi per far passare come meritori, sia chi combatteva a fianco dei nazisti che coloro che lottavano contro la loro dittatura. Il nazionalismo ha bisogno della pacificazione e di ricorrenze condivise e il 25 Aprile è una data che ricorda un conflitto e, allora qual è modo migliore di superarlo se non quello di trasformarla in festa tricolore riconoscendo la bontà e gli “ideali” di tutti gli italiani, compresi i fascisti? continua a pagina 2

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Viva il 25 APRILE La RESISTENZA continua Michele Michelino dalla prima Nel 70° della Liberazione equiparare gli assassini della Repubblica di Salò, alleati dei nazisti tedeschi e considerati italiani che hanno servito la patria, ai partigiani liberatori - aumentare la produzione editoriale e televisiva che mescola e strumentalizza il passato come con le foibe e permettere il proliferare di gruppi fascisti che aprono sedi e distruggono quelle di sinistra, sprangano i militanti, è un insulto per tutti gli antifascisti. In questi 70 anni sono continui gli attacchi alla Lotta partigiana tesi a distruggerne e mistificarne il ricordo. Il 25 Aprile ci riporta all’attualità delle stragi con cui i fascisti al servizio della borghesia capitalista, hanno insanguinato per decenni piazze e strade d’Italia, grazie anche alla presenza sul nostro territorio delle basi Usa e Nato, vere e proprie centrali di addestramento per l’eversione fascista, supporto dei servizi di sicurezza e spionaggio, basi logistiche per le guerre e depositi di micidiali armi di distruzione di massa. Il fascismo, infatti, è lo strumento che la borghesia capitalista usa per opprimere e schiacciare la classe operaia e le masse popolari quando queste, con le lotte, mettono in discussione o in pericolo il potere del sistema di sfruttamento capitalista democratico-borghese. Resistenza oggi è difendere l’antifascismo dalla politica reazionaria e dalle misure liberticide del governo

Renzi, dagli attacchi della destra e dalla sua produzione ideologica che nega e mistifica il passato per riscrivere la storia e i testi scolastici nel tentativo di far dimenticare ai giovani il ricordo, i valori, gli ideali della Lotta partigiana e imporre una visione del mondo favorevole al capitalismo. Per noi comunisti ricordare la Resistenza non significa solo ricordare la lotta armata dei partigiani che si sono sacrificati per liberare l’Italia dalla dittatura di Mussolini e dall’aggressore nazista, ma lottare ogni giorno per liberarci da ogni forma di sfruttamento ed oppressione e costruire una società diversa. La resistenza continua nella lotta contro il capitalismo e i suoi governi che scaricano la propria crisi sulla classe operaia e le masse popolari. Significa battersi per la cacciata delle basi Usa e Nato, contro le guerre imperialiste e contro il nuovo polo imperialista europeo e la sua Costituzione reazionaria. Nell’Europa in crisi cronica da anni, l’unica politica economica che fa gli interessi del grande capitale consiste nell’applicazione di drastiche riduzioni salariali, di tagli sui trasporti, sui servizi – in particolare sulla sanità - accompagnate da politiche autoritarie, “missioni militari” e riarmo. La difesa degli interessi dell’imperialismo italiano ed europeo nel mondo sempre alla ricerca di nuovi mercati a scapito dei concorrenti, richiede oggi nuove istituzioni più funzionali a raggiungere questi obiettivi e alle borghesie imperialiste serve il contributo di tutti. Per questo da anni si sta demo-

lendo la Costituzione “antifascista”. Con l’aumento degli interessi del capitale italiano, l’esercito di leva - inserito nella Carta Costituzionale Repubblicana con la nascita della Repubblica (art. 52) non era più funzionale agli interessi della borghesia imperialista e, come altri, è entrato in contrasto con la difesa degli interessi imperialisti nel mondo. Non è un caso che uno dei primi cambiamenti necessari a sostenere la politica aggressiva e guerrafondaia dell’imperialismo italiano nel mondo è stata proprio la riforma dell’esercito che ha trasformato il militare di leva in esercito professionale, pagato e, quindi, fedele al potere. Così lo Stato italiano si è attrezzato per aggirare e vanificare l’art. 11 della Costituzione Repubblicana che recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle con-

troversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. È bastato sostituire la parola “guerra” con “missioni di pace” per creare una forza d’intervento militare basata su mercenari pronta a difendere in ogni momento la “patria” e gli interessi dell’imperialismo italiano nel mondo e, soprattutto pronta a partecipare alle guerre imperialiste. Ora il passo successivo è la costruzione di un esercito Europeo. Non è dunque un caso che ultimamente importanti portavoce sia dell’UE, sia del governo tedesco e lo stesso presidente della Commissione Europea, Jean Claude Junker sostengano la necessità del riarmo e di un esercito europeo.

Per Junker, questo esercito “Ci permetterà di costruire una politica estera ed una politica di sicurezza comuni e di condividere le responsabilità dell’Europa rispetto agli avvenimenti nel mondo” e “Permettere alla UE di reagire davanti alle minacce contro i paesi membri dell’Unione e gli Stati vicini”. La nostra lettura è che si stiano attrezzando in difesa dei propri interessi economici e per alimentare il complesso militare-industriale. Noi proletari e comunisti non abbiamo niente da spartire con l’esigenza di guerra dei padroni. Il nostro interesse di classe sta nella solidarietà rivoluzionaria tra gli operai e i proletari di tutto il mondo contro i propri padroni. Nell’organizzarsi – condizione indispensabile come lo è stato durante gli anni della dittatura fascista – per accelerare la lotta di liberazione dallo sfruttamento capitalista, per il socialismo.

25 APRILE niente è peggiore di una ricorrenza o della retorica Pacifico Non è facile parlare di 25 Aprile. Non è facile perché di parole, articoli, volantini, interviste ve ne sono state tante e ve ne saranno ancora. Non è facile parlare del 25 Aprile senza cascare nella retorica e nel banale. Perché la retorica e il banale sono i nemici mortali della memoria. Perché della memoria che si fa ad ogni 27 gennaio o ad ogni 25 Aprile, se ne è fatto un monumento. Che senso ha parlare di “milioni di vittime”, quando ancora la terra gronda di sangue? Che senso ha parlare di “vittoria della democrazia”, quando la nostra democrazia altro non è che un volgare “televoto”? Che senso ha parlare di “vittoria della pace” quando scoppiano guerre di cui sono sempre i democratici governi i principali responsabili, se non i protagonisti? Che senso ha parlare di fine del nazismo, quando in Ucraina gli occidentali per i loro interessi economici di parte (imperialismo), hanno, tramite un golpe sanguinoso, posto al governo una giunta nazista mentre le sinistre eurocentriche, tutte votate al libero mercato e al capitalismo, li han descritti come eroi? Ha senso tutto questo? Per mettere dei fiori su una lapide che

scendiamo in piazza tutti i sacrosanti anni? È per ascoltare la registrazione di qualche testimone, che attendiamo questo giorno? Che senso ha affrontare in questo modo questa data troppo importante per lasciarla ai monumenti e alla retorica? Io penso che l’antifascismo vada ripensato, se non si vuole che muoia con l’ultimo dei partigiani o dei sopravvissuti ai lager. Va finalmente detto che le basi materiali, economiche e sociali del fascismo ci sono ancora ora più che mai, anche perché manca ogni sorta di opposizione sociale, seria e organizzata che metta finalmente in dubbio che questo sia il migliore dei mondi possibili. Che critichi in maniera ferma e radicale questa società basata sulla sopraffazione in nome del denaro e del profitto. Si costruiscono armi e si riducono letti d’ospedale. Non è fascismo? Si lascia la sanità a chi può pagarsela, non è fascismo? I mercati (che altro non sono che un pugnetto di ricchi capitalisti parassiti) decidono il prezzo dei generi alimentari, generando carestie, non è fascismo? Un drone americano (o israeliano, o comunque occidentale) spara su un villaggio dell’oriente, centinaia

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di bambini muoiono… certo errore collaterale, non è fascismo? Cortei di operai, studenti o militanti vengono aggrediti dalle forze dell’ordine, non è fascismo? Sui posti di lavoro, chi cerca di resistere viene isolato, fatto oggetto di mobbing o li-

cenziato senza che ci sia sindacato in grado di difenderlo, non è fascismo? Durante il prossimo EXPO, migliaia di giovani lavoreranno gratis, con la tragica illusione che possa “fare curriculum”, è per questo che hanno combattuto i partigiani?

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Quale vittoria stiamo celebrando? Di quella che ha visto il nostro paese schiavo degli USA, con 140 basi americane nel nostro territorio? Di quella che ha visto riabilitati tutti i gerarchi fascisti nel dopoguerra? Di quella che ancora oggi censura

film come “Il leone nel deserto” o “Fascist legacy” che raccontano le nefandezze del colonialismo italiano, mentre si celebra l’orribile “giorno del ricordo” il 10 febbraio a spregio dei nostri vicini Jugoslavi, in migliaia vittime dell’imperialismo fascista a marchio tricolore. Se vogliamo dare un significato a questa splendida data, all’immenso sacrificio dei resistenti partigiani, in questa data si devono coagulare parole d’ordine che ne ridiano il senso, al di là di ogni retorica. Questa data deve rimettere al centro ciò per cui han combattuto e sperato i partigiani, e non, come invece è, legittimazione di ciò che ne è antitetico: guerre umanitarie, democrazia di facciata, demonizzazione di “presunte dittature” o di presunti “nuovi Hitler”, che invece sono la riedizione in salsa “democratica” e diritto umanista “della perfida Albione” pregnante di razzismo, libertà intese in maniera individualista funzionale solo al capitalismo più consumista e vorace possibile. Quella del 25 Aprile deve essere un’occasione per rilanciare lotte più che mai attuali, altrimenti rimarrà solo una giornata balneare. Fin quando ce la lasceranno.

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1° MAGGIO Contro il capitalismo e l’imperialismo Daniela Trollio (*) dalla prima L’obiettivo del capitale, comunque si chiami la versione attuale, è chiarissimo: massima libertà di sfruttare, disciplinare, dividere e indebolire la classe lavoratrice, riversando oltretutto su di noi quello che si chiama “rischio d’impresa”. Privatizzare i profitti e socializzare – al massimo grado – le perdite, ecco il significato vero. Vivere nella precarietà (nel nostro paese, ma non solo) ha molti significati: essere disoccupato; avere un lavoro temporaneo che a volte è di pochi giorni; addirittura lavorare gratis come succede per l’Expo di Milano, dove “farà curriculum” indicare ai visitatori stranieri dove si trovano i bagni… il tutto con l’assenso dei cosiddetti “rappresentanti dei lavoratori” (leggi: sindacati confederali) e delle istituzioni (il sindaco di “sinistra” di Milano in testa). Anche chi ha il posto “fisso” sa che fisso questo non lo è, grazie ad una serie di leggi di cui il Jobs Act è solo l’ultima espressione. Tutto quanto sopra spacciato all’insegna di due parole d’ordine: questo è il miglior mondo “possibile”, ed è “il nuovo che avanza”. Il concetto che ci sta sotto è molto chiaro: l’ineluttabilità e l’immutabilità della realtà attuale. E se i Martiri di Chicago si rivolteranno nella tomba guardandoci lavorare e soffrire come loro un secolo dopo, proprio il loro sacrificio ci dice invece che la realtà è sempre possibile cambiarla. Perché questo secolo passato dalla rivolta di Haymarket ha visto il sorgere delle prime esperienze di Stato socialista, di classe operaia e di sfruttati che hanno preso il potere, di popoli colonizzati che si sono liberati. Se noi, in Europa e nei paesi cosiddetti avanzati, assistiamo alla distruzione delle conquiste dei nostri diritti più elementari, e lo spettro della guerra è arrivato anche nelle nostre case, in altre parti del mondo altri milioni e milioni di lavoratori hanno il diritto di festeggiarla, questa giornata dell’unità del proletariato rivoluzionario. In America Latina, per fare l’esempio più avanzato della lotta di classe oggi, milioni e milioni di lavoratori, di sfruttati, di fantasmi sconosciuti spinti ai margini estremi della società, stanno recuperando il loro futuro, possono avere una vita degna, contano nelle loro società, hanno ripreso nelle loro mani il loro destino. Certo il processo non è concluso – né potrebbe esserlo, la storia ce l’ha insegnato – ma l’obiettivo è chiaro: spedire nella spazzatura della storia il capitalismo in tutte le sue versioni. Il prezzo in morti e feriti è alto, ma ne vale la pena. E anche in Europa ci sono sussulti che tolgono il sonno ai capitalisti: al di là delle valutazioni che ognuno di noi può dare, a torto o a ragione, dell’esperienza di Syriza – e dovremmo sempre ricordare che vanno analizzati non solo i fatti ma i processi che sono in atto – un fatto è chiaro. Meno “anestetizzato” il popolo greco da più di cinque anni sta lottando ogni giorno contro l’ultimo esperimento del capitale, mangiarsi anche gli Stati nazionali. Perché la Grecia questo è stata: l’equivalente del Cile di Allende, un laboratorio avanzato del capitale. Anche in Spagna e Portogallo le cose non si presentano poi così facili:

Dati: nel mondo ci sono più di 200 milioni di disoccupati, 1 miliardo e 700 milioni di lavoratori poveri (il 30% circa dei lavoratori di tutto il mondo) che guadagnano meno di 3 dollari al giorno, un numero sconosciuto di fantasmi impiegati nella cosiddetta “economia informale” e 21 milioni di schiavi (non solo schiavi salariati, ma proprio schiavi, la cifra più alta nella storia dell’umanità). Fonte: rispettabilissime istituzioni “borghesi” quali il Consiglio Economico e Sociale dell’ONU (ECOSOC) e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL).

scioperi ogni giorno, settori di lavoratori che si organizzano, “scene” di lotta di classe. Parlavamo della guerra. La guerra del capitale ai popoli di tutto il mondo non è solo guerra militare cui esso ricorre – sempre più spesso oggi quando questi “altri mezzi” falliscono grazie alle mobilitazioni popolari - quando ha esaurito gli altri mezzi. E sulla guerra militare ci sarebbero pagine e pagine da scrivere. È prima di tutto guerra economica, rapina delle materie prime, imposizione degli interessi di classe di pochissimi alla maggior parte dei popoli. Qui c’è un curioso paradosso: oggi sono ancora pochi quelli che conoscono e denunciano il TTIPP, una serie di accordi commerciali tra USA, Canada ed Europa che ci porterebbero ad arrenderci alle esigenze del capitale globale superando ogni legislazione nazionale. Qualcuno ricor-

da il Vertice del 2005 a Mar del Plata, Argentina, dove i popoli sudamericani, rappresentati da Hugo Chàvez, Nestor Kirchner e Lula da Silva, dopo mesi di mobilitazioni e lotte, “seppellirono” l’ALCA, l’Accordo di Libero Commercio delle Americhe proposto dagli USA, forse la prima, vera e bruciante sconfitta economica, e quindi profondamente politica, dell’imperialismo con casa madre a Washington nell’era della globalizzazione? Fu la mobilitazione organizzata di un continente a renderla possibile: è una lezione di cui dobbiamo tenere conto. Accordi di questo genere sono stati brutalmente e sanguinosamente imposti all’Africa con tutti i mezzi, e oggi si stanno discutendo il più segretamente possibile a Bruxelles. Il “Terzo Mondo” è qui, nella civile ed avanzata Europa, dopo che l’esperimento neo-liberista e imperialista è fallito in altri luoghi del mondo. Mondo a cui dovremmo guardare più spesso, perché non tutto è sconfitta e perché spesso ce ne vengono esempi su cui ragionare... E in questa giornata di 1° Maggio 2015 rivolgiamo anche un pensiero alle vittime di queste guerre, militari ed economiche, che giacciono in quella tomba che lambisce l’Italia e che chiamiamo Mediterraneo. Al di là di ogni sentimento di umanità, di solidarietà, di giustizia, ricordiamoci che se non ci mobilitiamo, se non lottiamo, le prossime vittime, saremo noi. Lotta di classe, dicevamo. Strumento insostituibile, alla faccia dei vari professorini e intellettuali della mutua degli ultimi decenni, per cambiare la realtà che, in tutte le epoche della storia umana, non è mai stata né ineluttabile né, soprattutto, immutabile. In questo panorama ci serve con urgenza – ognuno ne sia consapevole – una cosa al tempo stesso semplice ma difficilissima grazie alla storia di tradimenti, deleghe, inganni e beghe di cortile che ci portiamo dietro: un’organizzazione, un partito di classe, un “qualcosa” – chiamatelo come volete - che sappia unire gli innumerevoli rivoli di critica, di rivolta, di lotta che si esprimono dappertutto, ma solo slegati uno dall’altro e sembra che non riescano mai ad unirsi. Un’organizzazione che dia a tutti questi rivoli la consapevolezza di star combattendo un’unica battaglia, quella per rovesciare il barbaro e mortifero sistema del capitale, che fornisca la consapevolezza e gli strumenti perchè se vogliamo vivere, e non morire o sopravvivere miseramente, abbiamo bisogno di un’altra società, una società che ha nome Socialismo. Sono così di estrema attualità le parole pronunciate nel 1924 dal grande marxista peruviano José Carlos Mariàtegui, fondatore del Partito Comunista peruviano, nel lontanissimo 1° maggio del 1924, quando invitava tutto il proletariato ad unirsi in quella giornata: “Non impiegate le vostre armi e non dilapidate il vostro tempo nel ferirvi uno con l’altro ma usatele per combattere l’ordine sociale, le sue istituzioni, le sue ingiustizie e i suoi crimini”. Non ci servono cortei “festosi” e rituali, ci serve che il 1° Maggio diventi davvero solo il simbolo della lotta di tutti gli sfruttati e gli oppressi negli altri 364 giorni dell’anno. (CIP “G. Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni)

Like a bullet around Europe Appunti per la storia del rivoluzionario e partigiano Anton Ukmar Luciano Orio Ukmar dov’è? Ukmar è dappertutto! Dalle galere fasciste, all’URSS della rivoluzione, in Spagna con le Brigate Internazionali, in Francia e Italia con la Resistenza Partigiana, fino all’Etiopia per combattere il colonialismo italiano. Come una pallottola la sua vita di combattente internazionalista, partigiano e rivoluzionario attraversa l’Europa e non solo: è un proettile diretto al cuore dell’oppressore nazista e fascista, ovunque sia. E’ un bel documentario, di recente edizione, Like a bullet around Europe (Come un proiettile attraverso l’Europa) che ne racconta la vita. Si tratta di una coproduzione italo-slovena, dal budget ridottissimo, fortemente voluta dal giovane regista Mauro Tonini, affiancato nella puntigliosa ricerca storica da Sandi Volk, già noto ai lettori di “nuova unità” per le sue rigorose e appassionate ricerche su temi scottanti, come ad esempio mito e memoria delle foibe. Meritano certamente un plauso il loro lavoro. Si sono prodigati con mezzi scarsissimi per far conoscere la storia di Ukmar: Mauro ha girato anche lui come un proiettile per mezza Europa, cercando testimonianze, mettendo insieme interviste, alternandole, laddove queste mancavano, ad ingegnosi artifici narrativi e scenici; Sandi ha offerto come sempre la propria competenza appassionata e purtroppo per lui poco remunerata. Scriviamo queste note perchè comprendiamo le difficoltà di chi

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intende sviluppare percorsi di iniziativa culturale. Capita a chi li concretizza materialmente, come a chi tenta di promuoverli e divulgarli anche territorialmente: ristrettezze economiche e mancanza di fondi, purtroppo, fanno il paio con astruse difficoltà burocratiche e balzelli vari (è anche l’esperienza di chi scrive).

La vita e le opere Anton Ukmar, classe 1900, triestino, figlio di contadini sloveni in condizioni di miseria, è presto avviato al lavoro come operaio in ferrovia per sostenere la famiglia. Inizia ben presto la sua attività politica come propagandista e distributore della stampa comunista in condizioni di semi-legalità. L’eco della Rivoluzione d’Ottobre è in quei territori fortissimo e genera un movimento generale e spontaneo di simpatia verso l’Unione Sovietica e per la rinascita sociale delle classi oppresse. Con l’avvento del fascismo, l’odiosa aggressività del regime contro la popolazione slava raggiunge livelli di insopportabilità. Essere sloveno, serbo o croato è reato e il giovane Ukmar si convince che l’unico scopo è la lotta, anche armata, al fascismo. Entra nelle organizzazioni nazionaliste slovene. Tra il 1927 e il ‘29 viene ripetutamente imprigionato e torturato dai fascisti, nel suo paese, Prosecco. Ribelle e sovversivo, ricercato dalla polizia e braccato dai fascisti, fugge a Lubiana per poi raggiungere Parigi dove si trovano, rifugiati, i capi del Partito Comunista Italiano.

La sua richiesta di adesione al Partito si accompagna ad una forte considerazione della questione contadina e slovena e all’invito pressante alla preparazione della rivolta armata. È un rivoluzionario di nuova generazione che ha necessità di studiare per diventare rivoluzionario di professione. A tale scopo viene inviato in URSS, dove, allo studio e alla preparazione teorica, abbinerà il duro lavoro in una fabbrica di Leningrado. Tuttavia, probabilmente a causa dei suoi trascorsi nelle formazioni nazionaliste slovene, gli viene negata la tessera del Partito. Spagna 1936. L’URSS invia consiglieri militari e politici per la difesa della Repubblica e Ukmar è destinato al lavoro per il controspionaggio. Viene assegnato alle Brigate Internazionali e inviato al fronte. Combatte nei tre lunghi mesi della battaglia dell’Ebro ed è promosso capitano per meriti di guerra. Dopo la sconfitta della Repubblica Spagnola si rifugia in Francia, raggiunge Parigi, dove i capi del PCI gli chiedono di svolgere una nuova rischiosa missione in Etiopia. Accetta senza esitare, con la fretta di mettersi alle spalle la dolorosa sconfitta di Spagna. Si imbarca clandestinamente a Marsiglia e raggiunge Goggiam, in Etiopia. Viene affiancato da altri due combattenti internazionalisti italiani, Ilio Barontini (nominato vicerè d’Etiopia dallo stesso imperatore Hailè Selassie) e Domenico Rolla, con lo scopo di unire la resistenza anticolonialista etiope. È una permanenza piena di difficoltà che ha però un grande valore

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simbolico per la preparazione della guerra. Nel ‘40 si ammala di febbre gialla: dato per morto dai locali viene salvato in extremis da Barontini e dal provvidenziale chinino. Al ritorno in Francia viene internato nei campi di Vernet d’Ariège prima e di Castres poi; evade ed entra nei maquis, le formazioni partigiane, nel sud della Francia nel ‘42 e ‘43. Dall’8 settembre ‘43 è in Italia, indirizzato dal CLN ad organizzare la resistenza ligure. Assume il nome di battaglia di Miro. Poco apprezzato dalla resistenza ligure viene allontanato per i suoi modi giudicati eccessivamente informali. Decide allora di formare una nuova zona di combattimento (la sesta) e ne diviene comandante, assumendo per sé gli incarichi più rischiosi. Dopo la liberazione di Genova Anton Ukmar torna a Trieste, dopo venti anni di assenza, e aderisce al P.C. Jugoslavo. A Trieste viene nominato dirigente del P.C. della Venezia Giulia, nel quale sono presenti sia il P.C.Italiano che quello Jugoslavo. Ukmar lavora per la costruzione di una struttura economica socialista nella prospettiva del passaggio della regione alla Jugoslavia. Nel ‘48 con l’espulsione della Jugoslavia di Tito dal Cominform, con una scissione dall’interno, Ukmar si schierò col P.C.Jugoslavo e per questo subì molti attacchi, anche fisici, che gli crearono una profonda amarezza. Uomo d’azione e comandante partigiano, fu sempre dotato di un forte senso di appartenenza alla classe operaia e sentiva fortemente l’odio per la classe avversa.

Venne insignito della cittadinanza onoraria delle città di Genova e Koper, della Medaglia d’oro del governo italiano e delle massime onorificenze partigiane jugoslave. Ci sono vite che pesano come piume. Altre come montagne. Quella di Ukmar, pesantissima, si chiude il 21 dicembre 1978.

Considerazioni finali

Richiesto dalla nostra redazione di un articolo per il 70° della vittoria della Resistenza Partigiana avevo intenzione di contribuire con un articolo sulla questione foibe, pressato da circostanze contingenti. La stanchezza e la rabbia per dover inseguire il nemico sulle sue menzogne, unito al senso di impotenza, si sono dissolti, evaporati di fronte al calore e alla vitalità che sprizza dalla vita di quest’uomo. Vederne le immagini, scriverne è una ventata di ottimismo per la nostra prospettiva rivoluzionaria. Con la rivoluzione fino alla vittoria, comandante Ukmar!

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Devastazione e saccheggio

L’impatto della guerra sulla salute e sull’ambiente non si limita al conflitto armato, si protrae già dalla fase di armamento, di addestramento fino al periodo post-bellico Daniela Folcolini Gli Usa da sempre vedono minati i loro piani di espansione e si servono della Nato per mantenere la supremazia economica, politica e militare. Così la Nato, e con essa l’Italia fedele alleata, dopo aver annunciato il potenziamento delle forze militari (portandole da 13mila a 30mila uomini in sei paesi dell’Europa orientale) apre due fronti di guerra: orientale (per contrastare l’avanzata dell’asse Russia-Cina) e meridionale, dove estende la sua strategia al Nordafrica e al Medioriente. Gli atroci giochi di guerra imperialista continuano alla ricerca di risorse energetiche vecchie e nuove, di nuovi mercati, di aree di influenza e potere goepolitico. L’imperativo è la crescita dei margini di profitto, passa in secondo piano l’impatto devastante che l’attività militare e bellica ha sui sistemi naturali e sulla salute di intere popolazioni. L’indifferenza verso l’ambiente va di pari passo con quella verso la vita umana. Le attuali strategie di guerra prevedono l’uso di forze armate più flessibili e di rapido dispiegamento, dotate di sistemi d’arma ad elevata tecnologia, l’attacco aperto viene preparato e accompagnato con forze sostenute e infiltrate dall’esterno per minare il paese all’interno, come si è fatto in Libia, in Siria, (armando e addestrando le formazioni islamiche, salvo poi usarle come giustificazioni per l’attacco) ma anche in Ucraina (dove la Nato addestra da anni i gruppi neonazisti). Si fomentano così focolai che sfociano in guerre civili e il ricorso sistematico ad armamenti chimici, biologici, radioattivi, strategie militari che rendono impossibile la discriminazione tra obiettivi civili e militari. Evidenti le conseguenze: dagli anni ‘90 in poi il 90% dei morti nelle guerre sono civili. Tragico esempio l’Iraq: più di 3,3 milioni di iracheni, uomini, donne e bambini, sono morti a causa della criminale aggressione degli Stati Uniti e del Regno Unito tra il 1991 e il 2011: 200.000 morti nella prima guerra del Golfo, 1.700.000 morti a causa delle sanzioni, e 1.400.000 persone massacrate durante l’invasione del 2003. Tra il 1991 e il 2003, l’esercito statunitense ha riversato sull’Iraq circa 2000 tonnellate di uranio impoverito. Le statistiche ufficiali del governo iracheno mostrano che prima dello scoppio della prima guerra del Golfo, nel 1991, il tasso dei casi di cancro era di 40 su 100.000. Nel 1995 era salito a 800 su 100.000, e nel 2005 era raddoppiato ad almeno 1.600 persone su 100.000. Dati scomodi visto che dal novembre 2012 l’Oms ha bloccato la pubblicazione del rapporto sugli effetti devastanti dei bombardamenti all’uranio impoverito (DU: scorie radioattive risultanti dall’arricchimento di uranio per reattori militari, per esempio i missili Cruise) sulla salute della popolazione irachena. Oltre all’uranio il napalm, il plasma, il fosforo sono dispersi in miliardi di particelle nell’aria portata dal vento in tutta la regione, ma anche nel mondo. La polvere all’uranio impoverito rimarrà nell’aria, nel suolo, nelle falde acquifere, nelle culture, nella flora, nella fauna. La radioattività persisterà per 4,5 miliardi di anni. Bombe all’uranio impoverito

usate anche nell’aggressione militare statunitense con la partecipazione dell’Italia contro la Jugoslavia. Le proiezioni basate sulla quantità di proiettili sparati (circa 500.000 nel solo Kosovo) e sugli altri usi del DU in Jugoslavia stimano il danno in una decina di migliaia di casi fatali nell’uomo; per non parlare delle ulteriori malattie indotte dal trasferimento del metallo radioattivo nel corpo e negli organismi in generale che opera sul nucleo ed in particolare sul DNA delle cellule degli esseri viventi determinandone mutazioni genetiche ai diversi livelli di organizzazione. A questo vanno aggiunte le emissioni di molte sostanze altamente nocive prodotte dai bombardamenti di raffinerie, impianti chimici e petrolchimici come Novi Sad e Pacevo (cloruro di vinile monomero, bifenili policlorurati, idrocarburi policiclici aromatici, diossine, nafta, metalli pesanti) con abnormi riversamenti diretti di sostanze chimiche nel sistema idrico continentale fino al mare, nel mar Nero, nell’Egeo, nell’Adriatico e alla fine in tutto il Mediterraneo. Prima della guerra la Jugoslavia rappresentava uno dei 6 centri europei e uno dei 153 centri mondiali più importanti della

diversità biologica (38,93% di piante vascolari, 51,16% della fauna ittica, 74,03% degli uccelli, 67,61% della fauna a mammiferi con 1600 specie di significato internazionale). Oggi non più, depauperato il patrimonio forestale, marittimo e agricolo, i danni all’ecosistema sono irreversibili. Ma l’impatto della guerra sulla salute dell’ambiente non si limita al conflitto armato, si protrae già dalla fase di armamento, di addestramento fino, come si è visto, al periodo post-bellico. Per preparare le guerre vengono utilizzati fino a 15 milioni di km² di terra (più dell’intero territorio dell’Europa) e il 6% del consumo delle materie prime, producendo circa il 10% delle emissioni globali di carbonio l’anno. L’impatto delle basi militari statunitensi è ben illustrato dall’Isola di Vieques, nei Caraibi, che per 60 anni ha visto il susseguirsi di addestramenti, esperimenti, bombardamenti, stoccaggi, test e smantellamenti. L’effetto: la

distruzione di centinaia di specie animali e vegetali, un tasso di tumori di molto superiore alle altre isole caraibiche e la contaminazione di tutto l’ecosistema. In Italia una delle zone più interessate da servitù militari, 60% dell’intero territorio, è la Sardegna. La Regione ospita il poligono terrestre, aereo e marittimo più grande d’Europa, Salto di Quirra, che con i suoi 130 km2 a terra e 28.400 km2 a mare copre più della superficie dell’intera Sarde-

gna. Aree militari e infrastrutture che determinano un fabbisogno maggiore di acqua, trasporti ed energia, con conseguente aumento delle emissioni di inquinanti atmosferici e di gas serra. Anche la produzione di armamenti produce inquinamento, consumo di energia, d’acqua ed effetti tossici sui lavoratori del settore. Partendo dall’estrazione delle materie prime, che ha come effetto principale il loro progressivo esaurimento

Per preparare le guerre vengono utilizzati fino a 15 milioni di km² di terra (più dell’intero territorio dell’Europa) e il 6% del consumo delle materie prime, producendo circa il 10% delle emissioni globali di carbonio l’anno Il Pentagono produce mezzo miliardo di rifiuti tossici l’anno Tra le spese militari dello Stato Italiano ci sono 52 milioni di euro al giorno alla Nato L’F16 consuma in un’ora 3.400 litri di carburante. Negli ultimi cinque anni il commercio mondiale di armamenti è cresciuto del 16%; nello stesso periodo in Italia l’export militare è aumentato del 30% La polvere all’uranio impoverito rimane nell’aria, nel suolo, nelle falde acquifere, nelle culture, nella flora, nella fauna. La radioattività persiste per 4,5 miliardi di anni

nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) Anno XXIV n. 2/2015 - Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 - Editore: Liberedit piccola società coop a.r.l. Amministrazione e direzione: c/o Service & Consulting - via delle Cave, 42 - 00181 Roma Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze - tel. 055450760 e-mail nuovaunita. firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info - www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Michele Michelino, Luciano Orio, Pacifico, Daniela Trollio abbonamento annuo Italia euro 26,00 abbonamento annuo sostenitore euro 104,00 abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20 I versamenti vanno effettuati sul c/c postale nr. 14856579 intestato a: nuova unità Firenze oppure su c/c bancario nr. 21231 ABI: 03127 - CAB: 02800 - IBAN: IT33 L031 2702 800C C002 0021 231 - BIC: BAECIT2B Unipol Banca intestato a: Liberedit piccola società coop a.r.l. Firenze Stampato interamente su carta riciclata, nessun albero è stato abbattuto per farvi leggere queste pagine Chiuso in redazione:20/03/15

(ma anche la contaminazione dell’aria con sostanze come il piombo, il cadmio, l’amianto) alla raffinazione, all’utilizzo, fino allo smaltimento. Si stima che il consumo mondiale a scopi militari di alluminio, rame, nickel, platino eccede il fabbisogno di queste materie dell’intero “terzo mondo”. L’US Defence Department è il più grande consumatore di petrolio al mondo (un F16 consuma in un’ora 3.400 litri di carburante). Ma ancora: il pentagono produce mezzo miliardo di rifiuti tossici l’anno (più delle cinque più grandi aziende chimiche messe insieme). E dove li buttano? Nell’agosto del 2010 l’US Central Command ha stimato la presenza di 251 “pozzi” per lo smaltimento di rifiuti in Afghanistan e di 22 in Iraq in cui vengono bruciati rifiuti delle basi militari di ogni tipo. Il susseguirsi incessante di sempre nuove situazioni di conflitto fa sembrare inattuale perfino la possibilità di un disastro nucleare. Eppure il 5 febbraio si è riunito il Gruppo di pianificazione nucleare dei ministri della difesa dei paesi Nato (compresa l’Italia) che rilancia lo sviluppo dei programmi per la modernizzazione delle armi nucleari e il blocco del meccanismo di

disarmo. Il numero totale delle testate nucleari viene stimato in 16.300, di cui 4.350 pronte al lancio, energia sufficiente a far saltare la terra. Se una guerra nucleare strategica che implica un arsenale di diecimila megatoni avesse luogo, un miliardo di persone morirebbe immediatamente per gli effetti combinati delle ferite dirette (esplosione, calore, radiazioni), un altro miliardo soccomberebbe per le malattie dovute alle radiazioni ed i sopravvissuti dovrebbero vivere in un ambiente esposto ai residui radioattivi che eserciterebbero effetti somatici e genetici dalle conseguenze probabilmente irreversibili per la biosfera. Ma non è necessario attendere la guerra atomica per calcolare gli effetti devastanti sull’ambiente e sulla salute, uno studio di qualche anno fa, in piena fase sperimentale, sosteneva che negli Stati Uniti vi erano oltre 30.000 morti l’anno per cancro dovuto agli esperimenti nucleari e ai residui

attivi (mancano studi dettagliati su flora e fauna). Solo in Italia vi sono 70-90 bombe nucleari USA in fase di “ammodernamento” e per il secondo anno consecutivo si è svolta l’esercitazione Nato di guerra nucleare. Nell’Italia imperialista e complice esistono 120 basi Usa-Nato dichiarate, oltre a 20 basi militari Usa totalmente segrete e un numero variabile (al momento sono una sessantina) d’insediamenti militari o semplicemente residenziali con la presenza di militari USA, alle quali si vorrebbe aggiungere, a Niscemi, una stazione di terra del M.U.O.S., un moderno sistema di telecomunicazioni satellitare della marina militare statunitense utilizzato per il coordinamento capillare di tutti i sistemi militari statunitensi dislocati nel globo; in pratica comporterebbe l’installazione di tre grandi parabole del diametro di 18,4 metri e due antenne alte 149 metri. Comprensibili le preoccupazioni riguardo le conseguenze di tale struttura su salute umana ed ecosistema della popolazione locale. Devastazione e saccheggio dell’ecosistema in cui viviamo finanziato proprio da noi lavoratrici e lavoratori! Secondo fonti Nato le spese militari dello Stato Italiano ammontano a 52 milioni di euro al giorno, stima al ribasso visto che non comprende per esempio le spese per le missioni all’estero o le spese per mantenere ufficiali e soldati dell’esercito Usa di stanza nel nostro territorio. Milioni che escono dalle casse pubbliche - sottratti dai servizi sociali - per entrare nelle casse delle aziende private. Come l’acquisto dei 90 cacciabombardieri F-35, confermato di recente, di cui l’Italia non è semplice acquirente ma fa parte della filiera produttiva con una rilevante rete di aziende. Oppure l’acquisto, per l’Aeronautica militare, di sei velivoli a pilotaggio remoto P-1HH (droni che possono trasportare fino a 500 kg di armamenti) realizzati e progettati negli stabilimenti della Piaggio Aerospace di Savona (il cui capitale azionario è in mano ad una società gestita dal governo degli Emirati Arabi Uniti) in collaborazione con la Selex Es, gruppo Finmeccanica che con l’ad. Moretti (quello della strage di Viareggio!) ha deciso di convertire progressivamente la produzione da civile a militare. In questo contesto di “crisi” i grandi capitalisti delle industrie belliche vedono aumentare notevolmente i loro profitti. Negli ultimi cinque anni il commercio mondiale di armamenti è cresciuto del 16%; nello stesso periodo in Italia l’export militare è aumentato del 30% guadagnandosi l’ottavo posto mondiale dopo Usa, Russia, Cina, Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna. Le necessità dell’ambiente vanno di pari passo con quelle dei popoli oppressi e sfruttati. Si sa, è la borghesia imperialista che fomenta la guerra ma si sa anche che la guerra è la continuazione della politica del tempo di pace e la pace è la continuazione della politica del tempo di guerra. Le guerre sono inevitabili finché sussisterà la società divisa in classi e lo sfruttamento. Soltanto dopo aver disarmato il capitalismo con la lotta di classe e aver costruito una società senza padroni il proletariato potrà pensare di gettare tutte le armi.


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