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Proletari di tutti i paesi unitevi!
nuova unità fondata nel 1964
Periodico comunista di politica e cultura n. 7/2018 - anno XXVII
In tutto il mondo,
ovunque ci siano i capitalisti, la libertà di stampa significa libertà di comprare i giornali, di comprare gli scrittori, di corrompere, comprare e falsificare “l’opinione pubblica” per il bene della borghesia.
Lenin
Rompere con lo sfruttamento Questo sistema che genera insicurezza, povertà, guerra ecc. va abbattuto
Stiamo finendo un altro anno ed è doveroso insistere sull’appello ai rinnovi dell’abbonamento per metterci in condizioni di continuare ad uscire con il nostro giornale. Quello di “nuova unità” è uno sforzo editoriale che si mantiene sul sostegno collettivo, una voce comunista che possa aprire il dibattito portando un po’ di approfondimento dei temi trattati con un’ottica diversa dal pensiero unico prevalente. E portare un po’ di chiarezza nella galassia della sinistra senza vergognarsi di definirsi comunista, soprattutto nel momento in cui avanzano le formazioni neo-naziste, i fascisti si inseriscono nel sociale per fare proselitismo e raccogliere voti; mentre è continuo il martellamento culturale e della stampa sul collegamento tra la caduta dell’esperienza sovietica e la fine dell’ideologia comunista (trappola nella quale molti cadono nonostante sia sempre più palese il fallimento del capitalismo); i partiti comunisti nei paesi europei vengono messi al bando e l’UE porta avanti la sua campagna di equiparazione del comunismo al nazismo per diffamare il socialismo. Cioè l’unico sistema sociale in grado di sostituire il capitalismo e, quindi, di eliminare lo sfruttamento della classe lavoratrice, la disoccupazione, il carovita ecc. Che il capitalismo sia la causa di tutti i mali è dimostrato dal malessere che esprimono le masse popolari. In questo ultimi due mesi in Francia ne è stata data una dimostrazione. L’aumento del prezzo del carburante è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e ha fatto emergere che Macron - l’astro nascente sul quale molti puntavano, a partire da Renzi - è il “presidente dei ricchi”, il presidente dei monopoli che difende patrimoni e profitti della borghesia diminuendole persino le quote delle tasse, invece aumentandole - insieme a prelievi obbligatori - a coloro che lavorano e che non riescono più ad arrivare a fine mese. A nulla è servita la giustificazione “ecologica” di Macron che per agevolare i monopoli petroliferi ha smantellato la rete ferroviaria a favore del trasporto su strada costringendo i lavoratori all’uso dell’auto. La popolazione francese ha reagito ed è scesa in piazza con i gilet gialli. Un movimento che è a rischio di manipolazioni in quanto privo di una direzione di classe e di un partito comunista (che fa riflettere i frantumati comunisti francesi), e che rischia di favorire la destra di Le Pen, ma sviluppatosi su giuste rivendicazioni nate dallo sfruttamento e dal continuo peggioramento delle condizioni - dovuto anche all’aumento della disoccupazione e allo smantellamento dei servizi sociali e della sanità - della popolazione francese. Di fronte alle contestazioni Macron - dopo l’uso di una dura repressione e restrizione di azioni sindacali - si è presentato con un fantozziano j’accuse annunciando una serie di minime misure, considerate briciole dal movimento, che non hanno convinto e non hanno placato le proteste. Tant’è che, puntuale, è spuntato il terrorista! Nei suoi 13 minuti di intervento ha dovuto riconoscere le ragioni della protesta, pur parandosi dietro il fatto che il malessere esiste anche in altri paesi. È vero, infatti, imponenti manifestazioni si registrano dall’Ungheria, all’Albania, alla Grecia, al Belgio. Ma le popolazioni si ribellano in tante parti del mondo fino all’Afghanistan, ignorato dai mezzi di informazione nostrani. “Non saremo più schiavi”, “Libera università in un paese libero”, “Più diritti meno Orban” sono gli slogan che uniscono lavoratori e studenti nelle piazze ungheresi dopo l’approvazione della cosiddetta legge schiavitù che porta il tetto degli straordinari a 400 ore l’anno - 150 ore in più delle attuali 250 - pagabili in tre anni. Legge che favorisce l’industria che lamenta carenza di manodopera, in particolare quella automobilistica tedesca - Mercedes, Audi, Opel, BMW - che hanno trasferito le loro fabbriche in Ungheria negli ultimi anni. A Tirana centinaia di studenti contestano l’aumento delle tasse universitarie. Proteste anche da parte degli sfrattati dalle loro abitazioni che saranno demolite per costruire la tangenziale ovest - sono lontani i tempi in cui tutto era diritto e gratuito -, oggi la risposta è solo la violenza della polizia. Le manifestazioni riguardano anche la difesa dell’ambiente perché il governo albanese ha deciso di smantellare sul proprio territorio le armi chimiche di altri paesi. Gli scioperi generali, promossi dal Pame, hanno visto migliaia e migliaia di lavoratori scendere in piazza in varie città della Grecia per rivendicare aumenti salariali, delle pensioni, della sanità contro le briciole offerte dal governo Syriza-Anel, le sue bugie e la sua propaganda; per denunciare l’attacco delle banche e dei meccanismi dello Stato borghese agli alloggi popolari e alle famiglie, accen-
tuato attraverso aste, tasse, procedimenti giudiziari contro coloro che resistono. Il 45° Anniversario della rivolta del politecnico è stata un’altra occasione per imponenti manifestazioni in numerose città. Coraggiosi attivisti e militanti contro la guerra del Partito della Solidarietà Afghano e di altre associazioni per la pace, protestano - soprattutto a Kabul - contro l’occupazione dell’Afghanistan da parte degli Stati Uniti e della NATO - che hanno bisogno di un governo corrotto e traballante - e che, non solo non hanno lasciato il Paese, ma hanno legalizzato le loro basi permanenti attraverso i loro servitori e l’hanno trasformato in un centro di spionaggio delle varie agenzie di intelligence, di produzione e traffico di droga che è alla base dell’economia, con tre milioni di tossicodipendenti come risultato “Massacri USA /NATO: una sfida alla coscienza del mondo! Basi militari USA = spargimento di sangue in Afghanistan!” “Per l’emancipazione delle donne afghane: lotta contro l’occupazione e il fondamentalismo!” sono alcuni degli slogan usati. “Con l’occupazione della nostra patria le sofferenze e l’agonia della nostra gente si sono moltiplicate: i nostri villaggi sono presi di mira quotidianamente dagli attacchi aerei condotti dagli assetati di sangue sotto la bandiera USA e NATO (una guerra costata oltre 1000 miliardi di dollari), con la maggior parte delle vittime che sono donne e bambini. La popolazione rurale è schiacciata tra talebani, ISIS e milizie filogovernative”, ha dichiarato Selay Ghaffar, portavoce del PSA. La siccità dell’ultimo anno aggrava la situazione disumana sia per i bambini - 500mila vivono in condizione di malnutrizione e almeno 160 sono stati venduti negli ultimi mesi da genitori che non sono in grado di pagare i loro debiti -. Anche le donne continuano a soffrire peggio che durante il periodo buio del regime talebano e ciò dimostra come l’invasione del 2001 che aveva lo scopo di salvarle (dal burka) fosse una spudorata menzogna sostenuta dai mass media occidentali e dai politici alla Bonino che ora tacciono. Le condizioni in Italia non sono migliori di quelle dei francesi o di altri paesi, anzi. I rincari sono continui - a partire dal carburante - le tariffe dei servizi sono una truffa di spese aggiuntive sul consumo reale, la sanità viene pagata due volte: con le trattenute e con i ticket e per un’assistenza peggiorativa. Ogni giorno chiude o delocalizza una fabbrica, i disoccupati non sono assistiti ecc. ecc. Eppure ancora c’è chi crede che questo governo possa fare
miracoli. L’uso della propaganda e degli slogan razzisti, reazionari, retorici e misogeni (Pillon esalta la famiglia ma fa lavorare le donne incinte fino ai 9 mesi!) di Salvini e Di Maio fa sì che elettori, e non solo, non si rendano conto dei retromarcia dalle stesse promesse e delle truffe su decreti che spacciano come grandi conquiste, ma che sono di assoluta secondaria importanza. Che per la manovra finanziaria il governo ha ceduto alle richieste della UE, chei ricorre a condoni, tagli, depotenziamento dell’Inail mentre aumentano gli infortuni e le morti sul lavoro, che ricorre alla continua fiducia del parlamento. Rimandano sul reddito di cittadinanza (straridotto), “superano” la legge Fornero, peggiorandola. E dimenticano i terremotati! Dov’è il tanto sventolato cambiamento per il “popolo”, per gli “italiani prima di tutti”? Anche questo governo non risolve i problemi perché non intacca il sistema capitalista, accetta le regole dell’Ue, rimane sottomesso agli Stati Uniti e alla Nato che l’Italia continua a sostenere pagando 70 milioni al giorno per appartenere ad una alleanza che porta solo alla guerra perché già ci coinvolge in quelle esistenti. Se pure in assenza di una seria opposizione di classe Lega e M5S sono preoccupati di una rivolta di piazza e agiscono per evitarla e mantenere la pace sociale, in attesa della scadenza delle elezioni europee con le quali contano di fare il pieno di voti e poi... poi ci saranno altre sorprese! La mobilitazione risoluta come in Francia dimostra che i governanti impauriti tentano una mediazione. Sono briciole che non bastano, ma possono servire per alzare il tiro anche se non sono risolutive perché la classe lavoratrice non può accontentarsi di misure riformiste rivolte a frenare il malcontento popolare. Non si tratta di scimmiottare i gilet gialli come stanno tentando di fare un sindacalista degli ambulanti e un ex militante no tav ed ex deputato torinese del M5S né di tornare ai precedenti governi socialdemocratici e/o liberali che hanno sempre operato a favore della borghesia e per impedire il protagonismo della classe operaia. Sono i lavoratori, uniti e organizzati, che devono rafforzare la lotta, sconfiggere il populismo e prendere in mano la situazione per scalzare i capitalisti e i loro profitti che sono alla base della vita difficile di sfruttamento, patimenti e continui sacrifici, con l’obiettivo della presa del potere.
Lotta di classe. La battaglia dei gillet gialli
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Come i bolscevichi iniziarono a lavorare con le masse proletarie pagina 3 “A quelli che non vogliono intendere”. Uno scritto di Concetto Marchesi pagina 4 Brasile. Parliamo di fascismo pagina 5 Cuba. Intervista con Aleida Guevara pagina 6 Notizie in breve dal mondo
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lotta di classe
La battaglia dei gillet gialli Smentendo tutti i teorici chiacchieroni, sostenitori della scomparsa delle classi e della fine lotta di classe, la realtà ancora una volta dimostra di superare la fantasia Michele Michelino
Il movimento dei gilet gialli, nato nelle periferie urbane contro l’aumento di sei centesimi al litro per il gasolio, in breve tempo si è esteso e diffuso in tutto il paese riversandosi nella capitale. La radicalizzazione della lotta, gli scontri di piazza con la polizia hanno affinato gli obiettivi facendola diventare da lotta economica ad una lotta politica. L’aumento di sei centesimi al litro del gasolio per autovetture è stato la goccia che fatto traboccare il vaso, perché si tratta di un’ulteriore penalizzazione per chi vive fuori dai centri urbani; quindi visto come un nuovo taglio ai salari, agli stipendi, al reddito dei piccoli lavoratori autonomi. Il movimento è cresciuto e, con la consapevolezza della forza che acquistava nella lotta, sono maturati obiettivi, parole d’ordine e rivendicazioni precise sul salario, sul diritto alla casa, contro le privatizzazioni, per l’innalzamento a 1.300euro del salario minimo, contro il prelievo sulle pensioni, e per la reintroduzione delle tasse sui grandi capitali, ridotte da Macron. A rafforzare questo movimento di massa, di “popolo”, in cui lottavano a fianco a fianco frazioni di varie classi sociali sottomesse, sono arrivati gli studenti dei licei tecnici e delle università, dove sono massicciamente presenti le terze e quarte generazioni degli immigrati, portando nuove energie nella lotta e nello scontro con lo Stato. Un movimento che si è saldato con i figli delle banlieue, operai e lavoratori protagonisti delle lotte contro la “loi travail”. Sabato 1 dicembre erano in tante/le nelle strade. Così anche sabato 8, dopo che si erano tenute a Saint-Denis assemblee molto partecipate con un obiettivo politico chiarissimo: non lasciare spazio all’estrema de-
stra dentro la rivolta. La protesta è proseguita anche il 22 dicembre con imponenti manifestazioni che hanno visto scendere in piazza decine di migliaia di persone a Parigi e in varie città della Francia, con scontri fra manifestanti e polizia nella capitale. Una protesta che, oltre ai feriti degli scontri fra polizia e manifestanti, ha provocato il primo morto ai margini delle manifestazioni, portando finora, secondo le stime del governo, a 11 i morti per incidenti stradali durante le lotte nelle piazze e nelle strade di Francia. Oltre alla richiesta di dimissioni di Macron, il carattere politico di una classe che va definendosi sempre più nei suoi obiettivi è rappresentato dalla parola d’ordine “Bourgeois Paris soumet toi! Parigi borghese sottomettiti, arrenditi!, lo slogan del quarto sabato di rivolta e degli scontri a Parigi e nel resto della Francia. Per cercare di frenare questo movimento che la repressione non ha sconfitto e che rappresenta un pericolo mortale per la borghesia, spezzando la pace sociale tanto utile allo sfruttamento capitalistico, il presidente Macron è stato costretto a intervenire e - parlando in diretta tv alle 20 dall’Eliseo il 10 dicembre - dopo aver affermato, “Saremo intransigenti con i violenti”, ha promesso misure di aiuto al reddito e ai pensionati e una rinnovata lotta all’evasione fiscale. L’ultimo tentativo di compromesso che aveva lanciato, il 27 novembre, era stato vano. In quell’occasione aveva fatto una piccola concessione sulle accise “modulate” sul prezzo del greggio. Come si sa, non era servito a fermare la protesta. Per placare la protesta che ormai si è allargata a una miriade di fronti, il capo dello Stato francese mette sul piatto due gesti concreti: l’aumento di 100 euro del salario minimo (oggi pari a 1.184
euro netti mensili) e l’abolizione di nuovi prelievi sulle pensioni sotto i 2mila euro. Il pacchetto comprende anche la defiscalizzazione degli straordinari (molto usati, dato l’orario legale delle 35 ore settimanali) e del premio di fine anno da parte delle imprese. Parlando con alcuni sindaci lo stesso Macron aveva ammesso di aver fatto alcune “cavolate”, come l’aumento della carbon tax, il taglio di 5 euro ai sussidi sulla casa, e la limitazione a 80 chilometri orari nelle strade statali. Tutte misure impopolari, che hanno contribuito a fomentare la protesta. Per il sistema del lavoro salariato, la democrazia borghese e la pace sociale per i borghesi è il miglior modo per governare e sfruttare i proletari. La crisi economica ha impoverito progressivamente negli ultimi anni gli strati sociali sottomessi aumentando la proletarizzazione di imponenti masse di piccola e media borghesia. Le classi sottomesse, che negli anni scorsi hanno delegato i vari rappresentanti della borghesia a rappresentare i loro interessi e si erano illuse di aver votato partiti che difendevano i loro interessi e conquistato posizioni socia-
li, si sono ritrovate con un pugno di mosche in mano. La dura realtà della crisi economica e delle misure antiproletarie decise dal governo Macron li ha costretti a mobilitarsi, facendoli scendere nelle strade senza delegare a nessun partito o sindacato i loro interessi, dimostrando al proletariato europeo come si risponde all’immiserimento crescente. In un mese di lotta nelle strade e nelle piazze il presidente Macron, è stato costretto a fare concessioni alle classi sociali unite nel “popolo” dei gilet gialli, più di quante il governo giallo-verde in Italia ne ha promesse e realizzate in otto mesi di chiacchiere. I gilet gialli hanno costretto il governo a ritirare i provvedimenti impopolari ma, avendo preso coscienza della propria forza, non si fermano: vogliono le dimissioni di Macron, riconosciuto come il rappresentante della borghesia di Francia. La mobilitazione delle classi sottomesse ha costretto anche la commissione europea a concedere alla Francia lo sforamento del debito oltre il 3%; altro che un misero 2,04 come quello concesso all’Italia e spacciato come vittoria dal governo di Salvini-Di Maio.
Il commissario europeo agli Affari economici e monetari, Pierre Moscovici, ha concesso alla Francia di Emmanuel Macron di sforare il tetto del 3%, le misure da 10 miliardi di euro annunciate dal presidente Macron - che dovrebbero portare il deficit francese per il 2019 ad almeno il 3,4% del Pil - servono per sedare e per raffreddare la protesta dei manifestanti, dei gilet gialli. Ancora una volta la lotta paga. Senza delegare ai politici di turno i loro interessi e il loro futuro, un fronte interclassista composto da proletari, sottoproletari e piccoli borghesi, cioè da quelli che fanno fatica ad arrivare a fine mese anche lavorando ma con salari da fame, gli immiseriti dalla crisi economica e politica, i disoccupati che faticano a mettere insieme il pranzo con la cena, cui si sono aggiunti gli studenti, hanno dimostrato - anche a costo di mettere a ferro e fuoco le strade e le piazze - che si può lottare e anche vincere, almeno ottenere qualche piccola conquista. Vedremo quali saranno gli sviluppi. Come sosteneva un vecchio slogan degli anni ‘70 gridato dagli operai in lotta: “Con la pace sociale vince il capitale, con la lotta di classe vincono le masse”.
Ciao Mariolone, amico e compagno di tante battaglie Con profondo dolore annunciamo sgomenti la morte del nostro compagno Mario Amiranda - Mariolone, come lo chiamavamo affettuosamente - avvenuta stanotte, a causa di un avvelenamento di barbiturici. Ricoverato in ospedale, nonostante le cure, è deceduto durante la notte. Mariolone è stato un amico sincero, un caro compagno di lotta, una persona dolce, generosa, sensibile, sempre pronto ad aiutare gli altri e battersi contro ogni forma di ingiustizia. Ma questa volta, purtroppo, ha pensato che nessuno potesse aiutare lui. Ora ci lascia un profondo senso di disorientamento e di colpa per non aver capito fino in fondo il suo dramma e non essere riusciti ad aiutarlo. Mariolone, operaio di una ditta di autobus, da oltre un anno si era messo in aspettativa per curare il padre gravemente malato. Non voleva abbandonarlo in una casa di riposo, ma la solitudine e la mancanza di socialità sono stati questa volta più forti di lui. Mariolone... sempre in prima fila nelle lotte operaie: da più di un decennio faceva parte del nostro Comitato e del Centro di Iniziativa Proletaria, partecipando, prendendo permessi e ferie sul lavoro, a tutte le iniziative di lotta. Sempre al fianco delle vittime dell’amianto nei tribunali, nelle manifestazioni contro il governo per i diritti dei lavoratori, contro l’INAIl, portando con la sua presenza la solidarietà operaia concreta a chi lottava contro lo sfruttamento e contro l’ingiustizia, dai terremotati dell’Aquila ai famigliari della strage ferroviaria di Viareggio. Dopo tanti morti per amianto, oggi siamo ancora più tristi e arrabbiati per la perdita, di cui non riusciamo a capacitarci, di un compagno e di un amico. Ciao Mariolone, che la terra ti sia lieve. Con affetto e amore, i tuoi compagni Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio Sesto S.Giovanni, 23 novembre 2018 e-mail: cip.mi@tiscali.it web: http://comitatodifesasalutessg.jimdo.com https://www.facebook.com/cip.tagarelli
Ciao Mariolone Più di qualche volta mi sono trovato a tavola con lui, lì al CIP, dopo qualche assemblea o corteo. Lo vedevo presente e partecipe, alle battute, al clima della tavolata, vispo e pronto a rilanciare. A parlare con lui mi capivo bene: il suo era un tono pacato, mai oltre le righe, ragionevole. Qualche volta ho avvertito in lui la fatica di vivere, ma la disperazione no, forse era la dignità che portava ad impedirgli di manifestarla.
Di sicuro l’ho sempre visto volentieri, la sua presenza infondeva una certa sicurezza, dopotutto un fisico “robusto” dalla tua parte fa pur sempre piacere. Ma di più si avvertiva la sicurezza dei riferimenti, la certezza del suo schieramento, dalla parte della classe operaia. Non so immaginare come questa sua ricchezza sia finita stritolata dalle tenaglie della fatica di vivere quotidiana. È un abisso così doloroso che sbigottisce e spaventa. Ma la fatica di vivere, a chi la dobbiamo se non ai padroni? Ci resta il senso della sconfitta, di un compagno perso, di un enorme spreco. Siamo con voi, compagni, ci uniamo al vostro dolore. I compagni di Bassano/Ciano Ciao Mariolone.
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marxismo
Come i bolscevichi iniziarono a lavorare con le masse proletarie Il principio base divenne lo studio accurato della questione che si cominciava a trattare. Profonda conoscenza delle teorie del marxismo, della situazione economica e politica del paese, delle condizioni reali dei lavoratori L’argomento è stato affrontato nel 2013 dalla rivista Rabocij put (La via operaia), constatando come “nessuna delle forze politiche di sinistra in Russia abbia oggi stretti legami con le masse proletarie”. La sinistra, “senza piattaforme ideologiche chiare, riunisce nelle proprie file tutti gli insoddisfatti, da qualunque classe della società, cercando di compiacere ora questa, ora quella”. Le forze politiche reazionarie “possono attrarre gli strati politicamente immaturi della popolazione, se non trovano l’opposizione delle forze rivoluzionarie. Solo i comunisti possono impedirlo, purché sappiano liberarsi dall’opportunismo e diventare espressione degli interessi non immanenti ma fondamentali della classe proletaria”. Rabocij put ricorda l’esperienza del POSDR (b) e, in particolare, dei circoli marxisti, che dagli anni ‘80 del XIX secolo favorirono la diffusione del marxismo in Russia. All’inizio, erano pochi i rappresentanti della classe operaia nei circoli marxisti, ma poi sorsero circoli di soli operai, sotto la direzione di intellettuali. Composti in media di 6-8 membri, nei circoli si studiava la teoria marxista, spesso dimenticando il lato pratico delle questioni. G. Ž. Kržižanovskij: “Nel nostro gruppo, composto principalmente di studenti, si creò un culto di Marx. Ai nuovi arrivati si chiedeva l’atteggiamento verso Marx. Ero convinto che da un uomo che non abbia approfondito due o tre volte “Il Capitale”, non si potesse cavare nulla di buono. Purtroppo, esigevamo quasi le stesse cose sia dagli studenti, che dai lavoratori. Ricordando come torturassimo i nostri primi amici operai con il primo capitolo de “Il Capitale”, provo tutt’oggi rimorsi di coscienza”. Diverso fu l’approccio di Lenin. N.K. Krupskaja: “La maggioranza degli intellettuali poco sapeva degli operai. Arrivava un intellettuale in un circolo e si metteva a far lezione agli operai. Vladimir Ilič leggeva con gli operai “Il Capitale”, lo spiegava e dopo li interrogava sul loro lavoro, sulla condizione operaia e mostrava il legame della loro vita con la struttura della società, spiegando poi per quale via trasformare l’ordine esistente”. L’operaio bolscevico I.V. Babuškin ricorda: “Il circolo era composto di 6 persone, più il settimo che conduceva la lezione; cominciava con Marx e l’economia politica, cercando di sollevare obiezioni da parte nostra; costringeva uno a dimostrare a un altro la giustezza del proprio punto di vista. Le conferenze avevano un carattere molto vivo: ci si esercitava a diventare oratori”. In tal modo, i circoli marxisti addestrarono migliaia di propagandisti, agitatori e organizzatori del movimento operaio. Una buona conoscenza delle teorie marxiste è una cosa estremamente necessaria per un rivoluzionario, ma le sole lezioni teoriche con i lavoratori non bastavano. Lo si vide a metà anni ‘90, con la nuova ondata rivoluzionaria, rivolte contadine e scioperi nelle fabbriche. L’isolamento della social-democrazia dalle masse lavoratrici è mostrato da M. Silvin: “Avevamo contatti nello stabilimento Semjannikov; qui, alla fine del 1894 si ebbero scioperi e agitazioni. I lavoratori distrussero l’ufficio, picchiarono alcuni impiegati, lanciarono pietre contro la polizia. Nella successiva riunione del circolo, Lenin chiese ai presenti come mai non avessero segnalato il maturare degli eventi. I presenti spiegarono che il movimento avrebbe dovuto andare prima in profondità, poi in estensione. Si confermava così, come gli operai del circolo fossero lontani dalle masse”. I social-democratici avevano capito che i circoli non avevano una significativa influenza sulle masse e non potevano assolvere il compito della social-democrazia: l’introduzione della coscienza socialista tra le masse lavoratrici. Con la crescita del movimento operaio, era necessario passare dalla propaganda nei circoli, all’agitazione tra le masse. Su ciò insisteva Lenin, che proponeva di unire gli sforzi di tutti i circoli marxisti della capitale. Nacque così la “Unione di lotta per la liberazione della classe operaia”. Dato che la social-democrazia era formata in gran parte da intellettuali, con scarsa conoscenza delle condizioni dei lavoratori, Ilic propose di iniziare con l’indagine dettagliata delle condizioni di lavoro e vita dei lavoratori di ogni concreta impresa.
dell’essenza della data questione che si cominciava a trattare. Una profonda conoscenza delle teorie del marxismo, della situazione economica e politica del paese, delle condizioni reali di vita dei lavoratori. Krupskaja: “Quel periodo pietroburghese dell’attività di Vladimir Ilic fu straordinariamente importante, anche se, nell’essenza, quasi invisibile. Non vi erano effetti esterni. Il discorso verteva non su imprese eroiche, ma su come tessere stretti legami con le masse, come avvicinarsi a esse, imparare a essere espressione delle loro migliori aspirazioni, imparare a esser loro vicini e comprensibili e condurle dietro di noi”. Ecco un questionario, diffuso nel 1906 per conoscere la situazione dopo la sconfitta della rivoluzione del 1905
Krupskaya: “Vladimir Ilic si interessava di ogni minuzia che illustrasse l’ambiente dei lavoratori; basandosi su singoli dettagli, cercava di assimilare la vita dell’operaio nella sua interezza, per meglio avvicinarsi ai lavoratori con la propaganda rivoluzionaria. A quel tempo, Ilic studiava le leggi sulle fabbriche, ritenendo che, spiegandole, sarebbe stato facile chiarire agli operai il legame tra la loro posizione e il sistema statale. Le tracce di questo studio sono evidenti in “La nuova legge sulle fabbriche”, “Sugli scioperi”, “Sui tribunali industriali” e altri opuscoli”. M.Silvin: “Vladimir Ilic mise a punto un questionario dettagliato e noi ne facemmo tante copie da distribuire ai propagandisti. Fummo così presi dalla raccolta di informazioni, che per un po’ abbandonammo ogni attività di propaganda. Ottenere risposte precise a domande semplici sulla vita operaia non fu così facile. Chiedevamo di cosa fossero insoddisfatti i lavoratori, cosa avrebbero voluto eliminare nella fabbrica, e ricevevamo talvolta risposte inattese: “hanno smesso di distribuire l’acqua calda per il tè, e dunque richiedono l’acqua calda”. Oppure: “Hanno abbassato la tariffa di cinque copeche e si prevede uno sciopero. Utilizzammo il materiale raccolto attraverso i questionari, preparando volantini su ogni specifica questione di una particolare impresa. Ilic lanciò l’idea di utilizzare il materiale per l’agitazione sulla base di richieste legittime. Le informazioni raccolte mostravano come e in che modo venissero violate le leggi: l’agitazione doveva iniziare con la richiesta di rispetto della legislazione”. Kržižanovskij: “A partire dal 1894, il meccanismo spionistico-poliziesco dovette fare la conoscenza con quegli “scandalosi volantini anonimi”, affissi ai muri delle principali fabbriche di Pietroburgo. In quei fogli, redatti sulla base degli incontri con gli operai, cercavamo di partire dai bisogni quotidiani, dalla concreta situazione della data fabbrica, passando poi a slogan di carattere politico, circa gli ostacoli che il governo zarista accumulava sulla strada della lotta dei lavoratori per miglioramenti economici”. Alcuni social-democratici ritenevano però che l’agitazione sul terreno dei bisogni quotidiani degli operai avrebbe condotto il movimento rivoluzionario lontano dal socialismo. Krupskaja: “L’agitazione sul terreno delle esigenze quotidiane degli operai si radicò profondamente. Compresi la fecondità di questo metodo solo nell’emigrazione in Francia: osservai come, durante il grande sciopero degli addetti alle poste, il partito socialista si fosse tenuto completamente a parte. Come dire: è una questione sindacale, mentre il partito si deve occupare solo della lotta politica. Non avevano chiara la necessità di collegare le lotte economica e politica”. Silvin: “Di solito, un volantino riguardava un caso particolare: un abuso, una violazione della legge, riduzione dei salari, ecc. Arrivò un ispettore di fabbrica, la polizia condusse un’inchiesta. Tutto ciò rappresentò un evento nella vita monotona della fabbrica, provocò discussioni, risvegliò interesse. La pubblicazione di un abuso su una questione “di casa”, aveva generato di per sé eccitazione. Ora, nel circolo, il propagandista non cercava i lavoratori più avanzati e intelligenti, in grado di assimilare la teoria del plusvalore. Cer-
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cava compagni svegli, brillanti, che potessero diventare agitatori, catturare stati d’animo, cogliere fatti importanti”. Krupskaja ricorda come la selezione del materiale fosse accurata e le informazioni ricevute dagli operai venissero verificate più volte:”Il materiale era raccolto e controllato accuratamente da Vladimir Ilic. Per la fabbrica di Thornton, convocai il mio allievo, il collaudatore Krolikov, che arrivò con un intero quaderno di informazioni. Poi, io e A.A. Jakubova, vestite da operaie, andammo al convitto della fabbrica, ci intrattenemmo sia con gli scapoli, sia con le coppie. La situazione era spaventosa. Solo sulla base di materiali così raccolti, Ilic scriveva le corrispondenze e i volantini. Guardate il suo “Agli operai e alle operaie della fabbrica Thornton”. Che conoscenza dettagliata della questione!”. L’agitazione tra le masse cominciò a dar frutti. L’operaio V.A. Šelgunov: “Nonostante che nel dicembre 1895 fossero stati arrestati tutto il vertice dell’intellighenzia marxista e anche un gran numero di operai, nel maggio 1896 scoppiò a Pietroburgo uno sciopero che coinvolse oltre trentamila operai. La principale rivendicazione era il pagamento per i giorni dell’incoronazione di Nicola II, che i lavoratori erano stati costretti a saltare, senza salario. Fu un avvenimento senza precedenti. Nella stessa rivendicazione del pagamento per i giorni dell’incoronazione, era insito un atteggiamento irriverente degli operai nei confronti di “sua altezza” lo zar”. La social-democrazia non seppe evitare errori. Tutti dediti all’agitazione sulle rivendicazioni più urgenti, parte dei social-democratici scivolò verso l’economismo. Silvin: “Il nostro più recondito desiderio era di introdurre nel movimento di massa un’idea politica cosciente, l’idea della lotta per il rovesciamento dell’autocrazia. Ma per paura di fare un passo prematuro, inconsciamente slittavamo nell’economismo. Questo elemento di codismo si rintraccia in tutti nostri volantini del 1896”. Krupskaja: “Molti compagni che allora lavoravano a Piter, vedendo gli effetti dell’agitazione con i volantini e dedicandosi interamente a quella forma di lavoro, dimenticavano che quella era una delle forme, ma non l’unica forma di lavoro tra le masse e si misero sulla strada del famigerato economicismo. Ilic, però, non dimenticava le “altre forme di lavoro; nel 1895 scrive l’opuscolo “Spiegazione della legge sulle multe comminate ai lavoratori nelle fabbriche e nelle officine”, in cui fornisce un brillante esempio di approccio all’operaio medio del tempo: a partire dai suoi bisogni, condurlo alla necessità della lotta politica. A molti intellettuali tale opuscolo sembrava noioso e prolisso, ma per i lavoratori era comprensibile e familiare”. Lenin prestava un’enorme attenzione allo studio dei dati statistici relativi alla vita economica, politica e sociale. Kržižanovskij: “... noi marxisti eravamo molto impressionati dalla sua straordinaria capacità di usare le armi di Marx e dall’eccellente conoscenza della situazione economica del paese tratta da dati statistici. Durante la sua relazione sul tema dei mercati, Ilic fece un tale sfoggio di illustrazioni statistiche, che io avvertii una sorta di frenetico piacere”. Il principio base divenne lo studio accurato
VOLANTINO-QUESTIONARIO DEL POSDR (b) SULLE CONDIZIONI DI VITA E DI LAVORO DEGLI OPERAI Compagni! Nell’intento di condurre una breve ricerca sulla vita operaia, ci rivolgiamo alla vostra collaborazione. Vi chiediamo di rispondere possibilmente in modo preciso e completo alle domande. Le risposte devono riguardare l’intera fabbrica o laboratorio. Se un compagno conosce le condizioni di vita e di lavoro solo di poche categorie di lavoratori (tornitori, assemblatori etc.), è meglio che risponda alle domande, per esempio sui salari ecc., applicati a queste categorie. 1 Fabbrica, officina, laboratorio; dove si trova 2 Quanti operai complessivamente; di essi... donne ... fanciulli. Durata della giornata lavorativa 3 Quali le principali categorie di operai e loro numero (anche approssimativamente) 4 Salario medio per ogni categoria di uomini, donne, fanciulli (giornaliero, mensile, a pezzo) 5 Straordinari e loro compenso 6 Condizioni abitative degli operai (vivono nell’area della fabbrica, al di fuori; ecc.) 7 Principali uscite dell’operaio (singolo, con famiglia) per categoria (affitto, vitto, abbigliamento e altro; in particolare per tè, zucchero, tabacco, combustibile, fiammiferi) 8 Ci sono nell’area della fabbrica (officina, laboratorio) biblioteca, mensa e in generale qualche altro ambiente per gli operai? 9 C’è ricambio frequente di operai oppure sono più o meno stabili? L’amministrazione della fabbrica ricorre al licenziamento degli operai più coscienti dopo uno sciopero o in generale (dopo quale sciopero, ad esempio, si sono verificati simili casi)? 10 Legami degli operai con la campagna; si trasferiscono gli operai in campagna, anche in parte, in condizioni di lavoro normali e per qualche periodo dell’anno; ce ne sono molti di tali operai? Gli operai sostentano la campagna con il loro salario? Quanti sono? 11 C’è qualche periodo dell’anno con molto lavoro, oppure è distribuito in misura più o meno regolare su tutto l’anno? 12 La fabbrica (officina, laboratorio) è in stretta dipendenza dalle ferrovie o da un’altra fabbrica? 13 Quanto dipendono l’un l’altra le produzioni dei reparti o dei laboratori? 14 Ci sono stati scioperi prima dell’ottobre 1905? [Altre domande vertevano sui rapporti con l’amministrazione (buoni, ostili, normali); su elementi, tra il personale tecnico e ispettivo, particolarmente invisi agli operai. Si chiedeva se gli operai partecipassero alle manifestazioni, con uscite dimostrative dalla fabbrica e se, in questo caso, la polizia o i cosacchi fossero ricorsi alla repressione violenta. Se ci sono state assemblee interne alla fabbrica, quante, quali. Atteggiamento dell’amministrazione verso tali assemblee: mette a disposizione un locale per organizzarle? Fanno parte gli operai di qualche sindacato? ecc. Si sono eliminate le risposte, per non appesantire il testo. Ndt] Traduzione e sintesi a cura di fp
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cultura
“A quelli che non vogliono intendere” Uno scritto di Concetto Marchesi Centoquarant’anni fa, il 1° febbraio 1878 nasceva a Catania Concetto Marchesi. Studente sedicenne fondò “Lucifero” un giornale che già dal primo numero fu sequestrato perchè giudicato dalle autorità diffamatorio delle istituzioni e Marchesi fu arrestato e condannato ad un mese di reclusione. Nel 1906 iniziò il suo impegno politico a Pisa dove insegnava greco e latino in un liceo classico e le sue posizioni politiche si spostavano sempre più verso il socialismo scientifico di Marx. Giudicava il “Manifesto del Partito comunista” un “gran fascio di luce” e, alla scissione del 1921, aderì al Partito comunista. Ha scritto molti commenti, studi e opere. Abbiamo scelto di pubblicare l’articolo “A quelli che non vogliono intendere” tratto dal settimanale “il Risveglio” del 7 marzo 1945 perché lo riteniamo interessante e di attualità in relazione ai tempi che stiamo vivendo. Non sono pochi, e tra questi alcuni non difettano di cultura e di intelligenza: né manca chi è pure investito di somma autorità. Nel messaggio che il Pontefice romano diffondeva al mondo nel quinto anniversario della guerra, si parlava con accento di deplorazione dei “programmi radicali che pretendono di tutto sovvertire con la rivoluzione e la violenza”. Tutti sanno a chi va rivolta questa censura papale. È tempo di dire su tale argomento una parola chiara. Appunto: c’è tra i partiti innovatori uno che si professa fondamentalmente rivoluzionario. A questo mi onoro di appartenere. I seguaci di questa dottrina o meglio di questa interpretazione del fenomeno storico hanno dovuto constatare che in tutto il corso dei secoli ogni richiesta di radicali mutamenti nell’ordine economico e sociale fatta per le vie legali è stata sempre repressa e soffocata nel sangue: e hanno dovuto sempre osservare che quando lo strumento legale tende a divenire strumento trasformatore di privilegi, esso è infallibilmente sostituito dalla forza repressiva della classe dominante: e la violenza diviene espediente di pubblica salute. Nella storia non esiste un solo esempio di grande rinnovamento politico che non sia stato risolto atraverso una strage civile. Nè si citi l’esempio della monarchia spagnola trapassata dolcemente in repubblica, perché la prima repubblica succeduta al reame di Alfonso aveva l’assenso dei capi della Chiesa, dell’esercito e dei grossi feudatari e dei signori dell’antico regime i quali avevano lasciato andar via un re che non aveva avuto fortuna né accorgimento. Ma quando la repubblica attraverso le vie legali cominciò a diventare rivoluzionaria, cioè radicalmente trasformatrice dei vecchi privilegi e dei predomini tradizionali, allora non ci fu più ritegno nell’organizzazione della violenza e dell’infamia e si osò chiamare “movimento nazionale” la più scellerata azione ordita e compiuta con le armi dello straniero e con la complicità di tutte le democrazie occidentali contro il più eroico dei popoli che abbia versato il suo sangue per la libertà della patria. Che cosa è stata la storia degli uomini fin ad ora se non una successione di morte e di devastazione? Come è proceduta finora la civiltà umana se non attraverso una fiumana di sangue? E se ci sono uomini oggi che proclamano guerra alla guerra, che oppongono vilenza alla violenza, sono essi i sovvertitori e i nemici dell’umanità? Se
ci sono uomini i quali non riconoscono soltanto la necessità di farsi uccidere, ma anche il diritto di dare morte a chi dà morte, sono essi i carnefici e i distruttori della pace? E in questa lugubre pace fatta di oppressione e di miserie e di iniquità scellerate chi porterà la luce della redenzione se non coloro che vorranno a costo del proprio sacrifico superare l’ostacolo iniquio e violento? Non temete, Santità; la violenza non è il mito che noi vogliano far trionfare, essa è la realtà che noi vogliamo distruggere. L’esperienza di tutto il passato ci ha insegnato che alla forza che si sostituisce al diritto non si può opporre che la forza, che alla reazione violenta non si può opporre che la guerra o la rivoluzione. In questo senso siamo rivoluzionari; e deriviamo la necessità dell’azione rivoluzionaria non dalla nostra dottrina, che è dottrina di pace univerale, ma dalle condizioni che la società capitalistica ha sempre imposto ai movimenti sociali. Tra quanti non conoscono ancora il volto vero del comunismo perché non l’hanno bene fissato, taluni non stentano, malgrado ciò a definirlo e lo definiscono, siccome loro accomoda, secondo certe maniere letterarie, giornalistiche e romanzesche. Così noi eravamo prima i bruti, oggi siamo anche fanatici. Siamo gente senza pensiero né personalità: legati, mediante incantesimo ad una Chiesa da cui ci giunge la voce di un comando quotidiano; una Chiesa immane che tende ad invadere la terra come un mostruoso cattolicesimo. È l’immane mondo dello spirito che precipita nelle tenebre di una servitù universale. Questo avviene in Russia, dove i comunisti non sono i combattenti della libertà ma i combattenti di una Santa Russia comunista più cupa e misteriosa della santa Russia degli zar. Così chi non vuole ancora intendere penetra in quel mondo russo che ha pure spezzato la più micidiale macchina di guerra che già travolgeva la civiltà. Così in quella Russia che, da più di un ventennio, ha dovuto sostenere l’odio del mondo dentro e oltre le sue frontiere; in quella Russia che ha dovuto lottare senza tregua contro tutte le violenze e le insidie delle forze reazionarie internazionali, essi avrebbero voluto sin dal principio vedere una comoda democrazia parlamentare aperta a tutti i dibattiti, a tutti gli intrighi, a tutti i veleni stillati dallo sconfinato laboratorio capitalistico; una Russia pullulante di nemici del proletariato per i quali soltanto il proletariato avrebbe dovuto spezzare le catene dell’autocrazia. E non pensano che se così fosse stato, gli organi della borghesia capitalistica non avrebbero oggi modo di salutare i vincitori e gli eroi di Stalingrado, di Kiev e di Odessa, e di seguire attoniti le armate invincibili che hanno portato nel cuore ferrato della Prussia le insegne della redenzione sociale. Noi comunisti siamo bruti e fanatici per questi reazionari traverstiti. Il fatto è che essi, per non ingiuriarci, ci vorrebbero sognatori e puri, come ai tempi del loro assoluto e sicuro dominio, quan-
do il nostro “sole dell’avvenire” brillava a sterminate lontananze e i nostri programmi lucevano in una loro immobile integrità, senza bruschi interventi e pericolose compromissioni. Ora non è così: il sereno del tempo di pace non esiste più, e gli splendori siderali sono offuscati dalla mischia orrenda degli uomini. Ora siamo in pieno perdiodo rivoluzionario. E l’aria rivoluzionaria è torbida, piena di quotidiani adattamenti alla realtà di ogni ora. Oggi i problemi bisogna affrontarli e risolverli via via che spuntano. Oggi è in gioco non l’avvenire della nostra dottrina che resta immutata, ma il destino e la vita stessa del proletariato. E non siamo più i dottrinari inaccostabili di una volta; siamo i realizzatori di ciò che la nostra esperienza, la nostra dottrina, il nostro risoluto proposito ci consente di realizzare per il bene della classe lavoratrice, cioè per il bene dell’umanità. E nell’interesse della classe lavoratrice, primi fra tutti, abbiamo levato il grido di guerra contro la Germania hitlerana e l’ignominia fascista per la indipendenza, la libertà e l’onore del nostro paese. Il proletariato ha difeso anch’esso con le armi e con ogni sacrificio la Patria invasa e oppressa, e se non fosse stato tradito nella giornata dell’8 settembre e soggetto più tardi ad una vana aspettazione avrebbe dato all’Italia il primo vero essercito liberatore. Proletariato e Patria, proletariato e democrazia sono ormai inseparabili: chi volesse dividerli sarebbe un nemico della Patria e un fautore della peste che ci ha portato a rovina. Questa politica nazionale dei partiti operai non è una novità o una deviazione cui l’immane crisi presente ci abbia costretto; essa non distrugge, ma conferma e rinsalda il presupposto internazionale. La libertà dell’uomo è subordinata al divieto di opprimere altri uomini, la libertà delle nazioni riposa sulla stessa proibizione. Nessun individuo e nessuna nazione può progredire o prosperare senza la continuità di mutue prestazioni. Questo libero e benefico commercio fra gli uomini e le nazioni del mondo, potrà essere garantito soltanto da un potere che risulti da forze schiettamente democratiche. Non si può abbandonare la parola democrazia, se anche in nome di essa si è difeso il privilegio. La democrazia che sorgerà da tanta sofferenza, deve essere rappresentata da un organismo politico e sociale che consenta al popolo lavoratore di respingere indietro, sempre più indietro, tutte
le forze reazionarie che tentino la ripresa delle vecchie posizioni nella direzione della vita economica e intellettuale. Oggi i partiti la cui azione avrà più di profondità e di ampiezza saranno quelli che meno si sforzeranno di creare situazioni nuove invece di bene intendere e dirigere verso nuovi sviluppi le situazioni esistenti. Precipua qualità rivoluzionaria è l’aderenza alla realtà la quale è dato sempre scorgere, ma non è dato quasi mai prevedere nei suoi espisodi essenziali. I comunisti non sono profeti visionari dell’avvenire; essi devono vigilare sul presente dove sono tutte le possibilità del futuro. Diciamo possibilità giacché i fatti della storia accadono in quanto intervengono attività e volontà personali capaci di provocare e accelerare gli sviluppi di determinate condizioni, il cui costituirsi non dipende da noi, ma dipende da noi fecondarle e raccoglierne i frutti. I partiti non creano le condizioni dei pubblici mutamenti, ma quando queste ci siano creano la nuova realtà storica se gli uomini che ne dirigono l’attività sanno vedere tra le situazioni che via via si succedono quella che possa essere la risolutiva; quella che permetta di far marciare tutte le forze proletarie sul ponte che il destino del nostro secolo ha gettato fra il passato capitalistico e l’avvenire socialista.
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brasile
Parliamo di fascismo
Bolsonaro ha già dato segnali molto chiari del suo orientamento economico, integrato dalla sua visione delle relazioni economiche che dovrà mantenere il Brasile. Ed è completamte coerente Ricardo Aronskind L’elezione di Jair Bolsonaro alla Presidenza della Repubblica Federativa ha e avrà un enorme impatto in Brasile e in tutta la nostra regione. È un dato geopolitico, economico e sociologico/culturale che non si può ignorare. Molte analisi sottolineano il carattere fascista del personaggio. Le sue dichiarazioni, i suoi gesti, sembrano tratti da un manuale autoritario, scritto in altre epoche del mondo. La sua viscerale intolleranza verso la sinistra, l’omosessualità, gli indios, le donne e i deboli in generale, è una caratteristica dello spirito fascista. La sua simpatia per dittature e torturatori anche. Ma il fascismo è una categoria politica precisa. Molte volte, nel nostro paese, è stata usata non correttamente da settori progressisti per qualsiasi personaggio risultasse sgradevole, o troppo conservatore secondo i parametri di questo settore. Ma non tutte le persone di destra o reazionarie sono fasciste. E Bolsonaro, letto nei termini delle caratteristiche storiche che contraddistinguono il fascismo, non lo è. Tutti i fascismi sono anti-comunisti. È un tratto d’origine e non è casuale. Il fascismo nacque in un’epoca in cui nel mondo era sorto un governo che aveva statalizzato i mezzi di produzione, distribuito la terra tra i contadini e dato un calcio alle relazioni internazionali. L’ordine borghese fu messo in discussione in una forma sconosciuta dalla Rivoluzione Francese e le vecchie forme e pratiche politiche conservatrici aristocratiche non servivano per affrontare un fenomeno che minacciava di espandersi universalmente. Data l’incapacità del liberismo a fare appello alle masse, sorse con forza crescente il fascismo, e il caso paradigmatico fu quello italiano. Il rifiuto sociale della radicalizzazione politica non fu soltanto quello dei settori minacciati dall’espropriazione dei mezzi di produzione, ma anche di importanti settori delle classi medie, settori rurali e persino poveri, che percepirono con paura e sfiducia altre caratteristiche specifiche del comunismo iniziale. Il fascismo e la sua direzione, capitanati da Mussolini, seppero interpretare quegli interessi minacciati e quei forti sentimenti, riprendendo persino alcune bandiere della sinistra e dandogli un significato opposto contro di essa. La mobilitazione di massa, l’appello ad un nuovo ordine che recuperasse la grandezza nazionale, furono parte di quello che il fascismo seppe proporre alla società italiana. Insieme, naturalmente, a forti dosi di violenza e di persecuzione dei suoi nemici ideologici e al progressivo strangolamento delle libertà civili. Nel caso italiano il fascismo adottò, sul piano economico, alcune caratteristiche distinte: fortemente statalista e interventista, promotore della potenza nazionale (che si definiva non solo in termini di conquiste territoriali ma nell’ampliamento della potenza produttiva industriale italiana) e, per molti aspetti, modernizzatore di vecchie strutture produttive provenienti da epoche anteriori. Non meno nazionalista era il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori (NSDAP) di Adolf Hitler. Sebbene i suoi tratti più spettacolari furono il militarismo espansionista ed il genocidio di milioni di abitanti europei, il progetto imperialista hitleriano rifletteva alcuni obiettivi della borghesia tedesca, che già aveva superato in potenza quella inglese e che si trovava compressa, per future espansioni nel suo processo di accumulazione, dalle limitazioni geografiche e di accesso a fonti di approvigionamento. A nessun militare tedesco sfuggiva il fatto che la viabilità dell’espansione coloniale verso l’Est europeo non poteva realizzarsi se non nella formidabile potenza e capacità dell’industria tedesca che, a sua volta, aveva bisogno di nuove conquiste territoriali per essere in condizioni di concorrenza con la potenza nordamericana. Nonostante fosse un fenomeno più modesto, anche il franchismo spagnolo fu statalista, perché condivise con il resto dei fascismi gli elementi di forte intervento economico e la protezione statale che li segnarono dalla nascita, perché la
sua ragione di essere era bloccare l’ascesa del comunismo, visto il crollo del mondo liberale. Basta la disposizione violenta, autoritaria o direttamente criminale per definire una politica “fascista”? No. La dittatura civico-militare guidata dal dittatore Videla (Jorge Rafael, capo dell’esercito e presidente della Giunta militare argentina, n.d.t.), che rispondeva a vari requisiti in materia di criminalità fascista, non è paragonabile al fascismo storico perché si sosteneva sul terrore e sulla smobilitazione delle masse e nella consegna dell’economia ad un progetto di distruzione dell’apparato produttivo nazionale e di subordinazione al capitale finanziario straniero. In un mondo senza “pericolo comunista”, bisogna capire che l’estemporanea ossessione di Bolsonaro per il comunismo inesistente del Partito dei Lavoratori (PT, il partito di Lula da Silva e Dilma Rousseff, n.d.t.) ha dei fini politici completamente attuali. Tale progetto punta a mettere all’angolo, violentemente e con un discorso di base irrazionale, il riformismo sociale realmente esistente, insieme alle riserve di sovranità ed ai resti dello spirito di sviluppo che esistono nella società brasiliana. Vecchie e nuove tecniche di persecuzione ideologica verranno messe in gioco, usando il
marchio di “ladroni e comunisti” estensibile dal PT fino a tutto il Brasile popolare. Le rivendicazioni delle Forze armate brasiliane hanno dimensioni più complesse: la fine della dittatura militare coincise nel paese con l’indebolimento dell’impulso allo sviluppo e con l’irruzione dell’ideologia del mercato, che ha limato il progresso brasiliano. Le Forze armate conclusero ordinatamente la loro dittatura, poiché avevano assassinato molte meno persone di quelle argentine e avevano potuto mostrare chiari successi nell’espansione produttiva del paese. Questa immagine pubblica meno “rovinata” si combina con la sensazione reale di insicurezza che vive una parte della popolazione brasiliana – sensazione che non dovrebbe essere sottovalutata visto che la persistenza di ampi spazi di povertà e marginalità non è stata risolta dal governo del PT e si è rapidamente estesa negli ultimi quattro anni di approfondimento economico neoliberista. Se comunque l’associazione tra la presenza delle Forze armate nell’ambito pubblico e il miglioramento della sicurezza è una superficialità ed un mito, la mancanza di risposte politiche alternative e comprensibili apre uno spazio a questo tipo di associazioni autoritarie.
Fascismo nella periferia? Ha qualche senso pensare alla viabilità del fascismo nella periferia a questo punto del processo di globalizzazione? La nostra regione latinoamericana è da decenni inserita in un processo globale che vede indebolirsi le capacità regolatorie nazionali, che strappa le grandi imprese allo Stato e al capitale locale, e che sta incorporando nelle legislazioni nazionali stesse le richieste di deregulation provenienti dai paesi centrali. Questo
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prolungato processo disintegra il tessuto produttivo e approfondisce la dipendenza economica, tecnologica e finanziaria. Si tratta anche di una regione la cui configurazione ideologica è andata scivolando dal nazionalismo dello sviluppo del dopoguerra verso il neoliberismo mitomane dell’attualità. Va ricordato che non tutte le élites governanti nella periferia hanno seguito la stessa traiettoria ideologica. L’irruzione di processi politici come quello guidato dal PT o dal kirchnerismo in Argentina è stata una reazione vitale della società contro il divenire marginalizzante e di sottosviluppo del modello neoliberista che viene imposto dal centro alla nostra regione. Ma questi sforzi per invertire le forti tendenze del capitalismo globale non sono stati sufficienti in quel momento per mettere in piedi un modello alternativo stabile.
Fascismo senza nazionalismo, nazionalismo senza economia? Bolsonaro ha già dato segnali molto chiari del suo orientamento economico, integrato dalla sua visione delle relazioni economiche che dovrà mantenere il Brasile. Ed è completamte coerente.
La sola designazione di Pablo Guedes (69 anni, economista ultraliberista, formatosi all’Università di Chicago, n.d.t.), rappresentante della finanza internazionale, quale massima autorità economica che concentrerà i ministeri chiave dell’area (un “superministero delle Finanze, Pianificazione, Industria e Commercio, n.d.t.) mostra un orientamente marcatamente neoliberista. La proposta di “privatizzare tutto” costituisce la tipica proposta fondamentalista di mercato che punta a soddisfare gli appetiti di appropriazione dei beni già esistenti da parte di attori corporativi esterni. Il Brasile possiede ancora importanti società pubbliche e private e grandi riserve petrolifere, ambite da forti interessi dei paesi centrali. Il PT si era rifiutato di avanzare in questa direzione e, quindi, costituiva un ostacolo politico tale da dover essere spazzato via. Alla stessa Dilma Rousseff, che aveva già smarrito la via economica progressista nell’aver designato il neoliberista Joaquim Levy quale ministro dell’Economia, fu suggerito il nome di Guedes per sostituirlo. La lobby della finanza e delle multinazionali non ha problemi con alcuna formazione politica purchè questa accetti di applicare le sue proposte di auto-arricchimento. I politici se ne vanno, le posizioni dominanti nei mercati restano. Il futuro presidente del Brasile ha anche affermato la sua volontà di riorientare la politica estera abbandonando visioni “ideologiche”. In questo solco ricadono spazi tanto interessanti come i BRICS, il MERCOSUR, l’Africa e tutte le iniziative che, laboriosamente, la diplomazia del paese aveva tessuto per avere un’ampia proiezione globale. Egli ha ricordato che vuole rafforzare i vincoli in potenza che possano “fornire tecnologia” al suo paese. Questo preannuncia già un grave pericolo per i valenti scienziati e ricercatori brasiliani, ma questo è tipico e caratteristico del neoliberismo
periferico latinoamericano: la tecnologia – se necessario – si compra fuori, e nel Nord. Il suo annunciato viaggio internazionale in Cile, Stati Uniti e Israele rivela una marcata preferenza per l’allineamento con un modello neoliberista dipendente nell’economia, e filo nord-americano nella geostrategia.
Due anime neocoloniali gemelle Nel mezzo della grave crisi cambiaria del 2° trimestre, il presidente (argentino, n.d.t.) Macri convocò una conferenza stampa in cui, per generare entusiasmo, segnalò le aree economiche che avrebbero fatto progredire l’Argentina: petrolio, gas, estrazione di minerali, agricoltura, turismo. L’assenza delle attività che caratterizzzano lo sviluppo dei paesi centrali è manifesta e non casuale. Jair Bolsonaro, nelle sue prime dichiarazioni, per riferirsi alla grandezza produttiva del Brasile ha parlato di estrazione mineraria, acqua, biodiversità e turismo. Non si potrebbe riassumere meglio lo sguardo del mondo centrale e degli interessi multinazionali alle caratteristiche della regione: risorse naturali necessarie alle loro necessità produttive manifatturiere. Non c’è alcuna differenza tra il progetto macrista e quello di Bolsonaro con l’ordine neoliberista globalizzatore, il che è agli antipodi delle borghesie fasciste del secolo XX, disposte a sostenere uno scontro con l’ordine mondiale per ampliare i loro spazi di potere. Al contrario Macri e Bolsonaro sono l’introiezione degli interessi del mondo centrale in queste regioni della periferia globale e l’applicazione delle politiche necessarie a smontare tutte le capacità che costituiscono il fondamento della sovranità nazionale. L’entusiamo dei noti neoliberisti locali per l’arrivo di Bolsonaro è notevole. Molti ritengono che i cambiamenti neoliberisti ancora in attesa di essere realizzati – più privatizzazioni, più esternalizzazioni, meno restrizioni sociali o ambientali ai profitti imprenditoriali, evaporazione della legislazione protettiva sociale – dati i lacci sociali ancora esistenti, debbano essere intrapresi a calci. Cioè... visto che c’è resistenza si deve usare la violenza statale per imporre la riforma neoliberista. La convergenza con le forme semi-dittatoriali è ovvia. Ma, se lo stile può cambiare, il fine è quello di sempre: subordinare e condizionare la regione alle necessità dell’ordine globale, oggi articolato con le zoppicanti élites periferiche associate.
Conclusione Il fascismo nelle nazioni centrali era nazionalista, perchè esprimeva – insieme all’obiettivo della sconfitta del comunismo – borghesie con una meta che concepiva una proiezione nazionale ampliata nell’ordine mondiale. Lo stile fascista dei governanti semicoloniali, invece, insieme alla volontà di schiacciare il riformismo sociale locale – anche distruggendo o svuotando le istituzioni del liberalismo politico – vuole invece rendere più profonda la condizione periferica e subordinata dei nostri paesi, in modo che divenga inattuabile qualsiasi progetto nazionale. Dire che Bolsonaro, o i suoi imitatori locali, non sono fascisti non è un complimento. Al contrario. Ci sono cose peggiori che essere un semplice pistolero contro la sinistra. (*) Economista e ricercatore della UNGS (Università Nazionale di General Sarmiento, Buenos Aires), Coordinatore del programma PISCO (Programma di Ricerca sulla crisi dell’ordine mondiale) dell’Istituto di Sviluppo Umano della stessa Università.
da: elcohetealaluna.com.ar; 14.11.2018 (traduzione di Daniela Trollio CIP “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni)
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cuba
Intervista con Aleida Guevara “La proprietà privata esistente a Cuba è piccola. Nella Costituzione precedente tale proprietà non era permessa quindi abbiamo dovuto cambiare qualcosa per permetterla, perché stavamo violando la legge principale del Paese” tariamente. Non credo sia necessario fare “qualcosa” di così definito come un’Internazionale. Semplicemente quello che stiamo facendo è, da una parte aiutare, dall’altra imparare, e così cresciamo tutti.
Anche quest’anno Aleida Guevara la figlia del Che - sta facendo un tour nel Nord Italia, per portare le ragioni di Cuba contro il più spietato e lungo blocco economico quello statunitense - mai imposto ad un paese. Abbiamo partecipato ad uno di questi incontri - organizzato dall’Associazione di Amicizia ItaliaCuba di Cinisello Balsamo il 6 dicembre 2018, dove erano presenti circa un centinaio di persone - e abbiamo potuto farle alcune domande, le cui risposte vogliamo condividere con tutti. Che cosa è cambiato a Cuba dopo che Fidel se n’è andato?
Abbiamo cambiato il presidente - e Fidel non lo era già più - ma tutto continua come prima.
Avete un nuovo presidente, avete fatto il Congresso: qui in Italia c’è un dibattito perché la nuova Costituzione cubana ora permette la proprietà privata; qualcuno dice che Cuba sta lasciando la strada verso il socialismo. Lei che ne pensa?
La proprietà privata esistente a Cuba è piccola. Nella Costituzione precedente tale proprietà non era permessa quindi abbiamo dovuto cambiare qualcosa per permetterla, perché stavamo violando la legge principale del Paese. Stiamo parlando di un certo tipo di proprietà privata, ad esempio di un parrucchiere o una panetteria, di un piccolo ristorante che non può avere più di un certo numero di tavoli, di una persona che affitta un appartamento. Parliamo quindi di questo tipo di proprietà, non di proprietà dei grandi mezzi di comunicazione, di mezzi di produzione, né di hotel: niente di tutto questo cambierà. La proprietà resta dello Stato socialista. Il fatto è che, in un determinato momento di crisi mondiale, lo Stato cubano si rende conto che ci sono più di cinquecentomila persone che lavorano, ricevono un salario ma che non producono e nessuno Stato può sostenere questa situazione; ma uno Stato socialista non può lasciare cinquecentomila persone senza lavoro. Quindi, in quel momento, si è deciso di permettere che questi compagni potessero lavorare per conto proprio; ma questo, anche se lo si permetteva ad un numero importante di lavoratori, stava influendo sulla legge più importante del paese perché non era previsto nella Costituzione. Per questo c’è stato questo cambiamento, perché potessero farlo senza problemi.
Dopo l’Argentina e il Brasile, con le destre che vanno al potere, che problemi ha Cuba con questi paesi? Già i medici che lavoravano in Brasile sono dovuti tornare. Altre cose?
Dal punto di vista economico naturalmente ci sono problemi, perché noi avevamo con la presidente Dilma (Roussef, n.d.t.) una magnifica relazione, non con lei direttamente ma con industriali brasiliani. Ora alcuni di loro dovranno ritirarsi a causa delle pressioni che subiranno. Non sappiamo come funzionerà questo tipo di interscambio, perché loro hanno investito capitali, ad esempio nel porto di Mariel, dove lavorano varie imprese brasiliane. È difficile che si ritirino senza recuperare i loro capitali. Davvero, non sappiamo come agiranno, ma quello che per noi è chiaro è che chi ha investimenti a Cuba sa che i profitti sono diretti al popolo e che la nostra legge va rispettata. Quindi questo è un problema di chi vuole andarsene, ma l’in-
Ultima domanda: perché gli strati popolari, gli strati più poveri, in America Latina ma non solo – anche qui – votano per le destre? Errori delle sinistre?
vestimento resta. Non so, dal punto di vista economico non sappiamo cosa decideranno ma in generale noi abbiamo relazioni con imprese indipendenti, alcune statali ma non tutte. Ci possono essere comunque rapporti che proseguono, ma al momento non è stata presa alcuna decisione.
perché è evidente che il blocco colpisce. In questo momento, bisogna considerare che Obama ha imposto sanzioni finanziarie straordinarie alle imprese europee che commerciavano con Cuba: alcune hanno resistito, altre no. Dipende dagli europei, noi siamo sempre qui.
Cuba e l’Europa: come sono i rapporti?
Altra domanda: Cuba è un riferimento per tutti i comunisti, i rivoluzionari del mondo. Il Partito Comunista non ha mai pensato di fare una “specie” di Internazionale? Perché?
L’Unione Europea ha sempre voluto discutere dei diritti umani a Cuba e di molte altre cose ma ora abbiamo buoni rapporti, non con la Comunità come istituzione, neanche con gli Stati in quanti tali, ma con società come la Melià, che è una società turistica spagnola che a Cuba ha 11 hotels. Abbiamo con loro una relazione da molto tempo, da prima che la Comunità Europea pensasse di fare qualcosa loro c’erano già. Io immagino che resteranno a Cuba perché, se prima hanno subito pressioni e sono rimasti, ora continueranno a farlo perché hanno molti più hotel di prima, no?! Dipende dalle imprese europee, da come metteranno in discussione il problema del blocco,
Noi partecipiamo a tutti gli eventi internazionali come Partito, andiamo a vari congressi di diversi partiti di varie parti del mondo e in questo ci comportiamo come qualsiasi Partito Comunista. Ora, non crediamo di dover fare qualcosa di “internazionale”. Abbiamo partecipato al Foro di San Paolo che si è svolto all’Avana, e che è stato molto, molto positivo; facciamo congressi e abbiamo scambi con diverse entità politiche, non solo comuniste, ma anche di sinistra in generale e finora abbiamo sempre lavorato abbastanza uni-
SOSTENETE “nuova unità” I nostri lettori si saranno accorti che è cambiata la carta del nostro giornale, qualche lavoratore scherzando ci ha anche detto che abbiamo “fatto soldi”, ovviamente non è così anzi. La crisi che colpisce il nostro paese ha colpito anche quei lavoratori stampatori che ci hanno sempre dato una mano e che oggi sono stati costretti a cercare un’altra occupazione o a rimanere disoccupati. Ai quali va tutta la nostra solidarietà e ringraziamento. Questo è il motivo del cambio della carta e il conseguente aumento dei costi per la realizzazione di “nuova unità”. Non una scelta, ma un obbligo per continuare a tenere presenti una posizione comunista. La tanto decantata democrazia borghese, la libertà di opinione e di stampa sono solo parole, la realtà è che sono diritti riservati solo per chi ha i soldi. Noi viviamo solo grazie al contributo dei compagni che sottoscrivono abbonamenti, che pagano il giornale e lo diffondono, senza aiuti di nessuno altro. Il giornale è scritto da proletari per i proletari, non da professionisti. Non sempre “accontentiamo” tutti, ma pensiamo di dare uno spaccato della lotta di classe utile alla prospettiva rivoluzionaria del nostro paese. Per questo ci rivolgiamo a chi come noi lavoratori, disoccupati, pensionati o studenti soffre delle pessime condizioni di vita e di lavoro cui ci costringono a vivere. Per noi il costo di un abbonamento di 26 euro è tanta roba e vale molto di più del suo valore intrinseco, ma per programmare le uscite del prossimo anno dobbiamo chiedervi di fare un ulteriore sacrificio, tra i tanti che facciamo, a sostegno della nostra e vostra causa: quella della costruzione di una società comunista nel nostro paese. La redazione
Questo ha a che vedere con il NON riconoscimento della sinistra, perché tu puoi esistere come partito, avere brillanti intellettuali che siano capaci di parlare, di discutere, ma se il popolo non ”tocca” l’impegno, l’unica cosa in cui finisce per credere è… la religione. Il popolo ha bisogno di “toccare con mano”; ad esempio è come quando il medico parla di quello che io sto vivendo… altrimenti è molto difficile per la gente credere. Se chiudono una fabbrica, dov’è il partito comunista, dov’è la gente di sinistra? Deve stare là, appoggiare i lavoratori, resistendo fino all’ultimo minuto con i lavoratori. Se tu non vedi questo, se non lo “tocchi”, questo partito per te non esiste. E c’è anche una campagna straordinaria contro i partiti di sinistra e a volte un piccolo errore si trasforma in un errore immenso perché la stampa lo presenta così e la gente, normalmente, crede nella propria stampa, anche se generalmente è molto male informata. E l’informazione con cui viviamo fa sì che la gente non si formi una coscienza politica. ----------------------------------------------------------------Aleida Guevara ha poi parlato del ‘bloqueo’ – che ormai sta per ‘compiere’ 60 anni - e delle conseguenze che patiscono i cittadini cubani sotto tutti gli aspetti. Blocco che, a prezzi attuali, ha provocato danni che il governo cubano stima in 134.499 milioni di dollari! Sarebbe troppo lungo esaminare in dettaglio tali conseguenze socio-economiche che il più crudele dei blocchi mai applicato ad una nazione ha avuto ed ha su Cuba e sulle sue possibilità di sviluppo. Vogliamo qui ricordarne solo un aspetto, per così dire paradossale: l’impero USA, patria e cuore del neoliberismo e della cosiddetta ‘globalizzazione’, applica a Cuba il principio di extra-territorialità. Tale principio, nel diritto internazionale, è concepito quale protezione per le sedi diplomatiche, le ambasciate, il loro personale, le forze armate straniere autorizzate, ecc. Ma per quanto riguarda Cuba non è così: i campi in cui si applica sono principalmente i seguenti: È proibito alle filiali di società nordamericane con sede in paesi terzi di avere qualsiasi tipo di transazione con società cubane; È proibito che società di paesi terzi esportino negli Stati Uniti prodotti di origine cubana o che contengano componenti di origine cubana; È proibito che società di paesi terzi vendano a Cuba beni o servizi la cui tecnologia contenga più del 10% di componenti statunitensi, anche se i suoi proprietari non lo sono; È proibita l’entrata nei porti statunitensi alle navi che trasportino merci da o verso Cuba, indipendentemente dal paese di immatricolazione dell’imbarcazione; È proibito a banche non statunitensi di aprire conti correnti in dollari a persone giuridiche o fisiche cubane o di effettuare transazioni finanziarie in tale moneta con entità o persone cubane; Vengono multati gli imprenditori di paesi terzi che facciano investimenti o affari con Cuba; ad essi – e ai loro familiari - viene negata la concessione del visto di entrata negli Stati Uniti. Tali imprenditori possono anche essere oggetto di azione penale nei tribunali USA in caso le loro operazioni riguardino richieste di cittadini statunitensi o nati a Cuba e che hanno successivamente ricevuto la cittadinanza statunitense. (fonte: internet@granma.cu) (intervista e traduzione di Daniela Trollio CIP “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni)
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rassegna stampa
Notizie in breve dal mondo dicembre 2018 Filadelfia, USA 7 dicembre
Berlino, Germania 20 dicembre
Compie oggi 90 anni Noam Chomsky, celeberrimo linguista, filosofo e politologo statunitense, scomodo ex professore di Linguistica e Filosofia del MIT (Massachusetts Institute of Technology di Cambridge) , attivista politico. Uno dei suoi ultimi articoli (novembre 2015) comincia così: “È ufficiale: Gli USA sono il più grande Stato terrorista del mondo e sono orgogliosi di esserlo”. Chomsky è noto, tra il grande pubblico, per le sue prese di posizione politiche. Il celebre intellettuale si è da sempre definito un socialista libertario, e ha duramente denunciato l’ingiustizia e la profonda immoralità su cui si fondano i sistemi di potere, sia statunitensi sia esteri, la strumentalizzazione della totalità dei mezzi d’informazione statunitensi, la politica imperialista e militarista dei governi statunitensi.
Nuovo scandalo nella polizia federale: sono stati sospesi 5 agenti di stanza a Francoforte, sospettati di essere neonazisti e di aver minacciato di morte l’avvocatessa turco/tedesca Seda Basay-Yildiz e sua figlia di 2 anni. I messaggi erano firmati “NSU 2.0”, un gruppo neonazista che tra il 2000 e il 2007 ha assassinato 9 emigranti e un’agente di polizia. L’avvocatessa minacciata aveva difeso una delle vittime uccise dal gruppo.
Striscia di Gaza, Palestina 21 dicembre
Soldati del regime israeliano hanno ucciso oggi altri 3 palestinesi, tra cui un minore – Muhamad Yayiuh di 16 anni - e ferito 20 persone durante le proteste settimanali nella Striscia di Gaza. Secondo fonti ufficiali palestinesi, il regime di occupazione ha ucciso almeno 220 palestinesi e ne ha feriti 22.000 dall’inizio delle Marce per il Ritorno, iniziate lo scorso 30 marzo.
Washington, USA 10 dicembre
Gli USA battono oggi il recordo di detenzione di migranti: 51.856 persone. Tra loro ci sono 25.172 membri di famiglie e 5.238 minori non accompagnati. Le cifre provengono dall’Ufficio delle Dogane e della Protezione delle Frontiere (CBP): la maggior parte di loro, secondo il CBP provengono da Honduras, Guatemala e El Salvador.
San Martìn, Argentina 12 dicembre
Pedro Muller e Héctor Sibila, due ex dirigenti della sede argentina della multinazionale statunitense Ford, sono stati condannati dal Tribunale Orale Federale rispettivamente a 10 e 12 anni di carcere per il sequestro e le torture inflitte a lavoratori della sede di General Pacheco durante la dittatura militare. Dovranno scontare la pena in carceri comuni. È la prima volta che la giustizia argentina condanna dirigenti di una multinazionale straniera come la Ford, non solo per la sua complicità nel piano sistematico di repressione della dittatura ma per la sua partecipazione diretta nel genocidio. Tomás Ojea Quintana, il difensore dei lavoratori colpiti, ha commentato: “Questo processo è stato contro gli individui. Il nostro prossimo obiettivo è la società Ford.”
Brasilia, Brasile 22 dicembre
Spagna 15 dicembre
In più di 200 città dello Stato i pensionati hanno manifestato questo sabato per chiedere pensioni dignitose, l’indicizzazione annuale e una pensione minima di 1.080 euro al mese. Nel manifesto di convocazione della protesta si legge. “Con il nostro lavoro e i nostri contributi abbiamo costruito il Sistema Pubblico Pensionistico e non lasceremo che ce lo strappino le banche, le assicurazioni e i fondi di investimento, con i loro piani per le pensioni private”. La lotta è partita da Bilbao, dove sono state programmate azioni ogni lunedì a cui hanno partecipato in media 20.000 persone. A Madrid la parola d’ordine è stata “Governi chi governi, le pensioni si difendono”e “Vecchi sì ma tonti no”. Manifestazioni anche a Barcellona, San Sebastian, Pamplona, Cordoba e Santander tra le altre città, e nelle Canarie e nelle Baleari.
Budapest, Ungheria 16 dicembre
Tel Aviv, Israele 14 dicembre
Centinaia di manifestanti sono scesi nelle strade di Tel Aviv (e lo stesso hanno fatto a Al-Quds/Gerusalemme) contro l’aumento dei prezzi, in particolare l’aumento delle tasse, annunciato dal governo. Tutti portavano gilet gialli. Il governo ha infatti annunciato un rialzo dell’8% dell’energia elettrica, del 4/5% del prezzo dell’acqua e del 2-4% dei generi alimentari. Nel comunicato delle organizzazioni che hanno indetto la manifestazione si legge: “Noi israeliani siamo stanchi di pagare il costo della corruzione e gli enormi profitti che gli imprenditori hanno fatto. Ne abbiamo abbastanza. È arrivato il momento di imparare dai francesi”.
Gran Bretagna, i marxisti-leninisti a Congresso Si è tenuto lo scorso settembre a Birmingham l’8° Congresso del PC di Gran Bretagna (m-l), sorto del 2004 e che negli ultimi tempi, con la Red Youth, ha avuto una crescita anche tra i giovani. Il CPGB-ML non prende parte alle elezioni, si impegna soprattutto nella controinformazione marxista e partecipa a movimenti di massa, in particolare contro le missioni militari all’estero in cui è coinvolta anche la Gran Bretagna. Il Congresso ha discusso mozioni su politica della casa e scolastica, diritti dei lavoratori, razzismo. In politica estera: sostegno al governo Maduro in Venezuela, solidarietà alla politica di pace della Corea del Nord; sulla Palestina, il sionismo è qualificato come “strumento razzista e anti-semita usato dall’imperialismo”. I n campo sindacale, giovani operai hanno riportato esperienze nei luoghi di lavoro e tra i disoccupati. Gli studenti si sono detti preoccupati per la selezione di classe e la cultura borghese, che si riflette negli studi gender. Il prof. Harpal Brar, fondatore e leader del partito, ha tenuto la relazione conclusiva e ha chiesto di essere liberato dall’incarico; al suo posto è stata eletta Ella Rule, storica e pubblicista.
Da giorni i lavoratori ungheresi stanno manifestando, in varie città, contro la riforma della legislazione sul lavoro approvata dal governo il 12 dicembre. Secondo tale nuova legislazione, i capitalisti potranno esigere che i dipendenti lavorino per 400 ore straordinarie all’anno (a fronte delle precedenti 250), che saranno pagate in 3 anni. I lavoratori definiscono questa riforma “legge schiavista” e chiedono l’aumento del salario minimo. Le manifestazioni sono iniziate il 14 dicembre a Budapest, quando 3.000 persone hanno manifestato davanti al Parlamento. Ci sono stati scontri con la polizia, che ha usato gas lacrimogeni; 50 manifestanti sono stati arrestati e circa 15 poliziotti sono stati feriti. Oggi in piazza c’erano più di 10.000 persone.
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nuova unità
nuova unità 7/2018
Michel Temer, presidente ancora in carica fino al 31 dicembre (quando verrà sostituito da Jair Bolsonaro) - che è andato al potere dopo un golpe di Stato “giudiziario” incolpando di corruzione la legittima presidentessa Dilma Rousseff - è stato denunciato dalla Procura Generale del Brasile per corruzione e lavaggio di denaro sporco. Le precedenti due denunce della polizia contro Temer – sempre per corruzione - erano state bloccate dalla Camera dei Deputati, l’unica autorizzata a dare il via alle indagini sul Capo di Stato.
Panamà, 20 dicembre
Un giorno come oggi, ma dell’anno 1989, il recentemente deceduto criminale di guerra George H.W. Bush ordinava l’attacco alla città di Panamà e l’arresto del presidente Manuel Noriega, successivamente imprigionato negli USA. Il sismografo dell’Università di Panamà registrò quel giorno 417 cadute di bombe nelle prime 14 ore dell’invasione. 66 caddero nei primi 4 minuti. Il Comando Sur nordamericano contò 314 soldati panamensi caduti, a fronte di 23 perdite nordamericane e nessuna vittima civile che, invece, secondo il Comitato per i Diritti Umani, furono 556. Tempo dopo l’ex procuratore generale degli USA Ramsey Clark affermò che le vittime civili erano circa un migliaio. I combattimenti – tra l’esercito più potente del mondo ed una forza militare infinitamente più debole e un popolo disarmato - durarono 42 giorni.
nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) anno XXVII n. 7/2018 - Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Emiliano, Michele Michelino, Fabrizio Poggi, Daniela Trollio abbonamento annuo Italia euro 26,00 abbonamento annuo sostenitore euro 104,00 abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20
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Chiuso in redazione: 20/12/2018
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