comma 20/B art. 2 Legge 662/96 filiale di Firenze
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Proletari di tutti i paesi unitevi!
nuova unità fondata nel 1964
Il potere politico moderno è solo un comitato che amministra gli affari comuni dell’intera classe borghese Karl Marx
Periodico comunista di politica e cultura n. 4/2018 - anno XXVII
Ma quale cambiamento?
Organizzarsi e rispondere alla politica fascista, razzista, demagogica, populista, imperialista che ricadrà, ancora una volta, sulla classe lavoratrice e sulle masse popolari Durante la campagna elettorale, in concorrenza su chi le sparava più grosse, oltre agli insulti, si sono sgolati per affermare: mai con Lega, mai con M5S. Poi hanno capito che per realizzare la loro sete di potere dovevano allearsi. A governo fatto eccoli genuflessi verso la Nato - per la quale non mettono in discussione l’alleanza, ma neppure i 70 milioni al giorno versati per l’appartenenza -, l’imperialismo Usa e... l’Europa. Non si esce più dall’unione - che è diventata “casa nostra”, l’euro ce lo teniamo. La legge Fornero - punto di forza della Lega pre elezioni si corregge, non si elimina più. Gli opinionisti giornalisti o politici giustificano i partiti del “cambiamento” con il fatto che erano promesse elettorali, ma ci rendiamo conto? In campagna elettorale sono ammesse promesse solo per conquistare voti che poi non saranno attuate? E gli elettori che li hanno votati pensando di uscire dalle politiche liberiste e di austerità, come considerano questo trasformismo? Ma il Presidente della Repubblica non poteva celebrare il 2 giugno senza la presenza del “nuovo governo” e allora, dopo la farsa Cottarelli, ecco la formazione in fretta e furia affidata allo stesso presidente del consiglio che aveva già rinunciato al primo incarico. Se il grande capitale, l’UE, la BCE, il FMI hanno spinto per un governo di larghe intese: PD-FI, i risultati elettorali e la sconfitta dei partiti riformisti e revisionisti hanno messo in crisi questo progetto e portato al governo i rappresentanti della piccola borghesia, delle piccole e medie imprese, dei commercianti, delle forze armate, del Vaticano. È un esecutivo che si basa sull’ordine - quello autoritario e militare dalla borghesia -, di smantellamento dei diritti dei lavoratori, sgravi fiscali, flat tax con l’inganno della parificazione tra ricchi e poveri (eppure Salvini nelle piazze ha sempre sostenuto che non vale la media di un pollo a testa perché qualcuno ne mangia due e qualcuno niente); ed elemosina ai disoccupati (che continuano a rimanere tali) che “rimetta” in moto l’economia, quella del consumismo. L’ambizioso Giuseppe Conte è il “garante” come sostiene lui stesso. Per noi è il fantoccio che deve applicare in modo pedissequo e schematico il “contratto” e le sue deroghe in corso d’opera in seguito alle decisioni e alle direttive di Di Maio e Salvini. Un professore che nel suo discorso di insediamento (l’avrà scritto lui?) si è dimenticato della scuola, ma anche della delicata situazione Ilva e di altre attività produttive in crisi. Il suo intervento è stata la sintesi del contratto - che non è di destra o di sinistra, ha sostenuto Conte sottolineando il “tramonto delle ideologie forti - stipulato tra Salvini e Di Maio per “il governo del cambiamento”. Contratto suddiviso in 30 punti, tra i quali spiccano: campi nomadi, rimpatri, sicurezza e legalità, aumento delle carceri, difesa sempre legittima, flat tax, banche per l’investimento. La scarsa efficienza del “servizio giustizia si sta rivelando un limite alla crescita economica e un deterrente nei confronti degli investitori stranieri”, ha detto Conte. Qualcuno gli comunichi che la maggioranza delle grandi attività produttive in Italia sono già in mano del capitale straniero: Barilla, Plasmon, Pack
sistem agli americani, Alitalia, Parmalat, Edison, Gucci, Loro Piana, Fendi, Pucci, Bulgari, Eridania, Ferrari casearia, Galbani, Scaldasole, Locatelli, BNL ai francesi; Algida ad una società anglo-olandese, Pernigotti ai turchi, Perugina, Antica gelateria del Corso, Buitoni, San Pellegrino agli svizzeri, Gancia ai russi, Carapelli, Sasso, Bertolli, Star, Fiorucci salumi, riso Scotti agli spagnoli, Peroni ai sudafricani, Chianti classico, Benelli ai cinesi, Del Verde alimentari agli argentini, Rigamonti, Safilo agli olandesi, Italpizza, Fiat avio, Eskigel agli inglesi, Invernizzi alla Germania, AR ai giapponesi, Casanova, La Ripintura a Hong Kong, Orzo bimbo a Novartis. Per non parlare dei gruppi nel campo trasporti, telecomunicazioni, elettrotecnica ed elettromeccanica. Persino il fiore all’occhiello di Modena: l’aceto balsamico è diventato britannico! Per il suo insediamento Conte si è speso molto per fare la lezione in risposta alle accuse di populismo, scomodando - peraltro a sproposito - Dostoevskij (molto critico sulla libertà borghese) - “Se populismo è l’attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente, se anti-sistema significa mirare a introdurre un nuovo sistema, che rimuova vecchi privilegi e incrostazioni di potere, ebbene queste forze politiche meritano entrambe queste qualificazioni”, ha detto. Secondo Conte dal contratto di governo emerge che l’attenzione ai bisogni dei cittadini è condotta nel segno alto della politica con la P maiuscola e qui, anche lui, tira la Costituzione come una coperta corta: “l’obiettivo è dare concreta attuazione ai valori fondanti della nostra Costituzione”. Fiato sprecato, quello di Conte, non è lusinghiero definirsi populisti anche perché il senso del populismo sarebbe intendere il popolo
come un modello, e non come “ascolto dei bisogni della gente”. Il termine populismo - derivato dall’inglese “populism”, a sua volta tradotto dal russo “narodničestvo” (“narod”, appunto, “popolo”), denomina un movimento nato nella Russia del XIX secolo nelle comunità rurali. Che ebbe tra i referenti principali: il pensiero hegeliano e correnti di cui l’ultimo rappresentante è stato Solzenicyn. Fu contrastato da Lenin in quanto movimento “soggettivista” produttore di disuguaglianze e costruttore di teorie astratte, nelle quali la realtà è sostituita da idee consolatorie (per approfondire: Nuovi spostamenti economici nella vita contadina). Molto sfumato il riferimento di Conte al mondo del lavoro (abolito il termine disoccupati), nessun riferimento al jobs act né alle morti - in continuo aumento - causate dallo sfrut-
tamento e dalla mancanza di sicurezza, ma l’invito alla delazione con l’impegno di “tutelare maggiormente coloro che, dal proprio luogo di lavoro – sia esso privato o pubblico –, denunceranno i comportamenti criminosi compiuti all’interno dei propri uffici”, ovvero come dividere il fronte dei lavoratori. E zero assoluto sulle delocalizzazioni e le chiusure (spesso di aziende straniere) che buttano sulla strada centinaia di migliaia di operai... altro che “prima gli italiani”! “Non siamo e non saremo mai razzisti”, ha urlato il presidente del Consiglio. “Un primo banco di prova del nuovo modo in cui vogliamo dialogare con i partner europei è certamente la disciplina dell’immigrazione”. Ci pare che il primo banco di prova sia stato il silenzio sull’omicidio del bracciante del Mali in Calabria e il tentativo di assassinare oltre 600 migranti in mare chiudendo i porti, peraltro utilizzati come propaganda di distrazione di massa. E, come cicliegina sulla torta, la strizzata d’occhio alla Meloni: “Saremo disponibili anche a valutare l’apporto di gruppi parlamentari che vorranno condividere il nostro cammino e, se del caso, aderire successivamente al contratto di governo, offrendo un apporto più stabile alla realizzazione del nostro programma”. Ebbene abbiamo aspettato qualche mese per avere un governo che vende fumo sul cambiamento, rappresentante della piccola e media borghesia, favorito dalle scelte socialdemocratiche del PD e dall’inganno pseudo riformista dei sindacati compiacenti verso i padroni e i loro comitati d’affari. Che peggiorerà le condizioni di lavoro e di vita del proletariato perché concentrerà nelle mani della minoranza sfruttatrice la ricchezza a danno della maggioranza dei lavoratori e delle masse popolari. E con il quale avanzerà la politica basata sulle idee fasciste, razziste, sul potenziamento degli apparati repressivi dello Stato e, quindi, di ulteriore limitazione delle stesse libertà borghesi, di fedeltà all’imperialismo, di attacco al comunismo e ai suoi valori. Ai comunisti spetta ancora il compito di aiutare a capire - a lavoratori, disoccupati, giovani (anche a coloro che si sono fidati e hanno votato Lega e M5S) - di quale cambiamento si tratta - e portare avanti l’unica politica che spezza le catene dello sfruttamento: quella dell’organizzazione basata sul socialismo scientifico.
La situazione della classe operaia in Italia nel 2018
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Migranti e rifugiati politici
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Ucraina. Il Donbass teme sempre più un attacco ucraino
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Cuba. Ieri, oggi e domani
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Palestina. Hanno ragione. Se non gli sparano, nessuno ascolta i palestinesi di Gaza
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lavoro
La situazione della classe operaia in Italia nel 2018 Se la lotta del movimento operaio, necessaria per difendersi dal capitale, non cambia i rapporti di forza rimane sempre sul terreno del padrone e le conquiste di oggi saranno rimangiate domani Michele Michelino Negli ultimi 25 anni la quota dei profitti sulla ricchezza nazionale è salita a dismisura, a scapito dei salari e delle pensioni, tagliandoli e riducendoli, dimostrando che la lotta di classe dei capitalisti continua e finora l’hanno vinta loro, sia in Italia e negli altri Paesi capitalisti. In Italia, negli ultimi vent’anni, il rapporto salari/Pil è diminuito del 7-8 per cento e questo significa di fatto che oltre 100 miliardi sono passati “dai salari al profitto e alle rendite”. L’aumento dello sfruttamento degli operai e dei proletari occupati comporta anche un peggioramento della condizione dei cosiddetti “lavoratori poveri”, più di otto milioni, ai quali si sommano molti degli oltre quattro milioni di “poveri assoluti” (in forte aumento, oggi al 7,6 per cento rispetto al 6,8 per cento del 2014). L’8% del Pil di oggi è uguale a circa 120 miliardi di euro e se i rapporti di forza fra capitale e lavoro fossero ancora quelli di vent’anni fa, oggi quei soldi sarebbero nelle tasche dei lavoratori, invece che in quelle dei capitalisti. Per i 23 milioni di lavoratori italiani, vorrebbe dire 5 mila 200 euro in più, in media, all’anno, se consideriamo anche gli autonomi (professionisti, commercianti, artigiani) che, in realtà, stanno un po’ di qui, un po’ di là. Se consideriamo solo i 17 milioni di dipendenti, vuol dire 7 mila euro tonde in più in busta paga. Altro che flat tax e taglio delle aliquote con l’Irpef che avvantaggiano ancora una volta solo i ricchi attraverso la rapina dei poveri. La civiltà di un paese si misura da come è trattato chi produce la ricchezza del paese. La condizione della classe operaia è la base e il punto di partenza per verificare il grado di progresso e di civiltà di una nazione.Secondo il Trades Union Congress (TUC) - che ha analizzato i dati dell’OCSE e ha fatto una previsione della crescita dei salari nelle economie sviluppate nel corso del 2018 – in Italia è prevista una decrescita dei salari, in particolare del salario reale, ossia la quantità di beni e servizi che il lavoratore può acquistare con il suo salario o stipendio, cioè il suo potere d’acquisto. Il salario reale si calcola tramite il rapporto tra il salario nominale (ovvero la quantità di moneta ricevuta come stipendio) e l’inflazione. La TUC, la confederazione che unisce i sindacati del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (in inglese: United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland; abbreviato in UK), ha messo in risalto la situazione difficile del mercato del lavoro dell’UK da diversi anni, chiedendo che con l’accordo Brexit siano trovate delle soluzioni per incrementare l’occupazione e i salari. Dai dati si evidenzia che, mentre per i lavoratori dei Paesi dell’Europa orientale – come Ungheria, Lettonia e Polonia si prevede una crescita dei salari rispettivamente del 4,9%, del 4,1% e del 3,8%, l’Italia in questa classifica si trova nella penultima posizione, precedendo appunto il solo Regno Unito. Inoltre in Italia, insieme all’UK e alla Spagna, è previsto un calo degli stipendi nel 2018 (vedi tabella).
Il calo dei salari
Gli apologeti del capitalismo cercano di nascondere la brutalità del sistema di produzione capitalista ingigantendo gli aspetti positivi e nascondendo le conseguenze negative sulla classe operaia e proletaria che lo sviluppo del capitalismo comporta. La rivoluzione
(fonte archivi Banca dati statistica INAIL) sia a seguito dell’entrata in vigore delle nuove tabelle (D.M. 9 aprile 2008) che, classificando come “tabellate” molte patologie (in particolare quelle dell’apparato muscolo-scheletrico da sovraccarico bio-meccanico e movimenti ripetuti) prima “non tabellate”, hanno in pratica esonerato il lavoratore dall’onere della prova dell’origine lavorativa di queste malattie, incentivando così il ricorso alla tutela assicurativa. Il record di denunce spetta alle malattie osteo-articolari e muscolotendinee, dovute prevalentemente a sovraccarico bio-meccanico, rappresentanti ormai, circa il 60% del complesso. Tra queste, in particolare, spiccano le affezioni dei dischi intervertebrali e le tendiniti, patologie più che raddoppiate negli ultimi 5 anni. Seguono, principalmente, l’ipoacusia da rumore, le malattie da asbesto (amianto) (asbestosi, neoplasie e placche pleuriche) per oltre 4 mila casi l’anno (in crescita) e le malattie respiratorie (circa 2 mila l’anno, escludendo quelle correlate all’asbesto). In realtà, come sanno bene i lavoratori, anche i dati INAIL sulle malattie professionali sono molto sottostimati, perché essendo l’INAIL l’ente che deve accertare la malattia e anche quello che deve risarcirlo ha tutto l’interesse a non riconoscerle, costringendo i lavoratori a lunghe e costose cause in Tribunale come sanno bene gli ex lavoratori esposti amianto e tutti quelli che si sono ammalati per cause professionali.
industriale, con la proprietà privata dei mezzi di produzione in mano ai borghesi e la ricerca del massimo profitto, comporta un peggioramento continuo della condizione sociale dei lavoratori che le lotte sindacali ed economiche possono solo cercare di arginare.
Morti sul lavoro e di sfruttamento per il profitto In Italia molte grandi fabbriche sono state chiuse, scomparse, delocalizzate in tutto il mondo, in particolare nei paesi dell’Est, in Russia, Cina, Africa, Asia, o in America, lasciando nelle ex aree industriali italiane una scia di morti, invalidi, malati, terreni inquinati che faranno ammalare in futuro, se non bonificati, altre generazioni. Nelle città industriali, come ad esempio Taranto, Monfalcone, Genova, Mantova, La Spezia, o ex industriali come Casale Monferrato, Broni, Sesto San Giovanni, Milano, Brescia, Trieste, Priolo e molte altre, solo per citare alcune di quelle passate alla cronaca per i morti d’amianto e gli inquinamenti ambientali, la mortalità causata da malattie professionali è da 4 a 10 volte superiore a quella nella campagna circostante, e la percentuale della mortalità circa 10 volte più alta. Gli infortuni mortali sul lavoro in questi anni sono aumentati anche se sono diminuiti i lavoratori occupati. Nel 2017 ci sono stati 1.350 morti sul lavoro e in itinere (dati dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro). Leggermente minori sono i dati diffusi dall’INAIL che dichiara in 1.029 i morti sul lavoro fra i suoi assicurati, (ricordiamo che questi dati non conteggiano i circa 3 milioni e mezzo di lavoratori
in nero e quelle categorie di lavoratori non soggetti ad assicurazione Inail). Per quanto riguarda il 2018, dai dati Inail si rileva che solo nei primi mesi dell’anno (fino al 28 maggio) ci sono stati 286 morti sul lavoro in Italia, 24 in più del 2017, in crescita del 9,2%; un vero bollettino di guerra, cui vanno aggiunte decine di migliaia di morti ogni anno a causa delle malattie professionali (solo per amianto più di 4mila).
Dati statistici su infortuni e malattie professionali
La mappa del Ministero della Salute Dati più che preoccupanti arrivano direttamente dalla mappa del Ministero della Salute: in Italia esistono ben 44 aree inquinate oltre ogni limite di legge, in cui l’incidenza di tumori sta aumentando statisticamente a dismisura. Nelle zone maggiormente contaminate, le malattie tumorali sono aumentate anche del 90% in soli 10 anni. Agli impressionanti dati del Ministero della Salute si aggiungono quelli di
“Mal’Aria di Città 2016”, pubblicato da Legambiente, da cui si evince che l’inquinamento in Italia uccide quasi 60 mila cittadini residenti in Italia e costa alle casse dello Stato (quindi a tutti noi) almeno 47 miliardi di euro. Basti pensare che nel 2015 in 48 capoluoghi di provincia più della metà del totale hanno superato i limiti di legge delle concentrazioni di Pm10 misurate dalle centraline, fissati in 50 microgrammi per metro cubo per più di 35 giorni. Si tratta del numero massimo di superamenti consentiti dalla legge in un anno. Secondo dati del 2016 l’incrocio di mortalità, incidenza oncologica e ricoveri fa emergere dati sempre più drammatici. A Taranto l’eccesso di tumori alla tiroide, in dieci anni è aumentato di +58% tra gli uomini e +20% tra le donne. In altre parti del paese la popolazione aspetta da decenni una bonifica che non arriva mai e nei pochi casi in cui avviene assume la forma di speculazione politica ed economica. La mortalità è in continuo aumento a causa dell’inquinamento industriale; ma non solo, in molte zone del paese, a cominciare dalla valle dei fuochi in Campania, o in Piemonte grazie allo scavo della TAV. Ormai in molte zone del paese, in particolare Sardegna e Sicilia, si assiste anche ad un altro inquinamento: quello bellico e militare, dove l’incidenza oncologica, in particolare cancro della tiroide, tumore alla mammella e mesotelioma sono in aumento, e dove il tasso di mortalità generale è significativamente più alto rispetto alla media nazionale. Ma la mappa riporta molti altri esempi.
I comuni di Cologno Monzese e Sesto San Giovanni Esaminando i dati del Ministero della Salute si vede che ad esempio per i Comuni di Cologno Monzese e Sesto San Giovanni, il “ Decreto di perimetrazione dei Siti di Interesse nazionale” (SIN) elenca la presenza delle seguenti tipologie di impianti: impianti chimici, petrolchimico, raffineria, metallurgia, elettrometallurgia, meccanica, produ-
Mentre l’infortunio deriva da una causa violenta che si verifica in modo immediato, istantaneo e in modo traumatico rispetto alla salute del lavoratore (la c.d. causa violenta), la malattia professionale è prodotta o deriva da una causa lenta che si sviluppa nel tempo per l’esposizione ad un fattore di rischio presente sul posto di lavoro. La malattia professionale (spesso definita anche “tecnopatia”) è una patologia che il lavoratore contrae in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa, dovuta all’esposizione nel tempo a fattori presenti nell’ambiente e nei luoghi in cui opera (polveri e sostanze chimiche nocive, rumore, vibrazioni, radiazioni, misure organizzative che agiscono negativamente sulla salute). Le malattie professionali previste dall’INAIL sono di due tipi: quelle TABELLATE e quelle di ORIGINE PROFESSIONALE PRESUNTA in cui l’onere della prova è a carico del lavoratore. L’andamento delle malattie professionali negli ultimi anni ha registrato, in tutte le aree del Paese, una crescita molto sostenuta: le denunce di malattia professionale sono passate da 26.745 del 2006 a 42.397 nel 2010
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attualità
Migranti e rifugiati politici
Gli operai, i proletari, sono una classe internazionale con gli stessi interessi. Schiavi nel sistema capitalista-imperialista che devono lottare per la propria liberazione dalle catene e dallo sfruttamento Michele Michelino Sulla pelle dei migranti è in atto una campagna che ha fatto la fortuna elettorale di diversi partiti, dalla Lega di Salvini al M5 Stelle Di Maio e Grillo, ma questo è un tema abbastanza traversale che accumuna anche partiti di centrosinistra, a cominciare dal PD. La caccia e il disprezzo razzista verso lo “straniero” fanno ormai parte del pensiero dominante di un popolo – il nostro - che ha dimenticato che milioni di suoi fratelli, connazionali, sono stati costretti a spargersi per il mondo quando gli stranieri eravamo noi. Chi si scrive non ha mai dimenticato i racconti del padre e dei suoi amici e compagni, meridionali venuti al nord in cerca di lavoro e in seguito, per mancanza di lavoro, trasferitisi in Germania. Più volte ho ascoltato di nascosto i racconti di mio padre che, quando tornava a casa, diceva a mia madre che gli italiani, al pari di altri lavoratori, turchi, spagnoli ecc., erano costretti a emigrare per guadagnarsi il pane, erano considerati esseri umani di serie b. In Germania questi lavoratori vivevano in baracche e quelli che non avevano il permesso di lavoro erano “clandestini” e spesso quando al sabato sera si ritrovavano fra compaesani e tra alcuni scoppiava qualche zuffa inevitabile quando si è lontani da casa e il sabato sera è l’unica occasione di svago - tutti gli italiani venivano identificati come mafiosi e attaccabrighe e per questo era impedito loro di entrare in alcuni bar o caffè dove campeggiava la scritta “vietato l’ingresso ai cani e agli italiani”. Quando arrivavano negli Stati Uniti erano tenuti in quarantena. Anche nella Repubblica Italiana nata dalla Resistenza la divisione fra il nord e sud dell’Italia non si è mai sanata e allora era ancora più evidente. Le fabbriche del “miracolo economico” di Milano e di Torino reclutavano manodopera dal sud e dal Veneto, costringendo al trasferimento coatto decine di miglia di persone senza fornirgli adeguati servizi. Quelli erano gli anni in cui a Torino e Milano nelle portinerie dei palazzi
erano affissi cartelli con la scritta “qui non si affittano case ai meridionali” costringendo molti lavoratori a dormire nelle macchine dismesse o ad occupare le case sfitte o appena costruite (come succede oggi agli esseri umani chiamati “extracomunitari”). I loro figli erano chiamati “i fiò del terùn” (i figli dei terroni). I paesi occidentali, capitalisti, l’imperialismo - compreso quello italiano - prima depredano le risorse, le materie prime con le guerre di rapina, distruggendo le risorse locali dei paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina costringendo milioni di esseri umani a fuggire dalle guerre e dalla fame e poi, ipocritamente, davanti agli esodi di massa parlano di invasione e mobilitano gli eserciti, la polizia alle frontiere, fino alla chiusura dei porti. La penetrazione economica delle economie imperialiste in paesi sovrani distrugge le economie locali, costringe alla fame e alla sete milioni di persone nel mondo provocando nuove forme di schiavitù. L’ultimo esempio del respingimento della nave Aquarius dai porti italiani attuato dal governo giallo-verde di leghisti e 5 Stelle, è l’esempio lampante dell’ipocrisia dei difensori dei “valori cristiani” e chi, come il Ministro dell’Interno Salvini, ha fatto la campagna elettorale e i comizi ostentando il rosario in mano. Che cosa sarebbe successo se invece di migranti sulla nave Aquarius al posto di 629 profughi a bordo, ci fossero stati degli animali in quelle pessime condizioni? Sarebbero stati considerati animali “clandestini” da abbattere o da salvare? I benpensanti di tutti gli schieramenti politici sarebbero insorti. La maggioranza della popolazione sarebbe insorta indignata; in primis i due vice primi ministri a caccia di voti e consensi per le prossime tornate elettorali. In realtà, come dimostra il grafico che riportiamo, l’Italia è il paese che ha meno rifugiati in Europa. E ancora, la proposta del Ministro dell’Interno Salvini di schedare i Rom (dimenticandosi della Costituzione italiana e che i numerosi nomadi che vivono nei campi di cittadinanza italia-
zione energia, area portuale e discariche, che provocano un eccesso per tutti i tumori in particolare per le malattie dell’apparato respiratorio e digerente per uomini e donne. Inoltre sono presenti malattie circolatorie, malattie respiratorie e dell’apparato genitourinario, mentre i tumori del polmone e della pleura sono in eccesso sia tra uomini sia tra le donne”.
Nei comuni di La Spezia e Lerici Il “Decreto di perimetrazione” del SIN elenca la presenza delle seguenti tipologie di impianti: chimico e discarica di rifiuti urbani e speciali. Tra gli uomini si è osservato un eccesso della mortalità per le cause tumorali e per le malattie dell’apparato digerente. Tra le donne si è osservato un eccesso di mortalità
na al pari di Salvini) è in continuità con le leggi razziali dei regimi nazisti e fascisti. L’ipocrisia dei razzisti del governo gialloverde del “cambiamento”, in particolare del Ministro dell’interno, nasconde la realtà - quella di essere forte con i deboli e servi dei poteri forti - che a parole dicono di voler combattere. I difensori del libero mercato che rivendicano la libera circolazione delle merci e dei capitali, la sovranità nazionale prima di tutto, si inchinano ai capitalisti di ogni colore, ai ricchi, al capitale internazionale e transazionale, mentre trattano gli esseri umani poveri peggio degli animali. Con la parola d’ordine “prima gli italiani” la Lega - ma anche il movimento 5Stelle - hanno fatto il pieno dell’elettorato piccolo borghese e, in mancanza di un’organizzazione che rappresenti gli interessi immediati e storici della classe operaia e proletaria, hanno raccolto consensi e voti anche fra gli sfruttati, illusi di poter mantenere i loro “miserabili privilegi” (così oggi vengono definiti dai borghesi i diritti conquistati con le lotte
per le malattie dell’apparato circolatorio e per le malattie dell’apparato digerente. Inoltre, l’eccesso di mortalità per tumore dello stomaco osservato tra gli uomini può essere riconducibile a una “esposizione occupazionale». Il Decreto del SIN rileva inoltre “la presenza di una raffineria, un impianto siderurgico, un’area portuale e di discariche di RSU con siti abusivi di rifiuti di varia provenienza. Il lungo elenco di malattie comprende: eccesso tra il 10% e il 15% nella mortalità generale e per tutti i tumori in entrambi i generi; eccesso di circa il 30% nella mortalità per tumore del polmone, per entrambi i generi; eccesso, in entrambi i generi, dei decessi per tumore della pleura, che permane; eccesso compreso tra il 50% (uomini) e il 40% (donne) di decessi per malattie respiratorie acute; associato a un aumento di circa il 10%
operaie che oggi stanno smantellando), convinti che i migranti siano la causa del peggioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro. In realtà il nemico degli italiani è in casa loro e non sono gli immigrati che arrivano con i barconi. Sono i padroni, i borghesi che sfruttano la forza lavoro al di là del colore della pelle, e che attraverso la concorrenza fra proletari abbassano a tutti il salario e creano un enorme esercito di riserva. Il governo del “cambiamento” si esprime a parole contro l’Europa e i poteri forti, rivendica la sovranità nazionale nei servizi TV, ma si genuflette davanti all’imperialismo europeo, e in particolare quello americano: il governo continua a pagare oltre 80 milioni di euro al giorno per appartenere alla NATO, oltre alle spese per le missioni dei militari italiani impegnati nelle guerre di rapina nel mondo e per il continuo riarmo. I sostenitori dello slogan “padroni a casa nostra” accettano senza discutere la servitù militare cedendo, come già i precedenti governi borghesi che governano nell’interesse dei pa-
nella mortalità per tutte le malattie dell’apparato respiratorio; eccesso di circa il 15% tra gli uomini e 40% nelle donne della mortalità per malattie dell’apparato digerente; incremento di circa il 5% dei decessi per malattie del sistema circolatorio soprattutto tra gli uomini; quest’ultimo è ascrivibile a un eccesso di mortalità per malattie ischemiche del cuore, che permane, anche tra le donne un eccesso per la mortalità per condizioni morbose di origine perinatale (0-1 anno), con evidenza limitata di associazione con la residenza in prossimità di raffinerie/poli petrolchimici e discariche, e un eccesso di circa il 15% per la mortalità legata alle malformazioni congenite, che non consente però di escludere l’assenza di rischio”. Facendo un raffronto con il passato, esaminando sia i salari dei lavoratori
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droni, molte parti del territorio dello Stato italiano a uno Stato estero (USA) e alla Nato, mantenendo e accollandosi i costi delle 120 basi dichiarate, ufficialmente, oltre a 20 basi militari Usa totalmente segrete e ad un numero variabile (al momento sono una sessantina) d’insediamenti militari o semplicemente residenziali con la presenza di militari USA, senza sapere dove siano ubicate le armi, anche se è risaputo che molte basi sono provviste di atomiche “tattiche” tanto da far considerare l’Italia la più importante portaerei USA del Mediterraneo. In Italia ci sono oltre 100 miliardi di evasione fiscale, altri 100 miliardi si calcola siano le spese per la burocrazia, altrettante sono il costo della corruzione. Milioni di persone sono senza lavoro e senza pensione, ma Salvini - scaricando la colpa di tutti i mali sui migranti - dichiara che la “festa è finita” e definisce “crociere” l’attraversamento del mare su barconi fatiscenti, fa la guerra ai migranti - badate bene non ai padroni che li sfruttano per pochi euro nella raccolta degli ortaggi e della frutta - ma alle ONLUS e alle cooperative solidali, riducendo la spesa per la solidarietà (che in massima parte proviene dal fondo europeo): secondo il Ministro dell’In-
terno oggi la spesa di 5 miliardi per i migranti è insostenibile. Dividere i lavoratori in base al colore della pelle, alla nazionalità, mettendoli in concorrenza fra di loro è utile solo ai padroni e ai loro governi. Gli operai nel sistema capitalista non hanno patria, ma sono solo forza lavoro al servizio del capitale, da sfruttare quando l’industria tira e licenziare quando non servono più a valorizzare il capitale o perché lo spostano all’estero sfruttando altra manodopera. Gli operai, i proletari, sono una classe internazionale con gli stessi interessi. Schiavi nel sistema capitalista che lottano per la loro liberazione dalle catene e dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo per loro e per tutta l’umanità. Parafrasando Salvini anche noi diciamo che il nemico è in casa nostra ma non sono i migranti economici o i rifugiati politici, sono i padroni e i loro governi (oggi gialloverde). Nella nostra lotta di resistenza, per il potere operaio e il socialismo contro l’imperialismo mondiale cominciamo a combattere prima i padroni italiani e i loro governi. Sulle nostre bandiere riscriviamo il motto: Proletari di tutto il mondo uniamoci.
La perla Durante la trasmissione de La7, “Tagadà”, la conduttrice lancia un gioco ai presenti per indovinare l’identità di un ministro attraverso alcuni elementi. Il senatore Pd Franco Mirabelli dice è Toninelli. Il partecipante Siri della Lega insorge sostenendo che Toninelli non è ministro. Nello studio è calato un silenzio imbarazzante. Siri per tre volte ripete che non è ministro e cerca di pensare chi è alle infrastrutture, poi dopo una riflessione si lancia: “Ah, sì, Toninelli, scusa. Mi sono confuso, perché ho visto la divisa della Polizia e intendevo dire che Toninelli non era della Polizia, ma era carabiniere”. Dalla padella nella brace! Il problema è che Siri è sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti, proprio il ministero retto da Toninelli! Si può definire gaffe, incapacità o semplice idiota?
che le loro condizioni di vita si evidenzia come i lavoratori della “moderna” industria 4.0 non solo tendono ad avere redditi più bassi rispetto ai loro coetanei pre-industriali, ma anche che la qualità della vita in alcune zone addirittura peggiora rispetto ai lavoratori dell’800 che vivevano in ambienti più sani e piacevoli. Nel sistema capitalista-imperialista lo sfruttamento sempre più intensivo della forza-lavoro, il peggioramento della condizione operaia e proletaria è causato della proprietà privata dei mezzi di produzione finalizzata alla ricerca del massimo profitto, qualsiasi forma, più o meno sviluppata, esso possa assumere. Quanto più il capitale produttivo cresce, tanto più si estendono la divisione del lavoro e l’impiego delle macchine. Quanto più la divisione del lavoro e l’impiego
delle macchine si estendono, tanto più si estende la concorrenza fra gli operai, tanto più si contrae il loro salario. La lotta sindacale, economica, per quanto necessaria per difendersi dal capitale se non cambia i rapporti di forza rimane sempre sul terreno del padrone e le conquiste di oggi saranno rimangiate domani. Oggi serve un’organizzazione operaia, un partito operaio che dichiari apertamente i suoi obiettivi: il potere operaio, che lotti per la liberazione dallo sfruttamento capitalista, che rivendichi l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Obiettivi che possono realizzarsi solo distruggendo dalle fondamenta questo sistema, col rovesciamento di tutto l’ordinamento sociale finora esistente. È questo l’incubo delle classi dominanti. Proletari di tutti i paesi uniamoci.
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ucraina
Il Donbass teme sempre più un attacco ucraino
E mentre al festival di Cannes il “mondo libero” omaggiava l’ucraino Sergei Loznitsa, per il film “Donbass”, autentica beffa e ridicolizzazione delle milizie, civili continuavano a morire a Zajtsevo e a Gorlovka Fabrizio Poggi Che Kiev stia preparando qualcosa di grave nel Donbass sembra fuor di dubbio; da tempo si parla di un’offensiva su larga scala contro le milizie popolari. Quando i lettori di nuova unità vedranno questo numero del giornale, quello di cui scriviamo potrebbe essere già di molto invecchiato. Si ipotizza infatti che una grossa provocazione dei putschisti potrebbe verificarsi quando l’attenzione di tutti sarà concentrata sul mondiale di calcio in Russia. Dopo accuse e controaccuse, olandesi e malesi, su chi avrebbe abbattuto - la Russia oppure l’Ucraina - il Boeing civile malese sul Donbass nel luglio 2014, c’è addirittura chi ipotizza un ricatto di Washington a Kiev del tipo: preparate una provocazione in vista del mondiale, se no noi spifferiamo il nome del colpevole e, quindi, si teme che se da Washington partisse l’ordine, Porošenko potrebbe davvero lanciare un’offensiva. Soldati ucraini fatti prigionieri dalle milizie testimoniano che istruttori statunitensi, canadesi e polacchi insegnano loro tattiche di assalti a edifici e città. Insieme ad autoblindo, droni, sistemi radar e attrezzature, gli USA riforniscono le truppe ucraine di fucili pesanti da cecchino “Barrett M107A1” e razzi anticarro “Javelin”; nei soli primi mesi del 2018, Kiev avrebbe ricevuto armi ed equipaggiamenti per oltre 40 milioni di dollari da Stati Uniti, Lituania, Gran Bretagna e Canada. Ma, anche al di là del mondiale di calcio, l’offensiva ripresa da Kiev a inizio maggio, indica l’intenzione di forzare i tempi e sfiancare le milizie, in vista di qualcosa di più grosso. Il 7 giugno ne ha parlato anche Vladimir Putin ed è stata la prima volta, dopo tanto tempo, che dal Cremlino si è lanciato un avvertimento così preciso a Kiev. In diretta televisiva, rispondendo a una domanda sulla possibilità di un attacco ucraino durante i mondiali, Vladimir Putin ha detto: “Spero che non si arrivi a tale provocazione; ma se ciò accadrà, credo che le conseguenze per il regime statale ucraino nella sua totalità saranno molto serie”. Qualche effetto, almeno psicologico, la dichiarazione lo deve aver avuto, se Porošenko si è sentito in obbligo di telefonargli, il 9 giugno, mentre Putin era in riunione al vertice SCO (l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai) in Cina: dopotutto, anche le attività industriali e finanziarie che controlla in Russia hanno contribuito alle fortune di Petro Porosenko, valutate, a seconda delle classifiche mondiali, tra 0,8 e 1,5 miliardi di dollari. In precedenza, ne aveva parlato anche l’ex leader della DNR e oggi presidente dell’Unione dei volontari del Donbass, Aleksandr Borodaj, indicando nell’area di Želobok, a nordovest di Lugansk, una delle possibili direttrici dell’attacco ucraino. Le sue parole non hanno certo la risonanza mediatica di quelle di Putin, ma, data la sua conoscenza delle forze in campo, non è da sottovalutare la previsione secondo cui, se Kiev deciderà davvero una provocazione, ciò “potrebbe significare la fine dell’Ucraina”. Le milizie, ha detto Borodaj, dispongono di così tante riserve e potenza di fuoco da consentire di accerchiare gli attaccanti in una sacca come quella di Debaltsevo: il saliente in cui si consumò la più sonora sconfitta ucraina, nel febbraio 2015.
Preparativi ucraini d’attacco
Al momento di scrivere, la situazione si è già comunque di molto inasprita, rispetto anche solo a uno o due mesi fa. Qui, non possiamo far altro che riportare le ultime (per ora) notizie, con la speranza di non dover aggiornare l’elenco dei lutti sul successivo numero del giornale. Le fonti propagandistiche ucraine scrivono ogni giorno di “pesanti perdite inflitte ai terroristi” - come essi definiscono i miliziani – e, in effetti, non passa giorno che anche le agenzie della Novorossija non diano notizia di ufficiali e volontari delle milizie caduti sotto i colpi di cecchini e dei mortai pesanti, oltre ai civili che rimangono sotto le bombe. Da quasi due mesi sono sotto assedio Gorlovka e Debaltsevo, importanti snodi viari e ferroviari sulla direttrice che unisce Donetsk a Lugansk; le forze ucraine sono convinte che la conquista delle alture attorno a Gorlovka permetterà loro di stringere d’assedio la stessa Dontesk. Il 5 giugno, Novorosinform scriveva dell’assassinio, da parte ucraina,
di due dei tre miliziani della DNR fatti prigionieri pochi giorni prima a Zajtsevo, una decina di km a nord di Gorlovka. Il 3 giugno, oltre quaranta abitanti dei piccoli villaggi di Gladosovo e Travnevogo (tra Gorlovka e Zajtsevo, in una delle ex “zone grigie”, create per escludere i bombardamenti ucraini sulle aree civili lungo il fronte, ma poi via via occupate dai battaglioni neonazisti) sono stati cacciati dalle abitazioni: di sette di essi non si hanno più notizie; molte delle loro case sono state depredate dai soldati di Kiev e alcune incendiate. Kiev sta ricorrendo sempre più spesso a tali azioni terroristiche, tanto che si parla della nascita di gruppi partigiani tra la popolazione ormai estenuata, cui Kiev avrebbe risposto con la creazione di una cosiddetta “Brigata di difesa territoriale” per il rastrellamento dei civili, forte di cinquemila uomini tra militi nazisti e delinquenti comuni arruolati nelle galere di Dnepropetrovsk e Kharkov. Secondo il vice Presidente della missione OSCE, Aleksandr Hug, in tutto il mese di maggio sarebbero rimasti uccisi in Donbass 10 civili e altri 25 feriti. Ma la responsabile per i diritti umani nella DNR, Darja Morozova ha scritto che soltanto dal 18 al 25 maggio, nella sola DNR, si sarebbero contati 9 morti (sei miliziani e tre civili) e 17 feriti. Il 6 giugno, l’OSCE ha accertato la concentrazione di mezzi corazzati e artiglierie semoventi ucraine in punti del fronte vietati dagli accordi di Minsk: la cosa è stata confermata dalle immagini registrate da un drone ucraino abbattuto dalle milizie, in cui si vedono tali mezzi radunati addirittura in quartieri civili di Artëmovska e Kostantinovka. L’8 giugno, la missione OSCE è finita sotto il fuoco ucraino nell’area di Golubovskoe, nella LNR, mentre tentava di avvicinarsi al luogo in cui, il giorno precedente, un autobus di linea era stato bersagliato da lanciagranate e sei persone erano rimaste ferite. L’8 giugno, un civile è rimasto ferito da schegge di granata a Zajtsevo, mentre colpi di mortaio sono caduti sull’asilo infantile di Donetskij, nella LNR.
Piani dei golpisti e accordi internazionali Da parte ucraina, il Ministro degli interni golpista, Arsen Avakov, ha “ufficialmente” dichiarato morto il processo degli accordi di Minsk: come dire che ora Kiev si ritiene libera anche formalmente (di fatto, lo è stata sin dall’inizio, non avendo rispettato nessuna delle condizioni poste dagli accordi del febbraio 2015, a partire dal ritiro dal fronte delle artiglierie pesanti e dal riconoscimento di uno status speciale per il Donbass) di fare tutto ciò che vuole in Donbass. “La situazione attuale è quella di un conflitto congelato” ha detto Avakov il 7 giugno, contraddicendo direttamente quanto detto alla vigilia dal presidente golpista Petro Porošenko, secondo cui nel Donbass è in atto una “fase calda” della guerra e non un “conflitto congelato”. Avakov ha anche detto che “la riacquisizione del Donbass sarà tecnicamente piuttosto un’operazione di polizia” e si svolgerà secondo una larga azione di “filtraggio” tra coloro che non hanno “collaborato con le attuali autorità d’occupazione” e chi invece “si è macchiato del sangue di soldati ucraini”. Nonostante tutto, l’11 giugno si è regolarmente tenuto a Berlino il previsto incontro del “quartetto normanno” (Ministri degli esteri di Francia, Germania, Russia e Ucraina) a 16 mesi dall’ultima
riunione e il cui tema principale è stato l’introduzione di forze ONU in Donbass. Mosca è a favore dell’invio di forze ONU, a garanzia dell’incolumità degli osservatori OSCE, ma è assolutamente contraria alla posizione USA (ovviamente sostenuta da Kiev) di una missione “di pace” ONU che, di fatto, si trasformerebbe in “una sorta di Kommandantur militar-politica che prenderebbe il controllo dell’intero territorio delle Repubbliche popolari”: ciò porterebbe alla completa demolizione degli accordi di Minsk. Discussa, a Berlino, anche la questione dell’arretramento delle forze dalle “zone grigie” e l’inizio dello sminamento della regione. Informatori ucraini hanno rivelato alle milizie che l’agenzia privata anglo-americana “HALO Trust”, dietro la maschera dello sminamento, starebbe in realtà minando ampi settori delle “zone grigie” occupate dagli ucraini. In effetti, il 17 maggio tre militari canadesi erano rimasti uccisi e due americani feriti, dopo che il mezzo su cui viaggiavano era saltato su una mina nell’area di Avdeevka, nella DNR. È risaputo che i neonazisti di Pravyj Sektor, sono soliti vendere saporitamente ai comandi ucraini le mappe delle nuove aree minate, mentre lo scorso gennaio un alto funzionario ucraino avrebbe venduto alle milizie della LNR il programma NATO “United Multinational Preparation Group - Ukraine”, insieme all’elenco degli istruttori stranieri in Ucraina.
Terrorismo contro i civili
Come per il passato, oltre che con i bombardamenti sulle aree civili, Kiev cerca di spezzare la resistenza della popolazione con il blocco totale di alimenti, medicinali, pensioni, fonti di energia. Regolarmente, vengono colpite le stazioni di filtraggio dell’acqua potabile; il 5 giugno, tiri di mortaio su Avdeevka e Jasinovataja (sobborghi settentrionali di Donetsk) hanno colpito le linee dell’alta tensione, lasciando senza corrente la stazione di filtraggio della capitale della DNR, che fornisce l’acqua a 400.000 abitanti. A metà maggio, bombardamenti ucraini avevano messo fuori uso gli impianti di depurazione di Golmovska, a nord di Zajtsevo, fonte principale del sistema idrico che rifornisce Gorlovka ed era stata bombardata la stazione di filtraggio dell’acqua di Donetsk. A metà maggio, mentre al festival di Cannes il “mondo libero” omaggiava l’ucraino Sergei Loznitsa, per il film “Donbass”, autentica beffa e ridicolizzazione delle milizie, civili continuavano a morire a Zajtsevo e a Gorlovka. A nord di Donetsk, venivano colpiti i centri di Golmovska e Trudovskie e, più a sud, bersagliati Kominternovo, Leninskoe e Petrovskoe, nel tentativo di accerchiare la capitale della DNR. Nel villaggio di Troitskoe, una trentina di km a ovest di Alčevsk, nella LNR, padre, madre e figlio tredicenne sono rimasti sotto le macerie della propria abitazione, centrata da un ordigno ucraino. A fine aprile, due uomini erano rimasti uccisi e una donna ferita a Dokučaevsk. Da giugno, i quartieri occidentali di Donetsk sono quotidianamente sotto il fuoco di lanciagranate automatici. Ed è rimasta ignorata la testimonianza di un reduce delle Forze operative speciali (SSO) ucraine, tal Aleksandr Medinskij (rifugiato in Finlandia), su come, nell’estate 2015, le SSO avessero usato sostanze chimiche contro le milizie. Sulla notizia è ovviamente calato il silenzio, non trattandosi di uno “Stato canaglia” e non si è levato alcun coro
“di sdegno” dell’Occidente libero a chiedere la “necessaria risposta” a un governo dittatoriale che impiega armi proibite contro donne e bambini. Quanto la popolazione ucraina, pur stanca della guerra, ma sottoposta a quattro anni di martellamento ideologico neonazista e oltre venti anni di indottrinamento “indipendentista”, sia d’altra parte davvero propensa a riconoscere l’autodeterminazione del Donbass, è questione quantomeno controversa. I racconti di quanti, in questi ultimi anni, si sono rifugiati in Russia e anche delle persone con cui è stato possibile intrattenersi nel corso della Carovana antifascista organizzata a inizio maggio dalla Banda Bassotti nella LNR e nella DNR, parlano di una propaganda nazionalista che ha fatto breccia in larga parte della popolazione ucraina, portando a scontri aperti all’interno di nuclei familiari, amicizie troncate, tra chi vive da una parte e dall’atra del fronte, rotture irrevocabili anche tra parenti stretti. È questo il frutto del bombardamento psicologico golpista e dell’ideologia dell’odio sbandierata nelle strade ucraine, che è stata pubblicamente espressa dal console ucraino ad Amburgo, Vasilij Maruščinets, che ha esortato a uccidere ebrei, “sionisti”, “moskali” (dispregiativo ucraino per indicare i russi), ungheresi e polacchi, da cui liberare le “terre ucraine”, inserire la svastica sullo stemma nazionale e definire ariani gli ucraini.
Conclusioni (temporanee)
Il politologo Aleksandr Šatilov afferma che gli USA vorrebbero piegare Mosca all’introduzione di “caschi blu” non lungo la linea di contatto tra milizie e forze ucraine, bensì sul confine tra Donbass e Russia. Il risultato sarebbe che le Repubbliche popolari verrebbero di fatto tagliate fuori dagli aiuti russi, si arriverebbe alla capitolazione del Donbass e, sotto la maschera di forze di pace, la NATO avrebbe l’opportunità di portare truppe in Ucraina. Ma la Russia, dice Šatilov, “ha un atteggiamento attendista”, a metà strada tra i liberali che ignorano la questione e coloro che vorrebbero un’azione più decisa in favore del Donbass. “Se Kiev passerà all’offensiva” dice, “si dovrà reagire in qualche modo. Spero che la Russia non ostacoli le milizie se queste risponderanno più duramente ai bombardamenti”. È evidente che Kiev non ha alcuna intenzione di metter fine all’aggressione. Di fronte a una popolazione ucraina che i sondaggi indicano come sempre più stanca di un conflitto quadriennale, il golpista numero uno, Petro Porošenko, comincia a dar segni di nervosismo, consapevole che le presidenziali del 2019 potrebbero dare la vittoria a quel candidato che avanzi concrete proposte di uscita dal vicolo cieco in cui la junta ha cacciato il paese. E allora tenta il tutto per tutto per stroncare ora il Donbass. “Ci sono due varianti per la soluzione del conflitto” ha detto il 9 maggio il leader della DNR Alexander Zakharčenko; “la prima è la capitolazione dell’Ucraina e allora noi acquisiremo il territorio che consideriamo da sempre nostro” - DNR e LNR non controllano infatti la totalità delle regioni di Donetsk e di Lugansk – e la seconda variante è che a Kiev vadano al potere persone con cui si possano avviare colloqui”. Zakharčenko ha detto di essere pronto a esaminare la questione della missione ONU, alle condizioni presentate da Mosca alle Nazioni Unite lo scorso settembre: a garanzia cioè dell’incolumità degli osservatori OSCE e lungo la linea di demarcazione tra forze ucraine e milizie che, in alcuni punti del fronte, è di appena 20-30 metri. Dopo quattro anni di bombardamenti terroristici sulle aree civili che, secondo Kiev, dovevano spezzare il morale della popolazione e costringere le milizie alla resa, la gente del Donbass non si stanca di maledire i nuovi nazisti e di aver fiducia nella vittoria. Ce lo hanno detto i volti delle migliaia di persone che il 9 maggio, nell’anniversario della vittoria sul nazismo, sfilavano a Lugansk, gridando contro il fascismo di ieri e di oggi. Lo dicono le parole di quel volontario russo, intervistato insieme a miliziani tedeschi, francesi, colombiani, che alla domanda su quali motivazioni lo abbiano spinto nel Donbass, ha risposto: “Motivazioni?! Che razza di domanda! Il fascismo non è forse un motivo sufficiente?”.
nuova unità 4/2018 4
cuba
Ieri, oggi e domani Nel 57° anniversario della vittoria di Playa Giròn, Raùl Castro ha passato il testimone a Miguel Dìaz-Canel Bermùdez, un ingegnere figlio di un meccanico e di una maestra che diventa presidente dei Consigli di Stato e dei Ministri Daniela Trollio (*) Il 19 aprile scorso – “Anno 60 della Rivoluzione” - l’eroica (e non c’è alcuna retorica nel definirla in questo modo, ma un semplice riconoscimento della realtà storica) “generazione della Sierra” ha fatto un passo indietro e ha ceduto il posto ai rappresentanti della nuova generazione, quella nata dopo la Rivoluzione. Nel 57° anniversario della vittoria di Playa Giròn, Raùl Castro ha passato il testimone a Miguel Dìaz-Canel Bermùdez, un ingegnere figlio di un meccanico e di una maestra di Villa Clara, che diventa così presidente dei Consigli di Stato e dei Ministri. Il passaggio era già stato annunciato due anni fa, in chiusura del 7° congresso del Partito Comunista di Cuba, quando Raùl disse che la sua generazione avrebbe consegnato “ai nuovi alberi le bandiere della Rivoluzione e del Socialismo, senza il minimo accenno di tristezza o pessimismo, con l’orgoglio del dovere compiuto, convinta che sapranno continuare e ingrandire l’opera rivoluzionaria per cui diedero le energie migliori e la vita stessa generazioni di compatrioti”. E tale passaggio è già in atto da diversi anni, visto che il 77,4% dei membri del Consiglio di Stato è nato dopo il trionfo della Rivoluzione e l’età media dei membri dell’Assemblea Nazionale del Potere Popolare (il parlamento di Cuba) è di 48 anni. E già che ci siamo, qualche dato sull’Assemblea Nazionale del Potere Popolare. Il 53,22% dei suoi membri è donna, i neri e i mulatti sono il 40,66%, i laureati sono l’86%. I deputati che vivono e lavorano nei municipi (così si chiamano i comuni dell’isola) formano una maggioranza del 62,6%. Il nuovo Presidente spiega così questi numeri: “Se qualcuno volesse vedere Cuba in un insieme di cittadini, per la sua composizione di età, razziale, di genere e di occupazione, basterebbe che guardasse e studiasse l’integrazione della nostra Assemblea e la rappresentanza di donne, neri e mulatti, giova-
ni e persone della terza età che occupano incarichi decisionali nelle istanze superiori del governo quasi nella stessa proporzione con cui le statistiche definiscono la nazione”. Quale dei nostri paesi “democratici” può dire lo stesso? In queste brevi note, abbiamo scelto di fare ampie citazioni del discorso di Miguel Dìaz-Canel che, sicuramente, ha deluso molti di coloro che, come sempre, erano pronti a pronosticare la fine della Rivoluzione. Perché ogni volta che a Cuba si muove una foglia, schiere di leccapiedi – che non imparano mai – danno subito voce al desiderio più grande dell’imperialismo: che Cuba torni ad essere il cortile posteriore degli USA e la smetta di dimostrare che è possibile ribellarsi, che è possibile vincere, che è possibile - pur con enormi difficoltà, tentativi, errori - costruire quel sistema che chiamiamo socialismo, la negazione dell’esistente che sta portando, con immani sofferenze, l’umanità e il pianeta intero verso la catastrofe. Noi, che viviamo nei paesi capitalisti “democratici”, siamo abituati a non credere a quello che ci dicono i nostri “rappresentanti”. A Cuba non funziona in questo modo, per varie ragioni. Dice Dìaz-Canel a questo proposito: “Non sono qui a promettere nulla, come mai lo ha fatto la Rivoluzione in questi anni”. È vero, la Rivoluzione non ha mai mentito al suo popolo: chi ha memoria ricorderà che i cubani appresero che li aspettava un “periodo speciale in tempo di pace”, alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, non da una trasmissione televisiva o dai giornali ma direttamente da Fidel che, davanti a centinaia di migliaia di persone riunite nella Piazza della Rivoluzione, spiegò con estrema chiarezza i sacrifici cui Cuba avrebbe dovuto far
fronte. E continua: “Qui non c’è spazio per una transizione che rinneghi o distrugga l’eredità di tanti anni di lotta. A Cuba, per decisione del popolo, c’è solo da dare continuità all’opera, con l’unità delle generazioni nate e educate nella Rivoluzione e la generazione fondatrice, senza cadere davanti alle pressioni, senza paura e senza regredire, difendendo le nostre verità e le nostre ragioni, senza rinunciare alla sovranità, all’indipendenza, ai programmi di sviluppo... e ai nostri sogni”. “In questa legislatura non ci sarà spazio per quelli
valori in cui crediamo al prezzo di qualsiasi sacrificio; con modestia, disinteresse, altruismo, solidarietà ed eroismo; lottando con audacia, intelligenza e realismo. Impegnati nel non mentire mai né violare i principi etici e con la profonda convinzione, che ci ha trasmesso Fidel con il suo concetto di Rivoluzione, che non esiste forza al mondo capace di schiacciare la forza della verità e delle idee. E non dimentichiamo neanche per un attimo che la Rivoluzione è unità, indipendenza, è lottare per i nostri sogni di giustizia per Cuba e per il mondo, che è la
che aspirano ad una restaurazione capitalista; questa legislatura difenderà la Rivoluzione e continuerà il perfezionamento del Socialismo”. E non si ferma qui: “A quelli che per ignoranza o malafede dubitano dell’impegno delle generazioni che oggi assumono nuove responsabilità nello Stato cubano, abbiamo il dovere di dire con chiarezza che la Rivoluzione continua e continuerà (ad essere) viva, con senso del momento storico, cambiando tutto quello che deve essere cambiato; emancipandoci da noi stessi e con i nostri sforzi; sfidando poderose forze dominanti all’interno e fuori dell’ambito sociale e internazionale; difendendo i
base del nostro patriottismo, del nostro socialismo e del nostro internazionalismo”. Se la Rivoluzione cubana ha resistito per tutti questi anni – all’imperialismo in armi, all’aggressione economica, politica, mediatica, persino alla natura che ogni anno la castiga con cicloni e inondazioni – questo si deve alla decisione del suo popolo di non essere più schiavo, alla sua capacità di sognare e di agire conseguentemente. Il nuovo presidente lo esprime così: “Nessun paese ha resistito per tanti anni senza arrendersi all’assedio economico, commerciale, militare, politico e mediatico che Cuba ha affrontato. Ma non c’è miracolo in
questa prodezza. C’è, in primo luogo, una Rivoluzione autentica che è emersa dalle viscere del popolo, una direzione conseguente che mai si è posta al di sopra di questo popolo ma al suo fronte nelle ore di maggior pericolo e rischio ed un esercito nato in mezzo ai monti con e per i popoli della terra, il cui valore e la cui perizia trascendono le nostre frontiere e che si è dimostrato tanto coraggioso nella guerra quanto creativo in pace. Cioè necessità, originalità, immaginazione, coraggio, o ‘creazione eroica’ secondo Mariàtegui” (il grande pensatore marxista peruviano, secondo cui “il socialismo latinoamericano non dovrà essere né calco né copia: o creazione eroica o non sarà”. Ogni tanto è lecito fare un esercizio di fantasia, rovesciando i termini dell’esistente. E allora domandiamoci dove sarebbe arrivata Cuba se non avesse dovuto affrontare quanto sopra. Solo un esempio: nel 2016 nel paese c’erano 90.161 medici, tra i quali circa 25.000 lavoravano all’estero all’interno del cosiddetto Programma Integrale di Salute che fornisce aiuto gratuito destinato a 27 paesi poveri come Haiti, Bolivia, El Salvador, Guatemala, Nicaragua, Honduras, Etiopia, Congo, Tanzania e Zimbabwe tra altri. Senza parlare della ELAM, la Scuola Latinoamericana di Medicina frequentata gratuitamente da 2.300 studenti circa per i sei anni del corso. Dovremmo allora chiederci, noi che assistiamo al fenomeno di sempre più persone che rinunciano a curarsi per mancanza di soldi, in un paese che rifiuta i 629 (629, non 6.200 o 62.000) migranti dell’Aquarius (salvati tutti da mercantili di passaggio, alla faccia dei diritti umani e dei vari, costosissimi, programmi di monitoraggio della Marina militare): dov’è la tanto sbandierata superiorità
del capitalismo? Cuba dimostra invece ogni giorno che l’educazione, la salute, la cultura e la scienza non sono privilegi riservati all’élite. La parola chiave non è “denaro” ma “umanità”. Certo, il nuovo Presidente – o meglio sarebbe dire la Rivoluzione cubana – ha di fronte a sé grandi sfide, esterne ed interne. A cominciare dalla presidenza Trump, uno dei cui primi atti è stato l’inasprimento del bloqueo e una sequela di minacce. Ma la Rivoluzione ha visto passare, e tramontare, ben 11 presidenti nordamericani dal 1959. Deve affrontare le conseguenze della crisi economica che tocca tutto il mondo da quasi 10 anni. Ha bisogno di crescere economicamente per assicurare standard di vita più elevati al suo popolo. Deve fare i conti con la lenta sparizione di molti dei governi progressisti dell’America Latina. La lista è lunga ma “l’isola fiorita” ha cinquant’anni di esperienza nell’affrontare sfide peggiori e ha dimostrato di saper fare tesoro dell’esperienza, propria e altrui. Una cosa è certa e diamo ancora la parola a Miguel DìazCanel: “Diciamolo chiaramente, la Rivoluzione cubana continua ad essere verde olivo, disposta a tutti i combattimenti. Il primo, per vincere le nostre stesse indiscipline, errori e imperfezioni. E allo stesso tempo per avanzare ‘senza fretta ma senza pausa’ -saggio avvertimento del compagno Raùl - verso l’orizzonte, verso la prosperità che ci meritiamo e che dovremo, più presto che tardi, conquistare tra le turbolenze di un mondo minato dall’incertezza, dall’ingiustizia, dalla violenza dei potenti e dal disprezzo verso le piccole nazioni e verso le grandi masse impoverite”. Così, come scrive il politologo olandese Mark Vandepitte, non è affatto necessario precipitarsi a comprare un biglietto aereo per andare a Cuba prima che tutto cambi. (CIP “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni)
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palestina
Hanno ragione. Se non gli sparano, nessuno ascolta i palestinesi di Gaza Gideon Levy (*)
Avvertenza: alzi la mano chi tra noi non si è mai chiesto se i palestinesi non potessero trovare una strategia meno terribile - e sanguinosa per loro – per far udire la loro voce ad un mondo che si tura le orecchie ogni giorno di più pur trovandosi davanti ad un genocidio. Ci possono essere tante risposte. Qui di seguito c’è quella del giornalista israeliano del quotidiano Haaretz, Gideon Levy, che chiama in causa anche il nostro silenzio.
Questa è la ragione per cui i loro spari sono giustificati, anche se causano un danno criminale a civili innocenti, infondono paura e terrore ai residenti del sud e sono intollerabili, a ragione, per Israele. Non hanno armi più precise e per questo non li si può incolpare di ferire i civili: la maggior parte dei loro proiettili di mortaio cadono in zone spopolate, anche se questa non è la loro intenzione. È difficile incolparli per colpire un asilo vuoto: è chiaro che preferirebbero contare su armi più precise che possano arrivare a obiettivi militari, come quelle che ha Israele che, detto en passant, ferisce (e assassina) molti più bambini. È evidente che la loro violenza è crudele, come qualsiasi violenza. Ma che altra scelta resta loro? Qualsiasi timido tentativo di prendere una strada diversa – una tregua, un cambiamento dei leaders o delle loro posizioni politiche – si scontra immediatamente con l’automatico rifiuto israeliano. Israele crede loro solo
quando sparano. In fondo contano su un chiaro “gruppo di controllo”: la Cisgiordania. Là non c’è Hamas, non ci sono lanci di razzi Qassam, non c’è quasi traccia di terrorismo… e cosa è servito tutto questo al presidente palestinese Mahmoud Abbas e al suo popolo? Hanno ragione perché, nonostante tutte le distrazioni, gli inganni e le menzogne della propaganda israeliana, niente può nascondere il fatto che li hanno richiusi in un’immensa gabbia per il resto delle loro vite. Sono sottoposti ad un assedio inconcepibile, 11 anni senza un attimo di respiro, praticamente il più grande crimine di guerra esistente in ambito internazionale. Non c’è propaganda possibile che possa nascondere la loro identità: il loro passato, il loro presente. La maggior parte di essi vive nella Striscia di Gaza perché Israele li ha trasformati in rifugiati. Israele espulse i loro avi dai loro villaggi e dalle loro terre. Altri fuggirono per paura di Israele, e poi non gli fu permesso di ritornare.
Dobbiamo dirlo con molta sincerità e chiarezza: hanno ragione. Non resta loro altra opzione che non sia quella di lottare per la libertà con i loro corpi, con le loro proprietà, le loro armi ed il loro sangue. Non hanno altra alternativa che i razzi Qassam e i mortai. Non hanno altra alternativa che la violenza o la resa. Non possono abbattere i muri che li rinchiudono senza usare la forza, e la loro forza è primitiva, patetica, quasi commovente. Un popolo che lotta per la sua libertà con aquiloni, tunnel, specchi, pneumatici, forbici, dispositivi incendiari, proiettili di mortaio e razzi Qassam contro una delle macchine belliche più sofisticate del mondo, è un popolo senza speranza ma l‘unico modo in cui può cambiare la sua situazione sta nelle sue povere armi. Se se ne stanno tranquilli, Israele e il mondo dimenticano la loro sorte. Solo i razzi Qassam fanno conoscere il disastro che li circonda. Quando sentiamo parlare di Gaza in Israele? Solo quando Gaza spara. Questa è la ragione per cui non hanno altra scelta che sparare.
Un crimine non meno grave dell’espulsione. Tutti i loro villaggi furono distrutti. Vissero 20 anni sotto il controllo egiziano e altri 50 sotto l’occupazione israeliana, che mai smise di trattarli con crudeltà in vari modi. Quando Israele ha abbandonato Gaza per il proprio interesse, l’ha sottomessa ad un assedio e la sua sorte è stata persino più crudele. Non hanno goduto della libertà neppure un solo giorno della loro vita. Non c’è alcun segno che la situazione possa cambiare. Neppure per i bambini. Vivono in un pezzo di terra il più densamente popolato del mondo, di cui l’ONU ha detto che non sarà più adatto alla vita umana tra un anno e mezzo. Tutto questo non basta perché si meritino appoggio? Sono gli ultimi che lottano contro l’occupazione israeliana. Mentre la maggior parte della Cisgiordania occupata sembra essersi arresa, Gaza non si arrende. Sono sempre più decisi e audaci dei loro fratelli cisgiordani, forse perché la loro sofferenza è maggiore. Non c’è un solo israeliano che possa immagine com’è la vita a Gaza. Cosa significhi crescere vivendo quella realtà. Si è spiegato la situazione innumerevoli volte, e nessuno si scalda per questo. Hanno un governo duro e tirannico, ma Israele non può incolpare Hamas. In Cisgiordania esiste un governo molto più moderato e Israele neanche là sta facendo nulla per mettere fine all’occupazione. Nelle ultime settimane hanno seppellito 118 persone il che - relativamente al loro volume di popolazione - equivale a 500 morti israeliani, e non smetteranno di lottare. Hanno più che ragione.. Giornalista israeliano, scrive sul quotidiano Haaretz da: rebelion.org; 7.6.2018 (traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto San Giovanni)
memoria
Clara Zetkin, una rivoluzionaria Il 20 giugno 1933 all’età di 76 anni moriva Clara Josephine Zetkin. Il suo cognome era Eissner, ma adottò il nome del suo compagno, il rivoluzionario russo Ossip Zetkin (espulso dalla Germania) con il quale ebbe due figli. Un’incredibile storia di militanza e attività. Nata 5 luglio 1857 in Wiederau (Germania) aderì al movimento operaio nel 1870. Ha contribuito ai lavori per la fondazionedella II Internazionale. Nel 1891 è redattrice della rivista Die Gleichheit (L’uguaglianza), Si occupò della questione femminile e scrisse l’interessante libro che suggeriamo di leggere: La questione femminile e la lotta al revisionismo. Nel 1890 conduce due grandi battaglie: antiriformista e antimilitarista. Per queste attività venne più volte arrestata con Rosa Luxemburg. Nel 1898 al congresso di Stoccarda, con Rosa Luxemburg condusse la lotta contro il revisionismo di Bernstein. Nel 1915, dirigente del movimento spartachista, organizzò una conferenza internazionale di donne socialiste per opporsi al conflitto. Nel 1918 aderisce al Partito comunista tedesco. Dal 1919 al 1933 è deputato al Rechsteig, Nel 1920 è a Mosca nel Comintern, ed è presidente del movimento internazionale donne socialiste e nel 1924 presidente del Soccorso rosso. Ha fondato la rivista Die Internazionale. Durante la III Internazionale del ’21, la Zetkin, creò un Segretariato Internazionale femminile e ottenne che fossero indette regolari conferenze ogni sei mesi con i rappresentanti di tutte le sezioni delle donne socialiste. Si battè per il diritto di voto alle donne, mettendole in guardia
che non sarebbe bastato se non fosse stata soppressa la causa della loro sottomissione. Considerava la questione femminile la premessa indispensabile per il successo della rivoluzione proletaria e sosteneva la liberazione della donna è una delle fasi di conquista del potere politico da parte del proletariato per la quale la donna e l’uomo devono combattere insieme contro il nemico comune. Fu lei a proporre, nel 1910, l’8 marzo come giornata internazionale della donna, in seguito al tragico rogo di Chicago, nel quale morirono 129 operaie. Appassionata militante schierata con Lenin con il quale dibatteva fortemente della questione femminile Lenin del quale diceva: “Non conosco nessuno che sappia ascoltare meglio di lui, classificare così presto i fatti e coordinarli, come si poteva vedere dalle domande brevi, ma sempre molto precise, che mi rivolgeva ogni tanto mentre parlavo, e dalla maniera di ritornare poi su qualche particolare della nostra conversazione”. Con l’avvento al potere di Adolf Hitler, il partito comunista tedesco fu bandito dal Reichstah e Clara Zetkin andò in esilio in Unione Sovietica dove morì, nel 1933 all’età di 76 anni in un sanatorio, vicino Mosca. Clara Zetkin è stata una dirigente intransigente contro il revisionismo e il riformismo di grande valore storico e di incalzante attualità, tanto scomoda da non guadagnare il giusto posto nella storia, praticamente ignorata dalla cosiddetta “sinistra” e dal movimento femminista.
Benvenuto, Che Avevo un fratello./Non ci siamo mai visti/ma non importava./ Avevo un fratello/che andava per i monti/mentre io dormivo./ Gli ho voluto bene a modo mio,/ho preso la sua voce/libera come l’acqua,/a volte ho camminato/vicino alla sua ombra. Non ci siamo mai visti/ma non importava./Il mio fratello sveglio/ mentre io dormivo,/il mio fratello che mi mostrava/al di là della notte,/la sua stella prescelta. (Julio Cortàzar, Al Che Guevara) 4 giugno 1928: a Rosario, città argentina, nasce – per la prima volta – Ernesto Guevara de La Serna, medico, guerrigliero rivoluzionario, teorico marxista, ministro di Cuba rivoluzionaria e ancora guerrigliero eroico. Per la prima volta perchè il Che, come diceva il poeta uruguayano Eduardo Galeano, è “colui che rinasce più di tutti”. Nonostante l’impero abbia cercato di cancellare fisicamente tutte le sue tracce, il Che è rinato dappertutto in ogni lotta contro lo sfruttamento, contro l’oppressione, contro la miseria materiale e morale. La sua immagine domina – e continuerà a farlo - non solo la Plaza de la Revoluciòn all’Avana, sua terra di adozione, ma i sogni e le lotte di ogni sfruttato ed oppresso. Benvenuto, Che!
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rassegna stampa
Notizie in breve dal mondo maggio-giugno si fissa su Gaza perchè attaccare Israele è il suo sport preferito”. Dal 30 marzo scorso la repressione delle forze israeliane contro le proteste a Gaza ha causato più di 130 morti palestinesi, oltre a migliaia di feriti, secondo il Ministero della Salute palestinese. In due mesi di scontri non vi è neanche una vittima israeliana. La Risoluzione è stata approvata con 120 voti a favore, 8 contro e 45 astensioni.
USA, Washington 16 maggio
Il Comitato per l’Intelligence del Senato ha approvato oggi la nomina di Gina Haspel quale direttrice della CIA. La sua candidatura aveva provocato l’opposizione di politici e militari. In aprile un centinaio di generali in pensione avevano chiesto che non venisse eletta a causa della sua partecipazione nel programma di rapimenti, detenzioni e torture di prigionieri all’estero. Haspel ebbe un ruolo attivo in tale programma quando dirigeva una prigione segreta in Tailandia: su sua richiesta furono distrutti dai servizi quasi un centinaio di video che documentavano le torture a presunti terroristi di Al Qaeda.
Germania, 15 giugno
Il Tribunale Costituzionale ha stabilito oggi che d’ora in poi i lavoratori pubblici non disporranno più del diritto di sciopero, in quanto esso crea “un effetto domino” nel settore pubblico che minaccia di minare “i principi fondamentali dell’amministrazione pubblica”. La decisione è stata presa a seguito del ricorso presentato da 4 maestri, sanzionati per aver scioperato. La decisione riguarda non solo maestri e professori ma tutti i lavoratori pubblici.
Stati Uniti, San Francisco 17 maggio
Secondo la rivista Plos One (rivista scientifica pubblicata dalla Public Library of Science), circa 690 specie marine hanno cambiato il loro habitat a causa del riscaldamento globale, spostandosi in acque più fredde verso il nord della piattaforma continentale americana.
Messico, Città del Messico 18 maggio
Il cancellerie Luis Videgaray Caso ha dichiarato oggi che il suo governo presenterà una protesta formale al Dipartimento di Stato USA riguardo alle dichiarazioni di Donald Trump, che ha definito gli immigranti “animali”. Videgay Caso ha aggiunto che paragonare una qualsiasi persona ad un animale, qualsiasi sia la sua condizione o il suo status migratorio, implica il non riconoscere la sua dignità fondamentale come persona e i suoi diritti umani.
Venezuela, Caracas 20 maggio
Nicolàs Maduro ha vinto nuovamente le elezioni presidenziali con 5.823.728 voti, il 67,7% del totale. Il candidato dell’opposizione Henry Falcon ha ottenuto 2,8 milioni di voti, il 21,1%. La proposta elettorale di Maduro, chiamata “Piano della Patria 2019-2025”, maturata nelle consultazioni con la base popolare della Rivoluzione Bolivariana, prevede tra l’altro: il consolidamento dell’educazione pubblica e gratuita; l’espansione del sistema sanitario pubblico gratuito e di qualità; la realizzazione di 5 milioni di alloggi nel quadro della “Mision Vivienda”; il rafforzamento del “carnet della Patria” che fornisce protezione a 16 milioni di venezuelani a basso reddito; il consolidamento dei CLAPS (Comitati Locali di Approvvigionamento e Produzione) e dei mercati della “Campagna Sovrana” per diminuire la dipendenza dalle importazioni di alimenti.
USA, Washington 21 maggio
Dopo che ieri Cina e USA si sono accordati per fermare la guerra commerciale, il segretario del tesoro USA Steven Mnuchin, in una trasmissione di Fox News Sunday ha confermato oggi che entrambi i paesi hanno deciso di non applicare i dazi previsti. È previsto che la Cina importerà più energia e prodotti agricoli statunitensi per chiudere il deficit commerciale USA che ammonta a 335 mila milioni di dollari. In aprile gli USA avevano pubblicato una lista di prodotti cinesi a cui sarebbero stati applicati dazi per 50 mila milioni di dollari. La Cina aveva risposto con l’imposizione di dazi del 25% a 106 prodotti statunitensi.
Francia, 22 maggio
Questo martedì comincia una nuova giornata di scioperi e manifestazioni in tutto il paese contro le politiche economiche del presidente Macron, tra cui la riduzione di 120 mila posti di lavoro nel settore pubblico. Scioperano i settori del trasporto, dell’assistenza sanitaria e dell’energia, tra altri, in quello che è il terzo sciopero in sette mesi, in preparazione ad un grande sciopero nazionale per opporsi “alla precarizzazione delle funzioni pubbliche, alla degradazione delle condizioni di lavoro e al congelamento dei salari”. Le centrali sindacali hanno organizzato circa 140 manifestazioni in tutto il paese.
USA, Washington 15 giugno
lente al 90% del suo PIL. Gli aumenti andrebbero a coprire parte di tale debito. Il 18,5% della popolazione della Giordania (9,5 milioni) è disoccupato e il 20% è sotto la soglia di povertà. Il re Abdullah II ha ordinato al Congresso di sospendere gli aumenti per fermare le proteste, ma questo non si è verificato.
Iran, 8 giugno
Decine di migliaia di persone – a Teheran e in altre 900 città iraniane – sono scese nelle strade in solidarietà al popolo palestinese nella Giornata Mondiale di Al-Quds, chiedendo la fine dell’occupazione dei territori palestinesi e protestando per lo spostamento dell’ambasciata USA a Gerusalemme.
Francia, Strasburgo 13 giugno
Nel dibattito al Parlamento Europeo su “Emergenze umanitarie nel Mediterraneo e solidarietà nella UE” che si è tenuto oggi, hanno partecipato solo 70 deputati su un totale di 751 membri, neppure il 10%. Si discuteva, tra l’altro, del caso Aquarius e dei 629 migranti provenienti dalla Libia e rifiutati dall’Italia.
Argentina, Buenos Aires 14 giugno
La Camera dei Deputati approva oggi il progetto di legalizzazione dell’aborto. Il progetto - che dovrà poi passare al Senato, molto più conservatore – prevede l’aborto gratuito nelle strutture pubbliche. Hanno votato a favore 129 deputati e 125 contro, dopo quasi un giorno di discussione, seguita da decine di migliaia di manifestanti fuori dall’edificio del Congresso. Attualmente in Argentina, come in molti paesi latinoamericani, è permesso solo l’aborto in caso di violenza.
USA, New York 14 giugno
L’ambasciatrice USA all’ONU, Nikky Haley, hs dichiarato che l’Assemblea Generale dell’organismo ha “come sport preferito” l’attacco a Israele, dopo che mercoledì l’organismo ha approvato una risoluzione che condanna “l’uso eccessivo, sproporzionato e indiscriminato della forza da parte dei militari israeliani contri i civili nei territori palestinesi occupati, compresi Gerusalemme Est e in particolare la Striscia di Gaza”. Secondo Haley, l’ONU “sbaglia moralmente affermando che la violenza a Gaza è colpa di Israele”. Ha dichiarato anche che: “ci sono cose terribili che succedono nel mondo, ma l’Assemblea Generale
Un alto funzinario della Casa Bianca ha annunciato oggi che gli Stati Uniti “sospendono indefinitamente” le previste manovre militari congiunte con la Corea del Sud, anche se continueranno le sanzioni imposte alla Corea del Nord perchè rinunci ai suoi programmi nucleari. Le manovre previste, chiamate “Ulchi Freedom Guardian”, avrebbero dovuto tenersi il prossimo agosto, come ogni anno. L’ex comandante statunitense delle forze del Pacifico ha approvato la decisione e dicharato che “la situazione è completamente cambiata” dopo l’incontro tra Kim e Trump.
Spagna, Madrid 15 giugno
Il secondo Consiglio dei Ministri del governo socialista di Pedro Sànchez ha annunciato che “si restituirà il diritto alla salute a tutte le persone” indipendentemente dalla situazione legale in cui si trova in Spagna, “per decenza politica e perchè è una richiesta di tutti gli organismi internazionali”. Verrà quindi soppresso il Reale Decreto 16/2012 che ha cancellato l’universalità del Sistema nazionale della Salute, che comunque era stata mantenuta in varie comunità autonome quali i Paesi Baschi, le Baleari, la Catalogna, l’Aragona e la Comunità Valenciana, che avevano continuato a garantire la copertura per gli immigrati senza documenti nonostante tale Decreto. Fra 3 mesi – tempo burocratico necessario - quindi, la Spagna riavrà la sanità gratuita e universale.
USA/Messico, frontiera 17 giugno
La Pattuglia di Frontiera USA ha permesso oggi ad un gruppo di giornalisti di visitare brevemente le installazioni dove vengono trattenute le famiglie migranti messicane, in risposta alle aspre critiche alla politica di “tolleranza zero” di Trump. In un’ala per i bambini non accompagnati – una specie di gabbia costruita con pareti di metallo - sono stati trovati circa 20 minori: attorno a loro bottiglie di acqua, sacchetti di patatine fritte e coperte isolanti. Ai giornalisti i responsabili hano detto che all’interno del campo si trovano circa 200 minori non accompagnati, insieme ad altre 500 persone definite “unità familiari”. In genere i minori vengono inviati in alberghi e centri di “accoglienza”, mentre gli adulti vengono processati. Secondo cifre del Dipartimento di Sicurezza Nazionale fornite il 15 giugno, il governo degli Stati Uniti ha separato quasi 2.000 bambini dai propri genitori dalla fine del mese di aprile. Anche la scorsa settimana è stato permesso ai giornalisti di visitare un altro centro di detenzione, dove si trovano 1.469 bambini di età tra i 10 e i 17 anni, divisi in 313 stanze senza tetto perchè si tratta di un vecchio magazzino della catena Wallmart.
USA, Miami 23 maggio
Èmorto oggi – impunito –uno dei più efferati terroristi, il cubano Luis Posada Carriles. Protetto dalla CIA e dai governi degli Stati Uniti, era responsabile di una lunga scia di sangue: fu “consigliere alla sicurezza” dei servizi segreti delle dittature militari argentina, cilena, salvadoregna, guatemalteca e venezuelana. Organizzò diversi attentati alla vita di Fidel Castro e l’assassinio di Orlando Letelier, cancelliere del governo Allende. A lui si devono attentati come l’esplosione dell’aereo della Cubana de Aviaciòn nel 1976 in cui morirono 76 civili, gli attentati contro hotel dell’Avana in cui morì l’italiano Fabio Di Celmo nel 1977, di cui riconobbe la responsabilità in un’intervista a The New York Times. Entrato illegalmente negli USA nel 2011, venne liberato perchè “vecchio e invalido”.
Giordania, Amman 7 giugno
Continuano le proteste di massa iniziate qualche giorno fa contro l’aumento dei prezzi dei combustibili e dell’elettricità, con manifestazioni e interruzioni delle strede con pneumatici e veicoli. La polizia ha lanciato gas e utilizzato bastoni contro i manifestanti per impedire che arrivassero alla residenza del primo ministro, peraltro dimissionario dopo l’inizio delle proteste. Il Fondo Monetario Internazionale aveva appoggiato l’aumento del 5,5% del prezzo dei combustibili e del 19% dell’elettricità visto che il paese ha un debito pubblico di 35.000 milioni di dollari, equiva-
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La rubrica delle lettere è un punto fisso di quasi tutti i giornali. Noi chiediamo che in questa rubrica siano presenti le vostre lettere, anche quelle che spediteai vari quotidiani e rivisteche non vengono pubblicate. Il sommerso a volte
lettere
è molto indicativo
Per qualche briciola ci vuotano il piatto!
Ricollocare la monarchia e i nobili tra l’immondizia
“Se non voti poi non ti puoi lamentare... No, non è vero che sono tutti uguali...”, frasi che ho ripetuto centinaia di volte in quattro decenni e oltre di attivismo e di militanza politica. Quasi un mantra, un j’accuse col dito puntato contro il qualunquismo, il menefreghismo e la superficiale faciloneria. Erano gli anni del movimento studentesco, tutto era politico e politica. Dagli anni Settanta a oggi. Una vita. E infinite croci su schede elettorali. Comunali, regionali, politiche, europee, referendarie... non ne ho mai saltata una, dal 1976. In alcune ci ho anche messo la faccia, come candidato, sempre trombato (ovviamente). Ma comunque dal 1976 ho sempre infilato la mia scheda elettorale, con la mia brava croce il più a sinistra possibile, nell’urna. Fino ad oggi. Anzi, fino a ieri. Il 4 marzo 2018 sono andato al seggio, ho ritirato le mie schede e sono entrato in cabina elettorale. Per un minuto le ho osservate, poi le ho ripiegate, sono uscito e le ho infilate nell’urna. Niente più croci. Niente più voti. Niente più deleghe. No, nemmeno ora penso che siano tutti uguali perché si fanno gli affari propri, perché rubano, perché promettono e non mantengono, perché nei loro orizzonti ci sono sempre e solo loro stessi e i loro compari. No, non sono tutti uguali. La maggior parte probabilmente sì, ma ho conosciuto anche persone oneste in politica. Magari non molte, ma ci sono. Magari poi, a frequentarla, la politica ti sporca, ti cambia, ti porta ad accettare compromessi su compremessi. Sino a snaturarti. No, non sono tutti uguali. Però è anche vero che, visti sotto altra luce, sono sì tutti uguali. In che senso? Nel senso che nessuno di loro vuole veramente cambiare le cose. Ci sono finalità, punti di vista, approcci, metodi leggermente diversi. Ma nessuno vuole veramente cambiare le cose, radicalmente. Il capitale non si tocca. Banche, finanziarie, agenzie di rating, lobbies di ogni genere... ecco chi ci governa. Alle volte ci danno qualche briciola, spesso svuotano i nostri piatti. Ma sono sempre e comunque loro i veri centri del potere. I partiti sono i loro burattini. E se guardate bene si possono anche intravederne in controluce i fili che li muovono. E allora basta croci, seppur a sinistra. Oggi che il vecchio Pci è diventato la vecchia Dc, oggi che, come sempre, quella che chiamano sinistra, si divide e si frantuma in orizzonti sempre più sfocati e autoreferenziali, oggi che i neoavventurieri vogliono fare la rivoluzione... per non cambiare nulla, oggi che la nuova (ma sempre vecchia) destra ha preso in mano direttamente le leve del potere, oggi che il populismo impera... che fare? Mobilitarsi, ecco che fare. In prima persona. Gruppi, circoli, associazioni che non lasciano deleghe in bianco a nessuno. Partendo dalle realtà locali, creando una fitta rete di informazioni e sostegno reciproco. Mettendoci faccia, sudore e coraggio. In attesa che la rete si allarghi e si creino le condizioni per la (ri)nascita di un vero Partito Comunista che sia in grado di avviare l’unica rivoluzione possibile: una società nella quale la proprietà dei mezzi di produzione sia diffusa e collettiva e nella quale la ricchezza sia ridistribuita. Una società nella quale l’unico capitale che avrà valore sarà quello umano. Luca Vido Sesto San Giovanni
Tutti i mezzi di informazione ci hanno martellato con le dirette, i commenti, gli “approfondimenti” sulle nozze di un rampollo della casa reale inglese con una americana.Disoccupazione, miseria, sfratti, non sono mai stati commentati in modo così ossessivo e puntiglioso.La trattazione di stragi di genocidi delle varie guerre imperialiste non ha uguagliato a memoria mia la narrazione di queste nozze. Il tentativo che mi appare chiaro è di abbagliare il popolo con lo sfarzo e la pompa di questa cerimonia, di far immedesimare i “sudditi” con la magnificenza della stirpe reale, di fargli sognare almeno per qualche minuto e fargli in tal modo apprezzare l’istituto monarchico. Bisogna invece ricollocare la monarchia e i nobili tra l’immondizia, l’ingiustizia, il sopruso. Lo sfarzo che caratterizza la nobiltà deriva dalla rapina di chi lavora e suda è un retaggio della barbarie feudale che la stessa rivoluzione borghese ha combattuto. La rivoluzione borghese, la nascita di una classe di imprenditori che si arricchirono costruendo fabbriche e producendo merci, sostituì i privilegi della nobiltà con i privilegi della ricchezza: uno valeva in proporzione ai denari che era riuscito a fare. Ma la sostituzione dei nobili con i borghesi, con i capitalisti pur stimolando la crescita economica, sostituì semplicemente una classe di oppressori con un’altra: i nobili campavano del lavoro dei servi, i capitalisti su quello degli operai. Questo spiega come in una società dominata dal capitale si tenga benevolmente in piedi la mummia della monarchia: in fin dei conti ereditare un titolo nobiliare o un capitale dà lo stesso privilegi, eleva lo stesso sul misero volgo. Bisogna indignarsi di queste ingiustizie, bisogna lottare contro ogni privilegio, contro ogni classe di oppressori. Solo il socialismo e la dittatura dei lavoratori può porre fine alla barbarie.
Israele, un governo infame Non sono solo i bombardamenti e la repressione che uccidono i palestinesi. L’infame governo israeliano impediscepersinocheimalatipossanocurarsinegandoloroipermessi(scesial62%)perragionimediche. Lo scorso anno sono stati 54 i palestinesi morti aspettando che Israele permettesse loro di lasciare la striscia di Gaza per curarsi, tra i quali una ragazza di 27 anni con una rara forma di cancro che non ha potuto usufruire dei trattamenti di chemioterapia e radioterapia non disponibili a Gaza dove il sistema sanitario – sottoposto a mezzo secolo di occupazione e a un decennio di blocco totale – dove manca più della metà di tutte le medicine e le dotazioni mediche necessarie o è inferiore al fabbisogno mensile o non è in grado di provvedere ai bisogni della popolazione. E la cronica mancanza di elettricità è causa del taglio sulla sanità e altri servizi essenziali. Tra diffusa povertà e disoccupazione, almeno il 10% dei bambini più piccoli soffre di malnutrizione cronica. È una violazione del diritto alla vita tanto caro ai difensori della famiglia e agli antiabortisti cattolici, un crimine di guerra che non si sente mai negli appelli del Papa. Non ci si può stupire se in Palestina fin da piccoli partecipano all’intifada. Anche noi dobbiamo moltiplicare il nostro impegno per denunciare, e lottare contro il marcio e aggressivo governo di Netaniau senza paura di passare per antisemiti e contro tutti i governi e i partiti che si definiscono amici di Israele e lo sostengono. Cristiana Tondo Pesaro
C’è un elemento decisivo... Appena tornato da Cuba, mi sono ritrovato nella nostra bella “democrazia”. Qualcuno mi ha fatto notare che qui non è come a Cuba, siamo liberi di scegliere. Infatti, il cittadino-elettore italiano può scegliere fra 1. il pregiudicato Berlusconi 2. il ducetto fiorentino, che ha fatto man bassa dei diritti dei lavoratori 3. il leccapiedi della NATO e del Vaticano Giggino Di Maio 4. il fascioleghista Salvini. Sono le delizie del multipartitismo, che i cubani non possono sfruttare. Intanto le potenze imperialiste litigano e si stringono la mano. Putin ha invitato a Mosca, per il Giorno della Vittoria, il boia israeliano Nethanyau, l’assassino de popolo palestinese, offendendo la memoria dei combattenti per la libertà caduti nella lotta contro il fascismo e dimostrando tutto il cinismo della potenza imperiale russa. Viviamo in uno scenario buio e tenebroso ma questo non significa che bisogna scoraggiarsi e abbandonare la lotta. Nel 1935, in uno scenario altrettanto buio e tenebroso, Giorgio Dimitrov a Mosca, al VII Congresso dell’Internazionale Comunista, affermava: “Gli uomini che governano oggi nei paesi capitalisti sono uomini che passano. Il proletariato è il vero padrone del mondo, il padrone del futuro. E deve prendere nelle proprie mani le redini del potere in tutti i paesi, in tutto il mondo”. Sì, questo è l’elemento decisivo, se il proletariato prende coscienza di essere “il padrone del mondo, il padrone del futuro”, allora il sistema capitalista-imperialista non durerà in eterno! Aldo Calcidese Milano
Orlando Simoncini Castelfiorentino
Il plusvalore è ricchezza La ricchezza milionaria e miliardaria dei capitalisti e dei borghesi non è il frutto meritato del loro studio o lavoro come l’ideologia liberale ci racconta. È il frutto dello sfruttamento diretto e indiretto dei lavoratori proletari di tutto il mondo, è il frutto dei loro crimini, delle loro rapine, delle loro truffe e frodi, è il frutto delle loro guerre! Lo sfruttamento della borghesia sul proletariato: guadagnare soldi non vuol dire produrre la ricchezza equivalente al valore dei soldi guadagnati. Il lavoro del borghese vale certamente di più del lavoro proletario. Il lavoro del borghese vale diciamo 10mila, ma sulla base del “libero mercato” il borghese guadagna 100mila. Il lavoro del proletario vale 2000 ma sulla base del “libero mercato” il proletario guadagna 1000! La borghesia è la classe dirigente e imprenditoriale del paese, il proletariato è la classe che produce la ricchezza del paese, è la classe che produce il plusvalore! La borghesia è per il proletariato ciò che è stata l’aristocrazia per la borghesia: una classe internazionale di sfruttatori, parassiti, ladri e assassini! La ricchezza non la producono le banche, non la producono gli imprenditori e non la producono nemmeno i contribuenti. La producono i lavoratori, gli operai, i quali sono gli unici tra i fattori della produzione a produrre il plusvalore: a produrre più di quanto guadagnano e consumano; al contrario della borghesia che guadagna e consuma molto di più di quanto produce. Gli imprenditori capitalisti sono dei borghesi, promuovono e gestiscono la produzione di ricchezza ma non producono il plusvalore, anzi il plusvalore prodotto dagli operai se lo mettono in tasca salvo poi, in specie i piccoli e medi, essere tartassati e derubati dallo Stato borghese capitalista-imperialista delle multinazionali. Pietro Gori Imperia
nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) anno XXVII n. 4/2018 - Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze - tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Michele Michelino, Fabrizio Poggi, Daniela Trollio abbonamento annuo Italia euro 26,00 abbonamento annuo sostenitore euro 104,00 abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20 I versamenti vanno effettuati sul c/c postale nr. 1031575507 intestato a: nuova unità - Firenze Stampato interamente su carta riciclata, nessun albero è stato abbattuto per farvi leggere queste pagine
Chiuso in redazione: 30/05/2018
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