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Periodico comunista di politica e cultura n. 4/2019 - anno XXVIII
I capi della socialdemocrazia attenuarono e nascosero alle masse il carattere di classe del fascismo e non le chiamarono a lottare contro le misure reazionarie, sempre più gravi, della borghesia Georgi Dimitrov
Il governo che garantiva un’intera legislazione è caduto dopo 14 mesi
Ancora una volta ribadiamo che è necessario abbattere il sistema capitalista e che è possibile vivere senza padroni, quindi senza sfruttamento né oppressione, se si agisce e ci si attrezza per diventare protagonisti del proprio futuro Qualche lettore che ci segue sul sito internet avrà letto l’editoriale n. 4 pubblicato in attesa del cartaceo, ma considerata la crisi – che comunque era già nell’aria – ci troviamo costretti a cambiarlo per seguire l’attualità anche se i tempi della politica non coincidono con i nostri di stampa. In questa estate il potere borghese europeo ha stabilito di farsi rappresentare da due donne (leggi pag. 6): Christine Lagarde alla BCE, la più pagata al mondo (1.875,48 € al giorno), l’avvocato d’affari del FMI senza essere un’esperta di politica monetaria ma che è stata in grado di “gestire” crisi economiche - da quella Argentina a quella Greca. E la fedelissima di Angela Merkel, Ursula Von der Leyen (Cdu), già ministro della Famiglia (ha 7 figli) e due volte responsabile della Difesa in Germania, alla Commissione Ue. Nomine che, tra l’altro, dimostrano l’ennesimo inganno elettorale, cioè che non è vero che sono gli elettori a stabilire i propri rappresentanti nelle istituzioni e che conferma la giustezza della nostra posizione astensionista, di respingimento di questo carrozzone imperialista. Tra il caldo sahariano e i disastri causati dalle piogge intense, dopo continue dispute verbali tra chi le sparava più grosse in una continua involuzione reazionaria, si è rotto il “contratto” con il quale i giallo-verdi ci hanno martellato per mesi, ma che negli ultimi tempi era sparito per lasciare spazio alle polemicucce e al delirio di onnipotenza di Salvini ministro degli Interni (che fa usare come una giostra la moto d’acqua della polizia compiacente al figlio) per aumentare la repressione con il pretesto di garantire la sicurezza agli italiani, in realtà per fomentare la paura e assicurarsi voti. Salvini ha staccato la spina (salvo ritirare la mozione di sfiducia alla base della crisi durante la seduta in Senato) copiando il vaffa dai suoi alleati che hanno sempre accettato il suo diktat. Il governo populista che si vantava di essere del cambiamento e di coprire un’intera legislatura per fare il “bene degli italiani” - in realtà di quegli imprenditori che poi portano all’estero produzione e capitali - può vantare un record: 14 mesi, il più corto nella storia d’Italia! Con l’intervento (tardivo) di Conte al Senato - che ha scaricato tutte le colpe su Salvini e la Lega - si è aperta ufficialmente la crisi e del futuro governo ne parleremo sul prossimo numero anche se per noi un governo ne vale l’altro. Ora iniziano le consultazioni con Mattarella il quale chiede “un progetto serio e stabile”, altrimenti, l’alternativa più credibile è quella di avere un governo tecnico che porti alle elezioni nel giro di pochi mesi. E il Pd è in fibrillazione per rientrare in pista - con i 5Stelle come alleati - e gestire l’aumento dell’Iva, affrontare l’enorme debito pubblico - sempre più in aumento - e le vertenze in corso che riguardano 240mila posti di lavoro a rischio, il DEF che sarà un’altra manovra di lacrime e sangue per le masse popolari. Anche nel suo intervento becero e provocatorio al Senato, Salvini si è comportato da dittatorello al di fuori da ogni rapporto istituzionale, incapace persino di motivare i suoi atti. Si è definito un bersaglio pronto a sacrificarsi, di non aver padroni né catene. E i suoi incontri negli Usa dove ha condiviso la politica guerrafondaia di Trump? E i rapporti con la Russia? E con la UE? Tutti i suoi strali contro la UE si sono infranti nel momento in cui ha respinto la candidatura dell’olandese Frans Timmermans garantendo, oggettivamente, la continuità del rigore e l’asse franco-tedesco in Europa, una scelta da “vecchia Europa”. Anche la decisione di proseguire i lavori del Tav, oltre ad essere in linea con la UE, è un grande favore concesso al “detestato” Macron.
Ma alla base della Lega arriva il messaggio retorico e demagogico, i rifiuti “muscolari” che evitano ai propri seguaci di riflettere autonomamente, mantenrli sottomessi, impauriti e culturalmente schiavizzati e li spingano alla mobilitazione reazionaria. Qualunque sia il prossimo governo continuerà l’attacco generale
Minacce e potere: pacifismo e violenza La storia insegna che per cambiare la società la classe oppressa è ricorsa inevitabilmente alla violenza organizzata e collettiva pagina 2 Miracoli del capitalismo. Operai schiacciati e territori devastati pagina 3 Le mire imperiali planetarie del capitale mondiale. Quando si dice che l’imperialismo e le rivalità interimperialistiche sono cose passate... pagina 4 Solidarietà contro un criminale blocco. Intervista con Rafael Aguirre, segretario del COSI del Venezuela pagina 5 C’è donna e donna... Capitalismo e imperialismo hanno bisogno delle loro donne ai vertici europei pagina 6
al proletariato, leggi liberticide e di contrasto a chi lotta e contro ogni forma di opposizione sociale. In particolare quello del diritto allo sciopero, già fortemente limitato e utilizzato dai sindacati Confederali - impegnati a costruire la loro unità di vertice per aumentare il peso della contrattazione con governi e Confindustria - a sostegno di rivendicazioni padronali, inculcando tra i lavoratori che il loro benessere dipende dai profitti dei padroni, nonostante sia provato che i finanziamenti elargiti alle aziende, in tutti questi anni, non hanno evitato licenziamenti, delocalizzazioni e disoccupazione, non hanno difeso la salute né la sicurezza, ma hanno aumentato i profitti e reso il lavoro sempre più precario. Si riparlerà di sciopero generale? C’è già una proposta del Sì Cobas per il 25 ottobre. In effetti ci sarebbe bisogno di una dimostrazione di forza della classe lavoratrice che non sia la patetica e inutile raccolta di firme del PD per chiedere le dimissioni del governo, ormai superata dalla scelta della Lega. Ma l’esperienza e la realtà degli ultimi anni insegnano che non ci sono le condizioni per promuovere uno sciopero generale - e il movimento “di base” non è stato in grado di crearle - degno di questo nome, basato su reali adesioni e partecipazioni. Anzi gli scioperi “generali” - a volte a distanza di una settimana - indetti da varie sigle sono più per verificare la portata del proprio peso all’interno della classe e con un occhio alle campagne acquisti, che non a modificare i rapporti di forza a favore della classe lavoratrice - hanno alimentato sfiducia e demoralizzazione sia tra le avanguardie, sia tra gli stessi iscritti ai sindacati di base. Lo sciopero generale ha senso e significato se proclamato e condiviso contro il padronato e i loro governi perché deve dimostrare che la classe ha la forza di bloccare i gangli vitali del paese, com’è stato quello dei trasporti del 16 giugno 2016 che, infatti, ha allarmato il governo e i suoi padroni. Borghesia, padronato, governi e lo Stato con i suoi strumenti repressivi sono i veri nemici. Ai padroni non interessa la sigla di appartenenza, ma la volontà di ribellione al loro sistema di sfruttamento, oppressione e repressione che, oltre all’uso della polizia, si manifesta sempre più con i licenziamenti politici degli attivisti sindacali. Operai e padroni non sono sulla stessa barca come sostengno i socialdemocratici e gli opportunisti vertici di Cgil-Cisl-Uil-Ugl che portano in piazza sfruttati e sfruttatori insieme. I lavoratori non hanno nulla da spartire con chi fa del profitto la propria ragione di vita. La vera forza del movimento operaio è l’unità della classe e l’unità nelle lotte, vincendo la frammentazione. Il movimento dei lavoratori deve ritrovare fiducia nella sua forza e nella capacità di iniziativa valorizzando la propria posizione e l’attività del capitale che vuole neutralizzarla come soggetto antagonista. C’è bisogno di lavoro, ma coloro che lo hanno non pensino che “stando fermi e zitti”, accettando il volere dei padroni con condizioni al ribasso o illudendosi in svolte risolutive del governo, prima o poi non tocchi anche a loro. Allargare la solidarietà con le situazioni in crisi (attualmente circa 200), con i disoccupati, con i lavoratori precari e sottoccupati rafforza il potere contrattuale e resiste ai colpi del nemico di classe. Sapersi organizzare per i propri interessi immediati e quelli futuri. I lavoratori devono fare un passo avanti e... pensare politicamente. È possibile vivere senza padroni, quindi senza sfruttamento né oppressione, se si agisce e ci si attrezza per diventare protagonisti del proprio futuro, con l’obiettivo di cambiare il sistema capitalista - che si basa su più lavoro meno soldi - in un sistema socialista.
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Minacce e potere: pacifismo e violenza La storia insegna che per cambiare la società la classe oppressa è ricorsa inevitabilmente alla violenza organizzata e collettiva per liberarsi e assicurare così il progresso dell’umanità
quella di classe fra padroni e operai, tra sfruttati e sfruttatori, speculando sul desiderio sincero, profondo, della pace che è nel cuore di tutti gli uomini e di tutte le donne, ma che avvantaggia solo gli sfruttatori. Una teoria che chiama gli operai a combattere le ingiustizie all’interno della legalità delle leggi borghesi fatte dai capitalisti per difendere il proprio potere, raccomandando alla classe operaia la rassegnazione, incutendo il timore di combattere per la libertà anche con le armi in mano. Noi, come Bertolt Brecht, riteniamo che “quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere”.
Michele Michelino Minacciare, demonizzare il nemico, istigare la paura del diverso, reprimere, sono da sempre alcuni dei modi usati dal nemico di classe per ottenere il consenso del popolo a politiche reazionarie, mobilitandolo a sostegno dei suoi interessi. In questo il segretario della Lega Salvini è un maestro. Tuttavia non possiamo dimenticare che il presente è frutto del passato. Distruggere l’identità di un popolo o di una classe, cancellare la sua memoria storica, imporre quella del nemico è essenziale e funzionale per perpetuare il saccheggio e lo sfruttamento di un popolo o una classe, perché una classe senza memoria è facilmente manipolabile e sfruttabile. Manipolare l’opinione pubblica attraverso i media è una delle forme di controllo del potere economico, che è anche padrone dei mezzi di comunicazione. Gli editori, i padroni dei mezzi di comunicazione, dei giornali, TV via cavo, film ecc. sono gli stessi che hanno voce in capitolo nei partiti di centrodestra o centrosinistra borghesi, e di qualsiasi colore. Sono Berlusconi, De Benedetti, Cairo, Caltagirone, il Vaticano e le industrie multinazionali, gli Agnelli, i Pirelli ecc. Nel mondo i conglomerati delle comunicazioni sono diretti, ad esempio, da Time Warner e AOL, e da tutte quelle grandi compagnie di comunicazione in generale con a capo la Westinghouse, la General Electric ecc. Quindi, gli stessi che producono aerei da guerra, automobili, gomme per auto e camion, biciclette, biscotti, merendine e le brioches che si mangiano a colazione, sono gli stessi che governano l’informazione di tutto il mondo. Molti ex dirigenti rivoluzionari che volevano cambiare il mondo, davanti alle asperità della lotta di classe, alle sconfitte, si sono riciclati nei partiti borghesi, sono passati armi e bagagli dalla parte del nemico diventando le stampelle, i puntelli, i funzionari del grande capitale che volevano abbattere e da questo sono ben retribuiti per i loro servizi. Più volte ci è capitato nelle lotte operaie economiche e politiche o sociali di arrivare alle trattative con la controparte e trovarli di là del tavolo dei padroni, a difendere e rappresentarli o come consulenti, sindacalisti o politici che fino a poco tempo prima passavano per essere difensori dei lavoratori. In questi anni di relativa pace sociale abbiamo visto spesso dirigenti ”pseudo rivoluzionari” che incitavano e mandavano avanti gli altri nelle lotte, a scontrarsi a mani nude contro la polizia, ma che in realtà si preoccupavano prima di tutto di «mettere al sicuro il loro culo e la loro pelle». Il rivoluzionarismo parolaio, “armiamoci e partite”, che ha al fondo una grande sfiducia nella capacità di autorganizzazione della classe, ha fatto più danni di un uragano. L’internazionalismo proletario riconosce il protagonismo operaio, che la classe è una e internazionale e, che il primo dovere internazionalista consiste nel lottare contro i propri governi, comitati d’affari dei capitalisti. Chi si era illuso di poter cambiare la società in modo pacifico, convincendo i capitalisti della bontà delle loro proposte, oggi è in preda allo sconforto. In tempo di crisi e di sconfitta, quando la concorrenza divide i lavoratori e i proletari mettendoli gli uni contro gli altri, quando il lavoro di ricomposizione di classe si fa più duro e la repressione del padrone e dello Stato criminalizza il conflitto, molti hanno abbandonato il terreno della lotta operaia, ambientalista, anticapitalista, cercando altri riferimenti. Anche se oggi la classe operaia è divisa e frammentata, un operaio comunista, anche se è senza il partito, è un combattente rivoluzionario, cosciente che il conflitto di classe si deve acuire. Da qui la necessità di lavorare per la costruzione dell’organizzazione politica indipendente della classe, di un partito operaio rivoluzionario, comunista, che si ponga l’obiettivo di distruggere dalle fondamenta la società capitalista e instaurare il socialismo, il potere operaio, la dittatura del proletariato, che è la più ampia forma di de-
Noi marxisti siamo pacifici, ma non pacifisti
mocrazia per tutti gli sfruttati. L’imperialismo impone ai popoli del mondo sottosviluppo, prestiti usurai, debiti con interessi impossibili da pagare, scambio diseguale, speculazioni finanziarie non produttive, corruzione generalizzata, commercio di armi, guerre, violenza, massacri, cui partecipa l’imperialismo italiano per spartirsi il bottino. In Italia tutti i governi borghesi di centrodestra, centrosinistra, compreso quello di Lega e 5Stelle, hanno attuato politiche antioperaie e antiproletarie e finanziato tutte le missioni di guerra italiane nel mondo, chiamandole ipocritamente “missioni di pace o umanitarie”. La “democrazia” capitalista, imperialista, borghese, con le sue frasi altisonanti ma vuote, è la maschera dietro cui si nasconde il potere del grande capitale. Aumenta la ricchezza nelle mani di una minoranza di borghesi, aumenta la miseria per i proletari e gli sfruttati del mondo. La contraddizione insanabile fra capitale-lavoro, la ricerca del massimo profitto, produce ogni giorno morti sul lavoro, malattie professionali e morti del profitto. Per il profitto la borghesia combatte una guerra sistematica non dichiarata che non fa prigionieri, ma che lascia sul campo di battaglia della lotta di classe morti, feriti, invalidi e il proletariato cosciente sa che un giorno dovrà necessariamente, suo malgrado, ricorrere alle armi per spazzar via questa società marcia, per aprire la via a una società libera dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Una società socialista che abolisca la proprietà privata dei mezzi di produzione, dove
si produca per soddisfare i bisogni degli esseri umani e non per il profitto, in cui le morti sul lavoro per mancanza di sicurezza e di malattie professionali, per fame, per sete siano considerati crimini contro l’umanità. Il capitalismo, l’imperialismo è il cancro dell’umanità e si arricchisce sulla miseria e sulla morte di milioni di persone nel mondo, questa è la realtà. Nonostante l’inconciliabilità d’interessi tuttavia, sia storicamente che negli ultimi anni, anche alcuni “compagni” - che dicono di appartenere alla classe operaia - hanno sviluppato la teoria della “neutralità”. Questa teoria consiste nel non schierarsi in caso di aggressioni imperialiste né con gli uni né con gli altri in nome di una presunta imparzialità della classe operaia, che avrebbe interesse a solidarizzare solo con gli operai del paese aggredito e bombardato, non con le altre classi popolari sottomesse, mettendo così in pratica aggrediti e aggressori sullo stesso piano. L’indipendenza nell’azione politica del proletariato organizzato non significa astenersi dalla lotta popolare, ma partecipare con alleanze e un proprio programma di classe, come fecero gli operai e i partigiani comunisti durante la lotta di resistenza al nazifascismo. Altri, davanti ai massacri dell’imperialismo, predicano la “non violenza”, il “porgere l’altra guancia”. Altri ancora la “resistenza passiva” che, se pur condivisibile in alcune circostanze, non lo è in caso di guerra di classe, di aggressione imperialista. In particolare i sostenitori della non violenza sostengono una teoria e una pratica che condanna e si schiera “contro tutte le guerre”, compresa
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Noi ancora ci indigniamo e siamo pieni di rabbia e odio contro i padroni e i loro governi per i morti sul lavoro, per malattie professionali, per i massacri di innocenti, di donne, di vecchi e di bambini, che avvengono giornalmente a causa delle guerre dei paesi capitalisti (fra cui l’Italia), per il profitto e non crediamo alla pace fra lupi e agnelli. Anche se siamo per la pace, crediamo che la guerra contro gli sfruttatori sia necessaria e giusta. Per questo noi non siamo genericamente contro tutte le guerre, ma solo contro le guerre imperialiste di rapina; per noi la parola d’ordine di Lenin «trasformare la guerra imperialistica in guerra civile» è tuttora valida e va perseguita e praticata. Per questo serve un partito della classe operaia e proletaria. A chi pensa di cambiare il sistema di sfruttamento capitalistico con le elezioni, in modo pacifico, ricordiamo quello che Lenin ha scritto: «Una classe oppressa che non si sforzasse di imparare a servirsi delle armi, meriterebbe semplicemente di essere trattata da schiava». Oggi l’unica violenza ammessa e “legale” é quella dello Stato capitalista che la usa a difesa della proprietà privata dei mezzi di produzione e del suo sistema economico-politico di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, contro le lotte operaie e sociali che mettono in discussione il sistema e ostacolano il profitto. In questi anni molti borghesi pseudo-marxisti al servizio dell’imperialismo hanno revisionato Lenin e soprattutto Marx - epurato dall’aspetto del militante rivoluzionario, trasformato semplicemente in un grande pensatore economista da studiare nelle università borghesi, nascondendo che è stato proprio Marx stesso che ci ha insegnato che «... l’arma della critica non potrebbe mai sostituire la critica delle armi». Tuttavia noi non siamo, come sostengono i calunniatori del movimento operaio, fautori della violenza fine a se stessa. Noi costatiamo semplicemente che la violenza è un fatto sociale, che è la conseguenza dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo che - per i borghesi che hanno ricchezze, vantaggi e privilegi - è il mezzo per mantenere ed estendere il loro dominio. La storia insegna che ogni classe sottomessa, per cambiare la società, ha dovuto fare inevitabilmente ricorso alla violenza organizzata e collettiva per liberarsi e assicurare così il cammino progressivo dell’umanità. La lotta armata e la violenza furono necessarie nella Resistenza per sconfiggere il nazifascismo. Lo stesso accadde nella guerra di Spagna, dove a difendere la Spagna repubblicana, accorsero operai e i contadini come volontari delle Brigate Internazionali. Lo stesso accadde durante la Comune di Parigi, primo tentativo del proletariato rivoluzionario di dare “l’assalto al cielo” e nella Rivoluzione Proletaria in Russia in cui gli operai e contadini organizzati presero il potere. Chi detiene il potere e fa leggi usa tutta la forza dello Stato, la sua violenza “legale” per sottomettere e reprimere coloro che mettono in discussione i suoi interessi. Una classe operaia organizzata nel suo partito, che lotta per un sistema sociale socialista; che lotta contro la società che legittima lo sfruttamento; che si pone l’obiettivo di abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione e i privilegi, non può illudersi di conquistare il potere pacificamente e gli esempi storici lo dimostrano.
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Miracoli del capitalismo
Operai schiacciati e territori devastati. Una cronaca dal Veneto Luciano Orio “Avere a che fare con le macchine comporta sempre un certo rischio, perché la carne è carne, e le macchine, a volte, sembra che partano da sole… Le macchine in generale, ma le presse specialmente. Difficile che passi un anno senza che, sul “Giornale di Vicenza”, non ci sia almeno un articolo in cronaca che descrive come un operaio, più o meno esperto, addetto a una pressa, più o meno grande, sia rimasto inspiegabilmente schiacciato appunto sotto la pressa che stava pulendo, non senza prima averla opportunamente messa in sicurezza, ovvero disattivata, senza contare che, per attivarla, sempre così l’articolo, bisognava sempre premere non uno, ma due pulsanti contemporaneamente; eppure eccetera; e visto che non credo che le presse vicentine siano più maledette delle altre, presumo sia così più o meno ovunque, in Italia e anche fuori d’Italia. Personalmente, forse anche per la mia esperienza, delle macchine in generale, e delle presse in particolare, non mi sono mai fidato. Mi ci sono infilato sotto solo una volta, e una volta mi è bastata. Bruttissima esperienza. Stesi su una piastra d’acciaio, con sopra un’altra piastra d’acciaio, cioè dentro una macchina che è fatta apposta per schiacciarti non appena si presenti l’occasione, ci si sente esattamente così: una buona occasione”. È questa la testimonianza di un lavoratore divenuto scrittore, il vicentino Vitaliano Trevisan, nel suo romanzo autobiografico Works, ad illustrare alcuni casi di quella calamità che sotto il nome di “incidente sul lavoro” sta mietendo vittime oltre ogni precedente nei posti di lavoro del Veneto. La provincia vicentina è capolista nella speciale classifica dei morti e degli infortuni sul lavoro nel Veneto e, pertanto, tra le prime in tutto il paese. Un nuovo record per i padroni (li chiamano anche imprenditori) e tutta la classe dirigente leghista e politico affarista e arraffista. Riportiamo alcuni dati. In Veneto sono state registrate dieci vittime al mese, facendo salire fino al 26% l’incremento della mortalità, più del doppio rispetto alla media nazionale (+10%). Nel 2018 ci sono state 115 vittime (69 e 46 in itinere), 24 in più rispetto al 2017. Gli infortuni non mortali sono stati ben 76.486, 2386 in più dell’anno precedente. Ma si sa, le cifre allarmano poco, ma poi allarmare chi? E perché? Le cifre non si perdono, restano, negli archivi, ma i casi umani, le persone, le vite, sì. È allora il caso di entrare di più dentro le notizie. Non quelle fornite dai mass media, che appaiono nel tg regionale e che vedi nel Giornale di Vicenza il giorno dopo con foto della vittima e circostanze dell’incidente e poi non vedi più niente perché la vicenda si affida alle “indagini di rito”. No. Sebastiano La Ganga, Mariano Bianchin, Maurizio Bovo. Il primo era esperto escavatorista, messinese d’origine, abituato al lavoro lontano, trasferitosi al nord con la famiglia per seguire i lavori della Spv (Supestradapedemontanaveneta). E’ in questo cantiere che ha trovato la morte, schiacciato da un enorme masso staccatosi dalla volta della galleria. La famiglia è stata risarcita dall’assicurazione dell’impresa (il consorzio SIS) con un milione di euro ed è uscita dal procedimento legale. La procura aveva aperto un’inchiesta, ma la perizia esclude una colpa organizzativa dell’impresa, così come carenze
del progetto, a sentire l’avvocato degli indagati. L’infortunio è successo per un errore umano… il progetto non è stato rispettato…concatenazioni sfortunate. Insomma, tocca al PM, al termine delle indagini, esprimersi. Boh, aspettiamo. Nell’attesa emergono gli sconcertanti contenuti delle intercettazioni disposte dalla procura ai capicantiere. “Gli operai hanno paura, non vogliamo entrare in galleria, dicono, che viene giù tutto”. Fessurazioni e crepe erano evidenti; c’erano distacchi di cemento dalla volta quando si usava l’esplosivo per andare avanti con lo scavo…. Tutti risultano consapevoli che i materiali usati (cemento, acciaio, tubi, pozzetti) non erano conformi alle normative, cioè meno resistenti del dovuto. La procura ha fatto sequestrare tutto e ha ordinato di puntellare la galleria. Incazzatura di costruttori ed imprenditori. Lite Lega/5 stelle. Nel frattempo Salvini e Zaia, in pompa magna, inaugurano i primi sette km di questa autostrada che giorno dopo giorno si rivela sempre più come un autentico flagello, una calamità per la popolazione locale. La procura dissequestra. Cosa resta della morte di questo operaio? Mariano Bianchin ha 50 anni e lavora alla Smev, metalmeccanica di Bassano del Grappa, da molto tempo, quando quel giorno di gennaio del 2016, nel posizionare degli spessori sotto la pressa, questa si era messa in movimento, schiacciandolo. Risulta che le fotocellule installate a protezione della zona pericolosa erano state disattivate e che ai comandi della pressa fosse un lavoratore interinale istruito pochi minuti prima. Le fotocellule erano state disinserite par aumentare il ritmo di lavoro. Un aumento che è costato la vita a Mariano. C’è un’accusa di omicidio colposo: i vertici aziendali hanno consentito l’uso del solo comando a pulsantiera, senza aver nemmeno informato gli operai del pericolo e affidato il comando della macchina a lavoratori inesperti. Ci sono degli avvisi di garanzia. A chi? Ai cittadini tedeschi, Roger Maurer e Thomas Maile, presidente e amministratore delegato della Smev, i quali lo hanno ricevuto con molto ritardo, perché irre-
peribili, e continuano in fase preliminare nell’atteggiamento ostruzionistico nei confronti della giustizia italiana (ricordate Thyssen Krupp?). Già perché in Germania la legge non prevede la responsabilità penale dei dirigenti e nei casi di incidenti sul lavoro risponde solo la società. La direzione aziendale si è comunque premurata di recapitare alla famiglia della vittima una vergognosa offerta in denaro, per ritirarsi dal procedimento. L’offerta è stata rifiutata. Si era offerta pure di pagare le spese del funerale, ma ha ritirato l’offerta nel momento in cui la famiglia si è rivolta ad un legale. A settembre ci sarà l’ultima udienza preliminare poi dovrebbe iniziare il processo. Su Maurizio Bovo, 57 anni di Valdagno, metalmeccanico anche lui, di parole possiamo spenderne davvero poche. C’è la sua foto, in ferie, ancora un ragazzone, moglie e due figli, due anni per la pensione… È morto travolto da una trave d’acciaio staccatasi dal carro ponte. Non ha avuto scampo. Un paio di giorni in cronaca con una doverosa nota, di spalla, sull’incremento degli infortuni in regione e poi basta. Il resto secondo copione, cioè indagini di rito, carabinieri, Spisal, magistratura… Si chiuderà così? Per rimanere fedeli alla citazione iniziale, abbiamo illustrato tre casi di operai morti per schiacciamento. Una modalità che interessa molti altri decessi sul lavoro. Gli operai, infatti, possono anche morire schiacciati da un camion in manovra, da una ruspa, dal più classico muletto, dal trattore. Alle Acciaierie Venete di Padova, sono stati travolti in quattro da un contenitore di acciaio fuso piombato a terra, due sono deceduti, gli altri ne porteranno per sempre i segni. Per il resto, cioè per gli altri modi con cui gli operai perdono la vita nei luoghi di lavoro, si tratta soltanto di far mente locale a quegli articoli che troppo brevemente compaiono in cronaca e che troppo in fretta sono dimenticati. Con il metro della coscienza di classe vi si potranno trovare situazioni e casi da far tremare le vene ai polsi per la rabbia. L’ultimo il 22 luglio: “Stroncato da un malore mentre lavora in cantiere: stramazza al suolo e muore sul colpo”. Che cosa è successo?
Il “caldo africano” – dicono giornali e tv – ha mietuto una vittima: Ferruccio Cillo, operaio di una cooperativa addetta per il comune di Pozzonovo alla manutenzione stradale. Già, il “caldo africano” è il killer silenzioso che ghermisce la vittima, un operaio di 67 anni, a mezzogiorno di una giornata insopportabile per temperatura e umidità, dietro a una strada trafficata. Questo operaio non avrà nemmeno il diritto ad essere catalogato come vittima del lavoro; è il caldo africano che l’ha ucciso. Come si può parlare di fatalità dietro a questa strage ininterrotta? I casi che abbiamo indicato dimostrano che la tragica fatalità non esiste. Responsabili sono padroni e dirigenti, responsabile è il modo di produzione capitalistico, la competitività, la rincorsa ai profitti che fanno attribuire un inconsistente valore alla vita umana (degli operai). La sicurezza è un costo aziendale che va abbattuto, come i salari, aumentando l’intensità dello sfruttamento, l’orario e i ritmi per addetto, creando competizione tra i lavoratori attraverso il ricatto occupazionale. In questa desolazione i lavoratori non sono più persone, ma “risorse umane”, “capitale umano” o esuberi quando va peggio. Quanto diciamo è facilmente verificabile, soprattutto per i lavoratori delle ditte in appalto. Ogni appalto infatti è basato sull’abbattimento del costo del lavoro e sull’aumento della produttività, due elementi che producono inevitabilmente poca sicurezza. I problemi di salute e sicurezza stanno al centro degli interessi dei lavoratori che per essi hanno scioperato e lottato. La nostra lotta di classe quindi deve interessare questi temi, così come è stato nel passato, più o meno recente*. La semplice denuncia dei misfatti del capitalismo non può più bastare se ad essa non si accompagnano azioni, iniziative, l’aumento generalizzato della conflittualità nelle fabbriche e nei territori. La strage di operai sul lavoro e di lavoro mette a nudo l’intero sistema di sfruttamento e rende evidente a tutti la fine di ogni garanzia (i diritti) sul lavoro. I padroni devono trovarsi davanti al problema di una manodopera che non obbedisce più, nemmeno alla disciplina sindacale. Davanti a territori determinati a presentare il conto delle loro devastazioni. Loro, hanno da tempo rotto ogni relazione di stabilità nei loro rapporti con la classe operaia. Hanno disposto un’offensiva di classe che è divenuta guerra generalizzata e ogni compromesso sindacale si rivela per quello che è: una sconfitta. *“... il caso forse più drammatico fu quello dello sciopero del Black Lung, del “polmone nero”, in West Virginia. Una fredda mattina di febbraio, nel 1969, alla miniera di Winding Gulf District, nella West Virginia, un minatore, stanco della mancanza di progressi sulle questioni della salute e della sicurezza, versò per terra la propria acqua. Questo atto di ribellione era l’appello tradizionale agli altri minatori a unirsi in sciopero. I suoi compagni di lavoro incrociarono le braccia e nel giro di cinque giorni lo sciopero selvaggio si estese a 42.000 dei 44.000 minatori di carbone della West Virginia. Essi continuarono lo sciopero per 23 giorni, fino a quando l’Assemblea Legislativa dello Stato approvò una legge sull’indennizzo per le vittime della pneumoconiosi – il “polmone nero” – la malattia più temuta dai minatori.” (Jeremy Brecher, Sciopero! – 1997).
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imperialismo e guerra
Le mire imperiali del capitale mondiale
Quando si dice che l’imperialismo e le rivalità interimperialistiche sono cose passate... Fabrizio Poggi Stati Uniti contro Europa, Russia a favore dell’Europa; Russia che vuol distruggere l’Europa, USA alleati dell’Europa contro la Russia; Europa e USA a braccetto contro Russia e Cina; Russia e Cina alleate dell’Europa contro gli USA... determinazioni che, già da diversi anni, rischiano di invecchiare in fretta. Ma, soprattutto, prossime all’astrattezza, se prese così, di per sé, quale semplice dato geopolitico, che fotografa un asettico “mondo multipolare”, senza scrutare le forze sociali interne che muovono quei soggetti. Una pura immagine, dunque, che solo nella forma si discosta dall’aperta genuflessione filo-atlantica del neo-segretario del PD - quel Nicola Zingaretti presentato come il “nuovo”, rispetto a grembiulini, squadra e compasso di passate gestioni di quel partito – che osanna USA e NATO quali incarnazioni del “tessuto del multilateralismo internazionale”. Un “mondo multipolare”, certo, e di sicuro in continuo movimento, conformemente alla legge dello sviluppo a balzi del capitalismo e della conseguente rincorsa tra potenze capitalistiche, di cui ora una sorpassa le altre e un momento dopo viene a sua volta sorpassata, mentre altre vecchie potenze non reggono più la concorrenza e soccombono, anche se fanno di tutto per rimandare la propria fine. Sono gli stessi analisti di una delle banche più potenti al mondo, la JPMorgan Chase, a scrivere nero su bianco che “nei prossimi decenni l’economia mondiale passerà dal dominio degli Stati Uniti e del dollaro USA a un sistema in cui l’Asia eserciterà un maggiore potere”. È sempre più appariscente la crisi dell’egemonia anglosassone: secondo Fortune, tra le prime 500 imprese multinazionali del pianeta, ce ne sono 129 cinesi, contro 121 USA. Per quanto riguarda le banche, l’Ufficio Studi di Mediobanca classifica: Industrial and Commercial Bank of China, Agricultural Bank of China, China Construction Bank e, soltanto quarta, proprio la JpMorgan Chase, davanti a un altro istituto cinese, la Bank of China. È in questa continua “rivoluzione” geopolitica, d’altra parte, che perdurano anche alcune costanti.
La minaccia nucleare USA Ad esempio, un paio di mesi fa, il Consiglio statunitense per le denominazioni geografiche ha deciso di mutare la trascrizione internazionale del nome della capitale ucraina, da “Kiev” in “Kyiv” - ovviamente, la decisione è stata presa dal padrone di casa – ma ciò che invece Washington non ha cambiato, o ha adattato ai tempi, è l’elenco delle città della Russia verso cui sono puntati i missili americani, rispetto alla lista di obiettivi scelti sessant’anni fa contro l’URSS. Allora, il primo colpo nucleare era previsto sugli aerodromi bielorussi di Bykhov e Orša, in cui erano stanziati i bombardieri strategici M-4 e Tu-16, seguiti poi da altri 1.100 aeroporti; dopo, sarebbe toccato a Mosca, Leningrado, Gorkij, Kujbyšev, Sverdlovsk, Novosibirsk, oltre a Pechino, Varsavia, e alcune altre decine di città, in cui l’obiettivo era costituito dalla popolazione civile. Al momento, quantomeno in apparenza, quella del lancio di missili nucleari sembra “l’ultima opzione” e la contrapposizione USA-NATO con Mosca si manifesta con il dispiegamento di uomini e mezzi sempre più vicino ai confini russi e manovre militari ininterrotte, dal mar Baltico al mar Nero, dalla Polonia ai Paesi baltici, dalle coste della Germania a quelle della Romania, ecc. Ma la Russia di oggi, se non è certo l’Unione Sovietica (come non di rado dimenticano certuni, anche a sinistra, presi da nostalgie che confondono soggetti tra loro non comparabili: litri con metri, per dire), non è però nemmeno più la Russia degli anni ‘90, quando le doglie della “accumulazione originaria” la rendevano una sorta di saloon da far-west, in cui “sparare al pianista” costituiva il passatempo quotidiano delle bande che si contendevano territori, si spartivano industrie, le svendevano ai capitali stranieri... La fobia antisovietica e l’ingordigia del capitale internazionale stavano allora svegliando il “genio della lampada”, che poi avrebbe messo in pericolo la supremazia di monopoli americani ed europei: ciò che sta accadendo oggi. Lo ha ribadito chiaro e tondo, per chi nutrisse ancora qualche dubbio, Vladimir Putin al forum economico di Piter nel giugno scorso: se nel 2007 il Presidente russo aveva avvertito che l’Occidente era sull’orlo di un pericoloso confronto, ora ha illustrato la dottrina russa di contrapposizione globale con gli USA, non riconoscendo più il sistema di dominio mondiale degli Stati Uniti. “Mosca lancia una sfida totale a quel sistema” dice il politologo Aleksandr Khaldej e “si unisce con la Cina e con quei soggetti mondiali che non hanno perso la volontà di salvarsi dal giogo americano”. Mosca dichiara apertamente l’esistenza di due blocchi: con gli USA e contro di essi e, per la prima volta, Putin ha annunciato l’obiettivo di dividere l’Europa dagli Stati Uniti, mostrando, con l’esempio del “Nord Stream 2” - su cui la Germania, nonostante le minacce di Trump, non intende fare marcia indietro - la non corrispondenza degli interessi europei con quelli USA. L’Europa non è più nemmeno un vassallo per gli Stati Uniti, ha detto in pratica Putin, ma è diventata una preda.
Le mire imperialiste europee Valutazione, questa, in larga parte condivisibile, salvo le ambizioni (e, soprattutto, le potenzialità) di tale “preda” di farsi a sua volta cacciatore, a partire dallo strumento militare, con cui Washington
Tutti con tutti e contro tutti
tiene da decenni sotto controllo il vecchio continente: i passi sempre più concreti verso la costituzione dell’Esercito europeo, in contrapposizione alla NATO, sono lì a dimostrarlo. Quanto valgano, in questo quadro, le lamentazioni di quel fogliaccio chiamato “Democratica”, lo si può dedurre dalle grida di sdegno lanciate in occasione dei presunti rubli russi alla Lega e ai “presunti affari con uno Stato estero in conflitto con l’Unione europea... e in competizione con le tradizionali alleanze internazionali del nostro Paese che hanno allarmato cancellerie e diplomazia internazionale”. In sostanza, da una parte i fascio-leghisti dagli elmi cornuti sono stati accusati di aver sollecitato per sé “l’oro di Mosca”; dall’altra, i demo-reazionari di livella e filo a piombo urlavano che si tratta di un fatto “inquietante”, soprattutto perché, dicono, vi sarebbe correlata la volontà dei fascio-leghisti giussaniani “di cambiare l’Europa” e farla “essere molto più vicina alla Russia”. Quindi, “Non si può tollerare il sospetto che il partito del Ministro dell’interno abbia bussato a quattrini al portone di una potenza nemica”, oltretutto portatrice di un “programma che richiama alcuni degli obiettivi di fondo che l’Unione sovietica perseguiva negli anni della Guerra Fredda nei confronti delle democrazie liberali e del progetto comunitario europeo”. Mancava solo, a coronare cotanto afflato patriottico, che i demo-atlantici dal maglietto e scalpello intonassero l’inno “il Piave mormorò”, pur anche tacendo, per timido impulso di pudore, sul “non passa lo straniero!”, dal momento che è già in casa, da settant’anni, da Aviano a Ghedi-Torre (nelle due basi sono dislocate 75 delle 150 bombe nucleari B-61 che gli USA tengono in Europa), da Camp Derby, a Sigonella a Napoli, da Vicenza a La Maddalena a Comiso; rispondono ligi ai suoi ordini, tanto i carrocci di Pontida, come ha ribadito a Washington il fascioleghista numero 1, sia i compassi con squadre di Rignano. Trzecia Rzeczpospolita Polska über Deutschland La finanza e i monopoli europei ambiscono da tempo ad andare per conto proprio, a far affari dove, quando e con chi vogliono, senza obbedire ai comandi USA. Ma, altrettanto da tempo, c’è chi ambisce a ergersi a paladino degli interessi USA e rafforzare il proprio ruolo sul vecchio continente: “Più esercito USA sul fianco orientale della NATO”, titolava a giugno il polacco Rzeczpospolita, pur se la missione oltreoceano del Presidente Andrzej Dudą non aveva portato i risultati attesi, dell’apertura (nemmeno con soldi polacchi) della base “Fort Trump” e di un’intera Divisione USA, cui ambiva Varsavia. Quasi che non bastassero i quindicimila soldati “alleati” presenti in Polonia, le unità corazzate, aerei, unità logistiche e di comunicazione, forze speciali, battaglione multinazionale NATO a Orzysz, la base missilistica a Redzikowo e la base aerea di Łask, con caccia F-16. Soprattutto, i colloqui Trump-Dudą avevano anche sfumature anti-tedesche: non a caso, alla vigilia di essi, l’ambasciatore tedesco in Polonia si era opposto pubblicamente a una base militare americana permanente in territorio polacco. Il fatto è che, osserva rubaltic.ru, se militarmente “Fort Trump” sarebbe diretto contro la Russia, in termini politici è non meno diretto contro la Germania e la “Vecchia Europa” nel suo complesso. Ma, se sul versante militare le porte sembrano abbastanza ben serrate e Trump non ha fretta di trasferire ulteriori truppe sul vecchio continente, ecco che Varsavia, costatando come Berlino continui a spostare verso est l’asse della propria politica estera, principalmente per la questione del gasdotto “North stream 2”, prova a rafforzare i legami inter-oceanici per altro verso, decidendo di procedere alla realizzazione nel Baltico, vicino a Danzica, di un terminale galleggiante per il gas di scisto USA, che andrà a raddoppiare quello di Świnoujście, in fase di modernizzazione. Come noto, infatti, i contrasti tedesco-americani, oltre che sul bilancio militare che, per Berlino, è oggi intorno all’1,2% del PIL, vertono principalmente sul gas, e non solo. La Casa Bianca chiede alla Germania di ridurre sia l’acquisto di gas dalla Russia, sia l’importazione dalla Cina di componenti informatici, sia gli scambi con l’Iran.
Dunque, al forum di Piter, ricorda ancora Khaldej, Putin ha definito gli Stati Uniti predoni, briganti, pirati: un diretto tentativo di delegittimare l’egemonia americana; un predone, infatti, non è un normale “concorrente”, è un criminale, con cui si parla il linguaggio della forza. In pratica, Putin ha detto che Russia e Cina sono pronte alla guerra (per ora, solo commerciale, per lo più), mettendo di fatto in dubbio, ora anche pubblicamente, la leadership USA nelle varie aree del mondo in cui si incuneano Russia, Cina ed Europa. È così che Mosca sta discutendo con Pechino l’abbandono del dollaro negli scambi bilaterali; lo stesso fa Mosca con Bruxelles - euro e rubli - nel commercio dei prodotti energetici e lo stesso con l’India, mentre espande la cooperazione con l’Iran, per rafforzare ulteriormente le posizioni russe nell’area mediorientale. È così che la Cina esorta gli stati asiatici della Shanghai Cooperation Organisation (SCO: Cina, Russia, Kazakhstan, Kirghizia, Tadžikistan, Uzbekistan) a costruire “una nuova architettura di sicurezza integrata” nella regione. Contrapposizione, dunque; insieme a un intreccio di interessi per cui, secondo uno studio riportato dalle Izvestija, la Russia è tornata tra i primi dieci paesi europei con i maggiori volumi di investimenti esteri diretti e, tra i paesi investitori, proprio gli USA sono uno dei primi, insieme a Germania, Cina, Francia e Italia. Da parte sua, la Russia, secondo il rapporto annuale BP, mantiene il quarto posto per le forniture di gas liquefatto (GNL) in Europa, con una quota del 10%, dietro a Qatar (32%), Algeria e Nigeria (17% ciascuna) e davanti a Norvegia (6%) e USA (5%). Contrapposizione che si manifesta anche nel confronto tra mezzi militari USA e russi, in una concorrenza che prevede anche scontri diretti tra armamenti avversari, per accaparrarsi nuovi clienti sul mercato delle armi. Così che, se gli USA reclamizzano in tutto il mondo i propri F-35 (ma l’Europa sta lavorando al proprio caccia, il cosiddetto Future Combat Air System, successore dell’Eurofighter Typhoon e del Dassault Rafale, nonostante il cosiddetto “filo-russo” Salvini confermi per l’Italia l’acquisto obbligato dei costosissimi e inaffidabilissimi F-35) da Mosca rispondono che quegli aerei sono alla facile portata dei missili russi S-300, S-400 e S-500. E così per tutte le altre armi, dai carri armati, ai sommergibili, ai bombardieri. Per un altro verso, nello scontro con la Cina, Washington cerca la sponda russa, anche se, a proposito di presunti “scambi” TrumpPutin per le sfere d’influenza su Venezuela e Ucraina, non sembra proprio che si debba arrivare ad alcun baratto. Il solito Aleksandr Khaldej sostiene che entrambi hanno bisogno di ambedue le zone: “i paesi globali hanno interessi globali”, siano USA, Russia o Cina. Era così già ai tempi dell’URSS, quando si scherzava sullo slogan “abbiamo bisogno della pace” e qualcuno rispondeva “sì, e preferibilmente tutto”, giocando sul termine mir, che in russo significa sia pace che mondo. Mosca e Washington non si scambieranno zone di influenza: casomai, si preparano a sottrarsele, in ogni parte del mir, e la cosa riguarda a maggior ragione aree chiave quali Ucraina e Venezuela. L’abbandono dell’Ucraina da parte degli USA, afferma Khaldej, rafforzerebbe la Russia e significherebbe l’avvio di un ristabilimento delle frontiere dell’ex URSS sotto egida di Mosca e l’inevitabile alleanza con Pechino: cioè, il colpo di grazia per gli Stati Uniti. Perciò, difficilmente la Casa Bianca la cederà. Per evitare questo, l’ex assistente di Ronald Reagan, Douglas Bandow, auspica il miglioramento dei rapporti USA-Russia sulla base del riconoscimento della Crimea russa e l’arresto dell’espansione a est della NATO, in cambio però di una “sciocchezza”: la fine del sostegno russo al Donbass! Un’ipotesi fantasiosa, dettata da un’unica preoccupazione, sempre più evidente alla luce della guerra commerciale USA-Cina: quella di una più stretta collaborazione tra Mosca e Pechino. Il politologo Dmitrij Drobnitskij ricorda infatti il cosiddetto “triangolo Kissinger” degli anni ‘70, secondo cui interesse USA è quello di tenere Mosca e Pechino più vicine a sé di quanto non lo siano l’una con l’altra, uno dei cui effetti collaterali, però, sottolinea Svetlana Gomzikova su Svobodnaja Pressa, in fin dei conti è stato quello di far sì che, anche grazie a quella politica nixoniana, qualche decennio dopo la Cina divenisse la prima economia del mondo, “parte integrante non solo dell’economia globale, ma anche parte inseparabile della cosiddetta Cimerika”. In sostanza, l’ipotesi di Bandow sarebbe quella di dichiarare pari pari a Mosca “fai quello che vuoi con l’Ucraina, ma, per l’amor del cielo, smetti di avvicinarti alla Cina”. Questo, nonostante che, secondo il mensile russo “Vita internazionale”, il tasso di crescita dell’economia cinese nel secondo trimestre del 2019 sia rallentato fino al minimo storico dal marzo 1992, a causa della guerra commerciale con gli USA, del rallentamento del commercio mondiale e della crescente sfiducia degli investitori. Di fatto, Washington continua, come per il passato, a manovrare per isolare la Russia da quelle ex Repubbliche sovietiche rimaste apparentemente “neutrali”: principalmente Kazakhstan e Bielorussia, dopo le aperte “conversioni” di Paesi baltici, Georgia, Azerbajdžan, Ucraina, e gli ondeggiamenti delle Repubbliche minori centro-asiatiche, aree in cui gli USA, per loro ammissione, contrastano “l’influenza malvagia della Russia”. L’esempio più diretto è quello della Kirghizija: nel 2015, Biškek aveva denunciato l’accordo di collaborazione con gli USA; poi, lo scorso anno, il Presidente Sooronbaj Žeenbekov,
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venezuela e diritti umani
Solidarietà contro un criminale blocco
Intervista con Rafael Aguirre, segretario del COSI (Comité de Solidaridad Internacional) del Venezuela L’11 luglio scorso abbiamo intervistato per “nuova unità” nel corso di una riunione il Segretario generale del COSI venezuelano. Il COSI è un’organizzazione venezuelana fondata nel 1971, e fa parte del Comitato Esecutivo del Consiglio Mondiale per la Pace. nu. Sei di ritorno dalla Svizzera e come mai sei qui in Italia? R. Abbiamo partecipato alla riunione del Consiglio per i Diritti Umani sul Venezuela che si è svolta recentemente a Ginevra e abbiamo approfittato dell’occasione di visitare Milano grazie all’invito che ci hanno fatto alcune organizzazioni politiche e sociali come il Comitato contro la Guerra di Milano con l’obiettivo, in primo luogo, di dare un riconoscimento all’immensa solidarietà che hanno manifestato le organizzazioni italiane, il popolo italiano, verso il nostro popolo. Sappiamo delle assemblee, delle manifestazioni e dei presidi nelle strade nelle quali avete espresso la vostra solidarietà e soprattutto che avete manifestato perché sapete che il nostro paese è coinvolto in una guerra imperialista che ha l’obiettivo di appropriarsi delle nostre risorse strategiche. Abbiamo anche colto l’opportunità per venire a denunciare ciò che oggi significano le misure coercitive unilaterali - le sanzioni economiche contro il nostro paese - per parlare della difficile situazione in cui si trova il nostro popolo come risultato della recrudescenza di queste sanzioni criminali da parte dell’imperialismo nordamericano e dei paesi dell’Unione Europea, che colpiscono fondamentalmente il suo diritto all’alimentazione, alla salute, alla casa, all’insieme dei diritti sociali che, nel quadro del nostro processo, abbiamo potuto garantire al nostro popolo e che l’imperialismo non vuole permettere; per questo strangolano l’economia venezuelana, impongono un insieme di misure a livello internazionale per impedire le transazioni commerciali del Venezuela, per impedire la vendita del suo petrolio a livello internazionale. Un insieme di azioni in campo economico, finanziario e commerciale che non ha altro risultato che la sofferenza del nostro popolo. nu. C’è un motivo particolare per stare proprio qui a Milano? Mi sembra che ci sia una connessio-
ne con alcuni pazienti venezuelani che avrebbero bisogno di cure particolari.. . R. Sì. Effettivamente in Italia abbiamo un esempio vivo delle conseguenze che il blocco contro il nostro paese produce. In Italia ci sono attualmente 27 pazienti che stanno aspettando il trapianto di midollo osseo, un trattamento immensamente costoso in qualsiasi luogo del mondo e che solamente un governo che metta al centro la giustizia sociale è capace di farsene carico. E, specificamente nel caso del Venezuela, il nostro governo lo sta facendo da molti anni. Ma oggi gli è diventato impossibile perché non può onorare gli impegni di spesa a livello internazionale in conseguenza della crisi. In particolare, nel caso dell’Italia, il Venezuela si è visto cancellare il pagamento di 11 milioni di euro alle varie istituzioni sanitarie per poter seguire queste 27 famiglie che si trovano qui in attesa del trapianto, 11 milioni che sono stati pagati dal Venezuela attraverso il Novo Banco del Portogallo e che sono stati trattenuti e bloccati da questa banca in conseguenza della crisi. nu. Chiariamo bene: il governo venezuelano ha già pagato? R. Sì, ma i fondi per il trattamento di questi pazienti sono bloccati. Durante questo processo di pagamento e successivo blocco dei fondi venezuelani sono già morti 3 pazienti. Così possiamo vedere, e toccare con mano, quelle che sono le criminali azioni degli Stati Uniti e le nefaste conseguenze che hanno per i venezuelani, compatrioti che stanno soffrendo e che hanno familiari malati in Italia. In particolare nella zona di Milano c’è un gruppo di pazienti che si trovano qui da tempo e hanno una complessa situazione di gravi difficoltà, con problemi per mangiare, con problemi per continuare le cure, con problemi di alloggio. Noi, in primo luogo, chiediamo alle organizzazioni sociali che alzino la loro voce, che si facciano sentire
segue da pagina 4 si era pronunciato per la ripresa della cooperazione. In risposta, il Dipartimento di Stato ha assicurato che gli Stati Uniti sono impegnati a rafforzare relazioni “basate sulla fiducia, l’uguaglianza e il rispetto reciproco”: tradotto, significa che il Pentagono punta alla riapertura della base aerea di Manas, attivata nel 2001 per le operazioni NATO in Afghanistan e chiusa nel 2014 per decisione dell’ex Presidente Almazbek Atambaev. Quanto poi a considerare “l’Europa” un’entità compatta, solo gli imbroglioni possono continuare a propagandarlo, visto come, nei fatti, la stessa leadership franco-tedesca oscilli ora a favore di uno, ora dell’altro dei due “Paesi guida”. La concorrenza mondiale procede a colpi di guerre valutarie, cioè di tentativi dei diversi Paesi di migliorare la propria posizione competitiva attraverso la svalutazione, per ottenere tassi di cambio relativamente bassi. Nel corso degli anni, tali manovre hanno favorito il dumping cinese, anche se non solo Pechino ha fatto ricorso alla svalutazione monetaria. Così, dall’inizio del 2019, la Banca popolare cinese ha “riversato”, senza eccessivo rumore, oltre 700 miliardi di dollari nel sistema bancario, fornendo prestiti al settore industriale e bancario: lo stesso che aveva fatto la BCE, in “Europa”, nei tre anni precedenti. Pompando oltre 2.6 trilioni di euro appena stampati nell’economia “europea” (quale delle economie europee?), la UE ha indebolito la valuta, con l’obiettivo di rendere i propri prodotti più competitivi nei mercati esteri. Donald Trump ha dichiarato che ciò è scandaloso, perché “le banche centrali dell’Europa e della RPC stanno manipolando il sistema finanziario per competere con l’America”. Vero; ma anche Washington ha fatto lo stesso per anni. Quando si dice che l’imperialismo e le rivalità interimperialistiche sono cose passate...
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per poter sensibilizzare e denunciare al popolo italiano le conseguenze di queste azioni. Chiediamo anche a queste organizzazioni che si parli di quello che ha significato e di cosa è, concretamente, un blocco contro un popolo, contro il popolo venezuelano. Vogliamo anche ricordare, nel quadro della solidarietà – che è la tenerezza dei popoli – che, come diceva José Martì, la solidarietà non è dare quello che ci avanza ma condividere quello
che abbiamo. Noi sappiamo, e lo riconosciamo, che le organizzazioni in Italia faranno quanto riterranno giusto nel quadro della solidarietà internazionalista per poter appoggiare queste famiglie come potranno, con molto o con poco... Rispetto a queste richieste che abbiamo fatto alle varie organizzazioni che abbiamo incontrato, abbiamo avuto risposte positive. Ci siamo incontrati con diverse organizzazioni politiche e sociali, con partiti comunisti, con Italia-Cuba, con il Comitato contro la Guerra di Milano che è quello che ha promosso gli incontri con maggiore entusiasmo, con il Centro di Iniziativa Proletaria che anch’esso ha messo a disposizione la sua forza e il suo gruppo politico per trattare questi temi, e speriamo di poter incontrare altre organizzazioni, di sommare volontà, di sommare un maggior numero di persone, di individualità, di organizzazioni che si sentano coinvolte in una causa sociale, per la difesa reale dei diritti umani in Venezuela. Se vogliamo difendere i diritti umani in Venezuela è questo il modo di farlo: non lo si fa con il bloqueo, non lo si fa con il nefasto Rapporto (di Michelle Bachelet, n.d.t.) che è stato presentato al Consiglio per i Diritti Umani a Ginevra. È solo con le azioni di cui abbiamo parlato prima che si difendono i diritti umani del popolo venezuelano. (Intervista e traduzione di Daniela Trollio CIP “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni
Il “Rapporto Bachelet” Daniela Trollio Nei primi giorni di luglio l’Alta Commissaria del Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU – Michelle Bachelet, ex presidentessa del Cile – ha presentato il suo Rapporto sul Venezuela. Un dato innanzitutto: delle 558 interviste su cui è basato il Rapporto, 460 sono state effettuate all’estero in Spagna, Argentina, Cile, Colombia, Ecuador, Brasile, Messico e Perù. Cioè l’82% degli intervistati non vive in Venezuela. Il Rapporto afferma che in Venezuela vengono violati i diritti umani. Mancano cibo, medicine, non c’è libertà di espressione, c’è corruzione; insomma una grave crisi umanitaria. Sappiamo che i “diritti umani”, come il “terrorismo”, sono i nuovi cavalli di battaglia dell’imperialismo per giustificare, agli occhi dell’opinione pubblica, le sue guerre di rapina. E il rapporto della Bachelet (figlia di un generale costituzionalista del governo Allende torturato a morte durante la dittatura, prigioniera lei stessa, che ha studiato al Collegio Interamericano di Difesa di Fort Lesley, che nel corso della sua presidenza si è distinta, sul tema, per essere la prima ad applicare, in democrazia, la Legge Antiterrorista di Pinochet contro il popolo Mapuche e per aver impedito la discussione sulla cancellazione di tale legge nel parlamento cileno, tanto che essa è tuttora in vigore) è una evidente dimostrazione di quanto sopra. Bachelet scrive che “Fino a questo momento un paese ha imposto sanzioni settoriali più ampie a partire dal 29 agosto 2017”. Questo misterioso paese – gli USA – non ha nome nel rapporto. L’uso di parole anodine come “sanzioni settoriali” – cioè il sequestro dei beni dello Stato venezuelano depositati all’estero, il blocco delle importazioni di cibo, di medicinali, di beni di prima necessità ecc. ecc. - ci ricordano tanto la definizione “danni collaterali” usata per evitare di dire “assassinio di civili innocenti”. Continua il Rapporto: “Siamo stati informati di carenze dal 60 al 100% di farmaci essenziali
in 4 delle principali città del Venezuela, tra cui Caracas. E anche che “L’Inchiesta nazionale sugli Ospedali del 2019 ha constatato che, tra novembre 2018 e febbraio 2019, 1.557 persone sono morte a causa della mancanza di medicinali negli ospedali”. Neanche una parola, nel rapporto, su alcuni fatti: 300 mila dosi di insulina pagate dallo Stato bolivariano del Venezuela non sono arrivate nel paese perché Citibank ha bloccato la vendita del medicinale che langue in un porto internazionale. O sul fatto che il laboratorio colombiano BSN Medical ha bloccato un carico di Primaquina, medicinale usato per la malaria. Bisognerebbe anche ricordare all’Alta Commissaria che in Cile, nel suo paese, secondo i dati dello stesso Ministero della Salute, tra gennaio e giugno del 2018 sono morti 9.724 cileni che erano in lista di attesa nel sistema sanitario pubblico. E che circa 23 operazioni effettuate dal Governo bolivariano tramite il sistema finanziario internazionale sono state bloccate l’anno scorso, tra cui 39 milioni di dollari per acquisto di alimenti, prodotti basici e medicine. Altro tema – toccato nel Rapporto e molto caro ai “difensori” dei diritti umani - è la mancanza di libertà di espressione. ” Secondo il Rapporto “Negli ultimi anni il Governo ha cercato di imporre un’egemonia comunicazionale, imponendo la propria versione dei fatti”. Bachelet sembra ignorare che la televisione via cavo – utilizzata in maggioranza in Venezuela, è proprietà di società private, come la stampa scritta, privata anch’essa per il 75%. Le stazioni radio pubbliche sono in totale il 32%. E non sa niente neanche del ruolo golpista delle reti “social” fin dal lontano 2002. E ci fermiamo qui con gli esempi. In sostanza il Rapporto della Bachelet contribuisce al disegno dell’impero di sconfiggere per fame un paese che da decenni lotta per la propria indipendenza reale, per il diritto a scegliere il proprio destino. Ironia della storia: più di 40 anni fa fu proprio così che lo stesso impero strangolò la patria dell’Alta Commissaria. Lei pare essersene dimenticata, ma i venezuelani no.
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attualità
C’è donna e donna...
Capitalismo e imperialismo hanno bisogno delle loro donne ai vertici europei
Daniela Trollio (*) Nello scorso luglio alcune donne sono salite agli onori della cronaca, occupando per giorni le prime pagine dei giornali, tanto da far pensare che spirasse un nuovo vento “femminista”. Cominciamo con le più conosciute. Christine Lagarde e Ursula von der Leyen sono diventate, rispettivamente e per la prima volta in quanto donne, direttrice della Banca Centrale Europea e presidente della Commissione Europea. La più nota, la francese Christine Lagarde, ex ministra nei governi conservatori di Chirac e Sarkozy, è stata presidente del Fondo Monetario Internazionale (FMI), ha avuto problemi giudiziari (per aver favorito un ‘grande elettore’ di Sarkozy) ed è stata riconosciuta colpevole di negligenza ma non ha ricevuto alcuna condanna perché – come ha stabilito il tribunale francese che l’ha condannata – “i fatti sono successi in piena crisi economica”: la regola “non disturbare il manovratore” vale sempre, in questi casi. Sotto la sua guida il FMI ha applicato una spietata politica di austerità fiscale verso i paesi sottosviluppati condannando le loro popolazioni alla disoccupazione e alla povertà crescenti pur di garantire il pagamento del cosiddetto “debito estero” e il salvataggio delle banche e delle corporations in crisi. Ursula von der Leyen, tedesca, è stata la prima donna nella storia della Germania ad occupare l’incarico di ministra della Difesa. È un’aristocratica, discende da una di quelle famiglie di industriali belgi del secolo XIX che fecero la propria fortuna con lo sfruttamento delle risorse naturali del Congo e con il traffico di schiavi. Ha simpatie per Israele, tanto che ha partecipato alla riunione congiunta, e ai successivi festeggiamenti, tra governo tedesco e quello israeliano nel 2008 per il 60° anniversario della nascita dello Stato sionista. Come Ministra della Difesa ha al suo attivo grandi investimenti da parte del suo ministero nell’acquisto, nella fabbricazione e nell’esportazione di armi, tra cui la fornitura di sottomarini all’India, operazione per la quale è stata indagata per corruzione. Insieme con Angela Merkel, Lagarde e van der Leyer rappresentano la triade delle donne più potenti d’Europa, tanto da far scrivere, rispetto a Lagarde, che questa “avrà l’opportunità di dimostrare che le cose sono diverse quando la mano è femminile; e, se è possibile, che si fanno meglio”. Domanda: il percorso di queste tre donne, pilastri della politica neo-liberista che ha affondato nella miseria più nera la Grecia (con 10.000 bambini morti per i tagli alla sanità, secondo la prestigiosa rivista medica inglese Lancet), che ci ha condannato alla disoccupazione strutturale, che favorisce frontiere – ricordate la retorica della caduta del “Muro”? Oggi l’Europa è orgogliosamente
piena di muri – per respingere e causare la morte di migliaia di migranti nel Mediterraneo, fa patti vergognosi con Israele e Arabia Saudita, alimenta il commercio di armi e le guerre in Medio Oriente... e via di questo passo, ci fa sperare che “la mano femminile” renda le cose migliori? Femminismo d’accatto, come se bastasse la condizione biologica e non la comprensione della radice della propria oppressione e sfruttamento per essere “femminista”. Il volto femminile del capitale e del suo potere non ha nulla a che spartire con le donne proletarie e lavoratrici, anzi, è il loro primo nemico. Ecco una breve lista di questi volti: Margaret Thatcher, l’affossatrice dei minatori inglesi; Golda Meir, uno dei primi boia del popolo palestinese; Madeleine Albright, che affermava che “era valsa la pena la morte di 1 milione di bambini iracheni”; Condoleeza Rice, Hillary Clinton ecc. e, per quanto ci riguarda, mettiamoci pure Elsa Fornero. Dietro di loro, come dietro le facce degli uomini che le hanno precedute, c’è il potere del grande capitale, dell’imperialismo, che non ha sesso né cuore ma solo l’anelito al massimo profitto, a qualsiasi costo. Le fanfare del “femminismo” non hanno invece suonato per Carola. Parliamo di Carola Rackete, la capitana tedesca del Sea Watch-3 (o per la meno conosciuta Pia Klemp, che ha anch’essa sfidato leggi disumane emanate da governi che si richiamano ai “diritti umani” e ai “nostri valori cristiani” per salvare migranti in mare). Il suo gesto le è valso non solo l’arresto, ma insulti di ogni genere. In un’intervista rilasciata appena arrestata, Carola
– che probabilmente deve anche scontare il fatto di essere “una” capitana, professione finora eminentemente maschile – ha fatto una perfetta analisi di classe di se stessa dicendo: “Sono bianca, nata in un paese ricco e con il passaporto giusto” e quindi ha sentito di dovere qualcosa a quei nostri fratelli disperati che rischiano la vita per sfuggire alla miseria, alla fame e alle bombe (le “nostre” bombe, quelle delle guerre umanitarie). Diventata il simbolo della resistenza e della lotta alle politiche anti-migratorie non solo di Salvini ma di tutta la fortezza Europa - dove possono liberamente circolare i capitali ma non le persone, soprattutto se sono povere - Carola non ha avuto peli sulla lingua. “L’Unione Europea sta finanziando i guardacoste libici e un regime che permette la tortura ed il traffico di esseri umani. L’Unione Europea non dovrebbe cooperare con tali organizzazioni. Finanziano dei criminali sapendo che sono tali. Mi vergogno che il mio governo, che un paese come la Germania, e l’Unione Europea diano appoggio a quei criminali” (intervista al quotidiano spagnolo El Paìs). E questo con buona pace di quanti affermano (a destra come Diego Fusaro, ma anche a “sinistra”) che persone come Carola sono complici dei trafficanti di uomini, facendo finta di ignorare dove stanno queste mafie e che esse vengono finanziate, tra l’altro, con le nostre tasse. Carola ha commesso anche un altro peccato, pericolosissimo di questi tempi. Non ha aspettato che “qualcuno” – il solito qualcuno che deve cominciare a fare qualcosa e poi noi ... forse ... gli andremo dietro – facesse qualcosa ma, in piena coscienza di quello che rischiava, ha deciso che
non valeva la pena di aspettare questo fantomatico “qualcuno” ed ha agito in prima persona. Ha fatto quello che il grande scrittore Eduardo Galeano definiva così: “Sono cose piccole. Non mettono fine alla povertà, non ci fanno uscire dal sottosviluppo, non socializzano i mezzi di produzione e di scambio, non espropriano la caverna di Alì Babà. Ma chissà che non scatenino l’allegria del fare e la traducano in azioni. E, alla fin fine, agire sulla realtà e cambiarla, anche di poco, è l’unico modo di dimostrare che la realtà è trasformabile”. E veniamo ad un’altra donna, la poco conosciuta in Europa ma notissima e amata in America Latina Marta Harnecker, che se n’è andata il 15 giugno scorso. Cilena, laureata a Parigi, nel 1968 tornava nel suo paese dove divenne professoressa di Materialismo Storico ed Economia Politica all’Università Cattolica del Cile, collaborando anche con il governo di Salvador Allende. Dovette abbandonare il suo paese dopo il colpo di Stato di Pinochet nel 1973 e si rifugiò a Cuba, dove ha trascorso il resto della sua vita. È stata anche consigliera del Comandante Hugo Chàvez e del Ministero del Potere Popolare venezuelano. Per tutta la vita ha studiato, dal punto di vista marxista, i processi di lotta popolare e di trasformazione dell’America Latina, che formano la materia delle sue opere. Così la definiva Samir Amin: “In questo senso lei è un’autentica marxista, che ha continuato il lavoro iniziato da Marx, senza timore di arricchirlo, assumendo permanentemente quanto di nuovo c’è nella realtà del mondo, del capitalismo, dell’imperialismo, delle lotte, rinnovando così la concettualizzazione, le proposte teoriche e quelle relative alle strategie di azione”. Tra i suoi circa 80 libri ricordiamo “Il capitale: concetti fondamentali”, “Popoli in armi”, “Rendere possibile l’impossibile: la sinistra sulla soglia del secolo XXI”, con cui diede al marxismo vivo una dimensione latinoamericana. Una donna, una teorica marxista, che ha vissuto, studiato e lavorato fuori e contro il mondo sempre più barbaro che ci dicono essere l’unico possibile. Vogliamo salutarla con le parole di chi crede - e lavora - invece per un mondo dove non ci sia più sfruttamento e oppressione dei lavoratori e dei popoli. Il boliviano Evo Morales ricorda che “con la forza delle sue idee ha ispirato la liberazione dei popoli dallo sfruttamento capitalista” e il venezuelano Nicolàs Maduro dice “la sua eredità è grande per l’importanza, la profondità e il carattere propositivo delle sue opere, dedicate alla causa dei popoli della Nostra America. Vola alto, compagna!”.
(*) CIP “G.Tagarelli” Sesto S.Giovanni
fresco di stampa
“Religione e comunismo”
Non un manuale di ateismo, ma l’analisi del conflitto tra il paradigma idealistico-metafisico dell’esistente e la visione scientifico-materialista Dal 30 maggio è vendita presso tutte le librerie un interessante lavoro realizzato da Concetto Solano, dal titolo “Religione e comunismo”. Il testo rappresenta una dettagliata e documentata critica del cristianesimo attraverso un’approfondita analisi dei testi, della storia, dell’apparato teoretico della religione cristiana. La religione viene vista come alienazione, cioè come riconoscimento del significato dell’uomo in un alius, in un altro – dio, appunto – elevato ad entità ontologica che dà significato e valore morale all’uomo. Da questa estraneità dell’uomo a se stesso ne è conseguita la legittimazione della sottomissione della donna all’uomo, la giustificazione delle disuguaglianze sociali, la legittimazione di tutte le forme di divisione della società in classi, a partire dallo schiavismo, fino ad arrivare ai giorni nostri. La pretesa dogmatica della “verità” della propria scelta ontologica, del proprio dio, ha comportato secoli di massacri e di persecuzioni, sia nei confronti delle altre religioni e di tutti gli esponenti di un pensiero critico i cui libri sono stati posti, fino al secolo scorso, all’Index librorum prohibitorum.
Non fanno eccezione le prese di posizione del papa Francesco I che, al di là di una parvenza apparentemente innovatrice, ricalca le posizioni più retrive della chiesa cattolica su questioni quali l’aborto, l’eutanasia, la famiglia e più in generale, la riproposizione fedele di tutto l’apparato dogmatico della chiesa. La seconda parte approfondisce la critica di Marx alla religione, a dio come atto teoreticamente arbitrario, cui consegue la fondazione di valori astratti, vuoti, e quindi disponibili ad ogni compromesso con le forze più conservatrici. La critica su basi teoreticamente rinnovate, realizzata dal materialismo storico di Marx, consente di porre sotto una nuova luce la critica alla fede, quale atto prelogico e teoreticamente inconsistente e di riportare, al tempo stesso, “la critica del cielo” alla “critica della terra”, superando il moralismo cristiano e realizzando una moralità criticamente costruita dall’uomo, finalmente artefice di se stesso.
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rassegna stampa
Notizie in breve dal mondo - luglio Stati Uniti e Germania – 15 /16 luglio
di navi che battono bandiera panamense per atti illeciti e conferma che la petroliera RIAH bloccata dall’Iran trasportava petrolio di contrabbando. La nave aveva già cambiato nome 4 volte tra il 2009 e il 2019 ed è proprietà di Prime Tankers LLC con sede a Dubai.
I cosiddetti Prime Days di Amazon sono stati “rovinati” da uno sciopero dei lavoratori dei magazzini Amazon negli Statii Uniti e in Germania. I lavoratori hanno paralizzato i depositi proprio nel momento in cui lavorano di più e in cui la stampa parla della società. In Germania 2.000 lavoratori hanno bloccato per 2 gioni 7 depositi. Negli Stati Uniti gli scioperi hanno interessato Minneapolis, Chicago, Portland. Negli stessi giorni organizzazioni per la difesa dei diritti dei migranti hanno appoggiato la protesta per denunciare la collaborazione di Amazon con il Servizio di Immigrazione e Controllo delle Dogane (ICE). Amazon ospita la base dati che gli agenti dell’ICE utilizzano per seguire gli immigranti che vogliono espellere.
Portorico, 24 luglio
Il governatore dell’isola Ricardo Rossellò, dopo un lungo silenzio, comunica che rassegnerà le sue dimissioni il prossimo 2 agosto, dopo dieci giorni di grandi manifestazioni popolari contro di lui. La crisi – che si somma alle accuse di corruzione verso il governo per dirottamento di fondi destinati all’educazione e alla salute - è nata dalla filtrazione delle sue conversazioni private in Telegram in cui scambiava con alcuni collaboratori messaggi di contenuto violento, misogino e omofobo.
Ecuador, 16 luglio
Proclamato lo sciopero nazionale, che durerà fino al 19, dei settori contadini, operai e indigeni contro le politiche neoliberiste del presidente Lenìn Moreno. Nel manifesto di convocazione dello sciopero si legge “Il popolo ecuadoriano cosciente continua approfondendo le azioni di resistenza contro il governo neoliberista presieduto da Lenìn Morena, contro i suoi legami con il blocco di potere e il cartello dei mezzi di comunicazione per la sottomissione del paese al FMI, come un’altra catena per legarlo ancor più all’imperialismo e controlare la sua popolazione, storicamente ribelle, che ha rovesciato tre presidenti”. Tra gli obiettivi dello sciopero le politiche agrarie “che beneficiano i proprietari terrieri e le multinazionali e in difesa della natura, dell’acqua e della vita”. Un altro dei motivi è la cessione delle Isole Galàpagos dove è previsto l’insediamento di una base nord-americana.
Caracas, Venezuela – 20 luglio
Le 120 nazioni che fanno parte del Movimento dei Paesi Non Allineati (MNOAL) – due terzi delle Nazioni Unite - riunite a Caracas, hanno approvato oggi la Dichiarazione Politica di Caracas nella quale esprimono il loro appoggio al Venezuela davanti all’ONU e denunciano le misure coercitive del governo USA contro i popoli sovrani del mondo. Il Commissario presidenziale del MNOAL, Samuel Moncada, ha affermato: “A fronte delle minacce degli Stati Uniti oggi 120 paesi, due terzi delle Nazioni Umite, rifiutano qualsiasi tentativo di scacciare il Venezuela dall’ONU” e qualsiasi azione non costituzionale per cambiare il governo del presidente della Repubblica Bolivariana, Nicolàs Maduro, che riconoscono come legittimo. Moncada ha anche ricordato che il MNOAL rappresenta il movimento politico più grande all’interno dell’ONU e ha annunciato che presenterà la candidatura del Venezuela a membro del Consiglio dei Diritti Umani, elezione che si terrà il prossimo ottobre. Aggiungendo che “il governo del signor Trump è una minaccia, non solo per il Venezuela ma per tutta l’umanità”, Moncada ha detto che la Dichiarazione Politica di Caracas raccomanda di denunciare alla Corte Internazionale di Giustizia tutti i paesi che realizzano aggressioni economiche e/o militari contro i popoli sovrani.
L’Avana, Cuba – 20 luglio
È morto oggi, a 89 anni, il grande intellettuale, poeta e scrittore Roberto Fernàndez Retamar, uno dei pensatori più prestigiosi dell’America Latina. È stato deputato all’Assemblea Nazionale, membro del Consiglio di Stato dal 1998 al 2013 e Premio nazionale della Letteratura nel 1989. Retamar è stato uno dei più importanti costruttori del pensiero decolonizzatore nel continente e in tutto il
Washington, USA – 27 luglio
Terzo Mondo. Professore di Lettere e Filologia all’Università dell’Avana dal 1955, entrò a far parte del Movimento di Resistenza Civica nella lotta contro Batista e, trionfata la Rivoluzione, di dedicò alla trasformazione culturale del paese. È stato fondatore e direttore del centro di Studi Martiani, direttore dell’Accademia Cubana della Lingua, collaboratore della rivista Orìgenes e segretario della Casa de Las Americas insieme alla sua fondatrice Haydée Santamarìa. Impossibile elencare le sue opere; ricordiamo solo il suo saggio “Calibano”.
Ginevra, Svizzera – 20 luglio
Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) almeno 683 migranti sono morti affogati nel Mediterraneo dall’inizio dell’anno. Le morti sono avvenute nelle tre principali rotte migratorie, quella che da Algeria, Tunisia e Libia va verso l’Italia (426 morti); la rotta est verso la Grecia (53 morti) e la rotta ovest(204). I dati provengono dal “Progetto Migrante Scomparso” che dal 2014 registra le morti nelle rotte di migrazione di tutto il mondo. Da allora sono state registrate le morti di 32.362 migranti anche se “a causa delle difficoltà per raccogliere informazioni su queste persone e sul contesto della loro morte, la vera quantità di vite perdute durante la migrazione è probabile che sia molto più alta” afferma l’OIM. L’Organizzazione informa anche che i migranti e i rifugiati giunti in Europa via mare fin al 17 luglio di quest’anno rappresentano un 34% in meno rispetto ai 51.782 arrivati nello stesso periodo l’anno scorso.
Brasilia, Brasile – 22 luglio
L’Istituto Nazionale di Ricerche Spaziali (INPE) comunica che, nel primo semestre di quest’anno, la deforestazione in Brasile è aumentata dell’88% raggiungendo la cifra di 920,4 chilometri quadrati.. Gli risponde il presidente neoliberista Jair Bolsonaro, che dice che l’organo statale deve “essere al servizio di qualche ONG” e che “divulgare dati allarmanti danneggia il paese”.
Panama, 22 luglio
L’Amministrazione Marittima di Panama (AMP) condanna oggi l’uso
Memoria
Genova, Licata, Reggio Emilia, Palermo, Catania – Italia, luglio 1960 Il Movimento Sociale Italiano (nuovo nome del partito fascista a soli 15 anni dalla Liberazione dal nazi-fascismo) torna nelle stanze del potere dando un appoggio esterno decisivo alla formazione di un governo monocolore della Democrazia Cristiana presieduto da Fernando Tambroni. Per “festeggiare” l’entrata nell’area di governo, il MSI annuncia provocatoriamente che terrà il suo congresso nella città di Genova, riconquistando “la piazza” in una delle città più ostili, dove la Resistenza aveva avuto una forte presenza e che aveva pagato pesantemente con partigiani e operai assassinati e deportati. Appena la notizia del congresso missino si diffonde, l’indignazione dei partigiani, degli operai e degli antifascisti si manifesta con proteste e manifestazioni ovunque, con centinaia di migliaia di persone che scendono nelle piazze di tutta Italia. Dal nord al sud si svolgono grandi manifestazioni, ovunque represse dalle forze armate dello Stato. Genova è teatro, già da giugno, di numerose manifestazioni di operai e giovani (che
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La Corte Suprema ha autorizzato oggi il presidente Trump a spendere 2.500 milioni di dollari provenienti da fondi del Pentagono per la costruzione di 160 chilometri di muro di frontiera in California, Arizona e Nuovo Messico, rovesciando la decisione del giudice californiano Gilliam che nel giugno scorso aveva congelato l’uso dei fondi militari stessi. 789 milioni saranno destinati al rinnovamento dei 75 chilometri del muro già esistente nel Nuovo Messico.
Caracas, Venezuela – 29 luglio
Nela sua abituale conferenza del lunedì, il vice presidente del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) Diosdato Cabello ha oggi denunciato l’assassinio, da parte di paramilitari, di alcuni contadini nello stato di Barinas. “Questa è una violenza che viene importata dalla Colombia – ha detto – dove sono esperti ad esportare violenza e droga”.
New York, USA – 29 luglio
L’inviato speciale contro la tortura dell’ONU, Niels Melze, ha scritto ai governi di Stati Uniti, Gran Bretagna, Ecuador e Svezia che Julian Assange corre il rischio di essere torturato in caso di estradizione negli USA, dove è accusato di aver diffuso documenti governativi. Melze ha anche denunciato che Assange non ha accesso a computer e biblioteca, “il che danneggia gravemente la sua capacità di prepararsi adeguatamente per i diversi e complessi procedimenti legali contro di lui”.
Vienna, Austria – 29 luglio
La Camera Bassa del Parlamento austriaco ha votato la proibizione all’uso, in tutte le sue forme, del glifosato, l’erbicida prodotto dalla Monsanto (che l’anno scorso è stata assorbita dalla Bayer) e commercializzato con il nome di Roundup. L’Austria diventa così il primo paese dell’Unione Europea a proibire la sostanza cancerogena. Nel 2015 la sezione di ricerca sul cancro dell’Organizzazione Mondiale della Salute (OMC) definì il glifosato “probabilmente cancerogeno” e probabile causa del linfoma non Hodgkin. Negli Stati Uniti sono 13.000 le persone che hanno fatto causa per danni alla Bayer, che è già stata già condannata in tre procedimenti.
New York, USA – 30 luglio
La Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afganista (Unama) fornisce oggi alcuni dati: nel primo semestre del 2019 3.812 civili sono stati vittime di azioni armate, 1.366 sono morti e 2.446 feriti.
diventeranno famosi come “i ragazzi dalle magliette a strisce”). Il 30 giugno gli scontri tra manifestanti (armati di pietre e materiale asportato da cantieri edili) e polizia iniziano in piazza De Ferrari (dove alcuni poliziotti vengono gettati nella fontana) e si allargano ai “caruggi”, dove la popolazione bombarda la polizia con masserizie gettate dalle finestre. La polizia comincia ad utilizzare le armi da fuoco (pistole e mitra), oltre ai lacrimogeni. Il 5 luglio a Licata, un corteo composto da operai e contadini finisce nel sangue: i militari sparano e una raffica di mitra toglie la vita ad un contadino (Vincenzo Napoli) ferendone molti altri. Il 7 luglio la protesta esplode a Reggio Emilia e ancora una volta la polizia spara su operai, contadini e studenti, uccidendo 5 operai (Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri, Afro Tondelli) e ferendo decine di manifestanti. L’8 luglio la protesta antifascista scende in piazza a Palermo e Catania. La violenza di polizia e carabinieri provoca 4 morti a Palermo (Giuseppe Malleo di 16 anni, Andrea Cangitano di 14, Francesco Vella e Rosa La Barbera), Salvatore Novembre, un giovane disoccupato di 20 anni, viene colpito e lasciato morire su un marciapiede a Catania, oltre a decine di feriti fra i manifestanti. Il saldo sanguinoso è di 11 morti e centinaia di feriti da armi da fuoco, ma il risultato delle rivolte si concretizzerà il 19 luglio con le dimissioni del governo Tambroni, che tuttavia rimarrà in carica fino al 26 luglio.
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lettere La rubrica delle lettere è un punto fisso di quasi tutti i giornali. Noi chiediamo che in questa rubrica siano presenti le vostre lettere, anche quelle che spedite ai vari quotidiani e riviste che non vengono pubblicate. Il sommerso a volte è molto indicativo
Bahri Yanbu/Bahri Jazan: lettera dei portuali genovesi ai lavoratori della TEKNEL srl Siamo i portuali di Genova scesi in sciopero per bloccare il carico sulla nave Bahri Yanbu e sulla Bahri Jazan dei generatori elettrici spediti dalla vostra azienda alla Guardia nazionale Saudita nel quadro di un contratto di forniture militari in corso dal 2018. Lo abbiamo fatto perché, dopo il blocco del carico dei cannoni a Le Havre da parte dei portuali francesi sulla stessa nave, abbiamo verificato che la Guardia saudita è un corpo militare impegnato nella guerra civile in Yemen, indicata dall’ONU come il teatro di un’immane catastrofe umanitaria di cui l’Arabia è uno dei principali responsabili. Inoltre abbiamo verificato che le apparecchiature spedite fanno parte dei lotti di produzione per i quali TEKNEL ha chiesto autorizzazione al Ministero per l’esportazione di materiale militare. Nonostante ciò, abbiamo dovuto assistere alla farsa delle dichiarazioni della vostra proprietà che ha cercato in tutti i modi nascondere la verità sulla natura militare della spedizione di fronte all’autorità, al sindacato e all’opinione pubblica, creando una situazione di inganno insostenibile per i lavoratori, oltre che per la legge. Noi non crediamo di ergerci al ruolo di salvatori dell’umanità o di giudici dei mali del mondo. Ma questa spedizione di armi alla volta dell’Arabia con lo scopo di fomentare la guerra in Yemen ci è parsa l’occasione per mandare un messaggio al Governo e al Parlamento italiano, in coerenza con quanto previsto dalla Costituzione e dalla legge 185 del 1990 sul controllo dell’esportazione dei materiali di armamento. L’Italia sospenda la vendita di armi all’Arabia Saudita, unendosi così alla lista di Paesi che già lo hanno fatto o lo stanno facendo, ovvero Svizzera, Germania, Austria, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Belgio, Olanda e Gran Bretagna. Persino il Senato USA, ossia del più forte alleato delladittatura saudita – è notizia di queste ore – ha bloccato il piano di Trump di vendita di armi ai sauditi per il loro ruolo nel sanguinosissimo conflitto nello Yemen. Abbiamo voluto mandare anche un ulteriore messaggio al Governo su un’altra questione che ci sta a cuore. Noi apparteniamo a una storia e a una cultura marinara e portuale in cui il soccorso e l’accoglienza sono valori fondamentali e in cui il commercio civile è praticato come mezzo per la prosperità dei popoli. Per questo è intollerabile assistere alla chiusura da parte del Governo dei porti per coloro che fuggono dai teatri di guerra, dalle dittature e dalle privazioni economiche e morali, mentre il Governo li lascia aperti al traffico di armi che producono direttamente e indirettamente quei fuggitivi. È un cinico riciclo di strumenti di morte, su cui profittano dei capitali immorali, che si trasformano in persone in fuga su cui profittano delle forze politiche xenofobe, sostenute da quei capitali, che costruiscono il loro consenso sociale ed elettorale sulla demonizzazione e criminalizzazione dei profughi e dei migranti. Noi siamo contro e saremo sempre contro quei capitali e quelle forze politiche. Perché vi scriviamo, oltre che per dichiararvi le nostre motivazioni? Perché siete lavoratori come noi e la vostra proprietà e alcuni imprenditori e politici ci accusano di danneggiare con questa esportazione anche la vostra occupazione. È questo un problema serio che non pretendiamo di affrontare in due righe né pensiamo di risolvere da soli noi portuali la grande questione della riconversione industriale di pace dei siti di produzione militare. Noi diciamo però che anche su questo tema l’azienda non dice tutta la verità. Abbiamo letto i bilanci della vostra azienda e abbiamo visto che si trattava di un’azienda che produceva generatori solo per il mercato civile fino a qualche anno fa quando ha deciso di passare al militare che offre margini di ricavo e di profitto molto più alti. Infatti dal 2016 al 2018 sono cresciuti il fatturato (+59%) e gli utili (+100%), mentre l’occupazione diretta è rimasta invariata (13 addetti). Tuttavia le spese del personale sono diminuite (- 4%), alla faccia della tutela e della valorizzazione dell’occupazione decantata dalla vostra proprietà. Vi invitiamo quindi a vigilare sulla vostra occupazione non perché minacciati dal nostro sciopero, bensì dalla politica aziendale che ha aumentato di oltre il 60% le spese per servizi acquistati, di cui certamente una gran parte sarà costituita da appalti e subappalti. Ma soprattutto occorrerà vigilare sul fatto che la TEKNEL nel 2018 ha acquistato per soli 5000 euro una fabbrica in Portogallo, la KSIM Lda, per cui ha immediatamente ottenuto dal governo portoghese la licenza per le produzioni militari. Data la convenienza dei salari portoghesi rispetto a quelli italiani viene logico da pensare che la TEKNEL più che alla tutela dell’occupazione italiana diretta si stia muovendo per la delocalizzazione in Portogallo. Restiamo in ogni caso pronti a incontrarci e a discutere con voi apertamente, insieme ai rispettivi sindacati, da lavoratori a lavoratori onestamente, senza gli inganni di coloro che profittano sul nostro lavoro e che si fanno scudo della nostra occupazione quando gli conviene ma già sono pronti a eliminarci se hanno l’occasione di aumentare i loro utili. I portuali genovesi che hanno bloccato il carico degli armamenti TEKNEL destinati all’Arabia saudita per la guerra in Yemen Genova, 21 giugno 2019
Il razzismo corre anche sui binari
È successo su un Frecciabianca all’altezza di Campiglia, in Toscana. Ad un certo momento passa un addetto alle pulizie che, vede una ragazza e inizia ad urlare “Negra di merda… Tornatene al tuo paese”. “Levati da qui, schifosa, lascia il posto a chi paga il biglietto”. Lei, una 23enne del Mali che conosce la realtà di sfruttamentoper i lavori neri, precari e malpagati cui è abituata cerca di reagire con un “razzista, fascista”. “Ma quale fascista, risponde lui, stai zitta negra, che se avete tre strade è perché le abbiamo costruite noi nel ‘39”. Chissà perché dicono tutti di non essere fascisti!!! I viaggiatori sono immersi nelle loro poltrone con lo sguardo sul cellulare, oggettivamente complici come troppi in Italia, tranne uno che, pensando che l’addetto le mettesse le mani addosso lo ha allontanato. Compiaciuta indifferenza dei viaggiatori, come se la cosa non interessasse, rabbia in un lavoratore indotta da una politica di intolleranza e sobillatrice di una guerra tra poveri. Lo scontro ha richiamato il capotreno che lo ha obbligato a chiedere scusa. Tante scuse e nessun rapporto o segnalazione, tanto lei era solo donna, nera e immigrata. E si era permessa di sedersi su un treno italiano. Mariangela Moretti
A chi esita In occasione della presentazione del “manifesto politico” del CCT a Viareggio (28 aprile), la compagna Pinuccia nel suo intervento, ha fatto riferimento ad una poesia di B. Brecht per la sua attinenza all’attualità e al momento in cui viviamo che non è “adatto per vincere, ma per combattere le sconfitte”. Condividendone il significato proponiamo la poesia nella sua interezza. CP A CHI ESITA Dici: per noi va male. Il buio cresce. Le forze scemano. Dopo che si è lavorato tanti anni noi siamo ora in una condizione più difficile di quando si era appena cominciato. E il nemico ci sta innanzi più potente che mai. Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso un’apparenza invincibile. E noi abbiamo commesso degli errori, non si può più mentire. Siamo sempre di meno. Le nostre parole d’ordine sono confuse. Una parte delle nostre parole le ha travolte il nemico fino a renderle irriconoscibili. Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto? Qualcosa o tutto? Su chi contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti via dalla corrente? Resteremo indietro, senza comprendere più nessuno e da nessuno compresi? O contare sulla buona sorte? Questo tu chiedi. Non aspettarti nessuna risposta oltre la tua.
Bertolt Brecht
Svastiche sulla pastasciutta L’Anpi di Marradi ha organizzato la “pastasciutta Antifascista” annunciata con manifesto che è tstao imbrattato con una svastica. Siccome nella preistoria questo simbolo rappresentava, per le civiltà indoeuropee il sole, la luce, il bene, Hitler - appassionato di magia - lo usò rovesciato perché rappresentasse il buio e il male. Chi ha sfregiato i manifesti Anpi l’ha fatto in modo sbagliato, con le braccia rovesciate. Viene da chiedersi intendeva riferirsi al bene o al male o, più semplicemente è affetto da ignoranza, quella che annebbia le menti? Franca AnieniL
nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) anno XXVIII n. 4/2019 - Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Emiliano, Michele Michelino, Luciano Orio, Fabrizio Poggi, Daniela Trollio, abbonamento annuo Italia euro 26,00 abbonamento annuo sostenitore euro 104,00 abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20 I versamenti vanno effettuati sul c/c postale nr. 1031575507 intestato a: nuova unità - Firenze
Chiuso in redazione: 20/07/2019
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