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Qualità e sicurezza alimentare, i garanti della salute e il ruolo del biologo

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Dalla tutela dell’ambiente ai controlli estesi lungo tutto l’arco della filiera, solo così i sapori arrivano incontaminati e sicuri sulle nostre tavole

di Stefania Papa*

Sapere cosa mettiamo a tavola, conoscere la qualità dei cibi che mangiamo, tracciarne (anche) la loro provenienza, non ha prezzo in termini di salvaguardia e tutela del consumatore. Da anni, non solo in Italia, scienziati, esperti di salute pubblica, epidemiologia, alimentazione e farmacologia, sono impegnati in un dibattito che mira alla corretta “conoscenza” degli alimenti. Com’è noto, l’adozione di un sistema di informazione nutrizionale basato sulle etichette, è raccomandata un po’ da tutti i comitati di esperti nazionali ed internazionali, in particolare dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che ritiene tale misura “efficace” anche per “aiutare i consumatori ad adottare comportamenti alimentari più sani”. Tuttavia, non ci sono solo i “valori nutrizionali” da considerare. Il mondo degli alimenti, si sa, ruota, infatti, attorno a regole e leggi che tengono impegnati più attori della vasta e variegata filiera dell’Agroalimentare. Pensiamo, ad esempio, a quanto proposto dai carabinieri per la Tutela Agroalimentare in occasione della Giornata nazionale del Consumatore: una vivace ed accattivante rappresentazione grafica del quadro normativo vigente in materia di “sicurezza alimentare”, il disegno di un soleggiato giardino (denominato il “giardino dei diritti”), in cui tutti gli elementi raffigurati hanno assunto un valore simbolico, e i diritti stessi sono diventati dei fiori paffuti dallo stile vagamente naif. L’obiettivo, come

*Consigliere dell’Ordine Nazionale dei Biologi, delegata alla Sicurezza Alimentare e delegata per le regioni Toscana e Umbria.

© Billion Photos/shutterstock.com

ci ha tenuto a precisare il comando dell’Arma, è stato quello di spiegare, in modo semplice, la normativa per il consumatore, con “una mappa concettuale quanto più confacente all’immediato utilizzo da parte di operatori e consumatori, guardando altresì al momento della formazione di studenti ed appassionati” della materia.

Non per ultimo, ancora, in materia di agroalimentare, proprio tale argomento è stato oggetto, lo scorso 3 marzo, in Senato, di un’interrogazione parlamentare (la numero 3-02312) rivolta al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, completamente incentrata sulla tutela e sulla promozione del “made in Italy”. Un’interrogazione, si badi bene, posta, sì, a salvaguardia della filiera e delle eccellenze tricolori, ma anche e soprattutto di chi, poi, quei prodotti, alla fine, è destinato a consumarli. In particolare nel testo presentato a palazzo Madama, si è posto l’accento sul fatto che, nel settore dell’export, oggi più di due prodotti di tipo italiano su tre siano falsi: si tratta dell’Italian sounding, un fenomeno considerato “grave minaccia al made in Italy agroalimentare” e, come tale, da contrastare. Gli interroganti hanno inoltre denunciato come il mercato del falso valga oggi più del doppio del fatturato regolare, determinando, in tal modo, una grave perdita di ricchezza per i nostri territori, anche in termini occupazionali.

Proprio in questo contesto vanno dunque ad inserirsi le linee programmatiche fissate, recentemente, dal ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. In particolare, il Mipaaf ha rimarcato la necessità che le scelte di politica agricola, alimentare e forestale, siano integrate tra loro, per interpretare in chiave innovativa, ecologica e inclusiva le principali necessità di sostegno che la transizione ecologica richiede.

L’adozione di un sistema di informazione nutrizionale basato sulle etichette, è raccomandata un po’ da tutti i comitati di esperti nazionali ed internazionali, in particolare dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

© Ekaterina_Minaeva/shutterstock.com

Il Ministero si è soffermato, in particolare, sulla trasparenza legata all’indicazione dell’origine in etichetta intesa come un diritto da garantire ai cittadini. A livello nazionale, è stato spiegato, è necessario proseguire con quanto già introdotto in via sperimentale rinnovando i decreti attualmente in essere riguardanti latte, formaggi, pasta, riso, carni suine trasformate e derivati del pomodoro.

Per quanto concerne le carni, si ricorda come, con il decreto del 6 agosto 2020, i produttori abbiano “ricevuto” l’obbligo di indicare, sulle etichette, le informazioni relative ai paese di nascita, allevamento e macellazione mentre, per quanto concerne l’indicazione dell’origine del grano per la pasta di semola di grano duro, dell’origine del riso e del pomodoro nei prodotti trasformati, tale obbligo è stato prorogato al 31 dicembre 2021.

Fermo e deciso è apparso, al momento, il rifiuto del Nutriscore, il modello di etichettatura a “semaforo”, messo a punto dai ricercatori dell’università di Parigi e dell’Inserm, concepito per segnalare i cibi che contengono un’alta percentuale di grassi e sale. Un sistema basato su un formato che indica i singoli valori nutrizionali con una scala di cinque colori (dal rosso al verde), a cui corrispondono le prime cinque lettere dell’alfabeto (a-b-c-d-e). Non è ammissibile, secondo il Mipaaf, per dirla con altre parole, che una bibita gassata senza zucchero abbia il bollino verde e invece prodotti che sono dei capisaldi della dieta mediterranea come olio d’oliva o parmigiano reggiano vengano penalizzati! A tal proposito, il Belpaese sarebbe propenso ad adottare un modello alternativo con il cosiddetto “schema a batteria”, nella convinzione che possa rivelarsi più utile al consumatore. Resta comunque il fatto che l’indicazione di massima, almeno nel nostro Paese, rimane quella che tali schemi debbano rimanere volontari e non obbligatori, e che vadano comunque esentate da una eventuale applicazione obbligatoria le produzioni a indicazioni geografica.

Ora, in quanto Biologi, rappresentanti, cioè, a pieno titolo, di una categoria attiva anche e soprattutto nel campo della Sicurezza Alimentare, non possiamo non rimarcare come sia triste, a tutt’oggi, dover rilevare come su un argomento del genere ci sia ancora bisogno di fare chiarezza.

La domanda di fondo resta la stessa: che sia il Nutriscore o un altro modello quello adottato, alla fine, cosa capirà il consumatore? Cosa comprenderà l’acquirente di turno, quando, una volta comprato un prodotto al supermarket vedrà sovraimpressi, sulla confezione, un serie di lettere e di simboli colorati? Riuscirà a districarvisi o avrà bisogno di un… interprete? Detto in altre parole: quanto, di una pur corretta posizione scientifica di partenza, risulterà poi anche immediatamente comprensibile da parte dell’utente finale?

Fuor di metafora: più che di “modelli innovativi” e complicati, è di un linguaggio semplice ed immediato che si avverte fortemente la necessità. Spesso, infatti, siamo portati a credere che semplificare le cose ne renda, poi, anche più facile la comprensione. Purtroppo non sempre questo accade. Ed è qui, nel “guado” che sovente separa ricerca e sviluppo, che si nasconde la vera insidia, la vera difficoltà. Lo ribadiamo: più che discutere sulla natura ideale del sistema di etichettatura “perfetto”, la domanda che in casi del genere tutti quanti noi dovremmo porci è la seguente: sarò in grado di far arrivare, nella maniera più corretta, giusta ed efficace, le informazioni che contano a chi poi si accinge ad acquistare e consumare un determinato alimento? Sarò realmente in grado di varare una guida valida, facile da consultare e che possa fungere da supporto concreto rispetto a quanto essa stessa dice e contiene, senza lasciare spazio a fraintendimenti ed incomprensioni?

In soldoni: che sia il Nutriscore o il modello all’italiana, ciò che conta è che chi legge un’etichetta poi ne capisca appieno anche il significato, senza bisogno di... cifrari! Ed è qui che entra in gioco la professionalità del Biologo, con le sue speciali competenze, la sua poliedricità, la sua capacità di interfacciarsi con la multidisciplinarietà e quella naturale propensione al gioco di squadra che ne fa il partner perfetto in ogni occasione: chi se non lui potrebbe dare una mano a stilare questa “guida per il consumatore”? Tuttavia, per far sì che questo accada, occorre lavorare sodo per rafforzare l’intesa tra i Biologi e le istituzioni preposte (pensiamo al Mipaaf, al Mise, agli istituti Zooprofilattici, al Cnr, al Crea, alle associazione dei consumatori ed a quelle di categoria) con un discorso ampio che veda impegnata e coinvolta la nostra categoria in tutti i settori della filiera dell’agro-alimentare: dalla produzione, all’imballaggio, fino, appunto, all’etichettatura, alla distribuzione ed infine all’acquisto del prodotto. A prescindere dai supporti, solo rendendo più chiare e comprensibili le cose da capire potremo raggiungere il nostro obiettivo!

Ciò che conta è che chi legge un’etichetta poi ne capisca appieno anche il significato, senza bisogno di... cifrari! Ed è qui che entra in gioco la professionalità del Biologo, con le sue speciali competenze, la sua poliedricità, la sua capacità di interfacciarsi con la multidisciplinarietà e quella naturale propensione al gioco di squadra che ne fa il partner perfetto in ogni occasione: chi se non lui potrebbe dare una mano a stilare questa “guida per il consumatore”?

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