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Tumore al seno triplo negativo: nuova terapia

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Il nuovo trattemento dell’Ntbc si basa una terapia cellulare autologa, che prevede l’impiego di cellule prelevate dalla stessa paziente

di Marco Modugno

Un progetto che nasce con un obiettivo ambizioso è quello che hanno deciso di sviluppare i ricercatori di Immuno-Cluster. Mettere nero su bianco una terapia cellulare autologa, che quindi si baserà in sostanza sull’impiego di cellule prelevate dalla stessa paziente, per andare a trattare il carcinoma mammario triplo negativo (Ntbc), una delle forme più aggressive di cancro al seno, che allo stato attuale è tra le più difficili da andare a trattare. Si è stimato che questa forma di tumore infatti rappresenti il 10-20% delle diagnosi totali di cancro alla mammella, e che vada a colpire principalmente le donne in giovane età, con un alta incidenza soprattutto nelle regioni del Nord Est Italiano, dove sono stati registrati oltre 160 casi per 100mila donne, fino a sconfinare nella vicina Slovenia, dove in casi sono leggermente più bassi, 120 per 100mila donne, e per le quali la possibilità di eventuali recidive, nonostante le pazienti siano state già trattate da cicli di chemioterapia, rimangono estremamente elevate.

«Triplo negativo – ci tiene a precisare Francesco Curcio, ordinario di Patologia Clinica e responsabile scientifico per il Dipartimento di Area Medica Università di Udine, insieme all’Ospedale Ortopedico Valdoltra (Slovenia) – deriva dal fatto che, a differenza degli altri tumori mammari, questo si caratterizza per l’assenza di recettori estrogenici e progestinici e per la mancata sovraespressione del recettore 2 del fattore di crescita epidermico umano (Her2), rendendo quindi molto difficile il trattamento della malattia con gli approcci standard. L’immunoterapia, che sfrutta lo stesso sistema immunitario del paziente per combattere la patologia, e che è in fase sperimentale da decenni in associazione con i protocolli tradizionali, ha senza ombra di dubbio aperto la strada a nuove promettenti possibilità di cura. È adesso indispensabile creare una massa critica comune di competenze, sia cliniche sia produttive, che possano lavorare insieme come sistema anche utilizzando nuovi approcci cellulari e molecolari».

Queste sono dunque le basi da cui ha preso poi forma quest’affascinate sfida, un progetto di ricerca che ha coinvolto ed è stato sostenuto da un network di eccellenze universitarie, oltre che da ospedali all’avanguardia, e da aziende farmaceutiche e biotecnologiche già molto attive sul

fronte delle terapie avanzate per il trattamento del cancro e nell’immunoterapia. Fondamentale per la buona riuscita del progetto sarà il prossimo passaggio, che vedrà impegnati i ricercatori nella redazione di un protocollo condiviso che permetterà così entro la fine di quest’anno la produzione del medicinale cellulare autologo da sperimentare successivamente sulle pazienti affette da questa gravissima forma tumorale.

All’Istituto di Oncologia di Lubiana, è stato affidato il delicatissimo compito di andare a reclutare le pazienti basandosi su specifici e rigorosi parametri. Segnali incoraggianti, che hanno funzionato da ottimo propulsore per la buona riuscita del progetto, provengono dallo studio clinico “HybriCureR”, sviluppato dal Lead Partner di progetto, Celica Biomedical, è stato già clinicamente testato su un ristretto numero di pazienti, affetti da cancro alla prostata resistente alla terapia ormonale.

L’approccio terapeutico in questo caso si è dimostrato sicuro, non tossico e in grado di prolungare di oltre quattro volte il tempo alla terapia secondaria, come è stato anche confermato dal Direttore Robert Zorec, proprio per queste evidenze si è dimostrato il candidato ideale anche per il trattamento del Tnbc. Parliamo di un trattamento che ha come scopo la produzione, attraverso un articolato processo ed un’integrazione di competenze diversificate, di quelle cellule del sistema immunitario, cosiddette dendritiche, che per l’appunto sono specifiche nell’andare a riconoscere e catturare le proteine antigeniche (estranee) con lo scopo ultimo di far produrre una risposta immunitaria da parte dell’organismo.

«Per ottenerle dobbiamo partire da campioni di sangue che ci vengono inviati dall’Ospedale dell’Angelo, Hub di riferimento della provincia di Venezia e che, in questa fase della ricerca, provengono da donatori sani. In futuro, quando il protocollo sarà stato messo a punto in via definitiva, verranno prelevati direttamente dalle donne con Tnbc» precisa Flavia Mazzarol, Business Development Specialist di VivaBioCell. Alla struttura friulana inoltre è affidata momentaneamente anche la sperimentazione della procedura in “sistema chiuso”, tramite il bioreattore automatico Nant, così da fare in modo di ridurre sensibilmente i costi dei prodotti per la terapia cellulare rendendola in futuro accessibile a sempre più pazienti. «Una volta ottenute queste cellule dendritiche autologhe, differenziate dai monociti, dovremo ibridarle, tramite elettrofusione, con quelle tumorali, rimosse chirurgicamente dalla stessa paziente. In questo modo, e una volta re-iniettate, saranno in grado di attivare il sistema immunitario aiutandolo a combattere il cancro, avendogli permesso prima di riconoscerlo».

Per gli esperti appare chiaro che i risultati attesi avranno un impatto decisamente positivo anche sulle imprese e sui sistemi sanitari transnazionali, un iter che abbasserà enormemente i costi sia per quel che riguarda le terapie e anche per l’assistenza; senza considerare inoltre i vantaggi per le pazienti, che potranno in questo modo poter beneficiare di una migliore qualità di vita e di una speranza di guarigione sempre maggiore.

Si è stimato che questa forma di tumore infatti rappresenti il 10-20% delle diagnosi totali di cancro alla mammella, e che vada a colpire principalmente le donne in giovane età, con un alta incidenza soprattutto nelle regioni del Nord Est Italiano.

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