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La mappa delle specie ancora da scoprire

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Lo studio dei ricercatori di Yale sulla vita ancora non identificata nel nostro Pianeta

Ese oltre a indagare le forme di vita conosciute nei vari habitat terrestri ci spingessimo a scoprire la vita nei luoghi ancora inesplorati? È un orizzonte di conoscenza che sul Pianeta potrebbe offrire ancora ampi margini di risultato. Ed è anche la missione che si sono dati alcuni ricercatori di Yale guidati da Walter Jetz, professore di ecologia e biologia evolutiva dell’università del Connecticut, negli Stati Uniti: obiettivo, tracciare le specie esistenti ma ancora non identificate e condividere un metodo adatto alla collaborazione di altri scienziati per implementare la mappatura.

Del resto, «stando al ritmo del cambiamento ambientale globale, non c’è dubbio che molte specie si estingueranno prima che noi avremo avuto la possibilità di sapere della loro esistenza e la capacità di interrogarci sul loro destino - ha spiegato Jetz - Ma ritengo che una simile forma di ignoranza sia imperdonabile: ciò che dobbiamo alle generazioni future è colmare rapidamente queste lacune di conoscenza». A meno di un decennio dalla pubblicazione della “Mappa della vita”, un database globale ancora attivo, che dettaglia la distribuzione delle specie conosciute in tutto il Pianeta, gli scienziati del prestigioso ateneo hanno lanciato un progetto persino più ambizioso: creare una mappa dei luoghi in cui la vita deve ancora essere scoperta.

La nuova mappa delle specie sconosciute è stata pubblicata sulla rivista “Nature Ecology & Evolution” ed è disponibile anche in una versione online. Basata su un protocollo di georeferenziazione, la mappa è interattiva, interrogabile per specie, luogo, caratteristiche ambientali del contesto. Mixando gli indicatori è possibile, per esempio, scoprire il valore percentuale della ricchezza o delle rarità che popolano determinate aree del mondo. Oppure, muovendo il mouse sulla mappa interattiva, è possibile scoprire che probabilità esiste di scoprire nuove specie in una precisa porzione dei cinque continenti. Secondo stime prudenti, infatti, solo il 10-20% delle specie sulla Terra è stato già formalmente descritto. Lo studio e la relativa piattaforma sono stati sviluppati a partire da domande “inverse” rispetto a quelle che circa dieci anni fa gli stessi au tori

avevano messo al centro della ricerca per costruire la mappa delle specie viventi conosciute. «Il nostro studio - ha spiegato Mario Moura, ex ricercatore del laboratorio di Yale e attualmente professore presso l’Università Federale di Paraiba, in Portogallo - sposta l’attenzione da interrogativi su “quante specie da scoprire esistono?” a quesiti più concreti come “dove e cosa?”. Le specie conosciute sono le “unità di lavoro” in molti approcci di conservazione; di conseguenza le specie sconosciute sono solitamente escluse dalla pianificazione e dal processo decisionale della conservazione. Trovare i pezzi mancanti del puzzle della biodiversità della Terra è quindi fondamentale per migliorare la conservazione della biodiversità in tutto il mondo». Nel tentativo di fornire alla scienza uno strumento per individuare le specie non tracciate, Moura e Jetz hanno compilato la piattaforma con una vasta mole di dati che comprendevano la posizione, le date d i sco-

Moura e Jetz hanno compilato la piattaforma con una vasta mole di dati che comprendevano la posizione, le date di scoperte storiche e altre caratteristiche ambientali e biologiche di circa 32.000 vertebrati terrestri conosciuti

© Kuttelvaserova Stuchelova W/shutterstock.com perte storiche e altre caratteristiche ambientali e biologiche di circa 32.000 vertebrati terrestri conosciuti. L’analisi di queste informazioni ha permesso di estrapolare la mappa dei siti e dei tipi di specie ancora sconosciute che hanno più probabilità di essere identificati in futuro per i quattro principali gruppi di vertebrati.

Il metodo usato muove dalla consapevolezza che le possibilità per una specie di essere scoperta e descritta non sono le medesime di un’altra. Secondo lo studio di Jetz e Moura, per esempio, è più probabile che siano già stati scoperti animali di grandi dimensioni in aree geografiche ampie localizzate in zone popolate. I ricercatori hanno esaminato 11 fattori chiave che hanno permesso al team di prevedere meglio le posizioni in cui potrebbero essere localizzate specie non ancora identificate.

L’emù, un grande uccello diffuso in Australia, fu scoperto nel 1790 subito dopo l’inizio delle descrizioni tassonomiche delle specie. La piccola specie di rana Brachycephalus guarani, invece, non è stata mai avvistata prima del 2012 in Brasile. Ci sono dunque maggiori probabilità che animali più piccoli, che abitano regioni più inaccessibili, siano sfuggiti fino ad oggi al rilevamento. Probabilmente ci sono alcune specie simili alla rana brasiliana ancora da scoprire. Vi è poi un altro parametro variabile e determinante per la definizione della mappa: il numero di scienziati che stanno cercando le nuove specie. Si tratta di specialisti la cui dislocazione nel mondo è molto disomogenea. Senza contare la questione del metodo. «In generale, tendiamo a scoprire prima ciò che ci appare ovvio e poi ciò che è oscuro», ha aggiunto Moura, lanciando contestualmente un appello globale a finanziare le ricerche in questa direzione.

Moura e Jetz hanno mostrato come le possibilità di scoperta di nuove specie varino notevolmente in tutto il mondo. Brasile, Indonesia, Madagascar e Colombia sono i Paesi con maggiori opportunità di identificare nuove specie, almeno per un quarto di tutte le potenziali scoperte. E in quest’ottica, la collaborazione al processo diventa un fattore chiave. Attraverso partnership in ogni parte del mondo, i ricercatori di Yale hanno in programma di espandere la mappa della vita ancora sconosciuta alle specie vegetali, marine e invertebrati: simili informazioni aiuteranno, questo l’auspicio, governi e istituzioni scientifiche a capire dove concentrare gli sforzi per documentare e preservare la biodiversità. (S. L.).

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