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Se esistono ancora le mezze stagioni

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© Lstrong/shutterstock.com

Il cambiamento climatico e quello del suolo hanno alterato enormemente il regolare susseguirsi delle temperature, con danni agli animali e alle piante

di MIchelangelo Ottaviano

“P erché i celesti danni ristori il sole, e perché l’aure inferme Zefiro avvivi, onde fugata e sparta delle nubi la grave ombra s’avalla […]”. Era il Gennaio del 1822 quando Leopardi metteva al mondo i versi della canzone “Alla Primavera o delle favole antiche”, nella quale viene cantata proprio l’epifania della stagione. Dire che dal tempo in cui scrisse il poeta recanatese sono cambiate tante cose è assai riduttivo. Forse nemmeno il Leopardi più pessimista si sarebbe aspettato un mutamento così grande da parte della stagione che assesta i “celesti danni” (quelli dell’inverno). Forse non immaginava quanto l’uomo potesse distruggere, attraverso uno spregiudicato processo di industrializzazione che proprio negli anni leopardiani era al culmine del suo primo stadio evolutivo, la sacralità del rapporto uomo-natura per cui si era tanto battuto.

A distanza di anni vorremmo ancora girarci in qualsiasi direzione e vedere quei paesaggi incontaminati da lui minuziosamente descritti. Purtroppo, non è così facile. L’attività umana e l’inquinamento atmosferico e del terreno hanno mutato radicalmente il motus operandi della biomassa che caratterizza la Primavera. Il primo cambiamento riguarda la sconfitta dell’esercito silenzioso degli impollinatori: bombi, farfalle, api selvatiche, vespe, falene, sirfidi, una schiera di truppe colorate che sta progressivamente scomparendo.

Secondo i dati del WWF riguardanti l’Europa, negli ultimi 30 anni è scomparso oltre il 70% degli insetti volatori. Il danno è enorme visto che due terzi della frutta e della verdura che consumiamo quotidianamente dipendono dall’impollinazione. Il dato più preoccupante riguarda in particolare la riduzione degli insetti appartenenti alla grande famiglia delle Api, che qualitativamente offrono un maggior contributo al processo.

Il loro metodo di impollinazione determina un migliore mantenimento delle caratteristiche delle piante (dimensioni, profumo, colori), favorendo la variabilità genetica nonché il potenziale adattativo che permette la sopravvivenza alle variazioni ambientali. Il secondo cambiamento, in stretta relazione con il precedente, riguarda la durata della stagione delle allergie, un’amica fidata della Primavera (con la quale però non va astronomicamente d’accordo). Uno studio condotto nel Nord America dimostra che tra il 1990 e il 2018 la stagione dei pollini si è anticipata di 20 giorni e allungata di circa 8 a causa dell’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera e delle temperature medie più alte.

Nello stesso periodo di tempo, la quantità di polline dispersa è aumentata del 21%, in parte per il cambiamento climatico, in parte per altri fattori (il solo cambiamento climatico sarebbe responsabile dell’8%). L’applicazione dei metodi della “scienza dell’attribuzione”, utilizzati per stabilire le relazioni tra i grandi eventi metereologici o i grandi incendi e il riscaldamento globale, evidenziano che esiste un legame chiaramente riscontrabile. Allora, forse, in un contesto simile, non è poi così banale dire che non ci sono più le mezze stagioni.

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