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L’associazione tra cuore e cervello

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Uno studio dell’Università di Oxford individua nell’irrigidimento aortico un marcatore per la futura salute cognitiva

di Sara Lorusso

Esiste un’associazione tra cuore e cervello che potrebbe rivelarsi una strada utile da seguire, soprattutto nell’affrontare la condizione più dolorosa di alcune malattie neuro-degenerative, il declino cognitivo.

L’associazione cuore-cervello è il focus di uno studio sviluppato dai ricercatori dell’Università di Oxford e dell’University College di Londra che ha individuato nell’irrigidimento aortico in età più o meno avanzata un marcatore per la salute del cervello.

A guidare il team c’era Sana Suri, ricercatrice dell’Alzheimer’s Society presso il Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Oxford. «Il nostro studio collega la salute del cuore con la salute del cervello e ci fornisce informazioni sul ruolo potenziale di una riduzione dell’irrigidimento aortico, per aiutare a mantenere la salute del cervello in età avanzata», ha spiegato.

La ricerca è stata basata su un lavoro interdisciplinare, che ha evidenziato l’utilità di un’osservazione del cervello in combinazione con altri sistemi di organi. I ricercatori hanno osservato una popolazione di 542 adulti, a cui era stata misurata la rigidità dell’aorta in due momenti successivi, a 64 anni e 68 anni. Gli individui osservati sono stati inoltre sottoposti ad alcuni test cognitivi e a diverse misurazioni tramite risonanza magnetica del cervello, di cui sono state valutate le dimensioni, le connessioni e l’afflusso di sangue nelle diverse regioni.

In condizioni normali, l’aorta, l’arteria più grande e importante del corpo umano, con l’età tende a diventare più rigida. Prendendo come target una popolazione di mezza età o poco oltre, gli studiosi del gruppo guidato da Suri hanno scoperto che nei casi in cui l’irrigidimento dell’aorta si era verificato in una modalità più veloce rispetto a quanto atteso, si erano verificate anche altre condizioni indicative di una cattiva condizione del cervello. Gli studiosi avevano infatti rilevato un rifornimento inferiore di sangue al cervello, una connettività strutturale ridotta tra diverse regioni del cervello, una memoria peggiore.

«La ridotta connettività tra le diverse regioni del cervello - ha aggiunto Suri - è un indicatore precoce di malattie neuro-degenerative come il morbo di Alzheimer e prevenire questi cambiamenti riducendo o rallentando l’irrigidimento dei grandi vasi sanguigni del nostro corpo può essere un modo per mantenere la salute del cervello e della memoria quando invecchiamo.»

Generalmente le arterie si irrigidiscono più velocemente in presenza di malattie cardiache, ipertensione, diabete e altre malattie vascolari. Il processo è progressivamente più

veloce in caso di un’esposizione a lungo termine ad abitudini poco sane, come il fumo o una cattiva alimentazione. È possibile intervenire, nella maggior parte dei casi, con trattamenti medici o modificando lo stile di vita, a partire da una maggiore attività fisica.

Il gruppo di autori dello studio segnala dunque come una simile associazione, se approfondita, possa indicare una strada nell’affrontare il declino cognitivo tipico delle malattie neuro-degenerative.

In una società che invecchia, in cui si prevede che il numero di persone affette da demenza sarà quasi triplicato entro il 2050, identificare modi per prevenirne o ritardarne l’insorgenza potrebbe avere un impatto sociale ed economico significativo. Non a caso l’Alzheimer’s Society, la principale organizzazione di beneficenza che si occupa di demenza nel Regno Unito, ha finanziato lo studio.

«La demenza - ha dichiarato Richard Oakley, responsabile della ricerca presso l’ente benefico - devasta numerose vite e famiglie, e con il numero di persone affette da demenza destinato a salire a 1 milione entro il 2025, ridurne il rischio non è mai stato così importante».

Lo studio non ha cercato direttamente un collegamento tra salute del cuore e demenza, ma ha acceso un faro su una possibile connessione tra la salute dei vasi sanguigni e gli indicatori della salute del cervello. La ricerca sembra suggerire che sostenere il rallentamento dell’irrigidimento arterioso, tramite interventi medici o il cambiamento dello stile di vita, potrebbe avere una ricaduta sul declino cognitivo. Già oggi sappiamo che riducendo del 10% o del 25% alcuni fattori di rischio quali diabete, ipertensione in età adulta, obesità, fumo, depressione, bassa scolarizzazione e inattività fisica, si potrebbero prevenire da 1,1 a 3 milioni di casi di demenza di Alzheimer.

Lo studio britannico è stato sviluppato attraverso i dati nel sottogruppo di imaging del Whitehall II Study, una ricerca che comprendeva individui impegnati nel servizio civile britannico sottoposti a follow-up clinici per oltre 30 anni. La popolazione era composta principalmente da uomini che non avevano ricevuto una diagnosi clinica di demenza.

«Senza una cura per la demenza, una maggiore attenzione è spostata sulla comprensione dei modi per prevenirne o ritardarne l’insorgenza. Il nostro studio - ha spiegato Scott Chiesa, ricercatore presso l’UCL Institute of Cardiovascular Science - ci aiuta a capire quando nel corso della vita è importante puntare a migliorare la salute cardiovascolare a beneficio del cervello».

«Sappiamo che ciò che fa bene al cuore fa bene anche alla testa - ha aggiunto Richard Oakley - ed è emozionante vedere la ricerca che esplora questo collegamento in modo più dettagliato. Ma abbiamo bisogno di ulteriori studi per comprendere l’impatto della salute del cuore sulla salute del cervello con l’avanzare dell’età e comprendere come ciò influisca sul nostro rischio di demenza».

La ricerca è basata su un lavoro interdisciplinare, che ha evidenziato l’utilità di un’osservazione del cervello in combinazione con altri sistemi di organi. I ricercatori hanno analizzato 542 adulti, a cui era stata misurata la rigidità dell’aorta in due momenti successivi, a 64 anni e 68 anni.

© Naeblys/ shutterstock.com

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