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Soffochiamo i suoni dell’oceano

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Stiamo soffocando i rumori del mare. Se gli oceani con i loro suoni ci hanno da sempre cullato e affascinato, gli uomini con i loro rumori stanno mutando gli equilibri degli ecosistemi marini. Navi, piattaforme offshore, imbarcazioni cargo, operazioni di pesca, motori di vario tipo, mezzi dedicati agli sport, sonar delle grandi navi militari, sonde, segnali acustici: le attività antropiche, soprattutto nell’ultimo secolo, sono aumentate a tal punto da interferire sempre di più con l’armonia dei suoni del mare, mettendo a rischio sia le comunicazioni sia il comportamento degli organismi marini. Prendiamo ad esempio il pesce pagliaccio, il piccolo pesciolino arancione protagonista anche del cartone animato “Alla ricerca di Nemo”: a causa dei nostri rumori, rischia di non ritrovare davvero più la via di casa. Dopo lo stato larvale e l’inizio della crescita questo animale si orienta, nel ritrovare la via maestra, proprio grazie ai suoni, il fruscio e i rumori della barriera corallina. Oggi però, a causa dell’inquinamento acustico generato dall’uomo, quei suoni sono sempre più soffocati, tanto che il pesce pagliaccio rischia di perdersi. È un piccolo esempio concreto di cosa potrebbe accadere a diverse specie, sempre tenendo conto che diversi studi raccontano già come motori, sonar delle navi e rumori per esempio delle piattaforme petrolifere offshore, mutano i comportamenti e le migrazioni dei grandi cetacei.

Di come l’azione e i rumori dell’uomo stanno mutando sempre di più l’equilibrio degli ecosistemi oceanici si è occupato un recente studio pubblicato su Science, “The soundscape of the Anthropocene ocean”, che ha come primo autore Carlos Duarte, ecologo marino della King Abdullah University of Science and Technology in Arabia e che è stato realizzato grazie al supporto di diversi altri colleghi. In totale oltre 25 scienziati internazionali, da biologi marini a esperti di acustica dell’oceano, che hanno analizzato circa 10mila articoli scientifici dove si trova traccia, con ricerche su varie specie e in diverse zone del mondo, di come l’inquinamento acustico sia sempre più pressante e negativo per gli organismi marini. «Come un ciclo interrotto: la colonna sonora è sempre più complessa da ascoltare e in molti casi sta scomparendo» ha spiegato Duarte. Nella analisi pubblicata su Science gli esperti sottolineano come a differenza di segnali chimici e visivi, che all’interno degli oceani si dissolvono dopo brevi distanze, il suono può invece viaggiare per diverse miglia e aiutare gli animali a muoversi nelle differenti condizioni e profondità dell’oceano. Diverse specie si sono adattate nel tempo sia a rilevare le onde sonore e muoversi attraverso i suoni, come per esempio vari cetacei, tra le quali le balene i cui canti sono fondamentali, ma si sono anche adattate in parte a convivere con alcuni rumori creati dall’uomo. Il problema, sottolineano gli scienziati, è questi rumori negli

L’azione e i rumori dell’uomo stanno mutando sempre di più l’equilibrio degli ecosistemi oceanici

anni stanno diventando sempre più ingerenti e pericolosi per gli equilibri degli oceani.

Non ci sono solo per esempio i capodogli che in alcuni casi vengono disturbati dai sonar o pesci che vengono influenzati, per esempio durante la caccia, dai rumori delle barche, ma il rumore sottomarino può influenzare anche lo zooplancton, alla base della dieta di molti animali, oppure le meduse.

Come detto ci sono specie che si sono nel tempo adattate all’inquinamento acustico, ma altre che invece potrebbero risentirne nel lungo termine, per esempio spostandosi, come è accaduto alle orche che in alcune ricerche effettuate venivano disturbate da dei dispositivi scientifici usati per dissuadere le foche dal predare salmoni.

I rumori creati dall’uomo, così come il surriscaldamento globale che sta spingendo diverse specie verso i poli, possono inoltre indurre alcune specie a spostarsi e finire in zone dove dovranno competere con altri animali per le stesse risorse, creando così disequilibri.

«Ci sono prove evidenti del fatto che il rumore compromette le capacità uditive degli animali marini ed è causa di cambiamenti fisiologici e comportamentali» si legge nell’articolo, mentre «ci sono meno prove del fatto che i rumori prodotti dalle attività umane aumentino la mortalità degli animali marini».

Per gli esperti però, a differenza degli impatti della crisi climatica, sempre più complessi da contrastare e che necessitano di piani e azioni a lungo termine, quello acustico è un tipo di inquinamento più facile da ridurre. Come ha detto Steve Simpson, biologo marino dell’Università di Exeter, «il rumore è più o meno il problema più facile da risolvere negli oceani. Sappiamo esattamente cosa lo causa, sappiamo dov’è e sappiamo come fermarlo».

Cambiare le dinamiche e la presenza di questi rumori, richiede però impegno, visione e anche l’uso di nuove tecnologie. Si può intervenire infatti in maniera più rapida ed efficace cambiando per esempio delle corsie e rotte di navigazione, vietando il transito in aree sensibili e riserve, modificando le eliche di molte imbarcazioni con nuovi sistemi più silenziosi, riducendo con attenzione l’inquinamento acustico causato dalle piattaforme, limitando i sonar. Ad oggi diverse nuove tecnologie, come per esempio quelle in grado di silenziare e modificare i rumori delle attuali eliche, sono in fase di studio nel tentativo di rimediare ai rumori prodotti dall’uomo.

In poco tempo, spiegano gli esperti, si potrebbe fare molto per aiutare la natura: effetti immediati e positivi si sono già visti per esempio durante la fase della pandemia legata al Covid-19, in cui sono transitate meno navi, e alcuni mammiferi marini hanno subito tratto beneficio dalla riduzione dei rumori. È dunque tempo di silenziare il nostro rumore e far riecheggiare quello del mare. (G. T.).

L’inquinamento acustico è sempre più pressante e negativo per gli organismi marini. «Come un ciclo interrotto: la colonna sonora è sempre più complessa da ascoltare e in molti casi sta scomparendo», spiegano i ricercatori in uno studio pubblicato sulla rivista internazionale Science.

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