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I colori di Milano
di Ilaria Petrussa
Opera finalista
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C’è chi dice che l’anima di una città sia simile ad una donna, mobile di definizione. Invece Milano è la città di Giovanni il telegrafista, pietosa, ironica, poetica, spietata senza i dané. Una musica pulsante ed un po’ struggente. Dalla terrazza del penultimo piano della torre Velasca la città sembra a portata di mano quasi si potesse allungare il braccio oltre la protezione in vetro e spostare il Duomo o il cortile del Filarete a piacere sulla scacchiera. Un volto aereo e domestico al contempo. Qui tra i merli di questa torre che ha il privilegio di svettare sulla città monumentale, le parole si levano in aria come bollicine di un fumetto-pensiero, galleggianti in questa fantastica vasca d’acquario, evaporando. Ci diciamo che abitare a Milano “così” si potrebbe tollerare.
È una grande emozione poter finalmente accedere alla Torre. Il portinaio nell’atrio non ci lascia scattare fotografie. Mi rimane l’impressione di uno spazio d’ingresso a doppia altezza, contraddistinta da un intreccio di losanghe metalliche che sostengono opalini diffusori luminosi. Gli angoli sbiechi, divaricati spazi definiti da pareti ed arredi non mentono sull’età design di quegli anni. Succede spesso con piastrelle color del caramello, tinelli marroni, plastica di tende di doccia con disegni in rilievo color caffè.
Il portinaio si finge sorpreso quando gli chiediamo dell’esposizione in corso. Occorre perciò mostrargli l’invito e finalmente ci scorta all’ascensore, contando il numero di persone che formano il gruppetto, forse ci vede snelli perché siamo in lieve sovrannumero e ci permette di salire. Ci fa sorridere la richiesta di non riferire a nessuno dove siamo diretti. Un clima misterioso pare costruito ad arte.
Varchiamo finalmente la soglia dell’appartamento duplex che ospita l’allestimento della mostra dedicata alle fotografie di un artista emiliano, la circostanza che ci permette di essere qui. Una pesante tenda oscurante sostituisce la porta, come all’ingresso di una sala di teatro. I vetri delle finestre sono ricoperti da pellicole rosa la cui lieve opacità offusca il panorama. Il panorama della città si offre come Vue en rose, visione incantata, come ricoperta da un velo. Come quando c’è la neve e tutto appare pacifico, perfetto, avvolto in un candore incontaminato.
Lo sfondo sfocato delle finestre accende i riflettori sull’esposizione. Lo schermo impostato per la protezione degli occhi dello smartphone fa apparire le stanze verdi. Nulla appare per com’è davvero in uno strano gioco delle parti tra le fotografie appese alle pareti e l’interno della casa, spogliata delle sue consuete suppellettili.
Le fotografie minimaliste esposte raccontano a loro volta di spazi astratti, cantieri avvolti da una luce sovraesposta e metafisica dove intonaci e pitture sbiancate sfarinano accanto a scatole elettriche blu come fossero smalti incastonati alle pareti.
Anche la musica di sottofondo galleggia tra le stanze, perfetta ambientazione per il Fuorisalone milanese. La mostra infatti durerà il tempo della Fiera ed è solo una delle moltissime evidenze di quello che il Salone del Mobile significa per Milano. Uno scambio di creatività che coinvolge architetti, designer ed appassionati da tutto il mondo.
La gente si muove dentro e fuori sulla terrazza, con passo cauto, silenziosamente, assecondando l’atmosfera rarefatta. Il pavimento ed il risvolto a parete verde acqua si affiancano a piastrelline in tinte abilmente mescolate come in un mosaico dai colori argillosi. Una panca gira tutto attorno sotto le vetrate dell’appartamento offrendo una confortevole seduta su un cuscino bordeaux, così come gli sgabellini sparpagliati a ridosso del panorama, funghetti tra i vasi d’ulivo e i ligustri.
Proporre un allestimento in cima alla Torre Velasca è un colpo di teatro d’eccezione, un luogo particolarmente rappresentativo dello spirito creativo che
ha contraddistinto gli anni della ricostruzione italiana. Sebbene l’estetica brutalista della torre milanese progettata dal gruppo BBPR (acronimo indicante il gruppo di architetti italiani costituito nel 1932 da Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers) sia stata ripetutamente criticata il progetto si delinea con chiarezza espressiva perfettamente in linea con le istanze del Movimento moderno e con l’attività accademica svolta presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia ed il Politecnico di Milano. La rivista Casabella, diretta in quegli anni da Rogers, e l’ambito dei CIAM Congrès Internationaux d’Architecture Moderne sono sedi privilegiate per il dibattito sulle forme della nuova architettura che si trova a dover rispondere ad impellenti necessità dopo le devastazioni della Seconda Guerra mondiale.
Forma e funzione incontrano la necessità urbanistica di un ridotto uso di suolo. Il maggior ingombro dei piani deriva dalla necessità di disporre di una maggior profondità del corpo di fabbrica per la disposizione di appartamenti mentre i piani inferiori sono occupati da uffici. L’utilizzo di pannelli prefabbricati in calcestruzzo adegua il progetto alla disponibilità di mercato. Forse non volutamente, un’architettura muraria in effetti sembra aspirare ad una tradizione mediterranea più che anglosassone, torre di città non più medievale che svetta sui tetti circostanti, sorretta da contrafforti.
Ora il profilo milanese si è affollato di nuove torri dalle vesti più moderne, l’acciaio è economicamente più abbordabile. Ma è la Torre Velasca ad incaricarsi di interpretare un’icona al pari delle sue sorelle lontane immaginate da Gustave Eiffel o da Jean Nouvel a Parigi e Barcellona. Scostanti, invidiate e solitarie architetture incuranti del tempo. Non potevo che disegnare ad acquerello il controcampo della città vista dalla terrazza, vista unica grazie al Salone milanese.
_____________________ MILANO DESIGN WEEK Tuesday 9 - Sunday 14 April 2019 PAOLA SOSIO CONTEMPORARY ART EXCLUSIVE EXHIBITION OF STUDIO 2046 & LUCA GILLI T O R R E V E L A S C A 25th F L O O R