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Urban Biology

di Gioa Giusti

Opera 1° classificata

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Scendo dal treno. L’assopimento di un fiume di pendolari si riversa nei sottopassi. L’aria umida mi sciacqua il viso e un raggio di sole me lo asciuga, così comincia la mia giornata. È una giornata come tante altre a Pisa, la città in cui studio, ma oggi decido di guardarla con occhi diversi e concentro la mia attenzione su particolari mai notati, li collego. Mi rendo conto di come il mondo sia fatto di connessioni e la mia mente rinchiusa negli schemi dell’abitudine si apre all’interdisciplinarità. Ogni frutto logico della mente umana può essere astratto e calato in un ambito diverso.

Sono trascinata nel flusso caotico di turisti, studenti e lavoratori, tutti inconsapevoli di essere parte di quel circuito biologico che è la città. Decidono di prendere una strada anziché un’altra, di fermarsi in questo bar o passeggiare in quel parco, vivono la città e questa si modifica in base alle loro scelte, in base alla cura che hanno dei luoghi pubblici.

«Quella strada è troppo trafficata, passiamo dal lungarno piuttosto.» Sento discutere una coppia e mi rendo conto che le nostre scelte dipendono strettamente dalla città almeno quanto essa risente del nostro comportamento civico. Si è più stimolati ad usare la bicicletta se c’è una buona rete di piste ciclabili, ad andare a piedi se ci sono zone pedonali e un ambiente pulito più piacevole da vivere sulla pelle che attraverso i vetri di un’auto-

mobile. Sono stati davvero loro a decidere di prendere quella strada o ha deciso la città per loro? Non ha importanza, perché anche loro stessi sono parte della città. Ognuno è come un neurone che si connette con gli altri, fa sinapsi, e ogni scelta, ogni parola, ogni struttura e infrastruttura diventa parte dello stesso circuito e ha il potere di modificarlo.

Sfilo lungo la colonna vertebrale di portici del Viale Antonio Gramsci fino ad arrivare in Corso Italia, è una strada dove è impossibile non tenere gli occhi fissi sulle vetrine con le loro decorazioni appariscenti che sbandano dall’artistico al pacchiano. È un luogo di scambio, banalmente, ma anche di contaminazione culturale, il primo che i viaggiatori incontrano proseguendo dalla stazione verso il centro, l’ultimo che incontra chi se ne sta andando.

Ipnotizzata dalle luci e dai colori arrivo al Ponte di Mezzo dove il chiasso trapassa in un’atmosfera tranquilla e in un contatto più diretto con la natura. Proseguendo lungo il fiume si arriva alle Piagge, una zona verde che non ho mai visitato perché il lusso dell’esplorazione non fa parte della routine di un pendolare. Spio chi ha deciso di godersi la giornata di sole all’aria aperta passeggiando lungo gli argini, in un posto tanto bello quanto sottovalutato.

Due amici scherzano: «Verrebbe da farsi il bagno, ma se mi tuffo in quest’acqua esco con tre braccia.»

«Già, è una fogna a cielo aperto.»

L’acqua è vita intorno a cui nascono i primi antichi centri abitati ed è purificazione. Tra gli emisferi cerebrali ci sono delle cisterne di liquido che viene filtrato continuamente perché è importante che mantenga la sua purezza, ci penseranno le vene a portare via gli scarti del metabolismo. Se il limpido è contaminato dal torbido si ha malattia e morte.

Scavalcato il fiume mi immergo nel centro storico, si trovano qui i fulcri primordiali di organizzazione della vita cittadina. Gli edifici costruiti ad istinto nel corso dei secoli si abbracciano e desiderano colmare le distanze tra loro. Siamo nel sistema limbico, nell’amigdala, dove regnano gli impulsi ancestrali alla base della sopravvivenza. Su questa impalcatura si fonda la coscienza in circonvoluzioni di sostanza grigia, uffici amministrativi e palazzi del potere cittadino. Una ragazza distribuisce volantini che le persone afferrano distrattamente senza fermarsi mentre lei prova a spiegare: «Vogliamo aprire uno sportello comunale di ascolto diretto»

Mi immagino le richieste dei singoli convogliate verso uno scopo comune, tantissimi input diversi che ottengono un solo risultato, una rete di neuroni attivatori o inibitori che genera un solo movimento, il più preciso possibile.

Proseguendo verso il mio polo universitario, Porta Nuova, noto che un edificio fatiscente e da qualche anno recuperato grazie ad una cooperativa ora è stato dato in gestione ad un’altra. Una memoria a breve termine di edifici ha permesso di ridare vita ad una struttura inutilizzata e di risparmiare suolo vergine. Al mutare delle esigenze dei cittadini cambia anche la città in modo impercettibile ma costante, vengono interrotti vecchi collegamenti neuronali e se ne stabiliscono di nuovi. Una volta mi raccontarono la storia di un uomo che era andato dal medico per un po’ di debolezza alle gambe e aveva scoperto di non avere il cervello. Della sua materia grigia era rimasto solo un sottile strato di corteccia, ma la degenerazione era stata così graduale che non aveva avuto ripercussioni, i collegamenti che andavano perduti cambiavano semplicemente percorso. Anche nel sonno vengono potati dei contatti per lasciare spazio alle nuove esperienze, la città dovrebbe avere la stessa capacità di rinnovarsi.

Vedo i mattoni rossi in lontananza, un puzzle di aule sorto al limite con la

periferia, non ho mai pensato di avventurarmi oltre, forse anche a causa dei pregiudizi che la periferia si trascina dietro, eppure nell’uomo è ciò che mette in comunicazione con l’esterno: gli organi di senso, la pelle sono periferia. Il modo per recuperarla è dandole fiducia, investire sui trasporti e sull’integrazione, affidarle mansioni specifiche fino a renderla importante e fondamentale. Senza diversità non ci sarebbe crescita e arricchimento culturale.

Non sono un architetto né un ingegnere, ma vivo la città alla stregua di come vivo il mio corpo e una sua sofferenza si ripercuote su di me e su tutti i cittadini. Questa città, non perfetta ma capace utilizzare al meglio le proprie risorse, esiste già dentro di noi, siamo noi stessi perfezionati da milioni di anni di evoluzione, dobbiamo solo tradurla dal particolare all’universale e avere l’umiltà intellettuale di imparare dal più grande architetto che esista.

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