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DIRETTIVA CASE GREEN

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COMUNICA

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La Riqualificazione Energetica Passa

Anche Dalla Sostenibilit Economica

di Raffaele Forte, ingegnere

Parlamento e Consiglio europeo hanno approvato la proposta. Adesso la fase di discussione con i singoli stati membri. Poi una seria politica energetica nazionale per ridurre i consumi con l’efficientamento del parco edilizio e l’incentivazione dell’uso delle fonti rinnovabili, valutando attentamente impatto ed equità per privati e aziende

Circa due terzi dell’energia consumata per riscaldare e raffrescare gli edifici provengono da combustibili fossili (gas naturale, petrolio e carbone), ciò rende tale modello insostenibile sia dal punto di vista ambientale, sia dal punto di vista economico, in quanto:

• Il conseguente livello di emissione di CO2 è incompatibile con gli obiettivi di contenimento del riscaldamento globale del nostro pianeta;

• La carenza di combustibili fossili, nel territorio dell’Unione Europea, mediante i quali gestire la transizione energetica, comporta un’eccessiva dipendenza energetica da stati extra europei, che, a seguito della sempre più instabile situazione geopolitica è causa di ingovernabilità dei costi e delle quantità di approvvigionamento.

Lo slogan della Direttiva è sinteticamente enunciato con “Fit for 55“, ossia pronti per raggiungere l’obiettivo di abbattimento entro il 2030 del 55% delle emissioni di CO2, con riferimento ai livelli del 1990.

Il 1990 è stato preso a riferimento dalla comunità scientifica come anno in cui il livello di emissione dei gas serra è considerato compatibile per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, ossia zero emissioni di CO2, attraverso il Piano di ristrutturazione nazionale degli edifici, che prevede una metodologia più estesa di determinazione della prestazione energetica degli edifici, dove la costituzione delle Comunità Energetiche rappresenta elemento essenziale per il raggiungimento degli obiettivi prestazionali ed ambientali.

È utile sottolineare che per traguardare la neutralità climatica non è strettamente necessario azzerare le emissioni di gas a effetto serra, cosa peraltro irrealizzabile, ma che le emissioni prodotte siano bilanciate, globalmente, da azioni di contenimento e rimozione delle stesse.

Piano di ristrutturazione nazionale degli edifici

Il principio cardine sotteso al piano è l’interesse pubblico, espresso sia in termini di benessere ambientale, sia di sostenibilità economica. Il piano mira quindi alla riqualificazione energetica profonda dei patrimoni edilizi nazionali degli stati membri ed è focalizzato alla riduzione, mediante un uso esteso e incentivato delle fonti energetiche rinnovabili:

• Povertà energetica

• Emissioni di gas ad effetto serra

• Dipendenza energetica da paesi terzi

• Costi energetici.

La povertà energetica è definita in ambito comunitario come “l’incapacità da parte di famiglie o individui di acquistare un paniere minimo di beni e servizi energetici, con conseguenze sul loro benessere”. Ne deriva che povertà energetica e spesa sanitaria nazionale sono strettamente collegate

La dotazione di servizi energetici essenziali per i cittadini dovrebbe essere un elemento di civiltà da sottrarre alle logiche di mercato.

La comunità scientifica internazionale ha da tempo individuato nei cosiddetti gas ad effetto serra, di cui la CO2 è la maggiore componente (vedi Figura 1), la causa principale di riscaldamento globale del pianeta, imputabile ad azioni antropiche. Il contenimento dell’innalzamento della temperatura non è quindi più rinviabile. Si pensi che gli edifici dell’Unione Europea contribuiscono al 36% delle emissioni totali di gas a effetto serra e al 40% del consumo energetico. Da ciò si comprende la necessità non procrastinabile di una profonda ristrutturazione del parco edilizio nazionale, ossia dell’insieme di tutte le costruzioni e le infrastrutture presenti sul territorio nazionale. Solo così si potrà incidere in modo sostanziale sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra. Occorre ridurre drasticamente l’utilizzo di combustibili fossili (metano, petrolio e carbone) per produrre energia, in quanto rappresentano i principali responsabili di emissioni di CO2. Sono necessari, quindi, edifici energeticamente assai più efficienti degli attuali, agendo innanzitutto sul fabbisogno netto di energia primaria, ossia sulle prestazioni dell’involucro dell’edificio, in accordo con la massima che recita: “La migliore energia è quella che non si consuma, in quanto inesauribile e a costo zero”.

A tale scopo, per i nuovi edifici, la Direttiva prevede il concetto di Edifici a emissioni zero (ZEB), nei quali qualsiasi fabbisogno residuo di energia primaria deve essere interamente coperto da energia proveniente da fonti rinnovabili, sia nel caso in cui essa venga generata e immagazzinata sul posto, sia nel caso in cui essa provenga da partecipazione a comunità energetiche, ristrette o estese, superando così l’ostacolo di dover installare obbligatoriamente le fonti rinnovabili sull’edificio di interesse, (ipotesi, quest’ultima, che in molti casi risulterebbe difficile se non impossibile, soprattutto per una nazione come l’Italia, ricca di patrimonio a forte valenza storica e paesaggistica).

La complessità di affrontare una crisi energetica

Il sempre più instabile assetto geopolitico è stato causa, e continua a esserlo, di grande difficoltà di approvvigionamento energetico e conseguente volatilità e ingovernabilità dei costi energetici. In particolare, il nostro Paese si è trovato impreparato ad affrontare la crisi energetica della stagione invernale 20222023, e se abbiamo evitato parziali blackout energetici, lo dobbiamo alla nostra capacità di stoccaggio nazionale, a provvedimenti di urgenza che hanno ridotto di un grado la temperatura nei locali riscaldati e di due settimane il periodo di accensione del riscaldamento, ma soprattutto lo dobbiamo al “Generale inverno”, che questa volta si è comportato soltanto da “Caporale”.

Certamente, in futuro, non potremo affidare al caso la sicurezza energetica del Paese, per cui una seria politica energetica non può prescindere da un intervento shock di riduzione dei consumi mediante efficientamento del parco edilizio nazionale e incentivazione dell’uso delle fonti energetiche rinnovabili, così come previsto in modo ambizioso dalla Direttiva.

Molte sono le critiche mosse al Piano in tema di sostenibilità, forse senza averlo letto attentamente. I critici del Piano affermano che il nostro Paese non è adatto a recepirlo, perché sarebbe impossibile effettuare interventi estesi di risparmio energetico su edifici di valenza storico, culturale e paesaggistica, ma basta leggere la Direttiva (comma 5, art. 9) per accorgersi che sono previste le clausole di salvaguardia ed esenzione dei requisiti minimi di prestazione energetica per un insieme di edifici, su cui sarebbe difficile intervenire.

“Gli Stati membri possono decidere di non applicare le norme minime di prestazione energetica di cui ai paragrafi 1 e 2 per le categorie edilizie seguenti: a) edifici ufficialmente protetti in virtù dell’appartenenza a determinate aree o del loro particolare valore architettonico o storico, o altri edifici del patrimonio, nella misura in cui il rispetto delle norme implichi un’alterazione inaccettabile del loro carattere o aspetto, o qualora la loro ristrutturazione non sia tecnicamente o economicamente fattibile; b) edifici adibiti a luoghi di culto e allo svolgimento di attività religiose; c) fabbricati temporanei con un tempo di utilizzo non superiore a due anni, siti industriali, officine, depositi e stazioni di approvvigionamento infrastrutturale non residenziali, quali stazioni di trasformazione, sottostazioni, impianti di controllo della pressione, costruzioni ferroviarie ed edifici di servizio a bassissimo fabbisogno energetico e di riscaldamento o raffrescamento, nonché edifici agricoli non residenziali usati in un settore disciplinato da un accordo nazionale settoriale sulla prestazione energetica; d) edifici residenziali che sono usati o sono destinati ad essere usati meno di quattro mesi all’anno o, in alternativa, per un periodo limitato dell’anno e con un consumo energetico previsto inferiore al 25% del consumo che risulterebbe dall’uso durante l’intero anno; e) fabbricati indipendenti con una superficie calpestabile totale inferiore a 50 mq”.

Nella Direttiva trova spazio, quindi, la questione delle specificità dei singoli Paesi, i quali possono negoziare durante i triloghi – i negoziati informali – ulteriori condizioni e deroghe, sulla base delle peculiarità dei rispettivi tessuti economici e parchi edilizi nazionali.

Bene ha fatto la Commissione Europea a limitare l’obbligo di intervento di minima prestazione energetica su case vacanza e su altri edifici, il cui utilizzo annuale, seppur fortemente energivoro, è limitato, oppure di difficile realizzazione: si pensi al nostro patrimonio artistico e paesaggistico.

Per contro, in tema di sostenibilità dovremmo porci la domanda se è sostenibile non intervenire con urgenza e pervasività sulla riqualificazione energetica del patrimonio edilizio. Nel nostro Paese, la tormentata e complessa gestione del Superbonus per la riqualificazione energetica degli edifici rappresenta ormai un’occasione mancata: è praticamente bloccato e non ha prodotto certamente i risultati attesi. Gli osservatori internazionali di monitoraggio del clima (Ipcc, Noaa) affermano che l’attuale livello di emissioni non è più sostenibile e di questo passo si rischia di raggiungere il punto di non ritorno. I livelli di emissione di gas a effetto serra sono aumentati rispetto al 1990 del 45% (vedi Figura 2).

Classe energetica e norme minime di prestazione

Il Piano di ristrutturazione nazionale prevede che gli stati membri raggiungano le seguenti prestazioni energetiche minime, in funzione della destinazione di edifici, con i seguenti orizzonti temporali:

• Edifici pubblici ed edifici non residenziali, conseguano la classe di prestazione energetica E entro il 1º gennaio 2027 e la classe D a partire dal 1º gennaio 2030.

• Edifici e unità immobiliari residenziali, conseguano la classe di prestazione energetica E entro il 1º gennaio 2030 e la classe D a partire dal 1º gennaio 2033. Allo scopo di armonizzare le prestazioni energetiche a livello comunitario, la Direttiva definisce la “classe di prestazione energetica G come il 15% del parco immobiliare nazionale di ciascuno Stato membro con le prestazioni peggiori”. Questa definizione comporta quindi una riclassificazione energetica unica a livello europeo, che presuppone una massiva e complicata rilevazione statistica del patrimonio edilizio degli Stati membri, al fine di ricodificare le attuali fasce di classificazione energetica secondo nuovi criteri. A oggi, l’obbligo di dotare gli edifici di un attestato di prestazione energetica è legato alla compravendita e alla locazione degli esistenti, così come è obbligatorio anche nel caso di edifici di nuova costruzione e di ristrutturazione importante (art. 6, D.Lgs. 192/2005), come definita dal Decreto interministeriale 26 giugno 2015, il cosiddetto D.M. Requisiti Minimi.

Ci dobbiamo attendere, quindi, che diventerà obbligatorio dotare tutti gli edifici esistenti di un attestato di prestazione energetica, a prescindere da eventuali interventi di riqualificazione, altrimenti non si comprende come possa essere fatta la rilevazione statistica per ridefinire la classe G. Ciò rappresenterebbe una forte criticità temporale ai fini del raggiungimento degli obiettivi nei termini previsti.

Criticità e sostenibilità economica

La Direttiva definisce obiettivi e parametri prestazionali per contrastare il cambiamento climatico, ridurre la dipendenza energetica e contrastare la povertà energetica, ma al contempo occorre tenere presente criticità e questioni relative alla sostenibilità economica associate a essa.

Alcuni esempi:

• Piani di incentivazione: è necessario un piano strutturale di incentivazione economica compatibile con gli obiettivi temporali e prestazionali di conseguimento dei requisiti minimi di prestazione energetica, fissati dalla Direttiva, che permetta di realizzare gli interventi privati di riqualificazione del patrimonio edilizio, attraverso un piano quantomeno decennale di incentivazione fiscale. Per funzionare, deve necessariamente prevedere strumenti di incentivazione fiscale, quali, ad esempio, l’opzione di cessione del credito o dello sconto in fattura, altrimenti per una larga fascia di popolazione l’incentivo di detrazione fiscale diretta sarebbe uno strumento del tutto inefficace, a seguito dell’incapienza fiscale di questa fascia di popolazione. Per gli interventi sul parco edilizio nazionale, la sostenibilità economica dovrebbe essere garantita attraverso la Componente 3 (M2C3) del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che però andrà aggiornato alla luce della formulazione finale della Direttiva concordata attraverso la negoziazione mediante trilogo con il nostro Paese;

• Costi per le imprese e per i consumatori: le misure di riduzione delle emissioni possono comportare costi aggiuntivi. È necessario valutare attentamente l’impatto e l’equità sui diversi segmenti della società per garantire una transizione equilibrata ed evitare l’insorgenza di disuguaglianze sociali ed economiche;

• Impatto sui settori ad alta intensità energetica: la riduzione delle emissioni richiesta dalla direttiva “Fit for 55” può avere un impatto significativo sui settori ad alta intensità energetica, come l’industria pesante, che potrebbero affrontare sfide nel ridurre le emissioni senza compromettere la competitività economica. È quindi necessario trovare soluzioni tecniche ed economiche per consentire una transizione graduale verso tecnologie a basse emissioni di carbonio;

• Competitività globale: l’introduzione di misure rigorose sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra potrebbe mettere a rischio la competitività delle industrie europee rispetto a quelle di paesi con standard meno stringenti. Per evitare la delocalizzazione delle imprese in stati con norme ambientali più permissive, è importante promuovere una transizione sostenibile a livello globale e incentivare l’innovazione tecnologica con piani di finanziamento per migliorare l’efficienza e ridurre le emissioni.

Per affrontare queste criticità e garantire la sostenibilità economica della Direttiva “Fit for 55” è necessario quindi un approccio bilanciato, che consideri sia gli obiettivi climatici a lungo termine sia le implicazioni socio-economiche a breve termine. È fondamentale instaurare un dialogo continuo tra governi, imprese e società civile, al fine di trovare un punto di equilibrio sostenibile.

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