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RICCARDO MISELLI
A Cura Della Redazione
CASE GREEN, UNA GRANDE OPPORTUNITÀ, PURCHÉ NON
Diventi Utopia
Il presidente dell’Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della provincia di Genova Riccardo Miselli ci parla della Direttiva Case Green
Abbiamo parlato della Direttiva UE per l’efficientamento energetico degli edifici con l’architetto Riccardo Miselli. Un’opportunità da non perdere, a patto che venga definito un quadro normativo realmente applicabile al nostro territorio. Per non ripetere l’esperienza del Superbonus
Conoscenza del patrimonio edilizio e programmazione degli interventi da effettuare. Il ruolo primario dell’edilizia nel panorama dell’efficienza energetica delle nostre città è certamente di primissimo piano. Abbiamo incontrato l’architetto Riccardo Miselli, presidente dell’Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della provincia di Genova. Ne è scaturita una piacevolissima chiacchierata sulla Direttiva europea cosiddetta “Case Green” per l’efficientamento energetico degli edifici residenziali, non residenziali e pubblici, in cui Miselli ci ha spiegato che può rappresentare un’occasione di crescita e di riorganizzazione del nostro territorio purché sorretta da norme applicabili alla realtà concreta italiana dove oltre l’85% degli edifici residenziali sono in classe D o peggiore, mentre le classi G, ovvero le peggiori, sono circa il 37,5% del totale.
Direttiva Case Green: “Gli edifici residenziali dovranno raggiungere, come minimo, la classe di prestazione energetica E entro il 2030, e D entro il 2033. Per gli edifici non residenziali e per quelli pubblici dovrà avvenire entro il 2027 (E) e il 2030 (D)”.
Visti i tempi operativi di assolvimento dei requisiti, si tratta di un’opportunità o di un’utopia?
La Direttiva europea si inserisce all’interno di un processo già avviato dal 2010 e più precisamente dalla Direttiva 2010/31/CE che poneva, oramai più di un decennio fa, l’accento su ruolo e peso dell’edilizia riguardo ai consumi energetici, suggerendo un percorso verso la de-carbonizzazione.
Su questa e altre basi si è strutturato il Superbonus che, come ben sappiamo, ha mostrato luci e ombre: un’innegabile occasione di ripresa economica per il Paese ma di difficile applicabilità per il mutevole e articolato quadro normativo di riferimento. È stato senza dubbio una “palestra” per il nostro sistema paese, rimasto sospeso nell’attesa di strumenti normativi strutturali che di fatto la Direttiva Case Green pare tornare a chiedere.
Nei prossimi mesi dovrebbe chiudersi la fase di negoziato tra le istituzioni europee, i vari paesi membri dovranno quindi costruire normative nazionali per consentirne l’applicazione nelle diverse realtà, di fatto profondamente eterogenee tra loro.
Rispondendo alla sua domanda: per il nostro Paese è un’opportunità da cogliere a condizione che venga definito un quadro normativo realmente applicabile al nostro territorio ma, al contempo, pare un’utopia per l’ambizioso risultato che si prefigge di ottenere.
I numeri sono impressionanti, in Italia oggi oltre l’85% degli edifici residenziali sono in classe D o peggiore, mentre le classi G, ovvero le peggiori, sono circa il 37,5% del totale. Sono dati in costante aggiornamento che devono far riflettere in maniera più organica sul valore di questa Direttiva, perché è destinata – almeno nelle intenzioni – a incidere notevolmente sul nostro territorio.
Aspettando la chiusura della fase di negoziato delle istituzioni europee, da quali punti si potrebbe partire per il raggiungimento degli obiettivi di Case Green?
Per contenere le spese a carico dei privati sarà necessario in primis una volontà politica nazionale per attivare un piano di riqualificazione importante, determinato, capace di “traguardare” – oltre agli aspetti prettamente energetici – una riflessione più ampia sul tema dell’abitare, che negli ultimi anni ha subito radicali innovazioni e che nel futuro prossimo è destinato a diventare un’emergenza con cui confrontarsi.
Per riuscire davvero a cogliere l’opportunità implicita nella Direttiva penso si debba in qualche modo superare la logica della frammentazione, dell’intervento “puntuale” sul singolo edificio, per avviare azioni su significative porzioni di città, innescando processi di rigenerazione urbana strutturata e ad ampio respiro così da intercettare il vero senso del New European Bauhaus, dove la sostenibilità è, prima di tutto, equilibrio tra aspetti ambientali, economici e sociali.
In questo senso, la riqualificazione del quartiere del Diamante, a Genova Begato, anticipa i tempi e rappresenta un modello per il futuro molto interessante perché ripensa a un territorio, applicando varie forme di rigenerazione – dalla demolizione alla riqualificazione –all’interno di un quadro unitario in cui gli spazi pubblici e i servizi condivisi ci si augura acquisiscano quel ruolo sociale necessario, anche grazie al processo di partecipazione che è stato attivato.
In merito alla Direttiva Case Green, qual è il cronoprogramma “ideale” di una rigenerazione di una città come Genova e gli obiettivi che dovrebbero essere messi in discussione?
I prossimi due anni saranno determinanti per comprendere come la Direttiva dovrà essere recepita nei singoli paesi e per compiere necessariamente alcuni passaggi che, in un territorio complesso come il nostro, possono rivelarsi determinanti per l’esito finale.
La prima tappa è la conoscenza del costruito ovvero una mappatura dello stato effettivo degli immobili perché in Italia e soprattutto in Liguria abbiamo un patrimonio edilizio profondamente differente da quello di altri paesi europei.

Diversità sostanziali che vanno dall’eterogeneità delle tecnologie costruttive alla frammentazione del regime proprietario e nel nostro caso specifico, sul piano dell’accessibilità.
È fondamentale una fase di programmazione, individuando sul territorio con congruo anticipo gli edifici – o meglio le aree – non solo in termini di valutazione costi/benefici ma anche in relazione alla strut- tura urbana consolidata che dovrà uscirne valorizzata e aperta verso il futuro, del 2030 e oltre. Questa fase di pianificazione sarà determinante.
Sappiamo che la Direttiva ammette deroghe fino a un massimo del 22% del patrimonio esistente, ovvero circa 2,6 milioni di edifici residenziali sui 12 milioni di fabbricati.
Sarà quindi fondamentale definire per tempo cosa sia di fatto compreso in questa soglia, oltre agli edifici storici, i luoghi di culto, le seconde case.
In aggiunta, sarà centrale aver chiaro il disegno della città che vogliamo, soprattutto qui a Genova, città che fa del suo policentrismo la vera forza, questo potrebbe essere uno strumento eccezionale per rinnovare l’identità dei propri centri e minimizzare il senso di periferia.
Determinante sarà costruire competenze qualificate, dove sarà fondamentale l’utilizzo della digitalizzazione, intesa come strumento e non come fine, e della tassonomia quale prassi operativa. Mezzi grazie ai quali, già oggi, è possibile superare l’applicazione seriale di soluzioni standardizzate per affrontare ogni tema in maniera specifica, caso per caso, con la possibilità di offrire qualcosa di più in termini di innovazione e di qualità dell’abitare.
Nei prossimi anni sarà importantissimo non ripetere gli errori del passato.
Case Green non sarà una misura “a tempo” come il Superbonus bensì – speriamo – uno strumento strutturale e molto impegnativo.
Ancora più che nel recente passato sarà determinante l’ascolto e la condivisione degli indirizzi con i tecnici, perché da queste competenze – alcune più tecniche, altre più umanistiche – si può davvero cogliere il senso sotteso a questa Direttiva, rifuggendo derive prettamente speculative per trarre vantaggi per la collettività.
Prendendo spunto dalla presentazione del libro “I demoni della demolizione”, tenutasi lo scorso 28 aprile a Palazzo Ducale, e quindi dalla demolizione della diga di Begato: la demolizione, rispetto al passato, sta diventando un’opportunità?
La demolizione è uno strumento come altri. Misura le proprie potenzialità sulla base delle finalità che si vogliono perseguire e quelle che ottiene.
Può essere uno strumento usato in maniera superficiale quale alibi per non affrontare una determinata problematica tecnica, o diventare un’opportunità unica quando, come nel caso della diga di Begato, risarcisce un territorio ed è parte di un processo più articolato. Coinvolge molte “sfere”, aspetti procedurali, materiali, ambientali, culturali, sociali e urbani, assai delicati anche dal punto di vista disciplinare.
È un processo difficile da governare, è necessario un buon regista ma anche una chiara volontà politica nel perseguire l’obiettivo, come nel caso della diga.
In Italia è uno strumento arrivato tardi rispetto ad altre realtà europee dove già alla fine degli anni ‘90, troviamo molti episodi significativi.
Da Parigi, dove è stato attuato il programma Ilot Caillié ovvero una sostituzione edilizia senza aumento volumetrico che ha permesso di riconfigurare la tipologia edilizia con alloggi più ampi, salvaguardando la natura commerciale del quartiere.
A Barcellona, il piano per Trinitat Nova è noto per aver avviato in parallelo piani urbanistici con programmi educativi e sociali.
In Italia, un primo importante episodio lo ritroviamo con il quartiere del Giustiniano Imperatore a Roma, avviato nei primi anni 2000, che ha previsto la progressiva demolizione di 18 edifici e dove si è riconfigurato – peraltro attraverso lo strumento del concorso di progettazione del 2004 – un nuovo assetto che ritrova nell’articolazione dell’attacco a terra e nel parco gli elementi più caratterizzanti.

È senza dubbio un’opportunità quando la demolizione diventa un’occasione per riconsiderare lo “spazio”, per ridefinire e ridistribuire le volumetrie originarie, contribuendo alla qualificazione di vere e proprie porzioni di città, per attivare “relazioni” capaci di consolidare la comunità e di costruire un senso di appartenenza, laddove si era deteriorato.
Diventa critica invece per quanto riguarda la gestione del tempo e la relativa programmazione perché, tra brusche accelerazioni e l’insorgere di problematiche inaspettate, trova spesso difficoltà oggettive nel perseguire i programmi impostati.
Anche dal punto di vista ambientale, le variabili sono molteplici, dalla difficoltà della gestione delle materie, al rispetto dei CAM (criteri ambientali minimi), dei principi DNSH (Do no significant harm, prevedono che gli interventi previsti dai PNRR nazionali non arrechino danni significativi all’ambiente) ma al contempo apre alla possibilità di realizzare nuovi edifici Nzeb (Nearly zero energy building, ovvero edifici a elevata efficienza energetica).
Sebbene il futuro suggerisca un’importante e capillare operazione di riqualificazione dell’esistente, una valutazione oggettiva sulla demolizione come opportunità non può che essere fatta caso per caso.
Qual è il filo conduttore (se c’è) tra la Direttiva Case Green - Demolizione - Conservazione del costruito ordinario?

Nell’evidente condizione in cui ci troviamo, caratterizzata da una sorta di crisi permanente e dalla difficoltà di programmare lo sviluppo se non in risposta a sollecitazioni emergenziali, la prospettiva ambientale è sicuramente una delle poche certezze con cui dovremmo confrontarci nei prossimi anni.
Oggi abbiamo la consapevolezza che ambiente, economia e benessere sono aspetti strettamente connessi tra loro e dal cui equilibrio deriva la qualità della nostra vita. Una qualità non più misurabile esclusivamente con parametri quantitativi ma che sottende aspetti più ampi, come quelli individuati dall’OCSE, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che accosta al reddito variabili come clima, livelli di educazione, sanità, soddisfazione personale, sicurezza, casa, relazioni sociali, governance e life-work balance, solo per citarne alcune.
In questo senso, ritengo andrebbe riconosciuto che la Direttiva Case Green potrebbe diventare un’occasione di riqualificazione dell’esistente, non solo per contenerne i consumi energetici, ma anche per innalzare la qualità dell’abitare, perché la casa, negli ultimi anni, sulla scia della consapevolezza post-pandemica, ha subito una drastica accelerazione nella domanda di innovazione sempre più indirizzata alla richiesta di una “social and affordable house”, ovvero la casa accessibile, conveniente e per tutti.
È in corso da parte del governo la redazione del nuovo Testo Unico delle Costruzioni. È importante che, parallelamente all’auspicato aggiornamento e semplificazione delle procedure, questo documento recepisca i principi del green deal che l’Europa ci chiede oramai da anni e venga compresa la complessità che caratterizza i nostri territori – la cui fragilità è un tema di grande attualità – diventando presto uno strumento concreto, realmente incisivo e allineato al futuro.