3 minute read

SMART WORKING

Next Article
EQUO COMPENSO

EQUO COMPENSO

LA METODOLOGIA DEL FUTURO, VINCENTE MA ANCORA

Incompresa

Marcello Garini, engineering manager

L’emergenza Covid ha prepotentemente portato alla ribalta il concetto di lavoro agile in Italia e nel mondo. Si tratta dell’organizzazione più appetibile in molti contesti lavorativi: chiariamo i pregi, le difficoltà e soprattutto i requisiti per sfruttarla al meglio

Prima di esplorare in profondità il tema smart working è necessario chiarire alcuni aspetti. Spesso si confonde lo smart working – chiamato anche lavoro agile in Italia o remote working nel mondo – con il telelavoro. Semplicisticamente, quest’ultimo è paragonabile al lavoro in presenza dove la propria abitazione risulta essere la sede di lavoro: organizzazione e responsabilità restano tuttavia identiche. Lo smart working invece presenta peculiarità differenti.

La normativa italiana non ha aiutato nella comprensione e nell’attuazione del vero lavoro agile – a partire dalla L. 22 maggio 2017, n. 81 che l’ha introdotta – e, sebbene si tratti di una normativa rivoluzionaria, sotto molti aspetti è ancora lacunosa e poco snella nella sua attuazione

Quello concesso durante la pandemia appena passata è stato sì lavoro agile, legislativamente parlando (D.L. 17 marzo 2020, n. 18), tuttavia l’incompletezza normativa ha portato moltissime aziende a una implementazione pratica pari al telelavoro, impedendo quindi di trarne i veri benefici.

Per capire a fondo cosa è lo smart working partiamo quindi da una definizione a me molto cara, coniata da Mariano Corso, professore del Politecnico di Milano: “[...] significa ripensare il telelavoro in un’ottica più intelligente, mettere in discussione i tradizionali vincoli legati a luogo e orario lasciando alle persone maggiore autonomia nel definire le modalità di lavoro a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Autonomia, ma anche flessibilità, responsabilizzazione, valorizzazione dei talenti e fiducia diventano i principi chiave di questo nuovo approccio”. Esploriamo questa definizione.

Obiettivi, non orari

Una delle principali peculiarità verte sulla gestione dell’orario. Si tratta di un’organizzazione dinamica delle 8 ore giornaliere, che possono essere adattate alle proprie esigenze. Questo permette di raggiungere più facilmente il famoso “work-life balance”, ovvero la possibilità di poter intrecciare nella giornata lavorativa attività personali che normalmente non sarebbero compatibili con l’orario d’ufficio o che richiederebbero un permesso formale. I benefici per il lavoratore sono molteplici soprattutto sul piano del benessere personale, generando in contropartita una maggiore produttività. Il focus si sposta quindi maggiormente sui risultati tangibili del proprio lavoro, ed è su questi che il lavoratore è valutato.

Da grandi poteri derivano grandi responsabilità

Il lavoro agile pone al centro dell’azienda il lavoratore, fornendogli una grande libertà che, in cambio, richiede una forte responsabilizzazione e capacità di organizzare autonomamente il proprio lavoro. Una cattiva gestione del proprio tempo porta a un veloce e sistematico fallimento degli obiettivi o alla tangibile possibilità di lavorare ben oltre la soglia oraria prevista.

In egual misura, è anche necessario un cambio della mentalità di management da parte dell’azienda, che deve concedere maggiore fiducia e autonomia, oltre a riformulare le metriche sulle quali un lavoratore è valutato.

Sfide organizzative

L’evoluzione culturale non è tuttavia sufficiente se non è supportata da strumenti e modelli organizzativi aziendali adeguati. In un contesto di totale o parziale dislocazione, è necessario investire in dotazioni che permettano al lavoratore di svolgere senza problemi il proprio ruolo: strumenti di comunicazione sincrona (meeting) e asincrona (messaggistica), accesso alle risorse necessarie via internet (con relative problematiche di cyber security), strumenti informatici adeguati.

Le dotazioni sono necessarie ma non sufficienti a svolgere lavoro in remoto: è richiesto anche un cambio di mentalità nella condivisione delle informazioni (farlo bene e spesso), nell’organizzazione e nel rispetto del tempo altrui. Per realtà lavorative non altamente informatizzate questo può essere uno degli scogli più ostici da superare per implementare lo smart working al meglio, se non addirittura insormontabile quando, ad esempio, non tutto può essere informatizzato.

È tutta una questione di cultura

In buona sostanza, non basta lavorare da casa per fare smart working. È necessario uno sforzo collettivo sia del datore che del lavoratore, un impegno nell’abbracciare una metodologia che, impostata correttamente e appoggiata su solide basi, ripaga con grandi dividendi, come evidenziano svariati report e statistiche.

È necessaria, in sintesi, una cultura aziendale evoluta che pone come cardine le persone, fornendo fiducia, rispetto e i corretti mezzi.

Risulta evidente che non tutte le realtà lavorative siano in grado o pronte ad affrontare questa rivoluzione, ma l’auspicio è che i benefici siano uno sprone sufficiente a muoversi verso una metodologia posizionata per essere lo standard del mondo del lavoro.

This article is from: