Aprile 2024

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PRIMO PIANO

Genitori e nonni pilastri

contro il disagio giovanile

Pandemia, guerre e instabilità, non c’è pace per chi ancora non è entrato nel mondo adulto. Famiglia, scuola e istituzioni cosa possono fare per aiutarli

PERSONAGGI

Neri Marcorè debutta da regista

«È il momento di passare dietro la macchina da presa»

ECONOMIA

Crisi delle edicole in Italia

Storie di chi ce l’ha fatta e di chi ha abbassato la serranda per sempre

ELEZIONI 2024

Voto agli studenti fuori sede Viaggio nelle università tra favorevoli e contrari

Il valore dell’esperienza | APRILE 2024 | Anno XLVI - n. 4 - € 2,50 I.P.

Sommario

Anno XLVI - n. 4 - aprile 2024

Diritto alla salute. Un imperativo sociale tra sfide e opportunità

Ascoltiamo le voci silenziose

Chiedere aiuto non è debolezza ma coraggio

In questo numero

Microchip, l’azienda di Taiwan

L’Aquila, Capitale della cultura 2026

Corti di Lunga Vita al Cinema Troisi

A Verona il corso di fotografia per ciechi. Il racconto

Messico, la tutela degli anziani fragili

Superstizioni e credenze nel mondo

Marco Polo tra storia e mito

Previdenza, Patto per la Terza età

Fisco, decreto Milleproroghe

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Carlo Sangalli 5

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Luca Martini 36

Ettore Costa 58

Francesca Cutolo 60

Anna Costalunga 66

Donatella Ottavi 68

Ester Riva 70

Maria Silvia Barbieri 84

Alessandra De Feo 86

Viaggi: Canada, Monaco e Castelli della Baviera a cura di 50&Più Turismo 88

Nel cuore della primavera a cura di Barbanera 92

30

I fatti di Pisa, tra tensione sociale e comunicazione social di Alfonso Amendola

Rubriche

45

Genitori e nonni pilastri contro il disagio giovanile di D.Ottavi, C.Ludovisi, I.Romano A.Giuffrida, L.Russo, V.M.Urru

Francesco Longo, membro del Consiglio Superiore di Sanità, commenta lo stato del Sistema sanitario nazionale spiegando possibili cause e ipotizzando soluzioni

LA CRISI

Un crollo del 26% negli ultimi cinque anni e oltre 2.000 comuni senza rivendite. Testimonianze da un settore che ha bisogno di urgenti interventi di sostegno

Per le Europee sarà possibile recarsi alle urne senza raggiungere il comune di residenza. Le opinioni di chi studia lontano da casa

50&Più | aprile 2024 3
EDICOLE STUDENTI FUORISEDE AL VOTO
DELLE
24
GIORNATA DELLA SALUTE 34 42
I.Romano F.Cutolo D.De Felicis
La forma delle nuvole Gianrico e Giorgia Carofiglio 10 Il terzo tempo Lidia Ravera 12 Anni possibili Marco Trabucchi 14 Effetto Terra Francesca Santolini 16

Personaggi

Neri Marcorè si racconta «Dopo cento film, ho sentito il desiderio di fare il regista»

di Giulia Bianconi 20

Speciale scuola

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per gli studenti 38

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NUMERO CERTIFICATO 9271

DEL 6/03/2024

ASSOCIATO ALL’USPI

UNIONE STAMPA

PERIODICA ITALIANA

50&Più | aprile 2024 4
Cultura I Canti della gratitudine di Franco Arminio 74 Tommaso Giartosio e l’atlante delle parole vissute 76 Aldo Giuffrè, una vita da protagonista 78 La contaminazione musicale è donna 80 Picasso e il fascino dell’arte ‘primitiva’ 82
assistenti
fondamentali
di
Giuffrida
figure
Anna

DIRITTO ALLA SALUTE UN IMPERATIVO SOCIALE TRA SFIDE E OPPORTUNITÀ

Una vita sana e dignitosa è un diritto di tutti. Agire per garantirlo è un obbligo morale che può contribuire a costruire una società più giusta ed inclusiva

Il 7 aprile si celebra la Giornata mondiale della Salute e ogni anno è un momento importante da ricordare, in particolare per un’Organizzazione come 50&Più. Quanto più numerosi sono i fattori di rischio per la salute - e l’età purtroppo è uno di questi - tanto più diventa strategico il tema del diritto alla salute, della prevenzione e dell’accesso alle cure mediche, che questa Giornata del 7 aprile vuole mettere al centro dell’attenzione.

«TUTELARE LA SALUTE SIGNIFICA ANCHE FAVORIRE LA PARTECIPAZIONE ATTIVA DELLE PERSONE ALLA SOCIETÀ»

Partendo dalla considerazione difficilmente contestabile che gli anziani rappresentano un patrimonio eccezionale per questo paese, in termini di silver economy - certamente - ma anche e soprattutto in termini di ricchezza umana e sociale, è facile capire quanti vantaggi ci sarebbero se l’accesso alle cure fosse uguale per tutti e se ci fossero più risorse a disposizione. Siamo genitori, siamo nonni, siamo amici e siamo punti di riferimento all’interno delle comunità che abitiamo. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea recita: «L’Unione riconosce e rispetta il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale». A gennaio di quest’anno, il governo ha approvato il decreto attuativo della legge sulla riforma dell’assistenza alle persone non autosufficienti: un primo passo importante, certo, che rimane tuttavia un primo passo a cui ne dovranno di necessità seguire. L’attesa di mesi prima di poter fare una visita medica con il Servizio sanitario nazionale o la necessità di attraversare l’Italia per accedere ad un certo intervento sono pratiche diffuse, ma

dolorose in una società civile. Esiste la sanità privata, è vero, che è un pilastro fondamentale di integrazione a quella pubblica: ma dovrebbe essere un’alternativa, non l’unica strada ad un accesso veloce e garantito alle cure. La salute è un diritto e come tale deve essere trattato. A questo si aggiunga che oltre il malessere fisico, c’è da considerare anche il tema psicologico. Dopo la pandemia, in tanti - giovani e senior - vivono uno stato crescente di disagio, senso di inadeguatezza, talvolta depressione, difficile da trattare, a volte persino da riconoscere, per le loro famiglie. Gli sforzi fatti fino ad ora per garantire l’assistenza al benessere psicologico sono stati importanti ma non sono sufficienti e i dati che rileviamo da report nazionali e internazionali fotografano una realtà dura da accettare e su cui bisogna assolutamente intervenire perché la ragione è una e una soltanto: nessuno deve essere lasciato solo. Non devono essere lasciati soli gli ammalati e chi di loro si prende cura.

Da un certo punto di vista, fortunatamente c’è l’associazionismo. Questa Giornata sia allora anche l’occasione per ricordare e per sottolineare l’impegno di tante associazioni - come la nostra - che lavorano per garantire la tutela dei diritti delle persone anziane, realtà che si fanno interpreti dei bisogni e delle esigenze di chi - troppo spesso - non ha voce. È tempo di agire per garantire a tutti di vivere una vita sana, felice e dignitosa, contribuendo a costruire una società più giusta e inclusiva. Perché tutelare la salute significa anche favorire, incentivare la partecipazione attiva delle persone alla società, porre le condizioni perché possano esprimersi, infine dare un contributo. È un circuito che, a conti fatti, conviene a tutti: ai nostri anziani, al Sistema sanitario e anche alle nuove generazioni.

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ASCOLTIAMO LE VOCI SILENZIOSE CHIEDERE AIUTO NON È DEBOLEZZA MA CORAGGIO

La pandemia prima e i conflitti poi sono stati e continuano ad essere, spesso, causa di malessere tra i giovanissimi. Dati recenti raccontano un aumento di fragilità in età adolescenziale. Cosa possiamo fare per non lasciare solo nessuno?

Li sorprendiamo silenziosi, con lo sguardo incollato al display di un telefonino, o in gruppo, ma distanti. E anche nella penombra della cameretta ad ascoltare canzoni mentre il compagno di classe festeggia il compleanno o gli amici sono in gita. “L’adolescenza è un’età particolare”, la frase che abbiamo sentito più spesso da piccoli che – ogni tanto –da grandi ci capita di pronunciare, quasi con una felice consapevolezza di sapere che è così che le cose devono andare. Siamo consapevoli che si pianga per il primo amore non corrisposto, che si marini la scuola per stare insieme agli amici, che si dica qualche bugia e che, nascosti dietro a un muretto, si fumi la prima sigaretta.

Nell’immaginario collettivo l’adolescenza è esattamente così. Almeno fino alla pandemia. Già perché il lockdown imposto per contrastare la diffusione del Covid-19 prima, la guerra Russia-Ucraina poi e il conflitto a Gaza hanno ridisegnato, e continuano a farlo, l’orizzonte di senso per i giovani e per gli adulti. Se però gli adulti hanno – si spera

– le spalle larghe per affrontare e interpretare quanto di più vicino o di più lontano si prende la scena, non tutti i giovani, e non tutti gli adolescenti possiedono gli strumenti utili a discernere la paura e le sensazioni dai fatti, dagli avvenimenti e dalle notizie. Sono, loro malgrado, collocati in uno spazio che altera il valore delle cose. In questo contesto socioeconomico-culturale, la domanda da porre è questa: cosa possiamo fare noi adulti, genitori, fratelli, nonni, per arginare i disagi che vive una percentuale sempre più importante di giovani?

Prima di tutto, esserci. Esserci con l’ascolto, con la parola. Con la presenza, possiamo contribuire a creare un ambiente sicuro e accogliente in cui i giovani esprimano i loro pensieri e i loro sentimenti senza la paura di essere giudicati. Dobbiamo essere disposti a comprendere le loro preoccupazioni e i loro timori, anche se, a volte, sembrano irrilevanti o esagerati. Abbiamo il dovere di insegnare loro che l’ansia e la tristezza possono essere affrontate in modo sano e costruttivo, combat-

tendo lo stigma associato alla salute mentale. Incoraggiamo una cultura in cui chiedere aiuto non è segno di debolezza ma un atto di coraggio e auto-consapevolezza.

Fermiamoci ad ascoltare quello che i giovani hanno da dire e fermiamoci ad ascoltare, inoltre, le parole che i giovani non riescono a pronunciare, perché è anche nei ‘non-detti’ che si nascondono disagi e tormenti. È su quelli che bisogna indagare per non generare fraintendimenti che – spesso – portano a spiacevoli conseguenze. Questo però dobbiamo farlo tutti insieme perché in questo processo che contrasta l’isolamento siamo tutti coinvolti. Siamo tutti responsabili del benessere delle persone e delle dinamiche sociali. La famiglia, in primis, la scuola, il gruppo dei pari, le istituzioni. Se ognuno facesse la propria parte, tutti contribuiremmo a costruire una comunità fondata sul rispetto verso gli altri, dei giovani e delle persone anziane; una società fondata sul coraggio di non arrendersi alle difficoltà. Dobbiamo impegnarci affinché nessuno si senta solo mai.

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Punti di vista

Segni di carattere

Quando si illustra un testo con un disegno è corretto definire quel disegno una rappresentazione iconografica? E quando è lo stesso carattere del testo il font, a disegnare nuove forme?

Le lettere, i grafemi, infatti, oltre ad avere un senso e un suono legato alle convenzioni linguistiche, sono anche segni tracciati sul foglio. Ed essendo segni sono leggibili anche come immagini

cura di Elisa Rossi 50&Più | aprile 2024 8
a

La forma delle nuvole Un padre e una figlia osservano il mondo

L’INVISIBILE GABBIA DEL RETTANGOLO

di Gianrico e Giorgia Carofiglio

Imusei sono fatti principalmente per girovagare tra sale piene di quadri. Certo, alcuni espongono anche sculture, teche di vasi e porcellane, gioielli e tessuti preziosi, scheletri di dinosauro, fossili, minerali, conchiglie, animali impagliati. Sono luoghi di infinite meraviglie. Ma se chiudete gli occhi e provate ad immaginare un museo, è probabile che vi appaia prima di tutto una sala con pareti ricoperte di dipinti incorniciati, realizzati su supporti di forma e proporzioni sorprendentemente simili.

A fermarsi un attimo, viene da chiedersi: perché le gallerie d’arte sono piene di rettangoli dipinti? Perché nei corridoi delle regge, delle tenute, dei grandi palazzi si succedono tele della stessa forma, pur se con soggetti molteplici, antenati illustri, paesaggi bucolici, scene di battaglia? È così ovvio che non ce ne accorgiamo, ma tranne pochissime eccezioni, la pittura si fa in un solo formato, anche se con tecniche diverse. La tela tesa su una struttura di legno rettangolare è lo spazio del pittore, nonostante alcuni si siano ribellati a questa regola: Lucio Fontana ne ha squarciato la

superficie con i suoi riconoscibilissimi tagli su sfondi monocromatici, gli artisti contemporanei l’hanno resa tattile, l’hanno decostruita, ne hanno modificato l’aspetto. Ma sono, appunto, eccezioni. Spesso considerate più sculture che quadri, opere concettuali, ibride. Se proviamo a pensare al primo dipinto che ci viene in mente, quasi sicuramente spunterà un rettangolo piano: orizzontale o verticale, una natura morta o un ritratto, un ponte su uno stagno di ninfee o una notte stellata, ma pur sempre un rettangolo.

La storia dietro il dominio di questa forma nell’arte e nelle nostre vite - sono rettangolari gli schermi dei computer, gli smartphone, le tv, il cinema, le fotografie, insomma quasi tutti i mezzi di rappresentazione visiva - è un insieme di contingenze e scelte deliberate, ragioni storiche, sociali e tecnologiche. Come racconta Riccardo Falcinelli in un bellissimo saggio che esplora i meccanismi dietro il funzionamento delle immagini (si chiama Figure) è prima di tutto la diffusione della prospettiva, a partire dal Rinascimento, a favorire il rettangolo e l’idea di una compo -

sizione che permetta all’osservatore di porsi come se fosse di fronte a una finestra. Fino al 1494 la parola ‘quadro’ non esiste nemmeno, e in effetti gli artisti dipingono su supporti rotondi od ovali, sui trittici, nelle teche, su tavole di forme diverse. È poi l’introduzione della tela, che per essere usata necessita di essere tesa e inchiodata ad una cornice, a cambiare ulteriormente le cose, mentre prima si dipingeva su pareti o tavole di legno. Nel frattempo, l’invenzione della stampa consolida un formato preciso anche per le illustrazioni dei libri che, a differenza di quelle che corredano i volumi scritti a mano,

50&Più | aprile 2024 10

devono rientrare nei confini ben delimitati della pagina tipografica. Le immagini diventano sempre più economiche e quanto più si rivolgono a un pubblico ampio, principalmente della classe mercantile, invece che all’aristocrazia, alle famiglie reali o al clero, tanto più devono essere in formati maneggevoli, vendibili, con costi di produzione bassi. Una tela rettangolare è più facile da costruire, e insieme alla rivoluzione industriale arriva anche la sua produzione in serie. Dall’Olanda del Seicento alla Parigi ottocentesca con i suoi affollatissimi saloni espositivi, fino all’epoca della riproducibilità delle opere d’arte sui libri, sui giornali, e poi su Internet, l’universo delle immagini si riempie di rettangoli. Così tanto da farci smettere di pensare che possa-

no esistere forme diverse.

Una serie di questioni tecniche e di sconvolgimenti sociali ha cambiato il modo in cui guardiamo il mondo. Vediamo le immagini, le produciamo, le rappresentiamo solo attraverso una cornice precisa, implicita e dunque nascosta, eppure onnipresente. In sociologia si chiama appunto un frame (cornice, ma anche struttura, in inglese), un’impalcatura mentale che plasma la nostra percezione in profondità: tanto da non essere osservabile, perché agisce al di sotto dell’introspezione cosciente. Il ‘framing’ è uno schema di interpretazione, un filtro su cui facciamo affidamento per mettere ordine alla realtà, che per questo influenza le nostre scelte e come pensiamo noi stessi e il mondo. Quante cose ci appaiono inevitabili, perché sono così pervasive che non le vediamo? Ce lo ricorda una storiella che raccontò lo scrittore David Foster Wallace di fronte ai giovani laureati di un college americano. Ci sono due pesci che nuotano tranquilli, quando ne incontrano uno più anziano, e per questo (si presume) più saggio. «Buongiorno ragazzi, com’è oggi l’acqua?», domanda l’anziano. I due pesci lo guardano per un attimo prima di rispondere cortesi al saluto e riprendere a nuotare. Passa qualche istante, poi uno dei due si ferma e si volta interdetto: «Ma che diavolo è l’acqua?». Immersi nella nostra realtà, anche le cose più ovvie diventano invisibili.

Il frame

è un’impalcatura mentale che plasma la nostra percezione così in profondità da non essere osservabile perché agisce al di sotto dell’introspezione cosciente

PARLIAMONE

Per scrivere a Gianrico e Giorgia Carofiglio

posta - C/O Redazione 50&Più via del Melangolo, 26 - (RM) fax - 066872597 email - redazione@50epiu.it

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Il terzo tempo

CHI RICORDA DAVVERO LA SUA GIOVINEZZA?

Io la mia, arrivata ai fatidici settant’anni, me la sarei scordata come tutti e quindi potrei raccontarmela meravigliosa, piena di allegria, di piaceri e di cuori infranti. Purtroppo il mio maledetto vizio, questa mania di scrivere sempre, di scrivere tutti i giorni, mi impedisce di allinearmi alla smemoratezza generale. Non posso zuccherare il passato perché, per tutta la mia lunga vita, ho preso appunti. E, se li rileggo, sono ben lieta di essere ben insediata nel penultimo tempo. Da giovane ero insicura, avevo un bisogno spasmodico di essere accettata, promossa, lodata, amata, scelta.

L’ipotesi di non essere invitata a ballare, di “fare tappezzeria”, di non conquistare tutte le persone che incontravo mi faceva tremare le vene dei polsi. Dunque ero brutta? O forse ero antipatica. Sarei diventata una grande scrittrice o sarei affogata nella mediocrità? E il mio ragazzo? Era un morto di fame che si accontentava di una ragazza brutta e antipatica come me perché le altre (tutte belle, tutte felici) non ne volevano sapere di lui? Dovevo lasciarlo o imparare ad amarlo? Ero incapace di amare? Quindi

ero un mostro. Oddio: ero un mostro? Non ridete, ci sono delle costanti e delle variabili nelle stagioni dell’esistenza. Le variabili sono storiche, cambiano con le epoche. Le costanti restano uguali attraverso i secoli. Io sono stata giovane negli anni Settanta, alla fine degli anni Sessanta, quando sembrava possibile e praticabile il progetto di cambiare il mondo. Era un buon momento. Soffrivo di tutte le fragilità psicologiche dell’età, ma facevo parte di una generazione e sentivo questa appartenenza come qualcosa che trascendeva i miei piccoli problemi e dava senso alla mia intera vita.

Noi si lottava per un mondo migliore. Ieri.

Come sta chi ha 15 anni o 20 oggi?

Il titolo del mio ultimo romanzo, in libreria da poche settimane, è significativo: Un giorno tutto questo sarà tuo. Protagonista e io narrante è un ragazzino di 15 anni, Seymour, figlio di una americana ‘svalvolata’ e di un padre scrittore di successo che lui definisce “vanitoso, egocentrico e fasullo”. Il giovane Seymour esercita uno sguardo attento e crudele sui suoi adulti di riferimento, cioè suo padre

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Non ridete, ci sono delle costanti e delle variabili nelle stagioni dell’esistenza

Le variabili sono storiche, cambiano con le epoche

Le costanti restano uguali attraverso i secoli

e le tre ex mogli del padre che lui chiama ex madri. Mentre guarda, Seymour, percepisce gli scricchiolii sinistri di un mondo che si va sgretolando sia nel concreto alternarsi di siccità e tempesta, sia nell’astratto degradarsi delle relazioni fra uomini e donne e di uomini e donne con il successo, l’obbiettivo mitico che ha sostituito ogni altra fede o ideale. Dunque che cosa lasciamo a chi è nato da poco?

Una eredità faticosa. Disordine, cinismo, indifferenza.

I giovanissimi si difendono come possono, i più fragili - vittime di questo tempo senza sogni - diventano aggressivi. Contro chiunque. Ma soprattutto contro le ragazze. Sono le bande di adolescenti da stupro, ragazzi che non sanno amare. I più forti e, ahimè, si tratta quasi sempre di privilegiati, quelli che da bambini sono stati amati, seguiti e stimolati, provano a vivere come se fosse possibile ancora immaginare un mondo migliore, meno dominato dal caotico scontro di tutti i nostri ‘ego’ intemperanti. I più forti scendono in piazza contro il genocidio (io lo chiamo così, Nethanyahu vuole distruggere un popolo, non vuole soltanto combattere Hamas) dei palestinesi. A favore di una pace mondiale che metta al riparo tutti noi da una terza guerra mondiale. Un conflitto sfiorato ogni giorno da mesi.

Uno scenario di distruzione di massa

che mi fa paura immaginare. Essere giovani, come sta scritto, nero su bianco, nei miei cento quaderni, non è una passeggiata, è difficile sempre, è l’età delle scelte, la giovinezza, è il momento in cui provi a far a meno della protezione della famiglia. È quella faticosa salita che dall’infanzia ti spinge verso l’età adulta, quella in cui, oltre alle scelte, devi incominciare a confrontarti anche con le responsabilità.

Essere giovani oggi è ancora più difficile di ieri: le famiglie sono spesso lacerate dai divorzi, i figli vengono spostati come pacchi da un genitore all’altro. L’attenzione di cui hanno bisogno, quella discreta, quella che vuol dire ascolto e comprensione, non regole e recriminazioni, sono pochi i genitori che sanno garantirla. Le madri, i padri, tutti sono terrorizzati dall’idea di non essere più - loro stessi - ragazze e ragazzi.

I figli vengono invidiati e copiati, non educati e formati (non fate quella faccia, parlo in generale, lo so che ci sono tante eccezioni).

La classe dirigente, soprattutto quella politica e manageriale, fa una brutta figura dietro l’altra. Quante scandalose appropriazioni indebite si sono inanellate dal 1992, anno di “Mani Pulite”, fino ai giorni nostri?

I nati dopo l’anno 2000 hanno trovato già apparecchiata la grande tavola del disincanto. Quali modelli positivi possiamo fornire loro, per contrastare questo triste sentimento?

PARLIAMONE

Per scrivere a Lidia Ravera

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50&Più | aprile 2024 13

Anni possibili

I CANI MIGLIORANO LA NOSTRA QUALITÀ DELLA VITA ANCHE SE TALVOLTA CI FANNO CADERE

Recentemente sono stato colpito da uno studio, pubblicato da un’importante rivista clinico-scientifica internazionale, nel quale si esamina la frequenza di incidenti con frattura di femore avvenuti nelle persone anziane, attribuibili alla presenza di un cane. Il mio interesse era soprattutto stimolato dal contrasto tra il ben noto effetto decisamente positivo esercitato dai cani sulla qualità della vita delle persone ultrasessantacinquenni, quando fanno compagnia durante le passeggiate, e il solo pensare che la loro vicinanza possa provocare danni alla salute, peraltro anche gravi (è ben noto come la frattura di femore spesso comporti conseguenze rilevanti, anche a lungo termine).

I dati dello studio indicano che su una popolazione di circa 220.000

abitanti, in un anno 387 persone ultrasessantenni sono state ricoverate in ospedale per frattura di femore; di questi eventi, 16 sono attribuibili alla presenza di cani. L’età media di queste 11 donne e 5 uomini è di 79 anni. I meccanismi della caduta sono stati la spinta a terra involontaria da parte del cane o il fatto di essere inciampati nel guinzaglio che si è aggrovigliato. Altri studi precedenti riportavano, peraltro, un rischio di caduta causato dai cani circa doppio di quello indicato; in ogni modo si può sostenere senza dubbio che in alcuni casi i cani sono responsabili dell’evento caduta.

Si apre quindi una possibile discussione, incentrata sul fatto che a tutte le età, in particolare in età avanzata, alcune azioni con risultati positivi possano anche essere all’origine di eventi negativi. Si pensi, ad esem-

50&Più | aprile 2024 14

Nell’educazione dell’anziano ad evitare le cadute non si deve trascurare l’attenzione sul cane senza indurre paure ingiustificate ma solo richiamando i possibili rischi

pio, alla stessa indicazione dell’importanza dell’attività fisica costante, ogni giorno, senza scusanti attribuite alle condizioni atmosferiche. Sappiamo bene quanto questa regola vada interpretata in modo rigido per esser davvero efficace, non ammettendo scuse, e frequentemente dettata dalla pigrizia. Questa indicazione può esporre a qualche rischio (raffreddamenti, cadute, ecc) il cui peso deve però essere trascurato rispetto ai vantaggi ottenibili. Lo stesso si può dire a proposito dei cani; i vantaggi di possedere un cane sono rilevanti: benessere psicologico, lenimento della solitudine, aumento dell’attività fisica, salute del sistema cardiovascolare, fino ad un certo aumento della spettanza di vita attribuibile ai fattori indicati. È doveroso dare a queste dinamiche di salute un peso maggiore, visto nel complesso, rispetto a possibili danni, quali la frattura di femore.

È interessante notare che nella raccolta dei dati gli studiosi sospettano che in alcuni casi la persona fratturata non denuncia la presenza del cane, perché il suo amore porta a nascondere gli eventuali danni indotti dal cane. Tuttavia, nell’educazione dell’anziano ad evitare le cadute non si deve trascurare l’attenzione anche sul cane; senza indurre paure ingiustificate, ma solo richiamando i possibili rischi. Una curiosità: nella

letteratura epidemiologica non sono presenti notizie su fratture indotte da gatti nella persona anziana. Forse perché all’anziano il gatto piace meno, per il suo atteggiamento più egoista rispetto al cane. Una considerazione conclusiva ci richiama al fatto che la costruzione di “mondi possibili” anche dopo la pensione è un dovere, perché dobbiamo tendere ad una qualità della vita sempre migliore. E è altrettanto vero che i mondi possibili richiedono impegno, attenzione, determinazione. Non vi è dubbio che nel nostro tempo, quando prevale l’“io” sul “noi”, sia sempre più complesso allacciare rapporti incisivi con i nostri simili, all’interno e all’esterno della famiglia. Il ricorso ad un cane è quindi una modalità intelligente per ridurre le sofferenze provocate dal senso di solitudine, di abbandono; è un essere vivente sul quale riversare affetto, ricevendone in cambio. L’esplosione del fenomeno animali domestici che sta avvenendo in questi anni non è un evento negativo, quindi; ricordiamo anche, concludendo con una osservazione di costume, che non di rado tra gli accompagnatori di cani si instaurano dialoghi che sono sempre vita.

PARLIAMONE

Per scrivere a Marco Trabucchi

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50&Più | aprile 2024 15

UMORISMO E SCIENZA UN AIUTO ALLA SFIDA CLIMATICA

di Francesca Santolini

“La situazione è grave ma non seria” e quindi tanto vale riderci sopra. Mai aforisma fu più azzeccato di quello di Ennio Flaiano per descrivere un nuovo progetto di divulgazione climatica che sta spopolando nel Regno Unito.

In effetti, a dirla tutta, le conoscenze e le informazioni scientifiche sul cambiamento climatico fanno una gran fatica ad arrivare al grande pubblico, con il risultato talvolta paradossale di anestetizzarlo anziché sensibilizzarlo. Del resto, come farne una colpa agli scienziati? Non fanno mica i comici. E se invece il segreto fosse proprio unire questi due mondi? Il format si chiama Climate Science Translated e consiste nell’accoppiare uno scienziato e un comico che ha il compito di tradurre la complessa scienza del clima in contenuti divertenti, ironici e schietti, in modo da renderli accessibili ad un pubblico molto più vasto di quello già sensibile alla questione climatica. E funziona. Una ricerca condotta dal team Climate Science

Breakthrough, un progetto nato per creare modi innovativi di affrontare l’emergenza climatica, mostra come l’umorismo può essere uno strumento di trasformazione della comunicazione scientifica e avere un impatto positivo sulla comprensione del cambiamento climatico, anche da parte di chi non è interessato al tema. Comici molto famosi in Inghilterra, come Jo Brand e Nish Kumar, fanno parte del progetto e, per intenderci, è un po’ come se da noi Lillo, Corrado Guzzanti o Virginia Raffaele si mettessero a spiegare una conferenza sul clima, un rapporto scientifico dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (l’organismo delle Nazioni Unite che delinea gli scenari climatici) o il mercato delle emissioni. Una tendenza singolare che indica non solo l’urgenza di porre maggiore attenzione alla crisi climatica, ma anche una consapevolezza nuova sulla necessità di raccontarla con maggiore efficacia al grande pubblico.

Il mix apparentemente stravagante

di umorismo e scienza non è solo un’idea geniale, ma dimostra come l’ironia possa contribuire a guidare il cambiamento e la consapevolezza, perché una comunicazione più ‘umana’ non è necessariamente meno efficace. Un’alternativa, peraltro, decisamente più simpatica dell’attivismo climatico di Ultima Generazione e di altri gruppi simili che, tra lanci di zuppe e di vernici sui monumenti, si sono guadagnati più che altro il disprezzo e l’anti -

50&Più | aprile 2024 16
Effetto Terra

patia dell’opinione pubblica. Invece la comicità funziona perché si possono dire cose che uno scienziato non potrebbe: un doppio senso, una parolaccia, anche un’imprecazione, visto che le cose vanno così male. In effetti è drammaticamente ironico avere tutte le soluzioni a portata di mano e trascurarle, facendo invece ciò che è più dannoso per noi e per il Pianeta. L’energia rinnovabile è più economica, sicura e pulita dei combustibili fossili, ma a livello

L’umorismo può essere uno strumento di trasformazione della comunicazione scientifica e avere un impatto positivo sulla comprensione del cambiamento climatico anche da parte di chi non è interessato al tema

globale abbiamo finanziato i combustibili fossili per una somma pari a 7 trilioni di dollari nel 2023, in aumento di 2 trilioni di dollari rispetto all’anno precedente. Anche l’ultimo vertice sul clima, la Cop28, che si è tenuto in un importante petrostato come gli Emirati Arabi Uniti – anche questa, a dire la verità, sembra una barzelletta – ha chiesto l’abbandono dei combustibili fossili. Ma nella sfida climatica il tempo è tutto, e noi non ci stiamo muovendo abbastanza velocemente. A dimostrarlo è anche l’ultimo rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie), secondo cui le emissioni globali di CO2 legate all’energia sono aumentate dell’1,1% nel 2023, raggiungendo un livello record, soprattutto a causa della scarsa produzione idroelettrica causata dalla siccità e dalla crescita della Cina. E perché miliardi di persone dovrebbero soffrire, lasciare le proprie terre in quanto rese inabitabili dal clima che cambia, solo perché alcuni governi o compagnie petrolifere vogliono trarre enormi profitti estraendo fino all’ultima goccia di petrolio? Questo, a dire il vero, non è molto divertente. «Nemmeno i dinosauri hanno finanziato la loro estinzione», ha commentato Jo Brand. Ed è difficile dargli torto.

PARLIAMONE

Per scrivere a Francesca Santolini

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50&Più | aprile 2024 17

Periscopio

LA TECNICA DEL POMODORO IL METODO PER GESTIRE IL TEMPO

a cura di Dario De Felicis

Sviluppata da Francesco Cirillo, alla fine degli Anni ’80, è tutt’ora in uso Si basa su concetti legati alla psicologia e consente di portare a termine lavori complessi senza interruzioni e distrazioni. Ecco come funziona

Nella frenesia della quotidianità, tra routine, imprevisti e stanchezza, gestire il proprio tempo in modo efficiente è diventato un esercizio molto difficile. Fortunatamente però, giunge in nostro aiuto la “tecnica del pomodoro”, un approccio innovativo e accessibile per migliorare la produttività e gestire al meglio le attività di tutti i giorni. Questa tecnica è stata sviluppata da Francesco Cirillo alla fine degli Anni ’80 ed è basata su un semplice concetto: suddividere il lavoro in intervalli di tempo gestibili, chiamati appunto “pomodori”, ciascuno della durata di 25 minuti. Durante ogni pomodoro, ci si dedica esclusivamente a una singola attività, evitando distrazioni e interruzioni. Dopo ogni pomodoro, è previsto un breve periodo di pausa di 5 minuti, mentre dopo quattro pomodori consecutivi ci si concede una pausa più lunga, di solito

di 15-30 minuti. Il sistema così come è stato strutturato inibisce la paura di affrontare compiti impegnativi e rende più gestibile e meno intimidatorio qualsiasi obiettivo. L’aspetto più intrigante della “tecnica del pomodoro” è che può essere applicata a tante attività, dallo studio, alla stesura di documenti importanti, all’esercizio fisico, fino alla pulizia della casa. Nel caso degli studenti, infatti, la tecnica permette di ottimizzare i tempi di apprendimento, migliorando la concentrazione e la memorizzazione. Per i professionisti si usa per gestire meglio le attività lavorative andando a migliorare la produttività e la qualità del lavoro; ma anche artisti, scrittori e creativi possono trarre vantaggio dalla struttura “a pomodori” per stimolare la creatività e affrontare progetti sulla carta estremamente impegnativi. I meccanismi per i

quali la tecnica risulta così universale sono semplici, ma al tempo stesso efficaci. Innanzitutto l’idea creata da Francesco Cirillo sfrutta i principi base della psicologia della produttività. Considerando che la concentrazione umana ha un limite, suddividere il lavoro in intervalli brevi aiuta a mantenere la focalizzazione e a evitare il sovraccarico mentale. Le pause regolari, coadiuvate da tecniche di respiro, ripristinano velocemente l’impegno e la determinazione che si perdono man mano che si lavora. Infine, proprio il senso di progresso funge da incredibile motivazione: segnare i pomodori completati fornisce una gratificazione immediata e alimenta la voglia di continuare. Se qualcuno dovesse avere dei dubbi, può sempre provarla. E magari scoprire come una piccola dose di concentrazione può fare la differenza nella vita quotidiana.

LA TORTA ‘SENSITIVA’

A Kansas City, nel Missouri, c’è un dolce chiamato “torta sensitiva”. Si tratta di una torta di cioccolato e spezie, dalla consistenza densa e umida, che ha la particolarità di reagire al contatto con l’aria. Se si taglia una fetta di torta e la si lascia esposta all’aria, la torta si chiude su se stessa, come se fosse sensibile al dolore.

www.valleitalia.it

GIOCANDO SOTTO LA NEVE

In Giappone, c’è una festa chiamata “Snow Fight”. Si tratta di una battaglia di palle di neve che coinvolge migliaia di persone, divise in due squadre. Lo scopo è quello di distruggere il forte avversario, lanciando palle di neve e usando scudi e caschi. La festa si svolge ogni anno a febbraio nella città di Iiyama, nella prefettura di Nagano.

www.yukigassen.com

CHIAMATELO SOLO HUBERT

Il nome più lungo del mondo mai registrato è quello di Hubert Blaine Wolfeschlegelsteinhausenbergerdorff Sr., un americano di origine tedesca, il cui nome completo era composto da 988 lettere. Il nome era un’allitterazione che ripeteva i nomi delle città e dei villaggi della sua eredità tedesca.

www.wikipedia.it

A PROPOSITO DI... NUMERI

LA PIÙ A NORD

Longyearbyen è il centro abitato più a nord del mondo. Si trova sull’isola di Spitsbergen, in Norvegia, nelle isole Svalbard, ed ha più di 1.000 abitanti.

LA PIÙ A SUD

Ushuaia, in Argentina, è considerata la città più a sud del mondo. È spesso utilizzata come punto di partenza per le spedizioni verso l’Antartide.

CAMPIONI OLIMPICI

Le Olimpiadi sono l’evento sportivo più atteso e seguito al mondo, che ogni quattro anni mette in competizione gli atleti di oltre 200 nazioni in diverse discipline. Una festa che infiamma cuori e palestre, dove campioni provenienti da tutto il mondo si sfidano in un’apoteosi di sport e agonismo. Dietro a ogni medaglia, però, si cela un’infinità di sacrifici, ore di allenamento estenuante e un impegno fuori dal comune. Ma chi sono gli atleti che hanno lasciato un segno indelebile nella storia olimpica?

ANIMALI MULTITASKING

I polpi hanno otto cervelli: un mini-cervello in ciascun tentacolo e un altro al centro del corpo. Il cervello centrale, situato nella testa del polpo, coordina e controlla tutti i tentacoli e riceve informazioni sensoriali da essi. Quando il cervello centrale invia un segnale, tutti i tentacoli possono lavorare insieme per eseguire attività complesse.

www.ocean.si.edu

IL CUORE GRANDE DI BILLY JOEL

Il cantautore Billy Joel non vende i posti in prima fila ai suoi concerti. Li regala a persone prese a caso dai posti economici, in modo che davanti ci siano i veri fan e non gente ricca ma non interessata alla sua musica. Secondo lo stesso Joel, questo gesto rende i suoi concerti più vivaci e divertenti, sia per lui che per il pubblico.

www.theguardian.com

NEUTRALITÀ A TUTTI I COSTI

L’ultima volta che il Liechtenstein è entrato in guerra è stato nel 1866, quando partecipò con 80 soldati (e senza subire alcuna perdita o danno) alla guerra austro-prussiana. Successivamente, il Liechtenstein non ha più avuto un esercito dal 1868, e da allora è rimasto neutrale in tutti i conflitti mondiali.

www.treccani.it

50&Più | aprile 2024 19 In giro per il mondo MICHAEL PHELPS (NUOTO) 28 medaglie LARISSA LATYNINA (GINNASTICA) 18 medaglie PAAVO NURMI (ATLETICA LEGGERA) 12 medaglie CARL LEWIS (ATLETICA LEGGERA) 10 medaglie

NERI MARCORÈ

«Ho recitato in oltre cento film È il momento di passare dietro la macchina da presa»
di Giulia Bianconi
Personaggi

L’esordio alla regia con Zamora nelle sale dal 4 aprile La pellicola racconta la storia di Walter Vismara ragioniere trentenne che da Vigevano viene catapultato a Milano. L’attore marchigiano «Sono curioso di capire come andrà al cinema soprattutto perché è qualcosa di mio Non vivo però questo momento con ansia o preoccupazione, solo con il sorriso»

Era molto tempo che Neri Marcorè, 57 anni, sentiva il desiderio di debuttare alla regia. Doveva solo attendere il progetto giusto. È arrivato con Zamora, presentato in anteprima all’ultimo Bif&st (Bari International Film Festival) e nelle sale dal 4 aprile con 01 Distribution. Tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Perrone, e ambientato negli anni Sessanta, racconta la storia di Walter Vismara, interpretato da Alberto Paradossi, un ragioniere trentenne dalla vita ordinaria che, da contabile di una piccola fabbrica di Vigevano, si ritrova catapultato in un’azienda della frenetica Milano, al servizio del cavalier Tosetto (Giovanni Storti). L’imprenditore ha il pallino del ‘folber’ (termine coniato da Gianni Brera) e obbliga tutti i suoi dipendenti a sfide settimanali sul campo da calcio, scapoli contro ammogliati. Walter non ama quello sport, ma dice di essere un portiere, prendendo però valanghe di gol e subendo gli sfottò dei colleghi, tra cui l’ingegner Gusperti che lo ribattezza sarcasticamente Zamora, il grande portiere spagnolo degli Anni ’30. Walter si farà aiutare da Giorgio Cavazzoni, con il volto dello stesso Marcorè, un ex portiere caduto in rovina, ora alcolizzato, per riuscire a riscattarsi.

Marcorè, come nasce la voglia di passare dietro la macchina da presa?

Tra cinema e tv ho fatto oltre cento film da attore e a forza di frequentare i set ho sentito a un certo punto il desiderio di fare il regista. Conoscevo questa storia da parecchio. Avevo letto il libro

di Perrone vent’anni fa e quando Agostino Saccà (di Pepito Produzioni, che lo ha realizzato insieme a Rai Cinema, n.d.r.) mi ha detto che questo racconto avrei dovuto dirigerlo io, ho accettato. È stato un salto inconsapevole. Da attore ho sempre guardato ai film anche dal punto di vista visivo. Certo, un conto è come te li immagini tu, un conto è come li realizza un altro regista. Ho sentito di volermi misurare con le difficoltà e le responsabilità di dirigere un film, che poi è un’opera collettiva, in cui si costruisce un rapporto di fiducia con tutti coloro che partecipano alla creazione. Di questa storia cosa l’ha affascinata?

Molti aspetti, soprattutto l’amicizia tra due uomini che insieme superano delle difficoltà personali. Mi sono sentito molto vicino alla timidezza e all’impaccio che prova Walter. Vent’anni fa quel personaggio lo avrei interpretato io. Anche io vengo dalla provincia e ricordo cosa si provasse nell’essere un

50&Più | aprile 2024 21
©️ Mattia Zoppellaro Sopra, una scena del film

Personaggi

giovane che deve trovare la propria strada, preoccupandosi di cosa pensano gli altri. Ho scelto di ritagliarmi un altro ruolo nel film, più piccolo ma fondamentale, anche per godermi questa esperienza da regista.

Il suo Giorgio chi è?

Un uomo che ha avuto successo nel calcio, ma dopo uno scandalo ha perso il contatto con la famiglia e il rapporto con l’ex moglie e il figlio. È caduto in disgrazia, tra debiti, gioco e alcol, ma proverà a risorgere proprio grazie all’amicizia con Walter.

Il film è ambientato nell’Italia degli anni Sessanta. Un momento storico, culturale e sociale per cui bisogna provare nostalgia?

Io l’ho sfiorato quel periodo, essendo nato nel 1966. L’ho vissuto solo attraverso i racconti dei miei genitori. L’epoca odierna è sicuramente meravigliosa per le opportunità che offre. Dal punto di vista medico e scientifico sono stati fatti dei progressi incredibili in questi sessant’anni. Ma andiamo sempre a mille, in ogni cosa, dalla comunicazione ai viaggi. Tutti viviamo velocemente, quando talvolta avremmo bisogno di un po’ più di lentezza, o almeno di alternare le cose, per dare più peso alle

nostre giornate. Quando ero ragazzo ci si annoiava anche di più, ma avevamo modo di usare tanta immaginazione. E quel modo di procedere lento, ti faceva anche vivere più intensamente. Per questo suo salto alla regia, quali sono stati i riferimenti cinematografici?

Sicuramente Pupi Avati. Quando dirige si mette vicino alla macchina da presa e io ho seguito questa indicazione. Devo molto a Pupi. Lui mi scelse per Il cuore altrove, mi ha scoperto come attore drammatico. Ad oggi non posso dire di avere uno stile mio, visto che sono solo al primo film, ma in questo mio lavoro ho cercato di cogliere anche i sapori e le atmosfere di un certo cinema francese che mi piace molto, che sa essere dolce e crescere progressivamente.

Nel suo percorso artistico lei ha giocato di più in attacco o in porta?

Ho alternato le due cose. Da portiere mi sono sempre preso la responsabilità di essere io responsabile delle scelte. Citando Ligabue, «sono bravissimo a sbagliare da me». Si nasce portieri, come si sceglie di essere la fortuna o il disastro di una squadra in una partita. Ci sono momenti in cui ho scelto di giocare in attacco. Messo davanti a una porta, ho tirato con tutta la grinta che serviva, ma sempre con grande serenità.

Intanto questa prima sfida della sala come la vive?

Zamora mi assomiglia, che piaccia o meno. Sono sereno e pronto anche a spiegare perché ho fatto determinate scelte. L’accoglienza a Bari mi ha riempito il cuore. E sono felice anche di quella che aveva avuto precedentemente il film a un festival in Francia. Sono curioso di capire come andrà al cinema, soprattutto perché è qualcosa di mio. Non vivo, però, questo momento con ansia o preoccupazione, solo con il sorriso.

Arrivato a questo punto della carriera, come continuerà a scegliere i suoi progetti?

Sempre con attenzione. Che si tratti di film per il cinema o per la televisione, di commedie o pellicole drammatiche, voglio che abbiano un valore e uno spessore. Non voglio fare un progetto tanto per, ma perché ci credo. Sarà così anche per la prossima regia.

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Sopra, alcuni attori del cast di Zamora: da sinistra, Alberto Paradossi Anna Ferraioli Ravel, Marta Gastini e Neri Marcorè In alto, Neri Marcorè in una scena del film

SANITÀ PUBBLICA SOTTOFINANZIATA RISPETTO AI BISOGNI

Qual è lo stato di salute del nostro Sistema sanitario nazionale? In occasione della Giornata mondiale della Salute lo chiediamo a Francesco Longo membro del Consiglio Superiore di Sanità: «Servono più fondi» di Ilaria Romano

Dal 1948, ogni 7 aprile, si celebra la Giornata Mondiale della Salute, in occasione dell’anniversario di nascita dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ispirata da princìpi di tutela delle persone secondo equità e universalismo; gli stessi che trent’anni dopo, in Italia, hanno guidato il Parlamento verso l’approvazione della legge 833 che istituiva il Servizio sanitario nazionale.

grafici e al miglioramento delle condizioni e dunque delle aspettative di vita, e oggi la sanità italiana si trova ad affrontare nuove sfide con finanziamenti insufficienti e squilibri regionali.

Come emerge dal Rapporto 2023 di Oasi, O bservatory on Healthcare organizations and policies in Italy di Cergas-Bocconi, la crescita della popolazione anziana che nel 2023 risultava il doppio di quella degli over 15, e i meccanismi di rivalutazione legati all’inflazione, stanno portando ad un aumento della spesa

Da allora il concetto stesso di salute ha subìto una continua evoluzione, in relazione ai cambiamenti demo- segue a pag 26 pensionistica che tocca i 64 miliardi nel solo periodo 2022-2026, e che già oggi assorbe il 15% del Pil contro il 6,3% della sanità pubblica. In pratica, il nostro Servizio sanitario nazionale, con una copertura fra le

Sanità

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più basse dell’Unione europea, deve farsi carico di una delle popolazioni più anziane del mondo.

«La bella notizia è che la sostenibilità economica è molto buona, perché il sistema è abituato a non spendere più soldi di quelli che ci sono, quindi i conti sono in equilibrio più che in altri paesi europei», spiega a 50&Più Francesco Longo, professore associato del Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche presso l’Università Bocconi, responsabile scientifico di Oasi e membro del Consiglio Superiore di Sanità.

Professor Longo, quindi qual è lo stato di salute del nostro Ssn?

A livello internazionale è un sistema più equo di tanti altri, perché offre servizi gratuiti a tutta la popolazione, e comunque ci permette di essere il secondo paese al mondo per speranza di vita. Il nostro problema è il cambiamento nel bisogno di cure: siamo oramai al 25% di popolazione over 65, e questo fattore demografico determina che ogni anno aumentino le necessità che dobbiamo coprire, mentre perdiamo lavoratori e quindi capacità contributiva per finanziarle. Spendiamo il 6,3% del Pil per la sanità pubblica, contro il 9% degli inglesi e il 10% dei francesi e dei tedeschi, pur mantenendo i conti in ordine.

Quali sono le soluzioni possibili?

La vera soluzione è che gli italiani dovrebbero allocare più soldi sulla sanità, coerentemente con l’invecchiamento della popolazione, per aumentare gli investimenti di almeno uno o due punti percentuali di Pil, ma al momento non c’è un orientamento di questo tipo da parte di nessun governo, attuale o passato.

dente nei bisogni di una popolazione sempre più “over” in termini di salute e di bisogni di cura?

Oggi il 40% della popolazione ha almeno una patologia cronica, come ipertensione, diabete, e le condizioni di cronicità assorbono già ora il 70% della spesa sanitaria. Le condizioni di questo tipo non hanno bisogno di singole prestazioni, ma di percorsi di presa in cura, e richiedono di affrontare complessità che passano da tanti fattori. Tenendo conto che la cronicità comincia in media a 55 anni e che l’aspettativa di vita è di circa 83 anni, la popolazione affronta 28 anni di cronicità, un terzo della nostra esistenza. La tecnologia può rappresentare un aiuto?

dale la risposta, che invece va bene per le acuzie. Ovviamente non parliamo di una tecnologia prestazionale, ma di sostegno nell’auto-cura, che non sostituisce il lavoro degli specialisti. Ma tenere il paziente in una condizione di stabilità può anche diradare il confronto con il personale sanitario.

A proposito di personale sanitario: sentiamo spesso parlare di carenze di medici e infermieri, vogliamo fare chiarezza?

Nel 2030 torneremo alla pletora medica, avendo portato a 19mila gli studenti universitari, e quindi i nuovi medici saranno nuovamente di più di coloro che andranno in pensione. Quelli che mancano sono gli infermieri, e non perché non ci siano abbastanza posti all’università ma perché ci sono pochi candidati. Il problema degli stipendi è una narrazione un po’ semplicistica del problema: non si tratta solo di un fattore economico, ma mancano proprio le “vocazioni” verso il lavoro di cura che nella società contemporanea non è più attraente. Quali strategie possono essere messe in campo per riportare a livelli congrui gli infermieri e le infermiere?

Qual è il cambiamento più evi-

I lavori di accettazione e gestione dei pazienti possono essere affidati ad altri professionisti, e poi dobbiamo aprire agli infermieri stranieri, come già fanno tutti gli altri paesi europei. Magari insegnando agli studenti la nostra lingua già durante la formazione, attivando partnership con i paesi d’origine. Le società interinali sarebbero disposte a fare questo lavoro su scala “industriale”, e poi per legge medici e infermieri hanno diritto al permesso di soggiorno al di fuori dei massimali di immigrazione. Manca solo un meccanismo su scala nazionale per farlo. Sanità

C’è sempre più bisogno di una sanità ambulatoriale, a volte anche da remoto, con l’uso di personal device: investire i fondi del Pnrr in questo senso è ciò che si sta cercando di fare per creare un sistema che possa seguire sempre meglio i pazienti cronici. Il fattore più importante nella cura della cronicità è l’aderenza alle terapie, e qui la tecnologia può aiutare, ad esempio con le app che ci ricordano di assumere i farmaci, camminare, fare le visite di controllo. In questi casi non è l’ospe-

50&Più | aprile 2024 26
segue da pag 24

DIARREA, DOLORI ADDOMINALI O FLATULENZA?

Puoi provare un rimedio che potrebbe aiutare contro i disturbi intestinali

Diarrea, dolori addominali o flatulenza possono avere un forte impatto sulla vita quotidiana delle persone. E sono molte le persone a sperimentarlo sulla propria pelle.

Vediamo quale può essere la causa dei sintomi e cosa si può fare.

Il nostro intestino è davvero affascinante: su una lunghezza di circa sei metri, scompone il nostro cibo in componenti essenziali come vitamine, enzimi e oligoelementi. Fino all’età di 75 anni, il più grande organo del nostro corpo processa circa 30 tonnellate di cibo! Nonostante le sue prestazioni, l’intestino è anche molto sensibile. Sono molte le persone che soffrono di disturbi quali diarrea, dolori addominali o flatulenza. Un prodotto come Kijimea Colon Irritabile PRO può costituire un aiuto.

Si ritiene che una barriera intestinale danneggiata sia spesso la causa dei disturbi intestinali cronici. Anche i più piccoli danni alla barriera intestinale sono infatti sufficienti per permettere agli agenti patogeni e alle sostanze nocive di penetrare attraverso la barriera: questi provocano

l’irritazione del sistema nervoso enterico e generano infiammazioni. Le conseguenze sono molteplici: diarrea ricorrente, spesso accompagnata da dolori addominali, flatulenza e a volte costipazione. A partire da questi presupposti è stato sviluppato Kijimea Colon Irritabile PRO. I bifidobatteri del ceppo HI-MIMBb75, contenuti in Kijimea Colon Irritabile PRO, aderiscono alle aree danneggiate della barriera intestinale: possiamo immaginarli come un cerotto su una ferita. L’idea: al di sotto di questo cerotto, la barriera intestinale può rigenerarsi e i disturbi intestinali possono attenuarsi. Kijimea Colon Irritabile PRO potrebbe quindi offrire un aiuto a chi soffre di disturbi intestinali ricorrenti, come diarrea, dolori addominali, flatulenza e stitichezza.

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CE 0123. Leggere attentamente le avvertenze o le istruzioni per l’uso. Autorizzazione ministeriale del 10/01/2024. • Immagini a scopo illustrativo.
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Esteri

MICROCHIP

A TAIWAN L’AZIENDA

PIÙ IMPORTANTE AL MONDO

Né in Medio Oriente né in Europa dell’Est, il detonatore della terza guerra mondiale si trova nel mare cinese. Pechino considera territorio nazionale tutte le isole e gli arcipelaghi che si trovano in quelle acque. Taiwan, però, gode di un’indipendenza fattuale, è infatti riconosciuta solo da 12 nazioni al mondo (Belize, Guatemala, Haiti, Isole Marshall, Palau, Paraguay, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, eSwatini, Tuvalu e Città del Vaticano). A proteggere lo stato delle cose, oltre a 150 chilometri di acque dalle coste del continente, c’è la “sacra catena montuosa”. Non si tratta di un complesso di cime, ma

Da quest’isola, riconosciuta solo da 12 nazioni dipendono la pace e il benessere del pianeta

Il 60% della produzione mondiale di semiconduttori viene realizzata qui molto più che una camera operatoria, e macchinari laser capaci di disegnare centinaia di miliardi di piccoli interruttori su uno spazio più piccolo di un polpastrello. La vita di una catena di montaggio per questo genere di tecnologia dura appena un paio d’anni. Il consumo energetico per mantenere queste produzioni è esorbitante e il costo per sostituire le linee produttive è imparagonabile a qualsiasi altra manifattura. Stati Uniti, Giappone e Germania stanno

dell’azienda di microchip più importante del mondo, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (Tsmc). Il 60% dei semiconduttori al mondo sono prodotti sull’isola, se si prendono in considerazione solo i modelli più potenti, quelli che fanno funzionare cellulari, computer e tutte le apparecchiature mediche o militari, la percentuale sale a 90. Produrre microchip è il processo più difficile mai padroneggiato dall’uomo. Servono grandi ambienti sterili,

50&Più | aprile 2024 28

tentando di costruire nuove fabbriche della Tsmc sul proprio territorio nazionale. I risultati sono poco incoraggianti, per ora. Questa serie di peculiarità ha trasformato Taiwan, un’isola grande una volta e mezzo la Sicilia, nel luogo da cui dipende la pace e il benessere del mondo. Se la Cina entrasse in possesso di queste fabbriche tutte le aziende, da quelle che fanno le lavatrici ai centri di ricerca spaziali, sarebbero costrette a chiedere a Pechino i microchip. Il Partito comunista potrebbe imporre limitazioni all’export e alzare i prezzi tanto da rallentare lo sviluppo tecnologico di interi paesi. Taiwan fu una colonia giapponese che tornò sotto il controllo di Pechino nel 1945. In quegli anni in Cina era in corso una dura guerra civile. Il primo ottobre di quello stesso anno Mao Zedong proclamò la Repubblica popolare Cinese. Gli sconfitti, i nazionalisti del Koumintang, guidati da Chiang Kaishek si rifugiarono a Taiwan. Oltre due milioni di cinesi continentali si trasferirono sull’isola, che allora contava tra i 4 e i 5 milioni di abitanti. Kai-shek formò il governo in esilio della Repubblica di Cina. Per 26 anni mantenne il potere, passando da diverse elezioni, fino alla sua morte. Gli succedette il figlio Chiang Chingkuo, anche lui guidò Taiwan finché ebbe vita. Era il 1988 e, nonostante il regime di stampo autoritario, l’isola era pronta a un miracolo economico. I giapponesi avevano lasciato una buona rete infrastrutturale, gli Stati Uniti sovvenzionavano Taiwan in chiave anticomunista e il costo della manodopera era molto basso. L’anno prima, l’ingegnere Morris Chang (nato in Cina prima della guerra civile e poi vissuto in esilio negli Usa) era stato a Taiwan per aprire la prima fabbrica della Texas Instrument. In ben poco tempo l’uomo ebbe un’idea che rivoluzionerà il mondo. Fino ad

allora ogni azienda assemblava i suoi chip per i propri prodotti. Chang voleva massimizzare le sue capacità: fare solo processori. Ogni singola impresa disegna e realizza il prodotto, lui si occuperà solo di fornire i semiconduttori a seconda delle richieste. Ha proposto l’idea alla Texas Instrument, ma gli statunitensi non si convinsero. A Taipei si intravede la possibilità di un governo democratico, Chang chiede allo Stato di entrare a far parte dell’impresa. Lui ci mette idee e competenze, il governo tutto il resto. È un successo. Tsmc oggi è l’assicurazione sulla vita dello Stato. Washington, oramai da decenni, ha formalmente riconosciuto la dottrina di un’unica Cina, ma al tempo stesso si è legata a Taiwan con ac -

denziale di Lai Ching-te del Partito progressista democratico, movimento indipendentista taiwanese. Ha fatto una campagna elettorale dai toni miti, il suo primo interesse non è dichiarare l’indipendenza, ma mantenere lo status quo. Con cadenza periodica Pechino organizza manovre militari entrando nelle acque taiwanesi, l’opzione militare è sempre sul piatto. Al tempo stesso i cinesi reclutano, pagando cifre importanti, interi gruppi di ingegneri che lavorano ai semiconduttori a Taiwan. Tutto senza però mettere veramente paura a Taipei. Il gap tecnologico è ancora troppo importante e la protezione statunitense funziona da deterrente. Lo status quo può durare per sempre?

cordi di forniture militari. Gli Stati Uniti non si sono mai impegnati con un trattato bilaterale che garantisca l’intervento armato in caso di un’invasione cinese. Ma continua a mandare segnali e lascia intendere a Pechino che il supporto del Pentagono non è così improbabile come vorrebbe il Partito comunista cinese. A maggio inizierà il mandato presi-

«Stati Uniti, Giappone e Germania stanno tentando di costruire nuove fabbriche della Tsmc sul proprio territorio nazionale Per ora, con risultati poco incoraggianti»
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I “FATTI DI PISA”

TRA TENSIONE SOCIALE E COMUNICAZIONE SOCIAL

«L’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura sui manganelli». Riflessione sulle parole del Presidente della Repubblica dopo gli scontri, tra polizia e studenti di Alfonso

Partiamo da qualche dato di pura cronaca. Il 23 febbraio 2024, durante i cortei pro Palestina a Pisa, alcuni studenti e studentesse sono stati feriti a manganellate a seguito delle cariche della polizia. Una reazione particolarmente violenta e repressiva che ha destato non poco scalpore nell’opinione pubblica e in diversi contesti tra scuola, politica e società civile. La risposta a questi eventi da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stata molto dura e senza alcuna possibilità d’appello. Infatti il capo dello Stato ha espresso la sua opinione

in una nota al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, dichiarando che «l’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura sulla base dei manganelli, ma sulla capacità di garantire sicurezza e al contempo rispettare la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento». Da qui la posizione del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che ha dichiarato: «Le forze dell’ordine non si toccano». Inoltre, il capo della polizia, Vittorio Pisani, ha annunciato che verranno analizzate singolarmente le iniziative prese dagli operatori durante i servizi

di ordine pubblico a Firenze e Pisa. Se avviciniamo nello specifico le reazioni dell’opposizione e della maggioranza, il discorso diventa pernicioso e fazioso ed entriamo in uno spazio che davvero poco aggiunge alla comprensione dei fatti. Da un lato l’opposizione ha colto l’occasione per attaccare il governo e dall’altro la maggioranza ha respinto gli addebiti contro le forze dell’ordine sottolineandone la professionalità e l’impegno quotidiano. Ma tutto questo risponde soltanto al conflitto politico/elettorale e riflette le diverse prospettive sulla gestione delle proteste e la responsabilità delle autorità. Senza generalizzare, ma andando nel profondo e nello specifico di quanto accaduto, io vorrei proporre una lettura sociologica dei fatti. Dal punto di vista dell’impatto sociale l’evento è stato indubbiamente forte e ha colpito nel vivo la sensibilità di tanti. La dichiarazione del Presidente della Repubblica riguardo all’attacco della polizia contro gli studenti a Pisa, nel fermo sottolineare l’importanza di bilanciare la sicurezza con il rispetto dei diritti dei manifestanti, specie quando si segue a pag 32

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Pisa, manifestazione degli studenti dopo gli scontri di febbraio

Opinioni

segue da pag 30

tratta di giovani che esprimono il loro dissenso pacificamente, risulta essere un tema di grande rilevanza. Provo a dare alcuni spunti di riflessione da diverse angolazioni. Mattarella ha sottolineato che l’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura solo attraverso l’uso dei manganelli, ma anche in base alla capacità di assicurare sicurezza e al contempo rispettando la libertà di manifestare pubblicamente le proprie opinioni. Questo solleva importanti questioni che sono alla base del vivere sociale, riguardo al ruolo e alla percezione delle forze dell’ordine nella società. Il punto di riferimento resta il Foucault del motto “sorvegliare e punire”, la sua lucidissima disamina sul fatto che, quando ha paura, il potere diventa violento e punitivo; oppure gli studi nodali di Salvatore Palidda sul tema della “polizia postmoderna”. Altro discorso riguarda l’equilibrio tra l’impegno di dover garantire la sicurezza pubblica e l’impegno di preservare il diritto costituzionale alla manifestazione. Tema decisamente centrale è il “come” la polizia ha gestito la protesta e il “come” i cittadini hanno percepito queste azioni. L’aspetto cruciale da esaminare è ancora una volta la dichiarazione di Mattarella, in quanto ha saputo mettere in luce questa precisa tensione, questa dicotomia, questa dialettica mancata tra l’agire della polizia e la reazione della società. Soprattutto per quanto riguarda il mondo giovanile. Quello che va rimarcato con nettezza, invece, è la grande coesione sociale nella reazione all’operato della polizia, la voce che ha unito diverse generazioni. Infatti, se scaviamo nell’immediata copertura mediatica e tra le immagini degli eventi circolate nei social, dove si mostravano gli studenti colpiti dai manganelli, notiamo che la reazione di massa è stata davvero forte e stupita di fronte un ‘mo-

dus operandi’ che vede nella violenza un processo educativo, prima ancora che di reazione. E questo accadimento ci spinge anche a un’altra riflessione. L’uso dei social media come spazio di comunicazione e informazione. Quello che in passato è stato il dominio della televisione, oggi appartiene totalmente ai social media. Storia nota, si dirà, ma l’esperienza dei “fatti di Pisa” lo ha ribadito: il compito di mediare gli eventi che scuotono la politica e la società contemporanea è nelle mani delle piattaforme. Facebook (fino a qualche anno fa), Instagram e soprattutto TikTok (oggi) rappresentano le lenti d’ingrandimento del nostro vivere sociale e delle grandi crisi che stanno attraversando il nostro tempo. Durante i “fatti di Pisa” i social media hanno avuto un ruolo assolutamente prioritario. I social network hanno compattato, come non mai, la cosiddetta Generazione Z (i nati tra la fine degli anni

PER APPROFONDIMENTI

Alfonso Amendola è professore di Sociologia dei processi culturali presso l’Università degli Studi di Salerno Delegato del Rettore alla “Radio d’Ateneo” Il suo percorso di ricerca si muove sul crinale della contemporaneità tra consumi di massa culture d’avanguardia e innovazione digitale È editorialista del quotidiano Il Mattino e collabora con la Rai

Novanta del XX secolo e i primi anni del XXI secolo). E così la percezione sociale e social di quanto accaduto a Pisa apre uno spazio di riflessione importante, indicandoci delle differenze generazionali molto chiare nell’accesso all’informazione e spiegandoci in concreto la definizione di “social-politica”. I “fatti di Pisa” dimostrano una rinnovata modalità d’informazione da parte delle nuove generazioni e un sempre maggiore peso dei mezzi che permettono ad esse di accedervi. È in atto un cambiamento sempre più profondo, che rende i social dei percorsi ineludibili per comprendere gli accadimenti della nostra contemporaneità. I “fatti di Pisa” (gli eventi come si sono definiti nella percezione collettiva e ancor più il dibattito pubblico che hanno suscitato) sono una straordinaria conferma ed un’eco potente di questa nuova “sensibilizzazione” sociale, politica, culturale e generazionale.

- Amendola A. & Guerra A. & Masullo M., La Generazione Z e la (nuova) costruzione dell’identità in epoca pandemica e post pandemica, in “Quaderni di Comunità. Persone, Educazione e Welfare nella società 5.0”, Eurilink University Press, Roma, n. 3, 2022

- Amendola A. & Masullo M., Elezioni e social network: gli effetti della politica (ultra) pop sulla generazione Z, in “Rivista di Digital Politics”, Il Mulino, Bologna, n. 1, 2023

- Foucault M., Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino, 2014

- Palidda S., Polizie, sicurezza e insicurezze, Meltemi, Milano, 2021

- Palidda S., Polizia postmoderna. Etnografia del nuovo controllo sociale, Feltrinelli, Milano, 2000

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Tra tutte le serrande che si abbassano, forse quelle delle edicole lasciano più di altre una sensazione di desolazione. Un’edicola che chiude raramente risorge, il più delle volte è per sempre. Dal 2018 ad oggi si registra una riduzione del 26% dei punti vendita esclusivi: nel corso degli ultimi cinque anni hanno chiuso 4.005 edicole. Oggi sono poco più di 11.000 e, di queste, quasi la metà svolge ulteriori attività rispetto alla vendita di quotidiani e periodici che resta comunque prevalente. Tra il 2021 e il 2022 le edicole hanno registrato una contrazione del 3,5%, ma nel 2023 si è arrivati ad un saldo negativo su base annua del 5,6%. Il trend negativo si è comunque fortemente attenuato rispetto agli ultimi anni, anche grazie alle misure di sostegno al settore, come spiega Andrea Innocenti, presidente degli edicolanti Snag Confcommercio - Sindacato Autonomo Nazionale Giornalai: «Gli interventi degli ultimi anni in termini di bonus e crediti d’imposta hanno avuto un impatto estremamente positivo sulla rete di vendita delle edicole e hanno quasi arrestato il processo di desertificazione, aiutando la rete a mantenere la propria capillarità. Il problema più grande è che per il 2024 siamo al momento privi di qualsivoglia stanziamento pubblico di sostegno. Rischiamo di tornare ai tassi di chiusura ante Covid e di perdere altre 2.000 edicole. Il che vuol dire che tanti comuni, tanti quartieri e tante zone del territorio rimarranno senza stampa. Già oggi i comuni senza edicole sono oltre 2.000 e altrettanti sono a rischio desertificazione perché hanno un solo punto vendita attivo». Consapevoli del loro ruolo culturale e sociale, le edicole stanno resistendo cercando di rimanere sul mercato «ma servono - continua Innocenti - forme di sostegno per rilanciare la rete distributiva. Bisogna poi tutelare i punti vendita contro gli

LA CRISI DELLE EDICOLE

REINVENTARSI NON BASTA SERVONO

Crollo del 26% negli ultimi cinque anni

Oltre 2.000 comuni sono senza una rivendita di giornali e altrettanti a rischio desertificazione

Le storie di chi ce l’ha fatta e di chi ha abbassato la serranda per l’ultima volta

abusi dei distributori locali e rivedere le condizioni economiche di vendita. Ma non basta. Va incentivata la lettura dei giornali cartacei tra i più giovani e va agevolata la trasformazione delle edicole in centri di servizi, creando le condizioni per nuove collaborazioni, sia con le amministrazioni locali che con i privati. Anche gli editori devono

fare la loro parte nel dare sostegno alla rete di vendita, che continua a garantire l’80% dei loro fatturati».

È ormai risaputo che il problema di questo settore è soprattutto il riflesso della crisi delle vendite della stampa quotidiana e periodica, che a sua volta nasce da una rivoluzione in atto nell’accesso all’informazione: «I lettori

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INTERVENTI
DI SOSTEGNO
Economia

- spiega ancora Innocenti - si sono progressivamente allontanati dalla carta stampata privilegiando le notizie reperite in modo gratuito e in grande quantità in rete e sui social. Si è così passati dal picco di 6 milioni di quotidiani venduti mediamente al giorno nel 2000 ai circa 1,3 milioni di quotidiani venduti nel 2023». Qual è la ricetta allora, sempre che ce ne sia una, per salvare il settore? «L’unico modo è cambiare. Chi vuole cercare di farcela - spiega il presidente del

ad altre attività, commercializzando più prodotti e servizi e diventando di fatto uno sportello di quartiere al servizio del cittadino. Quest’evoluzione è già in atto e moltissimi colleghi stanno rinnovando il loro modello di business. Oggi si entra in edicola per ritirare certificati anagrafici o i pacchi di Amazon, per pagare le bollette o fare lo Spid, per consegnare un libro della biblioteca o noleggiare una bici elettrica, per chiedere informazioni turistiche». Un esempio virtuoso di chi è riuscito a cambiare pelle, lo incontriamo nella periferia di Torino dove, da oltre 30 anni, Piero Aiello resiste con il suo chiosco di giornali: «Sono rimasto un amante del mio mestiere, anche se adesso non facciamo più i numeri da capogiro degli inizi. Pensi che 30 anni fa vendevo ogni giorno 250 copie La Stampa, oggi sì e no riesco a venderne la metà. Per sopravvivere ho dovuto aprire ad altri servizi: inizialmente informatizzando l’edicola per offrire servizi di

«I lettori si sono progressivamente allontanati dalla carta stampata privilegiando le notizie reperite in modo gratuito e in grande quantità in rete e sui social»

copisteria. Ora ci siamo organizzati per la consegna e ritiro pacchi e a servizi postali. Ma non ci siamo fermati qui. Grazie ad accordi con il comune di Torino possiamo distribuire i certificati elettorali ai neomaggiorenni e anche le certificazioni anagrafiche. Tutto questo è molto apprezzato dalla clientela e ha un buon ritorno. Ma l’anima che ci tiene viva la passione per questo lavoro è l’editoria». Non sempre però il reinventarsi si rivela la strada verso la salvezza. «Nonostante la forte passione per il mio lavoro, dopo sette anni ho dovuto chiudere la mia attività», sono le parole di Marinella Portolani, con alle spalle un passato di 32 anni da edicolante con un’ottima edicola di quartiere per 26 anni e poi, per 6 anni, in centro a Forlì. «Il mio ultimo chiosco di giornali e souvenir non ce l’ha fatta. Negli ultimi 6 anni di edicola, nonostante mi fossi convertita alla vendita anche di souvenir, ceramica, prodotti locali e mi impegnassi come infopoint e altri progetti e servizi in collaborazione con l’amministrazione, non riuscivo a pagare neppure i bollettini per i contributi che ho saldato grazie al credito di imposta. Non mi ha aiutato nemmeno la location che, pur centrale, ha pagato la vicinanza di altre attività concorrenziali riguardo all’offerta di servizi, tipo tabaccherie. Ho chiuso appena ho potuto perché l’attività, penalizzata anche dal periodo Covid, non era assolutamente più redditizia. Così come nella mia città Forlì, solo all’interno delle mura, hanno chiuso nove edicole».

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Sopra, Marinella Portolani, edicolante della città di Forlì per 32 anni; a sinistra l’edicola torinese di Pietro Aiello e Antonella Fontana, sua moglie (nella foto a destra) Andrea Innocenti presidente Snag Confcommercio

Attualità

L’AQUILA CAPITALE ITALIANA DELLA CULTURA 2026

Agrigento lascia il posto al capoluogo abruzzese

Il sindaco: «Sono estremamente felice e orgoglioso per un riconoscimento in cui abbiamo fortemente creduto»

L’Aquila sarà Capitale italiana della Cultura per il 2026. Ad annunciarlo il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, durante la cerimonia di presentazione che si è svolta lo scorso marzo presso Sala Spadolini del Mic a Roma. All’appuntamento hanno preso parte il sindaco Pierluigi Biondi, il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio, e il sindaco di Rieti, Daniele Sinibaldi, che hanno manifestato sostegno alla candidatura aquilana supportata anche dagli Uffici speciali per la ricostruzione della città e del cratere

2009 e dei territori colpiti dal sisma del 2016. Agnone, Alba, Gaeta, Latina, Lucera, Maratea, Rimini, Treviso, Unione dei Comuni Valdi-

chiana Senese sono le città arrivate in finale.

A convincere la commissione esaminatrice il dossier L’Aquila città multiverso, il documento che tratta di salute pubblica e benessere, coesione sociale, creatività e innovazione, sostenibilità socio-ambientale e che si sviluppa su cinque assi portanti per la sua declinazione e realizzazione: la multiculturalità, la multiriproducibilità, la multidisciplinarietà, la multinaturalità e la multitemporalità.

«Sono estremamente felice e orgoglioso per un riconoscimento in cui abbiamo fortemente creduto, frutto di un viaggio iniziato nel 2021. Anche all’epoca, in piena pandemia, giungemmo alla finale per l’assegnazione del titolo di Capitale della cultura 2022, poi conferito all’isola di Procida», ha commentato il sindaco a mezzo stampa. «Non ci siamo perduti d’animo e da quel risultato abbiamo preso spunto per immaginare e mettere a punto una nuova proposta che fosse ancora più valida, convincente e affascinante proprio come il territorio dell’Aquila e quello delle aree interne non solo dell’Abruzzo e del centro Italia ma dell’intero paese - ha continuato -. La questione delle aree interne rappresenta la sfida del domani dell’Italia unitamente al problema dell’inverno demografico. Questa vittoria certifica il valore che queste ampie porzioni della nostra penisola rappresentano» ha concluso il primo cittadino. A margine della cerimonia di presentazione, il ministro Sangiuliano: «Avrei voluto che tutte le città finaliste candidate diventassero Capitale della Cultura 2026 perché ciascuna esprime un valore identitario. La commissione nella sua autonomia ha scelto L’Aquila che lo merita per la sua storia e le sue tradizioni e per la capacità di rinascere».

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Mic, Roma: cerimonia di presentazione
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Speciale scuola

ASSISTENTI ALL’AUTONOMIA SCOLASTICA

L’ESERCITO INVISIBILE CHE FAVORISCE L’INCLUSIONE

Sono figure fondamentali nelle scuole a supporto degli studenti con disabilità. Il movimento nazionale Misaac si batte da tempo per contrastare il precariato «Affinché i bambini di Treviso abbiano gli stessi diritti dei bambini di Mazara del Vallo»

La scuola dell’inclusione, da Nord a Sud, deve fare i conti con il precariato. Lo dimostrano i 15mila studenti con disabilità, sensoriali, fisiche e neurologiche, a cui manca la presenza in

classe di un assistente all’autonomia e alla comunicazione. Una categoria di lavoratori specializzati prevista dalla legge 104 del 1992. Una comunità invisibile ma numerosa, di cui fanno parte oltre 68mila assistenti (dati

Istat 2 febbraio 2024), professionisti che conoscono la Lis (Lingua Italiana dei Segni per i sordi), il Braille per i ciechi, la Caa (Comunicazione Aumentativa Alternativa) per gli studenti non verbali, ma anche esperti in tecniche cognitive comportamentali per i casi di autismo. Nonostante la loro presenza sia necessaria oltre che obbligatoria, resta il dato di un assistente all’autonomia e alla comunicazione ogni quattro alunni e spesso “tale carenza viene colmata con un aumento delle ore di sostegno, anche se le due figure professionali sono complementari e non sostitutive” (fonte: Istat 2024).

«Loro sono la categoria che, più di altre, regge sulle proprie spalle la scuola dell’inclusione», afferma l’avvocato Maurizio Benincasa, portavoce nazionale del Misaac, Movimento per l’Internalizzazione e la Stabilizzazione

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degli Assistenti all’Autonomia e alla Comunicazione, che ci ha spiegato la realtà di tanti lavoratori e degli studenti con disabilità. Il movimento, infatti, è impegnato a fianco di questi lavoratori che, pur lavorando a tutela del diritto all’istruzione a supporto della didattica, non fanno parte del ministero dell’Istruzione. Operatori professionisti dell’inclusione scolastica che, come previsto dalla legge 104, sono gestiti da enti locali. Un’assegnazione che, di fatto, è demandata a enti di gestione, per lo più cooperative. E da qui nasce l’impoverimento, e la precarietà, di un’intera categoria di lavoratori.

Quali sono le condizioni lavorative degli assistenti all’autonomia e comunicazione?

Si tratta di lavoratori con contratti a cottimo, che vengono pagati circa 7-8 euro l’ora. A cui non spettano le ferie. Che durante l’estate o nelle pause di Natale e Pasqua non vengono pagati. Che non hanno la tredicesima. Quando capita che l’alunno si assenta, cosa che si verifica facilmente per gli studenti disabili, in quei giorni non percepiscono lo stipendio. Una categoria di lavoratori per i quali gli enti territoriali destinano in media 20-22 euro di costo orario, a cui va però tolto un 40% che va direttamente alle cooperative, come costo di intermediazione. Un precariato per lo più femminile: l’85% sono donne. Noi definiamo questa situazione ‘il peggiore precariato esistente, a questo livello di competenze’. Una gestione a cui qualsiasi amministratore locale rinuncerebbe, perché non c’è budget che basti. In molti territori le ore sono già state ridotte e a volte non è più previsto il servizio di assistenza. Cosa succede nelle ore senza assistenti agli studenti?

Molto semplicemente l’inclusione non esiste. Aumentano i comportamenti autolesionistici e le stereotipie.

Se ad esempio un alunno sordo e segnante non ha la Lis, tutto quello che succede non lo comprende, e questo determina una situazione di frustrazione, di disagio psichico che porta a comportamenti oppositivi. Spesso le famiglie vengono chiamate, ma più spesso gli alunni vengono portati fuori dalla classe nelle cosiddette aulette di sostegno. Una presenza quindi insostituibile, quella degli assistenti. Vi battete per una nuova legge. In Senato è depositato il disegno di legge 236 del 2022. Come procede l’iter legislativo?

Nel 2023 stava procedendo spedito e veloce. Nel 2024 sembra si sia fermato. Sappiamo che gli uffici competenti ci lavorano, ma al momento le audizioni sono ferme. È un dato di fatto. Il

Misaac supporta questa legge perché punta a internalizzare il ruolo degli assistenti prevedendo che sia il ministero dell’istruzione a gestirlo, perché un bambino nato a Trieste abbia gli stessi diritti di uno nato a Mazara del Vallo. E perché punta a stabilizzare, in modo progressivo e con percorsi di formazione, tutti gli attuali assistenti. Cosa serve per un cambiamento culturale, anche per le politiche di integrazione?

Oltre a servirci più risonanza massmediatica nazionale, ci manca una maggiore considerazione dalle associazioni di famiglie: manca la percezione del livello di pregiudizio che incombe sui loro figli. Poi, ci servirebbe una presa di consapevolezza politica generale, evitando battaglie ideologiche su questo Ddl. E infine, un sindacato che appoggi questa legge. Abbiamo organizzato flash mob in tutta Italia, e se non si muove nulla non escludiamo di mobilitarci a giugno, prima non è facile per questi lavoratori. Ogni anno un terzo degli assistenti abbandonano, e sono i migliori. In alcune zone d’Italia non si trovano più. Con questo lavoro non ci si vive: i soldi sono pochi, il lavoro è precario. Ci sono lavoratrici che hanno nascosto la gravidanza, altrimenti venivano licenziate. E intanto, a quei 15mila alunni non ci pensa nessuno?

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SCUOLE PARENTALI DOVE ANCHE I NONNI INSEGNANO

Si impara in aula, ma anche in giardino, in cucina in negozio. Non ci sono voti né pagelle gli insegnanti sono scelti per le loro capacità emotive ed empatiche. Il racconto

«Valorizziamo il ruolo delle persone anziane»

«Oggi i bimbi sono dal concessionario, per scegliere l’auto e sbrigare tutte le pratiche. Ieri sono andati all’immobiliare, forse hanno trovato un buon affitto»: non è uno scherzo, ma un “progetto di realtà”. Così lo chiama Fernanda Marini, presidente dell’associazione Naturalmente Aps di Pescara e coordinatrice della scuola parentale che ha fondato al suo interno, cinque anni fa. Una scuola primaria, che oggi conta 18 studenti. Una “scuola per vivere”, così la definisce, perché qui si insegna non tanto e non solo a leggere, scrivere e contare, anche a conoscere sé stessi, relazionarsi con gli altri ed esplorare il mondo. Non sappiamo quante siano le scuole parentali in Italia: non essendo formalmente riconosciute dal ministero dell’Istruzione, i dati non ci sono. Quel che sappiamo con certezza è che il numero di famiglie che le sceglie per i propri figli è in aumento: nel 2019-2020 erano meno di 800 gli studenti che non frequentavano istituti scolastici, l’anno successivo erano quasi raddoppiati, arrivando a oltre 2.400. Questi sono dati ufficiali del ministero dell’Istruzione, a cui

viene comunicato, tramite i dirigenti scolastici, quali famiglie compiano questa scelta.

Una scelta legittima, poiché la Costituzione prevede l’obbligo d’istruzione, ma non l’obbligo di frequentare una scuola. I genitori possono dunque provvedere autonomamente all’istruzione dei propri figli (homeschooling), oppure affidarli a un contesto educativo comunitario, ma non scolastico: in questo secondo caso si parla, appunto, di scuole parentali. Perché l’obbligo risulti assolto, gli alunni devono svolgere un esame

alla fine di ogni anno, presso un istituto scolastico del territorio. A parte questo, le formalità burocratiche saranno ridotte al minimo, mentre il massimo spazio sarà dato alla creatività, all’espressione, alla relazione. «Qui vengono trasmesse non tanto le nozioni, ma l’amore per la conoscenza e la capacità di utilizzare le competenze acquisite», spiega Fernanda Marini, che ha dato vita a questa scuola nel momento in cui la prima delle due figlie ha dovuto iniziare la primaria. Non trovando quella che sognava, l’ha creata: una scuola in cui i bambini sono protagonisti e imparano facendo, tra laboratori, attività all’aperto e lezioni vere e proprie. Una scuola senza voti né pagelle. Gli insegnanti ci sono, ma vengono scelti non in base alla graduatoria (l’abilitazione non è richiesta), ma «per la capacità empatica, emotiva e relazionale - spiega Marini -. Insegnare in una scuola parentale richiede grande motivazione e creatività. Per le frazioni, ad esempio, hanno usato i mattoni rotti che abbiamo in giardino. Per capire parallele e perpendicolari, sono andati nell’orto». E poi ci sono i progetti di realtà, come quello che i bambini stanno svolgendo in questi giorni: «I bambini si

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sono calati nei panni di una coppia inglese appena arrivata a Pescara: devono trovare l’auto, una casa in affitto e tutto ciò di cui hanno bisogno. Vanno in giro per la città e imparano a confrontarsi con le per-

sone e con i servizi. Naturalmente, parlando solo in inglese». Ciò che in una scuola statale o privata sembra impraticabile per ragioni burocratiche, in una scuola parentale diventa non solo possibile, ma necessario: «Noi valorizziamo tutte le risorse disponibili, compresi gli anziani: grazie ad alcune nonne, per esempio, i bambini hanno imparato a cucinare le polpette e sanno ricamare. Siamo letteralmente assetati di nonni, ma non solo: chiunque abbia un sapere da trasmettere, qui è il benvenuto». Così, le scuole parentali diventano anche luoghi d’incontro tra generazioni. Lo testimonia Cecilia Fazioli, pedagogista e consulente che nel 2015 ha scritto il libro La scuola parentale: Come farla diventare una vera opportunità formativa per bambini e ragazzi (Nuova Terra Edizioni): «Anche noi genitori siamo

«Quello che conta davvero è l’esplorazione che favorisce il piacere della conoscenza»

coinvolti e attivi: questo ci assicura di non cadere nella trappola della delega educativa», ci spiega Cecilia Fazioli. Il figlio minore sta facendo homeschooling, mentre il maggiore sta frequentando un Liceo scientifico parentale a Bologna. Un impegno anche economico, visto che la retta di una scuola parentale oscilla tra i 250 e i 350 euro. In quanti possono permetterselo? «Noi non siamo ricchi - precisa Fazioli - ma abbiamo scelto di investire economicamente in questo, rinunciando ad altro. E poi c’è l’investimento organizzativo ed emotivo: nostro figlio è dovuto andare a vivere dai nonni a 14 anni, perché qui a Faenza non c’è un liceo parentale. Ma è una scelta che abbiamo fatto con grande convinzione: nostro figlio sta coltivando l’amore per la conoscenza e il pensiero critico. Nelle scuole parentali il viaggio è più importante della meta: quello che conta è l’esplorazione, che favorisce il piacere della conoscenza. Si dà grande spazio alla spiritualità, intesa come sviluppo dell’amorevolezza verso la vita, verso sé stessi, verso gli altri, verso l’ambiente». Una scuola come questa può quindi essere un antidoto anche contro il diffuso disagio giovanile? «Io credo di sì. Qui viene incoraggiata l’espressione delle emozioni, soprattutto attraverso la musica e il teatro: così, ciascun ragazzo impara a conoscersi, ad accettarsi, ad amarsi. E a stare bene nel mondo, di cui si sente responsabile. Che è proprio ciò di cui oggi abbiamo tanto bisogno».

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Momenti di educazione all’interno delle scuole parentali

Elezioni 2024

Dopo anni di proposte e attese, finalmente è arrivata una svolta sulla possibilità di voto per gli studenti fuori sede. Lo scorso 22 febbraio, infatti, la commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato all’unanimità un emendamento al decreto-legge “Elezioni” (mentre ne stiamo scrivendo manca ancora l’approvazione della Camera) che consentirà, in via sperimentale, agli studenti universitari di votare alle prossime elezioni europee dell’8 e 9 giugno, senza dover tornare nel loro comune di origine. Si tratta di una conquista importante che rappresenta un primo passo verso una democrazia più inclusiva, soprattutto verso le nuove generazioni. La struttura del sistema elettorale italiano, per com’è stata concepita, ha di fatto frenato la partecipazione dei giovani al voto, creando un divario tra le loro aspirazioni e la loro capacità di influenzare le decisioni politiche. I numeri, del resto, parlano chiaro. Secondo il Rapporto 2023 dell’Agenzia Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario, sono 4,9 milioni gli italiani, pari al 10% del corpo elettorale, che ogni volta sono costretti a fare ritorno al proprio comune di residenza per poter esercitare il diritto di voto. Vanno considerati i costi del viaggio, il tempo perso e le difficoltà logistiche, che possono scoraggiare molti giovani dal recarsi alle urne oltre che alimentare un senso di disaffezione e sfiducia verso le istituzioni. Una questione non di poco conto, che spesso si traduce in un forte astensionismo. Basti pensare che alle ultime elezioni europee nel 2019 l’affluenza dei giovani tra i 18 e i 24 anni è stata di appena il 34,4%, contro una media nazionale del 69,1%. L’emendamento approvato in Senato nasce con l’intento di abbattere questo ostacolo, introducendo una procedura particolare per il voto degli studenti fuori sede, precisando però che si tratta di una

EUROPEE, PARTE

LA SPERIMENTAZIONE DEL VOTO AI FUORISEDE

Tra ottimismo e qualche perplessità, abbiamo chiesto cosa ne pensano gli studenti di alcune università italiane del test elettorale, un banco di prova per il futuro della rappresentanza democratica di Dario De Felicis

sperimentazione limitata alle elezioni europee.

Per avere un’idea più chiara sulla portata del test elettorale abbiamo interpellato alcuni studenti di varie università d’Italia, diretti interessati al decreto. «È importante avere questa possibilità perché è un dovere e un diritto esprimere la propria opinione», sostiene Alessandro, che frequenta l’Università di Trento. Gli fa da eco Emanuela, studentessa dell’Alma Mater Studiorum di Bologna: «È una grande svolta per esercitare il diritto di voto, consi-

derando che sono fuorisede e abito ad un’ora e mezza di distanza, in auto, da dove studio». «Questa opportunità mi fa ben sperare per il futuro - aggiunge Diego, studente del terzo anno di Marketing presso l’Università della Tuscia -. Poter votare senza dover affrontare un viaggio lungo e costoso verso il mio comune di residenza rende il sistema elettorale più equo, giusto, per tutti». Dall’Università di Salerno arriva il pensiero di Pietro: «Sono fuorisede e non sapevo dell’approvazione di questo emendamento, però mi sembra un

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bene, oltre ad essere utile. Facciamo tanti scioperi e manifestazioni per i nostri diritti ma non veniamo mai ascoltati. Se noi ragazzi vogliamo cercare di cambiare qualcosa questa mi sembra la strada giusta». Sull’utilità del decreto elezioni ne è più che convinta anche Clara, anche lei studentessa dell’Università di Salerno: «È un aiuto per gli studenti, non c’è dubbio che in questa maniera vengono invogliati a votare. Sulla disaffezione generale della mia generazione verso la politica non voglio esprimermi, però sono sicura che questa possibilità di votare anche lontani da casa porterà un’affluenza elettorale maggiore». Ma c’è anche chi come Lara, iscritta all’Università Politecnica delle Marche, normalmente non vota e non voterà neppure stavolta perché «nonostante tutto, non posso permettermi di tornare a casa, considerando il poco tempo a disposizione».

Alla voce degli studenti si aggiunge quella delle associazioni universitarie, che hanno mostrato una cauta soddisfazione, con qualche riserva. «L’introduzione in via sperimentale del voto fuorisede per gli studenti per le elezioni europee di giugno - ha detto Federico Amalfa dell’esecutivo nazionale Udu (Unione degli Universitari) - è un piccolo passo avanti per assicurare che tutti possano esercitare il loro diritto di voto, dopo anni di attese. Tuttavia,

questa misura è insufficiente. Per cominciare, permettere di votare solo nei capoluoghi di regione può sembrare un miglioramento, ma fa permanere un incomprensibile ostacolo. Poi, considerando che in Italia ci sono 5 milioni di fuorisede, studenti e non, è evidente che questa norma lascia fuori troppi cittadini. Inoltre, limitare questa possibilità solo alle elezioni europee non è rassicurante. Dopo anni di inazione da parte delle istituzioni, non ci accontentiamo di promesse vaghe: vogliamo una legge che permetta il voto fuorisede in tutte le elezioni: nazionali, regionali, comunali e anche nei referendum».

Ancora più prudente la valutazione di Nicola Gioia, presidente dell’associazione universitaria Forma Mentis

dell’Università di Salerno: «Ho visto l’emendamento, mi sono informato poiché sono iscritto all’albo dei presidenti di seggi e vengo spesso chiamato; ho visto che gli studenti possono votare solo in alcuni seggi speciali e con regole piuttosto ferree. Così il problema non è stato affatto risolto. Già oggi i giovani si sono molto allontanati dal tema dalla politica. Uno studente che ad esempio studia qui a Fisciano, sede dell’Università di Salerno, non andrà a votare a Napoli, tranne chi è veramente interessato, considerando che c’è anche il problema legato alla scarsità di mezzi pubblici. Ribadisco il concetto che, a mio avviso, sul voto non si è risolto nulla. È stata fatta questa battaglia per il voto dei fuorisede - aggiunge Gioia - ma non sono convinto che ci sarà una risposta effettiva degli studenti. Ovviamente se il risultato sarà positivo o meno, ce lo diranno i numeri, ma da quello che vedo sono pochi i ragazzi che sanno di questa possibilità. Al netto di tutto mi sembra più che altro una battaglia mediatica da parte delle istituzioni».

Sul “decreto Elezioni”, non solo tra i giovani, rimane aperto un dibattito destinato a durare ancora per i prossimi mesi. Le perplessità riguardano principalmente i limiti della sperimentazione, confinati alle sole elezioni europee. Ci sono poi da affrontare le difficoltà di attuazione; tutta la gestione e l’allestimento delle sezioni speciali e il capillare controllo dei requisiti che rischia di generare disparità di trattamento tra gli studenti.

Lo sguardo di tutti rimane rivolto al futuro: il successo della sperimentazione potrebbe portare all’estensione del voto fuorisede ad altre tornate elettorali, rilanciando anche il dibattito sul voto per i cittadini italiani che vivono all’estero. L’auspicio è che questa conquista non resti un caso isolato, ma sia l’inizio di un percorso che renda il voto un diritto davvero universale.

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GENITORI E NONNI PILASTRI CONTRO IL DISAGIO GIOVANILE

Pandemia, guerre e instabilità non c’è pace per chi ancora non è entrato nel mondo adulto Famiglia, scuola e istituzioni ecco cosa possono fare per aiutarli

a cura di Donatella Ottavi, Chiara Ludovisi

Ilaria Romano, Anna Giuffrida

Linda Russo, Valerio Maria Urru

Primo
piano

Primo piano

PANDEMIA, GUERRE E INCERTEZZE TRA LE CAUSE DEL DISAGIO GIOVANILE

Le vicende degli ultimi anni hanno contribuito a creare una pesante atmosfera di insicurezza

A farne le spese è stata soprattutto la salute mentale dei giovani. Tra paure e disillusioni analizziamo numeri e responsabilità per valutare possibili soluzioni

Morale a terra, difficoltà di concentrazione, insonnia, ansia sono sensazioni che capita di provare nel corso della vita. Momenti difficili, il più delle volte transitori e riconducibili e specifiche motivazioni; situazioni da cui, attraverso una necessaria presa di coscienza, si può venire fuori, con le proprie forze o con un supporto medico.

Quando a farci i conti sono giovani, se non giovanissimi, è la paura ad emergere prima della consapevolezza, quella stessa paura che immobilizza, che non fa dormire o mangiare, quel ‘mal di vivere’ che conduce spesso ad isolarsi o, nella peggiore delle ipotesi, a compiere atti estremi. Un disagio giovanile oggi dilagante, a cui ha senza dubbio contribuito lo stop forzato imposto dal lockdown durante la pandemia da Covid-19. Intere esistenze messe ‘in pausa’ dalla quotidianità, dalla scuola, dalle amicizie. È davvero la pandemia l’unica responsabile dell’ormai conclamato disagio mentale diffuso tra i giovani o dobbiamo guardarci intorno, guardarci dentro, per cercare di individuare l’origine di questo

malessere e, soprattutto, di attivarci per porvi rimedio?

Con il rapporto La condizione dell’infanzia nel mondo 2021, l’Unicef forniva alcuni dati: su circa 1,2 miliardi di adolescenti dai 10 ai 19 anni, oltre il 13% soffriva di un disagio mentale, nel 2020. Secondo il rapporto La condizione dell’infanzia nell’Unione europea 2024, anche questo di Unicef, più di 11 milioni di bambini e giovani soffrono di un disagio psichico. Un quinto dei ragazzi tra i 15 e i 19 anni soffre di ansia e depressione. Un dato che sembra essere destinato a crescere. A focalizzare l’attenzione sul panorama italiano, invece, il recente dossier di Telefono Azzurro, realizzato in collaborazione con Bva Doxa attraverso la somministrazione via web di 800 interviste - a risposta multipla - a ragazzi tra i 12 e i 18 anni. L’indagine parte da un’analisi dello stato d’animo dei giovani mettendo subito in evidenza che, a fronte di un 41% che si dichiara felice, il 21% dei giovani si sente in ansia, il 20% è preoccupato e il 15% prova uno stato di agitazione. Riguardo alle loro aspettative sul domani, il 15% si definisce piuttosto pessimista, dichiarando di ‘vedere’ un futuro oscuro.

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A destabilizzare ulteriormente la serenità dei giovani hanno inevitabilmente contribuito anche i conflitti in atto (Russia-Ucraina e Medio Oriente), nei confronti dei quali più della metà del campione ascoltato prova tristezza, rabbia (49%) e angoscia (39%), tanto che 1 ragazzo su 5 dichiara di avere spesso incubi sugli attacchi armati.

I giovani intervistati mostrano idee chiare e notevole sensibilità anche rispetto alle possibili cause di disagio dei propri coetanei. I principali

motivi di sofferenza sono (consapevolmente) attribuibili alla dipendenza da Internet e/o social network (52%), alla mancanza di autostima e alla difficoltà a relazionarsi con gli adulti (40% circa), a disturbi di ansia e attacchi di panico (30%); e ancora, alla difficoltà a relazionarsi con i propri pari (29%), a stati di depressione/tristezza (25%) e a disturbi alimentari (20%). L’inesistenza di problemi psicologici è relegata ad un isolato 2%.

Quali sono le loro aspettative, quali i suggerimenti per poter uscire da questa impasse? Il 61% del campione intervistato vorrebbe parlarne di più ma spesso si sente frenato per l’imbarazzo provato nel chiedere aiuto. Il 39% ritiene utile affidarsi a un professionista della salute mentale; la medesima percentuale di ragazzi desidera che la scuola si faccia portavoce di queste problematiche, dando modo di parlarne in maniera approfondita. Particolarmente interessante, poi, la percentuale di ragazzi (41%) che troverebbe utile ‘insegnare’ ai genitori un modo per aiutare i figli a superare il loro malessere. Un dato indicativo che sembrerebbe sottolineare la difficoltà ad affrontare e gestire tali situazioni in ambito familiare. Infine, il 23% preferisce esprimersi in forma anonima, ‘come in una chat’, evidente escamotage per aggirare la dichiarata ritrosia ad esporsi apertamente.

Le motivazioni di questa resistenza ci vengono fornite dalle risposte date alla domanda “Ti capita di parlare di salute mentale nella vita di ogni giorno?”. A fronte di coloro che hanno risposto “poco” (42%) o “sì, ma vorrei parlarne di più” (21%), chi chiede aiuto ad un esperto di salute mentale teme di essere giudicato in modo negativo nel 33% dei casi. Una convinzione avvalorata dalla percezione dell’atteggiamento assunto nei confronti di persone con problemi nell’area della salute mentale:

il 29% degli intervistati è convinto che la società tenda conseguentemente all’esclusione sociale o alla discriminazione (31%).

Quindi con chi confrontarsi, a chi affidarsi per parlare in libertà del proprio disagio? Alla tecnologia, all’Intelligenza Artificiale? Sembra di no, visto che all’idea di utilizzare chatbots (software guidati dall’AI che simulano/elaborano conversazioni umane, consentendo agli utenti di interagire con i dispositivi digitali n.d.r.) per superare l’imbarazzo di un dialogo diretto, il 27% degli intervistati risponde che sono privi di empatia e non fanno sentire veramente ascoltati (28%), contro un 25% che li utilizzerebbe solo per non sentirsi giudicati.

D’altro canto, è indiscutibile quanto web e social influenzino la quotidianità dei giovani, tanto da rappresentare - più o meno consciamente - una sorta di rifugio virtuale in cui sentirsi protetti. Infatti, pur consapevoli dei potenziali rischi di sviluppare una dipendenza (92%), i ragazzi trascorrono online mediamente 3 ore al giorno per rilassarsi (58%), per restare in contatto con amici e familiari (54%), per combattere solitudine e noia (31%) per fare nuove amicizie (23%). Alla prospettiva di ‘scollegarsi’, il 22% dei giovani si dichiara in ansia o addirittura perso (23%). Un quadro ben preciso, fatto di dati, numeri e percentuali, che deve spingerci a riflettere ma, soprattutto, ad agire. I giovani hanno il diritto di trovare punti fermi in ognuno di noi - famiglia, scuola, istituzioni -, e noi abbiamo il dovere di fornire loro le risposte che cercano e la fiducia necessaria per affrontare il domani. Tenendo bene a mente che il loro futuro dipende molto dalla qualità del loro presente.

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Primo piano

L’ADOLESCENZA

VISTA DA DENTRO

I valori, le preoccupazioni e i sogni di Leila, Arianna e Davide. La più grande paura? Una vita senza passioni. L’appello all’umanità: «Amate ciò che avete e siate gentili. E quando dovete fare una scelta pensate solo a cosa è bene»

Isolati, demotivati, apatici, violenti: in una parola, problematici. Così vengono spesso definiti, con una o l’altra sfumatura, gli adolescenti di oggi. Ma è davvero così? Chi siano e cosa facciano, oggi, i ragazzi e le ragazze, non è facile dirlo. Quali siano le loro passioni, come vivano il presente e come immaginino il futuro: tutto questo, è difficile indovinarlo. Perché allora non chiederlo a loro? Davide ha 18 anni e conta i giorni che mancano all’esame di maturità. Leila ha 13 anni e ha appena scelto la scuola superiore. Arianna ha 17 anni e sta trascorrendo un semestre scolastico a Città del Capo. Con parole e sguardi diversi, ci offriranno uno spaccato dell’adolescenza “vista da dentro”. Iniziamo dai valori, da ciò che conta più di tutto il resto: per Davide, «la salute psicologica e fisica, il rispetto per gli altri e l’amore». Per Leila, «la scuola, gli amici e lo sport». Per Arianna, «famiglia, identità personale e relazioni positive con gli altri». Ma dove vengono coltivate queste relazioni? E cosa fanno, insieme, gli adolescenti? Per Davide, «ballare e uscire la sera sono i passatempi preferiti di noi ragazzi. Ci piace incontraci nelle discoteche e nei locali, ma anche nelle grandi piazze e nei quar-

tieri movimentati della città». Arianna ha notato che le abitudini cambiano da un paese all’altro: «In Italia il tempo libero è fuori da scuola: solo i ragazzi che possono permetterselo riempiono i loro pomeriggi con lo sport, la musica o altre attività culturali. E questo determina i loro interessi e passioni durante l’adolescenza. Qui invece, come in molti paesi, le giornate dei ragazzi iniziano e finiscono a scuola, dove possono svolgere diverse attività gratuitamente. Così tutti, fin da bambini, possono organizzare il loro tempo in base a ciò che preferiscono fare». E poi ci sono i problemi, ciò che ai ragazzi manca, ciò che non trovano e di cui, invece, sentono il bisogno. Per Leila, «un problema è sicuramente il poco rispetto che i ragazzi della mia età portano verso gli altri, soprattutto verso gli adulti. E anche il fatto che tanti fumino già alla mia età, come se farlo ti rendesse ‘figo’: ma fa solo tanto male». Per Davide, «tra i giovani c’è un grande bisogno di sostegno psicologico. Se ne parla tanto, ma manca un supporto economico, per poterlo garantire a chiunque ne abbia necessità. E poi la scuola dovrebbe offrire agli studenti più occasioni di dibattito: nessuno ci ha mai chiesto cosa pensiamo dei femminicidi,

o della guerra. Viene sempre prima la didattica». Anche per Arianna, la nostra scuola non risponde ai bisogni dei ragazzi: «In generale, in Italia, manca la cura dei luoghi collettivi. La scuola, soprattutto, qui come in tanti paesi del mondo, offre molte opportunità. Tutti noi dovremmo po-

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ter vederla vivere come un luogo in cui far fiorire e valere tante abilità e passioni, che invece spesso la nostra scuola nasconde o addirittura spegne».

La preoccupazione più grande è proprio questa: vedere le passioni spegnersi, guardare la vita passare, piut-

tosto che viverla fino in fondo. È la paura di non vivere al meglio il presente, prima che diventi passato. Come dice Leila, «di non godermi questi mesi, che non riavrò indietro». Oppure, la paura di un domani che non somigli ai sogni di oggi: la preoccupazione di Davide è di «condurre

una vita piatta, priva di stimoli: una vita in cui mi trovo a fare ciò che non mi appassiona». O quella di Arianna, di «trovarmi a un certo punto in un vicolo cieco nella mia vita, senza avere più la possibilità di sfruttare come desideravo la mia esistenza». Il futuro ideale, allora, non ha niente a che fare con la ricchezza, con il potere o con la possibilità di soddisfare ogni desiderio e piacere. Il sogno è invece quello di poter coltivare le proprie passioni, non dovendo rinunciare a ciò che si ama. Per Davide, «una vita felice e serena, fare un lavoro che riesca a coniugare passione e impegno lavorativo». Per Leila, «un futuro in cui non sarò costretta a fare ciò che non mi piace per guadagnare dei soldi, ripetendo la stessa noiosa routine tutti i giorni: un lavoro che mi appassioni e che mi renda felice». Non sogni impossibili, quindi, ma il desiderio di «costruire una vita semplice ma felice – dice Arianna – e nello stesso tempo di contribuire, nel mio piccolo, alla serenità delle persone accanto a me». Per finire, uno sforzo d’immaginazione: il mondo improvvisamente tace e ascolta solo loro: Davide, Leila, Arianna. Cosa direbbero, o griderebbero, all’umanità? «Amate e siate gentili verso chi ci circonda, perché è sempre più difficile trovare persone pure, che sappiano davvero voler bene»: raccomanderebbe Davide. «Tutto ciò che succede di brutto nel mondo è orrendo e inutile, perché ognuno ha solamente una vita e tutti hanno il diritto di viverla. Nessuno deve sprecarla distruggendo le vite e i sogni altrui», griderebbe Leila. «Apprezzate o, come dicono spesso qui, ‘Appreciate’. Amate ciò che avete. E quando dovete fare una scelta, pensate solo a fare del bene. Quella sarà la scelta giusta», suggerirebbe Arianna.

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Primo piano

ARTE E NATURA PER

PREVENIRE DISAGI PSICHICI

Nella comunità terapeutica che accoglie adolescenti e giovani adulti. Mingarelli: «Il nostro modello di lavoro coinvolge le famiglie perché non dobbiamo dimenticare che la comunità è temporanea la famiglia invece resta»

In provincia di Como la Fondazione Rosa dei Venti si occupa da 26 anni di fragilità e difficoltà psichiche di adolescenti e giovani adulti. La storia di questa realtà comincia nel 1997 con la nascita di una comunità terapeutica per minori, voluta dagli attuali presidente e vice-presidente Luca Mingarelli e Monica Cavicchioli, che si differenzia dalle altre, negli anni Novanta, per un approccio che include l’arte e la natura.

«All’epoca le comunità che rientravano nell’area sanitaria avevano una connotazione più medicalizzata –spiega Elisa Mingarelli, responsabile comunicazione e progetti della Fondazione –, la nostra è nata includendo arte e natura come elementi che facilitano la terapia, oltre alla parte educativa che è altrettanto fondamentale».

Come si è evoluto il lavoro della Fondazione sino ad oggi? Nel 2007 avviene il primo trasferimento e poi, nel 2014, mossi dall’aumento esponenziale di richieste di inserimento in comunità, la Fondazione ha rilevato Villa Plinia, una ex fabbrica di imbottigliamento dell’acqua, e l’ha trasformata in un nuovo centro. Arte e natura continuano a essere alla base dei nostri percorsi di cura, che hanno l’obiettivo di far ritrovare, o far scoprire all’adolescente una quo-

tidianità, una routine, che può aver perso o che magari non ha mai avuto. Sembrano cose scontate, ma trovare la colazione tutte le mattine, avere cura dei propri spazi, occuparsi della cucina, sono tutti strumenti concreti verso l’autonomia.

Chi sono i vostri ospiti?

Sono adolescenti fra i 13 e i 18 anni, spesso anche fino ai 21, ma alle comunità terapeutiche che sono delle vere e proprie residenze, affianchiamo anche i centri diurni. Il nostro modello di lavoro coinvolge le fami-

glie, teniamo incontri periodici con gli ospiti, il personale e i parenti perché non dobbiamo dimenticare che la comunità è temporanea, la famiglia invece resta e bisogna trovare il mondo di relazionarsi, capirne i limiti e le risorse.

Negli ultimi anni avete anche introdotto la cosiddetta residenzialità leggera. Di cosa si tratta?

Al compimento dei 18 anni c’è il rischio che tanti ragazzi, che hanno ancora delle fragilità pur se maggiorenni, vengano abbandonati dalle istituzioni. Le conseguenze di questi disagi psicologici ricadono su di loro, ma anche sulle famiglie e sulla società. Per questo abbiamo deciso di occuparci anche dei giovani adulti, fra i 18 e i 28 anni, con la residenzialità leggera, una formula diversa dalla comunità terapeutica per chi non necessita di un’assistenza con terapia residenziale, ma ha bisogno di un supporto per l’inserimento lavorativo, di studio, sociale.

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Sopra, da sinistra, Monica Cavicchioli, Elisa Mingarelli e Luca Mingarelli

Si parla spesso di disagio psicologico fra i più giovani come di un fenomeno in crescita: in base alla vostra esperienza c’è stato un aumento di casi di difficoltà e fragilità?

Sì, i casi sono aumentati, e la pandemia ha segnato un prima e un dopo: fra il 2019 e il 2020 le richieste di inserimenti in comunità sono raddoppiate, e anche i percorsi diurni o di residenzialità leggera, che funzionano come prevenzione, se ci sono disagi familiari.

Negli ultimi anni avete cominciato a occuparvi non solo di cura ma anche di prevenzione. Come?

Lavoriamo con le scuole, secondarie di secondo grado ma anche di primo, sempre attraverso l’arte e la natura. Il fumetto è uno strumento che con i giovani funziona molto bene, perché consente di individuare precocemente una situazione di disagio prima che diventi una psicopatologia. L’importante è cogliere subito i segnali per non far si che si acutizzino. Perché ogni disagio nasconde una sofferen-

za. La collaborazione con le scuole è l’ideale per entrare in contatto con adolescenti di ogni provenienza. L’altro aspetto molto utile è il dialogo tra scuola e comunità: capita di organizzare dei laboratori educativi con le scuole nel nostro parco e lì vite diverse hanno l’occasione di entrare in contatto. Capire che ci sono coetanei che possono aver subìto un abuso, o che siano stati sottoposti a situazioni tossiche, aiuta a sensibilizzare e a sviluppare empatia.

Qual è la strada per aiutare a superare un disagio psichico? Noi ci focalizziamo sull’individuazione dei talenti dei ragazzi: lavorare su ciò che si è in grado di fare, su ciò che piace, aiuta a portare consapevolezza. I ragazzi della comunità dialogano con l’esterno, vanno a scuola, fanno la spesa, frequentano il centro della città, partecipano a visite guidate. Abbiamo creato un apiario per seguire non solo il processo di produzione del miele, ma anche per capire meglio il mondo delle api, che può essere da spunto con la sua struttura sociale; i ragazzi suonano il taiko,

il tradizionale tamburo giapponese, che muove una grande energia, e poi ci sono i laboratori in natura connessi agli elementi primati. Organizziamo anche le cene sociali con il contributo volontario di chef stellati, che trasmettono la loro passione. Le attività sono sempre diverse, perché anche i ragazzi cambiano, e quelli di 13 anni fa, quando io ho iniziato, non sono quelli di oggi.

Quanto la tecnologia ha influito in questo cambiamento?

La tecnologia ha cambiato il mondo, soprattutto per i giovani, e credo che in questo momento sia abusata, ma la responsabilità è degli adulti, che non sanno bene come rapportarsi e faticano a dare un insegnamento ai ragazzi. Anche l’abuso di tecnologia oggi rientra fra le patologie, ma la differenza la fa l’uso: può diventare una dipendenza ma può anche portare effetti positivi nelle nostre vite, l’importante è scegliere e non subirne i contenuti. Mettere insieme il mondo della natura con quello della tecnologia è la strada per un mondo equilibrato e rispettoso.

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Primo piano

IL BENESSERE PSICOLOGICO PASSA DAGLI AIUTI PUBBLICI

Bonus e iniziative a sostegno delle fragilità

Destinatari soprattutto i giovani. È dalle università e dagli enti locali più vicini ai cittadini che arrivano maggiori iniziative

La salute mentale ha un costo. Costi, in termini di qualità della vita e di spesa pubblica, che aumentano mancando il necessario supporto. L’Italia al momento si colloca fra gli ultimi posti in Europa per quota di spesa sanitaria, destinando alla salute mentale circa il 3,4% della spesa sanitaria complessiva (dati: Progetto MORe, Mental health Optimization of Resources 2023).

Attualmente, a sostegno del benessere psichico e di percorsi di psicoterapia, l’aiuto principale dello Stato è il cosiddetto Bonus psicologo. Un contributo introdotto nel 2021, durante la pandemia, in seguito all’aumento dei casi di disturbi come ansia stress e depressione, e che adesso è una misura strutturale, acquisita. Del bonus, che può essere richiesto tramite i centri di assistenza fiscale (Caf), possono beneficiare tutti i residenti in Italia, senza limiti di età, con un Isee valido non superiore a 50mila euro. L’ammontare di ogni singolo bonus può variare da un minimo di 500 euro, in caso di Isee entro i 50mila euro, fino ad un massimo di 1.500 euro a persona per chi ha un Isee al di sotto dei 15mila euro. Per la richiesta del bonus 2024 c’è tempo fino al 31 maggio. Con un emendamento al decreto Milleproro-

ghe dello scorso febbraio, lo stanziamento per il 2024, inizialmente di 8 milioni di euro, è salito a 10 milioni. Destinatari principali degli aiuti sono le categorie più fragili, sul piano economico e anche per età. Come nel caso degli studenti universitari. Da una indagine dell’Università Milano-Bicocca è emerso che il 20% degli studenti ha sperimentato sintomi ansiosi e depressivi gravi. Sono tante, non a caso, le università che hanno avviato servizi di counseling, sportelli di ascolto, campagne di informazione o attività legate allo sport, considerato uno strumento utile al contrasto del disagio psichico. Tutte attività che rientrano nel fondo stanziato dal Mur, ministero dell’Università e della Ricerca, con Avviso del luglio 2023, per contrastare la diffusione di fenomeni di disagio tra gli studenti universitari. Una misura complessiva di 70 milioni di euro, di cui 40 milioni destinati a finanziare la realizzazione di almeno 16 attività per la promozione del benessere psicofisico degli studenti. Un budget a disposizione delle Università e delle Istituzioni Afam, l’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica. A questo si aggiunge un finanziamento ulteriore del Mur di 37 milioni nell’ambito del Fondo per il Finanziamento Ordinario,

“per attivare e consolidare servizi di supporto al benessere psicologico” (fonte: Mur).

L’Università di Bari, ad esempio, ha reso già operativo un bonus psicologo per studenti universitari, il “Voucher Psicologico Student3”, del valore di 300 euro, per gli iscritti all’anno accademico 2022/2023 con un Isee non superiore ai 50mila euro. Il termine per la richiesta è fissato al 30 aprile 2024.

Ed è dagli studenti, con l’iniziativa ‘Chiedimi come sto’, che è anche partita una proposta di legge per “L’istituzione del servizio di supporto e assistenza psicologica presso le università e le istituzioni scolastiche di

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tita una proposta di legge per “L’istituzione del servizio di supporto e assistenza psicologica presso le università e le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado”. Un disegno di legge che garantirebbe un punto di riferimento unico legislativo sul tema, ma che al momento è fermo.

Manca una legge a livello nazionale anche per l’attivazione del servizio dello psicologo di base. Delle sette proposte di legge esistenti, non si è giunti neanche al testo unificato. Alcune regioni intanto si sono attivate: dalla Campania che, facendo da apripista, nel luglio 2023 ha avviato il servizio regionale, mettendo a disposizione 150 psicologi di base, o la Lombardia che ha stabili-

to un finanziamento di 36 milioni per il periodo 2024-2026, o l’Ars in Sicilia che ha destinato 7,4 milioni di euro a partire dal 2024. Un servizio che, affidato alle regioni, si presenta però disomogeneo, variando in base al territorio in cui si vive.

Gli enti locali restano comunque le istituzioni più attive nella previsione di fondi per il supporto psicoterapeutico, rivolto soprattutto ai bambini e ai giovani. È il caso della Regione Lazio che ha stanziato dei voucher di assistenza psicologica e tutela della salute mentale destinati ai più giovani, dai 6 ai 21 anni con possibilità di estensione fino ai 26 anni. Il buono, che ha la finalità di “potenziare gli interventi in essere

incrementando e migliorando l’offerta dei servizi”, si legge nell’Avviso della Regione, è rivolto ai giovani con Isee non superiore ai 40mila euro residenti o domiciliati nel Lazio. In Umbria, la Regione ha invece rifinanziato il progetto ‘Ottavo Segno’ gestito dal Comune di Perugia, che mette a disposizione dei giovani tra i 14 e i 19 anni servizi gratuiti di ascolto, spazi benessere e l’accesso a consultori.

Progetti simili all’insegna del supporto psicologico gratuito sono attivi anche in altre città d’Italia. Esempi da seguire a livello nazionale, risorse su cui lo Stato deve continuare a investire per garantire un accesso più equo e tempestivo a chi ne ha bisogno.

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Primo piano

«SALUTE MENTALE PRIORITÀ PER IL BENESSERE INDIVIDUALE

E COLLETTIVO»

Dalla scuola alla famiglia, passando da Internet e social. Cosa possono fare genitori e nonni per supportare i giovani? Ne parliamo con Francesca Dini psicologa dello sviluppo e dell’educazione

«Le situazioni ‘trigger’, ovvero quelle situazioni che generano sofferenza nei giovani, sono di diversa natura. Il peso del sentire di dover soddisfare le aspettative degli adulti e dell’ambiente circostante, ad esempio, talvolta genera sentimenti di inadeguatezza e di incompetenza». Ad affermarlo è la dottoressa Francesca Dini, psicologa dello sviluppo e dell’educazione e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale in formazione, che si occupa di supporto psicologico e psicoterapeutico in età evolutiva e che presta interventi all’interno degli istituti di formazione secondaria per prevenire la dispersione scolastica. Con lei abbiamo indagato le cause e le tante forme di difficoltà incontrate dai giovani italiani. «Anche l’essere sempre ‘connessi’ in un mondo dove la differenza tra reale e virtuale non è ben chiara rende da un lato difficile vivere sé stessi e le relazioni con gli altri in modo autentico e, dall’altro, spinge a sentirsi costantemente “sotto giudizio” da parte di quel mondo che ha accesso totale alla propria vita personale». Proprio come evidenziato dai dati del dossier di Telefono Azzurro, realizzato in collaborazione con Bva Doxa, tra i principali motivi

di sofferenza dei più giovani c’è anche la dipendenza da Internet e dai social network. «Le amicizie e anche le prime relazioni sentimentali degli adolescenti si creano e mantengono online, determinando così una modificazione radicale di quelle che normalmente intendiamo come modalità di relazionare e tappe dello sviluppo della persona - afferma la dottoressa Dini -. In questo senso le famiglie possono essere di supporto cercando di non opporsi radicalmente alla tecnologia e alla sua influenza nella vita sociale dei ragazzi, ma al contrario accogliendola, condividendo l’uso e cercando di capirne le potenzialità e i linguaggi. In questo modo i ragazzi si sentiranno compresi e più facilmente inclini a chiedere supporto agli adulti di riferimento nei momenti in cui dovessero incappare in insidie tipiche del mondo “incognito” dell’online. Esserci come supporto e non come fonte di giudizio e di rimprovero: questo potrebbe davvero fare la differenza». Il dialogo e la guida degli adulti possono essere utili anche nella gestione delle incertezze legate alla preoccupante e precaria situazione sociopolitica mondiale riportate nel dossier di Telefono Azzurro. «Per supportare i ragazzi in queste fasi è importante far

sì che comprendano le dinamiche che sottostanno i conflitti - continua la dottoressa Dini -. La comprensione, la consapevolezza e una sincera comunicazione rappresentano il primo modo per fornire rassicurazioni e per ‘confinare’ paure e preoccupazioni. Fornire informazioni reali, infatti, significa evitare che il singolo interpreti soggettivamente ciò che sta accadendo ed evitare che l’interpretazione personale produca timori ancor più catastrofici rispetto al rischio reale. Quando l’ansia e le insicurezze prendono il sopravvento può essere utile mantenere l’attenzione sul presen-

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te, ricordando ai ragazzi che ognuno di noi può fare qualcosa nel proprio piccolo per nutrire la speranza di un cambiamento. Nello specifico, in un percorso di terapia, lo specialista si prende cura di validare le emozioni di paura, spaesamento, insicurezza aiutando il ragazzo a raggiungere piena consapevolezza di sé, delle proprie strategie e del proprio funzionamento, fornendo strategie e strumenti per la gestione delle difficoltà emotive». Un percorso in molti casi utile, ma che ancora troppo spesso viene stigmatizzato. «Purtroppo, lo stigma sociale verso chi si rivolge ad

uno psicologo è ancora elevato, ma le ultime ricerche hanno evidenziato come molti giovani intraprendano più facilmente un percorso di supporto psicologico e psicoterapico - racconta Dini -. Sicuramente gli strumenti tecnologici a disposizione dei giovani svolgono un importante ruolo di canalizzazione delle richieste di aiuto: sono molte, oggi e soprattutto dal post-pandemia da Covid, le piattaforme che erogano psicoterapia online. Certo, per qualcuno è ancora difficile considerare come ‘affidabile’ tutto ciò che riguarda Internet, cellulari e social, ma rivolgersi a uno specialista

online risponde a molte delle esigenze legate alla posizione geografica o alla condizione economica. Anche in questo caso, comunque, è importante che il ragazzo senta che il proprio bisogno di confronto, supporto e ascolto sia validato all’interno del contesto familiare. La salute mentale è una priorità per il benessere individuale e della collettività; proprio per questo sarebbe auspicabile che fossero le famiglie - con i genitori in primis, ma anche con l’aiuto dei nonni - ad accettare e consigliare questi percorsi. La scuola e quindi gli insegnanti, dal canto loro, potrebbero favorire l’accesso dei ragazzi agli sportelli di supporto psicologico che sono istituiti ormai in tutte le scuole di tutti i gradi di formazione. I giovani hanno bisogno di essere ascoltati e compresi; di sentirsi liberi di esprimere i loro pensieri e i loro bisogni in un contesto diverso e privo di giudizio. Il compito degli adulti di riferimento è condividere con loro il coraggio di mettersi in gioco».

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Francesca Dini, psicologa dello sviluppo e dell’educazione, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale in formazione

Primo piano

NARCISISTICAMENTE FRAGILI

Chiusi all’interno di una “società senza dolore”

sempre meno disposta a lasciare spazio al fallimento alla sofferenza, al conflitto I genitori restano importanti modelli di identificazione per costruire la propria personalità. I nonni figure affettive significative

Daniele ha vent’anni, una famiglia normale, un lavoro, degli amici. Una vita che, in superficie, è come quella di tanti altri ragazzi. Fino al blackout: una domenica apre gli occhi e si ritrova in un ospedale psichiatrico senza neppure ricordare come ci sia arrivato. Scoprirà presto di essere stato ricoverato per un Trattamento sanitario obbligatorio dopo una violenta crisi di rabbia. Ha inizio così Tutto chiede salvezza, scritto da Daniele Mencarelli. Il libro, da cui è stata tratta anche l’omonima serie di successo, affronta il tema del disagio psichico tra i giovani, un mostro talvolta improvviso la cui origine spesso non è chiara, ma segue un filo complesso, quello della storia personale.

Una persona su otto nel mondosecondo l’Oms - vive situazioni di disagio mentale. Si tratta di un quadro piuttosto complesso che va dallo stato di ansia al disturbo bipolare, una situazione tornata alla ribalta durante la pandemia con un aumento dei disturbi soprattutto tra i giovani. Proprio di loro, dei ragazzi, abbiamo chiesto a Sonia Bonassi, psicologa ad orientamento dinamico, psicodiagnosta, specializzata nell’età dell’adolescenza e della giovane adultità.

Dottoressa Bonassi, che tipo di percorso formativo ha scelto e di cosa si occupa nel suo settore?

Lavoro privatamente come libera professionista e collaboro con diverse realtà sul territorio, tra cui il Consultorio Familiare Diocesano e la cooperativa sociale “Il Calabrone” di Brescia. Mi occupo di supporto psicologico rivolto agli adolescenti e ai giovani secondo una prospettiva psicodinamica. Dopo aver conseguito la laurea in Psicologia dello Sviluppo e dei processi educativi

all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, ho frequentato un master annuale in Psicologia dei nuovi media e una formazione biennale nell’utilizzo dei test proiettivi. Oggi frequento la scuola di specializzazione in Psicoterapia dell’adolescente e del giovane adulto presso l’Istituto Minotauro di Milano.

Quali possono essere, a suo avviso, le situazioni di stress e disagio in cui i giovani rischiano di compromettere seriamente la loro identità?

Le situazioni di stress e disagio che osservo di frequente ritengo possano essere ascrivibili ad un sentimento diffuso di fragilità. È un sentimento vissuto in nome di aspettative iper-ideali di successo, popolarità e competenza, alimentate da una “società senza dolore” che non lascia sempre spazio al fallimento, alla sofferenza e al conflitto.

Oggi si parla molto di bullismo e violenza di gruppo: quali sono, in questo caso, le dinamiche che portano all’emulazione tra i giovani?

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Anche qui, le dinamiche che conducono a fenomeni di bullismo hanno in realtà a che fare non tanto con l’attaccare chi è diverso, quanto col prendersela con chi viene percepito fragile. È come se il bullo non tollerasse in sé stesso le fragilità e questo lo spingesse a cercare chi è portatore delle medesime fragilità. È un modo per dire al mondo che il fragile è l’altro e non lui, il bullo. Questo lo conduce a concentrarsi sulla vulnerabilità dell’altro, così da non vedere la propria. A suscitare, a sollecitare dinamiche di bullismo, quindi, oltre a ciò che ha più strettamente a che vedere con aspetti di diversità come disabilità, differenze di genere, età, religione, etc., è questa percezione, considerando poi che alcuni elementi culturali insegnano ad avere successo proprio in nome della prevaricazione sull’altro.

Che ruolo gioca la famiglia in situazioni di difficoltà psicologiche dei giovani? E, in particolare, quale può essere il ruolo dei nonni nella crescita dei ragazzi?

Ritengo che la famiglia sia un pilastro fondamentale nella vita dei ragazzi: i genitori rappresentano importanti modelli di identificazione con cui confrontarsi per la costruzione della personalità e i nonni figure affettive significative. Tuttavia, i ragazzi si trovano spesso nella condizione di dover fronteggiare una fragilità adulta, collegata spesso ad una difficoltà a sostenere i principali compiti della crescita, tra cui la separazione e l’individuazione del sé.

Quanto influisce il contesto socioeconomico? Ci sono casi in cui anche in un contesto economicamente agiato il malessere si sviluppa? O lo fa soprattutto in contesti meno agiati?

Il contesto socioeconomico ha chiaramente un’influenza. Uno disagevole rappresenta un fattore di rischio. È ovvio poi che la manifestazione del disturbo psicologico dipenda dall’interazione tra diversi fattori di rischio - tra cui appunto il contesto socioeconomico -, magari una famiglia che non riesce a fare appello a una rete significativa di supporto esterno. Una cosa che accade spesso in un contesto disagevole. Non penso però possa essere ritenuto l’unico elemento patognomonico (evento o sintomo specifico di una determinata malattia che ne consente la diagnosi, n.d.r.): la manifestazione del disagio è legata ad una serie di elementi come l’aspetto costituzionale della persona, le esperienze relazionali vissute, le esperienze scolastiche, le modalità con cui vengono fronteggiate le sfide evolutive.

Come sono cambiate le difficoltà psicologiche dei giovani prima e dopo il Covid? A livel-

lo scolastico c’è stato un aumento di quelli con Dsa (Disturbi specifici dell’apprendimento n.d.r.) e Bes (Bisogni educativi speciali n.d.r.)?

Rispetto al Covid la situazione è un po’ controversa. Da un lato le fragilità adolescenziali tipiche di questa società postmoderna erano ben visibili anche prima della pandemia, dall’altro però l’emergenza ha rappresentato un ulteriore fattore che ha aggravato dei disagi già presenti. Ad esempio, la “reclusione” domestica ha reso ancora più fragili una serie di competenze relazionali e affettive che solitamente vengono coltivate nel rapporto con l’altro. L’ausilio di Internet, con cui si possono intrattenere relazioni comunque molto significative, non ha potuto ovviare a questo aspetto legato al contatto. Non credo, però, che abbia inciso a livello di disturbi specifici dell’apprendimento perché questi hanno origini e uno stampo neurobiologico.

Secondo lei, oggi, qual è la sfida più importante a livello di salute mentale da affrontare con i giovani?

Forse uno degli aspetti più importanti con cui ci confrontiamo spesso è una grande fragilità narcisistica, che un po’ si esprime nell’estrema sensibilità al riconoscimento, nel timore di essere ferito dallo sguardo e dal giudizio altrui e nella frequente presenza di un sentimento diffuso di vergogna che va un po’ ad intaccare il senso dell’autostima. Questo è un aspetto su cui mi capita spesso di riflettere con i ragazzi e di lavorare insieme a loro.

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Sonia Bonassi, psicologa e psicodiagnosta

CORTI DI LUNGA VITA È PIF IL PRESIDENTE DI GIURIA

Il concorso internazionale di cortometraggi promosso dall’Associazione 50&Più, intitolato ‘Corti di Lunga Vita’ torna al Cinema Troisi di Roma. L’appuntamento con la premiazione di questa VI edizione è fissato a martedì 14 maggio. Dopo un 2023 all’insegna dell’Energia, intesa come la forza interiore ad agire, il focus si sposta sulla disponibilità verso gli altri. Il tema dell’edizione 2024 - ‘Eccomi’ -, contiene in sé un valore importante, quello di mettersi al servizio del prossimo e della comunità, con gioia ed entusiasmo. Un

Si terrà il 14 maggio presso il Cinema Troisi di Roma la premiazione del concorso internazionale di cortometraggi promosso dall’Associazione 50&Più Il tema di quest’anno è ‘Eccomi’

di Ettore Costa

invito attuale, dunque, ad accorciare le distanze, in una società che si avvicina all’inverno demografico, incentrata sul presente, sempre più individualista e frammentata. Le opere in concorso saranno visionate da una giuria tecnica in via di composizione che ad oggi vanta la presenza della scrittrice e giornalista Lidia Ravera, della sceneggiatrice Doriana Leondeff, del critico cinematografico Flavio De Bernardinis e di Pierfrancesco Diliberto - in arte Pif - che per la terza volta vestirà i panni del presidente di giuria. Il bando è disponibile su www.spazio50.org.

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Eventi

Sociale

«FOTOGRAFO QUELLO CHE MI PIACEREBBE VEDERE PER DAVVERO»

L’Unione Italiana Ciechi promuove da anni corsi di fotografia sul territorio nazionale, l'ultimo a Verona L'insegnante Sergio Visciano racconta: «Tutti molto felici di mettersi alla prova»

Un corso di fotografia per persone cieche e ipovedenti. Sembra un ossimoro, ma è realtà. Il corso, avviato a marzo a Verona e organizzato dalla sezione provinciale dell’Unione Italiana Ciechi, permetterà a persone cieche di sperimentare l’arte visiva per eccellenza che, fino a qualche tempo fa, era inaccessibile. Sono oltre 113mila i ciechi assoluti o parziali in Italia cui si aggiungono migliaia di ipovedenti. L’Unione Italiana Ciechi conta 127 sedi in tutto il territorio nazionale che organizzano iniziative formative e culturali per gli iscritti. Negli ultimi anni molti ciechi, a Cosenza, Teramo, Torino, Bologna, Milano, Firenze, Viterbo, si sono avvicinati alla fotografia, anche grazie all’innovazione tecnologica che aiuta

chi non vede a “sentire con gli occhi” attraverso supporti tattili e 3D. L’ideatore del corso scaligero, Sergio Visciano, di professione geologo ma appassionato fotografo d’arte da oltre quindici anni, racconta: «Amo la fotografia, soprattutto quella artistica. Per anni ho fatto scatti agli elementi statuari nei più importanti musei archeologici italiani. Cosa c’entra questo con i ciechi? Da ragazzo ho fatto volontariato in un istituto per ciechi a Padova, quindi è un mondo che già in qualche modo mi apparteneva e conoscevo. Da un anno e mezzo, poi, ho cominciato a leggere dei testi sulla percezione della realtà da parte delle persone cieche e ipovedenti, quindi a capire come, attraverso gli altri sensi, vanno a sostituire la vista; con il tatto ad

esempio, o l’udito, ascoltando le descrizioni di altri e sentendo i suoni, riescono a ricostruire quello che hanno di fronte. Ho allora pensato di portare la mia passione e esperienza di fotografo nel loro mondo. Il focus principale di questo corso è che i partecipanti, con scelte personali, vadano a realizzare un prodotto artistico con un progetto assolutamente soggettivo. Poi è ovvio che io cerco di indirizzarli e supportarli, soprattutto sulla tecnica. Insomma, sarà un dialogo divertente tra me e i partecipanti, tutti mol-

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to felici di mettersi alla prova». Non tutti i non vedenti sono uguali. Alcuni soggetti presentano una visione debole, altri una visione concentrata nella parte centrale del campo visivo, altri presentano una disabilità completa, magari per malattia degenerativa, incidente, che quindi comportano un cambio nel percorso di acquisizione dello spazio attraverso altri sensi, disabilità visiva (totale o parziale) dalla nascita. Ogni fotografo studente fa un proprio percorso di acquisizione e di sviluppo del progetto fotografico, in base alle proprie caratteristiche fisiche e di autonomia artistica. Verranno in aiuto modelli tattili, podcast e lezioni frontali durante le quali sarà insegnata la tecnica fotografica, sensibilità ISO, angolo di campo e profondità, focali e tempi. Ma, in pratica, come fanno i ciechi a scattare la foto? «Dipende – spiega Visciano – cosa intendono fotografare. Si utilizzerà sempre un cavalletto e loro decideranno come fotografare. Se vogliono immortalare degli interni si allestisce un set, se vogliono inquadrare una persona o un oggetto è sicuramente più semplice perché prima di scattare la foto possono toccarla con le mani, sentirne l’odore, pensarla come immagine, decidendo più consapevolmente come fare lo scatto, se in primo piano o a figura intera. La maggior parte

dei miei alunni, però, mi ha sorpreso perché ha espresso la preferenza di fotografare paesaggi e spazi aperti cosa che ovviamente risulta molto più difficile». È il caso di Silvia Cepeleaga, 34 anni, che partecipa alle lezioni con entusiasmo: «Sono felicissima. Per me questo corso è prima di tutto una sfida. Quando ne parlo a conoscenti e amici mi sento chiedere con incredulità: “un cieco che fa un corso di fotografia?”. E magari si fanno una risata. Io voglio dimostrare a me e agli altri che si può fare. A volte siamo noi stessi che ci mettiamo dei limiti. Io voglio

fotografare quello che non riesco a toccare con la mano. Il volto lo tocco, l’oggetto pure, un tramonto, una montagna, il lago io non li vedo. Voglio fotografare quello che io apprezzo tantissimo da non vedente e che i normodotati danno per scontato e, spesso, non si soffermano nemmeno pochi minuti a contemplare la bellezza di una montagna, di un albero, della natura che ci circonda. Quando fotograferò voglio riuscire a catturare il momento bello di un’onda, il sole che esce dal lago, il vento che soffia tra le foglie di un albero. Fermerò in uno scatto quello che mi piacerebbe vedere per davvero. Sergio, il nostro insegnante, mi dirà quando è il momento giusto e io catturerò quell’attimo che vorrei tenere per sempre. Le nostre foto, che noi stessi potremmo percepire poi toccandole, saranno il prodotto anche dell’orgoglio di aver catturato quell’istante preciso da non vedenti». Le fotografie scattate con gli occhi “speciali” dei ciechi saranno visibili a tutti in una mostra collettiva prodotta con stampe in 3D e in parte con stampe a rilievo.

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Sopra, alcuni studenti del corso di fotografia. Al centro, Silvia Cepeleaga e il professor Visciano

DOLOMITI DI BRENTA SCENARIO IDEALE PER LA SETTIMANA DELLA CREATIVITÀ

Escursioni nella natura e laboratori creativi attendono gli artisti in cerca di nuove ispirazioni. All’interno dell’Evento verranno premiati anche i vincitori del 42° Concorso 50&Più, dedicato a prosa, poesia, pittura e fotografia

Dal 29 giugno al 5 luglio il

Relais des Alpes di Madonna di Campiglio è pronto ad accogliere la IV edizione della Settimana della Creatività, l’evento 50&Più dedicato a tutti gli appassionati di arte. Il focus della Settimana sono i laboratori creativi durante i quali i partecipanti potranno liberare il proprio estro apprendendo nuove tecniche e nuovi linguaggi artistici in un clima di serena amicizia. A tenere i laboratori torneranno alcuni volti noti: Elio Pecora, poeta e saggista, per il laboratorio di poesia e la fotoreporter Patrizia Copponi per il laboratorio di fotografia. Altri laboratori completeranno l’offerta artistica, co -

me quello di scrittura creativa, a cura di Enrico Valenzi e quello di pittura. All’interno della manifestazione verranno inoltre premiati

i vincitori del Concorso 50&Più dedicato a tutti i senior appassionati di prosa, poesia, pittura e fotografia, che quest’anno approda alla sua 42° edizione.

L’iscrizione può essere effettuata online o per posta ordinaria entro il 19 aprile 2024.

L’esperienza poi non finisce qui perché a rendere il soggiorno indimenticabile contribuiranno anche le escursioni facoltative: la Vallesinella con la visita alle cascate; la visita al Museo della Grande Guerra Bianca Adamellina; il tour del lago di Nambino; la visita al Museo del Vetro di Pinzolo. Non semplici luoghi, ma fonti di ispirazione per l’anima. Per info www.spazio50.org

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Eventi
Creatività, Stresa, 2022
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CONDIVISIONE E SOCIALITÀ UN MODO DIVERSO DI VIVERE IL CINEMA

La rassegna, giunta alla settima edizione è frutto di una co-progettazione con altre realtà Ha il duplice obiettivo di fare rete e collaborare per la diffusione della cultura cinematografica

Il cinema diventa un’esperienza ancora più stimolante con le rassegne “Lezioni di Cinema” organizzate da 50&Più Livorno, che si sono concluse nel mese di marzo. Un progetto che vede la collaborazione del Centro Studi Commedia all’italiana, il Teatro Ordigno, Erasmo Libri, l’Ufficio Turistico Pro Loco Vada e il Comune di Rosignano Marittimo. La manifestazione gode anche della compartecipazione del Comune di Livorno e del patrocinio della Provincia di Livorno e di Confcommercio Livorno.

«La nostra idea - ha spiegato la presidente di 50&Più Livorno, Loretta Raffaelli - era quella di promuovere un’esperienza cinematografica che fosse alla portata di tutti. Le iniziative presentate nel programma hanno registrato una grande partecipazione di pubblico, senza distinzioni di età. Il cinema è cultura e questa è stata un’occasione diversa per trasmettere cultura ai nostri soci e a tutta la cittadinanza, anche per avvicinare un pubblico sempre più ampio alla 50&Più».

In tema di settima arte, l’Associazione compartecipa anche ad un progetto parallelo che arricchisce e completa l’esperienza delle Lezioni: “Cinema a colazione”, un momento di sano scambio intergenerazionale durante il quale, oltre ad assistere alla proiezione di un film, è possibile scambiare idee e consumare una buona colazione. Un appuntamento a cui partecipano spesso anche ragazzi - oltre ad anziani e scolaresche - i quali ricevono una certificazione di presenza che permette loro di acquisire crediti formativi. «Grazie a rassegne come questa, a cui la 50&Più partecipa assieme ad altre quattro organizzazioni - sottolinea Gianfranco Panariello, coordinatore del progetto “Lezioni di Cinema” -, si crea una maggiore eterogeneità di pubblico. E questo favorisce anche i nostri incontri, che si trasformano in qualcosa di diverso rispetto alla semplice visione di un film. Anche perché noi ci discostiamo parecchio dall’idea tradizionale di cineforum, prediligendo la partecipazione attiva e il confronto. Durante gli incontri non sono mancate discussioni anche molto accese. Ma ben vengano, se sono sinonimo di scambio culturale e di idee». Nel programma della manifestazione figurano iniziative in cui c’è condivisione, voglia di riscoprire pellicole di qualità e classici restaurati, progettazione condivisa con altre realtà locali e «la volontà di far riscoprire piccole sale e spazi di proiezione dimenticati o poco conosciuti, soprattutto dai giovani», conclude Raffaelli. Le “Lezioni di Cinema” di 50&Più Livorno rappresentano quindi un esempio efficace di diffusione della cultura cinematografica. Un progetto di inclusione che, partendo dalla proiezione di una pellicola, promuove la socializzazione, l’interazione tra diverse generazioni e la riscoperta di spazi cittadini spesso dimenticati.

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a cura di Dario De Felicis Buone pratiche 50&Più
Livorno
Un momento di dibattito tra pubblico e relatori dopo la proiezione di un film

L’ARCHEOLOGIA UNISCE LE GENERAZIONI

Cittadini di tutte le età hanno collaborato per valorizzare la collezione di ceramiche Gorga «Così valorizziamo il nostro patrimonio culturale»

La 50&Più Arezzo ha replicato anche a marzo un appuntamento che ha unito due generazioni nel nome dell’arte. Un progetto che ha preso vita dal Museo Archeologico Nazionale di Arezzo, con l’obiettivo di dare nuova luce alla collezione di ceramica sigillata appartenuta al celebre tenore Evan Gorga.

La collezione, donata allo Stato nel 1950, comprende migliaia di frammenti di vasi e matrici risalenti all’epoca romana. Rimasta in gran parte inosservata per decenni, è stata finalmente riscoperta grazie alla collaborazione tra l’Università del Molise, la direzione regionale Musei della Toscana e l’associazione 50&Più di Arezzo. L’ambizioso progetto, coordinato dalla professoressa Maria Gat-

to, direttrice del Museo Archeologico Nazionale di Arezzo, ha visto coinvolti archeologi, esperti e cittadini di tutte le età. I soci della 50&Più insieme gli studenti del Liceo Classico F. Petrarca di Arezzo hanno collaborato alle attività di pulitura, catalogazione e studio dei reperti.

«Ho avuto modo di far partecipare alcuni nostri soci - ha affermato il presidente di 50&Più Arezzo, Claudio Magi - i quali, a rotazione - mattina o pomeriggio - hanno offerto il loro tempo per aiutare le istituzioni a proteggere e conservare il nostro patrimonio culturale. In fondo, come recita anche l’articolo 9 della Costituzione italiana, ampliato dalla revisione della legge costituzionale 1/2022, “la Repubblica promuove lo sviluppo

della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione (…), anche nell’interesse delle generazioni future”».

Proprio lo scambio tra giovani e anziani è uno degli aspetti che ha dato più valore a questa proposta. «È molto bello veder lavorare assieme due generazioni, fianco a fianco - ha proseguito il presidente Magi -, tutti molto contenti perché stavano maneggiando materiale di oltre 2.500 anni fa. Persone di età diverse, guidate dal professor Gianluca Soricelli e dalla dottoressa Elena Arbolino, che collaborano per proteggere e conservare un bene del nostro patrimonio culturale, affinché possa essere offerto alla conoscenza e al godimento collettivo. La collaborazione tra generazioni è fondamentale per promuovere l’attenzione e il rispetto verso gli altri, anche se diversi per età, esperienze e storie di vita». Il progetto non solo permetterà di valorizzare la bellezza delle ceramiche, ma farà anche conoscere al grande pubblico la figura di Evan Gorga, collezionista appassionato e figura di spicco del panorama culturale del suo tempo. Lo studio della collezione porterà alla realizzazione di una pubblicazione scientifica e di una mostra itinerante, che permetteranno di condividere i risultati del progetto con un pubblico ancora più ampio. L’iniziativa aretina si rivela così una valida esperienza di valorizzazione del patrimonio archeologico e di promozione della cultura del territorio, dimostrando quanto la collaborazione tra generazioni possa essere un punto di forza per dare nuova vita a tesori nascosti e per far conoscere la bellezza e la ricchezza della nostra storia.

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La catalogazione di un pezzo della collezione di ceramiche Gorga Arezzo

MESSICO: LA VIOLENZA FAMILIARE È GIUSTA CAUSA PER ESCLUDERE I FIGLI DALL’EREDITÀ

Dati recenti raccontano che il 16% degli anziani ha subìto forme di abuso Con la riforma del Codice penale il parlamento vuole tutelare donne e uomini fragili dai familiari violenti: «È un obbligo morale»

Le persone accusate di violenza familiare perderanno la capacità di ereditare dalla loro vittima, anche se questa è un genitore. Lo ha stabilito il Messico, dopo che la Camera dei deputati ha approvato la riforma del Codice penale federale dietro una forte spinta dell’opinione pubblica e dei partiti politici. Il progetto, approvato dall’Assemblea plenaria e trasmesso al Senato della repubblica per l’iter parlamentare, riforma l’articolo 343 bis del Codice penale federale. La deputata Consuelo del Carmen Navarrete, membro del Partito ecologista verde del Messico ha dichiarato: «Non si tratta solo di un obbligo giuridico, ma anche morale per la società nel suo insieme», sottolineando che gli anziani sono vul-

nerabili a causa della loro età e che possono diventare “facili prede” per chi si approfitta di loro e della propria condizione per trarre un vantaggio o un profitto con l’inganno. Un comportamento criminoso che di solito si traduce in abbandono, molestie, violenze e manipolazione da parte dei familiari.

Secondo i dati del Sistema Nazionale per lo Sviluppo Integrale della Famiglia (DIF), il 16% degli anziani messicani ha subìto forme di abuso, ma la percentuale potrebbe essere più alta, perché non tutte le vittime denunciano. «È triste e paradossale che il reato di violenza familiare sia commesso da persone vicine alla vittimaconclude Navarrete -, per questo non è possibile che gli aggressori conservino il diritto alla successione, cioè

la capacità di ereditare i loro beni». Quello del testamento e dell’eredità familiare in caso di maltrattamenti psicologici o fisici è un tema delicato, che si scontra con le leggi che tendono a restringere i casi di non ereditarietà. In Italia, ad esempio, un genitore può diseredare il proprio figlio solo in casi molto gravi. Non è infrequente che nelle famiglie sorgano discussioni nel momento in cui, venuto a mancare un genitore, un figlio erediti le sue proprietà nonostante si sia comportato male nei suoi confronti. In questi casi è naturale per gli altri familiari domandarsi se sia possibile escluderlo dalla successione, considerato che quando il genitore era in vita non gli aveva mai mostrato affetto e non si era mai preoccupato di assisterlo, lasciando ad altri un impegno anche gravoso. Per il legislatore tuttavia questo può accadere solo nel caso in cui il figlio sia dichiarato indegno dal giudice per atti gravissimi, come il tentato omicidio del genitore o l’aver usato violenza o inganno per modificare il testamento a suo favore. Se le cose non cambieranno, la semplice maleducazione verso un padre e una madre o il disinteressarsi della loro assistenza non sono motivi che autorizzano ad escludere un figlio dall’eredità.

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Mondo

«NON È VERO MA CI CREDO» SUPERSTIZIONI E RITI IN GIRO PER IL MONDO

I tombini svedesi, le finestre del Vermont i ragni in Finlandia e il numero 4 in Cina

Percorriamo un viaggio a tappe per raccontare credenze popolari ancora radicate e singolari rituali scaramantici

«Aglie, fravaglie, fattura ca nun quaglia (…)» è la memorabile formula scaramantica recitata da Pappagone, storico personaggio interpretato da Peppino De Filippo, con l’intento di scacciare gli influssi negativi del malocchio. Un’espressione che trae origine da un’antica credenza legata a fantomatici poteri ‘anti sfortuna’ attribuiti all’aglio e al significato propiziatorio rappresentato dai piccoli pesci (fravaglie), simbolo di abbondanza.

Le credenze popolari, tramandate di generazione in generazione, hanno viaggiato nel tempo giungendo fino ai nostri giorni più vive che mai, tutte con un unico denominatore comune, allontanare la malasorte. Il nostro paese è testimone di tutto rispetto di superstizioni e rituali scaramantici, ma in realtà ogni angolo di mondo ne conta diversi e, spesso, alquanto bizzarri: dall’irrinunciabile contorno di lenticchie, simbolo di prosperità nella notte di San Silvestro, al temutissi-

mo cappello sul letto, portatore di brutte notizie.

Se, ad esempio, vi trovate a trascorrere un soggiorno in Svezia, attenzione a dove camminate. I tombini presenti lungo le strade - contraddistinti dalle lettere ‘A’ per indicare l’acqua e ‘K’ per i liquami - rappresenterebbero rispettivamente l’amore e l’amore spezzato. Secondo una credenza locale, la buona riuscita della giornata dipenderebbe da quanti e quali tombini si incontrino lungo il proprio tragitto. Gli abitanti più scaramantici studiano addirittura percorsi alternativi, per evitare il più possibile di imbattersi in tombini ‘K’.

Restando nei Paesi nordici, per la precisione in Finlandia, facciamo attenzione ai ragni se non vogliamo trascorrere la

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Curiosità

giornata con l’ombrello alla mano. È credenza locale ritenere che schiacciarne uno potrebbe portare maltempo. In Qatar, invece, ucciderli porterebbe sfortuna per il resto dei propri giorni. Secondo gli abitanti del luogo, questo aracnide avrebbe il potere di controllare le vicende della vita e addirittura di estinguere gli incendi nelle abitazioni.

Gli studenti vietnamiti, in prossimità di una verifica o un esame, evitano accuratamente di mangiare banane, per via di una credenza legata alla tipica viscosità del frutto. Nella lingua locale, il verbo scivolare si usa anche per definire un fallimento. In Egitto le forbici assumono un significato ambivalente. Si ritiene che se riposte sotto il cuscino, allontanino i brutti sogni, ma guai a sforbiciare senza tagliare nulla o a riporle a lame aperte: la sfortuna sarebbe assicurata. La diffusa credenza americana nell’esistenza delle streghe ha fatto sì che si ‘rivedesse’ la progettazione degli infissi delle abitazioni. Nel Vermont è infatti possibile incontrare case coloniche del XIX secolo costruite con le witch windows, le cosiddette ‘finestre delle streghe’. Caratterizzate da una inclinazione di 45°, impedirebbero alle ‘ospiti indesiderate’ di entrare nelle abitazioni a cavallo delle loro scope. Che il fumo faccia male è risaputo, ma in Romania potrebbe creare ulteriori danni se gli uomini offrissero l’ultima sigaretta contenuta nel proprio pac-

chetto. Una superstizione locale invita a evitarlo perché si incorrerebbe nel rischio di dover ‘dare in offerta’ anche la propria moglie.

Passando per l’Asia, non si può non fare cenno a una credenza molto diffusa in Cina. Il numero quattro è ritenuto grande portatore di sfortuna tant’è che spesso i piani degli edifici, le stanze d’albergo o le tastiere numeriche degli ascensori passano direttamente dal numero tre al numero cinque. Una superstizione legata alla lingua locale, che vede una forte similitudine nella pronuncia della parola ‘quattro’ e della parola ‘morte’.

La descrizione di riti scaramantici e credenze popolari potrebbe continuare a lungo e questo spinge inevitabilmente a interrogarsi sul perché oggi, nel terzo millennio, si tenda ancora a credere a superstizioni che dovrebbero essere ormai relegate a epoche e civiltà lontane. Tutto sembrerebbe condurre a particolari meccanismi psicologici e al bisogno di certezze insito in ognuno di noi, perché è proprio

un senso di sicurezza e fiducia quello che si ottiene dal comportamento superstizioso. Sarà vero? Forse non ci crediamo, ma in fondo toccare ferro non costa nulla.

«L’impulso che induce ad assecondare comportamenti superstiziosi sembra essere legato al bisogno di certezze e fiducia insito in ognuno di noi»
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MESSER MARCO PONTE TRA ORIENTE E OCCIDENTE “

Il mondo è un libro e chi non viaggia ne legge solo una pagina”. Questa celebre frase di Sant’Agostino sarebbe di certo piaciuta all’autore de Il Milione , scomparso l’8 gennaio 1324 nella sua Venezia. Marco, partito a 17 anni al seguito del padre Niccolò e dello zio Matteo mercanti di preziosi, per incontrare il Gran Khan del Catai, lascia la città nel 1271 per tornarvi nel 1295. La parte più straordinaria della sua vita è in questi 24 anni, raccolti nelle pagine de Il Milione , il libro scritto insieme a Rustichello da Pisa, che lo renderà ricco e famoso. Con una narrazione moderna, senza pregiudizi e fuori da ogni visione eurocentrica, l’opera indica un atteggiamento di apertura e rispetto per l’altro, nel quale sulla contrapposizione prevale l’incontro tra civiltà. Marco descrive, lasciando il lettore a bocca aperta, luoghi e popolazioni sconosciuti nel Medioevo europeo. Racconta che su una grande montagna in Armenia (l’Ararat) si trova l’Arca di Noè e poco lontano da lì scopre le sorgenti di petrolio che bruciano da tempi immemorabili. In Iran visita le tombe dei Re Magi “in una bella sepoltura, e ancora tutti interi con barba e co’ capegli”. Senza giudicare descrive la prostituzione sacra in India e l’usanza di alcune genti che in segno di ospitalità offrono agli stranieri le loro mogli. I dettagli dei raffinati cerimoniali di corte smentiscono i pregiudizi dei “latini” sulla barbarie dei “tartari”.

700 anni fa moriva Marco Polo: mercante, scopritore e autore del primo best seller di viaggi della storia

di Ester Riva

Fascino dell’esotico a parte, la veridicità de Il Milione è stata controversa. In particolare per la mancanza dell’o-

riginale scritto in francese gotico e per l’omissione di dettagli come la Grande Muraglia, le bacchette, la calligrafia, la fasciatura femminile dei piedi e il tè, che qualunque viaggiatore avrebbe notato. Oggi si ritiene che, sebbene alcune narrazioni siano arricchite di fantasia (Rustichello era autore di romanzi cavallereschi), ciò non ne inficia la validità; del resto era piuttosto comune che i resoconti dei viaggiatori venissero “abbelliti” per incrementarne le vendite. Inoltre, molte delle mancanze o imprecisioni potrebbero essere dovute a ricordi distorti o a informazioni non di prima mano. Mentre le descrizioni dettagliate della cultura mongola, della valuta cartacea cinese, dell’uso dei bachi da seta, del sistema postale, della combustione del carbone, dimostrano la veridicità di tutti i suoi viaggi. All’epoca la maggior parte degli europei sapeva molto poco della Cina e i più credevano in storie fantastiche, dall’esistenza di popoli con testa di cane a quella di bestie mitologiche. Lo stesso Marco è convinto di vedere unicorni (in realtà rinoceronti) e serpenti giganti dentati (comuni coccodrilli). Il suo viaggio terreno si conclude con la sepoltura nella chiesa di San Lorenzo, di cui non c’è più traccia, e un testamento che attualmente è uno dei tesori della Biblioteca Marciana. Il Milione resta un best seller che ha influenzato la cultura europea e le successive scoperte. Un altro viaggiatore italiano, Cristoforo Colombo, ne porterà una copia con sé quando salperà dalla Spagna in cerca di fama e ricchezza.

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CURIOSITÀ

Quest’anno il Macintosh compie 40 anni, con il suo mouse e l’inconfondibile grafica Apple ha rappresentato una vera rivoluzione nel settore dei personal computer

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PATENTE DIGITALE IN ARRIVO SULL’APP IO

Il debutto è previsto entro l’estate

L’integrazione nell’app IO era attesa entro fine 2023, poi lo slittamento. Parliamo della “patente digitale”: in Italia dovrebbe essere fruibile tramite l’app entro l’estate. L’innovazione, valida nei Paesi dell’Ue, faciliterà e velocizzerà i controlli sul territorio nazionale ed estero, ridurrà smarrimenti e furti e renderà assai più complessa la falsificazione. Basterà accedere all’app IO con Spid o Cie: la pagina della patente di guida avrà un codice QR con le informazioni sull’identità del guidatore, le autorizzazioni e la scadenza del documento. www.io.italia.it

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L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE PARLA CON L’ALDILÀ

In Cina viene usata per creare “avatar” dei cari estinti

Lo abbiamo già visto nei film di fantascienza: i protagonisti dialogano con una riproduzione digitale di qualcuno che ormai non c’è più. Tutto questo grazie a un computer che consente di interagire con l’altro come se fosse ancora lì. È quanto accade in Cina, dove Super Brain, un’azienda di intelligenza artificiale, crea - dopo una prima fase di studio - avatar che imitano il modo di pensare e di parlare dei defunti. Si tratta di un servizio a pagamento e c’è già chi ha sollevato molte riserve sul naturale processo di elaborazione del lutto.

3 RISPARMIAMO LA BATTERIA DELLO SMARTPHONE

Strategie e suggerimenti per tagliare i consumi inutili

Se escludiamo le ore in cui dormiamo, trascorriamo circa metà della nostra giornata sullo smartphone. Un tempo lunghissimo: è normale che la sera la batteria sia a terra. Possiamo però attuare qualche strategia per ridurre i consumi. Ad esempio, disattiviamo Gps, Wi-fi e Bluetooth se non necessari; abbassiamo luminosità dello schermo e volume; disattiviamo le notifiche dei social che non ci interessano se non per motivi di lavoro. Per finire, troviamo e disabilitiamo tutte le app che consumano più energia in background.

4 INSIGHT TIMER, PER RILASSARSI E MEDITARE

Un’applicazione adatta a esperti e principianti

È considerata l’app numero uno al mondo nella meditazione. Insight Timer - sia su App Store che Google Play - offre un’ampia e gratuita libreria di contenuti, con oltre 200.000 meditazioni guidate, interviste, podcast e corsi. Per chi vuole c’è la semplice possibilità di utilizzare il timer per la meditazione, seguire il focus sul sonno con brani musicali, meditazioni e storie per dormire meglio. Insight ha una community social e, anche se la maggior parte delle funzioni sono gratuite, offre un abbonamento facoltativo per funzionalità aggiuntive.

www.insighttimer.com

50&Più | aprile 2024 73 a cura di Valerio Maria Urru LO SAPEVATE CHE? Dal 17 al 18 aprile, a Roma, si svolge la 12ª edizione della “Cyber Crime Conference” sulla sicurezza informatica Per maggiori informazioni: www.ictsecuritymagazine.com

Cultura

FRANCO ARMINIO

«LA SCRITTURA COME STRUMENTO PER USCIRE DALLA SOLITUDINE»

Si intitola Canti della gratitudine il nuovo libro dell’autore in cui versi, rime e assonanze trasmettono parole profonde e dense di significato. Perché «la poesia è utile più che mai»

iccoli scatti dell’occhio o della memoria, illuminazioni folgoranti del tipo ‘usa e getta’, pillole di saggezza estratte da un battito di ciglia, la rapidità nel fermare un’emozione, circoscrivere un’immagine, definire un timore-tremore. Dopo Sacro minore, ecco il nuovo libro di Franco Arminio, Canti della gratitudine, quel gioco di rime e assonanze che è la parte alla luce di quel sotterraneo flusso della rete per cui Arminio è diventato il Franco Arminio che conosciamo, che conoscono in tanti. Onnipresente, girovago tra raduni in piazza e piazzette, teatri, incontri, recital, feste di nozze, carismatica figura di Renato Minore

Pche va incontro a un bisogno di ascolto e condivisione, in un cocktail indefinibile di quanto di spontaneo e profondo e quanto di calcolato e strategico riesce a confezionare e contenere. Quasi che sia Arminio davvero il poeta che scrive con il corpo, continuamente sciolto nel reale/virtuale, l’immagine del poeta al tempo di Instagram. Che vende migliaia e migliaia di copie e arriva anche al baratto, tu mi dai un pezzo di formaggio, io ti dedico il mio ultimo libro. Franco Arminio è in partenza per Napoli dove parlerà dei suoi Canti della gratitudine. Ma per lui “presentare un libro o è una serata gioiosa o non serve a nulla”.

Canti della

Gratitudine

Bompiani

192 PAGINE

Cosa significa per lei essere poeta?

Un dono? Una necessità? Un modo per arrivare agli altri? O per vincere l’ansia e il panico?

Sicuramente un tentativo di ricavare qualcosa dall’ansia, un tentativo necessario. Non spetta a me dirmi poeta, ma provo a scrivere poesie da almeno 45 anni. Credo che in tutti questi anni la radice sia sempre la stessa, magari le fioriture sono cambiate perché siamo animali mutevoli, anzi siamo un’assemblea di animali contenuti dentro la stessa pelle.

Lei nasce e vive a Bisaccia. Gira i paesi ad uno ad uno, legge poesie pure ad un solo passante, è un pa-

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esologo. Cosa rappresenta il paese per lei e perché la poesia?

Il paese adesso oltre a essere luogo di vita è anche luogo di lavoro. Lo guardo ogni giorno, guardo il mio paese anche quando sto altrove. Adesso lo lascio spesso ma ritorno sempre alla mia casa, al teatro dove si sono formate le mie nevrosi e dunque la radice della mia scrittura. In un certo senso la poesia viene dal paese e il paese viene dalla poesia, come se ne avessi inventato uno apposta per viverci dentro. Con il tempo si è trasformato in un poeta multimediale. Legge sul web, legge in piazza, anche nelle feste conviviali dove canta e fa spettacolo con i versi. Mengoni ha letto una sua poesia a Sanremo. La poesia è più importante in questo momento per essere detta e non scritta?

Forse la questione non è tanto l’oralità o la scrittura, la questione è leggere a qualcuno, tenere in mente la relazione, pensare alla scrittura come strumento per uscire dalla solitudine, pur essendo la solitudine necessaria per scrivere.

Lei scrive in continuazione, si direbbe una fontana che scorre sempre? Non conosce quello che i poeti chiamano il tormento della pagina bianca?

Scrivo a oltranza, da sempre. Quello che ho pubblicato è una piccola parte rispetto a quello che ho scritto. Pratico diversi generi di scrittura, direi quasi tutto a parte il romanzo e la scrittura per il teatro o il cinema. Conosco il tormento di scrivere, che forse è meno duro del tormento di non scrivere. Nei suoi ultimi due libri un tema dominante, il sacro minore e la gratitudine. In che cosa consistono, un legame tra loro e cosa c’entra la poesia con questi sentimenti?

La poesia c’entra con tutto. È anche una preghiera e un ringraziamento.

STASERA VEDO MIA MADRE

Mia madre mi sembra di capirla stasera tutta quella sua sofferenza mi sembrava uno spreco e invece era una forma di ingenuità era la vita di un essere che non sapeva murarsi, non sapeva difendersi da niente, neppure da sé stessa Stasera lo vedo tutto il cuore della nostra somiglianza mia madre soffriva per mancanza di furbizia se pioveva, preferiva lamentarsi più che portare l’ombrello Non ha fatto in tutta la sua vita un solo respiro falso non ha mai messo da parte la paura non ha mai giocato la partita che più le conveniva Poco importa che sia morta o viva ora la sua vita è chiarissima in me, è la mia notte e la mia luce la mia fragilità e la forza che la teneva in piedi dalle tre di notte fino alla sera successiva Auguro a ognuno di avere un giorno come questo in cui si vede chiaramente da dove vieni e che strada hai fatto per arrivare dove sei: stasera mi è chiaro ogni suo passo, innocente ogni suo sguardo. Ho di che vivere, ho un luogo da cui partire a cercare altro.

La poesia è morta? C’è ancora e vive e lotta insieme a noi?

La poesia non è morta e credo che non morirà mai. La poesia è più utile che mai, la poesia è il genere letterario che maggiormente può avere effetti sul corpo di chi legge, la poesia è la medicina della lingua e in un mondo di malati è quanto mai essenziale. Il web ha ucciso, ha mortificato, ha potenziato la poesia?

Il web non ha ucciso niente, anzi è uno strumento adatto per far girare poesie. Certo devono avere una qualità: devono essere emozionanti, devono parlare al corpo più che alla storia della letteratura. Una poesia sul web non sta in un’antologia assieme ad altre poesie, sta assieme a tante cose diverse e ci sono dei lettori che la accolgono con attenzione e altri che

manco la degnano di uno sguardo. La memoria che sembra non esistere più ci ha fatto dimenticare che non è un lusso ma un’esigenza primaria?

Certo, la poesia non è un lusso, è un’esigenza primaria e questo sarà sempre più evidente, a patto che si scriva per necessità e non per atteggiarsi a poeti. Può indirizzare un saluto, un consiglio, magari qualche verso ai lettori di questa rivista, lettori che sono segnati anagraficamente dal “cinquanta e più”?

Un abbraccio a tutti i lettori di poesia. Vi metto qui un testo scritto recentemente, parla del rapporto con mia madre e del fatto che a un certo punto ho visto in modo limpido come sono grazie al fatto di aver visto bene com’era mia madre.

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Cultura

AUTOBIOGRAMMATICA L’ATLANTE DELLE PAROLE VISSUTE DI TOMMASO GIARTOSIO

Originale e raffinato, il libro racconta la vita dell’autore attraverso le parole che la fondano e la rivelano «Le parole possono essere un vetro, che impedisce di toccare le cose come sono realmente»

Un mondo di parole. La prima pagina di Autobiogrammatica di Tommaso Giartosio, edito da minimum fax, è come la buca di “Alice nel Paese delle Meraviglie”: un varco attraverso cui si entra in un’altra dimensione, con le sue leggi, le sue coordinate, i suoi percorsi, le sue forze motrici. L’etimologia fissa la direzione; i

“pun”, i giochi verbali, le assonanze e le associazioni distorcono lo spazio e il tempo. Proust e Pound sono due nomi con tre lettere in comune, “Salvo, Lima!” è un calembour forse perfino stupido e insieme il simbolo dell’Odissea invisibile, intellettuale ma a volte anche fisica, a cui possono spingerci le parole. Tommaso

Giartosio, prolifico autore di prosa e poesia, voce dello storico programma Fahrenheit di Radiotre, definisce Autobiogrammatica «un atlante della mia lingua, del mio modo di vivere e sentire la lingua». Un romanzo con due protagonisti fondamentali: l’autore e le sue parole, rappresentate come fossero personaggi vivi. «Siamo cateratte di parole», è scritto quasi all’inizio, «alcune rimangono più delle altre, ci si fissano sul buio del palato arcaiche e taglienti come cirripedi sulla chiglia di una nave o sirene avvinghiate per la coda allo scoglio. Non sono mai davvero andate via. Ci chiamano, oppure siamo noi a chiamarle sommessamente». Nella sua casa romana, circondato dai libri e da sporadiche apparizioni di animali in miniatura, Giartosio ascolta e parla con cura. «Autobiogrammatica è un doppio smascheramento: a quello dell’autobiografia, in cui l’autore promette di dire la verità su sé stesso, si aggiunge lo smascheramento dei meccanismi linguistici

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dell’autobiografia. Ma non c’è burla né diffidenza: nel duplice smascheramento risiede un duplice atto d’amore». Duplice è anche il filo conduttore del libro: romanzo di una vita e insieme romanzo sulla lingua e sul linguaggio, che Giartosio espone in tutte le loro possibili accezioni. «La lingua è insieme la struttura grammaticale formalizzata e l’organo fisico. Il linguaggio è la parola di Saussure, il parlato quotidiano, e al tempo stesso la facoltà di parola. In Autobiogrammatica c’è un continuo slittamento tra i sensi, tra il generale e il particolare. La doppia natura di questi termini allude anche alla doppia natura dell’impegno dell’autobiografo, che da una parte manifesta la pretesa - e si assume la responsabilità - di narrare una storia assolutamente privata e dall’altra aspira a comunicare qualcosa agli altri». Autobiogrammatica racconta la costruzione del linguaggio di Giartosio: dal silenzio alle parole (che “derivano dai discorsi in cui sono incastonate”), alla voce (l’articolazione delle parole), agli alfabeti che la attraversano (i segni e i simboli, i codici, consolidati o fantastici, l’oceano del “sapere”). Parallelamente la vita dell’autore si popola di fatti e personaggi: il padre, la madre, l’infanzia magica, gli amici e i dolori dell’adolescenza, l’intimità e l’amore, le influenze e le scelte, il nume di un professore universitario. Tutto compone una trama avvolgente, un bacino pieno di rivoli ma in sé concluso. «La lingua fa spontaneamente sistema - spiega Giartosio -. Allo scrittore non è richiesto nemmeno tanto sforzo. Una parola cara ne evoca subito altre: disegna un percorso e tesse una rete di echi e risonanze». Normale allora omaggiare modelli letterari come Lessico famigliare di Natalia Ginzburg, e normale tradirli, come Giartosio rileva: «Natalia Ginzburg è la prima

ad esplorare dal punto di vista narrativo il linguaggio della famiglia. Lo fa per costruire un tappeto di contiguità, di complicità, per disegnare un ambiente ben preciso (socialista, piemontese, ebraico, etc.) e tenere insieme le storie di tante persone che si sviluppano in tante direzioni diverse. A me, invece, il lessico familiare interessa come eredità al tempo stesso preziosa e ingombrante». L’autore non fa (e non si fa) sconti: «Parlare del linguaggio di una persona può essere anche un modo per restare in superficie. Le parole possono essere un vetro, che impedisce di toccare le cose come sono realmente. Bisogna voler infrangere quel vetro, raccontare il modo e il contesto in cui quelle parole sono usate, e le persone che le usano. È così che le parole si animano, è così che esprimono tutta la loro valenza e la loro ambiguità». Ma qual è il valore di rendersi consapevoli delle parole, e della vita vissuta attraverso le parole, il valore di raccontarla e fissarne le coordinate? Giartosio solleva lo sguardo: «Non è una sfida confortevole. Tocca corde a volte spiacevoli e può dare il senso di una prigionia. Ma è un modo di riflettere su sé stessi e sulla pro -

pria identità. Il linguaggio ci svela, la memoria ci svela: ci presentano dettagli apparentemente irrilevanti che però conserviamo nitidi, snidano nelle pieghe di noi stessi elementi inediti e sorprendenti. Ci mettono in cammino, ci consentono di cambiare». Chiunque può costruire la propria autobiogrammatica, a suo dire, ma l’attenzione, la sistematicità, la testardaggine, la disponibilità a scavare che l’impresa richiede non è roba da tutti. «A me piace giocare con le parole - sorride -. La scrittura per me è girare intorno alle cose. La letteratura è una perifrasi: la bravura di uno scrittore consiste anche nella sua capacità di eludere, di sfuggire alla richiesta di senso e alla dittatura del senso. È un’attitudine a evadere, nel duplice significato di allontanarsi da un quesito e soddisfarlo completamente. In Autobiogrammatica rivendico questa evasione, il gioco con le parole, ma ne temo costantemente la fragilità. Alla fine, ribadisco l’importanza del senso - oltre al suono e al segno - e lascio ai lettori l’indizio di un nuovo percorso, e probabilmente di un nuovo libro, che supera il tempo degli alfabeti e affronta “l’epoca dei nomi”».

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Narrativa
Autobiogrammatica minimum fax 440 PAGINE

CENTO

ANNI FA NASCEVA ALDO GIUFFRÈ

UNA VITA DA PROTAGONISTA

Il ricordo dell’uomo e dell’artista attraverso le parole di sua moglie Elena Pranzo Zaccaria. «Vi racconto l’eredità che ha lasciato alle nuove generazioni»

«Già cento anni? Ma non me li sento assolutamente». Questo ci risponderebbe ironicamente un grande vecchio dello spettacolo dallo spirito giovane come Aldo Giuffrè, napoletano, classe 1924, se fosse ancora qui fra noi per questo anniversario speciale.

Attore di grande talento e passione, colto, instancabile, curioso. La sua versatilità gli ha permesso di spaziare fra teatro, televisione, cinema, scrittura e radio dove, dai microfoni Rai di Via Asiago a Roma, annunciò il 25 aprile 1945, la fine della guerra. Ma il suo vero amore, quello che gli ha regalato emozioni tutta la vita era

il teatro, una preziosa, magica palestra dove ha iniziato ad ‘allenarsi’ nel ’47 con Eduardo, rubando da finissimo osservatore qual era, il mestiere di teatrante fatto di gesti, battute e tempi giusti. Possiamo dire che Aldo Giuffrè è uno dei pochi attori del teatro italiano venuto realmente dalla gavetta. Ciò gli ha permesso di muoversi con successo dal genere comico al drammatico interpretando col suo temperamento travolgente e al tempo stesso leggero, ruoli indimenticabili. Così da Eduardo spicca il volo verso nuove avventure che si chiamano Cechov, Goldoni, Pirandello, Salacrou con le superbe re -

gie di Visconti, Strehler e fantastici compagni di scena. Memorabile la sua interpretazione di Erricuccio, tenero e dispettoso minorato mentale ne La fortuna con l’effe maiuscola di De Filippo e Curcio, portato in scena col fratello Carlo. Una grande prova d’attore che solo un gigante come Aldo con la sua forza espressiva, la sua mimica facciale, poteva restituirci in maniera così autentica. Ma come in tutte le favole che si rispettano, anche Aldo Giuffrè nella sua lunga carriera artistica ha dovuto fare i conti con un’imprevedibile avversità, la perdita della sua voce pastosa, piena, intensa.

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Cultura

Un dramma per qualsiasi attore, ma non per lui. Una nuova sfida da affrontare con la solita grinta. E infatti quello che sembrava un irreparabile danno, si trasforma in una inconsueta ricchezza fatta di nuove, incredibili intonazioni. Sessanta gli anni di spettacolo vissuti con successo sotto i riflettori, dal grande schermo con l’amato Totò e i film degli immensi Vittorio De Sica, Sergio Leone e Nanni Loy fino alla tivù con Senza rete e Le avventure di Laura Storm. Insomma Aldo Giuffrè, anche regista, e drammaturgo non si è fatto proprio mancare nulla. E l’amore? Ha trovato il tempo anche per quello? Lo chiediamo a sua moglie Elena Pranzo Zaccaria con cui ha condiviso buona parte della sua vita.

Una volta smessi gli abiti artistici, come era Aldo nel suo privato?

Calato il sipario c’era la vita, la famiglia, io che l’aspettavo. E’ stato un marito straordinario, una persona con cui non mi sono mai sentita sola, non soltanto fisicamente ma nel profondo dell’anima. Il nostro era un rapporto simbiotico, profondissimo, perché lui era profondo. Avevamo grandi passioni in comune, ho sempre avuto un’ammirazione infinita per l’artista oltre che per l’uomo. Ma un difetto l’avrà avuto?

L’impulsività, era impulsivo ma si controllava. Si conteneva soprattutto nel lavoro per le tante responsabilità. Se sbagliava si scusava, ma se aveva ragione non la passavi liscia. Un guerriero, un uomo Ariete (nato il 10 aprile), di segno e di fatto.

Era un tifoso accanito del Napoli e anche lì, davanti al televisore, si sfogava come fosse allo stadio. Un’altra curiosità, non sapeva perdere a carte… Spiritoso, sempre un po’ scugnizzo, i colleghi in scena temevano i suoi scherzi?

Aldo era tremendo perché provocava la risata e non tutti riuscivano a

controllarsi. Mentre lui rimaneva serio in scena. Guardava gli altri come per dire «mo’ vediamo come te la cavi…» e questo lo ha fatto spesso. Anche con Nuccia Fumo quando Aldo nell’interpretare Erricuccio, arrivava col vasino da notte, le sorbe e canticchiando canzoncine oscene. Così l’attrice per non ridere davanti al pubblico si metteva di spalle facendo finta di avere altre cose da fare. Pure i suoi giovani attori erano vittime degli scherzi, li metteva alla prova.

A questo proposito, cosa ha trasmesso alle nuove generazioni?

Li ha sollecitati a leggere, imparare, apprendere. Detestava l’ignoranza, la superficialità, la mancanza di professionalità. Era disponibile e premuroso coi suoi giovani attori, sapeva ascoltare. Una chioccia rassicurante, una guida attenta ed esigente. Per questo motivo, per continuare a far conoscere, ho donato tutto il materiale artistico di Aldo alla Biblioteca Nazionale di Napoli a Palazzo Reale.

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Teatro
Aldo Giuffrè e Elena Pranzo Zaccaria

TRA POP E FOLK LA CONTAMINAZIONE MUSICALE È DONNA

Eleonora Bordonaro, Maria Mazzotta e Ninfa Giannuzzi hanno da poco pubblicato i loro nuovi album Ecco chi sono le tre signore della world music

La world music, che coniuga la musica tradizionale, il folk, con i linguaggi più attuali, rock, pop, jazz, canzone d’autore, perfino elettronica, è una presenza confortante nell’attuale panorama italiano. La musica popolare non è più serbatoio per un’asettica ricerca scientifica né tantomeno territorio da saccheggiare per aggiungere esotici aromi a suoni dettati dal mercato, bensì si mantiene patchwork coloratissimo e “impuro” di tasselli viventi, che riutilizzano creativamente

la miriade di impulsi e vita vissuta, di proposte culturali e semplici divertimenti, di delicatezze e passioni, che ne costituiscono il grande fermento. È riappropriarsi di radici e valori declinati con nuovi linguaggi, fusione di passato propositivo e futuro costruttivo, di quanto di vitale, creativo, stimolante, persino di ambiguo, contengono le musiche tradizionali di ogni latitudine. A cominciare da quelle di casa nostra, come dimostrano in particolare i recentissimi album di tre impor-

tanti interpreti e autrici: la siciliana Eleonora Bordonaro, dal 2008 voce solista dell’Orchestra Popolare Italiana, al suo quarto lavoro da leader, Ninfa Giannuzzi, da oltre vent’anni sul palco della Notte della Taranta, al suo quinto cd, e Maria Mazzotta, già nel Canzoniere Grecanico Salentino e in Bandadriatica, al quinto album da titolare o contitolare. Le abbiamo intervistate.

Com’è nata la sua passione per la musica popolare?

EB «In modo controverso, dopo averla esclusa categoricamente dal mio percorso canoro. Da ragazzina ero cresciuta con una visione del futuro tutta rivolta verso Usa e Gran Bretagna, e quando una ragazza brasiliana mi chiese di cantare una canzone popolare del suo paese, mi sono chiusa perché mi riportava alla campagna, alla povertà, a una vita debole. Eppure, è diventata una delle mie canzoni preferite e mi ha portata a cantare in siciliano. Solo ritrovando la mia lingua, mi sono centrata e ho cominciato a vedermi come artista».

NG «Il legame con la musica popolare è un rapimento iniziato durante l’infanzia e l’adolescenza, un amore che continua a crescere, a nutrirmi e mi rimette in pace con il mondo e con la bellezza. Il folk ci può raccontare chi siamo e rappacificare con la ritualità ancestrale delle radici identitarie dei popoli e con il mistero dell’esistere. Traduce i sentimenti, racconta storie e conserva il potere della voce come messaggera dell’anima».

MM «Ascoltando per caso un concerto di Aramirè, il gruppo di Luigi Chiriatti. Studiavo arpa e piano al conservatorio, rimasi affascinata da come il pubblico accoglieva quella musica che io non conoscevo e dall’emozione che emanava e coinvolgeva tutti. Stiamo parlando del 1996 o ’97». Quali ritiene siano i valori che questa musica e i suoi portati

50&Più | aprile 2024 80 Cultura
FOTO DI GIANLUCA PERNICIARO

rivisti in chiave contemporanea abbiano oggi in Italia?

EB «Il folk è cantare gli ultimi, quelli per cui la storia non è stata scritta. Ha un valore socialmente importante, di attenzione alla collettività. Già parlare la lingua di piccole comunità è mettere l’accento su realtà che vivono nel silenzio, che esistono ma sono trattate marginalmente dalla cronaca e dall’attualità».

NG «Gli inizi del XX secolo segnano una svolta molto importante nella storia della musica moderna. Quando il post-romanticismo raggiunse i suoi eccessi, alcuni compositori sentirono il bisogno di rinnovamento traendo spunto proprio dalla musica contadina, perfetta dal punto di vista formale, semplice ma non banale. Dalla Pastorale di Beethoven alla Hungarian Rhapsody No. 2 di Liszt a Summertime di Gershwin, ispirata a una ninnananna ucraina, oppure alla canzone popolare House Of The Rising Sun, portata al successo da Animals, Doors, Bob Dylan, Sinead O’Connor, al lavoro di artiste come Rosa Balistreri, Caterina Bueno, Giovanna Marini, e di studiosi come Alan Lomax, Diego Carpitella, Maurizio Agamennone, abbiamo capito che la musica tradizionale è stata ed è un biglietto per un viaggio senza fine. Si può attingere alla tradizione più antica senza per questo risultare vecchi. E ogni interprete ha aggiunto un po’ del suo stare nel mondo di oggi».

MM «La musica tradizionale nasce da un’esigenza del sentire umano, dalle ninnenanne che si cantavano per addormentare i bambini inventando le strofe ai canti per accompagnare i lavori in campagna. Ha un grande valore di condivisione, di convivialità. Lo noto soprattutto all’estero, dove faccio la maggior parte dei miei concerti. La forza di partecipazione, anche per la loro semplicità, permea tutti i brani e coinvolge tutti i partecipanti, dai mu-

sicisti al pubblico, fa cadere ogni barriera e confine».

Ci parli brevemente del suo ultimo album.

EB «Roda è il primo esperimento di costruzione di un repertorio nel dialetto gallo-italico di San Fratello, un’isola linguistica formatasi in seguito al trasferimento di popolazioni dal Piemonte e dalla Liguria verso la Sicilia durante il Medioevo. Nasce da una commistione di popoli ed è rimasto intatto nei secoli perché quel paesino è isolato, alla fine di un bosco su un altopiano. Dedichiamo il disco ai “giudei” di San Fratello, musicisti popolari con il compito religiosamente importante di disturbatori della Settimana Santa. Dal martedì fino alla processione del venerdì, suonano con le trombe a un pistone delle melodie assordanti, marce, ballabili come fossero i fustigatori del Cristo, hanno abiti coloratissimi, da soldati, da diavoli, maschere, fanno scherzi, acrobazie. Sono gli antagonisti. Nei nostri brani utilizziamo il loro mondo sonoro: musiche e testi li raccontano con un intento artistico, non musicologico o etnologico».

NG «Amartìa è il titolo del secondo album che ho composto insieme a Valerio Daniele. In dialetto grico vuol dire “peccato”, ed è proprio con l’intento di riappropriarsi dell’opportunità di peccare che nasce la ricerca testuale e musicale di questo lavoro: aprire le porte alla sfera segreta della vita, alla parte più intima, a quella più in ombra come unica possibilità di rinascita. In Amartìa, il grico viene sublimato in registro espressivo, trasposto in termini spesso paradossali, immaginifici e giocato come una caleidoscopica giostra di suoni e immagini. Abbiamo ricercato un suono sospeso fra acustico, elettrico ed elettronico, trattando testi e melodie in modo libero e svincolato da appartenenze a specifici linguaggi musicali».

MM «Onde è un cd molto diverso dai precedenti. Sono andata a scavare nei miei ascolti dell’adolescenza, soprattutto il rock dei CSI e dei Marlene Kuntz. Mai avrei pensato di poter cantare la mia musica tradizionale, accompagnandola con la chitarra elettrica, la batteria, le percussioni e l’elettronica, però, dopo tanti concerti in duo, avevo l’esigenza di avere sul palco più forza sonora per spingere la mia voce verso cose estreme. L’ho fatto e così Onde richiama il mare che culla e rilassa oppure che diventa uno tsunami che spazza tutto via e spinge a ricominciare».

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Musica
A sinistra, Eleonora Bordonaro; sopra, Ninfa Giannuzzi; in basso, Maria Mazzotta FOTO DI GIULIO RUGGE

Cultura

UN VIAGGIO INTERIORE

ATTRAVERSO L’ARTE PRIMITIVA

Dall’incontro del maestro spagnolo con la scultura iberica e africana nasce una nuova consapevolezza; oltre la ricerca della bellezza e della rappresentazione della realtà

Nella primavera del 1906, recandosi a cena a casa dei fratelli Leo e Gertrude Stein, il giovane Henri Matisse rimase colpito da una figurina esposta nella vetrina di Émile Heymann, un mercante di oggetti esotici che aveva bottega al numero 87 di rue de Rennes. Era una statua Vili del Congo. Una figuretta femminile, intagliata in un pezzo di legno nero, con lo sguardo vuoto. Matisse non seppe trattenersi e la acquistò per 50 franchi. La mostrò durante la cena agli altri ospiti, Pablo Picasso, il pittore e poeta Max Jacob e Guillaume Apollinaire. Secondo il racconto di Matisse, Picasso passò l’intera serata a manipolare la statuina, studiandone le forme e le proporzioni. Il giorno dopo, Jacob lo trovò nel suo studio, circondato da decine di fogli sui quali aveva disegnato, con la straordinaria memoria visiva di cui era dotato, lo stesso volto di donna, costruendo gli occhi, il naso e la bocca con un unico tratto. E capì subito che

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1. Donna che gioca in spiaggia, 1928, olio su tela 2. Testa di donna 1926, olio su tela 3. Maschera zoomorfa anonimo, (Camerun, popolazione Tikar) XX secolo, legno
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© Succession Picasso, by SIAE 2024

si trattava di riflessioni basate sulla scultura africana vista la sera precedente.

Ha così inizio la fascinazione di Picasso per “l’arte primitiva”, sia quella africana che la scultura iberica, cui è dedicata la mostra in corso al Mudec, Museo delle culture di Milano, che chiude le celebrazioni del cinquantesimo anniversario della morte di Picasso. L’esposizione allinea oltre quaranta opere del maestro spagnolo, tra dipinti e sculture, insieme a 26 disegni e bozzetti di studi preparatori, oltre al preziosissimo “Quaderno n. 7” concesso per la mostra dalla Fondazione Pablo Ruiz Picasso - Museo Casa Natal di Malaga.

L’incontro di Picasso «prima con l’arte iberica e poi con l’arte del continente africano e dei mari del Sud lo guida in un viaggio interiore in cui scopre che l’arte va al di là della ricerca della bellezza o della rappresentazione della realtà», spiegano Malén Gual e Ricardo Ostalé Romano, curatori della mostra che indaga l’importanza di queste fonti di ispirazione sulla sua opera, dagli anni giovanili a Parigi e per tutta la sua prolifica esistenza.

Da quella famosa cena a casa Stein Picasso inizia infatti a collezionare sculture e maschere arcaiche. «Quando sono stato per la prima volta con Derain al Museo del Trocadéro, un odore di marcio mi ha preso alla gola. Ero così depresso che avrei voluto andare via subito. Ma mi sono sforzato e sono rimasto, per esaminare quelle maschere, tutti quegli oggetti

che degli uomini avevano creato con un obiettivo sacro, magico, per fare da tramite fra loro e le forze intangibili, ostili, che li circondavano, provando a sormontare la paura dando loro forma e colore. E così ho capito che quello era il senso stesso della pittura. Non è un processo estetico; è una forma di magia che si interpone tra l’universo ostile e noi, un modo di catturare il potere, imponendo una forma alle nostre paure come ai nostri desideri. Il giorno in cui ho capito questo, ho saputo di aver trovato la mia strada». L’interesse per la scultura iberica lo porta, nel marzo del 1907, ad acquistare due teste, che rimangono nel suo atelier fino al 1911, quando scopre che si tratta di pezzi rubati al Louvre e li rende in maniera anonima. Lo studio e il fascino suscitato dall’arte “primitiva” sono poi alla base del lungo lavoro per la realizzazione de Les Demoiselles d’Avignon, la grande tela terminata nell’estate del 1907 considerata alla base del cubismo. All’inizio i suoi amici e colleghi non la compresero: «un vero cataclisma», secondo Gertrude Stein, sua amica e mecenate, «un pasticcio orribile» per il fratello Leo, «l’opera di un pazzo», secondo Vollard. Il critico Félix Fénéon gli suggerì di darsi alla caricatura mentre più caustico fu André Derain che gli consigliò di impiccarsi. Tuttavia l’opera, ricca di citazioni dall’arte “primitiva”, spalancherà le porte di un nuovo universo a tutti gli artisti del XX secolo. A documentare il lungo processo creativo dell’opera sono esposti 26 disegni

del quaderno n. 7 di Les Demoiselles d’Avignon e il magnifico dipinto Femme Nue, in prestito dal Museo del Novecento di Milano, che dialoga con una maschera Suruku, un reliquiario Kota, una scultura Dogon e una del Mali.

Il percorso si snoda poi negli anni del cubismo, tra il 1907 e il 1927, quando Picasso continua a collezionare statue, maschere e altri oggetti provenienti dall’Africa e dall’Oceania, come testimoniato dalle fotografie del suo atelier, in un continuo dialogo tra arte primitiva e lavori del maestro, che prosegue negli anni delle due guerre e del secondo dopoguerra. In questo periodo, spiega ancora Gual, «l’artista vuole mostrare il panico, l’orrore e l’inquietudine, perciò abbandona le forme voluttuose per accogliere nuovamente una geometria dura e sincopata fatta di forme semplici, scomposte rispetto alla naturale conformazione del corpo».

«Nei suoi ultimi anni - prosegue Gual - Picasso si confronta ancora con il pubblico, con i giovani, con tutta la sua forza, assumendo il ruolo di messaggero dell’eredità pittorica, usando tutto ciò che un secolo di pittura moderna aveva insegnato sullo spazio, la matericità dei quadri e l’efficacia delle arti plastiche, senza per questo dimenticare i classici e gli apporti delle culture antiche ed extraeuropee. Novantenne, l’artista ricerca una pittura che vada aldilà della pittura stessa, sondando l’ignoto, come già fece in gioventù, quando ruppe con la pittura classica in cerca di un’altra verità».

Picasso

La metamorfosi della figura

Milano, Mudec

Museo delle culture

Fino al 30 giugno 2024

www.mudec.it

50&Più | aprile 2024 83
Arte
@ CARLOTTA COPPO

PATTO PER LA TERZA ETÀ

RISORSE PER OLTRE 1 MILIARDO DI EURO

Il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva il decreto che dà attuazione al Patto per la Terza età. Dall’invecchiamento attivo alla prestazione universale per i più fragili, la strada è tracciata, ma bisogna percorrerla

È«una riforma di cui andiamo orgogliosi e che l’Italia aspettava da più di 20 anni, solo una tappa di un percorso che andrà avanti per tutta la legislatura». Lo ha affermato la premier Giorgia Meloni in occasione dell’approvazione del decreto e ha aggiunto: «Il Governo ha lavorato fin dal suo insediamento a una riforma strutturale delle politiche in favore della terza età, consapevoli che gli anziani rappresentano la storia di questa nazione».

Il provvedimento, che dà attuazione al Patto per la Terza età (legge 33/2023) prescritto all’Italia dal Pnrr, introduce diverse misure finalizzate a “promuovere la dignità e l’autonomia, l’inclusione sociale, l’invecchiamento attivo e la prevenzione della fragilità della popolazione anziana”, attraverso un approccio integrato capace di rispondere a 360 gradi ai bisogni e alle esigenze delle persone anziane. Se da un lato la riforma promuove il mantenimento delle capacità fisiche, sociali e

intellettuali degli anziani con l’attivazione di progetti in ogni ambito della vita - dalla prevenzione sanitaria al benessere, dal lavoro al volontariato, dalla mobilità al turismo lento, dalla coabitazione solidale e intergenerazionale fino all’alfabetizzazione digitale -, dall’altro, traccia un percorso di sostegno per fornire alle persone anziane valutazioni personalizzate e multidimensionali e garantire un accesso completo ai servizi sanitari, sociali e sociosanitari.

Nel settore sociosanitario, il punto di partenza per accedere a percorsi personalizzati è la “valutazione multidimensionale unificata” di base (Vmu), che determina la condizione di non autosufficienza e il relativo stato di bisogno assistenziale. Il decreto prevede che il Servizio sanitario nazionale e le agenzie di tutela della salute (Ats) assicurino alla persona anziana, con almeno una patologia cronica e a rischio di non autosufficienza, l’accesso ai servizi sociali e sociosanitari attraverso i “punti unici di accesso” (Pua),

che dovranno coordinare l’attività di presa in carico della persona sulla base degli esiti della valutazione. L’intento è quello di semplificare e unificare i percorsi che oggi prevedono diversi sistemi di valutazione. Con la riforma le valutazioni si riducono a due: una in carico allo Stato e una di competenza delle Regioni.

Un’altra novità è rappresentata dall’introduzione, in via sperimentale dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2026, di una “prestazione universale” (Pu) erogata dall’Inps e riconosciuta alle persone anziane non autosufficienti in stato di bisogno. La prestazione è composta da una quota fissa corrispondente all’attuale indennità di accompagnamento (531,76 euro mensili) e una quota integrativa di 850 euro mensili definita “assegno di assistenza”, finalizzata appunto a remunerare il lavoro di cura e assistenza. L’obiettivo è promuovere il potenziamento delle prestazioni assistenziali, andando progressivamente a sostituire l’indennità d’accompagnamento. Per ottenere questa prestazione occorrono almeno 80 anni di età, un “livello di bisogno-assistenziale gravissimo” e un valore Isee non superiore a 6.000 euro. Per il momento, la platea a cui si rivolge la misura è alquanto ristretta, limitandosi, per il 2025, all’1,9% circa dei soggetti che oggi percepiscono l’indennità di accompagnamento. Se la strada per una riforma strutturale delle politiche a favore della popolazione anziana è stata tracciata, per la piena attuazione delle misure delineate nel documento, occorrerà attendere diversi ulteriori decreti in carico ai ministeri interessati e sarà necessario mettere a disposizione ulteriori risorse. Ci auguriamo davvero che il Governo continui a percorrere questa strada senza esitazioni, per dare concretamente avvio a un nuovo modello di welfare che metta al centro la persona anziana.

50&Più | aprile 2024 84 a cura di Maria Silvia Barbieri Previdenza

L’Assegno di Inclusione (ADI) è la misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione sociale delle fasce deboli.

ASSEGNO DI INCLUSIONE

L’Assegno di Inclusione è destinato ai nuclei familiari che hanno al loro interno un disabile, o un minore, o un anziano con più di 60 anni o chi è in situazioni svantaggiate. L’ADI è una misura condizionata a: possedere determinati requisiti di cittadinanza, soggiorno e residenza; avere un Isee in corso di validità non superiore a 9.360 euro; aderire ad un percorso personalizzato di attivazione e inclusione sociale e lavorativa.

Chiama il numero unico nazionale o trova la sede a te più vicina sul nostro sito www.50epiuenasco.it

Il Patronato 50&PiùEnasco è a disposizione per la verifica dei requisiti e per l’inoltro della domanda. Inoltre, grazie alla collaborazione con 50&PiùCaf, offre assistenza per l’elaborazione del modello Isee.

ISTITUTO DI PATRONATO E DI ASSISTENZA SOCIALE

ISTITUTO DI PATRONATO E DI ASSISTENZA SOCIALE

CONVERSIONE DEL DECRETO MILLEPROROGHE

L’OPPORTUNITÀ DEL RAVVEDIMENTO SPECIALE

Una misura volta a regolarizzare le violazioni riguardanti le dichiarazioni presentate relative al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2022

Sulla Gazzetta Ufficiale è stata pubblicata la Legge n. 18/2024 di conversione del D.L. n. 215/2023, cosiddetto “Decreto Milleproroghe”. Oltre alle conferme delle disposizioni contenute nel Decreto originario, sono state introdotte una serie di novità, tra cui la riapertura del cosiddetto “ravvedimento speciale”.

In sede di conversione, il “ravvedimento speciale”, previsto dall’articolo 1, commi da 174 a 178, Legge n. 197/2022 (Finanziaria 2023), è stato esteso alle violazioni riferite a tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate, riguardanti le dichiarazioni validamente presentate relative al periodo d’imposta in corso al 31.12.2022 (2022 per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare). In particolare è possibile regolarizzare:

● le violazioni “sostanziali” dichiarative (ossia, infedele dichiarazione);

● le violazioni prodromiche alla pre-

sentazione della dichiarazione in quanto non “assorbite” nella regolarizzazione della dichiarazione (ad esempio, omessa fatturazione);

− può essere effettuata per le violazioni che possono essere oggetto di ravvedimento ordinario, ex articolo 13, D.Lgs. n. 472/97 commesse con riferimento al periodo d’imposta 2022, a condizione che la relativa dichiarazione sia stata validamente presentata;

− è consentita per le violazioni relative ai redditi di fonte estera e all’IVIE/ IVAFE non rilevabili ex articolo 36bis, DPR n. 600/73, “nonostante la violazione dei predetti obblighi di monitoraggio” (ossia, anche se la relativa somma avrebbe dovuto essere indicata nel quadro RW).

In base alla norma di interpretazione autentica di cui all’articolo 21, D.L. n. 34/2023 la regolarizzazione non può essere effettuata per:

● le violazioni “rilevabili”, ex articoli 36-bis, DPR n. 600/73 e 54-bis, DPR

n. 633/72 (relative alle fattispecie rientranti nell’attività di liquidazione delle dichiarazioni), ossia per le violazioni per le quali l’avviso bonario non è ancora stato ricevuto, in quanto comunque “rilevabili” ai sensi dei citati articoli 36-bis e 54-bis;

● gli omessi versamenti delle imposte;

● le violazioni formali;

− è esclusa per le violazioni degli obblighi di monitoraggio fiscale, ex articolo 4, DL n. 167/90 (omessa/irregolare compilazione quadro RW);

Ai fini della regolarizzazione è necessario:

● rimuovere l’irregolarità/omissione;

● versare la sanzione ridotta a 1/18 del minimo, l’imposta e gli interessi dovuti; il versamento potrà essere eseguito, alternativamente:

− in unica soluzione entro il 2.04.2024 (il 31.03 cade di domenica e l’1.04 è festivo);

− in 4 rate di pari importo entro il 2.04, l’1.07 (il 30.6 cade di domenica), il 30.09 e il 20.12.2024.

Sulle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi del 2% annuo. In caso si opti per il versamento rateizzato, attualmente, le scadenze sono:

1ª rata → 2.04.2024

2ª rata → 1.07.2024

3ª rata → 30.09.2024

4ª rata → 20.12.2024

La regolarizzazione si perfeziona con la rimozione dell’irregolarità e il versamento di quanto dovuto (unica soluzione/prima rata) entro il 2.04.2024. Si rammenta che la regolarizzazione è consentita soltanto se la violazione non è ancora stata contestata alla data di versamento di quanto dovuto/ prima rata, con atto di liquidazione, accertamento o recupero, di contestazione/irrogazione delle sanzioni, compresi gli avvisi bonari ex articolo 36-ter, DPR n. 600/73 (la notifica di un processo verbale, PVC, non preclude l’accesso al ravvedimento speciale).

50&Più | aprile 2024 86 Fisco
a cura di Alessandra De Feo

730 2024

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Affidati a 50&PiùCaf per la tua dichiarazione dei redditi, penseremo noi a certificare la correttezza dei dati inseriti, aggiungendo le detrazioni e le deduzioni a cui hai diritto.

La data di scadenza per la presentazione della dichiarazione è fissata al 30 settembre.

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Gli Uffici 50&PiùCaf sono a tua disposizione per offrirti assistenza e consulenza anche per i seguenti servizi: Modello Redditi PF, IMU, ISEE, Successioni, RED e molto altro.

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dal 29 settembre all’8 ottobre

9 NOTTI / 10 GIORNI

SOGNANDO IL CANADA Un viaggio incredibile tra Québec e Ontario

1° GIORNO Partenza per Montréal. Partenza dall’aeroporto di Roma Fiumicino (da Milano, su richiesta) con volo Air Canada per Montréal. Arrivo nel pomeriggio e incontro con la guida per il trasferimento in Hotel. Cena e pernottamento.

2° GIORNO Québec. Visita guidata della vecchia Capitale francese con la “Citadelle” e la fortezza militare. Camminata tra le viuzze fino al magnifico Château Frontenac. Pranzo libero. Salita in funicolare per visitare il vecchio borgo medievale. Cena e pernottamento.

3° GIORNO Montréal. Giornata dedicata alla visita della città moderna, della Cattedrale, del Boulevard Saint Laurent, della “Little Italy” e del Centro Olimpico. Cena e pernottamento.

4° GIORNO Montreal - Québec (circa 240 km). Trasferimento al Mont Royal per ammirare l’incredibile panorama della città. Visita del quartiere di “Chinatown” e della città storica. Pranzo libero e tempo a disposizione per shopping o visita del museo. Partenza in pullman per Québec City. Cena e pernottamento.

5° GIORNO Ottawa (430 km). Partenza per Ottawa con sosta a Berthierville, per visitare il museo del campione di Formula 1 Gilles Villeneuve. Arrivo a Ottawa, passando il canale Rideau che attraversa tutta la città. Passeggiata con la guida e cena in ristorante locale. Pernottamento in Hotel.

6° GIORNO Ottawa. Visita a piedi della panoramica “collina parlamentare”, la biblioteca, la cattedrale, la spianata del Museo delle belle arti, il mercato e i negozietti che circondano il mercato. Pranzo e pomeriggio libero per shopping oppure per visitare il meraviglioso Museo dell’Uomo. Cena e pernottamento in Hotel.

7° GIORNO Ottawa - Toronto (440 km). Partenza per Toronto e sosta a Rockport per una minicrociera nelle Mille Isole sul fiume San Lorenzo, un arcipelago con 1.865 isole abitate da persone e da uccelli migratori. Arrivo in Hotel. Cena e pernottamento.

8° GIORNO Toronto. Visita all’Acquario e alla CN Tower e, nel pomeriggio, tour panoramico della città, una delle più multiculturali nel mondo. Cena e pernottamento in Hotel.

9° GIORNO Escursione alle Cascate del Niagara. Partenza per le spettacolari Cascate che si affacciano su un fronte canadese e uno americano, con l’imponente portata d’acqua che gli indiani nativi chiamavano “Rombo di Tuono”. Rientro nel pomeriggio. Cena e pernottamento.

10° GIORNO Toronto - Rientro in Italia. Mattinata a disposizione in città. Trasferimento in aeroporto in tempo per il volo di linea per Roma.

11° GIORNO Arrivo in Italia. Arrivo in mattinata all’Aeroporto di Roma Fiumicino.

50&Più | aprile 2024 88
TOUR ORGANIZZATO IN COLLABORAZIONE CON SERVING PEOPLE GROUP Turismo

Québec

Montréal

Ottawa

Rockport

Parco nazionale delle Thousand Islands

Toronto

Lago Ontario

Cascate del Niagara

La quota comprende: Voli di linea Air Canada da Roma Fiumicino a Montreal e ritorno da Toronto, in classe economica • Trasferimenti durante il tour con pullman privati • Pernottamenti in camera doppia in Hotel 4 stelle prescelti • Trattamento di prima colazione e cena come indicato in programma • Guida accompagnatore locale parlanti italiano per tutto il viaggio in Canada • Assistenza di personale 50&Più dall’Italia • Visite ed escursioni con ingressi indicati in programma • Assicurazione bagaglio-sanitaria e annullamento viaggio Unipol Sai.

Quota individuale di partecipazione (9 notti / 10 giorni)

In camera doppia

In camera doppia uso singola - su richiesta

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione

Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

€ 4.400

La quota non comprende: Tasse aeroportuali (€ 90, importo da riconfermare all’emissione del biglietto aereo) • Escursioni e visite facoltative, non previste in programma • Pasti non previsti, menu à la carte, bevande, ingressi, mance ed extra di carattere personale e tutto quanto non espressamente indicato.

Per maggiori informazioni e prenotazioni contattare: mail: infoturismo@50epiu.it tel. 06.6871108/369 oppure la sede provinciale 50&Più di appartenenza (Aut. Reg. 388/87)

Turismo

dal 2

al 5 maggio

MONACO E CASTELLI DELLA BAVIERA

Monaco e i Castelli di Nymphenburg, Hohenschwangau, Neuschwanstein, Linderhof

Monaco di Baviera è una delle destinazioni turistiche più emozionanti e popolari della Germania che da sempre affascina con le sue birrerie dove poter assaporare, oltre alle birre locali, anche la cucina bavarese, con le invitanti pasticcerie per gustare la famosa Sacher Torte, i musei e le chiese storiche come la cattedrale Frauenkirche con la Piazza Marienplatz.

Monaco è anche il punto di partenza per visitare località come Oberammergau, famosa per gli affreschi sulle facciate delle case, gli imponenti castelli della zona, da sempre nell’immaginario di grandi e piccini, in particolare il Castello di Nymphenburg in stile barocco, di Linderhof con il meraviglioso giardino, di Hohenschwangau e di Neueschwanstein. Un viaggio che incanterà per la magia dei castelli e dei paesaggi.

Quota individuale di partecipazione in camera doppia (3 notti/4 giorni)

Minimo 30 partecipanti

Minimo 25 partecipanti

Supplemento singola

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione

Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

€ 1.030

€ 1.100

€ 230

La quota comprende: volo di linea da Roma a Monaco e ritorno • Trasporti in pullman • Sistemazione in hotel 3/4 stelle • Trattamento di mezza pensione (prima colazione e cena) • Visite guidate (parte di ingressi inclusi) • Auricolari • Tasse aeroportuali • Assicurazione medico-bagaglio

La quota non comprende: facchinaggio, assicurazione annullamento (€ 28) • Mance • Bevande, pasti non menzionati e quanto non specificato.

50&Più | aprile 2024 90
3 NOTTI / 4 GIORNI

dal 29 giugno al 5 luglio

SETTIMANA DELLA CREATIVITÀ

Madonna di Campiglio (TN) nelle Dolomiti di Brenta

Nel cuore della Val Rendena, tra le Dolomiti di Brenta e il Parco naturale dell’Adamello e della Presanella, Madonna di Campiglio - situata a 1.550 metri d’altezza - nella seconda metà del ‘900 era luogo di soggiorno della nobiltà e della ricca borghesia austriaca. Oggi, grazie ai suggestivi paesaggi da cartolina, è la meta ideale per chi ama passeggiare all’aria aperta in cerca di ispirazione artistica.

Nella splendida cornice delle Dolomiti, torna a luglio l’appuntamento con la nuova edizione della Settimana della Creatività: saranno organizzati laboratori creativi che faranno emergere l’estro di ogni partecipante e aspiranti artisti si cimenteranno nelle più disparate forme d’arte, in un clima di amicizia e socialità. Durante l’Evento verranno premiati anche i vincitori della 42ª edizione del Concorso 50&Più, che valorizza e premia la creatività.

Quota individuale di partecipazione DoppiaSingola

Dal 29 giugno al 5 luglio (6 notti/7 giorni)€ 590€ 875

Riduzioni adulti e bambini in 3°/4° lettosu richiesta

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione. Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

La quota comprende soggiorno in camera doppia in Hotel • Trattamento di pensione completa a buffet (acqua in caraffa inclusa ai pasti) • Partecipazione ai laboratori - Ingresso alla piscina interna ed esterna • Assistenza staff 50&Più • Assicurazione.

La quota non comprende trasporti da e per Madonna di Campiglio • Bevande extra ai pasti • Parcheggio coperto (€ 7 al giorno) • Escursioni facoltative • Tassa di soggiorno Comunale attualmente pari a € 2.50 al giorno (da regolare in loco) • Mance, extra in genere e tutto quanto non specificato.

SISTEMAZIONE ALBERGHIERA

Il Relais des Alpes (4 stelle) è situato nel cuore del paese, oltre ai servizi standard troverete: piscina coperta, beauty farm, idromassaggio, piano bar, ristorante e garage (a pagamento) ed il Salone Hofer, noto per le sue magiche serate. Il ristorante offre una cucina accurata e raffinata con un’ampia scelta tra piatti di cucina tradizionale ed internazionale.

Per maggiori informazioni e prenotazioni contattare: mail: infoturismo@50epiu.it tel. 06.6871108/369 oppure la sede provinciale 50&Più di appartenenza (Aut. Reg. 388/87)

Vivere in armonia

NEL CUORE

seguendo le stagioni

DELLA PRIMAVERA

«Si seminano le zinnie, le spose novelle, il basilico, e tutti gli altri le di cui piante necessitano del caldo della buona stagione»

Almanacco Barbanera 1872

a cura di

APRILE

Limpido e intenso, il cielo azzurro d’aprile ci dice che sì, siamo entrati nel cuore della bella stagione. E ci chiama all’aperto, alle prime passeggiate in campagna o magari in riva al mare. Il gelido inverno è ormai soltanto un ricordo. Il verde dei prati e la luce piena del sole si rincorrono tra il volo delle rondini e i rintocchi di mille campane. Aprile sorride bonario, e arriva, il 1°, con un pesce in bocca, dono prezioso, da ripagare con burle e scherzi. Come ricorda un noto proverbio, il caldo che si annuncia ci farebbe indugiare all’ozio. «Aprile dolce dormire!». E si rallenta un po’, cullati dal tepore di morbidi raggi, talvolta oscurati da improvvisi acquazzoni che fanno bene all’uomo e alla terra, pronta a donare i suoi succosi frutti. L’atteso mese delle fioriture è anche quello delle primizie nell’orto, dei trapianti e delle aromatiche, mentre tra i peschi in fiore giungono a chiamarci le prime erbe di campo, da raccogliere in un piacevole giorno di primavera.

ticolari esigenze di terreno. Volendo, la si può coltivare sul balcone, in un bel vaso grande. Tempo due mesi e si potranno raccogliere le giovani foglie da consumare fresche, oppure lessate come gli spinaci in minestre, frittelle o frittate. Anche i fiori sono commestibili e oltre a mostrarsi con il loro bellissimo colore blu, sono molto amati dalle api: la borragine è infatti un’importante mellifera.

DA SAPERE

Non ha davvero esigenze, ma ama una posizione soleggiata.

VERDI AMICIZIE

È amica di tutti, anche troppo! Tanto è rustica e resistente, da diffondersi anche in pieno inverno. Fa molto bene contro i parassiti nell’orto, giova alle fragole di cui esalta il sapore.

LA BORRAGINE

UNA “RUVIDA” DI GRANDE BONTÀ

Forse proveniente dalle regioni dell’Africa del nord, si è talmente naturalizzata nei nostri climi da essere ritenuta quasi un’erba infestante. Invece un tempo la borragine, Borago officinalis, era considerata un vero e proprio ortaggio, e a ragione! Tornata in auge, si utilizza in vari modi ed è ricca di virtù. Si semina a fine marzo e inizio aprile, in Luna calante, senza par-

50&Più | aprile 2024 92

BUONO A SAPERSI!

Per contribuire alla tutela dell’ambiente, abituiamoci ad aggiustare anziché gettare. Si può iniziare imparando a rammendare i vestiti. La cosa migliore, se possibile, è sfilare un filo dalla stoffa da usare per il rammendo, oppure cercarne uno simile e copiare la trama del tessuto. Utili anche le toppe per i gomiti, che si applicano stirando. Per rammendi su un bell’abito da donna, si può sovrapporre del pizzo. Sui maglioni, invece, i ricami in lana possono mascherare buchi o macchie, belli anche tono su tono.

FIORI E FRUTTI SUL BALCONE

DELICATO LILLÀ

Giunto dal Medio Oriente, il lillà, Syringa vulgaris, fiorisce a primavera e si mette a dimora in autunno con la Luna calante. Non tutte le varietà sono facili da reperire, dunque sarà bene imparare a fare talee semilegnose. Ad agosto, prelevare da un ramo della pianta che si vorrebbe riprodurre - in Luna crescente - una porzione di circa 10 cm che abbia sia vegetazione dell’anno sia una parte legnosa dell’anno precedente. Mettere poi a radicare in torba e sabbia.

COLTIVARE CON LA LUNA

NELL’ORTO, NEL GIARDINO, SUL BALCONE

Attrezzi alla mano, orto, balcone o magari semplice davanzale, è tempo di dedicare le dovute attenzioni ai nostri ortaggi. Pronti quindi con la Luna crescente a seminare in semenzaio tutti gli ortaggi da raccogliere in estate, dall’anguria ai cetrioli, fino alle melanzane. E ancora peperoni, peperoncini, zucche e zucchine. Procedere anche alla semina in piena terra di fagioli e fagiolini. Con la Luna calante vangare e sarchiare il terreno quando è asciutto. Seminare in piena terra bietola da coste, carote precoci e tardive, cipolle, indivia riccia, lattuga, ravanelli, sedano da coste e spinaci. In semenzaio, cavolini di Bruxelles, cicoria e indivia riccia. Trapiantare all’aperto i tuberi pregermogliati di patata, cipolla colorata e scalogno.

NEL GIARDINO

Anche nel giardino ci attende la Luna crescente per seminare le specie annuali a fioritura estiva, come agerato, amaranto, celosia, nasturzio, tagete e verbena; mettere a dimora bulbi e rizomi a fioritura estivo-autunnale (anemone, ciclamino, dalia, giglio, iris, muscari, e ranuncolo). Preparare inoltre le fioriere per trapiantare aster, begonia, garofano, petunia, surfinia e zinnia. Iniziare la manutenzione del prato con i primi tagli e le risemine delle zone eventualmente danneggiate. Con la Luna calante rinvasare le piante in vaso o rinnovare il terriccio. Eliminare i polloni nei rosai. Accorciare i gerani. Continuare a potare le specie arbustive.

NEL CESTINO DEL MESE

Ortaggi: aglio, agretti, asparagi verdi e bianchi, carciofi, carote, cavolfiori, cavoli broccolo, cavoli cappuccio, cavoli verza, cicorie, cicorini da taglio, cime di rapa, cipolle, fave, indivie, finocchi, lattughe, patate novelle, piselli, porri, radicchi rossi, rape, ravanelli, rucola, sedani, spinaci e valerianella.

Frutta: arance ovali, bergamotti, fragole, limoni e pompelmi.

DICE IL PROVERBIO

Quando tuona d’aprile è buon segno per il barile Siamo tutti farfalle la Terra è la nostra crisalide Se volete ben falciare non tardate a seminare

IL SOLE

Aromi: prezzemolo, rosmarino e salvia.

L’1 sorge alle 06:42 e tramonta alle 19:26

L’11 sorge alle 06:26 e tramonta alle 19:37

Il 21 sorge alle 06:10 e tramonta alle 19:48

L’1 si hanno 12 ore e 44 minuti di luce solare

A fine mese, 77 minuti di luce in più

LA LUNA

L’1 sorge alle 02:09 e tramonta alle 10:32

L’11 sorge alle 07:44 e tramonta alle 23:26

Il 21 sorge alle 05:08 e tramonta alle 17:30

Luna calante dall’1 al 7 e dal 25 al 30

Luna crescente dal 9 al 23

Luna Piena il 24. Luna Nuova l’8

50&Più | aprile 2024 93

Giochi

di

e Favolino

I A

DI

TREBUS Lionello 6 6 2 5 5

REBUS Lionello 5 1’6

» PLAZA DE TOROS

Alle cinque della sera… D’oro liquido una luce nella breve conca aperta. C’è un odor di foglie tra i limoni… Alle cinque della sera

INDOVINELLO Favolino

» LA TOP MODEL

Quando incede tra la gente, altezzosa si mostra con la sua veste colorata e se anche un lieve vento la scompiglia come vessillo ammirata appar in sfilata

INDOVINELLO Lionello

TEST 1

Osservate attentamente le sottostanti quattro figure e dite quale di esse può, secondo logica, essere considerata “intrusa”.

TEST 2

Osservate attentamente le seguenti diciotto parole e dite quale può essere considerata “intrusa”, utilizzando un criterio logico da determinare.

ITALIA

TAVERNA NIDO TANICA ROSA

NERVO SALE ANIMA ESITO EROE

NERVO SALE ANIMA ESITO EROE

SITO STADIO INERZIA VINO IDEA

SITO STADIO INERZIA VINO IDEA

TEST 3

DESTINO AVIATORE OSTIA

DESTINO AVIATORE OSTIA

Osservate attentamente - in basso - la sequenza di numeri seguiti da una figura geometrica e da un altro numero e dite a quale delle successive cinque sequenze di numeri essa può essere associata secondo logica.

50&Più | aprile 2024 94
Soluzioni a pagina 98
Lionello
Stuzzica Cervello di Enrico Diglio
5 3 4 9 x 1 a) 15 11 15 22 b) 13 7 16 25 c) 14 8 11 26 d) 16 9 12 27 e) 12 10 14 24 a) b) c) d)

BAZAR

a cura del Centro Studi 50&Più

ASSISTENZA

CONTRIBUTI

BADANTI E OVER 80

Per aiutare la regolarizzazione del lavoro di assistenza presso anziani non autosufficienti, il Decreto Pnrr, approvato il 26 febbraio scorso, prevede - per il datore di lavoro domestico che assume badanti per over 80 non autosufficienti - il beneficio di un’esenzione contributiva per due anni. A determinate condizioni, però, e con un limite massimo di importo previsto: 3.000 euro su base annua. Inoltre, il datore di lavoro che riceve la prestazione deve presentare un Isee per le prestazioni agevolate di natura sociosanitaria, valido e non superiore a 6.000 euro. Per informazioni consultare www.lavoro.gov.it.

COHOUSING

COABITARE CONVIENE

Su 8,36 milioni di persone che vivono da sole in Italia, oltre 4 milioni hanno 65 anni o più. Di questi ultimi ben l’88,6% è proprietario di casa. La popolazione over 65 passerà dal 23,5% del 2021 al 34,9% del 2050. Nel 2041 il numero di persone sole con 65 anni o più toccherà quota 6,1 milioni, il 60% del totale di chi vive da solo. Questi numeri fanno riflettere sugli aspetti positivi ma soprattutto sulle potenzialità che il ‘senior co-housing’ potrà avere nell’immediato e in un prossimo futuro, a cominciare dalla possibilità di vivere insieme mantenendo la propria indipendenza.

Informazioni, curiosità, notizie utili, luogo d’incontro e di scambio Inviate segnalazioni e quesiti a: centrostudi@50epiu.it

FILM

LIBERI - FREE

di Fabrizio Maria Cortese con S. Milo, I. Marescotti

A. Catania - Italia 2020, 94 minuti Mirna, Rocco, Luchino, Antonio ed Erica sono cinque anziani ospiti della stessa casa di riposo. Le loro giornate trascorrono sempre uguali, annoiati, delusi dai familiari che vedono di rado. Un giorno decidono di fuggire verso la Puglia, un’avventura che inizia quando Mirna, di origine serba, decide di ricongiungersi con Dragomir, suo vecchio amore ora ricercato dalle forze dell’ordine. I quattro la accompagnano nella sua avventura amorosa ‘on the road’, convinti che l’incontro con Dragomir darà finalmente una svolta alle loro vite.

LAVORO

TANTI OCCUPATI OVER 50 L’effetto demografico incide sempre più sugli ingressi nel mercato del lavoro. Per la fascia dai 50 ai 64 anni l’Istat ha calcolato un +3,3% di occupati rispetto a dicembre 2022. Nel complesso, già nel terzo trimestre del 2023 la crescita tendenziale del numero di occupati (481.000), iniziata nel secondo trimestre 2021, era proseguita. Sebbene l’incremento avesse coinvolto ovviamente anche i giovani di 1534 anni (+81.000), questo si è concentrato soprattutto tra gli over 50: +440.000 tra chi ha fino a 64 anni e +72.000 tra i 65-89enni, mentre il numero di occupati della fascia d’età 35-49 anni si è ridotto (-111.000).

LIBRI

L’ULTIMO ATTO DEL SIGNOR BECKETT di Besserie Maylis

Voland, 2022, 168 pagine

A Parigi, in Rue Rémy-Dumoncel, nella casa di riposo “Le TiersTemps” vive un ottantenne. Il suo volto è cupo, gli occhi penetranti. Gioca con i ricordi mentre mescola due lingue, l’inglese della sua Irlanda e il francese dell’esilio letterario. L’uomo è Samuel Beckett, Premio Nobel per la Letteratura nel 1969. Il racconto alterna in modo suggestivo fatti accaduti davvero e immaginazione, flashback e monologhi interiori. Circondato dai suoi fantasmi, lo scrittore rievoca la vitalità del passato mentre assiste all’inevitabile cedimento delle forze.

SALUTE

MENOPAUSA E DIABETE

La ricerca non ha ancora dimostrato una relazione diretta fra menopausa e diabete, ma secondo un recente studio le donne che entrano in menopausa precoce in modo naturaleprima dei 40 anni - hanno maggiori rischi di sviluppare il diabete tipo 2 rispetto a quelle entrate dopo i 50. Inoltre, le donne in menopausa con diabete di tipo 2 rischiano maggiormente fratture: una glicemia squilibrata altera le capacità meccaniche e la resistenza del tessuto osseo. Allo stesso tempo, la probabilità di eventi cardiovascolari raddoppia perché la menopausa aumenta l’infiammazione dei vasi sanguigni e favorisce l’aterosclerosi.

50&Più | aprile 2024 95

Abruzzo

Le sedi 50&Più provinciali

Telefono

L’Aquila - viale Corrado IV, 40/F 0862204226

Chieti - via F. Salomone, 67 087164657

Pescara - via Aldo Moro, 1/3 0854313623

Teramo - corso De Michetti, 2 0861252057

Basilicata

Telefono

Matera - via Don Luigi Sturzo, 16/2 0835385714

Potenza - via Centomani, 11 097122201

Calabria

Mantova - via Valsesia, 46 0376288505

Milano - corso Venezia, 47 0276013399

Pavia - via Ticinello, 22 038228411

Sondrio - via del Vecchio Macello, 4/C 0342533311

Varese - via Valle Venosta, 4 0332342280

Marche

Telefono

Cosenza - viale degli Alimena, 5 098422041

Catanzaro - via Milano, 9 0961721246

Crotone - via Regina Margherita, 28 096221794

Reggio Calabria - via Tenente Panella, 20 0965891543

Vibo Valentia - via Spogliatore snc 096343485

Campania

Telefono

Ancona - via Alcide De Gasperi, 31 0712075009

Ascoli Piceno - viale Vittorio Emanuele Orlando, 16 0736051102

Macerata - via Maffeo Pantaleoni, 48a 0733261393

Pesaro - strada delle Marche, 58 0721698224/5

Molise

Telefono

Campobasso - via Giuseppe Garibaldi, 48 0874483194

Isernia - via XXIV Maggio, 331 0865411713

Piemonte

Telefono

Avellino - via Salvatore De Renzi, 28 082538549

Benevento - via delle Puglie, 28 0824313555

Caserta - via Roma, 90 0823326453

Napoli - via Cervantes, 55 int. 14 0812514037

Salerno - via Zammarelli, 12 089227600

Emilia Romagna

Telefono

Bologna - via Tiarini, 22/m 0514150680

Forlì - piazzale della Vittoria, 23 054324118

Ferrara - via Girolamo Baruffaldi, 14/18 0532234211

Modena - via Begarelli, 31 0597364203

Piacenza - strada Bobbiese, 2 - c/o Unione Comm.ti 0523/461831-32-61

Parma - via Abbeveratoia, 61/A 0521944278

Ravenna - via di Roma, 104 0544515707

Reggio Emilia - viale Timavo, 43 0522708565-553

Rimini - viale Italia, 9/11 0541743202

Friuli Venezia Giulia

Telefono

Alba - piazza S. Paolo, 3 0173226611

Alessandria - via Trotti, 46 0131260380

Asti - corso Felice Cavallotti, 37 0141353494

Biella - via Trieste, 15 01530789

Cuneo - via Avogadro, 32 0171604198

Novara - via Giovanni Battista Paletta, 1 032130232

Torino - via Andrea Massena, 18 011533806

Verbania - via Roma, 29 032352350

Vercelli - via Duchessa Jolanda, 26 0161215344

Puglia

Telefono

Bari - piazza Aldo Moro, 28 0805240342

Brindisi - via Appia, 159/B 0831524187

Foggia - via Luigi Miranda, 8 0881723151

Lecce - via Cicolella, 3 0832343923

Taranto - via Giacomo Lacaita, 5 0997796444

Sardegna

Telefono

Gorizia - via Vittorio Locchi, 22 048132325

Pordenone - piazzale dei Mutilati, 6 0434549462

Trieste - via Mazzini, 22 0407707340

Udine - viale Duodo, 5 04321850037

Lazio Telefono

Frosinone - via Moro, 481 0775855273

Latina - via dei Volsini, 60 0773611108

Rieti - largo Cairoli, 4 0746483612

Roma - via Cola di Rienzo, 240 0668891796

Viterbo - via Belluno, 39/G 0761341718

Liguria Telefono

Genova - via XX Settembre, 40/5 010543042

Imperia - via Gian Francesco De Marchi, 81 0183275334

La Spezia - via del Torretto, 57/1 0187731142

Savona - corso A. Ricci - Torre Vespucci, 14 019853582

Lombardia Telefono

Bergamo - via Borgo Palazzo, 133 0354120126

Brescia - via Trento, 15/R 0303771785

Como - via Bellini, 14 031265361

Cremona - via Alessandro Manzoni, 2 037225745-458715

Lecco - piazza Giuseppe Garibaldi, 4 0341287279

Lodi - viale Savoia, 7 0371432575

Telefono

Cagliari - via Santa Gilla, 6 070280251

Nuoro - galleria Emanuela Loi, 8 0784232804

Oristano - via Sebastiano Mele, 7/G 078373612

Sassari - via Giovanni Pascoli, 59 079243652

Sicilia

Telefono

Agrigento - via Imera, 223/C 0922595682

Caltanissetta - via Messina, 84 0934575798

Catania - via Mandrà, 8 095239495

Enna - via Vulturo, 34 093524983

Messina - via Santa Maria Alemanna, 5 090673914

Palermo - via Emerico Amari, 11 091334920

Ragusa - viale del Fante, 10 0932246958

Siracusa - via Eschilo, 11 093165059-415119

Trapani - via Marino Torre, 117 0923547829

Toscana

Telefono

Arezzo - via XXV Aprile, 12 0575354292

Carrara - via Don Minzoni, 20/A 058570973-570672

Firenze - via Costantino Nigra, 23-25 055664795

Grosseto - via Tevere, 5/7/9 0564410703

Livorno - via Serristori, 15 0586898276

Lucca - via Fillungo, 121 - c/o Confcommercio 0583473170

Pisa - via Chiassatello, 67 05025196-0507846635/30

Prato - via San Jacopo, 20-22-24 057423896

Pistoia - viale Adua, 128

0573991500

Siena - via del Giglio, 10-12-14 0577283914

Trentino Alto Adige

Bolzano - Mitterweg - via di Mezzo ai Piani, 5 0471978032

Trento - via Solteri, 78 0461880408

Umbria Telefono

Perugia - via Settevalli, 320 0755067178

Terni - via Aristide Gabelli, 14/16/18 0744390152

Valle d’Aosta

Aosta - piazza Arco d’Augusto, 10 016545981

Veneto

Belluno - piazza Martiri, 16 0437215264

Padova - via degli Zabarella, 40/42 049655130

Rovigo - viale del Lavoro, 4 0425404267

Treviso - via Sebastiano Venier, 55 042256481

Venezia Mestre - viale Ancona, 9 0415316355

Vicenza - via Luigi Faccio, 38 0444964300

Verona - via Sommacampagna, 63/H - Sc. B 045953502

Le sedi 50&Più estere

USA

WWW.50EPIU.IT 50&Più SISTEMA ASSOCIATIVO E DI SERVIZI VITA ASSOCIATIVA ASSISTENZA PREVIDENZIALE ASSISTENZA FISCALE
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Argentina Telefono Buenos Aires 0054 11 45477105 Villa Bosch 0054 9113501-9361 Australia Telefono Perth 0061 864680197 Belgio Telefono Bruxelles 0032 25341527 Brasile Telefono Florianopolis 0055 4832222513 San Paolo 0055 1132591806 Canada Telefono Burnaby - Vancouver BC 001 6042942023 Hamilton 001 9053184488 Woodbridge 001 9052660048
Riviere des Prairies 001 5144946902 Montreal Saint Leonard 001 5142525041 Ottawa 001 6135674532 St. Catharines 001 9056466555 Toronto 001 4166523759 Germania Telefono Dusseldorf 0049 21190220201 Portogallo Telefono Lisbona 00351 914145345 Svizzera Telefono Lugano 0041 919212050 Uruguay Telefono Montevideo 0059 825076416
Montreal
Telefono Fort Lauderdale 001 9546300086

Soluzioni giochi

REBUS (6 6 2 5 5)

DI mora invasa dalie T; I A mici = Dimora invasa da lieti amici

GIOCHI IN VERSI INDOVINELLI

Plaza de toros = il tè La Top Model = la bandiera

REBUS (5 1’6)

BOS coda; caci E = Bosco d’acacie

Stuzzica cervello

TEST 1

La figura “intrusa” è quella contrassegnata dalla lettera a). Essa, infatti, è l’unica in cui i punti di contatto tra i cerchi sono dieci e non otto come nelle altre tre figure.

TEST 2 - La parola “intrusa” tra le diciotto assegnate è SALE Essa, infatti, non fa parte di una sequenza circolare formata dalle rimanenti parole e di seguito riportata:

In tale sequenza circolare ogni parola ne precede un’altra le cui prime due lettere coincidono con la seconda e la terza lettera della parola precedente.

TEST 3 - La sequenza collegata ai cinque numeri seguiti da segni matematici, da una figura geometrica e da un altro numero è quella contrassegnata dalla lettera c). Essa, infatti, rispetta il seguente criterio logico: la sequenza corretta si ottiene moltiplicando ognuno dei quattro numeri dati per il numero dei lati della figura geometrica rappresentata (3) e sottraendo a tale risultato il numero posto a destra della figura geometrica (1).

ANIMA, NIDO, IDEA, DESTINO, ESITO, SITO TANICA ITALIA STADIO TAVERNA OSTIA ROSA, EROE, NERVO, INERZIA, VINO, AVIATORE 5 3 4 9 x 1 5 x 3 3 x 3 4 x 3 9 x 3 tre lati 15 –1 9 – 1 12 – 1 27 1 14 8 11 26 –

Vuoi dare una mano a Don Nicholas?

«Don Nicholas è arrivato qui nel 2020, in pieno Covid, senza conoscere nessuno. Non è stato facile per lui –raccontano in oratorio – ma a poco a poco ha conquistato la ducia delle famiglie e dei ragazzi e oggi è un punto di riferimento per tutti». Don Nicholas Sangiovanni, 34 anni, è il viceparroco e direttore dell’oratorio di O anengo (CR), alle porte di Crema. Un luogo aperto tutti i pomeriggi e tutte le sere per ritrovarsi, fare i compiti, sgranchirsi con il Pilates nella sala polifunzionale, organizzare concerti e conferenze: «una casa per tutti e di tutti», come amano de nirlo qui. Inaugurato nel 2012, viene interamente gestito dai volontari, la maggior parte dei quali pensionati che mettono a disposizione tempo ed energia per i più piccoli, in una sorta di alleanza intergenerazionale. Così è nato anche il doposcuola per 30 bambini dalla seconda alla quinta elementare, l’80% di origine straniera, che due volte a settimana vengono qui a fare i compiti assistiti da alcune maestre. Il piccolo appartamento del viceparroco è stato costruito con una grande cucina comunicante con un corridoio dove si aprono delle stanze per i ragazzi che in alcuni periodi dell’anno passano qualche giorno qui, partecipando ad attività di preghiera e di formazione culturale. «Prossima s da – osserva don Nicholas – è l’educativa

di strada. Non è come nelle periferie delle grandi città ma abbiamo anche qui alcune piccole gang di ragazzi che fanno fatica a rispettare le cose e le persone. Molti di loro hanno bisogno di punti di riferimento e come comunità cristiana dobbiamo essere loro vicini e allo stesso tempo fermi su alcuni paletti, se necessario».

Dal 1989, per legge, il sostentamento dei sacerdoti non è più a carico dello Stato ma è stato a dato a tutti noi. A tutte quelle persone di buona volontà che, attraverso la rma per l’8xmille alla Chiesa cattolica o direttamente attraverso le o erte deducibili per i sacerdoti possono contribuire a garantire loro un tenore di vita dignitoso. Dalle montagne alle isole, nelle grandi città come nei piccoli paesi, grazie ad un sistema che si fonda sulla perequazione e la corresponsabilità, ciascuno di loro ha bisogno del contributo di tutti. Anche del tuo.

Scopri come donare, in modo semplice e sicuro, nel sito Unitineldono.it. Basta una piccola dimostrazione del tuo sostegno. Don Nicholas, e tanti altri don come lui, te ne saranno grati, insieme alle loro comunità.

In foto: don Nicholas Sangiovanni viceparroco e direttore dell’oratorio di O anengo (CR)

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