Febbraio 25

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Sogno o rivoluzione

La musica è la colonna sonora della vita

Woodstock, Live Aid, Sanremo, cinema, radio e riabilitazione sociale Il nostro tour tra le note che hanno segnato epoche e generazioni

Enrico Ruggeri: «Attraverso le canzoni si trova il coraggio di osservare la realtà»

SOCIALE

Ilaria Ciancaleoni Bartoli

Osservatorio Malattie Rare

«Obiettivo, facilitare vita di malati e caregiver»

STORIE

La biblioteca viaggiante di Chiara per le strade di Torino

«Vi racconto come avvicino i passanti alla lettura»

ESTERI Haiti, un paese in lotta per la sopravvivenza

Sotto il controllo delle bande armate l’Onu cerca di ristabilire l’ordine

PRIMO PIANO
Brian May dei Queen al Live Aid, Wembley13 luglio 1985.
© Tony Mottram

PER NUTRIRE IL PIANETA SERVE ENERGIA PER LA VITA

2025: sono passati dieci anni da quando, a Milano, l’Expo 2015 lanciava al mondo una sfida importante: “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”. Con un’intuizione lungimirante, l’Italia scelse in quell’occasione di mettere al centro della propria Esposizione Universale proprio l’alimentazione sostenibile, per accendere i riflettori sul tema dell’accesso al cibo e all’acqua nelle diverse parti del mondo, ma anche sul tema della produzione di cibo ecologicamente sostenibile per il pianeta. Da entrambi questi punti

«LE

GENERAZIONI ANZIANE POSSONO DARE AI PIÙ GIOVANI UN CONTRIBUTO IN TERMINI VALORIALI»

di vista, era un argomento che non poteva lasciare indifferenti. Sappiamo tutti che nel mondo oggi vige una orribile disuguaglianza nell’accesso al cibo: secondo l’Onu nel mondo circa 795 milioni di persone, una su 9, vivono una condizione di denutrizione. Ma anche nel nostro paese la “fame” esiste: nel 2023 sono stati 4,9 milioni gli italiani che non hanno potuto permettersi un pasto completo ogni due giorni. La povertà alimentare è tornata a crescere nel paese dopo che nel triennio 2019-2022 era calata. Si tratta di un dato quasi incredibile, in contrasto con l’offerta ricchissima di programmi di cucina mentre c’è chi fatica a mettere insieme un pasto.

ma anche la quantità, laddove non siano sufficienti le risorse naturali. La pandemia di Covid-19 ha messo a nudo le fragilità dei nostri sistemi alimentari, la guerra in Ucraina ha sconvolto le catene di approvvigionamento e il riscaldamento globale ha avuto impatti devastanti sull’agricoltura, portando scarsità, aumento dei prezzi, migrazioni forzate, carestie. Intanto, le previsioni demografiche parlano di una popolazione mondiale che non solo invecchia ma che entro il 2050 toccherà quota 9,7 miliardi. Una sfida duplice: da un lato, sempre più persone da sfamare; dall’altro, la riduzione dell’impronta ecologica della produzione alimentare. Ecco allora che il tema di Expo Milano in 10 anni non è invecchiato. Anzi: è diventato sempre più attuale. Per “nutrire il pianeta”, bisognerà inevitabilmente affrontare una trasformazione globale nei sistemi agricoli, nelle politiche di distribuzione del cibo, nella lotta contro gli sprechi e, soprattutto, nella sensibilizzazione delle persone verso una cultura alimentare responsabile.

Eppure, non è solo un tema di accesso al cibo, ma anche della sua produzione, che ne compromette la qualità,

E, se oggi sono certamente i più giovani quelli più attenti, consapevoli e responsabili in tema ambientale, proprio sul cibo le generazioni anziane possono dare un contributo in termini valoriali: chi ha avuto poco o nulla da piccolo, ha imparato a rispettare il cibo, a valorizzarlo, a non sprecarlo, con un’attenzione anche al ciclo naturale della terra che i nostri avi conoscevano bene. Forse proprio in questa collaborazione tra generazioni può nascere dunque quella “energia per la vita” indispensabile per “nutrire il pianeta”, per nutrire il futuro.

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DEL 6/03/2024

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Sommario

Anno XLVII - n. 2 - febbraio 2025

Per nutrire il pianeta serve energia per la vita

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Carlo Sangalli 3

Dalle canzoni all’attivismo come la musica cambia il mondo Anna Grazia Concilio 6

In questo numero

Expo 2015, dieci anni dopo

Valerio Maria Urru 22

Pharme, per una salute accessibile Claudia Benassai 26

Contro le mutilazioni genitali femminili Donatella Ottavi 32

Lo stato di salute dell’oreficeria italiana Francesca Cutolo 34

Periscopio

Dario De Felicis 56

La prestazione universale Maria Silvia Barbieri 84

Agenzia della Riscossione, rateizzazione Alessandra De Feo 86

Viaggi: Incontri 50&Più 2025 Cina classica, Proposte di viaggio a cura di 50&Più Turismo 88

Il lungo respiro della terra a cura di Barbanera 92

39

Sogno o rivoluzione, il nostro tour tra le note che hanno segnato epoche e generazioni di S.Mannucci, A.Bisogno R.Carabini, G.Di Paola F.De Bernardinis, A.G.Concilio

Rubriche

76

Anno Santo 2025

Atleti, pellegrini di speranza Sport, un formidabile alleato per costruire la pace di Giovanni Carlo La Vella

Il terzo tempo Lidia Ravera 10

Anni possibili

Marco Trabucchi 12

Effetto Terra Francesca Santolini 14

Gabriele Corsi debutta a Prima Festival «A Sanremo porto colore e ritmo»

Cultura

La Gloria di Aurelio Picca

Patrizia Antonicelli racconta il tesoro letterario di papà Franco 64

Paolo Fresu ‘incontra’ Miles Davis: «Una sfida»

Belle Époque, la Parigi che sognava a colori

Ritratto di Ralph Fiennes, eroe di Itaca

Fratelli Lumiere, 130 anni fa nasceva l’arte del cinema

L’angolo della veterinaria

Gli effetti della musica su Fido

L’ascolto di alcuni brani è utile in caso di disagio psicofisico del pet

a cura di Irene Cassi

Credit foto: Agf, Contrasto, Shutterstock, Antonio Barella. Shutterstock: Milosz Kubiak, sdx15, JarTee, Praszkiewicz, Ralf Liebhold, Henk Bogaard, Price M, Ben Houdijk, Eugenio Marongiu Foto di copertina: Agf

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C.Ludovisi

LA SCIENZA SFIDA LE MALATTIE RARE

Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice dell’Osservatorio spiega: «Il nostro obiettivo è facilitare la vita dei malati e dei loro caregiver. Occorre far funzionare le direttive esistenti»

C.Caridi

HAITI, IN LOTTA PER LA SOPRAVVIVENZA

L’Onu cerca di ristabilire l’ordine con un piccolo esercito di poliziotti keniani ma la situazione rimane critica, con aeroporti chiusi migliaia di sfollati e fughe dalle prigioni

I.Romano

L’ANTROPOLOGIA APPLICATA AL

Il progetto di Giulia Ubaldi nasce nelle aziende agricole del Cilento e sbarca a Milano. «La nostra idea è non generalizzare le culture per paese di provenienza»

DALLE CANZONI ALL’ATTIVISMO COME LA MUSICA CAMBIA IL MONDO

Per qualcuno è addirittura ‘la Settimana Santa’, per altri è solo un noioso programma della tv di Stato. Da qualunque parte si decida di mettersi a sedere, il Festival della canzone italiana resta - senza se e senza ma - uno degli appuntamenti più nazional popolari del nostro paese che coinvolge, nel bene e nel male, milioni di spettatori. Un appuntamento che fa tendenza, detta la moda, che resta nella storia della musica e della televisione anche con qualche accezione, diciamolo, non sempre positiva. In occasione del quarantesimo anniversario del Live Aid - il concerto benefico organizzato per raccogliere fondi utili a contrastare la carestia in Etiopia, che si è svolto in contemporanea a Londra e Philadelphia nel 1985 - e del settantacinquesimo anniversario del Festival di Sanremo, avviamo una riflessione sul valore della musica - certamente - ma anche sugli strumenti utilizzati: perché è anche grazie alla potenza della tecnologia

che certi messaggi - ca va sans dire, anche qui, nel bene e nel male - possono essere veicolati.

Lasciamo che siano dei numeri ad aiutarci: 72mila presenze a Londra, 90mila a Philadelphia, due miliardi di spettatori, centocinquanta nazioni. Il Live Aid è stato senza dubbio il più grande collegamento satellitare. Perché? Il messaggio che Bob Geldof e Midge Ure volevano lanciare era condiviso e condivisibile: uniamoci per aiutare chi, in questo momento, sta soffrendo la fame. Quello è stato uno spartiacque, con il Live Aid esiste un prima e un dopo. Se già Woodstock ha smosso persone, popoli e coscienze, il Live Aid ha reso possibile una certezza: la potenza della musica. La musica non è solo la colonna sonora di buona parte della vita di ognuno di noi ma ha anche un potere salvifico e non per forza deve raggiungere in contemporanea tutti i paesi del mondo. Anche perché - siamo onesti - difficilmente potremmo pensare di vedere altre cose

che siano almeno simili a Woodstock o al Live Aid.

E allora penso a Silvia Riccio, musicoterapeuta, che ha fatto della musica uno ‘spazio’ di sollievo, di conforto e di libertà per chi combatte contro il cancro, è recluso, convive con una disabilità, è fragile. Racconto di lei qualche pagina più avanti, in un Primo piano che - anche per questo e non solo per una serie di anniversari che ricorrono a febbraio (c’è anche la Giornata mondiale della Radio il 13) - abbiamo voluto dedicare alla musica. Mentre celebriamo il passato e il presente della musica, guardiamo al futuro. Le nuove tecnologie e i nuovi media stanno rivoluzionando il modo in cui creiamo, consumiamo e condividiamo la musica che con le sue melodie continuerà a unire le persone e dare voce alle emozioni, utilizzando linguaggi universali. Ci saranno sempre giovani che, con una chitarra intorno a un falò intoneranno Baglioni, ci saranno anziani che su quelle note rivivranno ricordi.

Mimetismo o coincidenze?

L’ARTE DI STEFAN DRASCHAN NON VIVE SOLO NELLE OPERE DEI MUSEI, MA TRA LE PERSONE CHE LI ATTRAVERSANO CON UNO SGUARDO ATTENTO E IRONICO, CATTURA

L’INVISIBILE: COINCIDENZE DI COLORI, GESTI E SITUAZIONI CHE TRASFORMANO LA QUOTIDIANITÀ IN PICCOLI SET SURREALI

@stefandraschan

a cura di Elisa Rossi

Il terzo tempo

FEMMINISMO CINQUANT’ANNI DI LOTTA E TRASFORMAZIONI

“Occorresputare sulla tradizione, su Hegel e su Marx e su Freud, e se serve anche su Shakespeare, perché ogni trasformazione del pensiero è stata nei fatti un regolamento dei conti fra uomini sulla pelle delle donne”.

E poco più avanti: “Vogliamo essere all’altezza di un universo senza risposte, noi cerchiamo l’autenticità del gesto di rivolta e non la sacrificheremo né all’organizzazione né al proselitismo”.

Queste frasi estremiste e battagliere sono contenute ne Il Manifesto di un gruppo che si chiamava “Rivolta femminile”. Il testo è uscito esattamente 50 anni fa. Il gruppo è sciolto da decenni, ma ritrovarlo, insieme a tanto altro, in un volume firmato da una storica che 50 anni fa era appena nata, mi ha sorpresa e intenerita.

Mi sono detta: «dunque qualcosa è rimasto di tutto quello che ho gridato da ragazza. È rimasta Vanessa Roghi, per esempio, autrice di La parola femminista». Certo, lei, classe 1972, aveva la mamma femminista e, non a caso, alla mamma femminista, Irma, è dedicato l’immane sforzo teorico e letterario cui

si è sottoposta: dar conto del percorso della parola ‘femminista’ attraverso mezzo secolo, senza mai dimenticare di inserire, con lodevole sincerità, anche sé stessa, nel quadro del mondo.

Lei, Vanessa.

Bambina in piazza con la mamma, ragazza in conflitto con la mamma e, infine, donna grata alla mamma e alle sue compagne d’epoca che hanno lottato anche per lei. Per loro.

C’è tutto, in queste 250 pagine: dalle origini alle polemiche che sempre dividono il fronte del movimento femminista. Dalla seconda ondata, quella del femminismo della differenza - cavalcata da tante (e da me) negli anni Settanta del secolo scorso -, al riflusso degli anni Ottanta in cui una sorta di diritto alla fatuità ha travolto e seppellito l’impegno e la parola ‘femminista’ è diventata quasi un insulto, fino all’attuale femminismo dell’uguaglianza, in cui ogni donna dovrebbe essere imprenditrice di sé stessa e colpire con una solitaria e potente zuccata il famoso tetto di cristallo, salvando sé stessa dal retrobottega in cui hanno sempre vivacchiato le donne, ma lasciando ammuffire senza

Gli uomini sono cambiati meno delle donne godono di privilegi

A parità di mansioni guadagnano di più non vengono considerati scaduti a 50 anni

pietà tutte le altre. È un fiume carsico il femminismo, Roghi lo sa e lo racconta molto bene: vede che si inabissa e poi rispunta, lo guarda scorrere fra le asperità di un paesaggio scolpito in forme aguzze e aspre, per scomparire poi, ciclicamente, dalla superficie e continuare a lavorare sottoterra, segreto, nascosto, ma capace, con la forza umile della ripetizione, di modificare il territorio delle relazioni fra gli uomini e le donne, demolendo i “ruoli di genere” con un movimento lento ma inarrestabile. Difficile riassumere La parola Femminista, è talmente denso di citazioni da provocare un leggero senso di smarrimento. Io l’ho letto una prima volta, in fretta, con il piacere di veder riemergere pezzi della mia vita intellettuale e politica, poi l’ho riletto con una matita in mano e ho incominciato a sottolineare. È stato un viaggio affascinante nel territorio, ahimè poco esplorato, del pensiero delle donne sul proprio essere donna in una società fondata sulle implacabili leggi del patriarcato. È stata la gioia di ritrovare, integra, una sensazione di mezzo secolo fa, il senso di un doloroso privilegio: noi portiamo nel corpo il dispositivo che produce esseri umani. Abbiamo corpi complessi e perfetti. Eppure siamo sole di fronte a questa diversità mai accettata, mai considerata come merita.

Viviamo, oggi, un clima opposto a quello degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso: la parola ‘femminista’ è diventata popolare. Tutte si dichiarano femministe. Dior ha messo sul mercato una semplice maglietta bianca con la scritta “We should all be feminists”. Tra-

duzione: “Tutti dovrebbero essere femministi”. Prezzo: 750 dollari. Ve la comprereste? Io no. Eppure, oggi anche gli uomini si dichiarano volentieri femministi. Una avanguardia di maschi sta facendo i conti con il grande cambiamento delle femmine della specie. Ma per loro non è facile, ammettiamolo. Perché, vedete, il punto è esattamente questo: noi donne siamo cambiate molto, sono cambiate anche quelle che non sanno di essere cambiate, sono cambiate quelle che sono nate quando tutto era già finito ma, istintivamente , credono in sé stesse, non accettano alcuna subalternità, non vogliono appassire ai fornelli. Vogliono (e sanno) decidere loro del proprio corpo.

Gli uomini sono cambiati meno delle donne, perché sono stati, e sono tuttora, il genere dominante. Hanno goduto e godono ancora di parecchi privilegi. A parità di mansioni guadagnano di più, non vengono considerati scaduti a 50 anni, non sono obbligati a restare giovani e belli per tutta la vita come noi. Hanno facile accesso al prestigio che le donne conquistano con enorme difficoltà, eccetera eccetera. Del resto, è ragionevole: si cambia sulla spinta di un disagio, di un malessere, di un bisogno. Se non soffri resti come sei.

Io, se fossi nata uomo, mi terrei ben stretti i miei privilegi oppure deciderei di spartire la torta con l’altra metà del Cielo?

Forse mi godrei la mia vita da dominatore (almeno ipotetico), ma certo non prenderei a coltellate la ragazza che mi vuole lasciare. E voi?

PARLIAMONE

Per scrivere a Lidia Ravera

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Anni possibili

ABITARE INSIEME UN NUOVO MODELLO DI COMUNITÀ PER ANZIANI

In Italia oggi 2 milioni di over 75 dichiarano di sentirsi soli sempre o spesso; d’altra parte, vi è una quota del 20% degli anziani che dichiara di non avere nessuno da chiamare in caso di bisogno. Que -

ste condizioni si vivono all’interno del problema più generale: secondo diverse rilevazioni, circa il 30% degli ultra sessantacinquenni italiani vive solo, una media non diversa da quella di altri paesi europei.

La solitudine è una condizione che porta a sofferenza del corpo e della mente: gli anziani soli sono più fragili. Tendono infatti a non prendersi cura della propria salute, per cui si ammalano più frequentemente, non seguono un adeguato regime alimentare (perché procurarsi un mangiare sano se non vi è occasione per condividerlo?), non fanno un’adeguata attività fisica perché non hanno motivi per uscire di casa (il guscio protettivo in cui si rifugiano rispetto alla città inospitale), non hanno contatti con altre persone e quindi tendono a polarizzare la propria attenzione solo su sé stessi, con l’aggravarsi nel tempo del proprio isolamento. Di fronte a questa realtà, che purtroppo diventa sempre più drammatica a causa della crisi della famiglia, del prevalere diffuso della logica dell’“io” rispetto a quella del “noi”, della crisi dei tradizionali ambiti di aggregazione, come ad esempio, la Chiesa, è necessario che le comunità si impegnino a trovare soluzioni. Con realismo è necessa-

rio guardare a quello che si può fare per tamponare le dinamiche sociali che seguono un loro corso (secondo alcuni sarebbero le dinamiche della modernità), senza illudersi di cambiare stili di vita che sono sempre più diffusi. Qualsiasi impegno in questa direzione è destinato al fallimento. È invece necessario pensare all’organizzazione di alcuni “mondi possibili” diversi da quelli prevalenti, organizzando nelle comunità punti di aggregazione, nei quali gli anziani possano trovare lenimento alla loro dolorosa condizione. Su questa strada si stanno muovendo alcune realtà, che si impegnano a costruire rispo -

ste innovative, sperimentazioni-guida al fine di allargare le realizzazioni a numeri più grandi.

È necessario costruire attorno alla loro esistenza sistemi protettivi costituiti da luoghi dove possano vivere con gli altri

Il problema centrale è ridare agli anziani soli un mondo vitale diverso da quello dove soffrono; è necessario costruire attorno alla loro esistenza sistemi protettivi, costituiti da luoghi dove possono vivere con gli altri, ricostruendo l’atmosfera delle piccole comunità che il tempo ha cancellato. In questa prospettiva sono state studiate varie forme di ‘cohousing’, luoghi dove gli anziani possono vivere liberamente, con la tranquillità della protezione offerta dalla garanzia di interventi celeri e accurati in caso di bisogno, e con l’impegno di condividere qualche ora della settimana con gli altri inquilini dello stesso edificio. Inoltre, è sempre attiva una supervisione da parte di operatori sociali, che si preoccupano di accompagnare gli abitanti, fornendo risposte alle loro esigenze e facilitando l’avvio di relazioni. In questi luoghi l’anziano solo si sente più tranquillo, perché protetto sul piano della salute e della sicurezza fisica; anche la costruzione di relazioni con i vicini permette il ritorno ad una “vita normale”, come nel passato. Il progetto di cohousing si fonda sulla predisposizione di appartamenti adatti per dimensione al numero degli abitanti; devono essere dignitosi e non assomigliare ad una Rsa. Non devono essere costruiti in luoghi isolati, ma in zone della città o del paese dove c’è vita, con negozi, bar e altri luoghi di relazione. Inoltre, è necessario che i candidati al cohousing vengano scelti in base alla loro espressa volontà di ricostruire quelle relazioni che non sono state oggettivamente più possibili nel vecchio luogo di vita, ma alle quali l’anziano aspirerebbe. In altre parole, è importante evitare di ospitare persone

che non sono disponibili ad aprirsi, a parlare con gli altri, a spendere del tempo, ad esempio, per giocare a carte con i coinquilini. Inoltre, è necessario preparare adeguatamente gli operatori, che non devono essere delegati a funzioni assistenziali ma a creare comunità tra gli ospiti, essendo in grado di capire le tendenze, la cultura, i desideri di ognuno. Ovviamente è necessario che l’operatore conosca anche le modalità per rispondere adeguatamente alle esigenze degli inquilini come, ad esempio, il supporto per organizzare delle visite mediche. Infine, in alcune esperienze si assicura agli inquilini il passaggio privo di problemi ad una Rsa, qualora le condizioni di salute impedissero di continuare a rimanere nel proprio appartamento. Agli operatori, quando è possibile, vanno associati gruppi di volontariato con il compito di rendere vivi i luoghi del cohousing con interventi sereni e non invasivi.

Quanto descritto è stato realizzato in alcune realtà, in altre è stato programmato. È necessario porsi di fronte al lavoro compiuto con attenzione, non per criticare il modello, ma per cercarne il continuo miglioramento, in particolare leggendo e valutando l’esperienza degli anziani ospiti e le loro preferenze. I modelli rigidi di cohousing non funzionano se vogliono davvero essere un luogo ‘possibile’ e ‘buono’ per la vita di molti nostri concittadini.

PARLIAMONE

Per scrivere a Marco Trabucchi

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SPRECO ALIMENTARE ZERO

LE NUOVE FRONTIERE DELLA SOSTENIBILITÀ

Dare una seconda vita agli scarti prodotti dallo spreco alimentare, una delle principali sfide per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità globale, è possibile. E ci sono molti esempi: gli agrumi per creare tessuti, gli scarti del pane per fare la birra, le bucce di mela per le creme per la pelle, il mais per creare stoviglie. La tutela dell’ambiente offre molteplici possibilità per fare innovazione e trovare nuove soluzioni più rispettose del pianeta. Ma partiamo dai dati: ogni anno un terzo delle risorse in tutto il mondo viene sprecato. Mentre in Italia, secondo l’Osservatorio internazionale Waste Watcher, lo spreco alimentare domestico è pari a 2,132 milioni di tonnellate, con un incremento del 32,6% in soli due anni. Assumendo come peso medio del pasto 500 gr, stimato dal Report 2024 dell’Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente), lo spreco alimentare domestico italiano si traduce in 4,26 miliardi di pasti sprecati ogni anno. Considerando l’aumento della popolazione italiana in condizioni di povertà alimentare, 6 milioni pari al 10% de-

gli italiani (secondo i dati Istat), con i 4,26 miliardi di pasti sprecati si potrebbe dar da mangiare a ben 3,89 milioni di persone, più della metà di coloro che versano in una situazione di povertà alimentare.

Un problema etico e sociale, ma che ha anche un impatto significativo sull’ambiente, poiché la produzione di cibo richiede il consumo di risorse naturali e contribuisce in modo consistente alle emissioni di gas serra, aggravando la crisi climatica. Insomma, lo spreco alimentare è una delle principali sfide che l’umanità deve affrontare, non solo per raggiungere gli obiettivi delle Nazioni Unite che impongono di dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030, ma anche per combattere le disuguaglianze sociali in un mondo in cui l’accesso al cibo resta una questione critica. Tuttavia oggi qualcosa sta cambiando, complice anche la moda che sta evolvendo verso stili di vita sempre più consapevoli e attenti alla tutela del pianeta. Come succede in Sicilia dove è nata la prima fibra tessile al mondo prodotta dagli scarti della produzione di agrumi. Il processo è semplice.

Dalle bucce delle arance, che derivano dalla produzione in eccedenza e dagli scarti di lavorazione, attraverso un procedimento chimico, viene estratta la cellulosa che diventa così una nuova materia prima che le industrie tessili possono trasformare in tessuti totalmente biodegradabili.

Non solo è possibile vestirsi di arance, ma possiamo anche curare la nostra pelle e i nostri capelli con gli scarti delle mele. Le bucce e i semi di mele, che vengono scartati nel processo di produzione di succhi biologici, vengono trasformati in pasta di mele, un ingrediente funzionale e naturalmente antiossidante, che viene utilizzato per la creazione di una linea di cosmetica vegana.

Oggi con il pane vecchio non solo è possibile fare tante ricette della nostra cucina regionale ma addirittura la birra: con 150 kg di pane si riescono a produrre 2.500 litri di birra

Oggi con il pane vecchio non solo è possibile fare tante ricette della nostra cucina regionale, ma addirittura la birra: con 150 kg di pane si riescono a produrre 2.500 litri di birra. In questo modo, oltre a contrastare lo spreco, si utilizza il 30% in meno di malto d’orzo e si risparmiano 1.365 kg di emissioni di anidride carbonica.

Parlando di economia circolare, una delle innovazioni che sicuramente vi sarà capitato di avere tra le mani, è

l’utilizzo delle fibre di mais per creare stoviglie compostabili, un’idea che contribuisce a ridurre con facilità la quantità di plastica monouso che soffoca il nostro pianeta. Le fibre di mais, derivate dal processo di produzione del cereale e dai suoi scarti, come la crusca, rappresentano una soluzione naturale ed efficace per realizzare piatti, bicchieri e posate biodegradabili e compostabili, a differenza della plastica che impiega centinaia di anni

per decomporsi. Proprio a febbraio, il mese in cui ricorre la Giornata nazionale della prevenzione dello spreco alimentare, è importante ricordare che anche i nostri gesti possono migliorare le cose: come, ad esempio, chiedere la “doggy bag” quando rimangono avanzi dei nostri piatti al ristorante.

Per scrivere a Francesca Santolini

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PARLIAMONE

GABRIELE CORSI

SBARCA AL PRIMA FESTIVAL «A SANREMO PORTO RITMO E COLORE»

Gli esordi con il Trio Medusa la conduzione a Radio Dee Jay e i programmi a Discovery, lo showman romano si racconta tra bilanci e nuovi progetti in attesa che il suo libro diventi un film

«Ci sono fan che definiscono la settimana del Festival di Sanremo addirittura ‘santa’. È un evento importantissimo per noi italiani. Per me non è solo una grande emozione accompagnare il pubblico verso questa 75ª edizione, ma anche una grande responsabilità». Quando raggiungiamo al telefono Gabriele Corsi, manca ancora qualche settimana all’inizio della kermesse canora, in programma da martedì 11 a sabato 15 febbraio. Il conduttore romano, 53 anni, sarà alla guida del Prima Festival su Rai 1, insieme a Bianca Guaccero

e Mariasole Pollio, già dal 7 febbraio, subito dopo il Tg1 delle 20. Componente del Trio Medusa, con il quale conduce ormai da oltre vent’anni su Radio Deejay il programma Chiamate Roma Triuno Triuno, Corsi ha costruito la sua carriera anche da solista, tra televisione e radio, diventando uno dei volti di punta di Discovery con show come Don’t Forget the Lyrics-Stai sul pezzo e Il contadino cerca moglie. Lo scorso ottobre è uscito il libro Che bella giornata. Speriamo che non piova (edito da Cairo), racconto della sua esperienza di servizio civile nel 1998 all’ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà a Roma, ma anche una lettera d’amore a suo padre, malato di Alzheimer. Il libro, come annuncia lo showman a 50&Più, diventerà prossimamente un film. Corsi, possiamo dire che è un veterano di Sanremo.

Ne ho fatti dieci come inviato de Le iene con il Trio Medusa, più un Dopofestival su Radio 2 con Ambra Angiolini e la Gialappa’s. Devo ringraziare Carlo Conti per la fiducia che ha riposto in me quest’anno. Il Prima Festival porta gli spettatori alla scoperta della serata. Con Bianca e Maria Sole cercheremo di raccontare il colore, il dietro le quinte di questo parco giochi infinito dedicato alla musica. Non dovrà mancare il ritmo, lo stesso che ho cercato di dare in questi anni alla conduzione dell’Eurovision. Quando c’è il Festival, il paese sembra fermarsi per una settimana.

Viene vissuto con grandissima attenzione. Anche quelli che dicono di non guardarlo, alla fine lo guardano. La canzone italiana è un patrimonio culturale di questo paese,

al di là dell’aspetto folcloristico e delle polemiche che non mancano mai tutti gli anni al Festival. Mia figlia studia canto jazz a New York e tutti i locali, che hanno comunque una parvenza d’italianità, hanno il televisore sintonizzato su Rai1 quando c’è Sanremo. Che bilancio fa di questi anni? Sono molto felice del percorso fatto tra tv e radio. Ho avuto la fortuna di fare quello che mi piaceva e il privilegio di lavorare con un gruppo come Discovery, ma anche in Rai e a Radio Deejay. Insomma, sento di essere un personaggio trasversale, continuando a mettere sempre me stesso in ciò che faccio. Del 2024, che si è chiuso da poco, cosa porta nel cuore?

Tanti progetti. Ma soprattutto la possibilità di scrivere un libro che è andato benissimo. Siamo già alla quarta ristampa. La società di produzione Stand by Me ne ha comprato i diritti per farne un film, che probabilmente sarà diretto da Rolando Ravello, un regista dalla grande sensibilità e umanità. Sarò felice se riusciremo a rendere in immagini le mie parole. Bisognerà trovare il

Che bella giornata speriamo che non piova di Gabriele Corsi

CAIRO EDITORE

192 PAGINE

«Sono molto felice del percorso che ho fatto tra tv e radio. Ho avuto la fortuna di fare quello che mi piaceva e sento di essere un personaggio trasversale»

giusto attore che interpreti me quando avevo 27 anni. Io sarò presente nel film come voce fuoricampo, quando parlo del mio papà.

Lei ha affidato al pubblico un racconto molto personale. È stata più un’esigenza mia che un atto di generosità nei confronti dei lettori. Però, tantissima gente mi ha scritto ringraziandomi per aver condiviso questa esperienza. Ci sono persone che purtroppo vivono da sole una malattia, che sia psichica o degenerativa. Si sentono abbandonate. I proventi del libro li ho donati all’Unicef, di cui sono Ambasciatore, ma anche ad Altea, associazione che fa assistenza domiciliare a chi non può permettersi quella privata. Immaginava un riscontro così importante?

Non pensavo che il libro avrebbe avuto così tanta eco. Condividere, anche semplicemente parlarne, fa bene a chi vive una situazione del genere. In Italia ci sono 600mila malati di Alzheimer. Questa è una malattia che ti spegne. È molto doloroso. Io non ho mai abbracciato così tanto mio padre come ho fatto in questi ultimi tempi. Anche perché non me l’avrebbe permesso, essendo un uomo di un’altra generazione. Ora ci diciamo tante cose, senza dircele. Tutti siamo convinti di avere tanto tempo a disposizione e poi ci rendiamo conto che non ne abbiamo per dire alle persone quanto sono importanti per noi.

MALATTIE RARE UNA SFIDA PER LA RICERCA E I DIRITTI

Ricerca, screening neonatale, accesso alle terapie: partono da qui il futuro e la speranza delle persone con malattie rare. Poche, ma non pochissime, se si pensa che in Italia sono più di 2 milioni, mentre arrivano a 300 milioni nel mondo. Le cosiddette ‘malattie rare’ sono circa 10 milioni, ma solo per il 5% di queste esiste un trattamento farmacologico. Ecco perché la ricerca deve continuare e l’accesso alle terapie deve essere garantito. Lo afferma con forza Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice dell’Osservatorio Malattie Rare, nel mese in cui ricorre la Giornata mondiale, quest’anno il 28 febbraio, negli anni bisestili il 29: un giorno anch’esso ‘raro’. Ma quand’è che una malattia si definisce, appunto, rara?

Quando la sua prevalenza, intesa come il numero di casi presenti su una data popolazione, non supera una soglia stabilita. In Ue la soglia è fissata allo 0,05% della popolazione: non più di un caso ogni 2.000 persone. Secondo il rapporto di Istat Istisan 2021, tra le malattie rare, ma non così rare in Italia, ci sono il cheratocono (una patologia degli occhi), la sarcoidosi, la Sla (sclerosi laterale amiotrofica), la pubertà precoce idiopatica e l’ampio gruppo delle malattie metaboliche. Quali sono le principali criticità che devono affrontare oggi i pazienti e le famiglie con malattie rare?

Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice dell’Osservatorio Malattie Rare

nel mese in cui ricorre la Giornata mondiale spiega quali passi avanti sono stati fatti e cosa resta da fare: «Il nostro obiettivo è facilitare la vita dei malati e dei loro caregiver»

Nel 2023, Osservatorio Malattie Rare ha condotto proprio su questo tema una survey (sondaggio, ndr) che ha coinvolto pazienti e caregiver di diverse regioni. Ne è emersa innanzitutto la difficoltà diagnostica: solo il 40,6% dei pazienti ha avuto una diagnosi entro un anno dall’insorgenza dei sintomi. Ci sono poi problemi lavorativi ed economici: quasi il 70% delle famiglie vive una riduzione di reddito legata ai specifici bisogni della persona con

di Chiara Ludovisi

malattia rara. Nel percorso di cura dopo la diagnosi, il primo ostacolo è la burocrazia, con la difficoltà ad ottenere il pieno riconoscimento del percorso assistenziale (49%). Al secondo posto c’è l’accesso alle terapie, che riguarda più di un paziente su tre. Per oltre il 30% degli intervistati, è rilevante anche la difficoltà di accedere a bonus e aiuti economici. Quali sono, in particolare, le difficoltà legate a terapie e farmaci?

In molti casi è difficile l’accesso ad alcune prestazioni, come la fisioterapia e la logopedia, o ad altre tecniche riabilitative che vengono fornite sì, ma spesso per un numero di ore insufficienti rispetto al bisogno. Lo stesso vale per il supporto psicologico, soprattutto per i familiari caregiver. Per quanto riguarda in particolare i farmaci, ci sono due ordini di criticità. Per quelli rimborsati dal Servizio sanitario nazionale (Ssn), il problema riguarda i tempi diversi di messa a disposizione nelle diverse regioni o la modalità di erogazione: farmacie ospedaliere distanti o impossibilità di ricevere alcune terapie a domicilio. Per quanto riguarda invece i farmaci di fascia C, o tutti i parafarmaci e materiali (come bende, garze ecc.) che non sono rimborsati dal Ssn, il problema è la spesa a carico dei pazienti e delle loro famiglie: non sempre infatti quel che è inserito nel piano terapeutico viene erogato gratuitamente da tutte le regioni. Anche questo dà luogo a gravi disparità territoriali. Quali passi avanti sono stati compiuti negli ultimi anni? Dobbiamo segnalare gli enormi progressi nella scienza genomica, con lo sviluppo di test meno costosi, più veloci e precisi per la diagnosi, anche durante la gravidanza, o in fase neonatale. Inoltre, grazie alla legge sullo Screening Neonatale Esteso, dal 2016 tutti i nuovi nati hanno la

possibilità di ricevere la diagnosi di patologie potenzialmente gravissime a pochi giorni di vita. Sono state poi introdotte molte nuove terapie specifiche. Ora si spera che vengano attuati pienamente anche i ‘nuovi Lea’ (Livelli essenziali di assistenza, ndr), per garantire ulteriori prestazioni in modo uniforme.

Quali sono, oggi, le priorità di cui occuparsi?

Innanzitutto, occorre far funzionare in modo semplice, rapido ed efficace le norme esistenti e trarne il massimo beneficio. La legge sullo Screening Neonatale, per esempio, deve essere rifinanziata, così come deve essere aggiornato l’elenco delle patologie da ricercare alla nascita. Anche l’accesso alle terapie deve avvenire in tempi più rapidi. Al tempo stesso, a fronte di una diagnosi certa di malattia rara,

dovrebbe essere più facile ottenere il riconoscimento dell’invalidità, come pure ricevere assistenza scolastica e domiciliare da parte di personale adeguatamente formato. La scienza sta andando veloce, il sistema normativo e amministrativo deve recuperare terreno.

Qual è la funzione del vostro Osservatorio?

Il nostro obiettivo principale è quello di facilitare la vita delle persone con malattia rara e dei caregiver, fornendo loro uno strumento che li renda più forti: la conoscenza e la sensibilizzazione. Con i nostri professionisti lavoriamo a supporto di tutta la comunità delle malattie rare: pazienti, famiglie, associazioni, mondo della ricerca e dell’assistenza. Perché la voce di ciascuno, unita a quella degli altri, possa farsi più forte.

«Occorre far funzionare in modo semplice rapido ed efficace le direttive esistenti La scienza sta andando veloce il sistema normativo e amministrativo deve recuperare terreno»
Ilaria Ciancaleoni Bartoli

EXPO 2015 DIECI ANNI DOPO

Numeri da record per uno degli eventi più importanti vissuti da Milano, ma anche il valore di un messaggio quanto mai attuale: la cura del cibo e quella della Terra

L’Albero della Vita è ancora lì, piantato nella Lake Arena. I suoi 37 metri di acciaio e legno che si proiettano verso il cielo, hanno visto cambiare Milano in questi ultimi anni. Hanno assistito persino a una città ferma, congelata dalla pandemia, in attesa di tornare a vivere. Proprio come farebbe un albero in autunno, se non fosse che qui stiamo parlando dell’opera realizzata per il Padiglione Italia di Expo Milano 2015. Da allora, quel simbolo di uno dei più grandi eventi mai ospitati dalla città lombarda è diventato una parte integrante del tessuto urbano. È un punto di riferimento per i milanesi, per i turisti e per tutti coloro che - per un motivo o un altro - visitano la città. Soprattutto è diventato testimone silenzioso di un’eredità tangibile, di un’esperienza che ha segnato un momento storico, di un sogno collettivo:

nutrire il pianeta in modo sostenibile. Il prossimo maggio saranno dieci anni esatti da un’esposizione che ha destato l’interesse del mondo su un tema centrale per il futuro: l’alimentazione. In particolare, l’alimentazione sostenibile. Un test superato, per giunta, con numeri da primato. Eccone alcuni solo per comprendere la portata dell’impresa: in 184 giorni l’Expo 2015 di Milano ha accolto 21,5 milioni di visitatori da 140 paesi (solo 1.243.701 nella settimana-record che va dal 5 all’11 ottobre); ad arricchirlo ben 54 padiglioni costruiti da singoli paesi insieme ad altre 9 infrastrutture architettoniche realizzate per radunare 70 paesi intorno ad alcuni alimenti simbolo come riso, cacao, caffè, frutta, spezie, grano. Ha ricevuto 60 capi di Stato e di governo, mentre sono state 300 le visite istituzionali. Con 30 paesi presenti l’Africa è stata il continente più

rappresentato. Sono stati 20.000 circa i lavoratori assunti e impiegati durante i sei mesi dell’esposizione, così come sono stati ben 8.000 i volontari che - gratuitamente e per un massimo di due settimane ciascuno - hanno dato il loro supporto per creare la migliore delle esperienze possibili. Anche per quegli oltre 2 milioni di studenti che, provenienti da ogni scuola d’Italia, si sono riversati in gita per visitare i padiglioni, in cerca di una coscienza alimentare più consapevole e sostenibile. Tuttavia, il più grande lascito di questo evento va oltre i numeri da record. Perché le rivoluzioni hanno bisogno di tempo. Da una parte, l’Expo 2015 ha raccontato la complessità del mondo globalizzato, le opportunità e le sfide legate all’interconnessione tra le diverse culture e i diversi sistemi alimentari; dall’altra, ha richiamato l’attenzione sul cibo come diritto fondamentale, sottolineando le disuguaglianze esistenti nell’accesso alle risorse alimentari. Ha piantato un seme, sì, ma nell’animo delle persone. E anche questo vuol dire “nutrire” l’umanità.

Il nostro omaggio a Oliviero Toscani provocatore della fotografia

Milano, 28 febbraio 1942 - Cecina (LI), 13 gennaio 2025

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Vuole soddisfare le esigenze di giovani studenti e lavoratori a partire dai 18 anni, ma mira anche ad agevolare le generazioni più avanti con gli anni, abbracciando un target compreso tra i 30 e i 50 anni e, dulcis in fundo, dei genitori che spesso e volentieri devono comprare prodotti per la cura dei loro bambini trovando un momento in giornate che scorrono con ritmi serratissimi. Soprattutto nelle grandi città. Si chiama Pharme la piattaforma gratuita ideata da cinque giovanissimi per supportare la mole di lavoro dei farmacisti e far risparmiare tempo ai clienti che potranno ordinare comodamente il prodotto online e recarsi in farmacia solo per il ritiro. Un caso, insomma, in cui la tecnologia è al servizio della comunità in maniera intelligente evitando inutile stress. «L’idea - racconta Filippo Tavormina, Ceo, co-founder e giurista, nasce da un problema che i miei genitori, farmacisti da generazioni, hanno vissuto. Ad oggi, un terzo dei clienti giornalieri delle farmacie non trova il farmaco al primo tentati-

PHARME: LA STARTUP SICILIANA PER UNA SALUTE PIÙ ACCESSIBILE

Filippo Tavormina, Ceo, co-founder e giurista racconta la storia del progetto e la sinergia con il suo team: tutti giovanissimi partiti da Mazara del Vallo, meno di un anno fa «Dopo le grandi città italiane, puntiamo all’estero»

vo. Stiamo parlando di 1.400.000 persone ogni giorno che devono tornare una seconda volta, o cambiare farmacia tentando la sorte». Nel 2021 la scoperta che esiste il problema e poi la de-

cisione con amici, in seguito diventati colleghi, di far qualcosa unendo teste e background di ognuno. La squadra così è abbastanza ricca di competenze: «Il team - continua il giovane - è composto da Alessandro Gallo, direttore operativo, co-founder, e ingegnere gestionale, siamo soci da quando abbiamo 15 anni; Mario Gazzara, direttore tecnico e sviluppatore informatico senior con più di 10 anni di esperienza; Nicola Amato, direttore finanziario, co-founder e dottore in Economia e Finanza aziendale; Sofia Perrone, direttrice del Marketing, co-founder e dottoressa in Comunicazione. Io, Ceo, co-founder e giurista, sono il collegamento con il mondo farmaceutico grazie ai contatti e alla tradizione lunga della mia famiglia. Tutti e cinque siamo siciliani, quattro di Mazara del Vallo e Mario di Catania. Oltre a noi cinque, che siamo soci e fondatori, abbiamo assunto due

collaboratori a tempo indeterminato: Andrea Procopio, sviluppatore Mid, e Martina Iannazzo, business developer, che possono vantare già oltre 5 anni di esperienza».

I tratti distintivi sono l’integrazione con i magazzini delle farmacie, diventati trasparenti, che permette di dire al cliente in tempo reale se un prodotto è disponibile e, dall’altro lato, il semplificare il lavoro delle farmacie, che potranno concentrarsi sul cliente al banco evitando di dare informazioni al telefono o su WhatsApp. «Altro punto importante è il confronto - precisa il Ceo -. La piattaforma permette di verificare la disponibilità in tutte le farmacie intorno. Un toccasana per chi, nei casi urgenti, deve risolvere presto. Questo non significa che la farmacia diventa un mero punto di ritiro, in quanto il cliente inserisce le sue farmacie di fiducia in fase di iscrizione, e anche se il prodotto cercato non dovesse essere immediatamente disponibile, può ordinare il farmaco mancante dove è abituato ad andare».

I frutti si cominciano a vedere. Il glorioso team siciliano sta facendo dei test in alcune città target. Sono presenti in trenta farmacie in sei città italiane. I riscontri sono ottimi, i clienti ordinano e i feedback sono positivi: «Siamo ancora in fase di lancio - arriva la puntualizzazione di chi lavora con i piedi per terra -, stiamo dunque parlando di poche migliaia di utenti iscritti e qualche centinaio di ordini, ma finora le cose stanno andando come da roadmap. Dalla Sicilia l’idea è andare oltre. Siamo partiti da Mazara del Vallo, la nostra città, ad aprile 2024. Ad oggi siamo anche a Palermo, Catania, Napoli, Roma e Milano. A partire da questo nuovo anno la sfida vera e propria, con la commercializzazione di Pharme, prima consolidando le città dove siamo attualmente e successivamente aprendo il servizio su tutt’Italia. Entro la fine del 2025. Se le cose andranno

bene, approderemo all’estero entro il 2027. In Francia, Spagna e Belgio». I feedback positivi fanno inarcare un sorriso: «Di commenti ne arrivano tanti, e contro ogni previsione abbia-

Sopra, Filippo Tavormina

A sinistra, il team Pharme

mo più clienti over 50 che under 50. Questo ci rincuora sul nostro lavoro. Il nostro obiettivo principale era rendere il sito web, e in futuro l’applicazione, il più semplice possibile da usare. Questo perché la semplicità vuol dire accessibilità, soprattutto quando si ha come target una fascia di età non nativa digitale. Abbiamo aiutato molte persone a trovare in poco tempo farmaci introvabili e questo ci aiuta ad ottenere la fiducia e la gratitudine dei clienti. I progetti in cantiere sono ancora tanti, a partire dal miglioramento dell’integrazione, passando per l’applicazione mobile e per un accesso admin per i medici e, a breve, anche loro potranno effettuare prenotazioni per conto dei pazienti più anziani. Il valore per il professionista in questo caso - conclude il Ceo - sta nel poter vedere realmente quali farmaci sono fuori produzione o carenti nella filiera, evitando di prescriverli».

SOLITUDINE

UN’EPIDEMIA SILENZIOSA TROPPO

SPESSO SOTTOVALUTATA

Il 13% degli europei sperimenta il peso dell’isolamento ma il problema non conosce confini. Le strategie in campo per affrontarlo in Europa e nel mondo

La prima indagine dell’Ue sulla solitudine, EU-LS 2022, ha rilevato che il 13% degli europei si sente solo la maggior parte del tempo, mentre il 35% sperimenta la solitudine occasionalmente. Oltre alle difficoltà personali, la mancanza di relazioni mette a dura prova i sistemi sanitari, riduce la produttività e l’aspettativa di vita. Su queste premesse a febbraio ha preso il via “Lonely-EU”, un progetto internazionale intitolato The Social Isolation and Loneliness in Europe Network: Evidence-Based Policy Recommendations on its Causes, Consequences, and Monitoring. All’iniziativa, della durata triennale e finanziata con tre milioni di euro, parteciperà un consorzio internazionale di università di Germania, Italia, Francia, Paesi Bassi e Polonia. Per l’Italia prenderanno parte la Cattolica e la Statale di Milano. Da tempo la solitudine è all’ordine del giorno dell’Unione europea. Il discorso infatti è stato avviato già nel 2023 con il programma Horizon che ne esplorava gli impatti socioeconomici. Nello stesso anno l’Oms - consapevole dell’importanza crescente del fenomeno a livello globale - istituiva una Commissione sulla connessione sociale. Per l’Organizzazione Mondiale

della Sanità, infatti, la solitudine “è una minaccia seria alla salute delle persone e delle comunità”. È lo stesso direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus, a dichiarare che «gli alti tassi di isolamento sociale e solitudine in tutto il mondo hanno gravi conseguenze per la salute e il benessere. Le persone senza connessioni sociali abbastanza forti sono a maggior rischio di ictus, ansia, demenza, depressione, suicidio e altro ancora».

La Commissione, della durata triennale, è attualmente al lavoro per studiare le strategie più efficaci ad affrontare quella che è ormai una “minaccia sanitaria urgente” di un’epidemia globale di solitudine. Il suo compito è quello di analizzare il ruolo centrale delle relazioni umane nel promuovere la salute delle persone di tutte le età e di esaminare come la connessione sociale, migliorando il benessere sociale, contribuisca a promuovere il progresso economico, lo sviluppo sociale e l’innovazione. Contrariamente alla percezione comune - che colpisca principalmente le persone anziane nei paesi ad alto reddito -, la mancanza di connessione ha in realtà un impatto su tutte le fasce d’età. Secondo una ricerca condotta dall’O-

nu, un anziano su quattro sperimenta l’isolamento sociale e i tassi sono simili in tutte i paesi del mondo. La solitudine è però anche presente tra il 5 e il 15% degli adolescenti, ed è probabile che queste cifre siano sottostimate. Un aspetto da non sottovalutare è che la disconnessione sociale può portare a risultati scolastici peggiori: i giovani senza amici al liceo hanno maggiori probabilità di abbandonare l’università. Ma anche a risultati economici peggiori: sentirsi ‘disconnessi’ e non supportati nel lavoro può portare a una minore soddisfazione e a prestazioni lavorative più scadenti. Diversi studi dimostrano come la mancanza di relazioni sociali produca danni gravi sulla salute psicofisica, al punto che in Gran Bretagna per affrontare il problema, nel 2018 è stato nominato il primo “ministro per la Solitudine”, Tracey Crouch.

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Un carrettino carico di libri trainato da una bici, e accanto una donna seduta che aspetta. Passeggiando per le strade di Torino potreste incontrare Chiara Trevisan, anche conosciuta come La Lettrice Vis à Vis, che vi accoglierà nel suo salottino di strada e troverà la pagina giusta per ognuno, «per la persona giusta», come lei stessa dice. «Allestisco un salottino, con un tappeto, degli sgabelli, un abat-jour, e poi il mio carrettino, che funge da biblioteca. Ho anche una scatola piena di foglietti, nei quali ci sono delle suggestioni fatte di parole chiave, frasi mie o citazioni, che io chiamo “il mio catalogo delle idee” - racconta Chiara Trevisan, artista di strada libera che ha avviato il suo progetto di “Lettrice Vis à Vis” nel 2013 -. La gente mi intercetta e un attimo mi guarda. Non faccio niente, se non seminare su alcune lavagne delle frasi che suggeriscono cosa succede. Questo è il modo in cui invito le persone ad avvicinarsi e a scegliere alcuni foglietti dalla mia scatola, facendomi raccontare cosa li lega a quelle frasi». Da lì inizia il lavoro artistico e umano di Chiara, che con l’ascolto del suo ospite e la lettura successiva di un frammento di libro da lei scelto, coinvolge lo spettatore nella sua performance letteraria. Uno spazio in cui lo spettatore diventa co-protagonista di questo piccolo set teatrale di strada, dove può sperimentare un momento di condivisione e riflessione con al centro i libri e la lettura.

Una scelta artistica che è una sfida, alla luce degli ultimi dati sul calo dei lettori in Italia solo nell’ultimo anno. Ma per Chiara Trevisan il progetto de La Lettrice Vis à Vis nasce in modo naturale. Da “lettrice fortissima fin da bambina”, diventa poi lavoratrice dello spettacolo professionista nel 2002, facendo esperienza per dieci

LA LETTRICE VIS À VIS

PERFORMER LETTERARIA

CHE

AVVICINA ALLA LETTURA

Chiara Trevisan, da dodici anni, ospita appassionati e curiosi nel suo salottino di strada a Torino

Dal lavoro in teatro al ‘catalogo delle idee’ «Vi racconto il mio progetto»

di Anna Giuffrida

anni nel teatro di figura e nel teatro di oggetti, con spettacoli ‘uno a uno’. Da lì la consapevolezza di voler lavorare creando una relazione forte con il pubblico. «Non sono un’attrice da palco, non mi interessa quella distanza. Ciò che mi è sempre interessato, e mi ha fatto approdare al progetto de La Lettrice Vis à Vis, è creare qualcosa che fosse di volta in volta frutto di una collaborazione tra me e gli spettatori, in cui il pubblico è sempre chiamato ad agire con me per costruire insieme lo spettacolo, mentre ac-

cade. Tecnicamente si tratta di una “performance human specific”, costruita cioè in dialogo con l’umanità che incontro. Tutto questo è una cosa che mi appartiene da sempre - spiega Chiara -. Il fatto che questo progetto si sviluppa attorno ad un libro è perché sono abituata ad utilizzare i libri nelle mie conversazioni, pescando dalla mia memoria letteraria ciò che può servire ad aggiungere qualcosa, a cambiare punto di vista». Tra gli avventori della performance della Lettrice Vis à Vis capita che a

fermarsi siano lettori assidui, ma anche persone meno abituate a leggere e che spesso hanno un «rapporto di inibizione con i libri», aggiunge Chiara parlando della sua esperienza di artista-lettrice. Ma quello che ha scoperto con il suo progetto artistico e letterario è che, superato l’imbarazzo iniziale, anche lo spettatore più titubante scopre la bellezza di un libro. «Da fuori, vedo come cambiano le persone: si avvicinano, e io sono uno spettacolo; quando poi sono sedute e inizia lo scambio, si crea un’area di sospensione del giudizio e di relazione molto intensa. La maggior parte delle persone non si rende conto di essere parte di una performance, poi si svegliano con aria un po’ smarritaracconta Chiara, sorridendo -. Alcuni si alzano e dicono “non pensavo che un libro parlasse proprio con me”. E se anche una sola persona che ha spe-

rimentato questo momento dopo dice così, vuol dire che ho fatto il meglio del lavoro possibile».

Nella biblioteca viaggiante di Chiara si trovano romanzi, poesie, racconti, tutti della letteratura contemporanea, in pubblicazioni di piccola e media editoria indipendente. Un lavoro di selezione e lettura accurata che nel tempo è diventata un’occasione di collaborazioni per Chiara e il suo progetto, con la scrittura di bugiardini, testi che invitano alla lettura di un libro il lettore, e che fino all’anno scorso erano anche contenuti nell’omonimo podcast. Intanto, Chiara prosegue le sue letture anche online,

«Non faccio niente se non seminare su alcune lavagne delle frasi che suggeriscono cosa succede. Questo è il modo in cui invito le persone ad avvicinarsi e a scegliere alcuni foglietti dalla mia scatola»

dando la possibilità di regalare incontri di lettura anche via web. E a un lettore sconosciuto, che non l’ha ancora incontrata, che libro consiglierebbe La Lettrice Vis à Vis? «Proporrei, giocando, di mettersi davanti allo scaffale di una biblioteca e andare istintivamente verso un libro, magari ad occhi chiusi, dando una chance a quello che capita», dice Chiara. Leggendo, poi, si scopre che contano più le domande delle risposte. «Le domande sono la cosa più interessante, più delle risposte, perché mi è stato insegnato che sostenere le domande è la parte più nutriente e creativa dell’esistenza», chiosa Chiara.

©️MARCO ALPOZZI
©️LUGANO BUSKERS

OLTRE LE USANZE

LA BATTAGLIA CONTRO

LE MUTILAZIONI

GENITALI FEMMINILI

Le tradizioni caratterizzano da sempre il patrimonio identitario di ogni cultura: usanze, saperi e valori che sopravvivono al tempo attraverso le generazioni. Conoscere riti, usi e costumi di altre realtà spalanca una finestra sul mondo, permettendoci di apprezzarne bellezza e complessità. Spesso ne subiamo il fascino, talora ci lasciano perplessi. A volte, attoniti. Come nel caso della pratica ‘tradizionale’ delle mutilazioni genitali femminili (Mgf) in cui rientrano, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, tutte le azioni “di rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o di altre alterazioni indotte agli organi genitali femminili, effettuate per ragioni culturali o altre ragioni non terapeutiche”. Una consuetudine arcaica applicata per ‘motivi culturali’, che affonda le sue radici nel continente africano - in particolar modo nell’area sub-sahariana -, in Asia e nel Medio Oriente, come espressione simbolica di un sistema economico e sociale di strategie matrimoniali fondato sul ‘valore’ della sposa, la castità. Una condizione ‘ricompensata’ in denaro o bestiame dalla famiglia dello sposo. Effettuate da praticanti tradizionali, le Mgf vengono eseguite su bambine e ragazze - spesso senza alcuna anestesia - in modi e tempi diversi, a seconda dell’etnia: in alcuni casi, nella primissima infanzia, in altri, tra i 3 e i 14 anni, comportando gravi conseguenze sulla salute psicofisica se non mettendo a rischio la loro stessa vita.

Nel 2012 l’Organizzazione Mondiale delle Nazioni

Unite si è schierata contro le Mgf e ha istituito la Giornata mondiale che ricorre il 6 febbraio

di Donatella Ottavi

Secondo il rapporto Unicef Female Genital Mutilation. A Global Concern 2024, i dati più elevati di queste procedure si riscontrano nei paesi africani, con più di 144 milioni di casi,

seguiti da oltre 80 milioni in Asia e 6 milioni in Medio Oriente. Unicef e Unfpa (Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione) si battono da anni per porre fine a questo fenomeno e, dal 2008, portano avanti il più grande piano mondiale dedicato al contrasto delle mutilazioni. Un’iniziativa che ha coinvolto 2,8 milioni di persone in eventi pubblici di sensibilizzazione e raddoppiato il numero delle comunità che hanno istituito strutture di sorveglianza per proteggere le donne-bambine. Amref (African Medical and Research Foundation) - che si è già espressa sul tema attraverso le parole dell’operatice Nice Nailantei Leng’ete in un’intervista pubblicata sul numero 50&Più di novembre 2023 - e l’associazione L’Albero della Vita sono alcune delle organizzazioni che operano per contrastare il fenomeno attraverso il coinvolgimento di giovani con un background migratorio e di membri delle comunità interessate, portando avanti progetti per ridurre il numero delle ragazze a rischio Mgf presenti in Italia e in Europa. Nel 2012 l’Organizzazione Mondiale delle Nazioni Unite si è schierata contro le mutilazioni genitali femminili, istituendo una Giornata mondiale dedicata al tema che ricorre proprio il 6 di questo mese. Nel frattempo, sono stati fatti passi avanti. Oggi, rispetto a 30 anni fa, le ragazze hanno un terzo di probabilità in meno di subire questa pratica. Promuovere il rispetto dei diritti umani di bambine e adolescenti, supportare le vittime, sostenere le organizzazioni che portano avanti questa battaglia è dovere di tutti noi. Ogni piccola azione conta e può fare la differenza. Non giriamo la testa dall’altra parte.

Economia

Le vendite natalizie non hanno brillato, ma sono andate meglio delle previsioni. Ora si entra nel vivo della stagione degli innamorati con San Valentino. Le quasi 13mila gioiellerie italiane si trovano in una fase, a dir poco, particolare. Il settore è in crescita, con un incremento del fatturato, spinto soprattutto dalla vivacità delle esportazioni e dal boom delle vendite online. Ben l’88,2% delle imprese vende anche su internet. Tuttavia, nonostante questi segnali positivi, siamo di fronte ad una flessione del numero di gioiellerie attive e degli addetti nel settore: dal 2013 al 2021 sono spariti 4.000 punti vendita, con la conseguente perdita di 3.000 posti di lavoro (fonte Osservatorio Federpreziosi). Secondo il presidente di Federpreziosi-Confcommercio, Stefano Andreis, siamo di fronte a una trasformazione profonda dell’intera filiera dell’oro. «Negli ultimi anni, il mercato italiano della gioielleria e dei preziosi ha vissuto profondi cambiamenti, segnati da tendenze contrastanti tra domanda e offerta. Mentre l’export si conferma un pilastro per il settore, il mercato interno mostra segnali di rallentamento. I consumatori italiani stanno adottando un approccio più attento al rapporto qualità-prezzo, con un crescente interesse per gioielli di fascia media e design accessibili. Tuttavia, il segmento del lusso continua a performare bene, sostenuto da una clientela esigente e orientata verso l’esperienza premium. Parallelamente, il canale digitale sta guadagnando terreno. Nel 2023, le vendite online hanno raggiunto i 938 milioni di euro (+19% rispetto al 2022), rendendo l’e-commerce una componente sempre più centrale per le strategie aziendali. Un dato preoccupante riguarda il calo del numero di gioiellerie. Questa flessione è legata alla chiusura di attività meno competitive e alla concentra-

STEFANO ANDREIS

«L’OREFICERIA

ITALIANA DEVE PUNTARE SU FORMAZIONE E INNOVAZIONE»

Il presidente di Federpreziosi-Confcommercio

fa il punto sullo stato di salute del settore già in crescita da tempo

zione delle oreficerie in grandi centri urbani, dove è più facile attrarre una clientela diversificata. Insomma, il mercato della gioielleria in Italia è a un bivio. Da un lato, l’espansione del mercato internazionale e la crescita dell’e-commerce offrono opportunità senza precedenti per le aziende che sanno innovare. Dall’altro, la contrazione del mercato interno e la riduzio-

ne dei punti vendita fisici sottolineano la necessità di ripensare i modelli di business tradizionali». Il dato certo è che comunque il nostro paese continua a essere un leader nella realizzazione di gioielli. «La lavorazione dell’oro in Italia non è solo un’attività economica - spiega Andreis -, ma un’arte che affonda le sue radici in una tradizione antica. Le maestranze italiane hanno saputo tramandare tecniche uniche, evolvendosi con l’integrazione di tecnologie moderne, senza mai perdere il valore dell’eccellenza manuale. È questa capacità di innovare nel rispetto della tradizione che ha reso i gioielli italiani un simbolo di prestigio e bellezza nel panorama globale. I numeri confermano questa reputazione: l’Italia esporta circa il 70% della propria produzione orafa, con una crescita costante del valore delle esportazioni. A sostenere questo successo internazionale non è solo la qualità intrinseca dei prodotti, ma anche gli investimenti in design innovativo, personalizzazione e sostenibilità. Nonostante il successo, il comparto orafo italiano deve fronteggiare sfide complesse. Paesi come Cina, In-

dia e Turchia diventano concorrenti sempre più rilevanti, grazie a costi di produzione inferiori e capacità produttive elevate. Questi mercati, particolarmente competitivi nei segmenti di fascia media e bassa, stanno sottraendo quote di mercato alle aziende italiane. Per differenziarsi, le imprese italiane devono continuare a puntare sulla qualità, sul design esclusivo e sull’utilizzo di materiali premium». Anche l’oreficeria sta puntando molto sulla sostenibilità che sta diventando sempre più una priorità imprescindibile per i consumatori: «la richiesta di gioielli realizzati con materiali etici e tracciabili è in forte crescita. Le imprese italiane devono adeguarsi, adottando filiere trasparenti e utilizzando materiali sostenibili come oro riciclato e pietre preziose tracciabili, che rispettino standard ambientali e sociali elevati. La sostenibilità non deve essere vista solo come un obbligo, ma come un’opportunità concreta. Investire in materiali riciclati, tecnologie green e pratiche di produzione responsabili può attrarre consumatori sempre più attenti all’impatto ambientale dei loro acquisti, rafforzando al contempo

il posizionamento del made in Italy». Il presidente di Federpreziosi è ottimista per il futuro del settore pur avendo la consapevolezza di alcune forti criticità, come la carenza di manodopera qualificata e la volatilità dei prezzi dell’oro. «La mancanza di interesse delle nuove generazioni per le carriere artigianali minaccia la trasmissione delle competenze tradizionali. Tuttavia, il potenziale di crescita resta alto, se il settore saprà innovare, promuovere la formazione professionale e integrare il marketing digitale. Investire in design e collaborazioni internazionali può consolidare la leadership dell’Italia, che deve unire tradizione e tecnologia per affrontare la concorrenza globale e le sfide future».

«Investire in materiali riciclati, tecnologie green e pratiche di produzione responsabili può attrarre consumatori sempre più attenti all’impatto ambientale dei loro acquisti»

HAITI

UN PAESE IN LOTTA PER LA SOPRAVVIVENZA

Con la capitale quasi sotto il totale controllo delle bande armate l’Onu cerca di ristabilire l’ordine con un piccolo esercito di poliziotti keniani ma la situazione rimane critica, con aeroporti chiusi migliaia di sfollati e fughe dalle prigioni

Haiti sta vivendo una crisi senza precedenti: circa l’85% della capitale, Portau-Prince, è sotto il controllo delle bande armate. Per tentare di ripristinare l’autorità statale, le Nazioni Unite hanno organizzato una forza internazionale, al momento composta esclusivamente da poliziotti keniani. La situazione è tutt’altro che rosea: mancano fondi e personale. Lo scorso anno, il paese ha registrato oltre 2.500 morti violente e quasi mezzo milione di sfollati interni. Nel luglio 2021, l’assassinio del presidente Jovenel Moïse ha segnato l’inizio di una progressiva discesa nel caos. A febbraio 2024, il primo ministro Ariel Henry ha lasciato Haiti per una serie di viaggi ufficiali. Durante la sua assenza, le bande armate hanno intensificato le attività, provocando la chiusura dell’aeroporto internazionale e la fuga di oltre 4.000 detenuti dalle prigioni.

Henry non è mai tornato ad Haiti e ha formalizzato le sue dimissioni da Los Angeles. A metà novembre 2024, l’aeroporto di Port-au-Prince è stato nuovamente chiuso dopo che bande armate hanno aperto il fuoco su un volo della Spirit Airlines, ferendo un assistente di volo. In questo quadro di profonda instabilità, il governo del Kenya ha accolto la richiesta delle Nazioni Unite, inviando un contingente di forze di sicurezza ad Haiti. Nelle intenzioni dell’Onu, la missione avrebbe dovuto essere sostenuta da una forza internazionale finanziata con 600 milioni di dollari. Tuttavia, fino a oggi, sono arrivati ad Haiti solo 400 agenti keniani e una ventina di poliziotti giamaicani, un numero significativamente inferiore rispetto ai 2.500 uomini inizialmente promessi da vari paesi, tra cui Ciad, Benin, Bangladesh e Barbados. L’obiettivo di riportare l’ordine e garantire la sicurezza della popolazione civile rap -

presenta un importante esempio di collaborazione internazionale in un contesto particolarmente complesso. Nairobi, dal canto suo, vede questa missione come un’occasione per affermare il proprio ruolo sulla scena globale. «Il nostro impegno ad Haiti non è solo una risposta a una crisi umanitaria, ma anche un contributo alla stabilità globale», ha dichiarato Alfred Mutua, ministro degli Esteri keniano, sottolineando la necessità di affrontare le sfide transnazionali con uno sforzo congiunto. Anche António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha lodato l’iniziativa del Kenya, definendola «un atto di leadership responsabile e solidale» in un momento in cui il popolo haitiano ha un disperato bisogno di sostegno internazionale. La scelta del Kenya di intervenire in un contesto così lontano è anche strategica. Partecipare a una missione di ‘peacekeeping’ (mantenimento della pace, ndr) consente al paese africano di rafforzare il proprio peso diplomatico. «Questo intervento dimostra che il Kenya è pronto a essere un attore chiave nelle missioni di stabilizzazione globali», ha aggiunto Mutua, evidenziando come l’operazione possa migliorare le relazioni internazionali del paese. Il problema principale resta però il finanziamento: dei 600 milioni promessi, le Nazioni Unite hanno raccolto solo 85 milioni. I paesi del G7, inclusa la Francia - ex potenza coloniale che controllava Haiti -, non hanno offerto il loro contributo. Di conseguenza, il successo della missione dipende quasi esclusivamente dai fondi statunitensi. Tuttavia, il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca rischia di compromettere ulteriormente il sostegno alla missione. Nonostante le difficoltà, il Kenya ha già formato

altri 600 agenti pronti per essere inviati a Port-au-Prince, ma senza un contributo economico significativo da parte di Washington, il loro dispiegamento non sarà possibile. La presenza del contingente keniano ha suscitato reazioni contrastanti tra la popolazione haitiana. Molti vedono nella missione una speranza per il futuro, ma persistono dubbi sull’efficacia delle forze internazionali nel contrastare il potere consolidato delle bande criminali. Finora, i poliziotti di Nairobi sono riusciti a riconquistare buona parte dei sobborghi nei pressi dell’aeroporto, permettendo ad alcuni velivoli delle Nazioni Unite, soprattutto elicotteri, di effettuare consegne di aiuti e prelievi di operatori umanitari. Inoltre, la forza keniota ha ripreso possesso di alcune caserme e commissariati precedentemente occupati dalle gang. Tuttavia, i territori circostanti restano sotto il controllo delle bande, che continuano a mantenere posti di blocco armati e a ingaggiare scontri con le forze di sicurezza. Nell’ultima parte dell’anno, i poliziotti keniani sono stati vittime di numerose imboscate da parte delle gang. Haiti, priva di un esercito in grado di difendere la popolazione e senza una propria capacità produttiva di armi e munizioni, importa tutto dall’estero. In questo scenario di collasso statale, le gang acquistano le loro forniture quasi esclusivamente dagli Stati Uniti, consolidando il loro controllo sulla capitale. A oggi, l’unico argine rimane la polizia keniana.

È ARRIVATO IN LIBRERIA IL QUARTO VOLUME 50&PIÙ

28 esperti raccontano i linguaggi, le esperienze e le modalità della partecipazione

Dopo il lavoro, la tecnologia e i diritti visti attraverso lo sguardo della popolazione senior, il nuovo volume della Fondazione 50&Più ETS e Fondazione Leonardo indaga il tema della partecipazione grazie anche ad una vasta ricerca demografica. Entro il 2050, il 20% della popolazione mondiale avrà più di 65 anni: un cambiamento con implicazioni ancora più profonde per la società di oggi. Tra le sfide principali ci sarà quella di garantire la partecipazione delle persone anziane nel lavoro, nella vita sociale, culturale, politica e nel volontariato. Partecipare, infatti, non solo contribuisce al benessere, ma riduce solitudine ed emarginazione, elimina le disuguaglianze, promuove la collaborazione tra persone e comunità. Ventotto esperti indagano ambienti, soggetti, comunità, linguaggi, esperienze e modalità che possono facilitarla. Il risultato è un’opera di 468 pagine che rimette al centro il tema dell’associazionismo come momento di passaggio dal coinvolgimento alla partecipazione.

È possibile acquistare il volume Partecipazione, fondamento per il benessere e la coesione sociale presso le migliori librerie oppure ordinarlo su www.mulino.it, collana “Percorsi”.

MUSICA, SOGNO O RIVOLUZIONE

Woodstock, Live Aid, Sanremo, cinema, radio e riabilitazione sociale

Il nostro tour tra le note che hanno segnato epoche e generazioni

Enrico Ruggeri: «Attraverso le canzoni si trova il coraggio di osservare la realtà»

a cura di

Stefano Mannucci, Anna Bisogno, Raffaello Carabini
Ghighi Di Paola, Flavio De Bernardinis, Anna Grazia Concilio

Primo piano

LA MUSICA COME RIVOLUZIONE DAI SOGNI DI WOODSTOCK ALLA REALTÀ DI ALTAMONT

Una notizia da una colonna. Quando il New York Times decise di inviare il reporter Bernard Collier a Woodstock, valutò che il sugo dell’evento fosse solo il traffico nell’area del raduno. Dove comunque si attendevano non più di qualche decina di migliaia di spettatori - paganti - per un festival che proponeva buona parte del gotha della scena rock, da Hendrix a Janis Joplin, dai Jefferson Airplane agli Who o i Santana, più il nuovo supergruppo Crosby, Stills, Nash & Young. Anche gli assenti si facevano notare. La trattativa per i Beatles non era andata oltre un pour parler, poiché Lennon tentava di imporre nel pacchetto la Plastic Ono Band con Yoko Ono; i Led Zeppelin erano alle prese con il tour; Joni Mitchell, scritturata per un programma in tv, diede forfait. Collier fu l’unico giornalista dei grandi media a testimoniare cosa stesse accadendo nella tenuta del fattore Max Yasgur: e capì che il suo articolo non avrebbe potuto ridursi a un bollettino sugli ingorghi stradali. C’era da scrivere il resoconto di tre giorni epocali di “pace amore musica”, con contorno di tempeste (e rischio di choc elettri-

ci), fango, acidi, erba, entrata a sbafo dopo aver travolto le recinzioni, più una nauseante puzza per la scarsità dei servizi igienici. In cinquecentomila aderirono alla “Woodstock Nation” per un weekend più illusorio che utopico: complice lo sballo, tutti credettero fosse una praticabile alternativa a una grigia esistenza borghese. Chissenefrega delle performance, non tutte all’altezza delle aspettative. Però quando Hendrix, ormai nel mattino del quarto giorno (lunedì 18 agosto

1969) torturò con la chitarra l’inno Usa, trasformandolo in un incubo espressionista anti-Vietnam, segnò il climax del declinante decennio delle speranze. Jimi, l’ex paracadutista dell’esercito, faceva della sua Fender l’arma di una consapevolezza di massa: l’America era responsabile dell’orrore nel sud-est asiatico, a spese dei civili e dei marines arruolati attraverso un perverso sorteggio tv. Quell’esibizione, davanti a sessantamila irriducibili rimasti sul prato, staccò un

di Stefano Mannucci, giornalista, critico musicale

frammento di leggenda. Anche grazie a un incrocio astrale irripetibile: nel giro di tre settimane una generazione di giovani aveva conquistato la Luna con l’Apollo 11 ed esplorato galassie psichiche a Woodstock. Saldando in missioni parallele i nerd di Cape Canaveral e i discepoli del r’n’r. Ma di festival sincronizzati con il passo di una filosofia liberatoria erano già piene le cronache. A volte, la “rivoluzione” poteva aver luogo persino in totale contrasto con le regole d’ingaggio della kermesse: al Folk Festival di Newport ’65 Dylan aveva varcato il Rubicone tra acustico ed elettrico, scandalizzando i puristi che pretendevano di ingabbiarlo in veste di portavoce del pacifismo: Dylan sentiva l’esigenza di smarcarsi verso una carriera da rockstar di trasversale vocazione poetica e fece scandalo tra i fischi, come documenta il biopic A Complete Unknown. Più lineari, invece, le kermesse hippy di Monterey ’67 e le transumanze all’Isola di Wight. Peccato che proprio alla fine dello stesso anno di Woodstock (e della catartica apparizione dei Beatles sul tetto della Apple, il 30 gennaio) una di queste maximobilitazioni confermò che non esistessero chance di una pacifica adesione a un “movimento” giovanile, ma che il motore della musica dal vivo fosse acceso solo dal mero business. Il 6 dicembre ’69, nell’oceanica folla all’Autodromo di Altamont, in California, un giovane fu ucciso dal servizio d’ordine degli Hell’s Angels, ingaggiati dai Rolling Stones. Con quell’omicidio, immortalato nel documentario Gimme Shel-

ter, la cultura rock abdicò dalla sua funzione di catalizzatore di idee per un mondo nuovo. Avrebbe tentato di riabilitarsi, non senza contraddizioni, il 13 luglio 1985. Quel giorno, dai palchi di Wembley e Philadelphia fu trasmesso in mondovisione (per due miliardi di telespettatori) il Live Aid. Staffetta di star voluta dal leader dei Boomtown Rats, Bob Geldof, e da Midge Ure (Ultravox) per raccogliere fondi destinati a combattere la carestia in Etiopia. Impresa titanica, pure sul piano tecnologico. E se, di nuovo, gran parte delle esibizioni si rivelarono deludenti, almeno il mini

Un viaggio attraverso i più grandi eventi della storia che hanno segnato epoche e formato generazioni, in occasione del quarantesimo anniversario del Live Aid

live dei Queen a Londra resta tra i più riusciti della mitologia rock, con Freddie Mercury capace di tenere in pugno non solo lo stadio, ma tutto il pianeta (lo ha ricordato il film Bohemian Rhapsody). Eppure, anche in quel caso, l’utopia si rivelò abbaglio: Geldof e gli altri promotori del Live Aid si resero presto conto che gli aiuti alimentari delle donazioni venivano intercettati in Etiopia dal colonnello Menghistu, il dittatore deciso ad affamare le popolazioni ostili al regime. Una beffa che marcò, da allora, i chiaroscuri del “rock dell’impegno”, i benefit ciclicamente riproposti dopo catastrofi naturali (l’ultima il 30 gennaio scorso, con il Fire Aid dopo i roghi di Los Angeles) o per mobilitazioni politiche e istanze sociali. C’è sempre l’ombra di una filigrana davanti alla luce della grande musica live.

Woodstock 1969

Q

uando nel 1951 va in onda - per la prima volta - alla radio il Festival della Canzone Italiana di Sanremo l’Italia è un Paese denso di trasformazioni sociali, che vive un’epoca di ottimismo e sta ricostruendo la comunità nazionale sulle macerie materiali e immateriali lasciate dalla Seconda guerra mondiale. Proprio in quella fase, e ancor più negli anni del cosiddetto “boom economico”, il Festival ha saputo appassionare gli italiani in modo unico, diventando un evento popolare ineguagliabile oltre che un prezioso strumento d’indagine sull’evoluzione del costume degli italiani e sullo stato di salute della nazione. Le canzoni di Sanremo raccontavano della necessità di un presente che prendesse le distanze dal passato e dalle tracce profonde che aveva lasciato ma anche di una condizione più sfaccettata e sofferente per gli alti costi etici, materiali ed emotivi con cui si era giunti alla democrazia.

Se il cinema, almeno fino all’avvento pervasivo della televisione, ha saputo nel secondo dopoguerra raccontare l’Italia alla prova della democrazia, della rinascita e delle realizzazioni, la canzone - e in particolar modo la canzone

SANREMO E LE EDIZIONI DA NON DIMENTICARE (O FORSE SÌ)

E mentre gli italiani si apprestano a vivere la ‘settimana santa’ del Festival, alziamo il sipario sugli eventi più indimenticali della kermesse canora

di Anna Bisogno, Professore Associato Cinema Radio e TV Università Mercatorum

di Sanremo - più prosaicamente mostrava l’identità di un paese attraverso il linguaggio della musica, detta allora ‘leggera’, ma che sarebbe diventata di massa nella fruizione e nel diletto. In nessun paese europeo una manifestazione di canzoni ha avuto la stessa funzione nazionale che, a partire dal 1951, ha svolto il Festival di Sanremo che si propose da subito come un caso paradigmatico di media event, una di quelle grandi cerimonie mediatiche con cui si celebra l’empatia collettiva. Nel corso della sua lunga storia, che quest’anno celebra 75 anni, il Festival della Canzone Italiana ha conosciuto edizioni più indimenticabili di altre per stravaganze, polemiche, accadimento che hanno influito - e non poco - sullo spettacolo televisivo e sulla resa dell’evento stesso entrando di diritto nella storia della tv. Vale dunque la pena rivolgere il nastro.

SANREMO 1961

Celentano di spalle

Un giovanissimo Adriano Celentano, contestatore in fieri, canta 24.000 baci (di per sé già scandaloso, perché rock and roll) voltando le spalle alla platea. È scandalo!

SANREMO 1966

Il finto svenimento

Mike Bongiorno conduce il Festival affiancato da Carla Puccini e Paola Penni. La Puccini tenta il colpo promozionale e finge di svenire cadendo sul palco. Mike fiuta il presunto inganno e quando vede Carla accasciarsi, continua imperterrito lo show.

SANREMO 1967 (1)

Tenco si toglie la vita

La 17ª edizione del Festival di Sanremo, vinta da Claudio Villa e Iva Zanicchi, fu funestata dalla notizia del

suicidio di Luigi Tenco, che si tolse la vita con un colpo di pistola nella sua stanza dell’Hotel Savoy nella notte tra il 26 e il 27 gennaio.

SANREMO 1986

La Bertè con il pancione

La cantante interpreta la sua Re affiancata da due ballerine e tutte e tre indossavano un finto pancione.

SANREMO 1987

È morto Claudio Villa

«Devo dare una brutta notizia e mi sembra doveroso interrompere per un momento questo spettacolo che è fatto di festa, di gioia e di canzoni per rivolgere l’ultimo applauso a Claudio Villa». È appena calato il sipario sulla 72ª edizione del Festival di Sanremo ma era proprio dal palco dell’Ariston, il 7 febbraio di 35 anni fa, che Pippo Baudo annunciava la morte del Reuccio della canzone italiana.

SANREMO 1992 (2)

“Questo Festival è truccato” Durante la prima serata, appare improvvisamente Mario Appignani, conosciuto anche con lo pseudonimo di “Cavallo Pazzo” e noto per le sue azioni da disturbatore seriale in diversi eventi pubblici. Appignani irruppe sul palco gridando «Questo Festival è truccato e lo vince Fausto Leali».

SANREMO 1995

Pippo Baudo e l’aspirante suicida Baudo, oltre a dover digerire e gestire l’assenza di Elton John, riesce a salvare un aspirante suicida: Pino Pagano è un operaio disoccupato e bisognoso di soldi che, nell’edizione del 1995, minaccia di lanciarsi dalla galleria del Teatro Ariston. Pippo Baudo corre in galleria, lo abbraccia e lo rassicura, facendo scavalcare di nuovo e convincendolo a non commettere il folle gesto.

SANREMO 2010

L’orchestra protesta

Il televoto decretò l’eliminazione di Malika Ayane, in gara con Ricomincio da qui, premiando il discutibile trio formato da Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici, con la canzone Italia amore mio. L’orchestra, saputa la notizia, mise in atto una vera e propria protesta, urlando “vergogna” e lanciando gli spartiti a terra, lasciando Antonella Clerici sbigottita di fronte al da farsi. Alla fine vinse Valerio Scanu con Per tutte le volte che e il trio arrivò secondo, decretando uno dei podi più criticati di sempre.

SANREMO 2014

Il sipario bloccato e i contestatori Durante la prima serata della kermesse, Fabio Fazio visse in prima persona l’incubo di ogni conduttore ovvero il sipario che, nonostante abbia sempre funzionato regolarmente durante le prove, non si alza (bloccandosi ad un metro da terra).

L’inconveniente tecnico costrinse il conduttore ad improvvisare, anche perché subito dopo fu nuovamente interrotto da due contestatori-aspiranti suicidi.

SANREMO 2020 (3)

“Dov’è Bugo?”

Sono le due di notte, tocca a Bugo e Morgan esibirsi. Morgan inizia a cantare, ma non è la loro canzone bensì un pezzo nuovo che recita: “Le brutte intenzioni, la maleducazione, la tua brutta figura di ieri sera”. Si tratta dell’ennesima provocazione di Morgan nei confronti del suo partner artistico che abbandona il palco. La musica si ferma e arrivano le parole più famose del 2020: “Che succede? Dov’è Bugo?”.

SANREMO 2021 (4)

Il Festival senza pubblico. E Irama in gara con il video

A causa dell’emergenza sanitaria l’edizione si svolge senza pubblico. Sulle poltrone palloncini e cartonati. Irama non si esibisce a causa della positività di due collaboratori, resta in gara grazie a una modifica last minute del regolamento voluta da Amadeus: sarà in gara con il video registrato alle prove.

L’album dei ricordi si chiude. Si alza il sipario sull’edizione 2025.

ENRICO RUGGERI

CANTA LIBERO ARBITRIO

GUERRE, EUROPA E FELICITÀ

Intervista al cantautore milanese

che pubblica il nuovo album La caverna di Platone a tre anni di distanza dall’ultimo lavoro

di Raffaello Carabini

Aveva progettato di fare il musicista sin dall’età di otto anni e iniziato in cantina con i compagni di scuola, ed Enrico Ruggeri è riuscito benissimo nel suo intento. «Direi che la mia vita è andata oltre ogni più rosea aspettativa: non pensavo certo di durare così a lungo», ci dice.

Lei è arrivato al grande pubblico proprio con i Decibel e la Contessa che avete proposto a Sanremo nel 1980, poi ne ha vinte due edizioni con passi avanti importanti per la sua carriera. Cosa pensa del Festival oggi?

Sanremo è un palco importante, ma ormai lo vedo più come un grande show che come un festival della canzone. È un grande evento mediatico, che deve tener conto di mille fattori, quasi tutti extra musicali. Dopo l’esperienza con i Decibel ho capito che il tipo di successo più gratificante è quello che si ottiene lentamente, perché è meno frastornante, la gente si aspetta meno da te e non sei legato a dei cliché. Quasi in opposizione ai cantanti del festival Ruggeri, a tre anni dal riuscito La rivoluzione, propone un nuovo cd pochi giorni prima della kermesse sanremese. Un disco complesso e articolato fin dal titolo La caverna di Platone, che si rifà alla “dottrina delle idee” del filosofo greco vissuto a caval-

lo del V e del IV secolo a.C., secondo la quale forme eterne e immutabili, universali e necessarie, le ‘idee’ appunto, sono il fondamento del mutevole divenire del reale. Un disco difficile, duro, da ascoltare senza distrazioni, in cui il cantautore parla della felicità perduta, della sua idea di Europa, degli intellettuali scomodi, della guerra e della Milano di oggi, di aspettative al femminile e della solitudine. In un periodo complicato come l’attuale, in cosa un disco può aiutare noi ascoltatori?

Non credo che un album possa ‘aiutare’, al massimo può aprire orizzonti diversi. Aiuta a fare i conti con sé stessi, a guardare dentro le proprie debolezze senza fuggire. Viviamo in un mondo che spesso ci spinge a distrarci per non affrontare ciò che ci spaventa, ma credo che trovare il coraggio di osservare la realtà, anche quella più cruda, possa renderci più consapevoli. Il mio non è un disco che promette facili soluzioni, ma invita a riflettere, e la riflessione, per

quanto scomoda, è sempre il primo passo verso un cambiamento. La prima dichiarazione programmatica del cd è che per affrontare il domani bisogna guardarsi anche indietro. I grandi eroi non sono mai vissuti invano e il segno che lasciano in realtà non si può cancellare. In Gli eroi del cinema muto ho cercato sonorità che mi aiutassero a ritrovare un mondo perduto, mettendo al centro i volti sbiaditi, ma pieni di intensità, di personaggi che un tempo erano esaltati da tutti. Le stelle del muto dovettero fare i conti con un cambiamento importante e molte furono dimenticate. In generale ci sono antichi valori cui guardare eccome!

Canta anche la guerra, sia quella reale che quella interpersonale, dove “Dio non c’è”. E non ci dà la speranza che risorga. Un po’ tutto il disco è pessimista.

Non lo definirei pessimista, ma realistico. Qui non ci sono vincitori, perdono tutti, l’umanità in primis. Zona di guerra non vuole dare risposte facili o speranze costruite su illusioni. Non c’è effettivamente molto spazio per l’ottimismo: è un racconto crudo su cosa

vuol dire avere la guerra sull’uscio della propria casa. La frase “Dio non c’è” però può suonare come un’invocazione. C’è anche un altro brano che parla delle atrocità della guerra, La bambina di Gorla: la strage causata dagli alleati nell’ottobre 1944 fa da teatro per raccontare la storia di una bambina, sopravvissuta all’eccidio, costretta a vivere con i suoi fantasmi. Anche l’ironia de Il problema non offre soluzioni. È un brano spiccatamente rock per trattare con ironia l’argomento della felicità. La felicità è un percorso che va cercato dentro di sé. In mezzo a miriadi di brani che esaltano i beni materiali, l’ostentazione, la ricchezza come valore morale, ho voluto ribadire che la felicità viaggia su ben altri binari. La canzone di suo figlio Pico Rama, Benvenuto chi passa da qui, è la più positiva del cd. Pensa che le nuove generazioni vedano il domani con occhi più disponibili e aperti rispetto a quelli degli over?

Ho imparato molto dall’approccio positivo e filosofico di Pico: con la sua spiritualità, mi ha dato una lezione di serenità che spesso mi manca. Direi però che lui rappresenta un’eccezione, sembra un’anima degli Anni ’60. Ho sempre cercato di non dare lezioni di vita, ma le ascolto molto volentieri, e, se è il caso, le canto con piacere. Cantautore, scrittore, conduttore radio e tv. Di certo l’età che avanza non la ferma. Ha qualche nuovo progetto per il futuro?

La gestazione di questo disco è durata tre anni. Ora mi sto concentrando sul mio programma tv Gli occhi del musicista, dove posso portare gli ospiti che voglio senza nessun obbligo, cantautori affermati e nuove proposte, che si esibiscono con una band dal vivo. Per il resto navigo a vista: adesso non vedo l’ora di tornare sul palco!

La Caverna di Platone - CD
Enrico Ruggeri
FOTO DI ANGELO TRANI

Primo piano

ONDE SENZA TEMPO LA RADIO, IL CLASSICO INTRAMONTABILE

Media dalla consolidata longevità, ha mantenuto integro il suo fascino grazie alla capacità di adattarsi ai cambiamenti e difendendo il dialogo con gli ascoltatori anche attraverso la musica

Ne è passato di tempo dalla scoperta delle onde elettromagnetiche fatta nel 1873 dal fisico scozzese James Clerk Maxwell, che ha permesso a Guglielmo Marconi nel 1896 di trasmettere un segnale a due chilometri di distanza e di fatto a inventare la radio. Di conseguenza, la radio, vera e propria rivoluzione della comunicazione di massa sin dai primi del ’900, ora dovrebbe essere una tecnologia in disuso, arretrata, obsoleta, ammuffita in cantina e invece, nonostante la televisione, il digitale, il World Wide Web e i servizi di streaming audio on demand, rimane uno dei media fondamentali della nostra epoca, uno dei più popolari, gratuito e accessibile in qualsiasi momento e perciò, continua ad essere usata e ascoltata da milioni di persone in tutto il mondo.

Uno dei motivi dell’imprevista longevità della radio è sicuramente legato alla musica, alla diffusione della musica. Una funzione che il mezzo radiofonico ha da sempre perseguito, sia in ambito pop e commerciale, sia per quel che riguarda la musica colta e le musiche non convenzionali.

Sin dalla sua nascita, infatti, gli stu-

diosi hanno indicato la radio come un mezzo che può incidere anche sulla percezione stessa della musica, inducendo parolieri e compositori a ricercare una scrittura musicale radiofonica specifica per le proprie canzoni. E tutt’ora rimane valido il concetto che i brani di maggior successo sono quelli che sanno giocare e tener conto anche delle potenzialità e delle modalità di diffusione radiofonica.

Negli ultimi anni il vero cambiamento radicale, quasi antropologico, risiede nella fruizione della musica. Diverse ricerche condotte tra i ragazzi e le ragazze indicano che attualmente sono gli smartphone ad essere il supporto prediletto per ascoltare musica, e la nostra quotidianità insegna che anche le persone adulte usano principalmente il telefono mobile e le piattaforme che offrono servizi audio on demand per l’ascolto quotidiano della musica. Non solo i nativi digitali, dunque, che non hanno mai avuto contatti con cd, vinili o audiocassette.

In questa mutazione dell’ascolto, non si presta più attenzione all’intero album, si ascolta un solo brano, a volte anche reiteratamente, passando da un pezzo all’altro con agilità, cambiando

di Ghighi Di Paola, Conduttore “Battiti” Rai Radio3

continuamente il disco e gli autori. Si prediligono il singolo, la compilation, le playlist.

In mezzo a questa trasformazione, la radio continua ad essere ascoltata tantissimo: perché è un mezzo fluido, liquido, che si adegua e si adatta benissimo all’ambiente circostante, ai cambiamenti e alle evoluzioni tecnologiche. Soprattutto la radio mantiene la funzione unica di saper ricercare, ascoltare, selezionare, proporre e diffondere musiche nuove, raccontandone le storie e sperimentando linguaggi.

L’ascolto radiofonico, grazie alla riproducibilità offerta dalle nuove tecnologie, integra tanto la reiterazione compulsiva - che è modalità fondamentale dell’ascolto anche da parte degli adolescenti quando si desidera ascoltare innumerevoli volte la stessa hit del momento - quanto la voglia di scoprire quello che succede di nuovo nel mondo della musica.

In questo i conduttori radiofonici sono insostituibili, accompagnano quotidianamente le persone verso viaggi di novità uditive, creano un legame speciale con l’ascoltatore: la loro voce trasmette intimità e affidabilità.

La curiosità sonora è al centro: da un lato i conduttori e le conduttrici, che dal loro osservatorio privilegiato hanno uno sguardo a 360° sulle musiche, dall’altro gli ascoltatori e le ascoltatrici che sono disposti a lasciarsi sorprendere.

Un circolo virtuoso che si fonda sull’ascolto, si è parte di una comunità musi-

cale che condivide passioni e opinioni e si torna alla natura originale della radio: parlare alla gente e intrattenersi con loro.

All’ascolto libero, ma anche frenetico e solitario, proposto dalle piattaforme on line si torna ad abbinare l’ascolto radiofonico guidato, che esalta la natura dialogica di una trasmissione musicale. Non è un caso che anche la Bbc negli ultimi anni stia cercando di arricchire i propri format musicali pensati per le piattaforme digitali integrandoli e dando più spazio ai contenuti parlati. D’altronde il mezzo radiofonico è ancora oggi, più di ogni altro medium, digitale o meno, inteso come un amplificatore di quello che accade fuori nel mondo e le diverse modalità dell’ascoltare la musica, che è una delle forme più potenti dell’espressività umana, ne sono la cartina di tornasole.

Il bello della radio è anche questo, la capacità e la facilità di attivare circuiti e scatenare cortocircuiti, riscoprendo così nella sua forma contemporanea una delle sue funzioni native: stare con le persone, comunicare con loro, condividere conoscenze e tenerle compagnia.

La conduzione radiofonica, con la potente miscela di parlato e musica, come in una sorta di festival infinito dell’ascolto, continua a mutare nel tempo restando sempre sé stessa, facendo sì che la radio rimanga uno strumento straordinariamente vivo e democratico.

Basta farsi trovare con le orecchie aperte!

IL SOGNO INFRANTO, DIETRO LE QUINTE DEI TALENT SHOW

E gli altri sfiorati da un effimero successo?

Qualcuno è tornato a fare il muratore o il barista l’oblio dopo qualche passaggio televisivo è peggio di una bocciatura alla prima audizione Legioni di ragazzi che speravano di saltare la gavetta e di scalare l’Olimpo con un sol balzo si sono ritrovati alle prese con una salute mentale da resettare

di Stefano Mannucci, giornalista, critico musicale

Contateli, uno dietro l’altro. Sono tutti disciplinatamente in fila. In quanti partecipano ogni anno ai provini di un talent tv? Trentamila giovani, con il sogno in tasca di diventare star della musica. In due decenni di edi-

zioni sfioriamo il milione di iscritti. Poi moltiplichiamo la cifra almeno per due: X Factor e Amici. Più sullo sfondo le versioni di The Voice, quella open e le “generazionali” tra bambini e maturi. Un esercito, con la massa critica di adolescenti incamminati

verso un tritacarne dal quale escono sani e salvi in pochissimi. Molto meno di uno su mille ce la fa: magari vinci, ma quando il riflettore si spegne ed entri nel cono d’ombra di una carriera da inventare è più probabile tu sia destinato ad arrenderti, che non a fare delle tue qualità artistiche un mestiere da vitalizio assicurato. I “Sono Famosi”, in ordine sparso? Emma, Annalisa, Alessandra Amoroso, Francesca Michielin, Noemi, Angelina Mango, Elodie, Marco Mengoni, Michele Bravi, The Kolors, Dear Jack. I tre de Il Volo erano implumi quando trionfarono a Ti Lascio una Canzone; Cristina Scuccia era una suora, per la sua vittoria a The Voice esultò Madonna: si prese il mondo, una volta smesso il velo ha perso appeal mediatico; dopo l’affermazione ad Amici, Valerio Scanu e Marco Carta (allora teen-idol, oggi quasi dimenticati) si imposero a Sanremo, che da lungo tempo è l’upgrade dei talent;

Sopra, giovani in coda alle audizioni di X Factor 2015 (Bologna), un’edizione che ha visto la candidatura di circa 23.000 persone. A destra, i Maneskin vincono l’Eurovision Song Contest 2021 a Rotterdam

stessa sorte festivaliera per la Mango, attualmente tra i giovani emersi che hanno chiesto un pit-stop di sopravvivenza, fermando un’agenda impresariale asfissiante. E i Maneskin? Con loro si sfiora il paradosso: a X Factor arrivarono secondi, battuti nel duello decisivo dal tenorino Lorenzo Licitra. Da lì con il rock sbancarono Sanremo, quindi l’Eurovision Song Contest, fino all’incoronazione di mitologici colleghi, Mick Jagger & co. Oggi anch’essi, malgrado per l’industria siano galline dalle uova d’oro, si sono presi una pausa sabbatica, con Damiano David incamminato verso un’avventura solista da popstar internazionale da cui difficilmente tornerà sui propri passi. E tutti gli altri sfiorati

da un effimero successo? Qualcuno è tornato a fare il muratore o il barista, l’oblio dopo qualche passaggio televisivo è peggio di una bocciatura alla prima audizione. Legioni di ragazzi che speravano di saltare la gavetta e di scalare l’Olimpo con un sol balzo si sono ritrovati alle prese con una salute mentale da resettare. Diventare grandi impone giudizi, ma il flop dopo la venerazione sui social può costarti caro. Intendiamoci: prendersi cura dei concorrenti non è una responsabilità di ideatori e autori degli show. Anzi, la scuola di Amici prevede una sorta di ‘tutela’ anche in tempi lunghi, una volta esaurita la gara. X Factor no, però entrambi i programmi vincolano i finalisti a contratti disco-

grafici esclusivi. In tal modo le multinazionali, nella crisi endemica del settore, risparmiano il lavoro che in passato svolgevano i talent scout scovando figure interessanti nei locali o valutandone i prodotti grezzi. Oggi le etichette abbattono i costi utilizzando le competizioni musicali, ma per nomi da lanciare il mercato è ormai saturo, in Italia. Almeno con i metodi tradizionali di “allevamento intensivo”. I social fungono da bacino di pesca, mentre le kermesse tv implicano spese di produzione altissime e sono studiate più per far battibeccare i coach che non a valorizzare vocalist e band. Così che la trappola delle illusioni avvolge il talent, senza proteggere il talento.

QUANDO LA MUSICA SALVA L’ANIMA, I PROGETTI

DI RIABILITAZIONE SOCIALE

Silvia Riccio è musicoterapeuta da vent’anni porta avanti iniziative in ambito preventivo, terapeutico e riabilitativo con detenuti, pazienti oncologiche e bambini con disabilità. Per lei «tutti così possono mettersi in ascolto»

di Anna Grazia Concilio

Se esiste un modo per uscire fuori da uno stato di costrizione, fisica o mentale, è senza dubbio la musica. E quando alla musica si abbina la corporeità, le vie di fuga diventano possibili. Per qualche ora, il dolore e la distanza si fanno invisibili, lasciano spazio all’espressione autentica del corpo, superando barriere e muri. Lo sa bene Silvia Riccio, musicista e musicoterapeuta, che da anni promuove attività di musicoterapia (uso clinico basato sull’evidenza scientifica dell’elemento sonoro musicale, ndr) nelle scuole, negli ospedali con le pazienti oncologiche (Suonodonna), negli istituti di pena e in strutture che accolgono persone con disabilità. «L’obiettivo dei miei progetti è mettere a proprio agio le persone così che possano raccontarsi, perché l’essere umano ha bisogno di esprimersi», dice. Riccio, da tem-

po, è impegnata a promuovere attività in ambito penitenziario: porta avanti ‘Musica dentro’, progetti nel carcere romano Regina Coeli con i detenuti in attesa di giudizio, con le detenute e i loro bambini presso il carcere Rebibbia - insieme all’Associazione Leda Colombini -, con i detenuti collaboratori di giustizia presso l’istituto di pena di Paliano, fuori dal Lazio anche in Umbria, nel carcere di Orvieto. «La musica permette ai detenuti che si trovano in una fase depressiva di grande frustrazione di esprimersi anche attraverso la comunicazione non verbale, una modalità molto radicata e autentica in noi», spiega. Riccio, con il suo metodo affinato negli anni di lavoro, però va oltre: non si ferma a un approccio meramente musicale e promuove la musicoterapia integrata, quindi non solo musicoterapia attiva e ricettiva ma anche l’uso di altri linguaggi artistici, musica ma anche danza, movimento, canto e l’utilizzo di strumenti musicali. Una modalità che punta su un aspetto in particolare: il gruppo, «perché attraverso i laboratori, quindi l’esperienza collettivacontinua Riccio - è possibile favorire l’incontro con sé stessi e con gli altri, in quanto si facilita la conoscenza dell’altro e quindi anche il rispetto tra tutti diventa possibile. Si crea così un’atmosfera di armonia e il dialogo sonoro è realizzabile». Non solo anni di studio e di impegno ma pure l’ideazione di strategie comunicative che nella musicoterapia integrata di gruppo - che Silvia mette in atto negli istituti di pena e nelle altre strutture in cui opera - diventano vincenti. «Per fare in modo che le persone si fidino e inizino a raccontarsi attraverso il linguaggio del corpo e delle musica mi metto in gioco anche io, mi racconto, appunto, mi faccio conoscere», spiega. L’abilità di Silvia

«L’obiettivo dei miei progetti è mettere a proprio agio le persone così che possano raccontarsi, perché l’essere umano ha bisogno di esprimersi»

sta nel creare identificazione con la musica e lo fa attraverso l’ascolto di brani e autori che sono vicini a chi frequenta i suoi laboratori. «Mi capita spesso di lavorare con detenuti campani - ad esempio - e allora per creare identificazione con il territorio, la loro casa e la loro terra - così che possano aprirsi all’ascolto e al dialogo ed essere predisposti verso l’altro - propongo brani di cantautori a loro noti, Pino Daniele è senz’altro uno degli artisti più conosciuti e più amati che crea facilmente empatia», racconta. Ed è proprio sulle

note e sul testo delle canzoni note che Riccio trasforma i detenuti in ‘songwriter’: chiede loro di riscrivere i testi delle canzoni seguendo le loro emozioni e liberando le melodie che le accompagnano. «Una volta riscritto, quel testo, diventa il testo di tutti», dice la musicista. Lavorare dietro le sbarre, con persone ristrette della loro libertà e affetti e spesso in condizioni di forte disagio per i motivi più disparati è una sfida che Silvia vince ogni giorno. «Le mie sono giornate intense - spiega -, la mia professione però non solo mi offre l’occasione di dare qualcosa ma anche l’opportunità di riceverla; è chiaro che una volta a casa devo resettarmi e affrontare nuove esperienze. Ho iniziato a studiare musica tardi rispetto alla norma, generalmente si inizia da piccoli, io avevo 12 anni e forse proprio perché più grande ho potuto capire meglio alcune cose, una su tutte: la musica mi metteva e mi mette tutt’ora in connessione con me stessa e allora cerco di rendere possibile questo con la mia professione: lasciare che ognuna delle persone che incontro sia libera di essere sé stessa».

Attività di musicoterapia attiva presso il Servizio di Terapie Integrate al Policlinico Gemelli
Silvia Riccio

CON 50&PIÙ ALLA SCOPERTA

DELL’ITALIA TRA AMICIZIA

E CONDIVISIONE

Tante le iniziative delle associazioni provinciali per valorizzare il patrimonio culturale e creare occasioni di socialità, dalla Toscana alla Campania

Un viaggio virtuale lungo lo stivale alla scoperta del patrimonio culturale delle città italiane, in compagnia delle associazioni provinciali e regionali 50&Più che organizzano iniziative e progetti per valorizzare luoghi, personaggi e personalità e creare sempre più occasioni di socialità e di incontro. Lo sa bene 50&Più Salerno che da mesi ha avviato incontri e visite guidate per rafforzare la conoscenza della storia. La scorsa primavera, i soci salernitani - guidati dal presidente Giulio Rocco Castello - hanno visitato, a pochi chilometri da casa, le Grotte di Seiano e il Parco Archeologico di Posillipo. Dopo una prima escursione a Seiano, i ‘turisti’ si sono diretti nell’area archeologica del Pausilypon, “luogo che fa cessare

gli affanni” dove sorge una grande domus romana, la villa di Vedio Pollione, con i resti del teatro Odeion. 50&Più Salerno ha partecipato alle “Giornate Longobardo-Normanne”, presso il Salone Bottiglieri della Pinacoteca provinciale e ha organizzato un incontro con don Roberto Piemonte, presso la Chiesa di San Giorgio, tra le più belle chiese barocche della città. «Penso che le realtà provinciali siano la fonte d’ispirazione e di progettazione per rispondere alle aspettative di persone in età avanzata, che racchiuse nelle problematiche familiari, sociali, di salute e di isolamento, trovano conforto grazie alle iniziative di vario genere per socializzare e combattere il virus della solitudine. Noi, come provincia di Salerno, siamo in sintonia con quanto

esposto, organizzando varie iniziative anche in collaborazione con altre realtà associative, convinti che questa sia la via più idonea alle aperture e alla lotta alla solitudine», ha commentato il presidente Castello.

“La nostra meravigliosa Firenze” è il titolo del ciclo di visite guidate organizzate dall’associazione provinciale 50&Più che durante lo scorso mese di novembre ha portato i soci alla scoperta di luoghi simbolo della città: il Museo Horne e Casa Vasari. Un salto nel ’400 con i capolavori dell’epoca: è qui che i soci hanno conosciuto la vita del tempo, ammirando suppellettili e opere acquistate da Horne, oltre al prezioso dipinto Santo Stefano di Giotto realizzato in foglie d’oro. I soci fiorentini hanno poi visitato il Museo Bardini, che deve il nome all’ideatore Stefano Bardini, definito ‘il principe dell’antiquariato’, visionando cornici, bronzetti, madonne, armeria e tanto altro. 50&Più Arezzo - in collaborazione con Confcommercio FiAr - ha visitato Palazzone a Cortona, nell’ambito di ‘Turista a casa tua’, finalizzata a scoprire la cultura del territorio aretino. Il Palazzone è una villa monumentale, situata nella Val di Chiana, edificata tra il 1521 e il 1527 su progetto di Giovan Battista Caporali - discepolo del Peru-

di Anna Grazia Concilio
50&Più Salerno

gino e vicino a Pinturicchio, Bramante, Signorelli - per volontà del Cardinale Silvio Passerini.

Si intitola “Storie del territorio” l’iniziativa che sta portando avanti 50&Più Lucca per promuovere la ricchezza del patrimonio storico culturale. A dicembre, i soci hanno organizzato una visita guidata alla Cattedrale di San Martino, la Chiesa Santa Maria Corteorlandini;

e ancora spettacoli teatrali dedicati alle scuole all’interno di Palazzo Ducale per far conoscere le figure di Elisa Bonaparte e Maria Luisa di Borbone, e gite al ‘Museo del motore a scoppio Barsanti e Matteucci’. «Con le iniziative legate a Puccini - spiega Antonio Fanucchi, presidente di 50&Più Lucca - ci siamo resi conto che la città sta vivendo un importante fermento culturale

e turistico e, ancora di più, vogliamo promuovere e diffondere il patrimonio storico che possediamo. Ci sono ancora angoli di Lucca da esplorare e in questo impegno vogliamo coinvolgere le altre associazioni provinciali». Una passeggiata alla scoperta dei luoghi di Galileo Galilei è stata organizzata da 50&Più Pisa, nell’ambito del “Giugno Pisano” che risale alla scorsa primavera, quando un gruppo di soci ha visitato Palazzo della Sapienza e Palazzo Reale, i luoghi legati alla vita del grande scienziato scopritore dell’assetto dei cieli. «Le nostre iniziative continuano - ha spiegato Franco Benedetti, presidente di 50&Più Pisa - non solo stiamo riproponendo i luoghi ‘galileiani’ ma anche visite presso la Normale, piazza dei cavalieri. Il nostro obiettivo è dare valore a quello che abbiamo intorno creando, allo stesso tempo, condivisione perché ogni visita, ogni appuntamento, è seguito da un momento conviviale e questo permette - attraverso il passaparola - di incentivare la socialità».

50&Più Pisa
50&Più Lucca

Periscopio in giro per il mondo

PIÙ DI UN SEMPLICE MOMENTO DI RELAX

San Valentino è ormai un evento globale. Ma mentre per molti è sinonimo di romanticismo, per altri rappresenta un’occasione per celebrare sé stessi, l’amicizia o, addirittura, l’antitesi dell’amore sentimentale. Tra le tendenze più in voga c’è il Galentine’s Day. Celebrato il giorno prima di San Valentino, è dedicato esclusivamente all’amicizia tra donne, un momento per rafforzare i legami e ribadire la forza della sorellanza. Le celebrazioni variano da cene tra amiche a pomeriggi di coccole, relax e piccole gratificazioni personali, dimostrando che l’amore non si limita al romanticismo di coppia. Al polo opposto troviamo l’Anti-Valentine’s Day, un’occasione per chi sceglie di non celebrare l’amore romantico, o per chi desidera semplicemente esprimere un’ironia o un atteggiamento cinico nei confronti della festa. Questo evento, che trova ampia espressione online e sui social media, offre un’alternativa giocosa e satirica a chi si sente fuori dal coro. Si possono trovare in commercio articoli dedicati, come cartoline sarcastiche o gadget divertenti, rendendo questa giornata un’occasione per prendere in giro bonariamente chi crede nell’amore e condividerla con chi la pensa allo stesso modo. Ma non finisce qui. Sempre più persone scelgono di festeggiare il 15 febbraio il Singles Awareness Day (SAD), una sorta di San Valentino per single, un modo per affermare il proprio valore e la propria indipendenza. Una tendenza, che trova eco anche nel Single’s Day (ricorrenza cinese che si celebra l’11 novembre) con un’esplosione di iniziative dedicate all’auto-celebrazione e al benessere personale. Si organizzano eventi, viaggi e attività di gruppo per single, offrendo l’opportunità di conoscere nuove persone e godersi la propria compagnia.

San Valentino diventa così un palcoscenico dove ognuno può esprimere il proprio modo di amare: che sia l’amicizia, l’autoironia o semplicemente un sano amore per sé stessi. Dalla

UN SOPRANNOME DIETRO AL MARCHIO LEGGENDARIO

Il fondatore dell’Adidas si chiamava Adolf Dassler. Per via dell’impopolarità del suo nome, venne soprannominato Adi dai suoi familiari, ed è proprio da quel nomignolo che deriva il nome dello storico marchio sportivo che fonde le lettere del suo soprannome e le prime 3 lettere del suo cognome: Adi+Das.

Bere tè nero può contribuire a prevenire i danni polmonari causati dal fumo. Grazie alla presenza di polifenoli e antiossidanti, la bevanda combatte l’ossidazione delle proteine nei polmoni, riducendo il rischio di enfisema. Con due-tre tazze al giorno, non solo si può gustare un tè delizioso, ma anche prendersi cura della propria salute respiratoria.

MENU DEL GIORNO ADRENALINA

A Lloret de Mar, in Spagna, il locale Disaster Café offre un’esperienza culinaria unica. Qui, i commensali possono mangiare mentre vengono sorpresi da simulazioni di terremoti da 7,8 gradi della scala Richter. Costruito per garantire la massima sicurezza, il ristorante combina divertimento e adrenalina.

Storia e misteri

Un feretro è in attesa davanti la cripta dei Cappuccini di Vienna. Il Gran Maestro di Corte bussa alla porta in fondo alle scale. Dall’interno il padre guardiano chiede: «Chi c’è?». «Sua Altezza imperiale il principe ereditario d’Austria, principe reale di Ungheria e Boemia, Lombardia e Venezia…». «Non lo conosciamo». Di nuovo il Cerimoniere bussa e ripete alcuni dei titoli del defunto per ricevere sempre la stessa risposta. Infine, per la terza volta si presenta: «Sono Rodolfo, un povero peccatore». E il cancello si apre. Con questa cerimonia nel 1889 viene sepolto Rodolfo, figlio dell’imperatore Francesco Giuseppe e di Elisabetta, la famosa Sissi, morto in circostanze misteriose nel casino di caccia di Mayerling. Accanto a lui, il cadavere della

TRAGEDIA DI MAYERLING L’ENIGMA LUNGO OLTRE

UN SECOLO

Il 30 gennaio 1889 l’erede al trono d’Asburgo il principe Rodolfo, e la sua amante, la baronessa Maria Vetsera, vengono ritrovati morti in un casino di caccia. La loro fine resta ancora un giallo

A destra, il castello di Mayerling, Austria

diciassettenne baronessina Maria Vetsera, la sua amante. Subito si parlò di una storia d’amore tragica (lui era sposato, lei promessa sposa al principe di Braganza) finita con un omicidio-suicidio. Rodolfo, infatti, avrebbe prima ucciso Maria e poi si sarebbe sparato un colpo alla tempia.

Ma queste morti sono solo il drammatico finale di una storia d’amore senza speranze, o c’è dell’altro? I fatti di Mayerling diventano subito un topos drammatico e le voci confondono da subito storia e leggenda. Per comprendere l’alone di mistero bisogna riavvolgere il nastro e partire dall’infanzia del principe e dai suoi rapporti con un padre militaresco e inflessibile. Appena nato Rodolfo riceve il titolo di colonnello, anche se le sue inclinazioni lo portano verso lo studio delle scienze naturali. Solo Sissi coglie la sua insofferenza all’istruzione ferrea e si impone con l’Imperatore in una famosa scenata, trasformandola in un’educazione borghese. Crescendo il principe si interessa sempre più alla politica, ma le sue idee liberali, addirittura le sue simpatie per i repubblicani, aumentano lo scontro con la figura paterna. Francesco Giuseppe giudica preoccupante il suo sostegno all’autonomia dei popoli dell’Impero: italiani, boemi e ungheresi (questi ultimi si spingeranno fino a offrirgli la corona di re d’Ungheria). Anti-guerrafondaio, Rodolfo è convinto che per mantenere la pace in Europa l’Austria si debba allontanare dall’alleanza tradizionale con la Germania autoritaria e militarista per avvicinarsi alla Francia.

Dovere di un principe ereditario è garantire al più presto un erede al trono e Rodolfo deve sposare Stefania del Belgio, ma le loro due personalità inconciliabili porteranno ad un matrimonio infelice per entrambi. Dall’unione na-

sce solo una figlia, Elisabetta, perché Rodolfo trasmette alla moglie la sifilide, contratta nelle sue frequentazioni extramatrimoniali, che la rende sterile. In questo clima di insoddisfazione personale, nell’autunno del 1888, incontra la giovanissima Maria Vetsera e tra i due nasce una relazione presto di dominio pubblico. Rodolfo scrive una lettera al papa Leone XIII per chiedere l’annullamento del matrimonio; venutolo a sapere, Francesco Giuseppe rompe ogni rapporto col figlio e si fa strada l’ipotesi di un diseredamento. Il 28 maggio 1889, Rodolfo lascia Vienna per la tenuta di caccia di Mayerling, dove lo raggiunge la baronessina Vetsera. La testimonianza del valletto Loschek ricostruisce le ultime ore. Il 29 mattina sente due spari provenire dalla stanza da letto, sfonda la porta e scopre uno spettacolo agghiacciante. Rodolfo e Maria giacciono vestiti sul letto. I giornali parlano di infarto, ma quando si fa strada il suicidio - per permettere una sepoltura cristiana - il principe è proclamato infermo di mente. Per gli storici Rodolfo uccide prima Maria e si suicida dopo qualche ora. Lo testimoniano i suoi scritti e anche la lettera di addio alla moglie: «Cara Stefania, sei liberata dalla mia presenza che è una piaga per te. Sii felice a modo tuo». C’è però da considerare che il suo fal-

limento - personale e politico - ha fatto propendere per teorie alternative. L’ultima imperatrice d’Austria, Zita d’Asburgo, sostenne che sarebbe stato ucciso da sicari dell’intelligence per l’ipotesi di un fallito colpo di stato. Altri fanno riferimento ad un assassinio ordito dai francesi per punirlo di non essere andato fino in fondo nell’alleanza antitedesca. In tutti i casi la morte della Vetsera sarebbe un depistaggio. Ma siamo nel quadro di teorie suggestive e non provate.

La fortuna letteraria e cinematografica dei fatti di Mayerling è enorme e persino Mussolini (a quei tempi antiaustriaco) scrisse un torbido feuilleton a puntate nel 1910. Il film più noto, Mayerling di Terence Young (1968), è un kolossal con Catherine Deneuve e Omar Sharif nel ruolo dei due amanti, e Ava Gardner in quello di Sissi.

La morte di Rodolfo fu un colpo durissimo per i genitori che lo amavano profondamente. Francesco Giuseppe scelse di non parlarne mai. Elisabetta divenne l’ombra di sé stessa. Accusando l’ambiente di Corte, iniziò una vita errabonda, perennemente vestita a lutto, fino alla sua morte per mano di un anarchico, l’8 settembre del 1898. Alla notizia Francesco Giuseppe esclamò: «Nulla mi è stato risparmiato su questa terra».

A sinistra, Omar Sharif e Catherine Deneuve nel film Mayerling (1968)

Nel nostro Paese perché un prodotto sia chiamato vino deve avere una gradazione alcolica di almeno il 9%

ITALIA, VIA LIBERA AI VINI SENZ’ALCOL

Con il nuovo decreto firmato alla vigilia di Natale dal ministro Francesco Lollobrigida sarà possibile produrre bevande dealcolizzate Un mercato che fa già affari nel mondo

Il nuovo codice della strada e le tendenze salutiste mettono in crisi il mercato vinicolo tradizionale, anche in Italia. In particolare, la tolleranza zero per la guida in stato di ebbrezza fa sì che si sia sicuri di non incorrere nelle sanzioni solo limitandosi a bere un bicchiere di vino o un bicchierino di super alcolico. Al contempo, negli ultimi anni, diversi studi hanno appurato come esagerare con le bevande alcoliche sia un’abitudine dannosa, anche se sembra che le dosi consumate siano basse. Per andare incontro alle esigenze di produttori e consumatori il 20 dicembre scorso è stato varato un decreto ministeriale che di fatto ha recepito quanto già in atto in diversi paesi: la produzione di vino dealcolizzato. Ossia di un prodotto che, partendo da un vino standard, sia artificialmente privato di etanolo per ridurne il tenore alcolico, parzialmente o del tutto.

Il decreto prevede la possibilità di ridurre il contenuto di etanolo di vini e spumanti (eccezion fatta per Dop e Igp), attraverso una procedura di distillazione o di osmosi effettuata sotto il controllo di un enologo che garantisca un prodotto privo di difetti organolettici. Naturalmente, per i principi di trasparenza e di tutela, la bevanda così ottenuta sarà imbottigliata con la dicitura “dealcolizzato” o “parzialmente dealcolizzato”.

L’Italia si apre così al mercato dei prodotti vinicoli a basso tenore alcolico, già peraltro disciplinato dalla Direttiva europea 2021/2117, che ne stabilisce le regole per la produzione e la commercializzazione. Per avere un’idea è utile ricordare che nel nostro paese, perché un prodotto sia chiamato vino, deve avere una gradazione alcolica di almeno il 9%, mentre per l’Ue, per essere definito dealcolizzato, non può avere un tasso alcolico superiore allo 0,5% e per essere parzialmente dealcolizzato deve far sì che sia mantenuto tra lo 0,5% e il 9%. Il procedimento analcolizzante conserva la componente fenolica (mantenendo così i benefici per la salute), disperdendo però la composizione volatile, che conferisce il caratteristico gusto del vino. L’alcol ha infatti un ruolo importante nel costruire il gusto e la sensazione al palato che tanto contribuiscono al successo di questa bevanda. Per questo il rischio è l’aggiunta di additivi, come zuccheri o aromi artificiali, potenzialmente dannosi per la salute. Dunque, la raccomandazione degli esperti è sempre quella di leggere attentamente le etichette e di non abusare di queste bevande, anche se prive di etanolo. Del resto, negli Stati Uniti - dove è distribuito con la dicitura NoLo (no e low alcohol) - e in alcuni paesi europei, come Francia, Spagna e Germania, il vino dealcolizzato è già una realtà che fattura cifre importanti.

Iciclisti di ieri e Il giro d’Italia, la folla poveraccia e bambina, adorante e possessiva, che quando le salite prendono a pugni il fegato dei pedalatori, i polmoni, il cuore, “vorrebbe correre con loro, afferrarli e farci l’amore”. Nino Benvenuti, il pugile forse più grande tra i campioni italiani che aveva iniziato a boxare perché la palestra era l’unico luogo in cui poteva farsi una doccia calda. La ‘gloria’ di tanti eroi vincenti o perdenti, dal calcio all’atletica all’automobilismo, da Luciano Re Cecconi, il biondo centrocampista ucciso con un colpo di pistola in una gioielleria a Roma a Pietro Mennea, il velocista azzurro di Barletta primatista assoluto dei duecento metri piani per molti anni, che “aveva gli occhi come palline di vetro nero e vinceva con il dito puntato al cielo. Come dire, ho vinto, ho vinto l’oscurità, i demoni, la povertà, la solitudine.

Con i suoi tanti protagonisti, su cui amorevolmente poggia l’occhio liberandoli dalla memoria che spesso è cieca, Aurelio Picca scrive il suo La gloria (Baldini+Castoldi). Un libro davvero inconsueto e appassionato di immagini, metafore, sogni e divagazione, come è nella sua migliore vena di scrittore che, come nessun altro, ha saputo raccontare una certa Roma criminale e la storia di Maria Goretti, la santa dell’agro Romano. È come se ogni volta il suo sguardo ancora adolescente, con sorpresa, gioia, emozione, dolore colga sulla scena del mondo, in questo caso il mondo dello sport, la stessa commedia umana e il cangiante aspetto con cui si presenta, appunto ‘la gloria’. E il suo mito, sempre all’orizzonte, cangiante, imprendibile. Ecco, chiedo a Picca: il mito? Un serbatoio di storie, fantasie, sentimenti, emozioni, archetipi a cui attingere, quasi che lì sia stato tutto già scritto e noi non possiamo che ancora trascrivere?

«Il mito è una verità negata. Verticale. Che attraversa tempo e antropologia. Sono tracce del destino che noi abbiamo dimenticato, rimosso. Il mito è attiguo al sacro. E il sacro è stato cancellato. Noi possiamo ancora ‘sentire’. Questo è possibile a chi ha mantenuto talento e grazia».

Tutto nasce dalla perdita della gioventù. Dici: “esistono due alternative, il crimine o la letteratura”. Hai scelto la letteratura, ma di qualche criminale, come De Pedis, hai scritto.

Sì, perché i criminali di un tempo, selvaggi e visionari, avevano lo stesso fuoco dell’assoluto che anima la letteratura. O che l’ha animata. O che dovrebbe animarla.

Tanti campioni meritevoli di gloria. Ma la tua mitografia molto personale si presenta anche in forma di autobiografia, ti racconti anche nella forma della gloria sportiva?

Sì, qui lo sport, per dirla alla Moravia, è una chiave per accedere alla realtà. La mia è un’autobiografia devastata e vitale, dove si saldano la mia vita e quella dell’Italia.

Vuoi esplorare il confine tra successo e fragilità, tra il clamore della vittoria e il silenzio della sconfitta.

Perché sono gli arnesi degli ultimi

AURELIO PICCA

«LA GLORIA NON È SCIATTA VITTORIA MA DIGNITÀ DI UOMINI VERI»

Poeta e scrittore racconta la sua ultima fatica letteraria

un libro inconsueto e appassionato, fatto di immagini metafore e sogni

duelli remoti. Scontri sportivi leali, sensuali, vitalissimi.

Gli eroi sono tanti, molti sono morti, accanto ai luminosi vincitori poni i perdenti, sconfitti. Gente fuori della norma. Lo sport illumina per forza di cose questa mescolanza?

Ancora uso lo sport per raccontare anche i Vinti. Anche essere battuti dopo aver posto in gioco la propria vita merita la gloria.

Vincere “l’oscurità i demoni, la povertà, la solitudine”. Così Chinaglia e Mennea hanno

strappato al destino una dignità altrimenti negata?

Non sappiamo se gli sarebbe stata negata. Però sappiamo che si sono incamminati nel loro destino. È stata un’assoluta fedeltà. Non c’è un prima e un dopo. Niente tennis, basket, pallavolo, sci. Sport troppo borghesi. Non so se borghesi, ma meno intrisi di corpo, mondi remoti, duelli remoti. Ti immagini Ettore e Achille che giocano a tennis?

L’ode a Chinaglia, l’unica in versi. Sì, perché Egli è stato un ribelle vero. Non ha tradito sé stesso. Poteva combattere per Foscolo.

Ma ti piaceva intonare l’inno laziale “Sangue, sangue, lode agli ultrà”.

Non l’ho mai intonata, ma mi piaceva la passione tribale con la quale si cantava. Era un rito primitivo.

Ci saranno altri criminali e altri sportivi nei tuoi prossimi libri?

Non lo so. Forse sì, magari vestiti in doppiopetto. O nudi.

In conclusione: cos’è la gloria? Non la sciatta idea di vittoria, ma la dignità di uomini veri fino all’ultima goccia di sangue per non sprecare un attimo di vita, che hanno messo in gioco sé stessi fino a perdersi. Quelli che hanno avuto accesso alla sola vittoria che conti realmente. Che hanno trovato la Gloria.

La gloria
di Aurelio Picca

Cultura

IL TESORO LETTERARIO DI FRANCO ANTONICELLI

Un libro raccoglie le prose letterarie del grande mentore scrittore e politico, primo editore di Se questo è un uomo di Levi. La figlia Patrizia lo ricorda severo e allegro poliedrico e geniale: il suo racconto

«Mio padre ha sacrificato la letteratura in nome dell’impegno giornalistico e politico, della lotta al fascismo in tutti i suoi aspetti prima e dopo il regime, ma la sua figura di letterato si impone a prescindere»

poi papà si inventò che si potevano raccogliere le lacrime… Mi venne incontro un mattino, in campagna, appena uscito di prigione, fuggendo da un’altra cattura. Non ci vedevamo da mesi: mi prese in braccio e mi disse di tenere io il mazzo di papaveri e fiordalisi che gli avevo regalato. C’era con noi la mia fedele capretta Nerina. Mi sentivo al settimo cielo: non mi accorsi che Nerina ci seguiva mangiandosi il mazzetto che lasciavo penzolare sulla schiena di papà. Quando ci feci caso, scoppiai in un pianto dirotto. Allora papà inventò l’acchiappa-lacrime. In sostanza io

dovevo smettere di piangere a dirotto per permettergli di acchiappare una lacrima intera. Feci come mi diceva: il pianto si bloccò e per un po’ ci mettemmo a caccia di quella lacrima. L’abbiamo fatto tante altre volte insieme e io ho insegnato il gioco a tutti quelli che mi sono cari». Patrizia Antonicelli parla del padre Franco con infinito amore. Si capisce che per lei è assai più dell’intellettuale liberale, amico di Gobetti e Leone Ginzburg, che animò la vita letteraria di Torino negli anni Venti e Trenta, il precettore di un giovanissimo Gianni Agnelli, il grande mentore che pubblicò la traduzione di Moby Dick di Pavese e la prima edizione di Se questo è un uomo di Levi, nel 1947. Gli altri raccomandavano di dimenticare l’orrore, ma non lui: per lui invece bisognava scolpirlo nella memoria, per evitare che si ripetesse. L’orrore, il fascismo che ne aveva creato le premesse e vi era drammaticamente precipitato, Franco Antonicelli lo combatté per tutta la vita, pagando il prezzo di ostracismi e persecuzioni e sempre agitando, in tutte le direzioni possibili, l’arma della cultura. «Mio padre era molte personalità avvolte in un unico involucro - racconta la figlia Patrizia, voce calma ma emozione palpabile -. Mente creativa, passione per la cultura, impegno pubblico, curiosità sfrenata, senso sacro degli affetti: questo lo definiva. La poliedricità era, probabilmente, il suo tratto caratteristico: un’irrequietezza di vita, uno slancio creativo rivolto in ogni direzione». Alla fine dello scorso anno, per i cinquant’anni dalla morte di Antonicelli, avvenuta nel 1974, l’editore Nino Aragno ha pubblicato una raccolta delle

di Leonardo Guzzo

prose edite (Il soldato di Lambessa) e inedite (La vaniglia e altre memorie e invenzioni) dell’intellettuale torinese. «È un modo per rendergli giustizia appieno - spiega la figlia -. Mio padre ha sacrificato la letteratura in nome dell’impegno giornalistico e politico, della lotta al fascismo in tutti i suoi aspetti, prima e dopo il regime, ma la sua figura di letterato si impone a prescindere. Questo libro lo conferma». La raccolta si apre con Autunno in Agropoli, un piccolo memoriale del confino subìto da Antonicelli, per meno di un anno tra il 1935 e il 1936, ad Agropoli, cittadina marina del Cilento, in Campania, a cui è rimasto legato per tutta la vita. «In quel periodo di prigionia - s’illumina Patrizia - ha vissuto alcune delle esperienze più gioiose della sua vita. Si è immerso nella cultura e nelle abitudini del luogo, che ha fissato in centinaia di disegni e fotografie. Parlava con i marinai, li accompagnava a pesca, si faceva recitare le canzoni popolari dagli agropolesi. Poteva dedicarsi indisturbato alla scrittura. Durante il confino si è anche

sposato con mia madre, nel santuario della Madonna del Granato a Capaccio. Pare che Mussolini fosse molto irritato da questo strano modo di vivere l’isolamento. Lui avrebbe voluto scriverne di più, come gli amici Cesare Pavese e Carlo Levi, ma gli mancò il tempo». Una vita di molteplici impegni, quella di Antonicelli, una corsa tra occasioni, attrazioni fatali e responsabilità inderogabili, che sentiva come parte integrante del suo essere intellettuale. La figlia conferma ogni circostanza: «Il mio è stato un padre girovago, che aveva poco tempo per le occupazioni quotidiane. Scrittore e giornalista, autore e conduttore radiofonico per la Rai, senatore indipendente nelle file del Partito comunista tra il 1968 e il 1974. Un uomo severo e allegro, con un’incredibile energia. Le sue giornate sembravano lunghe il doppio delle nostre e la mente veloce riusciva a immergersi in tutto quello che lo affascinava, o che sentiva il dovere di trattare, anche negli argomenti più ostici e lontani dal suo mondo. A suo modo è sempre stato presente nella mia vita: un

Il soldato di Lambessa La vaniglia e altre memorie e invenzioni di Franco Antonicelli

NINO ARAGNO EDITORE

378 PAGINE

grande maestro, con cui ridevo molto e da cui mi rifugiavo nei momenti difficili, un realista che mi ha fatto amare la fantasia di Salgari, un esempio di sensibilità umana e coscienza civile». Nella riflessione (“fantasia” o “moralità”, come la definisce lui) intitolata Il soldato di Lambessa, Antonicelli ricorda un episodio raccontato dallo scrittore romano Tertulliano: alla morte dell’imperatore Settimio Severo i soldati ricevono la ricompensa per le loro campagne, cingendosi il capo con una corona mentre ritirano la paga. Uno si rifiuta di indossare la corona e di essere pagato; quando gli chiedono perché, risponde semplicemente: «Sono cristiano». Antonicelli lo definisce, probabilmente, l’unico vero seguace di Cristo della storia e conclude con una riflessione che riassume tutta la sua filosofia di vita: “Agli uomini non può essere consentito di agire secondo natura, che è nulla, perché non prova nulla e non discrimina nessuno, ma secondo coscienza, la quale sola può dare ugualmente a tutti il diritto di giustificarsi”.

Cultura

Il trombettista sardo, uno dei big del nostro jazz e non solo, ha scritto uno spettacolo teatrale e inciso un doppio album dedicati al ‘divino’ the man with the horn

di Raffaello Carabini

PAOLO FRESU ‘INCONTRA’ MILES DAVIS M

iles Davis è stato uno dei più grandi jazzisti di sempre, uno dei musicisti di riferimento del secolo scorso. Il trombettista americano, scomparso nel 1991 a soli 65 anni, ha rappresentato, con brillante intelligenza e istintiva perspicacia, l’essenza di una musica che da un centinaio d’anni si rapporta sempre con il quotidiano, con il sociale, con la vita. Una musica che non ha confini e definizioni, perché - come ironizzava Louis Armstrong - «se hai bisogno di chiedere cos’è il jazz, non lo saprai mai».

A questo gigante Paolo Fresu, uno dei grandi del nostro jazz, trombettista apprezzato in tutto il mondo, ha dedicato lo spettacolo teatrale/concerto Kind of Miles, che ha chiuso da pochi giorni le 40 repliche e che riprenderà nel gennaio 2026 con altrettante o più date, toccando anche il Sud Italia e ritornando persino negli stessi teatri, perché i continui sold out non hanno permesso a molto pubblico di assistervi. Dallo show ha tratto un doppio cd con lo stesso titolo, diviso in due parti (come un vecchio Lp di Joni Mitchell): Shadows, dedicata al periodo acustico di Davis, e Lights a quello elettrico post Anni ’70. Con un ensemble di pregio il musicista sardo riesce a farci immaginare (e farci ascoltare) quello che probabilmente the man with the horn - come veniva chiamato il ‘divi-

© ROBERTO CIFARELLI

Kind of Miles

di Paolo Fresu

TǓK MUSIC

CD 1 (10 BRANI)

CD 2 (11 BRANI)

no’ Davis - suonerebbe oggi, non solo seguendone le orme ma evolvendo da quel percorso verso riletture di nuova lucidità e inediti di notevole spessore.

«Kind of Miles è un po’ una dichiarazione d’amore e un po’ una sfidaci ha detto Fresu -. Miles ha sempre tracciato un percorso, è l’artista che ha aperto tutte le porte del jazz, dentro cui noi siamo potuti entrare. Ha dato al jazz e al mondo della musica in genere una spinta importantissima, in circa 50 anni di una carriera ispirata. La visionarietà e la curiosità erano nella sua natura e ha sempre saputo mettersi in gioco».

E lei, in 40 anni di musica ad altissimo livello, quante porte ha aperto al jazz italiano?

Questo dovrebbero dirlo gli altri. Di sicuro ho preso da Miles il bisogno di mettermi sempre in gioco e di calcare terreni diversi tra di loro, che è un po’ la mia prerogativa e la mia passione. Faccio progetti molto differenti perché mi piace l’idea di indagare un po’ tutto il mondo della musica. Se attraverso questo e anche nel mio ruolo di direttore artistico di un festival che ha oltre 40 anni - Time In Jazz a Berchidda, il mio paese natale - e di un’etichetta discografica, la Tŭk, con la quale ho lanciato molti giovani, quindi come stimolatore culturale, sono riuscito ad aprire porte per il jazz italiano dove altri sono potuti entrare, sono onorato e felice.

Qual è, secondo lei, la situazione del jazz in Italia oggi? Sotto il profilo creativo è ottima. Ci sono tantissimi giovani che suonano molto bene, molto più di quando abbiamo iniziato noi. Ci sono più possibilità, internet ne offre moltissime. Il jazz lo si può studiare nei conservatori e lo si può apprendere anche da soli, con una serie di mezzi che noi non avevamo. Questo fa sì che ci siano dei musicisti preparatissimi e progetti molto validi e diversificati. Del resto, in Italia, se viaggiamo dalla Valle d’Aosta fino a Trapani attraversiamo un continente, e questa è la vera ricchezza per l’arte del nostro paese. Il jazz è una musica spugnosa e quindi fotografa bene questa realtà così poliedrica, molteplice e complessa. In Italia ci sono musicisti che si rifanno al jazz degli Anni ’50, e lo fanno benissimo, altri che vanno verso la musica di sperimentazione, altri che usano l’elettronica, si lavora sulla canzone italiana, sull’opera, sulle sonorità del Mediterraneo, sulla musica partenopea. È un segno di grande distinzione e fa sì che noi italiani siamo benvoluti nel mondo, grazie a questa ricchezza. Però è cresciuto il numero dei musicisti, mentre le opportunità lavorative che festival o dischi possono offrire non sono invece cambiate. C’è una sorta di dislessia interna perché i numerosi musicisti giovani, che suonano benissimo, hanno progetti molto belli e li vorrebbero portare in giro di più, non riescono a farlo. Dobbiamo cercare di colmare questo gap. Come opera in qualità di direttore artistico di Time In Jazz? Il jazz oggi deve cercare di aprirsi a un pubblico più ampio, più giovane, cosa che in molti festival, sia

italiani che europei e americani, non avviene. Noi ci stiamo lavorando da molto tempo e siamo riusciti ad avere un pubblico giovane, perché a Berchidda cerchiamo di anticipare i tempi, di portare il jazz in un mondo artistico più vasto, più popolare. Tanto che al Sanremo di quest’anno ci saranno tre artisti che abbiamo avuto con noi con progetti particolari, costruiti appositamente per loro, nelle due scorse stagioni. Sono Tormento, Willy Peyote e Serena Brancale. Chissà che le distanze non si stiano accorciando e che anche la musica d’arte, la musica di qualità non si sposi con quella più popolare. Ben venga.

Musica
© SEDA

Cultura

BELLE ÉPOQUE LA PARIGI CHE SOGNAVA A COLORI

Un avvincente percorso espositivo - tra dipinti abiti e manifesti - racconta la vivacità artistica della capitale francese nell’ultimo quarto del XIX secolo

di Serena Colombo 1

l cuore pulsante della modernità, il centro del mondo: così appariva Parigi nella seconda metà dell’Ottocento, grazie al lavoro del prefetto della Senna, il barone Haussmann, nominato da Napoleone III per trasformare quella che all’imperatore appariva «nient’altro che una vasta rovina, buona solo per i topi». Demolite le vecchie case medievali, malsane e fatiscenti, addossate le une alle altre, senza luce e aria, affacciate su strade dissestate invase da roditori per la mancanza di un sistema fognario, Haussmann disegnò i grandi Boulevard, illuminati e percorribili dalle carrozze e, dal 1857, dagli omnibus a cavalli che consentivano ai parigini di muoversi facilmente attraverso la città (anche se il piano superiore era severamente proibito alle donne, per il rischio che, salendo i gradini, si intravedessero le caviglie spuntare dai lunghi abiti lussuosi).

Musica, paillettes, crinoline ricamate in seta, piume e perle, balli sfrenati, canzoni, flâneurs e coquettes, giocatori di borsa, oppiomani e saltimbanchi, poeti, attori, drammaturghi. Champagne rosé a fiumi e assenzio, la mitica e pericolosa “fata verde”: un po’ tutto questo è la Belle Époque, quel periodo irripetibile che ebbe in Parigi la sua scena, alla fine Ottocento, dove, nei caffè e nei teatri si riunivano, discutevano, dipingevano, amavano i più grandi geni della cultura europea e non solo. Meno di mezzo secolo caratterizzato da un tumultuoso sviluppo e da una incrollabile fede nel progresso, da prodigiose scoperte scientifiche, dalla nascita del turismo di massa e dalla diffusione della fotografia e dei giornali a stampa. Dal 1855 - e poi negli anni a seguirel’Esposizione Universale aveva introdotto nuove tendenze e imposto nuovi gusti, trasformando la città nella ca-

pitale del mondo. Era l’occasione di incontro e dialogo di culture diverse, come quella giapponese, che da subito affascinò gli artisti francesi di lar2

1. Giovanni Boldini, Ritratto di Miss Bell 1903, olio su tela. Genova, Raccolte Frugone

2. Giuseppe De Nittis, Leontine che pattina 1875, olio su tavola, collezione privata

3. Aleardo Villa, Abiti, vestine per bambini 1903, Magazzini Italiani E. & A. Mele & C. Napoli, litografia su carta Officine Grafiche Ricordi & C. di Milano

4. Abito da sera, 1910-’ 13, merletto Chantilly su fodera raso-seta, collezione Mara Bertoli

ghe vedute, forse ancora poco capiti dal grande pubblico ma destinati a un successo duraturo. Così Parigi divenne centro di sperimentazione e laboratorio per l’arte contemporanea, attraendo pittori da tutto il mondo. Tra questi anche molti italiani (gli “Italiani a Parigi” li definì il critico Diego Martelli), tra cui i noti Giovanni Boldini, Giuseppe De Nittis, Federico Zandomeneghi, Antonio Mancini, Vittorio Corcos. A loro è dedicata una mostra a Brescia che riunisce oltre 80 opere, per lo più provenienti da collezioni private, solitamente inaccessibili, e da importanti istituzioni museali (come il Museo Giovanni Boldini di Ferrara e il Museo Civico di Palazzo Te di Mantova). «Dopo il successo della mostra dedicata ai Macchiaioli - raccontano i curatori Francesca Dini e Davide Dotti - siamo felici di tornare a lavorare insieme su un progetto ambizioso che presenterà una raffinata selezione di capolavori realizzati a Parigi, nell’ultimo quarto dell’Ottocento, da Boldini, De Nittis,

Zandomeneghi, Mancini, Corcos». Travolto dal fascino di donne dalla femminilità ammaliante, il ferrarese Boldini (1842-1931) ne restituì la seducente bellezza con il suo pennello, in ritratti come quello dell’attrice della ‘Comedie Française’, nota come Miss Bell, disinvolta nell’intrigante abito rosso, o nel Ritratto di signora in bianco, immagine della ‘femminilità suprema’, pudica, elegante e irresistibile. Le sue “divine” (definizione, si dice, coniata dallo stesso pittore), sono figure vitali, tanto carnali e reali quanto ideali e trasfigurate. «Era un artista ultra chic - scrisse lo storico dell’arte americano Bernard Berenson nella metà del Novecento -, specialmente quando ritra-

eva lungiformi signore dell’alta società internazionale che appaiono dipinte come sotto un vetro traslucido». Anche il pugliese De Nittis (18461884), trasferitosi definitivamente a Parigi nel 1872, amava raccontare la città moderna e in particolare il mondo femminile, i riti e la grazia delle donne francesi. Fu definito “il pittore delle parigine”, ma la sua modella preferita fu la moglie Léontine, ritratta anche mentre si muove aggraziata pattinando sul lago ghiacciato.

Pure il veneziano Zandomeneghi (1841-1917) si lasciò sedurre dal linguaggio impressionista, impreziosendolo con la sua originalissima tavolozza e contribuendo a fare della donna parigina una icona di moderna femminilità.

Il giovane Corcos, approdato a Parigi nel 1880, collaborò a lungo con Adolphe Goupil, il più importante mercante parigino: grazie a lui, divenne ritrattista della “Parigi bene”, infondendo nelle sue tele la gioia del godimento del lusso e dell’eleganza. Il percorso espositivo consente al visitatore, spiegano i curatori, «di immergersi nel clima della Belle Époque grazie anche a delle sezioni dedicate al contesto culturale: a Palazzo Martinengo ci saranno infatti abiti realizzati negli atelier dei sarti parigini più famosi, affiches disegnate da grandi illustratori come Cappiello, Dudovich e Metlicovitz, e vetri artistici realizzati da Emile Gallé e dai fratelli Daum». Davvero, come scriveva il critico Jules Claretie, «la Belle Époque fu l’epoca dei sogni a occhi aperti, della fede nel futuro e dell’amore per la bellezza in tutte le sue forme».

La Belle Époque. L’arte nella Parigi di Boldini e De Nittis Brescia, Palazzo Martinengo fino al 15 giugno www.mostrabelleepoque.it

l suo Ulisse è «un’anima perduta, un uomo ferito e segnato psicologicamente dalla guerra, che torna a casa nell’incertezza di reclamare il suo regno e vendicarsi». Ralph Fiennes parla così di Odisseo in Itaca. Il Ritorno, l’ultimo film di Uberto Pasolini, nelle sale dal 30 gennaio con 01 Distribution, e presentato in anteprima alla 19ª Festa del Cinema di Roma.

Ulisse torna nella sua Itaca dopo anni di lontananza. Sua moglie Penelope, con grande caparbietà, lotta per mantenere la fede in un suo inatteso ritorno e tenere lontano i Proci dal regno. Loro figlio, Telemaco, che si affaccia

all’età adulta, è diviso tra l’amore per sua madre e il peso del leggendario padre. Questa famiglia, separata dal tempo e dalla guerra, sarà riunita dall’amore, dal senso di colpa e dalla violenza. Il mito di un uomo, un padre, un marito, un guerriero, ormai sfinito e provato dalla vita e dalla guerra, interpretato magistralmente nel corpo e nell’anima dall’attore britannico, 62 anni, rivive sul grande schermo in questo dramma intimista e spirituale, che non risparmia sangue e violenza. «Questa è la storia di una famiglia, di esseri umani che rappresentano degli archetipi - ha spiegato Fiennes a Roma della trasposizione cinematografica de L’Odissea di

Omero -. Il motivo per cui torniamo a questi miti ancora oggi

è proprio perché possiamo identificarci in loro, nei comportamenti e nelle situazioni che si ripetono, come, purtroppo, le guerre».

Per interpretare Ulisse, Fiennes è partito dalla sua «immaginazione emotiva. Sono andato alla ricerca di una

intrighi, tradimenti e giochi di potere. «Il mio Cardinale è un uomo che non si impone sugli altri. Ha un animo quieto, osserva, cerca di capire, ascoltare, prova a far andare d’accordo le persone, anche accettando dei compromessiha spiegato Fiennes -. Lawrence è uno che ascolta più che esprimere ciò che ha dentro. E il cinema è un mezzo perfetto per raccontare emozioni del genere, spingendo lo spettatore a riflettere su ciò che si nasconde nel personaggio».

L’attore si è preparato al ruolo anche parlando con alcuni sacerdoti. «Ho incontrato persone sagge e gentili che mi hanno aiutato, senza mai assumere un atteggiamento difensivo nei confronti della Chiesa. Mia madre era una cattolica devota e io ho avuto un’educazione cattolica fino a quando, a 13 anni, non mi sono ribellato - ha concluso Fiennes -. Ma mi affascina molto ancora oggi la fede, qualcosa che fa sentire l’essere umano al sicuro».

AMilano, nel quartiere Giambellino, esiste un luogo dove il cibo si fa portatore di incontri, condivisione, storie umane, terre lontane. Insomma diventa il centro di un laboratorio di antropologia applicata, dove i corsi di cucina stimolano lo scambio culturale e la voglia di trasmettere una passione autentica. Il Lac, acronimo di “Laboratorio di antropologia del cibo”, è nato ormai quattro anni fa dall’idea di Giulia Ubaldi, antropologa culturale che ha cominciato a interessarsi al mondo del cibo a partire dal lavoro di ricerca realizzato alla fine del percorso universitario. «Tutto è nato in Cilento - racconta a 50&Più -, dove ho lavorato in varie aziende agricole e ristoranti per la mia tesi di laurea; questo mi ha permesso di avvicinarmi al cibo da vari punti di vista. Tornata poi a Milano, ho cercato di scrivere quello che avevo vissuto, mantenendo sempre uno sguardo antropologico sul cibo e unendo l’esperienza pratica a quella giornalistica». Come è arrivata a sperimentare un laboratorio aperto a tutti a partire dal suo lavoro individuale?

Negli anni di ricerca ho viaggiato molto e, dato l’interesse che notavo sul te-

LAC

L’ANTROPOLOGIA APPLICATA AL CIBO

Il lavoro di Giulia Ubaldi inizia subito dopo l’Università

dalle aziende agricole del Cilento a Milano «La nostra idea è proprio quella di non generalizzare le culture per paese di provenienza»

di Ilaria Romano

ma, ho pensato di voler rendere questa esperienza fruibile a tutti. Ho cercato di realizzare un luogo che fosse un po’ come una casa, per riproporre a tutti l’esperienza che io vivevo intervistando le persone per un articolo, entrando nelle loro dimore e quindi nello spazio più intimo.

Chi sono i cuochi che oggi collaborano con Lac?

I cuochi che oggi collaborano con Lac sono persone conosciute durante gli anni di ricerca e poi richiamati per far parte del progetto. Nessuno di loro aveva mai insegnato prima. Il punto di unione fra loro è che nessuno na-

In queste immagini, alcuni momenti di condivisione durante i corsi organizzati dal Laboratorio di antropologia del cibo nel quartiere Giambellino di Milano

sce come cuoco professionista, ossia lo fa per mestiere. Ad esempio, abbiamo una cuoca che fa la musicista alla Scala, un ingegnere, insomma storie molto diverse e provenienze altrettanto varie, che in comune hanno la passione per il cibo e la voglia di raccontarsi.

Pur presentando piatti e ricette di diverse provenienze geografiche, al Lac non si parla di cucina etnica.

Viviamo in un mondo che è talmente contaminato e misto che oramai diventa riduttivo parlare di etnie, e quindi anche di cucine etniche. La nostra idea è proprio quella di non generalizzare le culture per paese di provenienza, ma evidenziare il singolo punto di vista che si esprime attraverso la cucina, e con esso una storia personale.

Faccio un esempio: la nostra cuoca cinese, in uno dei primi corsi all’inizio, presentava i suoi ravioli. Una signora cinese cominciò a contestarli perché sosteneva che il suo modo di realizzarli non fosse quello corretto. Ma lei ha proprio rivendicato la particolarità della contaminazione, di una donna cinese cresciuta a Padova, che usava la farina doppio zero al posto di quella di riso e che ‘leggeva’ quel piatto secondo la sua prospettiva, come parte della sua storia personale.

Come si svolgono i corsi?

Ogni corso si ripete una volta al mese, e sempre con piccoli gruppi di partecipanti. Si comincia subito con l’assaggio del piatto che poi sarà realizzato nel corso della serata, accompagnato da un bicchiere di vino. Poi comincia la preparazione, mentre il cuoco si racconta e racconta il suo piatto. L’andamento della serata si determina in base ai partecipanti: ci sono persone più interessate agli aspetti culinari, che

chiedono informazioni sulla ricetta, altri invece si concentrano maggiormente sugli aspetti culturali e politici dei luoghi di provenienza.

Chi sono i partecipanti? Il target è molto vario: ci sono coppie, gruppi di ragazzi, singoli. In generale il nostro format prevede persone che non si conoscono fra loro. L’interazione che ne viene fuori è essa stessa un esperimento antropologico. L’invito che facciamo a tutti è quello di godersi questo tempo e far emergere tutte le curiosità che hanno. Le serate più belle sono quelle dove si riesce a interagire di più, dove ognuno alla fine si racconta. Organizziamo anche corsi specifici per le aziende che vogliono fare ‘team building’ (imparare a fare squadra, ndr) , e abbiamo cominciato anche a lavorare

con i bambini, ma questo è un ambito per il momento più ristretto. Come avete scelto il luogo per dare vita al Lac?

Ci tenevo che fosse al Giambellino, quartiere dove sono nata e cresciuta, che non va di moda e solitamente non si sceglie. È un posto che io adoro e per questo ho cercato uno spazio lì. Tutto è nato molto velocemente, nel giro di sei mesi ho avuto l’idea, e poi ho trovato il locale, la cucina e subito dopo i cuochi. Oggi il Lac è sempre pieno, anche perché abbiamo costi contenuti e una grande cura della persona. Ci tenevo a renderlo fruibile a tutti, indipendentemente dall’età e dalle possibilità, e non volevo che diventasse un posto di élite, che solo in pochi possono permettersi. Così è stato.

© SILVIA CAPPUZZELLO
© VALTER BELLONI

Spalancata la Porta Santa delle quattro basiliche pontificie di Roma, più quella del Carcere di Rebibbia, il Giubileo 2025 è subito entrato nel vivo. Un evento che coinvolge mondi apparentemente distanti, quello religioso e quello laico, ma che hanno invece tanto su cui dialogare e per cui camminare insieme. Centinaia di migliaia i fedeli che hanno attraversato la Porta Santa e tanti altri lo faranno nei prossimi mesi di questo anno. Roma è già invasa e lo sarà ancora di più il 14 e 15 giugno, quando si celebrerà il Giubileo dello Sport, al quale sono particolarmente invitati, insieme ai loro familiari, tutti coloro che sono coinvolti in questo settore, atleti, amatori, allenatori, dirigenti sportivi e associazioni. Il panorama agonistico si potrà compattare, senza divisioni tra campioni e dilettanti, tra giovani e anziani, tra praticanti e tifosi. Tutti insieme per condividere i valori dello sport e quella speranza, leit motiv dell’Anno Santo, al quale sarà dedicato - il 14 giugno - il pellegrinaggio da piazza del Popolo, eletta per l’occasione a Villaggio dello Sport, sino a piazza San Pietro, per concludersi con il fatidico passaggio della Porta Santa della Basilica. Una sorta di mini maratona in preparazione della messa del giorno successivo, presieduta nella piazza da papa Francesco. Questo, in sintesi, il programma della due giorni, al quale ci si può iscrivere gratuitamente - molti già lo hanno fatto - attraverso il sito web del Giubileo. Ma sono tanti gli sportivi che parteciperanno anche alle giornate dedicate ai giovani e alla disabilità, facendo dello sport una sorta di elemento trasversale nell’Anno Santo 2025. A sottolineare i motivi alla base di questo evento nell’evento è proprio il Pontefice, che più volte ha detto come lo sport sia «un formidabile alleato per costruire la pace» e, proprio per questo, «la Chiesa è vicina allo sport, perché crede nel gioco e nell’attività sportiva come luogo di incontro e di

CON IL GIUBILEO GLI ATLETI DIVENTANO PELLEGRINI DI SPERANZA

Il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero vaticano per la cultura e l’educazione spiega: «Lo sport è un’attività che porta a fare squadra» di Giovanni Carlo La Vella

formazione della persona ai valori della fraternità». Parole, queste, che restituiscono all’attività agonistica il carattere ludico e comunitario. Per questo il Santo Padre ha promosso la creazione di Athletica Vaticana, l’associazione che presiede all’attività agonistica all’ombra del cupolone. Athletica sarà presente con i suoi iscritti al Giubileo dello Sport, facendo da volano per tante altre associazioni, come il Centro Sportivo Italiano, emanazione dell’Azione Cattolica, e altre aggregazioni espressione del mondo laico. Partecipare al Giubileo dello Sport, dunque, può essere importante per riscoprire le spinte ideali

che portano ogni persona a mettersi in gioco, qualsiasi sia il livello che potrà raggiungere nella sua disciplina. Il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero vaticano per la cultura e l’educazione, vero e proprio ministro dello sport della Santa Sede, ricorda sempre come nello sport «nessuno deve essere lasciato indietro». È un mondo fatto di inclusione, fraternità e solidarietà e, in quanto espressione culturale più diffusa e più comprensibile al mondo, ha gli strumenti per affermare questi principi. «Tutto ciò - sottolinea il presidente di Athletica Vaticana, Giampaolo Mattei - confer-

ma che lo sport, anche nelle discipline individuali, è un’attività che porta a fare squadra, a fare gruppo e a condividere impegno e fatica con lo scopo di arrivare a un risultato con lealtà e nel rispetto delle regole». E non a caso il motto dell’associazione è “corriamo insieme”. In questa ottica la vittoria diventa un piacevole effetto collaterale, ma non necessariamente l’unico obiettivo, in cui le sensazioni importanti sono quelle che si provano mentre ci si allena e si gareggia, laddove l’avversario non è qualcuno da battere, ma è lo specchio di sé stessi, di quanto si è investito fisicamente e mentalmente. I grandi mezzofondisti britannici del recente passato, gli olimpionici Sebastian Coe e Steve Ovett, ricorda Mattei, si allenavano anche a Natale, pensando che l’altro stesse facendo lo stesso. E, per fare un paragone con un altro sport popolarissimo, il ciclismo, non ci sarebbe stato Coppi senza Bartali o Moser senza Saronni. Il Giubileo dello Sport vuole aggiungere a tutto questo anche la cifra spirituale. Gli atleti sono veri “pellegrini di speranza”, per citare il tema scelto per l’Anno Santo 2025, e coloro che parteciperanno, da

tutto il mondo, potranno dimostrarlo - famosi o meno famosi - con le loro storie di vittorie e di sconfitte, uomini e donne in cammino verso l’obiettivo che è il miglioramento di sé stessi. Lo sport dei professionisti, che alimenta anche una cospicua economia e porta all’estremo la prestazione fisica, può imparare molto da questo e rafforzare i propri principi etici. “Giochiamo ad essere fratelli”: sembra essere questo il sottotesto del Giubileo dello Sport. Corpo, testa e cuore messi appunto in gioco in una corsa o in una partita, in cui saranno in pochi a conquistare la medaglia, ma tutti saranno vincitori. Lo sport è metafora della vita: disegna percorsi virtuosi per fare concretezza dei propri sogni.

«La Chiesa è vicina allo sport perché crede nel gioco e nell’attività sportiva come luogo di incontro e di formazione della persona ai valori della fraternità»

Papa Francesco

“I

l mondo è pieno di lunedì”, diceva un affranto Charlie Brown pensando all’inizio di una nuova settimana piena di impegni e incognite. L’amatissimo e filosofico personaggio di Schulz è lo specchio di ognuno di noi, che spesso guardiamo al lunedì con un misto di trepidazione e rassegnazione, consapevoli che la routine sta per riprendere il suo corso. Perché non è solo il protagonista dei Penauts a sentir “salire una certa ansia”. A soffrire della cosiddetta “sindrome della domenica” sono 8 professionisti su 10, come conferma

ANSIA DELLA DOMENICA O PAURA DEL LUNEDÌ?

Nell’ultimo giorno della settimana, proprio quando la ripresa lavorativa è imminente, in molti avvertono una sensazione di ansia legata alle incombenze che si affacciano. Una condizione che accomuna tante persone, per un motivo o un altro

una ricerca condotta non molto tempo fa negli Stati Uniti da LinkedIn, il social network pensato per la sfera lavorativa. E la causa - ça va sans dire - è sempre la stessa: il rientro al lavoro. A detta degli stessi intervistati, poi, sotto la paura di ricominciare si nascondono diverse motivazioni. Prima fra tutte, l’incertezza economica: è così per il 74% del campione. Per il 37%, invece, è dovuto alla crescente sensazione di essere sopraffatti dal lavoro. Il 31%, infine, è spaventato da una possibile recessione. Tuttavia, è curioso che nei paesi anglofoni questo sentimento di negatività sia stato definito “Sunday Scaries” o “Sunday evening feeling”. Che poi tradotto non vuol dire altro che “pau-

ra della domenica” o “sensazione della domenica sera”. E questo nonostante l’impennata di ansia sia dovuta al lunedì, giorno più odiato fra tutti. Il motivo, dopotutto, è semplice e anche immaginabile: è proprio dalla domenica che molte persone cominciano ad avvertire una sempre maggiore tensione per la sveglia del lunedì mattina. È questa che segna il ritorno agli obblighi lavorativi o alla routine quotidiana. La percentuale di coloro che provano tale sensazione, sempre secondo l’indagine di LinkedIn, può variare in base all’età: raggiunge il 91% tra i millennial (ovvero i nati tra il 1980 e il 1996) e il 94% tra la Gen Z

(cioè i nati tra il 1997 e il 2012). Se per alcuni la domenica è solo un giorno come gli altri - anzi il momento adatto per proiettarsi verso i propri obiettivi lavorativi -, per altri rappresenta il motore di ansie che si ingigantiscono. Ciò che si prova la sera, in particolare, è una forma di stress che può persino incidere sul sonno. Secondo un recente studio dell’Accademia Americana di Medicina del Sonno, infatti, oltre il 25% degli americani dichiara di avere maggiori difficoltà ad addormentarsi la sera di questo giorno della settimana rispetto agli altri. È un po’ l’effetto “stop and go” generato

dall’alternarsi tra il relax del week end e il brusco ritorno al lunedì. Dopo aver evitato per qualche tempo il pensiero del ritorno all’attività, ecco riaffacciarsi tutte le preoccupazioni e i timori. Risultato: l’equilibrio emotivo si incrina e i pensieri corrono di nuovo a ciò che ci aspetta. Con tutto il corollario di tristezza e ansia che ne deriva. Il ragionamento, ovviamente, è valido anche al contrario. Perché se l’ansia ci strangola a mano a mano che ci avviciniamo al lunedì, accade l’esatto contrario mentre ci avviciniamo al venerdì. Servono prove? Uno studio eseguito in Germania, nel 2021, su un gruppo di 87 dipendenti

«Per placare l’effetto ansiogeno del primo giorno della settimana evitiamo di riempire

i

week end

di

obblighi Lasciamo spazio a ciò che piace e al riposo»

per un periodo di 12 giorni e in parte finanziato dalla Volkswagen Foundation, ha dimostrato che i livelli di energia e l’umore di questi tendevano a crescere durante la settimana lavorativa, a mano a mano che ci si avvicinava al venerdì. Questo era il momento in cui raggiungevano il picco. Il lunedì si assisteva a un crollo.

Consigli per rendere l’impatto con il lunedì meno devastante e favorire così una transizione più serena (nei limiti del possibile, certo)? Per prima cosa evitiamo di riempire la domenica di obblighi. Lasciamo spazio al riposo, facciamo quello che ci piace. Secondo: può essere utile pianificare la settimana in anticipo. Se la visualizziamo in modo positivo, questo ci aiuterà in parte a ridurre quel senso di sopraffazione che spesso si prova. Terzo: serve un bel bagno di realtà, ovvero è essenziale accettare i propri limiti. Non possiamo sempre essere perfetti e garantire una performance impeccabile. Questo vuol dire che sarebbe il caso di ridurre il peso di tutte quelle aspettative che riponiamo in noi stessi e che spesso non ci fanno godere neppure dei successi che raggiungiamo. E mentre cerchiamo il nostro equilibrio emotivo per superare indenni tutti i lunedì della nostra vita, partiamo dal fatto che ci sono anche buone notizie: questa sensazione tende a ridursi col passare dell’età. Invecchiando, quindi, sembra proprio che la “sindrome della domenica” causata dalla ripresa della settimana, cesserà. Giusto in tempo per la pensione.

GLI EFFETTI DELLA MUSICA SU FIDO

L'ascolto di determinate melodie, soprattutto del repertorio classico, si rivela utile anche per fido che può trarne giovamento in caso di patologia comportamentale o disagio psicofisico

Già molto tempo fa, numerosi musicisti avevano compreso quanto la musica determinasse effetti sul cane, tanto che il noto compositore

tedesco Wilhelm Richard Wagner considerò fondamentale la presenza di Peps - il suo Cavalier King Charles - quando componeva. Non solo gli aveva predisposto una postazio-

ne nel suo studio, ma in base alle reazioni del cane cambiava intere frasi musicali. Peps, infatti, mostrava atteggiamenti diversi in base alle melodie e a seconda delle tonalità.

Oggi, grazie a ulteriori studi, è stato dimostrato che effettivamente certe tonalità e generi musicali sono meno apprezzati da fido, che spesso reagisce agitandosi ed abbaiando.

IL GENERE MUSICALE PIÙ APPREZZATO

Secondo gli studiosi, i cani adorerebbero ascoltare in particolar modo la musica classica dei più noti compositori come Beethoven, Mozart, Chopin, Vivaldi, Liszt. Da quanto è emerso da un recente studio condotto da un team di ricercatori dell’Universi-

tà di Glasgow, la musica classica, in particolar modo Le quattro stagioni di Vivaldi, ridurrebbe i disagi determinati dall’ansia da separazione e da iperaggressività su base stressogena, e sarebbe da utilizzare in caso di patologie comportamentali.

I BENEFICI

L’ascolto della musica può quindi apportare numerosi benefici non solo all’uomo. La musicoterapia che, secondo numerosi studi scientifici, ha notevoli effetti positivi anche sulla psiche dell’animale, si rivela utile sin dai primi giorni di vita. L’associazione di una certa sinfonia con il momento dell’allattamento è non solo utile per facilitare il rilassamento della mamma e dell’intera cucciolata, ma lo sarà anche quando il pet sarà adulto. Riascoltare una determinata musica evocherà nella mente del cane un ricordo piacevole e ciò sarà sicuramente utile in tutte quelle situazioni in cui il pet si troverà ad affrontare situazioni di disagio psicofisico, come la perdita di un familiare, un cambiamento di abitazione, un viaggio in automobile molto lungo, la presenza di un ospite in casa o l’adozione di un altro animale.

MUSICHE DA EVITARE

Non tutti i generi musicali sono però apprezzati da fido; rap, metal e disco-dance dovrebbero essere assolutamente evitati. Musiche troppo rumorose, infatti, potrebbero determinare nel cane un forte stato di agitazione e paura, portandolo ad abbaiare incessantemente. Per lo stesso motivo sarebbe bene evitare l’ascolto di strumenti a percussione in presenza di fido, in particolar modo in automobile o in presenza di un ospite in casa. Il cane potrebbe infatti associare quella musica per lui tanto fastidiosa a quello specifico evento.

MUSICOTERAPIA

COME, QUANDO E PERCHÉ

La musicoterapia è sempre consigliabile poiché favorisce il benessere psicofisico e aiuta a rilassarsi. Secondo uno studio condotto dai ricercatori australiani della Sydney School of Veterinary Science, la musica classica rappresenterebbe infatti un utile strumento da utilizzare per alleviare le condizioni di stress che spesso si riscontrano all’interno di un nucleo familiare. L’ascolto di melodie atte a favorire il rilassamento del cane durante un viaggio in automobile o in caso di temporali o fuochi d’artificio, è sicuramente

utile per facilitare lo stato di calma dell’animale.

Questa terapia rappresenta inoltre un valido ausilio per i cani iperattivi, stressati o che manifestano un evidente stato ansioso. In questi casi è consigliabile far ascoltare al pet musica classica per almeno due ore al giorno, in un ambiente tranquillo e in presenza del suo proprietario per favorire il suo stato di relax e facilitarne il riposo.

Infine, secondo gli studiosi, la musicoterapia avrebbe effetti benefici anche in caso di convalescenza del pet, contribuendo a ridurre i tempi di guarigione.

Tecnologia e dintorni

CURIOSITÀ

Nel 2025 ricorre il 60° anniversario dalla nascita del primo personal computer della storia, l’Olivetti Programma 101. Poco più grande di una macchina da scrivere, aveva 10 registri di memoria, era programmabile leggeva e scriveva dati su striscia magnetica

1

SMARTPHONE

Vibrazione degli smartphone: come funziona?

NIENTE MAGIA: L’ENERGIA ELETTRICA SI TRASFORMA IN ENERGIA MECCANICA

Il meccanismo di vibrazione degli smartphone può trasformare l’energia elettrica in meccanica grazie a un piccolo motore alimentato dalla batteria. Il meccanismo può essere di due tipi: ERM (Eccentric Rotating Mass) e LRA (Linear Resonant Actuators). Il primo genera un moto oscillatorio a elevata frequenza grazie alla forza centrifuga, il secondoformato da una bobina, una molla e una massa magnetica - crea vibrazioni attraverso le variazioni di corrente che fanno muovere la massa magnetica.

2 DEEP FAKE AUDIO

Se l’intelligenza artificiale mente

VERA O FALSA? COME RICONOSCERE L’AUTENTICITÀ DI UNA VOCE SUL WEB

Al di là del mondo della musica, dove talvolta si ‘clona’ la voce dei cantanti con l’IA, sono molti i truffatori che ricorrono al voice cloning per generare audio deep fake difficili da riconoscere. Un’utile soluzione contro queste truffe è DeepFake-o-Meter, piattaforma open-source che permette di verificare l’autenticità di audio, immagini o video. In meno di un minuto il programma indica la percentuale di possibilità che il contenuto sia stato generato da un’IA e lascia poi all’utente la decisione finale.

3

PRIVACY

Assistenti vocali, non rispettare la privacy costa caro

APPLE: 95 MILIONI DI DOLLARI PER CHIUDERE UNA CLASS ACTION CONTRO SIRI Il 2025 si è aperto “on fire” per la Apple. Il colosso tecnologico di Cupertino sborserà 95 milioni di dollari in contanti per chiudere una class action intentata contro Siri, il suo assistente vocale. Alcuni possessori hanno lamentato che registrava sistematicamente le loro conversazioni private, dopo un’attivazione involontaria, divulgandole a terze parti come gli inserzionisti. Apple ha acconsentito a pagare la cifra come parte dell’accordo, ma nega ogni responsabilità nella controversia.

4 B2-W

Il robot cane quadrupede (e atleta)

GRANDI CAPACITÀ ACROBATICHE E DI MOVIMENTO SUI TERRENI ACCIDENTATI

Un vero e proprio miracolo della robotica moderna. La Unitree, nota azienda cinese, ha mostrato di recente le capacità acrobatiche di B2-W, il suo ultimo modello di robot cane. Nonostante i suoi 75 kg di peso, B2-W può replicare movimenti molto complessi e muoversi benissimo su terreni accidentati, pendii scoscesi, in presenza di acqua e con carichi molto pesanti. Tutto questo grazie alle ruote montate sugli arti, facilmente sostituibili e alimentate da motori ad alta potenza.

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SOCIAL

Sempre più paesi vietano l’uso ai minori

DALL’OLANDA ALLA GRECIA, FINO ALLA FLORIDA: CRESCE LA STRETTA

Distratti, ansiosi, preda di contenuti inappropriati. L’impatto degli smartphone sui giovani è un tema sempre più sotto la lente degli esperti e della politica. Nel nostro paese, il ministero dell’Istruzione ha vietato gli smartphone in classe; Olanda, Francia e Grecia hanno promulgato dei divieti. Lo scorso novembre l’Australia ha vietato per legge i social agli under 16. Utah, Arkansas, Louisiana, Ohio e Texas hanno introdotto normative simili, mentre la Florida è stata tra le prime a vietare l’uso dei social media ai minori di 14 anni.

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ARTI ROBOTICI

La ‘mano’ di Clone Robotics

HA MUSCOLI AD ATTIVAZIONE TERMICA CHE SI ISPIRANO A QUELLI UMANI

Da anni l’azienda statunitense Clone Robotics lavora per creare mani e arti robotici simili a quelli umani. Ha realizzato così un sistema di muscoli artificiali che si contraggono sotto una pelle trasparente. Si tratta di tubi a maglia con un palloncino interno che si espande grazie a un fluido riscaldato elettricamente, l’acetaldeide: quest’ultimo genera una pressione sufficiente per una contrazione rapida ed efficace. Lo scheletro, invece, è progettato con ossa e articolazioni ispirate a quelle umane.

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CHATGPT

Adesso ha gli occhi della videocamera

L’IA ORA PUÒ INTERAGIRE ATTRAVERSO LA FOTOCAMERA DELLO SMARTPHONE

ChatGPT ha introdotto una nuova funzione che permette di avere conversazioni video in tempo reale con l’intelligenza artificiale. Gli utenti con un abbonamento a ChatGPT possono ora mostrare ciò che vedono con la fotocamera del loro smartphone direttamente al chatbot. Questa nuova funzionalità consente di interagire con ChatGPT in modo più naturale e immediato, come se si stesse parlando con una persona, facendo domande e ottenendo risposte in modo fluido.

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RESCUETIME CLASSIC

Un’app per non perdere tempo

AIUTA A MONITORARE COME E QUANTO USIAMO I NOSTRI DEVICE

Capita di non rendersi conto del tempo trascorso usando lo smartphone. Piuttosto che continuare a pensare che avremmo bisogno di qualcuno o qualcosa che ci aiuti, usiamo RescueTime. È un’app che monitora app e siti web che usiamo, quanto tempo trascorriamo online, quanto siamo produttivi. Scaricabile dai principali store Android e iOS, può aiutare a creare abitudini più sane grazie agli strumenti per impostare obiettivi e bloccare le distrazioni quando ci si vuole concentrare.

Dal 26 al 27 febbraio a Milano, torna AI Festival, evento internazionale sull’intelligenza artificiale presso l’Università Bocconi. Grazie ai migliori esperti del settore, l’edizione 2025 promette un viaggio nel futuro della tecnologia

AL VIA LA PRESTAZIONE UNIVERSALE

PER GLI OVER 80 NON AUTOSUFFICIENTI

È in vigore da gennaio 2025 la nuova misura sperimentale introdotta dal c.d. “Decreto Anziani” e rivolta agli ultraottantenni non autosufficienti e in uno stato di bisogno assistenziale “gravissimo”

Sono piuttosto stringenti i requisiti sanitari e sociali necessari per chiedere la nuova prestazione universale, erogata mensilmente dall’Inps in via sperimentale per il periodo dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2026. Con il messaggio 4490 del 30 dicembre 2024, l’Istituto ha illustrato nel dettaglio la nuova misura e i requisiti per accedervi, fornendo le prime indicazioni relative alle modalità di presentazione della domanda. La prestazione, introdotta con l’intento di privilegiare i servizi di assistenza sul territorio e le cure domiciliari delle persone anziane, in modo da prevenire il ricovero in istituto, è destinata agli over 80 già titolari di indennità d’accompagnamento e, dal punto di vista economico, è composta da una quota fissa - corrispondente appunto all’accompagnamento - e da una quota integrativa, definita “assegno di assistenza”, pari a 850 euro mensili. Questo assegno aggiuntivo dovrà essere utilizzato per sostenere il costo del lavoro di cura e assistenza prestato da badanti in regola o dei servizi forniti da imprese qualificate nel settore dell’assistenza sociale non residenziale, nel rispetto delle specifiche previsioni contenute nella programmazione integrata di livello regionale e locale.

L’Inps provvederà al monitoraggio della spesa e procederà all’eventuale rideterminazione dell’importo mensile della quota integrativa, qualora si verifichi uno scostamento fra il numero di domande pervenute e le risorse finanziarie a disposizione.

Oltre ad aver compiuto 80 anni di età e a essere beneficiari di indennità d’accompagnamento, è necessario trovarsi in uno stato di bisogno assistenziale “gravissimo”, valutato in base alle informazioni sanitarie a disposizione negli archivi dell’Inps e alle indicazioni fornite da una commissione tecnico-scientifica istituita ad hoc (di cui all’articolo 34, comma 3, del decreto legislativo 29/2024) e approvate con il decreto ministeriale del 19 dicembre 2024.

Dal punto di vista sanitario, il richiedente deve presentare un “livello gravissimo di disabilità”. Deve essere, per esempio, in stato di coma o di minima coscienza, o dipendente da ventilazione meccanica assistita, o con gravissimo stato di demenza, con deprivazioni sensoriali complesse (della vista o dell’udito), con ritardo mentale grave o deve comunque avere necessità di un’assistenza continuativa, 24 ore su 24. Alla valutazione sanitaria se ne aggiunge un’altra di tipo sociale, effettuata sulla base di un questionario relativo ad alcune condizioni del nucleo familiare, elencate nel messaggio Inps del 30 dicembre. Il punteggio minimo da raggiungere è di almeno 8 punti. Per esempio, la presenza nel nucleo familiare di un altro componente ultraottantenne o di età compresa fra 70 e 80 anni dà rispettivamente diritto a 3 o a 1 punto, mentre non si ottengono punti se i restanti componenti del nucleo hanno un’età inferiore a 70 anni. Non manca un requisito di tipo economico. È infatti necessario avere un Isee per le prestazioni agevolate socio-

sanitarie fino a 6.000 euro. Si tratta di una soglia molto bassa, basti pensare che l’Isee necessario per accedere nel 2025 all’Assegno di inclusione è stato innalzato a 10.140 euro. Occorre anche sottolineare che l’anziano deve essere in possesso dei requisiti richiesti non solo alla presentazione della domanda, ma anche per tutta la durata della prestazione, in vigore in via sperimentale per due anni, pena la decadenza dal beneficio. Per esempio, l’eventuale venir meno dell’indennità d’accompagnamento farà decadere anche l’assegno di assistenza di 850 euro. Inoltre, anche nel caso in cui la quota integrativa di 850 euro non venisse utilizzata per le finalità previste dalla norma, l’Inps revocherà l’importo. Se da un lato è innegabile che la nuova prestazione universale rappresenti un modello di intervento innovativo e un primo passo verso una riforma strutturale della non autosufficienza, dall’altro, le risorse messe a disposizione e i requisiti piuttosto severi fanno di questa misura un beneficio non proprio “universale”, destinato a una platea che si stima inferiore alle 30.000 persone. L’auspicio è che, successivamente alla sperimentazione biennale, possano essere destinate a questa misura ulteriori risorse economiche, non solo in modo da rendere la prestazione universale definitiva, ma anche per allargare la platea dei beneficiari e porre concretamente le basi di un moderno sistema di “long-term care”.

BONUS NUOVE NASCITE

Un contributo una tantum di 1000 euro alle famiglie per ogni figlio nato o adottato.

Rivolgiti al Patronato 50&PiùEnasco per presentare la domanda.

INFORMAZIONI E REQUISITI:

La Legge di bilancio 2025 ha introdotto il “bonus nuove nascite”, un importo una tantum pari a 1.000 euro per incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno. Per richiedere la prestazione occorre essere in possesso dei seguenti requisiti:

Residenza in Italia dei genitori ISEE inferiore a 40.000 euro annui.

Chiama il numero unico nazionale o trova la sede a te più vicina sul nostro sito www.50epiuenasco.it

Il Patronato 50&PiùEnasco è a disposizione per la presentazione della domanda e, grazie alla collaborazione con 50&PiùCaf, per l’elaborazione dell’ISEE.

AGENZIA DELLA RISCOSSIONE RATEIZZAZIONE

DEGLI IMPORTI

COSA CAMBIA DAL 1° GENNAIO 2025

Il Decreto Legislativo n. 110/2024 prevede una serie di modifiche per l’accesso alla dilazione dei tributi in caso di inadempienza del contribuente

Come è noto, i tributi non corrisposti regolarmente dal contribuente sono successivamente richiesti dagli uffici competenti; in caso di ulteriore inadempienza, l’ufficio demanda all’Agenzia della Riscossione il compito di notificare al debitore le cosiddette cartelle di pagamento al fine di riscuotere il tributo dovuto, maggiorato dalla sanzione, dagli interessi e dagli aggi. Negli anni sono intervenute diverse normative che hanno consentito al contribuente di aderire ai cosiddetti ‘condoni’ o ‘rottamazioni’, al fine di eseguire il pagamento di quanto dovuto usufruendo di norme agevolative. In caso di mancata adesione a dette disposizioni o, di omessi pagamenti relativi ad annualità non sanabili, è consentita la rateizzazione delle cartelle di pagamento. Il Decreto Legislativo n. 110/2024 ha previsto sostanziali cambiamenti in materia di rateizzazione, tra cui la modifica delle condizioni di accesso ai piani di rateizzazione e la progressiva estensione del numero massimo di rate concedibili da Agenzia delle Entrate-Riscossione. Dette modifiche si applicano alle richieste di rateizzazione presentate a partire dal 1° gennaio 2025. Pertanto, dal nuovo anno e per tutto il 2026, su semplice richiesta del contribuente che dichiara di versare in una temporanea situazione di obiettiva difficoltà economico-finanziaria, la rateizzazione del pagamento delle somme iscritte a ruolo, di importo inferiore o pari a 120.000 euro, comprese in ciascuna

richiesta di dilazione, può arrivare fino a un massimo di 84 rate mensili. La progressiva estensione del numero massimo di rate concedibili, prevista dal Decreto Legislativo, stabilisce poi che le rate concedibili arrivino fino a un massimo di 96 per le richieste presentate negli anni 2027 e 2028 e fino a 108 per le richieste presentate a decorrere dal 1°gennaio 2029. Per la rateizzazione delle somme iscritte a ruolo, sempre di importo inferiore o pari a 120.000 euro, su richiesta del contribuente che, invece, documenta la temporanea situazione di obiettiva difficoltà economico-finanziaria, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione concede la rateizzazione del pagamento delle somme iscritte a ruolo, comprese in ciascuna richiesta di dilazione:

• da 85 a un massimo di 120 rate mensili, per le richieste presentate negli anni 2025 e 2026;

• da 97 a un massimo di 120 rate mensili, per le richieste presentate negli anni 2027 e 2028;

• da 109 a un massimo di 120 rate mensili, per le richieste presentate a decorrere dal 1° gennaio 2029.

Se le somme iscritte a ruolo della singola istanza di rateizzazione sono di importo superiore a 120.000 euro, su richiesta del contribuente e sulla base della documentazione presentata a corredo per la valutazione della temporanea situazione di obiettiva difficoltà economico-finanziaria, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione concede la ripartizione del pagamento, fino ad un massimo di centoventi rate men-

sili, indipendentemente dalla data di presentazione della richiesta. Aspetto delicato è rappresentato dalla valutazione della sussistenza della temporanea situazione di obiettiva difficoltà economico-finanziaria e dalla determinazione del numero massimo di rate concedibili, che verranno prese in considerazione, in base alle modalità di applicazione e documentazione previste dal Decreto del 27 dicembre 2024 del vice ministro dell’Economia e delle Finanze, secondo i seguenti indicatori:

• l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (Isee) del nucleo familiare, per le persone fisiche e i titolari di ditte individuali in regimi fiscali semplificati;

• l’indice di Liquidità e all’indice Alfa, per i soggetti diversi da persone fisiche e titolari di ditte individuali in regimi fiscali semplificati;

• l’indice Beta, per i condomini. Il Decreto del 27 dicembre 2024 prevede che, nel caso di soggetti colpiti da eventi atmosferici, calamità naturali, incendi o altro evento eccezionale che abbiano determinato l’inagibilità totale dell’unico immobile adibito ad uso abitativo in cui risiedono i componenti del nucleo familiare, o dell’unico immobile adibito a studio professionale o sede dell’impresa, ciò possa rappresentare il motivo della temporanea situazione di obbiettiva difficoltà economico-finanziaria del contribuente, documentandola con il relativo certificato di inagibilità.

ISEE 2025

L’ISEE in corso di validità permette di richiedere prestazioni sociali agevolate e riduzioni di costo di alcuni servizi di pubblica utilità

RIVOLGITI A 50&PIÙCAF PER RINNOVARLO!

LA CERTIFICAZIONE ISEE DÀ DIRITTO A:

tariffe agevolate per le prestazioni socio sanitarie riduzione delle tasse scolastiche (es. nido, università, mensa) incentivi statali assegno unico familiare bonus nascite

ADI (Assegno di inclusione) riduzione per servizi di pubblica utilità (bonus energia, idrico, gas); agevolazione abbonamenti trasporti

Chiama il numero unico nazionale o trova la sede a te più vicina sul nostro sito www.50epiucaf.it

Gli Uffici 50&PiùCaf sono a tua disposizione per offrirti assistenza e consulenza nell’elaborazione dell’attestazione ISEE

Turismo

“INCONTRI 50&PIÙ” 2025

IN SARDEGNA AL MARINA BEACH DI OROSEI (NU)

3 - 11 giugno (8 notti/9 giorni) | 11 - 19 giugno (8 notti/9 giorni)

Una grande festa di inizio estate dove ritrovarsi e condividere il piacere di una vacanza all’insegna del bel mare, del relax, del divertimento e della scoperta di luoghi. Una scelta di qualità arricchita con attività culturali, corsi di cucina, tornei di burraco e gara di ballo, oltre all’assistenza dello staff 50&Più e 50&Più Turismo. Vi aspettiamo nella bella Sardegna.

CLUB HOTEL MARINA BEACH

Un perfetto villaggio-vacanze nel Golfo di Orosei, direttamente sul mare e sulle spiagge incontaminate della Sardegna. Si trova a circa 50 minuti dal porto/ aeroporto di Olbia, inserito in un Parco di 23 ettari con giardini meravigliosi e frutteti, proprio di fronte a una spiaggia di sabbia dorata lunga circa 7 km, una delle più belle della Sardegna. Le forme architettoniche, le piazzette interne, le grandi piscine e la posizione rispetto al mare fanno del complesso uno dei più belli ed eleganti realizzati in Sardegna. Servizio navetta dal Resort al vicino paese di Orosei servito anche da una pista pedonale illuminata.

Nuoro Olbia

LE CAMERE

LA RISTORAZIONE

Il Ristorante Marina, nel portico esterno o nelle sale interne climatizzate, propone una variegata offerta gastronomica a base di piatti di terra e di mare, arricchita da gusti e pietanze regionali, con servizio a buffet, dove non mancano mai pane carasau, salumi e formaggi tipici. Due cene caratteristiche, una sarda e una a base di pesce, sono dedicate alla scoperta dei prodotti regionali e del Mediterraneo. Durante tutti i pasti sono sempre inclusi acqua in bottiglia naturale o gassata, vino della casa alla spina bianco o rosso e birra. Le bevande alcoliche e analcoliche in bottiglia o lattina possono essere richieste a pagamento.

LA VITA AL CLUB HOTEL

Al Marina Beach ci si potrà divertire nel grande parco piscine all’aperto, dove sono presenti vasche per adulti e per bambini, idromassaggio, solarium attrezzato con docce, lettini e ombrelloni con la presenza di bagnini. Dedicarsi al proprio sport preferito e divertirsi con appassionanti tornei di tennis e calcetto, campi da bocce, calcio balilla e ping-pong. Mantenersi in forma nell’area fitness all’aperto, utilizzando moderne attrezzature, o nella palestra del Club Hotel dotata di: cyclette, tapis roulant, panche e pesi. Il Team Animazione intratterrà gli ospiti con un ricco programma di attività sportive, ballo, fitness e spettacoli. La lunga distesa di sabbia dorata di Marina di Orosei, a 150 metri dal parco piscine del Club Hotel, è attrezzata con ombrelloni e lettini.

QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE

1° TURNO

Dal 3 all’11 giugno (8 notti/9 giorni)

2° TURNO

Dall’11 al 19 giugno (8 notti/9 giorni)

885 € 1.240€

RIDUZIONI BAMBINI

Bambini 0/12 anni, non compiuti, in terzo letto

Bambini 0/12 anni, non compiuti, in quarto letto

Le camere del Club Hotel, la maggior parte dotate di balcone o veranda e arredate in tipico stile sardo dai colori candidi, sono disposte su tre livelli (serviti da ascensore nel corpo “Beach”). - 50%

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione. Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

LA QUOTA COMPRENDE: Soggiorno di 8 notti/9 giorni (camere disponibili alle 15:00 del giorno di arrivo e liberate entro le ore 10:30 del giorno di partenza) • Trattamento di pensione completa a buffet dalla cena del giorno di arrivo al pranzo del giorno di partenza (per arrivi anticipati con il pranzo, i servizi terminano con la prima colazione del giorno di partenza) • Bevande ai pasti (acqua minerale e vino) • Tessera Club (dà diritto a tutte le attività sportive e ricreative del Marina Beach) • Servizi balneari riservati in spiaggia (un ombrellone e 2 lettini per camera) • Animazione diurna e serale con spettacoli, piano bar, giochi e tornei • Partecipazione ad attività culturali e ricreative organizzate da 50&Più • Partecipazione al Torneo di Burraco 50&Più • Assistenza medica H24 • Assicurazione bagaglio/sanitaria e annullamento viaggio UnipolSai SpA • Presenza di personale 50&Più e 50&Più Turismo.

LA QUOTA NON COMPRENDE: Tutti i trasporti da e per il Marina Beach (quote su richiesta) • Telo mare a noleggio (da affittare in loco) • Escursioni facoltative da acquistare e pagare in loco • Eventuali imposte di soggiorno comunali, da regolare in loco (attualmente € 1,20 per persona al giorno) • Extra in genere e tutto quanto non espressamente specificato.

Per maggiori informazioni e prenotazioni contattare: mail: infoturismo@50epiu.it - tel. 06.6871108/369 oppure la sede provinciale 50&Più di appartenenza (Aut. Reg. 388/87)

CINA CLASSICA Storia millenaria e natura lussureggiante nell’Isola splendente

dal 13 al 24 maggio (11 notti/12 giorni)

Un viaggio tra tradizioni millenarie e innovazioni moderne, templi sacri e città imperiali, paesaggi naturali e metropoli in continua evoluzione. Un’opportunità unica per comprendere le radici profonde della Cina e per vivere il fascino di un mondo antico che continua a stupire, la grandezza di una civiltà tra le più affascinanti al mondo.

1° GIORNO Partenza dall’Italia.

2° GIORNO Pechino. Arrivo nel pomeriggio e tempo a disposizione per attività individuali.

3° GIORNO Pechino. Visita della città, con Piazza Tienanmen e Palazzo Imperiale, conosciuto anche come “la Città Proibita“; fu per quasi 500 anni la residenza degli imperatori, centro cerimoniale e politico del governo cinese.

4° GIORNO Pechino. Escursione alla Grande Muraglia, una delle opere più grandiose mai realizzate dall’uomo, dichiarata patrimonio Unesco e inserita fra le sette meraviglie del mondo moderno.

5° GIORNO Pechino - Pingyao. Visita al Palazzo d’Estate e trasferimento in treno per Pingyao.

6° GIORNO Pingyao - Xi’an. Passeggiata per la Città Vecchia e treno per Xi'an.

7° GIORNO Xi’an. Visita dell’Esercito di Terracotta, straordinaria testimonianza archeologica scoperta nel 1974 e composta da oltre 8000 statue a grandezza naturale che raffiguravano soldati, ufficiali, cavalli e carri da guerra.

8° GIORNO Xi’an - Longsheng - Guilin. Volo per Guilin e visita ai Campi Terrazzati di Longji e a un villaggio immerso nei campi di riso.

9° GIORNO Yangshuo - Guilin. Guilin è una bella città che deve la sua fama al paesaggio carsico, tanto decantato da pittori e poeti sin dall’antichità, tra i più incantevoli del Paese. Crociera lungo il fiume Li.

10° GIORNO Guilin - Shanghai. Volo per Shanghai e tappa al Bund, lo storico viale, un’area molto vivace che fronteggia il quartiere degli affari.

11° GIORNO Shanghai. Visita della città e di diversi quartieri.

12° GIORNO Shanghai - Rientro in Italia. Tempo a disposizione per la visita di un museo e per passeggiate. Partenza per l'Italia.

QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE

In camera doppia (11 notti / 12 giorni)

Minimo 10 partecipanti

Minimo 15 partecipanti

Tasse aeroportuali

€ 4.150

€ 3.900

€ 420

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione

Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

Proposte di viaggio

TENERIFE - PARTENZA DA VERONA

DAL 17 AL 31 MARZO (14 NOTTI/15 GIORNI)

QUOTE A PARTIRE DA € 1.720

Soggiorno mare nell’AlpiClub Jacaranda (4 stelle)Costa Adeje, con trattamento di pensione completa e bevande ai pasti, voli da Verona per Tenerife e ritorno (altri aeroporti su richiesta). Un viaggio per evadere dall’inverno, trovare un piacevole clima tra giardini verdissimi e le piscine su diversi livelli, il tutto allietato dai programmi di intrattenimento dell’animazione.

TOUR GRECIA CLASSICA

FINE SETTEMBRE (7 NOTTI/8 GIORNI)

QUOTE IN DEFINIZIONE

La Grecia è la culla dell’Occidente, la terra dove l’intera cultura occidentale ha preso forma con il mito tramandato delle meravigliose vicende di guerrieri leggendari, dèi potentissimi, di città magnifiche e sfide eroiche. Il tour ripercorre i luoghi più significativi, i suggestivi siti archeologici circondati da paesaggi mediterranei, le graziose abitazioni bianche in contrasto con il blu del mare.

TOUR ALBANIA

MAGGIO (7 NOTTI/8 GIORNI)

QUOTE IN DEFINIZIONE

Un paese ancora poco conosciuto ma che affascina per le testimonianze lasciate dalle varie civiltà che l’hanno abitata. I castelli, le città-museo, i monasteri confermano l’incontro con la cultura greca, romana, bizantina, turca e albanese.

IL LUNGO RESPIRO DELLA TERRA

«Il mese di Febbraio è sempre pericoloso

Perciò nel levarsi da letto al mattino bisogna a poco a poco prendere aria e non uscire di un tratto alla via»

Almanacco Barbanera 1850

a cura di

FEBBRAIO

Febbraio è il mese più corto e più freddo dell’anno, ma sa farsi apprezzare. Nonostante il gelo, arrivano il Carnevale e San Valentino a scaldarci nel cuore dell’inverno, sciogliendo la neve, il ghiaccio e il freddo che ci circondano. Tra un’allegrezza e l’altra, il 3 febbraio festeggiamo san Biagio, il santo che ci protegge da mal di gola e raffreddamenti. Al riparo da tristezze e malinconie, balli e canti danno gioia al cuore, mentre nelle padelle friggono i croccanti dolci della festa, rallegrati da maschere e stelle filanti che ci distraggono dal tempo ordinario, regalandoci un pizzico di innocente follia. Se la terra è ancora sotto la morsa del gelo, la mente corre già alla bella stagione. È già tempo, infatti, di tornare nell’orto e nel giardino, dove i lavori riprendono con nuova energia: semine, potature e cura delle aromatiche. La terra, come le giornate, allunga il suo respiro e, a fine mese, vedremo timidamente sbocciare le prime profumatissime violette.

L’INGREDIENTE DEL MESE: cicoria, elisir di lunga vita

Pianta molto comune nelle zone rurali, la cicoria selvatica (Cichorium intybus) è riconoscibile grazie ai suoi caratteristici fiori blu indaco e alla rosetta di foglie alla base. Coltivabile anche in balcone o giardino, il suo consumo porta molteplici benefici all’organismo.

IN CUCINA

Un etto di cicoria ha appena 23 calorie, quindi possiamo mangiarla senza paura di ingrassare. Se non piace per il suo sapore amaro, possiamo addolcirla sia durante che dopo la cottura. Nel primo caso, lessiamo la cicoria con delle patate sbucciate. Nel secondo caso, immergiamo per 15 minuti la cicoria già lessata e scolata in una ciotola con acqua fredda e il succo di mezzo limone.

FA BENE PERCHÉ

Ricca di potassio, calcio, fosforo, sodio, magnesio, zinco, rame, ferro, selenio, manganese e vitamine, la cicoria è un antidoto contro la vecchiaia e non solo. Inoltre, stimola l’attività del fegato, purifica l’organismo dalle tossine e mette ordine nell’intestino.

BUONO A SAPERSI!

Insegnare la felicità è possibile. Sorridiamo anche nei giorni grigi, i figli non imparano a essere felici se ci mostriamo sempre insoddisfatti.

In Luna calante mettiamo fine ai malintesi che possono aver raffreddato un’amicizia. Prendiamo l’iniziativa e dimentichiamo i rancori.

Igienizziamo i pavimenti, lavandoli con 5 lt d’acqua a cui aggiungiamo un pugno di sale e un bicchiere di aceto bianco. Per preparare i carciofini sott’olio, puliamo quelli piccoli, pareggiando le foglie ed eliminando quelle dure. Immergiamoli in acqua e limone, bolliamoli per 10 minuti in acqua e aceto e lasciamoli asciugare per una notte. infine, poniamoli in vasi sterilizzati con alloro, rosmarino, peperoncino e aglio. Copriamo con olio d’oliva e conserviamo al buio.

La Luna piena ci suggerisce di piantare sotto le finestre della camera da letto la cedrina. Il suo profumo facilita il sonno e allontana lo stress.

IL CESTINO DI FEBBRAIO

ORTAGGI: carciofi, cardi, carote, catalogna, cavolfiori, cavoli broccolo, cavoli cappuccio, cavolini di Bruxelles, cavoli verza, cicorie, cicorini da taglio, cime di rapa, cipolle, finocchi, indivie, lattughe e lattughini, porri, radicchi rossi, rape, ravanelli, rucola, sedani, spinaci, valeriana e valerianella.

FRUTTA: arance, clementine, kiwi, limoni, mandarini, mele, pere Conference e pompelmi.

AROMI: alloro (Laurus nobilis), ottimo per lenticchie al tegame. E anche rosmarino, salvia e timo.

COLTIVARE CON LA LUNA

NELL’ORTO. In Luna crescente, evitando le giornate fredde, e comunque al riparo dal gelo o nei tunnel, seminiamo asparagi, broccoli, cavolfiori, cetrioli e piselli. Interriamo, se non è gelato, le piante a radice nuda con terriccio asciutto e compost vegetale intorno alle radici. Preleviamo dalle pomacee rametti giovani per gli innesti. Guardando alla vicina primavera, in Luna Calante mettiamo mano alle semine, che sono piuttosto ricche tra ravanelli, lattughe, cicorie, bietole, cavoli cappuccio, sedani, cipolle, spinaci, cavoli, pimpinella, coriandolo e borragine. Da fare al Nord e al Centro in aiuole protette, sulla costa o al Sud in piena terra. Procediamo con la potatura di “forma e produzione”, tranne che per il ciliegio dolce e acido, e per il fico. Potiamo e concimiamo la vigna.

DICE IL PROVERBIO

IL SOLE

Febbraio caldo, primavera fredda

L’1 sorge alle 07:13 e tramonta alle 17:15

Il 28 sorge alle 06:37 e tramonta alle 17:49

LA LUNA

L’1 sorge alle 08:55 e tramonta alle 20:54

Il 28 sorge alle 06:56 e tramonta alle 18:32

Luna crescente dall’1 all’11

Luna calante dal 13 al 27

Luna Piena il 12. Luna Nuova il 28.

Il 14 sera massima luminosità di Venere

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CRISTOFORO COLOMBO

«SPERO CHE LE MIE IMPRESE

ISPIRINO LE FUTURE GENERAZIONI»

Dialoghi ‘impossibili’ con i più grandi personaggi della storia, realizzati attraverso sistemi di intelligenza artificiale

Innanzitutto come preferisce essere chiamato, esploratore o navigatore?

Una domanda di puro diletto, la sua. Sebbene entrambi i titoli mi si addicano, preferisco essere chiamato ‘esploratore’. La mia anima è guidata dalla sete di scoprire terre sconosciute e culture nuove. Ma può chiamarmi semplicemente Colombo, come mi chiamano in molti, oppure Cristoforo, in segno di rispetto.

Va bene, Cristoforo. Com’è iniziato il suo interesse per il mare e la navigazione?

Sin da fanciullo, il mare mi ha affascinato con il suo mistero e la sua vastità. Crescendo a Genova, osservavo le navi mercantili che solcavano le onde, portando storie e tesori da terre lontane. Ciò mi spinse a studiare le arti della navigazione, immergendomi nei racconti dei grandi esploratori. Un richiamo che non potevo ignorare. Però per il suo grande progetto ha dovuto chiedere il sostegno dei monarchi spagnoli. Ho dovuto necessariamente cercare il patrocinio dei monarchi spagnoli, Ferdinando e Isabella. La mia idea di trovare una nuova rotta per le Indie richiedeva grandi risorse. Troppe risorse. Solo la loro visione e il desiderio di

espansione li spinsero ad accettare. Ha mai avuto dei dubbi o delle incertezze riguardo al suo viaggio?

Oh, certamente! L’incertezza mi ha sempre accompagnato. Le tempeste, le paure di naufragio e il timore di fallire pesavano sul mio cuore. Soprattutto c’era il timore di non trovare terre, ma solo mare, infinito mare. Quale è stata la sua prima reazione quando ha messo piede per la prima volta nel Nuovo Mondo? Un’ondata di stupore e meraviglia mi travolse, era un momento sacro, un incontro con l’ignoto. Ricordo in particolare l’aria, carica di

profumi esotici, mai sentiti; il cuore mi stava esplodendo nel petto. Mi sono sentito un messaggero del destino. Poi incontrò i primi indigeni All’inizio mi apparvero come esseri di grande innocenza e bellezza. La loro gentilezza e apertura mi colpirono profondamente. Vedevo in loro una ricchezza culturale e un potenziale da scoprire. Tuttavia, il mio spirito di esploratore portava anche il peso della missione di diffondere la fede cristiana. Desideravo che questi popoli conoscessero la verità. Al suo ritorno in Spagna, venne accolto come un eroe.

È vero, ma dietro l’apparente gloria, sentivo anche il peso delle aspettative di come sarebbero state governate quelle terre. Il vero lavoro di esplorazione e colonizzazione era appena cominciato. La Storia ci racconta che la colonizzazione fu piuttosto violenta per gli indigeni. Preferirei non rispondere a questa domanda.

Ci dia solo un suo pensiero. Quando gli europei, come me, scoprirono nuove terre, non solo portarono con sé nuove idee e culture, ma anche conflitti, sfruttamento e una profonda alterazione degli equilibri sociali e culturali esistenti. Lo so. Sono consapevole dei costi umani e culturali che la colonizzazione ha comportato per i popoli indigeni.

Cristoforo, lei sa di essere un vanto per tutti gli italiani?

Mi onora saperlo. Le terre che ho scoperto, oggi, in qualche modo, sono un riflesso della nostra cultura e della nostra storia. Spero che le mie imprese possano ispirare le future generazioni a perseguire i propri sogni e a esplorare l’ignoto.

Le sedi 50&Più provinciali

Abruzzo Telefono

L’Aquila - viale Corrado IV, 40/F 0862204226

Chieti - via F. Salomone, 67 087164657

Pescara - via Aldo Moro, 1/3 0854313623

Teramo - corso De Michetti, 2 0861252057

Basilicata Telefono

Matera - via Don Luigi Sturzo, 16/2 0835385714

Potenza - via Centomani, 11 097122201

Calabria Telefono

Cosenza - viale degli Alimena, 5 098422041

Catanzaro - via Milano, 9 0961720352

Crotone - via Regina Margherita, 28 096221794

Reggio Calabria - via Tenente Panella, 20 0965891543

Vibo Valentia - via Spogliatore snc 096343485

Campania Telefono

Avellino - via Salvatore De Renzi, 28 082538549

Benevento - via delle Puglie, 28 0824313555

Caserta - via Roma, 90 0823326453

Napoli - via Cervantes, 55 int. 14 0812514037

Salerno - via Zammarelli, 12 089227600

Emilia Romagna Telefono

Bologna - via Tiarini, 22/m 0514150680

Forlì - piazzale della Vittoria, 23 054324118

Ferrara - via Girolamo Baruffaldi, 14/18 0532234211

Modena - via Begarelli, 31 0597364203

Piacenza - strada Bobbiese, 2 - c/o Unione Comm.ti 0523/461831-32-61

Parma - via Abbeveratoia, 61/A 0521944278

Ravenna - via di Roma, 104 0544515707

Reggio Emilia - viale Timavo, 43 0522708565-553

Rimini - viale Italia, 9/11 0541743202

Friuli Venezia Giulia Telefono

Gorizia - via Vittorio Locchi, 22 048132325

Pordenone - piazzale dei Mutilati, 6 0434549462

Trieste - via Mazzini, 22 0407707340

Udine - viale Duodo, 5 04321850037

Lazio Telefono

Frosinone - via Moro, 481 0775855273

Latina - via dei Volsini, 60 0773611108

Rieti - largo Cairoli, 4 0746483612

Roma - via Cola di Rienzo, 240 0668891796

Viterbo - via Belluno, 39/G 0761341718

Liguria

Telefono

Genova - via XX Settembre, 40/5 010543042

Imperia - via Gian Francesco De Marchi, 81 0183275334

La Spezia - via del Torretto, 57/1 0187731142

Savona - corso A. Ricci - Torre Vespucci, 14 019853582

Lombardia

Mantova - via Valsesia, 46

Telefono

Bergamo - via Borgo Palazzo, 133 0354120126

Brescia - via Trento, 15/R 0303771785

Como - via Bellini, 14 031265361

Cremona - via Alessandro Manzoni, 2 037225745-458715

Lecco - piazza Giuseppe Garibaldi, 4 0341287279

Lodi - viale Savoia, 7 0371432575

0376288505

Milano - corso Venezia, 47 0276013399

Pavia - via Ticinello, 22 038228411

Sondrio - via del Vecchio Macello, 4/C 0342533311

Varese - via Valle Venosta, 4 0332342280

Marche Telefono

Ancona - via Alcide De Gasperi, 31 0712075009

Ascoli Piceno - viale Vittorio Emanuele Orlando, 16 0736051102

Macerata - via Maffeo Pantaleoni, 48a 0733261393

Pesaro - strada delle Marche, 58 0721698224/5

Molise Telefono

Campobasso - via Giuseppe Garibaldi, 48 0874483194

Isernia - via XXIV Maggio, 331 0865411713

Piemonte Telefono

Alba - piazza S. Paolo, 3 0173226611

Alessandria - via Trotti, 46 0131260380

Asti - corso Felice Cavallotti, 37 0141353494

Biella - via Trieste, 15 01530789

Cuneo - via Avogadro, 32 0171604198

Novara - via Giovanni Battista Paletta, 1 032130232

Torino - via Andrea Massena, 18 011533806

Verbania - via Roma, 29 032352350

Vercelli - via Duchessa Jolanda, 26 0161215344

Puglia Telefono

Bari - piazza Aldo Moro, 28 0805240342

Brindisi - via Appia, 159/B 0831524187

Foggia - via Luigi Miranda, 8 0881723151

Lecce - via Cicolella, 3 0832343923

Taranto - via Giacomo Lacaita, 5 0997796444

Sardegna

Telefono

Cagliari - via Santa Gilla, 6 070280251

Nuoro - galleria Emanuela Loi, 8 0784232804

Oristano - via Sebastiano Mele, 7/G 078373612

Sassari - via Giovanni Pascoli, 59 079243652

Sicilia Telefono

Agrigento - via Imera, 223/C 0922595682

Caltanissetta - via Messina, 84 0934575798

Catania - via Mandrà, 8 095239495

Enna - via Vulturo, 34 093524983

Messina - via Santa Maria Alemanna, 5 090673914

Palermo - via Emerico Amari, 11 091334920

Ragusa - viale del Fante, 10 0932246958

Siracusa - via Eschilo, 11 093165059-415119

Trapani - via Marino Torre, 117 0923547829

Toscana Telefono

Arezzo - via XXV Aprile, 12 0575354292

Carrara - via Don Minzoni, 20/A 058570973-570672

Firenze - via Costantino Nigra, 23-25 055664795

Grosseto - via Tevere, 5/7/9 0564410703

Livorno - via Serristori, 15 0586898276

Lucca - via Fillungo, 121 - c/o Confcommercio 0583473170

Pisa - via Chiassatello, 67 05025196-0507846635/30

Prato - via San Jacopo, 20-22-24 057423896

Pistoia - viale Adua, 128 0573991500

Siena - via del Giglio, 10-12-14 0577283914

Trentino Alto Adige Telefono

Bolzano - Mitterweg - via di Mezzo ai Piani, 5 0471978032

Trento - via Solteri, 78 0461880408

Umbria Telefono

Perugia - via Settevalli, 320 0755067178

Terni - via Aristide Gabelli, 14/16/18 0744390152

Valle d’Aosta Telefono

Aosta - piazza Arco d’Augusto, 10 016545981

Veneto Telefono

Belluno - piazza Martiri, 16 0437215264

Padova - via degli Zabarella, 40/42 049655130

Rovigo - viale del Lavoro, 4 0425404267

Treviso - via Sebastiano Venier, 55 042256481

Venezia Mestre - viale Ancona, 9 0415316355

Vicenza - via Luigi Faccio, 38 0444964300

Verona - via Sommacampagna, 63/H - Sc. B 045953502

Le sedi 50&Più estere

Argentina Telefono

Buenos Aires

0054 11 45477105

Villa Bosch 0054 9113501-9361

Australia Telefono

Perth 0061 864680197

Belgio Telefono

Bruxelles 0032 25341527

Brasile Telefono

Florianopolis 0055 4832222513

San Paolo 0055 1132591806

Canada Telefono

Burnaby - Vancouver BC 001 6042942023

Hamilton 001 9053184488

Woodbridge 001 9052660048

Montreal Riviere des Prairies 001 5144946902

Montreal Saint Leonard 001 5142525041

Ottawa 001 6139634880

St. Catharines 001 9056466555

Toronto 001 4166523759

Germania Telefono

Dusseldorf 0049 21190220201

Portogallo Telefono

Lisbona 00351 914145345

Svizzera Telefono

Lugano 0041 919212050

Uruguay Telefono

Montevideo 0059 825076416

USA Telefono

Fort Lauderdale 001 9546300086

BAZAR

a cura del Centro Studi 50&Più

SALUTE

L’IPOTALAMO

INVECCHIA PRIMA

È l’ipotalamo - la regione alla base del cervello - a risentire maggiormente del trascorrere degli anni. Lo dice una ricerca pubblicata su Nature dall’Istituto Allen di Seattle (Usa). Quest’area produce ormoni cruciali che controllano temperatura, frequenza cardiaca, sonno, sete e fame, ed è qui che sono stati osservati riduzione della funzionalità dei neuroni e aumento delle infiammazioni. Nel processo di invecchiamento, infatti, risultano colpiti neuroni coinvolti in apprendimento, memoria, metabolismo, olfatto, alimentazione, omeostasi energetica e utilizzo dei nutrienti.

LIBRO

LA FAMIGLIA CHE INVECCHIA

a cura di D.Bramanti e S.Donato Ed. Vita e Pensiero, 2024, pp. 336 Vivere e accompagnare la transizione alla fragilità è il sottotitolo di questa raccolta di contributi che affronta l’invecchiamento della famiglia. Nella vita si sperimenta una graduale transizione da una fase piena di impegni e responsabilità a una in cui si libera del tempo, da dedicare magari ad attività trascurate. Segue un’ultima fase in cui le energie si riducono e le persone tendono ad orientarsi al mantenimento delle attività indispensabili. Ma in che modo la comunità, le reti familiari e personali, il sistema di protezione dei servizi reagiscono a questa transizione?

Informazioni, curiosità, notizie utili, luogo d’incontro e di scambio

Inviate segnalazioni e quesiti a: centrostudi@50epiu.it

COS’È LA CARTA ACQUISTI

Nel 2025, il ministero dell’Economia e delle Finanze ha introdotto la “Carta Acquisti” per alleviare le difficoltà economiche di anziani sopra i 65 anni e bambini sotto i 3 anni, in famiglie con un indicatore Isee non superiore a 8.117,17 euro. La card prevede un contributo mensile di 40 euro, accreditato ogni due mesi, per acquistare beni alimentari, sanitari e pagare bollette luce e gas. Ad ulteriore supporto: sconti presso negozi convenzionati e accesso diretto a tariffe agevolate per l’energia elettrica. La richiesta si fa presso gli uffici postali, con un modulo specifico e la documentazione necessaria.

SOCIETÀ FILM PODCAST SCIENZA

LE BADANTI

di Marco Pollini

con P.Ammendola, A.Jimskaya

S.Castillo, A.Bressanello

Italia 2015, 105 minuti

Tre ragazze extracomunitarie - Lola, Irina e Carmen - giunte in Italia in cerca di un futuro migliore, sono costrette a scappare da violenze e soprusi. Giunte nella provincia veronese, trovano lavoro presso una casa di cura. Qui iniziano a diventare amiche e a instaurare un rapporto con gli anziani. Superate le iniziali difficoltà di un lavoro duro come quello delle badanti, le ragazze si trasformeranno dedicandosi totalmente alla casa di cura, tanto da doverla salvare dalle mani del direttore truffatore.

I SOGNI CAMBIANO

CON L’ETÀ

Con l’avanzare dell’età l’attività onirica sembra modificarsi e ridursi il contenuto emotivo nei sogni. Dagli 80 anni sono, in particolare, le emozioni negative a diminuire, un fenomeno legato forse al cosiddetto “effetto positività”: gli anziani prediligono ricordi ed emozioni positive allo scopo di supportare il loro benessere. Tra i 55 e i 95 anni, inoltre, si sognano soprattutto il lavoro, le interazioni con il capo e i colleghi o le attività lavorative passate. Tuttavia, sia gli adulti che gli anziani tendono a sognare piuttosto spesso anche situazioni di fallimento, perdita di controllo e ritardo.

LA PSICOLOGIA DELL’ANZIANO

Il tasso di suicidi tra gli anziani sembra essere piuttosto elevato rispetto alle altre fasce d’età. Uno dei motivi è la disabilità funzionale che porta a depressione e crisi emotive. Nel 4° episodio della 2ª stagione di The Journal Club - podcast sulle novità del panorama scientifico internazionale - si affronta il tema, tra bisogni della popolazione anziana e psicologia dell’invecchiamento. Ospite dell’incontro è la dottoressa Roberta Sciore, psicoterapeuta che opera nell’area neuropsicologica dell’adulto e dell’anziano, interessandosi di valutazione, riabilitazione cognitiva e stimolazione cognitiva di gruppo.

Il percorso della vitalità @new.nordic_italia

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