Marzo 2025

Page 1


PERSONAGGI

Giorgia: «Novità professionali

e

piccoli piaceri quotidiani Così ho trovato la cura per me»

La cantante romana divisa tra nuovi progetti e famiglia senza abbandonare l’impegno a difesa dei diritti delle donne

PRIMO PIANO

Donne, diritti e coraggio

Conquiste e sfide ancora aperte

Il loro ruolo nei processi di pace

SOCIALE

Bookcrossing e lotta alla violenza Quando le cabine dismesse parlano di inclusione

STORIE

Marco Pandolfo

«Vi racconto chi era mio padre il medico ucciso dalla mafia»

Splendenti 50+ sentirsi belle, sane e in forma

La menopausa rappresenta un momento di grandi cambiamenti nella vita di ogni donna, ma può anche essere vissuta come un’opportunità per prendersi cura di sé stesse in modo nuovo e più consapevole.

primo rimedio “salvalongevità” è uno stile di vita più sobrio e dinamico: più attività fisica, meno abbuffate, alimentazione sana con più frutta, verdura, fibre e vitamine, taglio ad alcol e fumo.

E per contrastare alcuni dei principali sintomi legati ai cambiamenti a livello ormonale, come i tipici fastidi alle ossa

e alle articolazioni , la minore tonicità dei muscoli e della pelle , con la rapida comparsa di rughe, di unghie più fragili e capelli più sottili, l’utilizzo di un integratore a base di collagene idrolizzato può offrire numerosi benefici per le donne che attraversano questa fase di transizione, aiutandole a preservare la salute e il benessere generale.

Contribuisce a contrastare lo stress ossidativo

Sostegno completo per articolazioni, ossa, pelle e capelli

Colpropur LADY è un integratore ricco e completo a base di una formulazione innovativa e unica sul mercato: il PHOSCOLLAGEN® e unica sul mercato: il PHOSCOLLAGEN®. Si tratta di un composto naturale di Collagene+Fosforo+Calcio molto efficace per mantenere in salute le ossa, per prevenire l’osteoporosi e per contrastare le problematiche osteo-articolari tipiche della menopausa Al Phoscollagen si aggiunge un mix di 6 vitamine, 10 minerali e altri ingredienti specifici anti-età per mantenere un viso ed un corpo tonici tonici.

Colpropur LADY è puro e naturale, senza grassi, zuccheri e allergeni ed è sicuro per un utilizzo continuativo, anche in abbinamento ad altri integratori e farmaci.

GUSTO PESCA 25 DOSI

GUSTO VANIGLIA 1 MISURINO AL GIORNO

Ordina Colpropur LADY in farmacia, parafarmacia, erboristeria e su www.colpropur.it

Aiuta a contrastare rughe, inestetismi della pelle
Contribuisce a ridurre stanchezza e affaticamento
Aiuta a ridurre i disagi ad ossa e articolazioni
LADY

CAREGIVER FAMILIARI VALORE DA PROTEGGERE DIRITTO DA RICONOSCERE

Sono padri, madri, figli e talvolta fratelli. Sono loro gli eroi silenziosi che ogni giorno, nelle difficoltà quotidiane, sacrificano il loro tempo e il loro spazio per dedicarlo a chi - in quella stessa famiglia - vive un disagio, una disabilità, una condizione di non autosufficienza. In 50&Più ne abbiamo parlato tantissimo in relazione alla non autosufficienza delle persone anziane, ma “il lavoro di cura” non remunerato è diffuso e articolatissimo in diversi

È ENORME LA FATICA DI CHI

SVOLGE QUESTO RUOLO IN FORZA A UN LEGAME FAMIGLIARE E NON PER SCELTA PROFESSIONALE

racconta in queste pagine Anna Giuffrida, che ha due figli, uno dei due con una disabilità. L’altro figlio, inevitabilmente, viene educato a prendersi cura del fratello fin da subito. Ad un certo punto dell’intervista Pamela dice: “L’impegno dei fratelli è per sempre”.

contesti. Così, se la parola caregiver è entrata nel linguaggio comune, l’inglese non basta a nascondere l’enorme fatica di chi svolge questo ruolo in forza di un legame affettivo e famigliare e non come scelta professionale. Da un lato, c’è il tema dell’enorme affaticamento fisico ed emotivo, con conseguenze sulla salute del caregiver stesso. Dall’altra parte, c’è evidentemente l’aspetto economico che questo impegno di cura comporta. Infine, ma non da ultimo, c’è anche un tema di isolamento sociale: il tempo dedicato alla cura può limitare la vita sociale del caregiver, portando un senso di solitudine che amplifica lo stress e limita la capacità di trovare nuove soluzioni. Fa molto riflettere la storia di Pamela, la donna di cui

di Carlo Sangalli Presidente Nazionale 50&Più

Il caregiving famigliare non è un impegno con un cartellino e un orario di lavoro. È sempre. Ed è per sempre. Ecco perché non occuparsi di questo tema significa compromettere non solo la qualità della vita (e la vita stessa) delle persone non autosufficienti, ma anche delle persone che si occupano, pur con tutto l’amore del mondo, di loro.

Alla sua approvazione, nel 2016, la legge sul ‘Dopo di noi’ (che affrontava finalmente il tema della cura dei disabili rimasti senza supporto famigliare) è stata considerata un ‘modello di legge’ per la tutela della disabilità. Da una parte, va però ricordato che la Corte dei conti ha espresso qualche tempo fa alle regioni preoccupazione perché in ritardo sull’uso dei fondi. Dall’altra parte, l’esistenza di famiglie non può essere un alibi per non riconoscere economicamente e giuridicamente questa funzione di caregiver: invece, sono ancora fermi in Parlamento i decreti legislativi specifici in merito. La vita delle persone non aspetta. Pamela, e tanti altri genitori, fratelli, figli come lei, meritano da subito che la loro funzione non abbia come riconoscimento solo un nome, ma anche un valore.

Direttore Editoriale

Lorenzo Francesconi

Direttore Responsabile

Anna Grazia Concilio @ a.g.concilio@50epiu.it

Design

Massimo Cervoni @ m.cervoni@50epiu.it

Editoriale 50&Più Srl

Amministratori

Franco Bonini (Presidente)

Brigida Gallinaro

Paolo Lusci

Claudio Magi

Guido Nardinocchi

Procuratore

Lorenzo Francesconi

Amministrazione

Editoriale Cinquanta & Più Srl 00186 Roma - via del Melangolo, 26 Telefono 06.688831 - Fax 06.6872597 mail: editoriale@50epiu.it

Direzione e Redazione 00186 Roma - via del Melangolo, 26 Telefono 06.68134552 www.50epiueditoriale.it

Stampa e Spedizione

Grafiche Ghiani Srl 09023 Monastir (SU) Zona Industriale S.S. 131 Km 17,450

Registrazione Tribunale di Roma n. 17653 del 12/04/79 Iscrizione al ROC n. 5433 del 15/06/1998

Manoscritti e fotografie

Anche se non pubblicati, non verranno restituiti. © Editoriale Cinquanta & Più Srl tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione totale o parziale della pubblicazione senza l’autorizzazione scritta dell’Editore.

Tutela dati

Editoriale Cinquanta & Più Srl tratterà i dati personali forniti dagli abbonati nel rispetto di quanto previsto dal Regolamento (UE) 2016/679 e delle disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale ed al solo scopo di inviare il mensile 50&Più ed i relativi allegati. L’informativa di cui all’art. 13 del Regolamento (UE) 2016/679 è consultabile tramite il sito internet www.spazio50.org. I diritti riconosciuti dagli articoli 15 a 21 del suddetto regolamento, potranno essere esercitati nei confronti del Titolare Editoriale Cinquanta & Più Srl - via del Melangolo 26 - 00186 Roma e del Responsabile della Protezione dei Dati 50&Piùvia del Melangolo 26 - 00186 Roma.

NUMERO CERTIFICATO 9271

DEL 6/03/2024

ASSOCIATO ALL’USPI

UNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

50&Più il valore dell’esperienza

Anno XLVII - n. 3 - marzo 2025

Caregiver familiari, valore da proteggere, diritto da riconoscere

Spoiler: le donne moderne e goffe esistono

In questo numero

Seguici su: /50epiu /company/50epiu

Per contattare la Redazione scrivere a: redazione@50epiu.it

Carlo Sangalli 3

Anna Grazia Concilio 6

«Vi racconto la mia lotta alla mafia» Claudia Benassai 20

Cabine di Ostuni contro violenza e bullismo Donatella Ottavi 22

La menopausa non è uguale per tutte Ilaria Romano 28

«Donate sangue», l’appello di Avis Francesca Cutolo 30

L’ultimo paradiso ai confini del mondo

Assegno unico 2025

Dario De Felicis 56

Maria Silvia Barbieri 84

Detrazioni oneri e spese, le novità Alessandra De Feo 86

Viaggi: Eventi, Proposte turistiche Concorso 50&Più, Crociera Mediterraneo

a cura di 50&Più Turismo 88

Marzo, tempo di rinascita a cura di Barbanera 92

36

Giornata mondiale dell’acqua

A rischio l’oro blu del Pianeta Ecco chi combatte l’emergenza di D.De Felicis, C.Ludovisi

Rubriche

Terzo tempo

Anni possibili

Effetto Terra

41

Donne, diritti e coraggio

Un mosaico ancora incompiuto di D.Ottavi, A.Espis, G.De Rugeriis, A.Costalunga V.Urru, A.Giuffrida, C.Ludovisi

Lidia Ravera 10

Marco Trabucchi 12

Francesca Santolini 14

Giorgia: «Così ho trovato la cura per me»

Cultura

Il Settembre nero di Sandro Veronesi

Modà: «La musica italiana è malata»

L’angolo della veterinaria

Se il gatto diventa aggressivo

Paura, irritazione e conflitto: quali sono le circostanze che causano vulnerabilità

a cura di Irene Cassi

Credit foto: Agf, Contrasto, Shutterstock, Antonio Barella. Shutterstock: Tada Images, SOMNATH MAHATA, Filippo Carlot, Mike Dotta, Stefano Tammaro, Lucarista, Balate.Dorin, VTT Studio, Antonello Marangi. Foto di copertina: Paolo Santambrogio

Abbonamenti annuali: Italia (11 numeri) euro 22,00 sostenitore euro 40,00 copia singola euro 2,50 copia arretrata euro 4,50

Estero euro 41,50

Per posta: via del Melangolo, 26 - 00186 Roma

Per telefono: 06.68134552 - Per fax: 06.6872597 m@il: redazione@50epiu.it

Per il pagamento effettuare i versamenti sul c/c postale n. 98767007 intestato a Editoriale Cinquanta & Più Srl - Roma

L’abbonamento andrà in corso dal primo numero raggiungibile e può avere inizio in qualunque momento dell’anno, ma avrà comunque validità annuale.

Concessionaria esclusiva pubblicità: 50&PiùMedia Srl - largo Arenula 34, Roma Tel. 06.68883469 - mail: 50epiumedia@50epiu.it

Per la pubblicità: Luigi Valitutti - Tel. 335491325 mail: l.valitutti@50epiumedia.it

SIBLINGS

Fratelli e sorelle di persone con disabilità sono in attesa che lo stato riconosca l’importanza del ruolo e dell’assistenza. Mamma Pamela lotta per i diritti dei suoi figli

SUDAN, LA GUERRA DIMENTICATA

Milioni di persone cercano rifugio nei paesi vicini o in Europa per sfuggire a un conflitto aggravato anche dal mancato accesso agli aiuti umanitari internazionali

CONCORSO 50&PIÙ 43ª EDIZIONE

Senior provenienti da tutta Italia si mettono in gioco per realizzare piccole opere d’arte nell’ambito della prosa, della poesia, della pittura e della fotografia

Finito di stampare: 04 marzo 2025

SPOILER: LE DONNE MODERNE E GOFFE ESISTONO

«Nonostante sia imperfetta, lontana dai canoni imposti dalla società, lei trionfa e non molla mai. E questo ci dà speranza». A parlare è l’attrice statunitense Renée Zellweger riferendosi a Bridget Jones, il personaggio che interpreta: produttrice televisiva, un po’ goffa e single all’inizio della saga che, dopo 25 anni, torna sul grande schermo vedova e con due figli. Del film, al cinema da pochi giorni, ci parla Giulia Bianconi, qualche pagina più avanti, che l’ha incontrata per noi alla conferenza stampa di presentazione. Senza entrare nel merito della trama (no spoiler!), la figura di Bridget - sì Bridget, perché per tante e tanti di noi è ormai una di famiglia - nella sua estenuante normalità ci permette di avviare una riflessione sulla figura della donna. Di diritti, di lotte ancora aperte e di battaglie da vincere ne parliamo nel Primo piano, in queste righe solo una veloce considerazione su come i canoni precostituiti di bellezza e potere femminile possano condizionare socialità e successo - tanto per cominciare -

ma anche tutto il resto. Chi avrebbe scommesso, venticinque anni fa, su quella trentenne un po’ disperata, accovacciata sul divano con gli occhi lucidi, un cuore in pena per amore e una scatola di kleenex a portata di naso? E invece, il personaggio Bridget è diventato un’icona proprio perché - da quel momento in poi - non ha mai tirato i remi in barca: con le sue fragilità, le sue insicurezze e le sue imperfezioni, rappresenta una donna esattamente “normale”. Non è la supereroina perfetta, ma una persona che cade, si rialza e continua a lottare per la sua felicità. Un aspetto che la rende molto vicina al pubblico di ogni generazione, perché anche il tema del passare degli anni - affrontato con realismo e sensibilità - mostra come e quanto la vita cambi continuamente mettendoci di fronte a nuove sfide e non saranno certo le rughe a fermare la forza di una donna. Il personaggio di Bridget Jones, pur essendo madre e avendo avuto relazioni importanti, inoltre, dimostra che la felicità di una donna non dipende solo dalla

costruzione di una famiglia: lei è una donna indipendente, lavora, ha i suoi amici e cerca la realizzazione personale. La sua “normalità” è il suo super potere. Non è Wonder Woman, ma una donna che combatte le sue battaglie quotidiane con autoironia e un pizzico di follia. Non ha paura di mostrare le sue fragilità, le sue insicurezze, i suoi errori. E proprio in questo risiede la sua forza. Bridget ci insegna che non dobbiamo essere perfette per essere felici, che la vita è un caos meraviglioso e che l’importante è non arrendersi mai. Il successo di Bridget Jones è un fenomeno culturale che ha influenzato il modo in cui le donne vengono rappresentate nei media e nella società. Il personaggio cinematografico ha contribuito a cambiare la percezione della figura femminile, mostrando che le donne possono essere divertenti, intelligenti, indipendenti e “imperfette” allo stesso tempo. Grazie Bridget, per averci insegnato che si può essere femministe anche senza spille sulla felpa, ops, sulla giacca!

Oggi mi faccio uno sketchbook

NEL CORSO DEGLI ANNI, TACCUINI E SKETCHBOOK

Gli sketchbook non sono sempre stati solo ed esclusivamente compagni fedeli di artiste e artisti

In passato, scienziati e filosofi hanno affidato le proprie idee a fogli di carta o pergamene, dando vita a testimonianze tangibili delle loro intuizioni, scoperte e processi creativi Nelle corti rinascimentali, i taccuini diventavano laboratori visivi, documentando schizzi preparatori, studi di anatomia e appunti di viaggio e, nel Romanticismo, simboli di introspezione e libertà espressiva

Terzo tempo

SONO ANCORA FEMMINISTA (NONOSTANTE TUTTO)

Volevo essere un uomo è il titolo del mio ultimo libro, che scandalizza già dal titolo.

“Ma come? Una femminista come te, una che ha sempre dato alle donne lezioni d’orgoglio di genere, dichiara senza vergogna, confessa senza ritegno, che avrebbe voluto appartenere all’altra parrocchia, i protetti da un Dio maschile, abituati da 4.000 anni a comandare sulle loro femmine?”.

Sembrano sconcertate e anche un po’ arrabbiate le creature benedette che seguono il mio lavoro di scrittrice da 48 anni, mese più mese meno.

Pensano di avermi colta nell’atto di cambiare casacca, che è tipico di tante persone invecchiate male. Ce n’è ce n’è, ne conosco tante di conversioni dell’ultimo minuto, bande di impenitenti mangiapreti che all’improvviso credono in Dio, in Maometto e pure in Budda, tanto per non sbagliarsi.

Bene. Non è il caso mio, la mia visione femminista del mondo non ha subito la minima incrinatura: credo profondamente e con dolore che viviamo da millenni in una società patriarcale. Credo che le donne non abbiano mai

avuto giustizia, che non sia mai stato riconosciuto il loro valore, la loro diversità, credo che non siano mai state in regime di parità, di pari dignità, di equipollenza.

Credo che le donne siano esseri umani più complessi e più completi, meno inquinati da un potere che non hanno mai avuto la possibilità di gestire. Credo che lo stato di malattia in cui versa l’universo mondo, veda gli uomini più colpevoli perché più potenti. Credo che le donne abbiano un talento naturale per la narrazione, a cominciare da quando, bambine, organizzavano la vita delle bambole, invece di tirare calci a un pallone.

E allora, mi hanno chiesto le mie amiche: «Se sei così convinta che siamo le meglio, perché volevi essere un uomo?».

L’ho scritto nella pagina dove, di solito, ci sono le epigrafi, in una pagina bianca prima del primo capitolo, sono poche righe:

“Volevo essere un bambino per far contenta mia madre.

Volevo essere un ragazzo per rimorchiare invece di essere rimorchiata.

Volevo essere un uomo per non dover

Credo che le donne non abbiano mai avuto giustizia, che non siano mai state in regime di parità

nascondere il mio talento, il senso dell’umorismo, l’ambizione. Vorrei essere un vecchio per non dover chiedere scusa, se mi va di vivere al di là della funzione concordata. Ornamentale. Riproduttiva”.

Negli Anni ’50 del secolo scorso, se nascevi femmina la tua strada era tracciata. Dovevi essere bella o almeno carina, modesta, senza grandi ambizioni, capace di stare sempre un passo indietro al maschio. E possibilmente con grazia. Dovevi stare un passo indietro rispetto all’uomo a cui tuo padre ti avrebbe consegnata, come si passa il testimone nelle staffette.

Per tutti gli anni della giovinezza di mia madre le donne hanno continuato a essere considerate “creature sbilenche, senza baricentro, azzoppate dal destino, avvelenate dal sacrificio e dal senso di un dovere più grande di loro”.

“Auguri e figli maschi”, dicevano a mia madre incinta di mia sorella maggiore. Quattro anni dopo, con più pathos, glielo hanno ripetuto ancora: “auguri e figli maschi”. All’epoca non si sapeva prima del parto il sesso del nascituro. Mia madre fu delusa, l’infermiera cercò di rincuorarla: “Oh no, è una bambina! Beh, si consoli, le terrà compagnia quando sarà vecchia”.

Animali da compagnia, le femminucce. Per i maschi le gratificazioni cominciavano dal primo bagnetto: “Guardi qua che bel pistolino, complimenti signora!”.

Avevo cinque anni o forse sei quando mia madre me lo disse apertamente: «Io non ti volevo, ti abbiamo subito chiamata ‘0k’, dalle iniziali di Ogino

Knaus, il metodo che usavo per non rimanere incinta, ti vogliamo bene come a tua sorella, ma se dovevi proprio nascere almeno avresti dovuto essere un maschio, perché la femmina ce l’avevamo già».

Nessuno ci pensava alla dignità delle bambine, nessuno ci faceva caso. Mia madre meno di tutte. A Carnevale, per avere la coppia, vestiva mia sorella da damina e me da cavaliere. Un anno Zorro, un anno il moschettiere, un anno il cowboy. Baffi, speroni. E vi stupite che sia cresciuta con questo desiderio irreversibile?

Gli uomini vincono, ancora e sempre. Oggi come ieri.

Con una aggravante: oggi le donne vengono asfissiate letteralmente dai complimenti, tutte, perfino noi femministe che per tutti gli Anni ’70 e ’80 e ’90 e Zero e Dieci siamo state trattate da rompiscatole. Dal 2024, improvvisamente gli uomini ci trovano brave, efficaci, sgobbone, servizievoli, resistenti alla fatica ed, eventualmente, anche al dolore. Così è molto difficile smascherarli. Sembrano pozzi di gentilezza. Certo, muore una donna uccisa da un uomo ogni 72 ore, nel nostro paese. Certo, c’è una sacca buia piena di bestioni assassini, ma mediamente, gli uomini ci riconoscono un sacco di qualità. Detto ciò: provate a pretendere che uno di loro si alzi dalla ‘poltrona’ per far posto a una di noi, una brava, una che è più brava di lui e guadagna un terzo meno di lui, e vedrete se resta gentile!

Per scrivere a Lidia Ravera

posta - C/O Redazione 50&Più via del Melangolo, 26 - (RM) fax - 066872597 email - redazione@50epiu.it

PARLIAMONE

VIVERE A OTTANT’ANNI (E OLTRE) LA LEZIONE DI GADI MOZES

di Marco Trabucchi

Èpossibile pensare di vivere a 80 anni conservando libertà, dignità, capacità di governare la propria vita? Viviamo in un mondo nel quale è possibile vivere da anziani e da molto anziani, nonostante le molte apparenti difficoltà?

Una risposta possibile a queste domande mi è stata indicata leggendo

la storia, particolarmente impressionante, di Gadi Mozes, l’ostaggio israeliano liberato da Hamas dopo il rapimento del 7 ottobre 2023. Mozes ha 80 anni e ha dimostrato di essere fatto “della materia più dura dell’umanità”, come è stato definito. Di fatto è tornato a casa camminando con le sue gambe e dopo essere stato in ospedale solo per poche ore, per

controlli di routine. Ha raccontato di essere stato chiuso per 70 giorni in una stanza buia, di 2 metri quadrati, in completa solitudine. In alcune circostanze ha temuto di essere giustiziato. Una volta è stato chiuso in un’auto per 12 ore, nell’afa e nel caldo del veicolo. Ad un certo momento ha compreso che la speranza di essere liberato non si sarebbe realizzata e ha quindi deciso di cambiare atteggiamento verso la propria condizione, accettando di vivere alla giornata, senza aspettarsi nulla, cercando solo di sopravvivere. Nel frattempo, perdeva peso; alla liberazione erano 15 i chili in meno. Per tenere il cervello attivo su qualche cosa che non fossero solo le difficoltà del momento, decise di risolvere problemi di matematica. Ha contato le piastrelle del pavimento per calcolare un percorso di sette chilometri tra le pareti della cella. In questo modo, esercitava allo stesso tempo una certa attività fisica, assieme a un impegno cognitivo. Dopo qualche tempo dall’inizio della prigionia, è

Ha indicato che le persone molto anziane possono costruire per sé stesse (e per altri che vivono attorno a loro) una vita possibile compiendo scelte determinate, coraggiose

riuscito a farsi dare un paio di occhiali, in modo da poter leggere un libro. Ogni settimana gli era concessa una bacinella d’acqua per lavarsi; così ha potuto radersi in modo da sentirsi ordinato, nonostante le difficoltà, come esercizio per conservare la dignità personale, importante soprattutto per non cedere psicologicamente. Mozes ha passato un momento di paura terribile quando stava per essere liberato; ha infatti temuto di essere linciato dalla folla palestinese. Però, le foto hanno mostrato un’espressione di assoluto autocontrollo. Durante la detenzione non ha mai dimenticato di essere

un uomo del kibbuz, dove peraltro sembra che oggi sia già ritornato; ha raccontato di aver promesso ai suoi rapitori che, passata la guerra, sarebbe tornato per insegnare loro a coltivare la terra.

Perché ho riassunto questa storia dolorosa, ma allo stesso tempo vitalissima? Desidero mettere in luce come un ottantenne abbia dimostrato molti anni in meno o, dipende dai punti di vista, come anche a 80 anni si possano assumere comportamenti che non dimostrano rinuncia alla vita ma, al contrario, la capacità di determinarla, nonostante condizioni difficilissime.

Moses ha dimostrato un comportamento di rispetto verso sé stesso (la barba periodica), ha mantenuto una buona salute (l’attività fisica, anche in spazi ridottissimi) e psichica (i calcoli matematici, la lettura di un libro con gli occhiali concessi), ha progettato il futuro (la promessa di tornare per insegnare le coltivazioni ai suoi carcerieri), atteggiamento che dimostra fiducia negli altri, al di

là delle effettive condizioni. Inoltre, ha insegnato che la paura può essere sconfitta, senza permetterle di divenire dominante nel lungo periodo di prigionia, inducendo progressivamente un peggioramento della propria condizione. Infine, la decisione di vivere il presente è un insegnamento importante in particolare in età avanzata; il ‘qui e ora’ deve diventare la regola di vita, per apprezzarne il valore immediato, senza pensare a un futuro incerto. Certamente Mozes è fatto della “materia più dura dell’umanità”, almeno in parte grazie alla struttura genetica, ma anche perché la vita l’ha plasmato a difendere dignità e autonomia, sia psichica che fisica. Quindi i suoi 80 anni sono un modello indicativo di come si possa controllare l’evoluzione in senso negativo imposta dal trascorrere degli anni, del tempo di ogni persona.

Moses ha indicato che le persone molto anziane possono costruire per sé stesse (e per altri che vivono attorno a loro) una vita possibile, compiendo scelte determinate, coraggiose, senza accettare passivamente i condizionamenti indotti dagli anni. Quella di Mozes è una storia straordinaria per come si è svolta, ma è un modello di vita che può essere vissuto da tante persone del nostro tempo, ciascuno nella propria specifica condizione.

Per scrivere a Marco Trabucchi

posta - C/O Redazione 50&Più via del Melangolo, 26 - (RM) fax - 066872597 email - redazione@50epiu.it

PARLIAMONE

ACQUA VERO CAPITALE DEL DOMANI

La grande scommessa , il film di Adam McKay, racconta la storia di un’intuizione straordinaria. Quella di Michael Burry e di altri investitori che riescono a prevedere lo scoppio della bolla immobiliare americana, all’origine della crisi finanziaria del 2008. Burry, brillante gestore del fondo Scion Capital, scommette contro i mutui subprime, guadagnando cifre da capogiro mentre il sistema economico globale trema. Nei titoli di coda del film, si legge che Michael Burry oggi investe solo nel “mercato dell’acqua”, perché, secondo Burry, si tratta di uno dei settori con maggiore potenziale nei prossimi decenni. E, a quanto pare, non sbaglia. L’acqua sta assumendo sempre di più il ruolo di variabile strategica in grado di incidere sugli equilibri geopolitici, soprattutto oggi che i cambiamenti climatici hanno raddoppiato le zone colpite da siccità. La siccità, avverte l’Onu, oggi provoca più vittime e migrazioni forzate di popolazioni, dei cicloni e delle inondazioni, ma essendo una catastrofe naturale meno spettacolare delle altre, e dunque molto

meno mediatica, non sfonda il muro dell’informazione. Eppure, la scarsità d’acqua, principale causa della siccità, sfonda il muro della finanza e degli investimenti tanto da venir considerata dagli analisti come “il petrolio del futuro”. Un trend che va di pari passo con la crescita demografica. In un mondo che al 2050 dovrà sfamare circa 10 miliardi di persone, l’acqua diventa un bene paragonabile all’oro dei secoli scorsi. E allora, domani ci sarà abbastanza acqua per tutti sul nostro pianeta? Teoricamente sì, essendo un prodotto rinnovabile anche se con una impressionante variabilità (l’Italia è da sempre tra i paesi del mondo più ricchi di acqua, come gran parte dell’Occidente) ma, avvertono dal Palazzo di vetro delle Nazioni Unite, dobbiamo cambiare radicalmente il modo di utilizzarla. Altrimenti, al ritmo di utilizzo attuale, “il mondo dovrà fare i conti con un deficit idrico del 40% a partire dal 2030”. Inevitabilmente legato al cambiamento climatico, avrà ripercussioni sull’agricoltura, sulla sicurezza alimentare, sull’energia e la salute. Anche il nostro paese, si tro-

va a dover far fronte a un quotidiano e progressivo rischio siccità, causato dall’aumento della temperatura, prodotto dal dissesto climatico. Tra caldo torrido, temperature record, incendi, violenti temporali ed estati sempre più segnate da un clima tropicale. Basta guardare la Sicilia. L’isola è diventata il simbolo dell’impatto della crisi climatica nel Mediterraneo. Qui la scarsità d’acqua che caratterizza la più lunga siccità del secolo, ha provocato oltre due miliardi e mezzo di euro di danni per l’attività agricola. Sono proprio situazioni come queste che ci ricordano l’importanza di celebrare la Giornata Mondiale dell’Acqua, istituita dalle Nazioni Unite ogni 22 marzo: un’occasione per riflettere

L’acqua è un diritto umano universale imprescindibile per la sopravvivenza e lo sviluppo sostenibile delle comunità di oggi e domani

sull’importanza vitale di questa risorsa e sulla necessità di gestirla in modo sostenibile.

Il tema scelto per la Giornata Mondiale dell’Acqua 2025 è “Sfruttare l’acqua per la pace”. Un messaggio potente che richiama l’attenzione su una delle dimensioni meno considerate

della risorsa idrica: il suo potenziale nel costruire ponti di collaborazione tra i popoli. L’acqua, infatti, non è solo un bene naturale indispensabile alla vita, ma può anche trasformarsi in motivo di conflitto quando scarseggia o quando l’accesso viene negato. Più di 3 miliardi di persone, nel mondo, dipendono da bacini idrici condivisi tra diversi paesi. Eppure, solo 24 stati hanno attualmente stipulato accordi di cooperazione per una gestione comune e sostenibile di queste risorse. Questa mancanza di intese internazionali può alimentare tensioni geopolitiche, soprattutto in regioni caratterizzate da fragilità politica e crisi idriche sempre più frequenti. Come sottolineato dalle Nazioni Uni-

te, è fondamentale cambiare prospettiva: l’acqua non deve essere considerata solo una risorsa economica da sfruttare o controllare, ma un diritto umano universale, imprescindibile per la sopravvivenza e lo sviluppo sostenibile delle comunità di oggi e di domani.

Per scrivere a Francesca Santolini

posta - C/O Redazione 50&Più via del Melangolo, 26 - (RM) fax - 066872597 email - redazione@50epiu.it

PARLIAMONE

Personaggi

Ha 53 anni Giorgia, «e sono portati benissimo», chiosa. Come darle torto? Bella, sinuosa, elegante nel tipico outfit nero e, soprattutto, con il suo sorriso spontaneo che scintilla come un diamante su una pezza di velluto blu. È reduce da un Sanremo, che l’ha vista tra i protagonisti con una canzone «da lucciconi agli occhi», molto apprezzata da pubblico e critica, La cura per me. «Ho vissuto il festival con una bella sensazione positiva e con la solita ansia, che ho curato con diversi tranquillanti. L’ho gustato di più perché l’avevo vissuto anche in maniera negativa. E poi la canzone di Blanco e Michelangelo, che possiedono una classicità che non ti aspetti da loro così giova-

di Raffaello Carabini

Dopo il Festival di Sanremo, la cantante romana celebra il trentennale di Come saprei con tre concerti evento e lavora al prossimo album con una nuova squadra

ni, unisce una strofa contemporanea, un inciso più lightness e un testo di particolare sensibilità. Si può sparare la voce, c’è un bel lavoro sulla melodia e una scrittura moderna con tante parole strette. Mette insieme il mio passato con la contemporaneità e questo mi piace molto. Penso diventerà una canzone di quelle che non puoi lasciare fuori dalla scaletta dei concerti». A proposito di concerti, ne ha in programma tre che saranno degli autentici eventi.

Sì, li faccio per festeggiare i trent’anni proprio di una di quelle canzoni senza tempo, Come saprei. Si svolgeranno in luoghi carismatici come le Terme di Caracalla a Roma (13 giugno), il Teatro Greco di Siracusa (25 luglio) e la Reggia di Caserta (16 settembre). Si presenterà con il quindicesimo album?

Se fosse per me non farei mai un nuovo disco, dato che non sono mai soddisfatta. Però, da alcuni mesi mi sono impegnata con un team nuovo, quello di Slait (ovvero Ignazio Pisano, produttore che lavora con Lazza e Salmo, ndr), facendomi guidare come non ho mai fatto, perché ho sempre voluto il controllo totale. È una nuova prospettiva artistica, con qualcuno che mi guarda con un occhio diverso da quello cui ero abituata. Stiamo provando delle canzoni per il prossimo cd, che dovrebbe uscire prima della tournée invernale che farò nei palasport. Mi piace confrontarmi con la musica che cambia. È un’ispirazione. Ho sempre cercato di non ripetermi, la ricerca è linfa, benzina, vita. Trovo nella musica nuova cose che mi appartengono, perché sono vicine a quello che ascoltavo

da ragazzina e sono nelle mie radici. Dopo un 2024 super impegnato, anche quest’anno si prospetta pieno di attività.

Dopo tutti questi anni so che non bisogna dare nulla per scontato. Le opportunità vanno colte quando si presentano, anche se non ero abituata a questo tourbillon. Come per il Festival, che non era previsto nei miei programmi, la mia gara è riuscire a fare quello che decido di fare e farlo bene. Questa è la mia vittoria, sempre. Sia nel ruolo nuovo di conduttrice, sia in quello di doppiatrice dell’enigmatica Matangi, il personaggio del film Disney Oceania 2, sia nella musica. E poi alla mia età la gratitudine diventa qualcosa di necessario, verso Amadeus che mi ha voluta come co-conduttrice al Sanremo dello scorso anno, sia verso il mio ultimo team, che mi supporta come non ho mai visto. Il bello dell’età è vivere le cose in un altro verso. Ad esempio, condurre X Factor mi ha dato un po’ di logorrea e soprattutto più serenità nel mostrarmi per quello che sono, con meno paura di non piacere, più aperta, autentica.

Cos’altro le hanno donato di positivo i suoi 53 anni?

Direi il godere la realtà in un altro verso. Sto mettendo in dubbio quello che credevo fosse giusto per me e non lo era, cose che non puoi dare per scontate. È un lungo percorso, pieno di esperienze. Ci sono cose che alla mia età devo ancora imparare, mi rendo conto che sono stata a lungo immatura nei sentimenti. Ho capito che la cura che, nella nostra società occidentale, cerchiamo all’esterno, in realtà va

cercata dentro di noi, altrimenti troveremo sempre qualcosa di insufficiente. Per questo adesso mi fanno stare bene le cose piccoline, come un’ora da passare sul divano con i gatti addosso o stare con mio figlio, che mi obbliga a fare i compiti con lui.

Si è impegnata anche per cause sociali e i diritti delle donne. Ho vissuto momenti di impegno sociale in cui credevo che l’essere umano sarebbe migliorato, invece lo vedo sempre commettere gli stessi errori. Non so se abbiamo ancora risorse per superare questo stallo continuo, ma sono sicura che bisogna sempre combattere per andare oltre, per progredire. E bisogna lavorare sul ruolo della donna per tentare di equipararne i diritti a quelli degli uomini. Le nuove generazioni saranno di aiuto in questo e vanno chiamati alle loro responsabilità anche il papà, il compagno. L’eguaglianza è fondamentale e vanno cancellate le pratiche e le idee patriarcali. Non è un togliere a qualcuno, solo l’ottenere quello che spetta alle donne in quanto esseri umani.

In questo senso qual è la situazione nel mondo della canzone? Ovviamente è molto migliorata rispetto a quando ho iniziato, quando i tecnici e i produttori mi dicevano “mettiti lì e canta questo”. Ci sono state molte artiste, da Mina a Patty Pravo, da Loredana Bertè a Elisa, che hanno portato avanti la loro carriera senza paura, guadagnandosi la giusta credibilità. Oggi bisogna fare tesoro del passato, non ripetere gli errori, informarsi, educare tutti alla conoscenza. E combattere contro la mistificazione del corpo femminile. L’immagine, che per la donna è spesso frutto di un momento di vita, di riscoperta della propria femminilità, del mettersi in gioco, porta non di rado ad attacchi sui social e a critiche feroci. A un uomo, invece, non viene mai contestato nulla. Non può continuare così.

«VI RACCONTO CHI ERA MIO PADRE IL MEDICO UCCISO DALLA MAFIA»

Marco Pandolfo chiede verità e giustizia a trentadue anni dall’omicidio del neurochirurgo messinese. Con l’associazione Libera invita i giovani ad avere coraggio

«Mio

papà ha fatto in 51 anni quello che io in due vite non riuscirei a fare. Partendo da una famiglia umile, è diventato primario di Neurochirurgia degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria, lasciando un grande ricordo in chi ha avuto modo di incrociare il suo cammino e, oggi, in chi vuole ascoltare ciò che ha fatto». Il 21 marzo, primo giorno di primavera, “Libera” - rete di associazioni impegnata contro le mafiepromuove la giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. E lui, Marco Pandolfo, ha trovato dal 2016 - anche grazie all’associazione fondata da Luigi Ciotti - una nuova missione: raccontare alle nuove generazioni la storia di suo papà, Domenico Nicolò Pandolfo, per tutti Nicola, freddato a Locri, dove era consulente del nosocomio, in pieno giorno, con 7 pallottole. Senza un ‘perché’ solo apparentemente. Ma soprattutto rimasto tristemente senza giustizia da quel 20 marzo del 1993. Ma procediamo per gradi. Chi era questo medico siciliano nato nel 1942 a Pace del Mela, un paesino in provincia di Messina? Si era formato poco lontano, all’Università di Messina, e le sue origini umilissime - era figlio di fattori - non lo fecero desistere dal suo sogno che divenne ancor più chiaro quando un suo zio cadde da un albero e rimase paralizzato. Lui, non solo si premurò di accudirlo, ma disse in cuor suo con piglio deciso: «Farò il neurochirurgo». La specializzazione a Padova e la chiamata a Lecce, quando il professor Bartolomeo Armenise ricevette il compito di dirigere il reparto di Neurochirurgia dell’ospedale regionale “Vito Fazi” e, avendo bisogno di un assistente preparato, chiamò appunto Nicola , quel giovane promettente che aveva incrociato nella città dello Stretto, quando era solo un tirocinante che già si distingueva : «A Lecce nacqui io

- racconta Marco - ma presto si presentò una nuova opportunità. E lo era davvero considerando che il desiderio di mio padre era quello di lavorare per la sua terra amata. Con l’apertura agli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria, di una nuova divisione di Neurochirurgia, la cui direzione fu affidata al professor Romeo Eugenio Del Vivo, un neurochirurgo di fama internazionale, fu chiamato per il suo background anche papà». Il professionista accettò di buon grado questa sfida che si poneva davanti e nel 1990, non senza difficoltà, diventò primario del reparto. Tutto procedeva tranquillo, la famiglia si era già allargata con la nascita di Rita e Luca, e Maria, la compagna scelta da Nicola, decise anche lei di intraprendere un suo percorso professionale, diventando insegnante in giro per la Calabria. «Vivevamo sicuramente in un contesto particolare - continua - in cui si parlava sempre di morti ammazzati, ma mai avrei pensato che la mafia avrebbe bussato alla nostra porta. La nostra era una vita tranquilla e semplice, papà era talmente innamorato del suo lavoro che non lasciava mai nulla in sospeso. Per lui la medicina era come una missione. Da onorare

al meglio. E finì tutto quando chiamò mia zia per dirci che al Tg2 aveva sentito la notizia che era stato gravemente ferito un neurochirurgo. Ci fu la corsa in ospedale ma i fatti andarono come sappiamo». Le ultime parole pronunciate dal professionista rimbombano ancora: “Sono stati i Cordì”. E i fatti allora sembravano chiari: il luminare fu ucciso perché considerato colpevole di non aver strappato dalla morte la figlia di un boss che aveva un tumore molto grave. Le indagini coordinate dall’allora sostituto procuratore della Repubblica del Tribunale di Locri, Nicola Gratteri, non portarono a nulla, anche se il principale indiziato era proprio Cosimo Cordì, considerato il capobastone dell’omonimo clan della Locride, che avrebbe commissionato l’omicidio, per vendetta. Ma il caso si chiuse perché l’uomo aveva un alibi di ferro. In quel periodo si trovava a Bologna e nessuno parlò : «La verità, secondo me - commenta amaramente Marco - non si saprà mai. Forse solo un pentito dopo trentuno anni potrebbe rimescolare le carte e non nascondo che ogni tanto prego che succeda perché è l’ultima speranza che posso coltivare. Però adesso voglio che si tra-

smetta il bello. Voglio ribadire che la speranza fiorisce sempre. Il racconto che io faccio è legato alle memoria perché molti, non solo non conoscono mio papà, ma anche Falcone e Borsellino, che dovrebbero essere conosciuti. Oggi chi ascolta i suoi passi apprezza il fatto che Nicola, pur vivendo in un contesto precario, di sanità non proprio all’avanguardia, non si è dato mai per vinto. Non era un disfattista. Del resto credeva molto nella meritocrazia e nel fatto che alla fine i migliori vengono premiati. L’importante è essere bravi, tenaci e non farsi sopraffare dallo scoramento. Faccio un esempio. Nel reparto in cui lavorava se mancavano dei macchinari importanti, come la tac, lottava per ottenerli e amava definirsi anche rompiscatole perché andava direttamente dal direttore sanitario per farsi portavoce di diritti fondamentali, ma in fondo, anche delle necessità dei pazienti che doveva operare».

Oggi Marco collabora anche con il progetto “Amunì” di Libera e accompagna i ragazzi che stanno seguendo una strada di riabilitazione: «In questi percorsi credo molto e presto lo farò anche in carcere. Credo - concludeche chi sta scontando una pena può sognare comunque una via diversa, capire che si può cambiare. Questo è il senso che ho trovato elaborando il lutto. Mamma adesso è orgogliosa di me, anche se lei ha sempre preferito stare in silenzio e portare tenacemente avanti la nostra grande famiglia».

Nicolò Pandolfo con il figlio Marco

Sociale

BOOKCROSSING E LOTTA ALLA VIOLENZA

LE CABINE DISMESSE DI OSTUNI PARLANO IL LINGUAGGIO DELL’INCLUSIONE

di Donatella Ottavi

Cambiano aspetto le strutture collocate nelle strade cittadine. Grazie all’intervento delle associazioni diventano spazi dedicati a cultura e solidarietà Lo spiega Angela Errico di Che Fico Lab

Da luoghi dismessi a spazi di scambio culturale e sostegno sociale. È questo il nuovo destino di alcune cabine telefoniche di Ostuni, che vedono nuova vita grazie a un progetto nato dalla collaborazione tra il Comune e le associazioni Che Fico Lab e Annavanna. Private della loro funzione primaria dall’incalzante ascesa della telefonia mobile, per le cabine ostunesi è iniziata un’accurata opera di riqualificazione volta ad acquisire nuove funzioni dalla duplice natura, culturale e sociale, mantenendo inalterata la fruizione pubblica. A parlarci del progetto è Angela Errico di Che Fico Lab, l’associazione impegnata a promuovere idee, iniziative, ed eventi sul territorio: «Le cabine sono

state trasformate in luoghi di scambio, spazi innovativi di incontro, cultura e sostegno, divenendo punti di riferimento per la comunità».

L’intento è mettere a disposizione della cittadinanza servizi di bookcrossing per il deposito e scambio di libri usati, ma anche infopoint che possano accogliere materiale informativo per promuovere eventi, iniziative, notizie su città e territorio, o fungere da punti espositivi dedicati all’arte. Un progetto che, oltre all’importante aspetto culturale, ha voluto dedicare spazio anche a un tema di grande rilevanza sociale, più che mai attuale. «Grazie alla partecipazione dell’associazione Annavanna e alla collaborazione con il Centro antiviolenza (Cav) - prosegue Errico -, una delle cabine è stata destinata al sostegno di persone che vivono situazioni di difficoltà, garantendo supporto alle vittime di violenza di genere». Al suo interno, oltre a un ampio materiale informativo, è presente una cassetta in cui è possibile depositare richieste d’aiuto di cui si farà carico il Centro antiviolenza, offrendo un supporto immediato. Un processo di riqualificazione che valorizza anche l’aspetto del decoro urbano, oltre a generare una funzione sociale. «Un ringraziamento speciale va agli artisti Maria Elena, Benedetto e Alessio, che hanno risposto alla nostra chiamata interpretando i nostri pensieri attraverso la loro creatività e trasformando queste cabine in vere e proprie opere d’arte», conclude Angela Errico. Il progetto vedrà la sua conclusione nei prossimi mesi, ma ha già contribuito a rendere Ostuni un luogo più inclusivo e attento ai bisogni della cittadinanza.

Ecco spiegato perché non dovreste ignorare questi sintomi

DIARREA, DOLORI ADDOMINALI, FLATULENZA?

MI disturbi intestinali ricorrenti come diarrea, dolori addominali, flatulenza e costipazione possono limitare la vita di chi ne è affetto. Un prodotto come Kijimea Colon Irritabile PRO può costituire un aiuto.

olte persone soffrono spesso di disturbi intestinali quali diarrea, dolori addominali, flatulenza o costipazione. Se i sintomi si ripresentano regolarmente, potrebbe trattarsi della cosiddetta sindrome dell’intestino irritabile. Un prodotto come Kijimea Colon Irritabile PRO (in farmacia) può essere d’aiuto. Si ritiene che una barriera intestinale danneggiata sia spesso la causa dei

Agente patogeno

B. bifidum HI-MIMBb75

disturbi intestinali cronici. Anche i più piccoli danni alla barriera intestinale sono infatti sufficienti per permettere agli agenti patogeni e alle sostanze nocive di penetrare attraverso la barriera: questi provocano l’irritazione del sistema nervoso enterico e generano infiammazioni. Le conseguenze sono molteplici: diarrea ricorrente, spesso accompagnata da dolori addominali, flatulenza e a volte costipazione.

attenuarsi. Kijimea Colon Irritabile PRO potrebbe quindi essere un aiuto a chi soffre di disturbi intestinali ricorrenti, come diarrea, dolori addominali, flatulenza e costipazione.

Kijimea Colon

Irritabile PRO

 Con effetto cerotto PRO

 Per diarrea, dolori addominali, fl atulenza e costipazione

Parete intestinale

I bifidobatteri del ceppo HI-MIMBb75 aderiscono alle aree danneggiate della barriera intestinale come un cerotto. Così consentono un’attenuazione dei disturbi intestinali.

A partire da questi presupposti è stato sviluppato Kijimea Colon Irritabile PRO. I bifidobatteri del ceppo HI-MIMBb75, contenuti in Kijimea Colon Irritabile PRO, aderiscono alle aree danneggiate della barriera intestinale: possiamo immaginarli come un cerotto su una ferita. L’idea: al di sotto di questo cerotto, la barriera intestinale può rigenerarsi e i disturbi intestinali possono

 Contiene lo specifico bifi dobatterio B. bifidum HI-MIMBb75

Per la Vostra farmacia: Kijimea Colon Irritabile

(PARAF 978476101) www.kijimea.it PRO

È un dispositivo medico CE 0123. Leggere attentamente le avvertenze o le istruzioni per l’uso. Autorizzazione ministeriale del 18/10/2023. • Immagini a scopo illustrativo.

SIBLINGS: CAREGIVER DALLA NASCITA DIMENTICATI DALLE LEGGI

La lotta di mamma Pamela affinché i diritti delle sorelle e dei fratelli di persone con disabilità vengano riconosciuti «Anche lo hanno bisogno di sentirsi speciali di Anna Giuffrida

«Non posso fare a meno di mio fratello, anche se avrei fatto a meno della sua disabilità. Io per lui ci sarò sempre, e anche lui alla sua maniera per me ci sarà sempre». Sono le parole di un ‘sibling’, cioè fratelli o sorelle di persone con disabilità. Storie di un amore frater-

no capace di condividere esperienze, piccoli e grandi traguardi e la crescita. Un rapporto simbiotico tra fratelli che si confronta con un sovraccarico di responsabilità e solitudini. I siblings sono caregiver dalla nascita senza averlo scelto, e lo saranno per tutta la vita. Ragazzi e ragazze, uomini e donne di ogni età, che ogni

giorno danno il loro sostegno in famiglia, sia ai genitori che a fratelli e sorelle con disabilità. «Sono la parte più importante, fondamentale, di tutta la storia. Perché per loro questo impegno è per sempre», ci tiene a precisare Pamela Pompei, mamma di due gemelli, di cui uno con disabilità, e vice presidente dell’APS Comitato

Disabilità Municipio X Roma. Pamela è impegnata, dalla nascita dei suoi figli, nel compito di far conoscere la condizione di invisibilità e mancanza di tutele per i siblings, e intanto affrontare il doppio ruolo di mamma caregiver di un disabile e di un sibling. «È una realtà che vive nell’ombra, spesso loro stessi si nascondono per non dover parlare delle situazioni difficili che vivono. Hanno pochi amici. Riescono a relazionarsi solo con persone che vivono la loro situazione. Anche perché hanno percorsi di vita abbastanza impegnativi», spiega Pamela Pompei.

Una marginalità che i siblings vivono quotidianamente, a partire dalla scuola. «È come se la scuola non si rendesse conto del ruolo che ricoprono ogni giorno, ogni momento, ogni notte, questi ragazzi e queste ragazze. Per loro sono ragazzi come tutti gli altri e vengono trattati allo stesso modo. Invece, non dovrebbe essere così - spiega con voce ferma Pamela Pompei -. Ci sono ragazzi che non dormono la notte per quello che vivono dentro casa con la disabilità. Vorrei quindi che ci fosse un atteggiamento diverso, una comprensione diversa nei loro confronti. O almeno più dialogo». Un’inclusività carente rafforzata da una sostanziale assenza di leggi a loro sostegno. Dalla Legge 104 del ’92 alle norme più recenti sui caregiver, mancano ancora delle leggi che diano tutele concrete e visibilità ai siblings. La Regione Lazio in una recente legge, la numero 5 dell’aprile 2024, promuove per i giovani caregiver familiari “percorsi agevolati in ambito scolastico e universitario”. Ma chi vive da vicino questa realtà ne aspetta ancora l’applicazione. «Mio figlio quest’anno sta finendo l’ultimo anno di liceo e l’anno prossimo andrà all’università. Eppure, non leggo da nessuna parte che viene considerato un caregiver, con delle agevolazioni

come sarebbe giusto. È tutto molto blando - commenta mamma Pamela -. Quello del caregiver, alla fine, è un riconoscimento a parole. La verità è che la disabilità colpisce la famiglia, non il singolo. E i siblings, secondo me, dovrebbero avere gli stessi diritti che hanno i loro fratelli e le loro sorelle. Ho visto persone, siblings, distrutte dalla vita che hanno vissuto fin da bambini. Un aiuto è fondamentale da quando sono piccoli, prima di tipo psicologico poi anche lavorativo e medico». Pamela, intanto, non si scoraggia e combatte ogni giorno quella che lei chiama “la guerra”. Lo fa, insieme al Comitato Disabilità Municipio X Roma, anche organizzando laboratori

partecipazione di Gigi Proietti. «Io ero un fantasma che viveva la vita di Marco. Stavo bene, se lui stava bene. Una vita in simbiosi, fino ad annullarmi», racconta uno dei siblings intervistati nel documentario. Vite all’ombra della disabilità, dove a sentirsi alieno è sia chi è disabile che gli stessi siblings.

«Ho fatto il video Attraverso Te per fare sentire mio figlio meno solo, per fargli capire che non era l’unico a vivere nell’ombra. E l’ho fatto anche per gli altri siblings, perché si sentano meno soli. Loro partono svantaggiati, sta a noi genitori e alla società renderli vincenti - dice Pamela Pompei -. Da genitore, la difficoltà è lavorare su

teatrali, corsi di musica e yoga, un coro che nei prossimi mesi animerà un musical. Spazi che diventano luoghi per superare l’isolamento e la solitudine, per le famiglie e soprattutto per questi caregiver speciali. Dalla creatività di Pamela e del comitato sono nati negli anni dei documentari, visibili sulla pagina YouTube dell’associazione, come La lingua degli alieni, cui ha preso parte anche l’attore e conduttore Pif, e Attraverso Te, Storie di Siblings, con la

noi stessi. Riuscire a dare a uno una cosa, ad un altro un’altra, in base alle loro inclinazioni. Mio figlio adesso è cresciuto ed è abbastanza sereno, si prende cura di suo fratello spontaneamente. A quel punto non diventa più un peso, ma una scelta d’amore». Per i siblings il ‘Dopo di Noi’ è una scelta di vita, che va difesa. E su questo la battagliera Pamela ribadisce: «Bisogna valorizzarli, perché fanno un lavoro importante. E perché hanno bisogno di sentirsi speciali».

Università

ITALIA ED EMIRATI ARABI UNITI PIÙ VICINI NELLA RICERCA

ARRIVA LA FIRMA

DEL MEMORANDUM

L’accordo avrà la durata di cinque anni con l’obiettivo di favorire la collaborazione tra le istituzioni di alta formazione, istruzione superiore e ricerca

Su sanità e mobilità sostenibile anche l’ipotesi di un bando congiunto

LItalia e gli Emirati Arabi Uniti più vicini nell’ambito della ricerca. Il ministro dell’Università e della Ricerca (Mur), Anna Maria Bernini, ha firmato insieme al presidente degli Emirati Arabi Uniti (Uae), lo sceicco Mohamed bin Zayed Al Nahyan, un Memorandum of Understanding (MoU) per la Cooperazione nel campo dell’alta formazione e della ricerca scientifica. Il MoU, mira a rafforzare la cooperazione tra i due paesi attraverso lo scambio di competenze, l’organizzazione di conferenze, seminari, workshop ed esposizioni, l’avvio e il co-finanziamento di progetti di ricerca congiunti. Non solo, tra gli obiettivi del documento anche la condivisione delle infrastrutture di ricerca e tecnologia e lo svolgimento di lezioni in vari ambiti di interesse comune. «Italia ed Emirati Arabi Uniti uniscono le forze per ampliare gli orizzonti della conoscenza, scambiarsi idee e risorse. Questo accordo non solo apre la strada a progetti innovativi ma aiuta anche a costruire una rete solida di collaborazione che avrà sicuramente un impatto positivo sul futuro di entrambi i paesi», ha commentato il ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, a margine

ditation (Caa) negli Uae e l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (Anvur) in Italia. Nell’ambito della visita il Mur ha anche favorito l’avvio di una collaborazione tra il Centro nazionale Hpc, big data e tecnologie quantistiche italiano di Bologna e Adia Lab, il centro di ricerca emiratino creato dall’Abu Dhabi Investment Authority e specializzato in intelligenza artificiale e altre tecnologie avanzate, tra cui il supercalcolo.

Italia ed Emirati Arabi Uniti valuteranno la possibilità di definire un bando di ricerca congiunto su al -

della firma in occasione della visita del presidente in Italia.

L’accordo punta a favorire la collaborazione tra le istituzioni di alta formazione, istruzione superiore e ricerca, inclusa la condivisione di informazioni e prospettive su questioni scientifiche e tecnologiche di interesse comune. Tra gli obiettivi anche lo scambio di personale accademico e amministrativo, docenti, scienziati ed esperti e la cooperazione tra la Commission for Academic Accre -

cuni specifici ambiti: sanit à, materiali avanzati e manifattura, infrastrutture di ricerca con particolare attenzione alle onde gravitazionali, sicurezza alimentare, robotica biomedica, intelligenza artificiale, calcolo ad alte prestazioni e big data, biodiversità, tecnologie agricole innovative, mobilit à sostenibile, terapia genica e terapie a base di mRna, belle arti e musica. Il MoU avr à una durata di 5 anni, rinnovabile anche automaticamente.

«LA MENOPAUSA NON È UGUALE PER TUTTE»

Manuela Peretti, blogger, promuove il dialogo tra donne attraverso la creazione di una rete: insieme a specialisti, spiega cosa accade fra i 45 e i 55 anni con la cessazione delle mestruazioni. Ecco il progetto, primo in Italia

Se ne parla ancora troppo poco e spesso con disagio, eppure la menopausa è un momento fisiologico nella vita di tutte le donne. In questa fase si osservano dei cambiamenti e si possono verificare vari disturbi, ma esistono cure e rimedi per affrontarli e riprendere a vivere al meglio.

Per trasformarla in un percorso di crescita e di normalizzazione, Manuela Peretti, già event manager e da quattro anni blogger e ideatrice del progetto ManuPausa, ha deciso di partire dalla sua esperienza personale per creare una rete e parlare senza filtri di ciò che succede fra i 45 e i 55 anni, o talvolta anche prima,

con la cessazione delle mestruazioni.

«Quando ho cominciato nel 2020, in Italia non si trovava una pagina che ne parlasse, e così inizialmente mi sono rivolta ai canali di informazione inglesi, che erano molto più avanti di noi - spiega a 50&Più Peretti - . Da allora sono stati fatti molti progressi, ma spesso le donne continuano ad arrivare impreparate a questa fase». Cosa manca, quindi?

Manca un approccio integrato alla menopausa, anche da parte dei medici: per alcuni aspetti e problematiche si va dal ginecologo, per altre dal nutrizionista, per altre ancora dall’ortopedico e così via. In Italia, poi, non abbiamo dati a disposizione sull’impatto della

menopausa sulla vita delle donne, sul proprio percorso anche lavorativo: in Inghilterra, ad esempio, raccolgono i dati su quante donne che affrontano questa fase decidono di licenziarsi, oppure rinunciano a promozioni perché non si sentono più all’altezza. Cosa significa per una donna nel pieno dell’età lavorativa affrontare la menopausa?

Quello della menopausa sul posto di lavoro è un tema che mi sta molto a cuore, e che ho vissuto in prima persona. Ci sono donne di 45-50 anni che sono una risorsa enorme per il contesto lavorativo ed è necessario stabilire delle linee guida per supportarle nell’affrontare questa fase,

in cui non abbiamo bisogno di permessi ma di informazione, di referenti ai quali rivolgerci, per evitare che la menopausa diventi motivo di ghettizzazione nelle aziende. Quali sono i sintomi da non sottovalutare in menopausa e in premenopausa?

Ognuna ha la sua menopausa: ci sono donne che hanno una sintomatologia molto importante e altre molto lieve. Tutte parliamo delle vampate, che è giusto monitorare, ma ci sono altri disturbi che spesso non colleghiamo alla stessa causa, e che rischiano di spaventarci. Io ho iniziato ad avere dei brain fog o annebbiamenti cognitivi piuttosto violenti, non riuscivo più a concentrarmi e a ricordare. Sono rimasta in questa situazione per più di un anno senza capirne le cause. Ci sono donne che invece iniziano con dolori articolari e muscolari, e se hanno ancora il ciclo ovviamente non pensano a un sintomo legato all’avvicinarsi della menopausa. Per questo l’informazione è fondamentale, anche nell’ottica di fare prevenzione: se una donna arriva a questa fase avendo già adottato un corretto stile di vita, sarà avvantaggiata e consapevole, per cui potrà affrontare tutto senza paure.

re di supporto. Vale anche per i figli adolescenti, che non hanno idea di cosa significhi affrontare questo tipo di cambiamento, fisico e psicologico, almeno finché non si condividono con loro pensieri e riflessioni.

Manuela Peretti ideatrice del progetto ManuPausa

La menopausa è ancora un tabù, spesso anche in ambito familiare, affettivo, privato: come si supera?

A volte accusiamo gli uomini di non capire come ci sentiamo, ma di fatto, oltre a non avere nemmeno noi una conoscenza approfondita del tema, spesso evitiamo di parlare di ciò che stiamo affrontando, e non diamo agli altri la possibilità di comprendere. Chiunque, se informato, può esse-

Quanto aiutano i social nel fare informazione?

I social sono un aiuto, e tante donne mi scrivono che grazie alla pagina Instagram, al blog, sono riuscite ad avere tante informazioni che nemmeno il ginecologo gli aveva fornito. Tra l’altro quelli specializzati in menopausa sono ancora pochissimi, perché molti di loro hanno fatto degli studi in cui il tema era marginale. Nelle generazioni future anche i corsi di studio cambie-

ranno per via dell’allungamento della vita, della quale la menopausa farà sempre più parte quando a una donna è richiesto ancora tanto impegno. Lei ha creato una rete per affrontare il tema a 360 gradi: qual è l’approccio del progetto ManuPausa?

Cerco di realizzare delle dirette dove ospito medici che parlano dei diversi temi, dai capelli all’osteoporosi, dalla parte più ginecologica a quella della nutrizione. Invito sempre professionisti che hanno approcci diversi, perché è giusto dare indicazioni a chi vuole indirizzarsi sulle terapie ormonali come a chi preferisce un approccio più naturale, ad esempio basato sulla fitoterapia. Senza sottovalutare l’aspetto psicologico oltre che medico, perché il corpo che cambia, in una società in cui l’accettazione dell’invecchiamento non è facile, impatta anche sulla nostra mente. Quali sono gli aspetti positivi della menopausa e della sua normalizzazione? La menopausa non è una malattia ma può dare disturbi che peggiorano la nostra qualità di vita, ed è per questo che informare è fondamentale per mettere in atto tutte le soluzioni possibili per stare bene. Attraverso il blog e la pagina Instagram cerco di dare un messaggio positivo, perché una volta superate le difficoltà legate alla sintomatologia, si entra in una bellissima fase della vita, in cui possiamo riprendere in mano cose che avevamo lasciato nel cassetto, darci priorità diverse, ritrovare interessi lasciati da parte. La menopausa viene associata, sbagliando, alla vecchiaia e alla fine di tutto, e invece non è così. Va conosciuta, gestita e infine goduta.

FOTO SOFIA RANCATI

«GARANTIRE LA DISPONIBILITÀ

DEL SANGUE QUANDO SERVE È UN BENE PER TUTTI »

Gianpietro Briola, presidente Avis, disegna la geografia delle donazioni in Italia raccontando esigenze e modalità

Aumentano le donazioni di sangue in Italia: nel 2023 si è superata quota 3 milioni, grazie a un milione e 700mila donatori. Se per il sangue intero il nostro paese è autosufficiente, non è così per il plasma, che per il 25% viene ancora importato dall’estero. Uno dei principali attori del sistema è l’Avis, la più grande associazione di volontariato del sangue in Italia, che con le sue 3.300 sedi sparse sul territorio garantisce da sola circa il 70% delle donazioni. Nel 2027 l’Associazione raggiungerà un traguardo storico,

celebrando i suoi 100 anni di attività. Gianpietro Briola, già primario del Pronto Soccorso di Manerbio (Bs), è presidente di Avis da 7 anni. 50&Più l’ha incontrato per raccontare la situazione attuale. «Dal punto di vista nazionale, abbiamo conservato anche per il 2024 l’autosufficienza di globuli rossi come numero assoluto. Sulle relatività ci sono ancora dei momenti più critici in alcune zone d’Italia, ma sono legati a condizioni cliniche, ad esempio, un numero di operazioni chirurgiche o trapianti non previsti. Questo può dare la percezione di una sorta di carenza, che

però viene sempre compensata da altre regioni o da altri ospedali. Da due anni non stiamo avendo difficoltà nemmeno per i pazienti cronici talassemici, che ogni due settimane devono sottoporsi a trasfusioni».

In cosa consiste la donazione di sangue?

Esistono due modalità di donazione: il sangue intero, che poi viene scomposto in plasma, piastrine e globuli rossi, oppure la donazione cosiddetta in ‘aferesi’. Quest’ultima consiste nel prelievo del sangue che, attraverso una macchina denominata separatore cellulare, trat-

di Francesca Cutolo

tiene la componente necessaria e restituisce al donatore il resto. In realtà, tutto il sangue raccolto viene sempre scomposto e mai trasfuso intero, tranne in casi molto particolari. Si cerca sempre di fornire al paziente la componente di cui ha bisogno in quel momento. Quali sono le regioni con il maggior numero di donazioni?

Le regioni più virtuose sono la Lombardia, l’Emilia-Romagna, il Friuli-Venezia Giulia e il Veneto. Fanalino di coda è invece il Lazio, in particolare Roma, a causa di problematiche legate al numero di cittadini di passaggio che non

A sinistra, Gianpietro Briola presidente Avis. Sotto, una locandina della campagna di sensibilizzazione

sono residenti e dell’alta richiesta degli ospedali romani. Questi ultimi rappresentano, infatti, il primo punto di attrazione per i pazienti provenienti dal Sud Italia, in particolare da Campania, Calabria e Sicilia.

Qual è l’identikit del donatore?

Coloro che donano di più rientrano nella fascia d’età media, tra i 35 e i 50 anni. È possibile donare dai 18 ai 70 anni, purché si sia in buona salute. Attualmente, i donatori periodici sono per il 65% uomini. C’è comunque grande disponibilità da parte di tutti i cittadini.

I giovani vengono a donare il sangue? Avete delle strategie per sensibilizzarli?

Ci sono diversi aspetti da considerare. Il numero di giovani è in calo a causa del declino demografico, molti vivono fuori sede per motivi di studio e riescono a donare solo quando tornano nella loro regione d’origine. In molte zone d’Italia, inoltre, la donazione avviene dal lunedì al venerdì, al mattino, presso i centri trasfusionali ospedalieri, e i giovani, spesso con contratti a tempo determinato o precari, non hanno i permessi per assentarsi dal lavoro. Per quanto riguarda l’informazione, i ragazzi, se ben informati e sollecitati, rispondono e si fidelizzano alla donazione. Noi entriamo nelle scuole elementari per parlare di solidarietà e valori, sensibilizziamo già i bambini che a loro volta convincono i genitori a donare. Piantiamo così dei semi che germoglieranno in

futuro. Poi, organizziamo momenti di informazione per ragazzi più grandi, in età da donazione, con modalità comunicative mirate, utilizzando i social e iniziative territoriali grazie ai nostri gruppi locali.

Tutti possono donare? E quali sono le motivazioni alla base della scelta del donatore?

La donazione avviene secondo criteri sanitari molto rigorosi. I donatori devono superare una visita medica preliminare e, se idonei, effettuano un prelievo iniziale. Se i risultati sono positivi, possono donare il sangue (donazione differita). Alcune realtà consentono la donazione immediata: gli esami vengono effettuati in seguito e, se i risultati sono idonei, la sacca viene utilizzata. Le motivazioni per donare variano: valori personali, controlli medici periodici, o esperienze personali legate a parenti o amici che hanno avuto bisogno di sangue.

Qual è il ruolo dell’intelligenza artificiale nelle donazioni?

Stiamo sviluppando un sistema di chat istantanea in grado di fornire direttamente sul nostro sito, www.avis.it, tutte le informazioni utili per diventare donatori di sangue. Un altro strumento serve a velocizzare il processo di selezione e accesso ai centri di raccolta, semplificando la compilazione dei moduli. Inoltre, utilizziamo l’intelligenza artificiale per la programmazione delle raccolte, regione per regione, con proiezioni future. All’interno di ospedali e laboratori, i sistemi software aiutano a gestire in modo più efficiente le sacche di sangue disponibili.

Cosa direbbe a un lettore per convincerlo a donare?

Esistono malattie che possono essere curate solo con prodotti derivati dalla donazione umana, i cosiddetti “prodotti biologici”. Non è una questione emergenziale, ma quotidiana: ogni giorno, 1.860 pazienti vengono trasfusi. Garantire la disponibilità del sangue quando serve è un bene per tutti.

CITTÀ PIÙ AFFETTUOSE D’ITALIA

IL SUD SVETTA NELLA CLASSIFICA

Sono gli abitanti di Palermo, Napoli e Venezia i cittadini con maggiore propensione agli abbracci e all’uso di nomignoli. Più della metà dei milanesi invece, evita il contatto fisico, ad Aosta primeggia la riservatezza durante le conversazioni

Città che vai, affetto che trovi. È proprio il caso di dirlo. Da Nord a Sud, l’Italia si conferma un paese frastagliato e vario non solo nelle tradizioni culinarie e nei paesaggi ma anche nei modi di dire e nelle manifestazioni d’affetto. Quali sono le città più avvezze all’utilizzo di nomignoli e atteggiamenti? A rivelare una geografia degli abbracci è l’indagine firmata Preply, piattaforma per l’apprendimento delle lingue, condotta su un campione di oltre 1.500 persone. Al primo posto delle grandi città troviamo Palermo: qui, il 57% degli abitanti usa

regolarmente soprannomi affettuosi come ‘beddu’ o ‘amuri’, e quasi la metà dichiara di scambiarsi abbracci anche con conoscenti. Napoli conquista il secondo posto, con il 50% degli intervistati che apprezza termini affettuosi e Venezia, al terzo posto, conferma il suo spirito romantico: l’81% dei veneziani preferisce esprimere affetto attraverso gesti o parole gentili. A chiudere la top 5 ci sono le città di Bari e Firenze. Tra i piccoli centri, invece, il calore umano sembra essere una costante. Potenza, in testa alla classifica, si distingue per la frequenza con cui i suoi abitanti si

scambiano baci e abbracci: 47% per i primi e 45% per i secondi. Inoltre, il 40% degli intervistati si sente a proprio agio con il contatto fisico anche con sconosciuti. Segue L’Aquila, dove i gesti di affetto - baci e parole gentilisi estendono anche alle relazioni meno strette. Al terzo posto Cagliari, dove il 69% degli intervistati apprezza abbracci e gesti affettuosi durante la giornata, un equilibrio perfetto tra riservatezza e accoglienza.

Tra le città meno affettuose c’è Torino, con il 55% degli intervistati che dichiara di non gradire termini affettuosi durante le interazioni pubbliche. Al secondo posto Bologna, i cui abitanti preferiscono un approccio meno espansivo. Sul gradino più basso del podio Perugia: qui baci e abbracci non sono proprio all’ordine del giorno, e i soprannomi affettuosi sono tra i meno usati. A Trieste il 70% degli abitanti preferisce evitare il contatto fisico con sconosciuti. Milano segue a ruota: la maggior parte dei cittadini preferisce evitare il contatto fisico durante una conversazione. Il 60% dice di gradire un abbraccio spontaneo durante la giornata, dimostrando che, pur non cercando attivamente l’affetto, i meneghini non sono del tutto insensibili a queste dimostrazioni. Tra i piccoli centri, il Nord Italia si distingue per la riservatezza. Aosta si posiziona in cima: il 64% degli abitanti evita il contatto fisico durante le conversazioni, e più della metà non usa espressioni affettuose nemmeno con chi conosce bene. Anche Trento si mantiene su toni sobri: sebbene il 52% degli intervistati dichiari di usare soprannomi affettuosi in famiglia, il linguaggio caloroso nei negozi o nei bar resta un’eccezione (solo il 42% lo apprezza). Ancona, al terzo posto, chiude la classifica. Qui il 46% degli abitanti dichiara di non usare termini affettuosi nella vita quotidiana, e il 55% si sente a disagio con il contatto fisico con sconosciuti.

di Camilla Sorri

Non tutte le guerre sono uguali, quella in corso in Sudan è certamente la più cruenta e la meno raccontata. In meno di due anni di conflitto sono state uccise almeno 150mila persone e 12 milioni hanno lasciato le proprie case. I numeri sono considerati da tutti gli osservatori come sottostimati, per giornalisti e operatori umanitari è quasi impossibile accedere al paese. “Il conflitto ha provocato il più alto livello di sfollamento su scala globale, con 8,8 milioni di sfollati interni e 3,2 milioni di rifugiati nei paesi vicini”, si legge in un report dell’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr). La questione, per quanto ci sembri lontana,

SUDAN LA GUERRA DIMENTICATA

CHE SQUARCIA IL DARFUR

Il conflitto costringe milioni di persone a fuggire cercando rifugio nei paesi vicini o tentando di raggiungere l’Europa. La crisi umanitaria è aggravata dalla mancanza di accesso agli aiuti internazionali e dalla violenza contro i civili di Cosimo Caridi

tocca anche noi: nel 2024 sono raddoppiati rispetto all’anno precedente i richiedenti asilo sudanesi arrivati in Europa, la stragrande maggioranza di questi sbarca sulle coste italiane. Siamo davanti a una guerra civile che ricalca le ferite mai rimarginate del Darfur, uno degli attori in campo è strettamente legato alle milizie arabe, i Janjaweed, che negli Anni 2000 misero in campo brutali campagne di violenza etnica. Oggi questi gruppi si sono trasformati ed evoluti nelle attuali Forze di Supporto Rapido (Rsf). Il Sudan è segnato da divisioni profonde, che affondano le radici nella storia coloniale e nei conflitti interni. Dopo l’indipendenza nel 1956, il paese ha vissuto due lunghe guerre civili, culminate nel 2011 con la secessione del Sud Sudan. La crisi attuale vede contrapposte due fazioni principali: le Forze Armate Sudanesi (Saf, guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan, e le Rsf, comandate da Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemedti. Le Saf rappresentano l’esercito regolare, discendente dalle forze militari dello stato post-coloniale, e storicamente legate al potere centrale di Khartoum. Hanno mantenuto il controllo del governo dopo la caduta di Omar al-Bashir nel 2019 e si sono opposte a una piena transizione democratica. Le Rsf, invece, sono nate come gruppo paramilitare derivato dai Janjaweed, utilizzati dal regime di al-Bashir per reprimere le ribellioni nel Darfur. Con il tempo, si sono trasformate in un

attore autonomo, grazie al controllo su risorse strategiche, come l’oro del Darfur e il supporto di alleati internazionali, tra cui gli Emirati Arabi Uniti. Nel 2003, il governo di Omar al-Bashir aveva scatenato le milizie Janjaweed contro le popolazioni non arabe del Darfur, provocando un genocidio. “Le stesse tattiche di allora si ripetono: esecuzioni di massa, stupri come arma di guerra e distruzione sistematica dei villaggi”, si legge in un documento con cui la Corte Penale Internazionale accusa le Rsf di crimini contro l’umanità. Secondo il Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu, “sia le Saf che le Rsf hanno commesso crimini di guerra su vasta scala, compresi omicidi di massa e stupri di guerra”.

Acled (Armed Conflict Location & Event Data Project), un’organizzazione che raccoglie dati sui conflitti e la violenza politica a livello globale, ha ricostruito attacchi su civili lontano dalla linea del fronte. Vengono usati aerei e droni per rendere insicure aree lontane dagli scontri, questa tattica serve a mettere in fuga la popolazione. Fa parte di una strategia, usata da entrambi i lati, per impedire all’avversario un controllo omogeneo del territorio. Il Sudan ha 48 milioni di abitanti, circa il 15% in meno dell’Italia, ma un’estensione pari a sei volte quella del nostro paese. Le ampie aree, sovente semidesertiche, sono impossibili da occupare militarmente. Scacciarne la popolazione è un modo per rivendicarne il controllo. Per farlo le

Giugno 2024, un gruppo di rifugiati sudanesi attraversa il valico di frontiera di Adré, con i pochi averi che è in grado di trasportare

due parti hanno trasformato ospedali e infrastrutture civili in bersagli sistematici. Secondo l’Onu, “oltre il 70% delle strutture sanitarie sono fuori uso”. Le conseguenze della guerra si misurano in fame e disperazione. Metà della popolazione soffre di insicurezza alimentare acuta. La fame non è solo un effetto collaterale del conflitto, ma una vera e propria arma di guerra: “Le forze in lotta bloccano deliberatamente i convogli umanitari, lasciando intere comunità senza cibo e medicine” (Amnesty International, 2024). A gennaio 2025, in uno degli ultimi atti dell’amministrazione Biden, gli Stati Uniti hanno formalmente accusato le Rsf di genocidio, imponendo sanzioni al leader delle milizie, Hemedti, e ai suoi familiari. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha invocato una forza di protezione internazionale, ma il governo militare sudanese ha respinto categoricamente la proposta. Per negoziare un cessate il fuoco Saf e Rsf dovrebbero riconoscersi l’un l’altro il controllo di un’area del paese. Questo, secondo molti analisti, sarebbe il primo passo per una divisione del Sudan e con buone probabilità aprirebbe la porta a nuove violenze contro le minoranze dei rispettivi blocchi. L’Unhcr ha allertato che senza un intervento immediato “il Sudan diventerà un nuovo Ruanda”. Sono diversi gli attori internazionali che preferiscono lo status quo, la guerra. Tra questi Russia e Arabia Saudita che hanno grandi interessi nell’area.

Giornata mondiale dell’acqua

A RISCHIO L’ORO BLU DEL PIANETA

L’Italia terza in Europa per disponibilità idrica maglia nera al sud. Tra gestione delle infrastrutture e cambiamenti climatici l’emergenza acqua resta

Che l’acqua sia la base della vita è una verità universalmente nota e condivisa; data troppo spesso per scontata. Per questo, ogni anno, il 22 marzo torna al centro dell’attenzione globale con la Giornata Mondiale dell’Acqua, nata per ricordare che questa risorsa, pur abbondante in natura, non è infinita.

Istituita dalle Nazioni Unite nel 1992, durante la Conferenza su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro, la Giornata ha fin dall’inizio un chiaro obiettivo: sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di preservare e gestire in modo sostenibile le risorse idriche del pianeta, promuovendo azioni concrete per garantire

l’accesso all’acqua potabile a tutti. Ogni edizione è dedicata a un tema specifico. Nel 2023, ad esempio, il focus è stato “Accelerare il cambiamento”, con l’invito a superare la crisi idrica globale attraverso soluzioni innovative e collaborative. Nel 2024, invece, si è parlato di “Water for Peace” (Acqua per la Pace) a testimonianza del “peso specifico” di questa risorsa. Perché l’acqua, è bene ricordarlo, non è solo una questione ambientale, ma anche sociale, economica e politica. Secondo l’Onu, oltre 2 miliardi di persone nel mondo vivono in paesi con stress idrico, e circa 4 miliardi sperimentano scarsità d’acqua per almeno un mese all’anno. Numeri che fanno riflettere,

soprattutto in un’epoca in cui i cambiamenti climatici stanno aggravando la situazione.

In un paese come l’Italia, che grazie alla sua conformazione geografica e geologica è ricco di fiumi, laghi e bacini, il tema dell’acqua rischia di assumere toni paradossali. Se da un lato la penisola è un vero e proprio scrigno idrico, dall’altro la crisi climatica e una gestione spesso inefficace delle risorse stanno determinando situazioni di emergenza, soprattutto nelle regioni meridionali e insulari. Ma qual è lo stato di “salute idrica” del nostro paese? Con oltre 1.200 fiumi, 1.000 laghi e numerose falde acquifere, la penisola italiana si colloca al terzo posto in Europa nella classifica degli stati con maggiori disponibilità di acqua, dietro solo a Svezia e Francia (fonte Eurispes). Tuttavia, molto spesso questa abbondanza non si traduce in una gestione efficiente. Secondo l’Istituto Superiore per la

Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), il 40% dell’acqua prelevata per uso potabile viene persa a causa di reti idriche obsolete e inefficienti. Un dato che, stavolta, colloca l’Italia tra i paesi europei con il più alto tasso di dispersione idrica.

Ma non è solo questione di infrastrutture. La crisi climatica sta alterando il ciclo dell’acqua, riducendo le precipitazioni e aumentando i periodi di siccità. Negli ultimi anni, il fenomeno è diventato particolarmente evidente al Sud e nelle isole, dove le risorse idriche sono più limitate. Secondo un rapporto dell’Osservatorio Anbi (Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni), nel 2022 la siccità ha colpito gravemente regioni come Sicilia, Sardegna e Puglia, con ripercussioni - tuttora persistenti - sull’agricoltura, l’industria e il consumo domestico. Al Nord, la situazione è leggermente migliore grazie alla presenza delle Alpi, che garantiscono un costante afflusso

Nel nostro paese la crisi climatica sta contribuendo a ridurre le precipitazioni aumentando di conseguenza i periodi di siccità

Un fenomeno piuttosto evidente al Sud e nelle Isole

di acqua dai ghiacciai. Anche qui però non mancano le criticità, considerando che il riscaldamento globale sta accelerando lo scioglimento dei ghiacciai e riducendo le riserve idriche a lungo termine. Inoltre, l’inquinamento delle falde e dei corsi d’acqua, causato da attività industriali e agricole, rappresenta un ulteriore problema da affrontare in tempi brevi. Una crisi generalizzata che alcune aree del paese stanno già affrontando con i (pochi) mezzi a disposizione. Ad esempio, secondo l’Autorità di Bacino Distrettuale del Po, nel 2022 il più grande fiume italiano ha registrato una drastica riduzione della portata media, con livelli idrici ben al di sotto della norma, causando gravi conseguenze per l’agricoltura e l’ecosistema circostante. Al Sud, la situazione non è più confortante. In Sicilia, il lago di Pergusa, uno dei principali bacini idrici dell’isola, ha raggiunto livelli minimi storici, met-

tendo a rischio l’approvvigionamento idrico di molti comuni della zona. Anche la Sardegna, nonostante gli investimenti in dissalatori e invasi, continua a fare i conti con una cronica mancanza d’acqua. Nel complesso, inoltre, non va trascurato il tema della qualità dell’acqua. L’invito a tenere alta l’attenzione su questo aspetto viene ancora dall’Ispra, che segnala come il 60% dei fiumi e il 50% dei laghi italiani si trovano in uno stato ecologico piuttosto critico, anche a causa dell’inquinamento da pesticidi, fertilizzanti e scarichi industriali. Un problema che minaccia non solo l’ambiente, ma anche la salute pubblica. Di fronte a questo scenario, la Giornata Mondiale dell’Acqua assume un significato ancora più profondo. Non si tratta solo di una ricorrenza simbolica, ma di un momento di riflessione concreto su come gestire al meglio quello che, a tutti gli effetti, possiamo iniziare a chiamare “oro blu”.

Si chiamano “Blue Communities” e sono piccoli o grandi presidi per la tutela e la valorizzazione dell’acqua: vere e proprie comunità che, con differenti approcci e strumenti, si prendono l’impegno di difendere questa risorsa. Oggi in Italia non ce ne sono ancora, ma presto ci saranno: il progetto “Blue Communities. Giovani promotori di comunità a difesa dell’acqua”, avviato a gennaio 2023 e promosso da una serie di organizzazioni capitanate da CeVI (Centro per il Volontariato Internazionale di Udine), ha infatti ricevuto diverse candidature da parte di enti che si sono incamminati in questa direzione e sono vicine al traguardo. L’obiettivo comune e condiviso è promuovere la mobilitazione, soprattutto giovanile, per il supporto alla creazione di reti territoriali di attori (scuole, istituzioni, cittadini, organizzazioni della società civile, gestori dell’acqua, amministrazioni locali, operatori economici) che collaborino in modo attivo e partecipativo per la riduzione dei consumi diretti e indiretti di acqua. L’iniziativa coinvolge sette regioni: Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio e Sicilia. Nel mese in cui ricorre - il 22 marzo - la Giornata Mondiale dell’Acqua, abbiamo chiesto a Marco Iob, coordinatore del progetto per CeVI, di spiegare perché sia così importante tenere alta l’attenzione e quali siano, nel nostro paese, le principali criticità legate all’acqua.

Giornata mondiale dell’acqua BLUE COMMUNITIES GIOVANI PROMOTORI DI COMUNITÀ A DIFESA DELL’ACQUA

«Alcune problematiche - spiega - sono direttamente collegate con i cambiamenti climatici: tanto la siccità quanto le recenti alluvioni ci inducono a prendere decisioni immediate. Per esempio, per quanto riguarda fiumi e torrenti, è ormai chiaro che laddove incanaliamo troppo fiumi e torrenti, questi si riprenderanno, prima o poi, ciò che è loro. Alla luce dei

recenti disastri, dobbiamo imparare a riconoscere e restituire loro il giusto spazio, anche a costo di scelte molto dure, come l’abbattimento di edifici». Altre criticità?

Una seconda problematica è legata alle risorse sotterranee: le falde acquifere hanno un’importanza fondamentale, sono i serbatoi dell’acqua migliore. Ma siccome non le vediamo, non ce ne curiamo e le trattiamo male: preleviamo troppa acqua dalle falde per usi non idonei - tanto agricoli quanto industriali - e al tempo stesso la inquiniamo, come risulta dai rapporti di Ispra.

In che modo le Blue Communities possono contribuire ad affrontare questi problemi?

Innanzitutto, creando e diffondendo la consapevolezza che questi problemi esistono e che dobbiamo affrontarli insieme, attraverso processi di coinvolgimento e partecipativi. Il rischio è infatti che, di fronte alla scarsità di un bene, si mettano in moto meccanismi di appropriazione. Le Blue Communities hanno quest’obiettivo prioritario: accrescere la consapevolezza su ciò che accade nell’acqua del proprio territorio. In che modo?

Gli strumenti sono diversi, come diverse sono le tipologie di Blue Communities che si possono costituire. L’idea arriva dal Canada, dove l’attivista Maude Barlow ha promosso queste Blue Communities proprio per scongiurare la privatizzazione dell’acqua. Una Blue Community, per essere riconosciuta tale, deve aderire innanzitutto ad alcuni principi fondamentali: primo, il riconoscimento del

diritto all’acqua come diritto umano; secondo, la difesa dell’acqua come bene pubblico e quindi il rifiuto della privatizzazione; terzo, la promozione dell’acqua del rubinetto e quindi la riduzione delle bottiglie di plastica. A partire da questi principi imprescindibili, ogni comunità, in funzione del proprio territorio e delle proprie attitudini, può mettere in atto le azioni che ritiene più opportune. Per esempio, a Udine il comune e gli altri enti coinvolti stanno promuovendo i “contratti di fiume”: una pratica partecipativa in cui i soggetti che insistono su un fiume (comuni, enti, associazioni) discutono su aspetti positivi e criticità legati a questa risorsa e si impegnano, ciascuno per la sua parte, a realizzare azioni che ne promuovano la salvaguardia. Altre azioni possono essere iniziative culturali,

Marco Iob, coordinatore del progetto racconta l’iniziativa: «Lavoriamo soprattutto all’interno delle scuole per rendere i ragazzi responsabili e consapevoli»

come festival dedicati all’acqua, oppure politiche, come l’approvazione di delibere.

E il ruolo delle scuole?

È fondamentale, lavoriamo molto all’interno delle scuole. All’inizio il progetto era indirizzato proprio a studenti e docenti, con iniziative di sensibilizzazione e formazione in tutta Italia. Lo scopo è rendere i ragazzi non solo consapevoli e responsabili, ma promotori e cittadini attivi nella difesa dell’acqua.

Per finire, la cosiddetta “acqua del sindaco”: è davvero sicura, anche per chi è anziano?

Assolutamente sì, a meno che non ci siano particolari problematiche. In Italia, anche nelle grandi città l’acqua è ottima, così come sono ottimi i gestori. Eppure, inspiegabilmente, il nostro paese è uno dei maggiori consumatori al mondo di acqua in bottiglia. Sia in casa che nei bar e ristoranti, si continuano a vedere troppe bottiglie: dobbiamo superare questa brutta abitudine e bere l’acqua buonissima che esce dai nostri rubinetti. Fa bene a noi e fa bene al pianeta.

Confluenza tra i fiumi Tagliamento e Fella © Eugenio Novajra

ALLA TUA DICHIARAZIONE DEI REDDITI CI PENSIAMO NOI!

Affidati a 50&PiùCaf per la tua dichiarazione dei redditi, penseremo noi a certificare la correttezza dei dati inseriti, aggiungendo le detrazioni e le deduzioni a cui hai diritto. La data di scadenza per la presentazione della dichiarazione è fissata al 30 settembre.

Prenota un appuntamento con i nostri consulenti per la consegna dei documenti e per ricevere assistenza nella compilazione del modello 730.

25% DI SCONTO AI SOCI 50&PIÙ

Sconto sulla tariffa applicata dall’ufficio 50&Più per un valore massimo equivalente all’importo della quota associativa.

Chiama il numero unico nazionale o trova la sede a te più vicina sul nostro sito www.50epiucaf.it

Gli Uffici 50&PiùCaf sono a tua disposizione per offrirti assistenza e consulenza anche per i seguenti servizi: Modello Redditi PF, IMU, ISEE, Successioni, RED, collaboratori familiari e molto altro.

Le conquiste degli ultimi ottant’anni e le sfide ancora aperte: una su tutte il gender pay gap Il ruolo di comitati, associazioni e quello delle donne impegnate in processi di pace. Ecco le loro storie a cura di Donatella Ottavi, Alessandra Espis, Gloria De Rugeriis Anna Costalunga, Valerio Maria Urru, Anna Giuffrida, Chiara Ludovisi

PARITÀ DI GENERE LE (POCHE) CONQUISTE

DEGLI ULTIMI 80 ANNI

Nel febbraio del 1945 viene riconosciuto

il diritto di voto alle donne. Viaggio nella storia d’Italia, dalla legge sul divorzio al Codice Rosso

di Donatella Ottavi

Tortuoso il percorso che porta alla parità di genere. Secoli di predominio maschile e radicati pregiudizi nei confronti delle donne hanno osteggiato il raggiungimento dell’obiettivo, facendolo apparire agli occhi dei più un proposito inconcepibile (e quindi irraggiungibile). Per molti, ma non per

tutti. Donne - ma anche uomini - del mondo politico, culturale e sociale hanno contribuito nel tempo a demolirne la visione utopica, ottenendo il riconoscimento di quei diritti dovuti e troppo a lungo negati.

Il mese di febbraio del ’45 segna la tappa che aprirà la strada a importanti traguardi: con il decreto legislativo n.

23 viene riconosciuto il diritto di voto alle donne. Un anno dopo, il 10 marzo del ’46, il decreto legislativo n. 74 dà alle donne la possibilità di candidarsi. Il 2 giugno, le donne si recano per la prima volta alle urne - con una percentuale altissima di partecipazione - per esprimere la propria preferenza riguardo al referendum istituzionale fra Monarchia e Repubblica e per l’elezione dell’Assemblea costituente. Da allora, sono state emanate leggi per riconoscere i diritti civili, politici e lavorativi delle donne. Conquista importante quella ottenuta nel 1963 con l’emanazione della legge n. 66: alle donne viene finalmente permesso di accedere a tutte le cariche, professioni e impieghi pubblici - magistratura compresa - senza limitazioni di mansioni e carriera. Sette anni dopo, la legge 898/1970 - conosciuta anche come ‘Fortuna-Baslini’ - introduce il divorzio in Italia stabilendo condizioni, cause, modalità e tempi di scioglimento del matrimonio civile, e regolamentandone i conseguenti aspetti patrimoniali e personali. Un passo importante verso l’autonomia, l’indipendenza e la parità all’interno della famiglia, ambito in cui fino ad allora il ruolo della moglie era spesso subordinato a quello del marito.

Nel 1975 è il diritto di famiglia a divenire oggetto di riforma. Viene sancita la legge 151, ‘toccando’ profondamente la struttura familiare: la figura del ‘capofamiglia’ viene abolita, soppiantata dalla parità di diritti e doveri tra marito e moglie, sia in ambito personale che patrimoniale.

Dopo un lungo dibattito politico - in verità, non ancora del tutto sopito -, la legge 194/1978 legalizza l’interruzione volontaria di gravidanza, affermando il diritto della donna alla salute e alla procreazione responsabile. La persistente contrapposizione alla procedura abortiva da parte degli ambienti

cattolico-conservatori conduce, nel 1981, a un referendum abrogativo che però registra una netta vittoria dei sostenitori. Sono invece le paradossali ‘pratiche’ del delitto d’onore e del matrimonio riparatore ad essere abolite nel 1981. Fino ad allora, un delitto perpetrato “in difesa dell’onore leso” gode di attenuanti e di una riduzione di pena; il matrimonio riparatore prevede l’estinzione del reato di violenza carnale se l’autore dello stesso sposa la vittima. Con la legge 442 questi crimini vengono finalmente assimilati a omicidio e violenza sessuale.

Il servizio militare volontario apre le porte alle donne nel 2006, con la legge n. 23, che consente il loro ingresso nelle forze armate e nelle forze di polizia a ordinamento militare. Un cambiamento culturale significativo che offre alle donne l’opportunità di intraprendere una carriera nel settore della difesa.

Un’altra tappa importante è segnata dalla legge 120 del 2011 che introduce le quote di genere, o ‘quote rosa’, garantendo una rappresentanza equilibrata tra uomini e donne nei ruoli di leadership delle aziende. A concludere questa rassegna due leggi dedicate al contrasto della violenza di genere: la legge 38/2009 che introduce nel nostro ordinamento il reato di ‘atti persecutori’, anche detto ‘stalking’; la legge n.69 del 2019‘Codice Rosso’-, che offre protezione e sostegno alle vittime e punisce in modo più efficace i colpevoli di reati di violenza domestica e di genere. Una piaga sociale e culturale che deve spingerci ad agire con ogni azione possibile e su cui va mantenuta alta l’attenzione.

Passi avanti ne sono stati fatti, ma il superamento di stereotipi e discriminazioni resta una sfida importante.

DIRITTI DELLE DONNE IL MOSAICO DA COMPLETARE

Tra i primi tasselli da mettere, la promozione di una cultura del rispetto e un’educazione più incisiva nelle scuole: solo così si cambiano le norme sociali

La condizione delle donne in Italia nel 2025 può essere paragonata a un mosaico complesso, caratterizzato da progressi significativi e tratti ben definiti, ovvero le battaglie condivise per la tutela dei diritti, ma anche da tasselli mancanti ovvero le sfide persistenti che ancora oggi necessitano di essere reclamate e che non permettono di considerare l’opera compiuta.

Negli anni il contesto economico sociale è migliorato ma l’uguaglianza è ancora lontana, per tutte. Al mosaico mancano ad esempio i tasselli connessi ad aspetti fondamentali della vita quali il lavoro e la sicurezza. Uno dei problemi più gravi che le donne affrontano in Italia è la disparità salariale. Nel nostro paese la parità retributiva è garantita dalla Legge n. 903 del 9 dicembre 1977, che stabilisce

il principio di egual trattamento tra uomini e donne nel lavoro. Questa legge vieta la discriminazione salariale basata sul sesso e promuove l’uguaglianza di opportunità nel mondo del lavoro. L’Italia ha inoltre recepito diverse direttive europee in materia di parità di genere. Tuttavia, come dimostra il Global Gender Gap Report, pubblicazione annuale del World Economic Forum, ancora oggi le donne guadagnano in media il 20% in meno rispetto ai colleghi uomini per lavori di pari valore. Questa differenza non è solo una questione di giustizia sociale, ma ha anche conseguenze a lungo termine sulla sicurezza economica delle donne, in particolare nel momento della pensione. D’altra parte, le aziende che adottano strategie di ‘gender budgeting’, politiche di trasparenza salariale, e che si impegnano a garantire pari opportunità sono ancora una minoranza.

La conciliazione tra vita privata e lavoro rimane uno dei nodi critici per le donne in Italia. Il decreto legislativo n. 151 del 2001 disciplina vari aspet-

ti legati alla maternità, alla paternità e ai congedi parentali, e garantisce, sulla carta, i diritti e le protezioni per le lavoratrici e i lavoratori. Ma anche in questo caso, nonostante i progressi nel settore del lavoro flessibile e delle politiche di congedo familiare, molte donne continuano a sentirsi sopraffatte dalla gestione degli impegni lavorativi e familiari. I rapporti annuali prodotti dell’Ispettorato del Lavoro fotografano il profondo squilibrio di genere. Le donne rappresentano infatti il 72,8% delle dimissioni e segnalano come motivazione proprio le difficoltà di conciliare lavoro e vita familiare. Il 63% delle neo mamme cita come motivo di dimissioni la difficoltà nel gestire lavoro e cura del bambino, mentre solo il 7,1% dei padri indica questa motivazione. Per gli uomini, la principale ragione per firmare le dimissioni è il trasferimento a un’altra azienda (78,9%). Un’altra battaglia per i diritti delle donne sempre più necessaria nel 2025 è legata alla lotta alla violenza di genere, che continua a rappresentare un’emergenza sociale in Italia. Nonostante le campagne di sensibilizzazione e l’implementazione di leggi più severe, le

statistiche mostrano che le donne sono ancora vittime di violenze fisiche e psicologiche in misura allarmante. La legge 119 del 2013, conosciuta anche come “Legge sul femminicidio”, ha introdotto misure per prevenire e combattere la violenza di genere, rafforzando le tutele per le vittime e aumentando le pene per i reati violenti contro le donne. Ma vista l’entità del fenomeno la sola applicazione è chiaramente insufficiente. Osservando quindi il mosaico dei diritti delle donne in Italia probabilmente quello che manca, oltre ad alcuni tasselli fondamentali, è il collante: la promozione di una cultura del rispetto, un’educazione più incisiva nelle scuole, che contribuisca a cambiare le norme sociali e a prevenire comportamenti violenti. Servono inoltre politiche inclusive per affrontare pregiudizi e stereotipi, che continuano a limitare non solo le opportunità delle donne ma la libertà stessa. L’impegno deve quindi essere quello di ripartire dall’educazione delle nuove generazioni per esser certi che le nipoti facciano dei passi avanti e non indietro rispetto ai diritti conquistati dalle nonne e dalle mamme.

Roma: manifestazione di protesta contro la violenza di genere

GLI OGGETTI SIMBOLO DI LIBERTÀ E CORAGGIO

Siamo abituati a pensare alle battaglie delle donne per la parità di genere attraverso eventi che hanno segnato la storia, ma questa storia può essere letta oltre i libri e i documenti ufficiali

Esistono tanti oggetti di uso quotidiano che oggi diamo per scontati. Oggetti che le donne non usavano, o non potevano usare, diventati emblemi di una rivoluzione costante e inarrestabile per i diritti, le libertà e l’uguaglianza.

Il camice bianco. Simbolo delle conquiste medico-scientifiche e testimone di significativi traguardi femminili. La prima donna a laurearsi in medicina in Italia fu Ernestina Paper nel 1877, dopo essersi trasferita dalla Russia per sfuggire alle limitazioni imposte alle donne. Maria Montessori, conosciuta per il suo innovativo metodo educativo, si laureò nel 1896 e dimostrò come l’accesso all’istruzione potesse essere un mezzo di liberazione. Rita Levi-Montalcini, laureata nel 1936, abbatté le barriere imposte alla conoscenza e alla cultura con le sue ricerche pionieristiche, fino a ottenere il Nobel per la medicina. Nel corso degli anni, secondo i dati Ocse del 2015, la quota di donne medico è cresciuta, 29% nel 1990, 38% nel 2000 e 46% nel 2015.

La toga. Indumento degli ambienti giudiziari tradizionalmente maschili, fu una conquista ardua per Lidia Poët. Nel 1883 superò l’esame di abilitazione alla pratica forense, ma osteggiata dagli uomini del tempo, poté esercita-

re solo parzialmente la professione. Quasi quarant’anni dopo, nel 1920, ottenne il riconoscimento dell’iscrizione all’Ordine degli avvocati, affermando il suo diritto a indossarla pienamente.

La macchina da scrivere. Strumento attraverso cui molte donne ebbero finalmente la possibilità di farsi ascoltare, non solo un oggetto di lavoro, ma simbolo di una voce che non poteva più essere ignorata. Giornaliste e scrittrici, tra cui Matilde Serao, vi trovarono il mezzo ideale per raccontare storie, denunciare ingiustizie e reclamare uno spazio nella sfera pubblica. Nel 1892, Serao fondò insieme

Primo piano

al marito Il Mattino, destinato a diventare uno dei quotidiani più influenti d’Italia, consolidando il ruolo delle donne nel giornalismo.

Il rossetto. Venne distribuito da Elizabeth Arden alle manifestanti durante la marcia delle suffragette a New York nel 1912, trasformandolo in un segno di forza e rivendicazione. Negli anni Settanta, in Italia, divenne un emblema della libertà femminile e segnale della volontà di autodeterminarsi oltre i dettami imposti dalla società. I pantaloni. Capo di abbigliamento che divenne l’immagine della rottura con le rigide norme di genere e della possibilità di muoversi con libertà.

Fu Coco Chanel negli Anni ’20, con il suo stile innovativo e pratico, a liberare le donne da corsetti e gonne ingombranti, inaugurando la stagione di una moda che esprimeva indipendenza e sicurezza.

La bicicletta. Le due ruote divennero il simbolo del la libertà fem minile senza precedenti, permisero di sfidare le convenzioni e ot tenere maggiore indi pendenza, in un’epoca in cui la mobilità delle donne era rigidamente con trollata. Nel 1924 Alfonsina Strada, prima donna a competere nel Giro d’Italia, incarnò questa sfida contro i pregiudizi, pedalando con tenacia e determinazione in un mondo che voleva escluderla.

La scheda elettorale. Oggetto che il 2 giugno 1946 racchiuse in sé tutta la potenza di un momento stori co fondamentale per le donne che furono chiamate alle urne e, con un’affluenza dell’82%, contribui rono al voto per la democrazia. Il

suffragio universale aprì la strada ad altri due momenti importanti: il decreto che riconobbe la possibilità di essere elette e più tardi, nel 1948, l’entrata in vigore della Costituzione italiana nella quale l’uguaglianza dei diritti fra donne e uomini venne iscritta nelle fonda-

spazzatura reggiseni e altri ogget ti femminili, denunciando i modelli imposti alle donne che dovevano essere blande, apolitiche e di bell’aspetto. Sebbene i reggiseni non furono effettivamente bruciati, il gesto divenne iconico e replicato in più occasioni. Il passaporto. Rappresenta il diritto di attraversare le frontiere, fisiche e culturali e l’indipendenza delle donne che per molto tempo poterono viaggiare esclusivamente con il consenso di un uomo. Malala Yousafzai è l’incarnazione del superamento di queste barriere, un’attivista pakistana che ha viaggiato per portare nel mondo la lotta a favore dell’istruzione femminile che, nel 2014, a soli 17 anni è stata insignita del premio Nobel per la pace diventando la vincitrice più giovane di

La storia delle donne è scritta nei loro gesti, nelle loro parole e negli strumenti che hanno utilizzato per cambiare il mondo. Ogni conquista, prima di essere sancita da una legge, è stata vissuta nella quotidianità di chi ha avuto il coraggio e l’intraprendenza di

QUEL ‘NO’ CHE HA CAMBIATO L’ITALIA: LA STORIA DI FRANCA VIOLA

Simbolo di emancipazione negli anni Settanta portò in tribunale l’ex fidanzato che voleva ‘proteggersi’ dietro la legge sul matrimonio riparatore

Franca Viola, rapita e violentata dal suo stupratore, è stata la prima donna a rifiutare pubblicamente le nozze riparatrici, riscrivendo la storia dei diritti femminili. Ma questa è anche la storia dei due uomini che non la abbandonarono, scegliendo di infrangere con lei le regole dell’onore.

Il 4 dicembre 1968 Franca sposa ad Alcamo Giuseppe Ruisi. Tre anni prima era stata rapita da Filippo Melodia, un giovane dello stesso paese. Ritrovata

dopo giorni di violenze e maltrattamenti, rifiuta di sposare il suo rapitore e lo denuncia. Un fatto inaudito nelle tradizioni dell’isola.

I genitori di Franca, Vita e Bernardo, lavorano la campagna intorno ad Alcamo (vicino Trapani), dove vivono. Nel 1965, a 17 anni e col loro consenso, la ragazza sceglie di sposare Giuseppe Ruisi, gettandosi alle spalle un precedente fidanzamento con Filippo Melodia, nipote di un boss locale. Filippo, sospettato di mafia, emigra in

Germania e il padre di Viola rompe l’accordo. Ma l’offesa brucia e al suo ritorno inizia a perseguitare Bernardo, arrivando a minacciarlo con la pistola. Finché il 26 dicembre 1965, con alcuni amici, va a casa di Franca e la rapisce. «Rimasi digiuna per giorni e giorni. Lui mi dileggiava e provocava. Dopo una settimana, abusò di me. Ero a letto, in stato di semi-incoscienza», racconterà lei. Il 2 gennaio la polizia la rintraccia e arresta i rapitori, ma Filippo conta sul matrimonio riparatore, previsto dal codice Rocco di epoca fascista. Franca invece rifiuta di sposarsi e lo denuncia aprendo le porte ad un processo storico. È la prima volta che, invece di fare ‘la paciata’, una donna ‘svergognata’ sfida con coraggio le arcaiche regole dell’onore.

Dichiarerà in un’udienza: «Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce». All’epoca la violenza sessuale era considerata oltraggio alla morale e non reato alla persona. L’unico mezzo per salvare l’onore della vittima e della famiglia era il Codice penale, che avrebbe assolto anche Filippo in caso di condanna. Franca invece si costituisce col padre parte civile nel processo, nonostante le minacce. Finché il 17 dicembre 1967 Melodia è condannato a 11 anni. Morirà per un colpo di lupara nel 1978 a Modena. Intanto Franca e Giuseppe erano diventati genitori. Giuseppe difese sempre la sua scelta, anche contro i suoi stessi parenti, sostenendo che la purezza dell’animo vale più della verginità del corpo. Il processo si ripercosse nel parlamento, che propose l’abrogazione del delitto d’onore e del matrimonio riparatore. Ciò avvenne solo con la legge 442 del 5 agosto 1981, e solo nel 1996 lo stupro fu riconosciuto come reato contro la persona.

Franca Viola in udienza con Papa Paolo VI nel 1968

Primo piano

Sono molte le donne rimaste nell’ombra nonostante abbiano cambiato la scienza, la tecnologia, la politica e la società, contribuendo significativamente all’evoluzione umana.

Ada Lovelace, la prima programmatrice della storia. Nel 1843 scrisse il primo algoritmo per la macchina analitica di Charles Babbage. Il progetto non fu mai finanziato e un secolo dopo Howard Aiken sviluppò il primo computer, finanziato da Ibm, partendo dalle stesse basi. Per anni Ada fu ricordata solo come la figlia di Lord Byron.

Hedy Lamarr, l’attrice che inventò la tecnologia alla base delle reti senza fili. Nel 1943, con George Antheil, brevettò un sistema per evitare l’intercettazione dei siluri radiocomandati. La Marina Usa la ignorò, ma alcuni decenni dopo la tecnologia delle telecomunicazioni si basò proprio su quel concetto per sviluppare telefonia mobile, Wi-Fi, Bluetooth e Gps. Solo nel 1997 le fu riconosciuto il merito. Lise Meitner, la madre della fissione nucleare. Nel 1939 scoprì le basi teoriche della fissione atomica, ma il Nobel del 1944 andò al suo collega Otto Hahn.

Rosalind Franklin, la chimica che svelò la doppia elica del Dna. Nel 1952, grazie ai raggi X, ottenne la prima immagine della struttura completa del Dna come oggi la conosciamo. Il Nobel del 1962 fu assegnato solo ai colleghi Watson, Crick e Wilkins, che utilizzarono i suoi dati senza riconoscerla.

Marie Tharp, la scienziata che mappò gli oceani. Nel 1957 creò la prima mappa del fondo oceanico, dimostrando l’esistenza delle dorsali medio-oceaniche e dando vita alla teoria della tettonica a placche. Fu esclusa dalle spedizioni scientifiche perché donna e vide il suo collega Bruce He-

IL GENIO NEGATO: QUANDO LA SCIENZA ERA UOMO

La storia è piena di donne straordinarie i cui contributi sono stati ignorati, sottovalutati o attribuiti agli uomini

ezen, che inizialmente rifiutò le sue deduzioni definendole sciocchezze, divenire il volto della scoperta e l’autore delle mappe oceanografiche. Perché molte donne nella storia sono state ignorate o hanno visto il proprio lavoro attribuito agli uomini? La risposta sta nell’Effetto Matilde e nell’Effetto Matthew. Il primo descrive la tendenza storica a screditare o minimizzare i contributi delle

donne nella scienza, attribuendoli ai loro colleghi uomini; il secondo è il fenomeno per cui scienziati e ricercatori già affermati ricevono maggiori riconoscimenti e premi rispetto a colleghi meno noti, anche quando i contributi sono equivalenti o superiori. Oggi è nostro dovere far conoscere il loro nome, perché nessun altro contributo femminile venga più dimenticato.

IL COSTO DEL GENDER PAY GAP

Il divario salariale è minore nel pubblico (5,2%) rispetto al privato (15,9%), ma il problema resta in tutti i settori lavorativi. Le donne guadagnano sempre e comunque meno degli uomini

Quasi un euro in meno l’ora. È quanto (non) guadagna in media una donna rispetto ad un uomo in Italia. Potrebbe sembrare poco, ma se lo calcoliamo su un anno di retribuzione scopriamo che si tratta di oltre 6.000 euro in meno complessivi. Nel nostro paese il “gender pay gap” (divario retributivo di genere, ndr)la differenza percentuale media tra il guadagno orario degli uomini e quello delle donne - si è attestata al 5,6%. Lo ha rilevato l’Istat (dati 2022) attraverso una ricerca sulle unità economiche con almeno 10 dipendenti. Ragionando in euro vuol dire che la retribuzione oraria media maschile e femminile è pari rispettivamente a 16,8 e a 15,9 euro. La differenza cresce persino a parità di livello di istruzione, con gli uomini che - anche in questo caso - guadagnano in media all’anno più delle donne. Neppure il titolo di studio, infatti, riesce ad arginare il divario che tende ad aumentare: è al 19,9% tra i dipendenti con la licenza media; tocca il 20,5% se l’istruzione è secondaria superiore; raggiunge il 39,9% con l’istruzione terziaria. Non è tutto, perché la cosa drammatica è che la differenza sale tra i laureati al 16,6% (un valore triplo rispetto a quello medio). Tra questi la retribuzione media oraria è di 20,3 euro per le donne e di 24,3 euro per gli uomini.

Il ‘gap’ salariale aumenta soprattutto tra tutte quelle professioni in cui la pre-

senza femminile è assai ridotta. Tra i dirigenti, ad esempio, arriva a toccare il 30,8% in corrispondenza delle retribuzioni orarie più elevate. Seguono subito dopo le forze armate (27,7%) e gli artigiani e operai specializzati (17,6%).

La tendenza rallenta invece nelle professioni intellettuali e scientifiche che presentano la situazione meno grave, quasi vicina al pareggio: qui le donne guadagnano in media 23,4 euro contro i 25,5 degli uomini. Si tratta del livello più basso riscontrato di “gender pay gap” (8,4%) in un settore, tra l’altro, caratterizzato da una forte presenza di donne lavoratrici. Un divario quasi simile (9,3%) lo ritroviamo tra le professioni non qualificate. Queste ultime, però, prevedono anche retribu-

zioni orarie particolarmente basse (10 euro le donne, 11 gli uomini).

Anche tra pubblico e privato ci sono differenze. Se nel primo il ‘gap’ salariale tra uomo e donna è pari al 15,9%, in quello pubblico scende al 5,2%. Tra i fattori che influiscono di più c’è la diversa composizione dei due settori. Nel pubblico le donne sono la maggioranza (55,6%), vantano un elevato livello di istruzione nonché la più alta retribuzione oraria, che può arrivare sino a 23 euro tra le laureate. Sono 6,9 euro in più rispetto alle donne che - con un titolo di laurea - lavorano nel privato. Tra gli uomini la differenza nelle retribuzioni orarie si riduce a 4,1 punti: 26,6 euro nel pubblico e 22,5 nel privato. Il divario salariale è una realtà complessa nel nostro paese, multifattoriale e dalle radici profonde. Non è un caso se dal Global Gender Gap Index 2024 - il rapporto annuale del World Economic Forum che misura il divario di genere in 146 paesi - emerge che l’Italia ha perso otto posizioni rispetto al 2023, posizionandosi all’87° posto. Il problema è che non si tratta solo di una questione di numeri: è una ferita che lacera il tessuto sociale e mina il nostro potenziale di crescita.

Primo piano

OBIETTIVO AUTONOMIA ECONOMICA L’IMPEGNO DI

UN WOMEN ITALIA

Monica Cerutti, ambassador di associazioni a difesa dei diritti delle donne, su sfide e ritardi «Manca la trasformazione culturale che auspichiamo»

Qualche passo avanti, tanti passi indietro. Così procede l’Italia verso l’obiettivo della piena parità di genere. Nell’ultimo report del World Economic Forum, il Global Gender Gap Index 2024, l’Italia è 87ª su 146 nazioni, perdendo otto posizioni nella graduatoria mondiale rispetto all’anno precedente. Un divario che coinvolge trasversalmente tutti gli ambiti sociali, dal cosiddetto empowerment femminile all’eliminazione della violenza di genere, dal lavoro all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Una sfida in cui crede, ed è impegnata da tempo, Monica Cerutti, ricercatrice

al Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino, cofondatrice del comitato UN Women Italia e attivista per i diritti in associazioni come Donne 4.0 e Women in AI.

Monica Cerutti, intanto, sottolinea: «Il nostro tallone d’Achille è il tema occupazione e lavoro. Si stanno facendo dei passi in avanti, ma su questo tema abbiamo perso posizioni anche nelle graduatorie mondiali. Dobbiamo essere molto vigili».

Mi sembra di capire che siamo rimasti per lo più fermi in tema di parità. Cosa ha fermato la crescita e il cambiamento? Uno dei temi centrali è la materni-

tà. Nel nostro paese il congedo per i papà è ancora un congedo di pochi giorni. Ci sono sostegni finanziari, come i bonus, che non introducono però trasformazioni strutturali. Serve sia un contributo economico che uno di tipo culturale, perché ancora tante donne si licenziano, nei primi anni di vita dei figli, in mancanza di una rete di supporto economica o familiare. Con Donne 4.0 abbiamo lavorato a un osservatorio sull’impatto del Pnrr. Il rischio è che spesso queste misure, come in tema di asili nido, riescono ad essere portate avanti in quei territori dove già ci sono opportunità, aumentando i divari invece di colmarli. Ci sono contesti in cui le donne faticano ancora a trovare il loro posto, come lo studio di materie scientifiche e nel campo dell’intelligenza artificiale. Questioni fondamentali, a tutela anche delle nuove generazioni.

L’ambito digitale, dell’intelligenza artificiale continua ad essere ancora maschile, ahimè! La presenza di donne e studentesse universitarie nei

settori Stem è del 15%. Nel tempo, le offerte di lavoro saranno sempre più in questi settori, e se le donne sono meno presenti l’indice occupazionale diminuirà. Per contro, nell’IA saranno sempre più necessarie competenze umanistiche, come psicologia, linguistica, settori che vedono una maggiore presenza femminile. Rischiamo però di rappresentare un mondo dell’intelligenza artificiale, in algoritmi e scelte, che vede solo il maschile, e questo è un aspetto su cui sensibilizzare e costruire consapevolezza.

Qual è il ruolo delle leggi a supporto della parità di genere?

Le normative possono essere importanti. L’Italia, ad esempio, ha la legge Golfo-Mosca, una punta di eccellenza rispetto alla presenza delle donne nei CDA quotate o partecipate. L’Europa sta lavorando sull’IA, e sta costruendo delle norme per garantire un mondo dell’intelligenza artificiale che tenga conto delle differenze di genere.

E gli uomini, l’altra parte della società, che ruolo hanno? Si

fa qualcosa per coinvolgerli?

Bisognerebbe costruire un attivismo maschile, che poi gioca a favore di tutti e tutte. Come UN Women, stiamo anche lavorando ad un progetto che si chiama “HeForShe”, in cui ci siano uomini che facciano da testimonial a sostegno della parità, partecipando a campagne comunicative in cui fanno sentire che loro sono dalla parte della parità di genere. È importante che gli uomini sentano la responsabilità di questo fenomeno, e diano il loro supporto. Questo può fare riflettere di più tutti e tutte, anche sull’altro tema, quello del contrasto alla violenza sulle donne, la cui eliminazione è alla base di una cultura fondata sulla parità di genere. Rifacendoci all’Agenda 2030, all’obiettivo 5 sull’uguaglianza di genere, qual è in questo momento, secondo lei, il tema principale su cui serve impegnarsi con più urgenza?

Credo che uno dei principali sia l’autonomia economica. Nella violenza c’è la violenza economica, l’auto -

nomia economica poi può portare anche una maggiore autostima, ed è l’aspetto che incide sulla rappresentazione femminile. Quest’anno, l’8 marzo, si farà anche un bilancio sulla Conferenza mondiale di Pechino, che compie 30 anni. Una delle parole portate a Pechino era stata empowerment, insieme a mainstreaming, due aspetti importanti per raggiungere la parità di genere. Donne 4.0 ha realizzato un manifesto con delle raccomandazioni rivolte a donne, uomini, aziende ed enti governativi. Quale raccomandazione farebbe lei per incoraggiare ognuno alla parità? L’alleanza tra uomini e donne potrebbe essere la chiave vincente per costruire un futuro migliore, in cui tutte e tutti possano essere valorizzati. Un empowerment generale per le donne che possa essere un empowerment per tutti, anche maschile. Questo potrebbe essere un messaggio da affidare anche alle nuove generazioni, per leggere il futuro in termini meno foschi.

Sopra, Monica Cerutti
Nelle altre immagini, l’impegno delle donne nei processi di partecipazione

Primo piano

IL RUOLO DELLE DONNE NELLE GUERRE

E NEI

PROCESSI DI PACE

ECCO LE LORO STORIE

Intervista a Simona Lanzoni, vicepresidente della Fondazione Pangea: «Gli accordi stipulati con la partecipazione delle donne hanno il 35% di probabilità in più di durare almeno 15 anni Eppure, costituiscono solo il 2% dei mediatori e l’8% dei negoziatori»

Guerra e pace sono donne: perché nell’una come nell’altra, sempre le donne svolgono un ruolo chiave. E se non è più vero che la guerra la fanno gli uomini - con un numero sempre crescente di soldatesse, negli eserciti di grandi potenze - è invece sempre vero che i processi di pace, o almeno la costruzione e la conservazione di una speranza di pace, è spesso in mano alle donne. Ne è convinta testimone Simona Lanzoni, che conosce bene le zone di guerra e sa cosa significhi lavorare per far vincere la pace. Vicepresidente della Fondazione Pangea, opera in diverse parti del mondo - soprattutto in Afghanistan, India e Nepal, Sudafrica, Repubblica democratica del Congo -, spesso con le donne e per le donne locali, costruendo insieme a loro processi di pacificazione, di liberazione, di partecipazione e di emancipazione da ogni forma di discriminazione e violenza. È quindi a lei che chiediamo di riflettere sul ruolo della donna nelle zone di conflitto, a partire dalla loro condizione di “vittime sproporzionate”.

“Circa il 75% di coloro che vivono una crisi umanitaria sono donne e bambini: donne di tutte le età, che vengono colpite in modo diverso e spesso sproporzionato sia dai disastri che dai conflitti violenti” (fonte: Women and Girls in Internal Displacement - Joint Data Center). Eppure, proprio loro rimangono un pilastro di queste società: da un lato perché sono dedicate alla cura della prole, degli anziani o delle persone fragili, dall’altro perché di solito sono le ultime a lasciare i luoghi a cui sono legate. Ciò blocca la loro vita in una condizione in cui la fragilità si unisce al bisogno di farsi forti. In che modo, a partire da questa condizione di estrema fragilità, le donne possono “farsi forti”?

Unendosi tra loro, dando vita a vere e proprie reti di sostegno, che quasi sempre travalicano le differenze, le religioni o le etnie di appartenenza, le ideologie che portano a conflitti lunghi e sanguinosi. Essere donna nelle guerre significa così costruire una rete sociale e di solidarietà, ma anche partecipare alla resistenza della speranza. Significa, insomma, diventare agenti di politica dal basso,

Nelle

sia sostenendosi tra loro, sia facendo arrivare la propria voce fuori dal proprio paese: penso a tante donne che in Afghanistan, in Sudan e in tante altre zone del mondo hanno preso la parola, denunciando le violazioni che subiscono e chiedendo un cambio di passo alla comunità internazionale. Al tempo stesso, sono le donne a tenere i fili con coloro che sono riusciti a fuggire, restando in contatto con le cosiddette diaspore.

All’interno delle organizzazioni internazionali e della cooperazione internazionale, lavorano molte donne. Riescono, almeno in questo ambito, ad accedere a ruoli di responsabilità?

L’agenda “Donne, Pace e Sicurezza (Wps)” è stata formalmente avviata dalla storica Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, adottata il 31 ottobre 2000. Questa riconosce l’importante ruolo delle donne nella prevenzione e nella risoluzione dei conflitti e nelle

iniziative di costruzione della pace: un ruolo di partecipazione e sviluppo nei conflitti e di mediazione ai tavoli di pace. Ciononostante, ad oggi le donne hanno costituito solo il 2% dei mediatori, l’8% dei negoziatori e il 5% dei testimoni e dei firmatari in tutti i principali processi di pace. Eppure è provato che la partecipazione diretta delle donne ai negoziati di pace aumenta la sostenibilità e la qualità della pace: gli accordi stipulati con la partecipazione delle donne hanno il 35% di probabilità in più di durare almeno 15 anni. La domanda a questo punto è: la comunità internazionale vuole veramente la pace? Che ruolo hanno le donne nella vostra organizzazione? Il nostro motto è “La vita ri-parte da una donna”: sappiamo che le donne sono moltiplicatrici di condizioni di benessere e di pace. Per questo lavoriamo con le donne in tutti i nostri progetti. E si vede! I figli e le figlie delle donne sostenute da Pangea sono oggi giovani

adulti con maggiori opportunità e maggiore fiducia in sé stessi, grazie all’esempio ricevuto dalle madri. Nei contesti in cui lavoratel’Afghanistan in particolare - la donna è spesso vittima di regole e regimi discriminatori e repressivi. In che modo reagiscono?

Sono depresse, si sentono sole, isolate e abbandonate: il silenzio della comunità internazionale è agghiacciante. Le donne cercano di mantenersi in contatto tramite internet ma non sempre è possibile. La frustrazione e l’isolamento degenerano facilmente in problemi di salute mentale, di fronte ai quali dobbiamo intervenire al più presto! Pensa che le donne possano mettere in campo competenze e capacità particolari nella costruzione di processi di pace?

Assolutamente si, perché anche attraversare il dolore è una competenza: conoscerlo, viverlo e risvegliarsi ogni giorno trovando la forza di continuare è una competenza immensa, che tanti chiamano resilienza. Ecco, per me questa è proprio la forza delle donne.

Sopra, Simona Lanzoni, vicepresidente Fondazione Pangea
altre immagini, l’impegno delle donne nei processi di partecipazione in varie parti del mondo

GIORNALISTE, SCIENZIATE E PRINCIPESSE: A FIRENZE LA STORIA È DONNA

Da gennaio a marzo, l’associazione provinciale 50&Più ha organizzato un ciclo di conferenze per raccontare, attraverso voci autorevoli le fiorentine illustri, con un omaggio all’impegno che le ha rese indimenticabili

Margherita Hack, Oriana Fallaci, Anna Maria Luisa de’ Medici: sono loro le tre donne che - in maniera diversa - hanno contribuito a scrivere la storia del nostro paese, è a loro che 50&Più Firenze ha dedicato spazi di riflessione e di approfondimento, in vista della Giornata internazionale dell’8 marzo. «Con la loro tenacia - ha spiegato Maria Paola Migliosi, presidente dell’associazione fiorentina - i tre personaggi che raccontiamo hanno reso possibili svolte epocali». L’iniziativa dal titolo Fiorentine illustri si è svolta tra i mesi di gennaio e marzo presso la sede di 50&Più Fi-

renze. All’appuntamento con la storia hanno partecipato esperti e docenti che hanno raccontato la vita, le opere e il pragmatismo delle tre donne. Riconosciuto l’alto valore del progetto, il Quartiere 1 del Comune di Firenze ha concesso la collaborazione all’iniziativa di 50&Più.

«In passato molte conferenze avevano come oggetto di studio argomenti legati al mondo maschile, è la prima volta che un intero ciclo di conferenze viene dedicato alle donne», ha sottolineato la presidente dell’associazione fiorentina. Migliosi ha poi aggiunto: «L’obiettivo dell’iniziativa è stato quello di dare risalto al protagonismo che Margherita

Hack, Oriana Fallaci, Anna Maria Luisa de’ Medici hanno avuto nella storia e per porre l’accento sul loro impegno, il loro intuito e la loro tempra». La prima protagonista degli incontri sulle ‘fiorentine illustri’ è stata l’astronoma Margherita Hack, nata nel 1922 e morta nel 2013. Ad illustrare la vita e le idee della scienziata è stata Sofia Randich, direttore presso Inaf - Osservatorio Astrofisico di Arcetri e astrofisica dell’Istituto nazionale di astrofisica - recentemente nominata ambasciatrice della città di Firenze. Di Oriana Fallaci, celebre giornalista e scrittrice nata nel 1929 e morta nel 2006, ha raccontato la scrittrice Alessandra Massai Fallaci, sua cugina. Per lavoro girò il mondo, ma il suo ultimo desiderio prima di morire fu quello di trascorrere il suo tempo a Firenze. Ad approfondire la figura di Anna Maria Luisa de’ Medici (1677 -1743), ultima discendente del ramo granducale mediceo, è stato Marco Passeri, studioso, collezionista e appassionato cultore della storia della famiglia Medici. Conosciuta anche come Elettrice Palatina, Anna Maria Luisa, prima di morire, siglò il “Patto di Famiglia”, che vietò a chiunque di portar via dalla capitale e dallo Stato del Granducato i beni preziosi e rappresentativi della storia della città.

di Anna Grazia Concilio

Periscopio

in giro per il mondo

TRISTAN DA CUNHA, L’ULTIMO PARADISO AI CONFINI DEL MONDO

Il centro abitato più isolato della terra, dove ogni giorno si sfidano l’oceano, la natura incontaminata e i rifornimenti tardivi

L’arcipelago di Tristan da Cunha rappresenta un unicum nel panorama mondiale: situato nel cuore dell’Atlantico meridionale, questo territorio di dominio britannico ospita appena 238 anime, isolate da tutto e tutti. Avvistato per la prima volta nel 1506 dal navigatore portoghese Tristão da Cunha, l’arcipelago è un luogo dove il tempo sembra essersi fermato e dove le regole della modernità non esistono. Il primo insediamento risale al 1815, quando il Regno Unito decise di presidiare l’isola per impedire possibili tentativi di fuga di Napoleone Bonaparte da Sant’Elena. Distante 2.437 km dal centro abitato più vicino (Sant’Elena), l’isola è raggiungibile solo via mare, avendo a disposizione solo un porticciolo per l’attracco di piccole imbarcazioni. Le navi provenienti dal Sudafrica toccano l’isola una o due volte al mese, ma in caso di maltempo, l’isolamento può durare mesi. Ma questo, per gli abitanti di Tristan da Cunha, non rappresenta un problema. Fin da subito, William Glass, considerato il fondatore della comunità, stabilì un principio chiaro ed efficace: tutti i proventi della pesca e dell’agricoltura sarebbero stati equamente divisi tra gli abitanti. Tuttora, la comunità isolana è molto unita e coesa grazie ad un tessuto sociale che si basa sui valori di solidarietà, collaborazione e rispetto per la natura. Libera da ogni contaminazione, su Tristan non esiste immigrazione; tuttavia sono ammessi temporaneamente lavoratori specializzati come medici e insegnanti, anche perché l’unica scuola garantisce l’istruzione fino a 16 anni, dopodiché chi vuole proseguire gli studi deve necessariamente lasciare l’isola. Eppure, nonostante tutto, chi nasce qui non vuole andarsene. I coraggiosi 238 abitanti, più che mai legati alle loro radici, rifiutano di abbandonare questo piccolo pezzo di terra circondato dall’immensità dell’oceano.

IL SITO CHE RIVOLUZIONÒ INTERNET

Info.cern.ch, primo sito web della storia, continua a vivere online, testimone di una rivoluzione digitale. Nato nel 1991 grazie a Tim Berners-Lee, pioniere del World Wide Web nei laboratori del Cern di Ginevra, fu realizzato utilizzando l’html nella sua prima versione. Un’interfaccia che segnò l’inizio di un’era.

UN LOCALE IN UN ALBERO MILLENARIO

In Sudafrica sorge un pub unico al mondo, ricavato all’interno di un baobab di 6.000 anni. Il locale, chiamato Sunland Baobab Pub, è stato inaugurato nel 1933 e vanta dimensioni straordinarie: circa 40 metri di circonferenza e 20 di altezza. Un ambiente naturale che ospita un locale di 50 mq, dove gustare bevande in un contesto surreale.

KILLER DELL’AMAZZONIA

Minuscola ma micidiale, la rana dorata è tra gli animali più velenosi al mondo. La sua batracotossina può uccidere un uomo con appena 2 milligrammi. Nelle foreste amazzoniche, questo anfibio di 2 cm è un arsenale chimico vivente, capace di neutralizzare istantaneamente qualsiasi predatore.

di Dario De Felicis

CONCORSO 50&PIÙ

A BAVENO, APPUNTAMENTO CON LA CREATIVITÀ

Da oltre quarant’anni, senior provenienti da tutta Italia si cimentano nella realizzazione di opere d’arte, dalla scrittura alla fotografia

di Redazione

Dal 1983 il Concorso 50&Più rappresenta un’occasione per celebrare la creatività e condividere la propria passione per l’arte, un momento di vita arricchente che va oltre la competizione, permette di esprimersi liberamente, conoscere nuove persone e crescere come artisti. Un’esperienza che testimonia che la creatività, la passione per l’arte, la bellezza e l’espressione artistica non hanno limiti di tempo o di età. Quest’anno la competizione - giunta alla 43ª edizione - sbarca a Baveno, all’interno dell’Appuntamento con la Creatività, che si svolgerà dall’11 al 16 luglio. Qui, ispirati dalle immagini e dalle voci del Lago Maggiore, i partecipanti troveranno ad aspettarli laboratori di poesia, scrittura creativa, fotografia, arte e canto. E sempre qui, nel corso

dell’Appuntamento con la Creatività, si svolgeranno le premiazioni delle Farfalle 50&Più e la cerimonia finale di premiazione delle Libellule 50&Più. Nell’occasione saranno anche assegnate le Superfarfalle votate dal pubblico di 50&Più.

La creatività è un elisir di lunga vita per l’anima. Che si tratti di dipingere, scrivere o fotografare, l’atto creativo permette di esprimere sé stessi, di lasciare un segno nel mondo e di trovare un profondo senso di appagamento. Il Concorso 50&Più è un invito per tutti a scoprire il proprio artista interiore attraverso quattro categorie: Prosa, Poesia, Pittura e Fotografia. È possibile partecipare a più categorie, con massimo un’opera per ognuna.

Da più di quarant’anni, il Concorso riscuote l’adesione di centinaia di partecipanti desiderosi di mettere alla prova la propria creatività. L’i-

scrizione può essere effettuata online o per posta ordinaria entro il 20 maggio. Al contest possono partecipare tutti coloro che abbiano compiuto 50 anni all’atto dell’iscrizione, purché non scrittori, poeti, pittori o fotografi professionisti.

Il simbolo del Concorso 50&Più è la farfalla, immagine di libertà e di rinascita. Tutte le opere iscritte riceveranno la Farfalla 50&Più, la Libellula 50&Più andrà a cinque creazioni selezionate per ogni categoria (prosa, poesia, pittura e fotografia).

A valutare le opere in gara sarà una giuria tecnica, la cui composizione, insieme alle date delle premiazioni verrà pubblicata sul sito www.50epiu.it entro il mese di giugno. A decretare i vincitori delle Superfarfalle, riconoscimento spettante ai vincitori dell’edizione precedente, saranno invece i lettori della rivista 50&Più e di Spazio50 tramite votazione.

Concorso 50&Più · Edizione 2025

Il Concorso 50&Più è ideato e organizzato dall’associazione 50&Più e prevede la partecipazione di opere artistiche a tema libero realizzate da autori over 50 non professionisti.

1. Al Concorso possono partecipare tutti coloro che abbiano compiuto 50 anni all’atto dell’iscrizione, purché non siano scrittori, poeti, pittori o fotografi professionisti.

2. Gli autori possono partecipare esclusivamente con opere da loro realizzate.

3. Le opere concorrenti devono essere inedite.

4. Il Concorso prevede quattro categorie: Prosa, Poesia, Pittura e Fotografia. È possibile partecipare a più categorie, con massimo un’opera per ogni categoria.

5. Una giuria tecnica, istituita dall’associazione 50&Più, valuterà le opere.

6. Il Concorso prevede i seguenti premi/riconoscimenti:

• Farfalla 50&Più assegnata alle opere ammesse al Concorso 50&Più;

• Menzione Speciale 50&Più assegnata, per ciascuna sezione, ai meritevoli di menzione selezionati dalla Giuria;

• Libellula 50&Più assegnata dalla Giuria a cinque opere per categoria;

• viene assegnata una Superfarfalla per categoria mediante votazione dei lettori di www.50&Più.it e della rivista 50&Più

7. Le opere in concorso devono rispondere alle seguenti caratteristiche:

• Prosa

lingua italiana, massimo 7.200 battute spazi inclusi (2 cartelle da 40 righe a pagina) scritta al computer (formati ammessi doc, docx, pdf, txt, odt);

• Poesia

lingua italiana, massimo 35 versi scritti al computer (formati ammessi doc, docx, pdf, txt, odt);

• Pittura olio/acrilico/acquerello/grafica/collage, dimensione massima 60×80 cm comprensivi di eventuale cornice (in fase di iscrizione allegare una fotografia digitale dell’opera);

• Fotografia bianco e nero o a colori, formato digitale 20×30 cm in alta definizione 300 dpi.

Il mancato rispetto dei formati e delle misure indicate, comporta l’esclusione dell’opera dal Concorso.

8. L’iscrizione può essere effettuata online o per posta ordinaria, entro il 20 maggio - online collegarsi al sito www.50epiu.it e compilare la scheda di

iscrizione allegando l’opera con cui si intende concorrere nei formati indicati al punto 7 del presente bando (per le opere pittoriche inviare solo la fotografia*);

- posta ordinaria compilare la scheda di iscrizione presente nella rivista 50&Più del mese di marzo, inviando il file digitale dell’opera con cui si intende concorrere su chiavetta usb e nei formati indicati al punto 7 del presente bando.

Inviare a:

Concorso 50&Più, via del Melangolo n. 26, 00186 - Roma

* Le opere pittoriche dovranno essere spedite alla sede espositiva della mostra secondo indicazioni che saranno fornite successivamente.

La partecipazione al Concorso prevede il versamento di un contributo pari a:

Non socio

€ 40,00 per concorrere con un’opera

€ 70,00 per concorrere con due opere

€ 95,00 per concorrere con tre opere

€ 120,00 per concorrere con quattro opere

Socio

€ 30,00 (1 opera) n. tessera______________________

€ 40,00 (2 opere) n. tessera______________________

€ 55,00 (3 opere) n. tessera______________________

€ 70,00 (4 opere) n. tessera______________________

Il versamento può essere effettuato tramite:

• c/c postale n. 19898006

causale: Partecipazione Concorso 50&Più ed. 2025 (al momento dell’iscrizione allegare copia della ricevuta);

• bonifico bancario

IBAN IT33H0832703247000000047010

causale: Partecipazione Concorso 50&Più ed. 2025 (al momento dell’iscrizione allegare copia della ricevuta);

• Carta di credito o Paypal disponibile al momento dell’iscrizione online sul sito www.50epiu.it

9. Le spese di spedizione sono a carico del partecipante. Le opere, ad eccezione di quelle pittoriche, in nessun caso verranno restituite all’autore che ne dovesse fare richiesta.

10. La composizione della giuria, il luogo e la data delle premiazioni verranno resi noti sul sito www.50epiu.it entro il mese di giugno.

11. L’organizzazione si impegna a promuovere il Concorso con comunicati stampa e recensioni sia su organi di stampa che media digitali.

12. In caso di controversie è competente il Tribunale di Roma.

13. La partecipazione al Concorso comporta l’accettazione e l’osservanza di tutte le norme del presente bando.

Scheda di iscrizione da inviare entro il 20 maggio 2025

COGNOME NOME

NATO/A IL RESIDENTE A

VIA/P.ZZA N. CAP PROV.

C.F. TEL. CELL.

CHIEDE DI PARTECIPARE ALLA 43a EDIZIONE DEL CONCORSO PROSA, POESIA, PITTURA E FOTOGRAFIA CON:

un’opera di PROSA dal titolo: allegare 1 copia dell’opera in formato digitale su chiavetta usb in formato doc, docx, pdf, txt, odt - (max 7.200 battute spazi inclusi)

un’opera di POESIA dal titolo: allegare 1 copia dell’opera in formato digitale su chiavetta usb, in formato doc, docx, pdf, txt, odt - (lunghezza massima 35 versi)

un’opera di PITTURA dal titolo: allegare la foto dell’opera in formato digitale su chiavetta usb, con l’indicazione delle tecniche adottate - (misure quadro massimo 60x80 cm)

un’opera di FOTOGRAFIA dal titolo: allegare la fotografia in formato digitale su chiavetta usb, in alta definizione 300 dpi, con l’indicazione dell’apparecchio usato e delle tecniche adottate - (formato foto 20x30)

A tal fine provvede al versamento di:

Non socio Socio 50&Più Numero tessera

€ 40 per concorrere con un’opera

€ 70 per concorrere con due opere

€ 95 per concorrere con tre opere

€ 120 per concorrere con quattro opere

mediante:

€ 30

€ 40

€ 55

€ 70

versamento c/c postale n. 19898006 intestato 50&Più causale: Partecipazione Concorso ed. 2025 (allegare ricevuta)

bonifico bancario intestato a 50&Più - codice IBAN IT33H0832703247000000047010 causale: Partecipazione Concorso ed. 2025 (allegare ricevuta)

carta di credito o Paypal disponibile al momento dell’iscrizione online sul sito www.50epiu.it (allegare ricevuta)

BIOGRAFIA:

COME PREVISTO DAL REGOLAMENTO DEL CONCORSO 50&PIÙ, IL SOTTOSCRITTO DICHIARA DI ESSERE L’AUTORE DELL’OPERA PRESENTATA, DI NON ESSERE UN PROFESSIONISTA E DI NON AVER MAI TRATTO PROFITTO DALL’ATTIVITÀ LETTERARIA, PITTORICA O FOTOGRAFICA E NE AUTORIZZA LA PUBBLICAZIONE SENZA RICHIESTA DEI DIRITTI DI AUTORE.

I dati personali contenuti nella presente scheda, dei quali consento il trattamento, verranno utilizzati esclusivamente ai soli fini e scopi dell’evento anche per quanto concerne la pubblicazione sulla rivista 50&Più e su internet di immagini e video relativi al predetto Concorso 50&Più (art. 96 Legge 633/41). Tali dati potranno, su mia richiesta, essere aggiornati o eliminati in qualsiasi momento, come previsto dal Decreto Legislativo 30.06.2003, n. 196, come modificato dal D.Lgs n. 101 del 10/08/2018 recante disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento UE 2016/679.

E-MAIL Firma

PER MAGGIORI INFORMAZIONI CONTATTARE LA SEGRETERIA DEL CONCORSO 50&PIÙ TEL. 06-68883297 - CELL. 334-6252880 - E-MAIL: infoeventi@50epiu.it

MATA HARI

L A SPIA FATALE TRADITA

DALL’AMORE

Mata Hari, la donna il cui nome è diventato sinonimo di spia seducente, nasce nel 1876 nei Paesi Bassi con il nome di Margaretha Geertruida Zelle, e ben presto impara la caducità della vita: il padre tanto amato, che la riempie di attenzioni e regali costosi, lascia la famiglia per un’altra donna, e poco dopo anche sua madre Antje muore. Sola e adolescente, è espulsa dall’istituto magistrale dove studia come maestra per una relazione con il preside. Va a vivere con un suo zio all’Aja dove incontra il capitano Rudolph MacLeod, che in un annuncio matrimoniale cercava “una ragazza dal carattere amabile”. L’occasione della sua vita per sistemarsi, come

La sua bellezza, le origini misteriose e lo stile di vita provocatorio ne fecero una figura leggendaria dei salotti europei del XX secolo, ma i suoi amanti eccellenti non la salvarono da un triste destino

ammetterà lei stessa anni dopo. Ma le cose si rivelano ben presto molto diverse. MacLeod è sifilitico, beve, non ha un soldo e i pochi che ha li spende con le sue amanti. La coppia si sposta nelle Indie Orientali, a Giava e Sumatra, dove lui ha ottenuto una promozione a comandante, ma qui i loro due bambini si ammalano e - a soli due anni - il più piccolo muore. La coppia, ormai naufragata, torna nel 1902 nei Paesi Bassi e si separa. Louise Jeanne, la figlia rimasta, affidata alla madre, crescerà col padre che nega all’ex moglie ogni assistenza finanziaria.

Margaretha non si abbatte e dalle ceneri di una vita già segnata nasce il personaggio di Mata Hari (in lingua malese “Occhio dell’Alba”), una danzatrice esotica che, con abiti trasparenti e mosse sensuali, si esibisce nei teatri di Parigi in danze che - per evitare le accuse di indecenza - definisce sacre e apprese nei templi indù. La sua bellezza, la sua sensualità e le sue millantate origini esotiche la rendono presto una figura celebre nei salotti della Belle Époque. Si accompagna a politici, uomini d’affari e diplomatici esibendo gioielli, cavalli e vestiti che riceve da loro in qualità di accompagnatrice. Allo scoppio della Prima guerra mondiale la carriera di ballerina inizia a declinare, ma non così il suo stile di vita sopra le righe che attira le prime ombre. I fatti riguardanti le sue attività di spionaggio restano oscuri, ma sembra certo che la rete di controspionaggio tedesca le proponga un lavoro ben pagato (circa 50mila euro odier-

ni) e che lei, ormai a corto di denaro, accetti. I francesi cominciano a sospettare dei suoi frequenti viaggi all’estero, dove ha varie conoscenze, e iniziano a pedinarla. Nel 1916, in pieno conflitto, perde la testa per Vadim Maslov, un giovane e pluridecorato capitano russo che combatte con i francesi. E qui la sua vita prende una piega inaspettata e tragica. Per raggiungerlo all’ospedale dove è ricoverato, accetta di mettersi al soldo dei francesi in cambio di una cifra esorbitante, ricevendo l’ordine di andare in Spagna in attesa di istruzioni. Durante uno scalo in Gran Bretagna è arrestata dalla polizia inglese che la scambia per un’altra spia. Nel tentativo di farsi rilasciare confessa di essere un agente segreto per i francesi, loro alleati, che però negano. In questa situazione ingarbugliata, sempre pensando a come raggiungere Vadim, riporta ai servizi francesi un’informazione di guerra ricevuta dall’amante tedesco Arnold Kalle a proposito di uno sbarco in Marocco. Spinta a chiedere altro, finisce col destare nuovi sospetti. Nel dicembre di quell’anno scatta l’intercettazione di tutti i messaggi radio tra Madrid e Berlino tramite una stazione installata sulla Torre Eiffel. In seguito, si dirà che i messaggi intercettati permettevano di identificare chiaramente Mata Hari come una spia tedesca. Nel 1917 il governo francese fa arrestare Margaretha - che ha finito il denaro ed è disperata senza più notizie di Vadim - con l’accusa di spionaggio per i tedeschi. Finisce in una

lurida cella a Saint-Lazare, privata dei contatti esterni. Il suo avvocato è un ex amante senza esperienza nei processi militari. L’unica prova a sfavore sono i messaggi radio (oggi ritenuti falsi), ma i militari della giuria le sono ostili e la accusano di immoralità. Non emergono prove che abbia mai trasmesso informazioni sensibili, ma il solo testimone a suo favore è l’amico Henri de Marguerie, segretario del ministero degli Esteri francese. Alla fine tutto è inutile: Margaretha viene condannata alla fucilazione come spia al servizio dei tedeschi. All’alba del 15 ottobre 1917, a Vincennes, vicino Parigi, affronta il plotone a testa alta, in quella che è la sua migliore rappresentazione. Non rivide mai più Vadim: le sue lettere, inviate in carcere, non le vennero mai recapitate. Il governo tedesco la scagionò pubblicamente nel 1930 e il dossier francese che documentava le sue attività dimostrerà poi la sua innocenza.

Per molti Mata Hari fu il capro espiatorio dei funzionari francesi alla ricerca di qualcuno a cui dare la colpa per le sconfitte subite durante la guerra. Ma il suo disprezzo per le norme sociali ebbe di certo un ruolo nell’arresto, nella condanna e, infine, nell’esecuzione.

Nel 1917 fu condannata alla fucilazione come spia al servizio dei tedeschi Dopo tredici anni fu scagionata pubblicamente

IL GIORNO IN CUI PAROLA TOCCÒ IL CIELO

Settantacinque anni fa, a Firenze, un fotoreporter catturava la perfetta ‘rovesciata volante’ del calciatore juventino. L’immagine è diventata famosa in tutto il mondo con l’album Panini

di Leonardo Guzzo

Èun freddo pomeriggio invernale del 1950 quello in cui Fiorentina e Juventus si affrontano allo stadio comunale di Firenze, nella singolare cornice architettonica realizzata da Pier Luigi Nervi una ventina di anni prima e dichiarata monumento nazionale nel 1983. Il gioco non è brillante ma la Fiorentina attacca, ha sbagliato un calcio di rigore e fa di tutto per vincere. A dieci minuti dalla fine il centrocampista viola Magli lancia un altro centrocampista, Egisto Pandolfini: è solo davanti al portiere della Juventus, aspetta di

ricevere la palla per calciarla a rete, ma prima che possa farlo, mentre ancora la palla viaggia nell’aria, Carlo Parola, centromediano bianconero, la colpisce con una rovesciata formidabile. Corrado Banchi è un fotografo di calcio, ogni domenica in giro per i campi a catturare immagini suggestive; è piuttosto annoiato dalla partita e assalito da un imbarazzante bisogno fisico. Si rifugia a fare pipì in una delle buche della pista d’atletica, preparata per la gara dei tremila siepi, e da lì assiste al gesto tecnico di Parola. È un lampo: afferra la macchina fotografica e scatta dal

basso, conferendo ancora più plasticità alla rovesciata. Questo almeno racconta la leggenda. Carlo Parola gioca nella Juventus da ‘centromediano’: un ruolo ormai estinto ma fondamentale nel calcio dell’epoca. È l’ultimo difensore, davanti al portiere, il guardiano dell’area di rigore ma al tempo stesso il primo motore dell’azione d’attacco della squadra. Eleganza, acrobazia e senso del gioco sono le sue doti, che dimostra ampiamente nella rovesciata destinata a consegnarlo alla storia. È nato nel 1921 a Torino, ha cominciato col ciclismo per poi passare al calcio a causa di un infortunio, si segnala come centravanti ma la Juventus, dopo averlo acquistato, lo trasforma in difensore. Esordisce a 18 anni per sostituire l’argentino naturalizzato italiano Luis Monti, campione del mondo nel 1934. Guadagna 750 lire al mese ed è destinato a un grande avvenire. La maglia della Juventus diventa la sua seconda

scomparsa del Grande Torino a Superga, vince il suo primo scudetto in bianconero. Alla fine di quell’anno sarà il cardine difensivo della nazionale italiana ai mondiali di calcio in Brasile. Un’esperienza deludente: gli azzurri, arrivati in Sudamerica dopo un complicato viaggio per mare, costretti ad allenarsi sul ponte della nave, finiranno per squagliarsi al sole di San Paolo. Ma il posto di Parola nella storia del calcio, senza che lui lo sappia, è già assicurato.

La foto che lo ritrae in rovesciata volante viene acquistata dai fratelli Panini per la cifra non eccezionale di 3.000 lire e resta per anni nei loro archivi. Ge stiscono già un’edi cola in corso Duomo a Modena, ma pensa no molto più in gran de. Nel 1954 fondano l’Agenzia Distribu zione Giornali Panini e all’inizio degli anni

Sessanta lanciano il primo album di figurine dei calciatori. Sulla copertina c’è un disegno ricavato da una foto di Nils Liedholm, centrocampista svedese del Milan, che sta per colpire la palla di testa. Dopo qualche anno sarà sostituita da un altro disegno, derivato da un’altra foto: il difensore fiorentino Ardico Magnini che compie una rovesciata (non ‘volante’, come era quella di Parola) con la maglia azzurra della nazionale. I fratelli Panini, però, non sono soddisfatti: cercano un’immagine più spettacolare, più iconica, e nei loro archivi ritrovano la foto del centromediano juventino. Ne ricavano, ancora una volta, un disegno che diventa la copertina dell’album dei calciatori del campionato 1965’66. Nel 1970 l’artista Wainer Vaccari, impiegato nell’azienda Panini, perfeziona l’immagine e la colora rendendola universale. Carlo Parola perde la divisa della Juventus e viene raffigurato in maglia rossa, calzoncini bian-

In prima pagina, la celebre ‘rovesciata volante’ di Carlo Parola; sullo sfondo bustine di figurine Panini del campionato di calcio 1969-’70. Accanto, il giocatore juventino col centravanti milanista Nordahl nel 1950. Sotto, in veste di allenatore della Juventus nella stagione calcistica 1974-’75, anno in cui la squadra divenne campione d’Italia

gialli: colori che non corrispondono a nessuna squadra italiana e trasformano la rovesciata di Parola nel simbolo stesso del calcio. Con oltre trecento milioni di riproduzioni è l’immagine calcistica più nota e diffusa al mondo: dal suo primo apparire è rimasta impressa sulle confezioni delle figurine Panini, tornando a più riprese anche sulla copertina dell’album, come immagine principale o in forma di logo. Come ogni opera d’arte che si rispetti, è sopravvissuta al suo ispiratore. Carlo Parola - “Nuccio Gauloises” per Giovanni Arpino (che ne enfatizzava la confidenza col fumo), “lord e aviatore della difesa” per Giampiero Boniperti (a cui fece da chioccia a Torino) - avrebbe trovato il modo di vincere, da allenatore, altri tre campionati con la Juventus prima di essere inghiottito dall’oblio e morire nel 2000 quasi anonimo. Confortato però dal gesto dolce di Boniperti, che gli annoda al collo una cravatta bianconera per l’ultimo viaggio. La vita gli ha dato e tolto senza una logica apparente, con la stessa magia che appartiene al gesto della rovesciata e che lui per primo riconosceva. «Se qualcuno mi chiede come facevo a colpire la palla in quel modo, non so spiegarlo. Saltavo e veniva da sé, forse per questo era così bello».

Cultura

Tra le tante adolescenze memorabili della letteratura arriva, e si impone, quella di Gigio Bellandi, protagonista e io narrante del romanzo di Sandro Veronesi Settembre nero. La storia dunque. Un’estate in Versilia nel 1972, l’anno della vittoria di Merckx al Giro d’Italia, della incredibile volata di Basso ai Mondiali che negli ultimi metri supera Bitossi in fuga. L’anno del terribile attentato a Monaco contro gli atleti israeliani, con l’eco mediatica che produsse. L’anno del caso Lavorini che sconvolse Viareggio, a pochi chilometri dal luogo in cui la famiglia Bellandi villeggia da anni. Un padre avvocato viareggino molto affaccendato, malato di mare e vela con la “passione contagiosa e la gioia di esserci”; una madre irlandese rigorosa, vera cattolica “da rasentare il bigottismo”; una figlia di sette anni e un figlio di dodici. Appunto il Gigio che si racconta e, raccontando, racconta le sue emozioni e le sue trasformazioni. Vive una vera e propria educazione sentimentale scoprendo lentamente la musica, la lettura, l’inquietudine del desiderio e dell’amore. Per Astel, la ragazza dalle “treccine nere come onice nera”, che anche lei “va e viene”.Un sentimento che affiora, monta, cresce per piccoli impercettibili scatti emotivi, sguardi, parole. Poi però Astel scompare e la vicenda si incrina per eventi davvero imprevisti che spezzano ogni felicità. Gigio, “quel vaso colmo solo di emozioni che era non ancora colorato di esperienze” , ha vissuto la “sua” esperienza. Dolorosa, di distacco e di lutto, che lo segna in profondità e che solo il racconto, cinquant’anni più tardi, potrà con una certa fedeltà ricostruire, comprendere in pieno, comunicare con la forza delle parole che la rendono unica e insostituibile.

Veronesi, che cosa ha trovato nella sua scrittura per raccontare quel che significa essere adolescente, affrontare le gioie e i do

«IN SETTEMBRE NERO RACCONTO I SENTIMENTI DELL'ADOLESCENZA»

Il

romanzo storico di Sandro Veronesi e il salto all'estate del 1972, insieme al senso del futuro che non c'è

lori di un periodo di profondo e misterioso mutamento nel corpo e nella psiche?

Per quanto mi riguarda ha significato (anche) andare per la prima volta a recuperare e rivivere senza timidezza o pudore i sentimenti così come li ho vissuti a quell’età, così come - sono sicuro - tutti li vivono a quell’età. Quel passaggio è così breve, seguito com’è da un’età complicata come la giovinezza, che si tende a trascurarlo, e a vergognarsi, quasi, di averlo vissuto. Ma traccia il primo solco sul quale si svilupperà la personalità dell’individuo adulto. L’addio all’infanzia, il tragico addio all’infanzia, lo diamo da adolescenti. Per la prima volta scrive un romanzo ‘storico’, non ambienta il romanzo nello stesso periodo in cui lo scrive. Nello scavo di un unico tempo storico si è permesso una libertà maggiore? Non era la libertà che andavo cercando, ma il privilegio di poter lasciare fuori dal racconto realista (quello che io privilegio) tutto ciò che dell’oggi non mi piace e non mi va a genio. Io non credo che vi sia alcunché di specifico nell’essere adolescenti oggi rispetto a cinquant’anni fa, i temi con cui si ha a che fare sono sempre gli stessi: la scoperta del proprio corpo, la scoperta dell’altro, la paura di non essere adeguati, l’impotenza dolorosa nei confronti del mondo. Credo però che molte delle azioni attraverso le quali un

adolescente di oggi affronta questi temi siano troppo banali e standardizzate per poterle raccontare con una lingua italiana letterariamente degna. L’esperienza che io racconto oggi sarebbe infestata di stories su Instagram e spunte blu su WhatsApp.

Un abilissimo cercatore di quelle pepite della memoria che sono le canzoni, i fumetti, gli choc della cronaca, la lingua di un tempo. Fa parte anche del sentimento (anche nostalgia?) che sparge sulle sue pagine mentre racconta la storia di Gigio? Dunque, nostalgia no. Non ne provo io e soprattutto non ne prova Gigio, che sta raccontando un passaggio veramente ustionante della sua vita. La minuziosità con cui mi sono impegnato a rico-

struire il contesto è dovuta alla necessità di mostrare che anche in un altro tempo (quello in cui la storia è ambientata, ma in generale in qualunque altro tempo) non mancava nulla per sollevare nel bambino il dubbio di non essere più un bambino. Il mondo era pieno di stimoli, come lo è adesso. Se l’orizzonte degli eventi era più definito è perché da allora sul nostro mondo si è accumulato mezzo secolo di entropia.

Un’Italia, quella di cinquanta e più anni fa, tanto diversa da quella attuale.

C’era un senso di angoscia col quale si entrava in contatto, prima o poi, dovuto alla guerra fredda e alla minaccia dell’olocausto nucleare, ma c’era anche un senso del futuro che adesso è scomparso. Gli adulti, soprattutto, visti con lo sguardo di un ragazzino, i padri, le madri, gli amici dei genitori, i bagnini, i professori, tutti avevano gli occhi pieni di futuro, e questa sensazione in provincia era anche più forte poiché mancava, nel contesto, l’angoscia metropolitana che in quegli anni insanguinava le grandi città, la lotta armata, lo scontro sociale, il terrorismo.

Il romanzo può ancora essere anche uno strumento di maggiore conoscenza e verità di un pezzo della nostra storia?

Certo che lo è, ma il punto non è questo. Il punto è se le élites intellettuali - le tanto vituperate élites, così necessarie ma anche così pericolose - lo credano o no. È come chiedersi se il buon Dio sia ancora onnipotente: certo che sì, ma in quanti ancora ci credono?

Settembre nero ha davvero molte virtù, quelle di un narratore felicemente coinvolto nella sua storia di gioia e dolore, di incontro e perdita, con le opportune strategie per non tradire l’attenzione e la tensione del lettore. E su tutto risuonano i versi di Auden sulla ragionevole/irragionevole felicità: “Anche se non puoi sempre ricordare perché sei stato felice/ non puoi dimenticarti d’esserlo stato”.

MAURIZIO NICHETTI TORNA AL CINEMA CON AMICHEMAI LA TERZA ETÀ TUTTA DA RIDERE

Il film, presentato al Festival di Torino, racconta la storia di Anna, veterinaria, e di Aysè, la badante del padre anziano di lei. Quando lui muore loro iniziano un viaggio ‘on the road’

rano ventitré anni che Maurizio Nichetti non dirigeva un film. «Avevo bisogno di andare ben oltre la mezza età per tornare a farne uno», ci dice il regista, classe 1948, sorridendo. Amichemai, nelle sale con Filmclub Distribuzione by Minerva Pictures, dopo la presentazione in anteprima al 42° Torino Film Festival, è «la storia di due splendide sessantenni. Un racconto originale e

inaspettato, fuori dal coro rispetto al mercato, ai gusti delle televisioni, delle piattaforme e anche di tutto quello che il cinema ci dà in questo momento», spiega Nichetti a 50&Più.

La commedia, con Angela Finocchiaro e Serra Yilmaz, è un film nel film. Due content creators documentano sul web le riprese di questa pellicola ‘on the road’. Le protagoniste sono Anna, una veterinaria la cui vita si divide tra la

gestione della sua fattoria e i molteplici ruoli familiari tra moglie (a distanza), figlia affettuosa, madre ansiosa e nonna paziente, e Aysè, la badante del padre anziano di Anna. Quando l’uomo muore, le due faranno un viaggio in auto, con a bordo un letto, verso la Turchia, attraversando i Balcani. Sarà l’occasione per entrambe per conoscersi di più. Nichetti, nel film lei stesso dice che Amichemai è nato da due incontri fortunati: una bella storia e un produttore che ci ha creduto. È andata così?

Tre anni fa Isabella Cocuzza e Arturo Paglia della Paco Cinematografica hanno letto il soggetto e gli è piaciuto. Mi hanno spronato a fare le cose alla mia maniera, senza dirmi che il mondo era cambiato e la gente voleva altro. Così ho scritto un film che sentivo vicino a me.

Questa è stata anche l’occasione per tornare a dirigere Angela Finocchiaro.

Siamo molto amici ed erano anni che mi diceva di lavorare nuovamente insieme. Di solito quando si rappresentano le problematiche di un’età matura, si tende sempre a cadere nel melan-

©
MARTA SCLAVO

conico, nelle ansie e nei problemi che uno ha. Io e Angela volevamo, invece, parlare con il sorriso e uno sguardo ironico della nostra età, in cui ti devi occupare dei figli e dei nipoti a carico, ma magari sei ancora tu stesso figlio e ti devi prendere cura di un genitore anziano. Ci siamo confrontati e in questo film abbiamo messo momenti di vita vissuta. Ma credo che anche molta gente si potrà riconoscere nei temi del film.

Ha pensato subito a Serra Yilmaz per il ruolo di Aysè?

Né io né Angela la conoscevamo personalmente. Ci piaceva come attrice, avevamo visto i film in cui aveva recitato. Tre anni fa, quando abbiamo iniziato a pensare a chi sarebbe stata l’altra protagonista del film e abbiamo conosciuto Serra, non abbiamo più avuto dubbi. Bisogna trovare delle persone che sappiano fare bene il proprio mestiere, ma anche una certa umanità perché un film funzioni. E noi abbiamo avuto questa fortuna. L’ha sempre avuta nella sua carriera?

Devo dire di sì. Ogni volta sono rimasto in buoni rapporti con tutti gli attori

con cui ho lavorato. Non ho brutti ricordi dei set, perché ho sempre privilegiato l’armonia e sono convinto che specialmente nella commedia sia fondamentale essere omogenei in certi gusti e certe visioni della vita.

In questi anni lontano dal grande schermo cosa ha fatto?

Mi sono comunque divertito, tra festival e teatro. Mi sono allontanato un po’ dal cinema, ma non da questa ar-

In apertura, la presentazione di Amichemai al Torino Film Festival

Accanto, Maurizio Nichetti sul set

In basso, una scena del film

te come passione o come tecnica perché ho continuato a insegnare regia, tra Centro sperimentale e Iulm. Devo comunque stare per forza aggiornato sulle nuove tecnologie, non posso permettermi una distrazione.

Ai suoi studenti cosa insegna?

A far crescere in loro la passione, stando bene con i piedi per terra, senza pensare di dover calcare per forza i red carpet o puntare all’Oscar. Bisogna divertirsi, come ho fatto io tutta la mia vita, e sentire il piacere di raccontare delle storie. Se un ragazzo capisce e aderisce a questa idea, la scuola gli può servire. Di certo lì non si impara l’originalità, ma solo il linguaggio cinematografico. Fellini e Pasolini, per citare due autori noti a tutti, non hanno imparato a essere originali a scuola, ma alimentando la loro passione e immaginazione. Cosa pensa dell’evoluzione del cinema, anche del modo di fruirne? Quando alla fine degli anni Ottanta ho girato Ladri di saponette, era perché vivevamo l’ansia che la pubblicità interrompesse le nostre emozioni guardando un film. Ci fu addirittura un movimento intellettuale, politico, sociale per fermarla. Pensiamo a come siamo ridotti oggi. Della pubblicità non parla più nessuno. Ormai abbiamo solo voglia di spiare qualcosa sui device che abbiamo in mano, che sia un cellulare, un tablet o un computer. Ovunque possiamo vedere i film. Ma il cinema non si guarda in treno, o in metropolitana. La sala è un’altra cosa. Siamo responsabili di dove vediamo i film e di quanto tempo dedichiamo a una storia. Vedere da soli una commedia, come Amichemai, sarebbe più triste, che vederla in compagnia.

Cultura

BRIDGET JONES DIVENTA GRANDE E TORNA AL CINEMA

Il quarto capitolo della saga dopo venticinque anni mescola ancora una volta risate e malinconia

Renée Zellweger alla presentazione del film «Qualsiasi generazione può identificarsi con lei per i momenti profondamente umani che vive, per le incertezze e lo sconforto» di Giulia Bianconi

Nel 2001 Renée Zellweger ha vestito per la prima volta i panni di un’eroina imperfetta, goffa, vulnerabile e piena di vizi, con un diario come compagno di viaggio su cui annotare le sue avventure, il pigiamone e i mutandoni, e con la paura di morire single e sovrappeso divorata dai cani alsaziani: Bridget Jones. A distanza di quasi venticinque anni è arrivato nei cinema con Universal Pictures il quarto capitolo della saga, nata dalla penna della scrittrice britannica Helen Fielding, e poi diventata iconica sul grande schermo. Si tratta dell’ultimo film sull’intramontabile e irresistibile personaggio, anche se l’attrice texana spera che un giorno ci sia la possibilità di interpretarlo ancora. In Bridget Jones-Un amore di ragazzo diretto da Michael Morris, e con Hugh Grant, Colin Firth, Chiwetel Ejiofor e Leo Woodall, la protagonista è cresciuta. Oggi Bridget vive sempre a

Londra. È una madre single di mezza età, vedova e con due figli (Billy, di 9 anni, e Mabel, di 4) da crescere da sola. Quattro anni dopo la morte del marito Mark, rimasto ucciso in una missione umanitaria in Sudan, la donna cerca di andare avanti sostenuta dai suoi amici del cuore e anche dal suo ex Daniel, che fa persino da baby sitter ai suoi figli, insegnandogli a preparare degli strampalati cocktail. Ora però Bridget non deve accontentarsi di sopravvivere, deve vivere, come le dice il padre. La sua famiglia allargata la spinge così a riprendere in mano la sua vita, anche sentimentalmente. Oltre a tornare a lavorare come producer televisiva, la donna inizia una relazione con il giovane e affascinante Roxster, conosciuto casualmente al parco. Ma nella sua vita entrerà a far parte anche il professore di Scienze del primogenito, il razionale e posato signor Wallaker. A Roma per presentare in anteprima

italiana la rom-com che, rispetto alle precedenti, mescola risate e allegria con lacrime e malinco nia, «tra le note alte e le note basse della vita», Zellweger, 55 anni, ha raccontato come Bridget Jones sia riuscita a conquistare intere generazioni. «Ciascun nuovo capitolo è una specie di riscoperta di Bridget, per cercare di capire dove l’ha portata la vita, anche le sue prospettive, i suoi valori, come si comporta e come si muove. Ora è cresciuta, ma non sono cambiati il suo carattere, la sua essenza, il suo modo positivo di vedere le cose e di dire a sé stessa che andrà tutto bene. È magicaha spiegato la star americana, due volte premio Oscar per Ri torno a Cold Mountain e Judy

Sotto, Renée Zellweger alla premiere di Roma. L'attrice statunitense con Hugh Grant, a destra, e con Leo Woodall in basso, in alcune scene tratte dall'ultimo film

Bridget è una donna imperfetta, disordinata, che come tutti gli esseri umani deve affrontare un momento molto difficile. La dottoressa Rawlings (impersonata da Emma Thompson nel film, ndr) le dice che deve abbracciare il caos, perché se non lo fa, non sarà felice. Nonostante sia così imperfetta, anche lontana dai canoni imposti dalla società, lei comunque trionfa e non molla mai. E questo ci dà speranza. Qualsiasi generazione può iden

persone. Tutti vogliono condividere qualcosa su di lei e per me è stato un regalo aver avuto la possibilità in questi anni di chiacchierare e parlare con tanta gente che non conosco, ma con la quale ho avuto un forte legame proprio grazie a questa donna».

Riguardo alla vicinanza con il personaggio, Zellweger ha detto di «condividere il rapporto complicato con la puntualità, la sua vena romantica e anche il far finta che vada tutto bene anche quando non è così. Lei guarda la vita da un punto di vista differente rispetto al mio, visto che è madre, mentre io non lo sono. Ha un senso di giocosità senza tempo. È infantile e curiosa e cerca di trasmettere tutto questo anche ai suoi figli, mostrando tenerezza e amore».

«In questo ultimo capitolo, Bridget affronta una fase nuova del-

la sua vita - ha detto Morris, anch’egli presente nella Capitale per l’anteprima italiana del film -. Tutti l’abbiamo amata per oltre vent’anni, ma adesso deve superare un momento emotivamente più forte e doloroso, come la perdita di suo marito, e trovare il modo per continuare a vivere dopo aver perso l’amore. Anche io mi sono identificato con lei e ho imparato ad abbracciare il caos». «Quando ho visto il primo film di Bridget Jones, ho pensato che anche tanti uomini si sarebbero sentiti capiti grazie a lei. Io mi sono rivisto in questo personaggio e l’ho amato molto», ha raccontato Ejiofor. E Woodall ha aggiunto: «Bridget non nasconde le sue imperfezioni, i suoi errori, il suo ottimismo, le sue stranezze. E questo è stato di aiuto per me, anche per interpretare Roxster».

Cultura

MODÀ

«IL ROMANTICISMO NON È MORTO MA LA MUSICA ITALIANA È MALATA»

Dopo la loro quinta volta a Sanremo, il gruppo di Kekko Silvestre lancia il nuovo album 8 canzoni e annuncia un grande concerto allo stadio di San Siro per il 12 giugno

Il giorno di San Valentino, la festa degli innamorati, come era già successo con Gioia nel 2013, è uscito il nuovo album dei Modà, intitolato 8 canzoni. La band pop-rock condotta dal cantante e autore di tutti brani Kekko Silvestre, reduce dalla quinta partecipazione al Festival di Sanremo, si conferma la capofila del romanticismo e dell’amore messo in musica.

«Chi non ci conosce pensa che scriviamo solo canzoni d’amore, perché sono quelle che ci hanno caratterizzato e dato il successo - ci dice Silvestre -. Ma nei nostri cd ci sono anche tante storie di vita. In 8 canzoni ci sono storie di amicizia, ricordi legati a persone che non ci sono più, considerazioni su quello che mi ha portato a rinascere più volte in Come hai sempre fatto, che parla di nostalgia degli anni della mia adolescenza, quando il mondo era completamente diverso. Lo erano soprattutto i rapporti, il modo di interfacciarsi con le persone, di guardarsi negli occhi, di parlare. E poi scrivo d’amore in maniera diversa: se ascolto Favola e poi In tutto l’universo, capisco perfettamente che sono diventato più grande, ma sono sempre rimasto romantico. Oggi che il romanticismo, soprattutto in musica, è spesso sostituito dalla violenza e il linguaggio dei giovani è completamente diverso, ci

sono per fortuna canzoni d’amore del passato che non smetteranno mai di emozionare».

Pensa che l’amore sia frutto del tempo trascorso insieme che consolida un legame oppure una scintilla, qualcosa d’irrazionale e illogico che può scoccare in ogni momento e a ogni età? Credo soprattutto che l’amore possa farti stare insieme tanti anni. Sono sposato da 26 e dico sempre a mia moglie Laura che è incredibile come siamo ancora due ragazzini, usciamo insieme, guardiamo un film davanti alla tv, ci baciamo. È bello, vecchio, romantico. Sono ancora innamorato così tanto di lei perché mi sono innamorato prima dei suoi difetti. Dei pregi sono capaci tutti. E poi ci vuole pazienza, perché comunque non è facile rimanere insieme. Però quando vedi coppie che scoppiano e che, quando cominciano storie con altri, hanno gli stessi problemi, ti rendi conto che le difficoltà è meglio affrontarle e risolverle con una persona con cui hai condiviso qualcosa di importante. Tanto alla fine ti ritroveresti sempre punto a capo. Cambia il soggetto, ma non i problemi. Arrivano sempre. Se sei innamorato devi avere la forza di affrontarli nella maniera giusta.

Lei sta arrivando al mezzo secolo: lo vede come un momento

di Raffaello Carabini
8 CANZONI di Modà WARNER MUSIC ITALY

cruciale nella vita di ognuno?

Direi di no, perché mi hanno sempre fatto sentire vecchio. Un po’ tutti. Anche nel mio lavoro, mi dicono “fai musica vecchia”, “cose vecchie”. In qualche modo mi sono sempre sentito anziano dentro. Ho un pensiero della vita che mi rende sereno, anche perché sono buddhista. È arrivato il momento di invecchiare e invecchierò. Spero di riuscire a godermi il destino, che in qualche modo è già scritto, nella maniera più serena possibile. La paura di invecchiare lascia il tempo che trova. Non mi spaventa il mezzo secolo, mi spaventa il fatto di non essere più in forma. Il che non significa non poter fare ciò che facevo a 40 anni, ma non poter fare le cose normali in maniera autonoma. Questo mi spaventa, il resto quando succede succede, e va bene.»

Come vede oggi il panorama della musica italiana?

Molto male. È un mondo che si disco-

sta dal mio modo di pensare la musica, ma non solo la musica, dal mio modo di parlare. Le parolacce nelle canzoni le ho sentite anche in passato e non mi sconvolgono, fanno parte del linguaggio di tutti i giorni. Il problema sono i contesti musicali legati a un mondo che sembra costruito tutto sulla violenza. Non riesco a capire tutti questi ragazzi che sono arrabbiati col mondo. Viviamo in una società molto distante dagli anni in cui c’era la fame in Italia, quella brutta. I ragazzi che vedo vanno in giro tutti firmati, ma cantano cose da ‘incazzati come bestie’, come se arrivassero dalle favela. La musica in Rete la possono ascoltare tutti. Finché l’ascolto io, dico “che schifezza, lasciamo perdere”, ma quando la sentono i ragazzi di 11, 12, 13 anni e diventa una moda è un grande problema. Ci dovrebbe essere una piattaforma dove certe cose possono ascoltarle solo gli adulti. Non la fanno perché questa musica è ascoltata

solo dai ragazzini. Non parliamo di rap, quello di Fibra o Jay Ax, quella generazione lì, è la trap. A mio avviso non ha futuro e mi auguro si trovi il modo di controllarla, perché è violenza e non si deve poter divulgare idee del genere in maniera così semplice. Un ragazzino non coglie l’ironia, vede tutto come un messaggio, come un modo di agire. Il mio non è rosicare o fare il puritano, è solo che ho una figlia giovane e ho paura, perché so che anche lei in mezzo a quelli della sua età, per non sentirsi diversa, ascolta queste cose. Come sarà il vostro ritorno allo stadio di San Siro per La notte dei romantici del 12 giugno? Sarà bellissimo. Anche per noi è stata una sorpresa incredibile. Dimostra che la carriera di un artista è una montagna russa: usciamo dai teatri e andiamo negli stadi. Sarà una grande festa, un karaoke, dove cercheremo di far divertire tutti.

La storia dell’Impressionismo inizia in Normandia. Nel novembre del 1872, dalla finestra al terzo piano dell’Hotel Amirauté sul Grand Quai a Le Havre, il giovane pittore Claude Monet dipingeva il sole che emergeva dal mare fra le brume autunnali, le ciminiere fumanti e le gru del porto commerciale. Due anni dopo, la tela veniva esposta con il titolo Impressione, levar del sole, in occasione di una mostra ‘rivoluzionaria’ per l’epoca, insieme alle opere di altri 31 artisti - tra cui Renoir, Degas, Pissarro, Cézanne e Morisot - rifiutati dal mondo dell’arte accademico e ufficiale. In una recensione al vetriolo il giornalista di Le Charivari, Louis Leroy, particolarmente critico nei confronti della tela di Monet, chiamò l’esposizione “Mostra degli impressionisti”, e da allora questo gruppo di artisti fu definito con questo termine, destinato a passare alla storia. All’Impressionismo e alla Normandia, con il suo paesaggio vitale, lo scintillio del mare e le valli verdeggianti, punto di riferimento per numerosi artisti e laboratorio in cui sperimentare le suggestioni e le forme di una nuova pittura, è dedicata la mostra curata da Alain Tapié, nella bella sede del Museo degli Innocenti di Firenze. Settanta opere di artisti noti (da Delacroix a Courbet, da Monet a Renoir) e meno conosciuti (come Noël e Lepic), provenienti dalla Collezione Peindre en Normandie, insieme a prestiti del Musée d’art moderne di Le Havre e di collezioni private, conducono in un viaggio tra le falesie di Étretat, il litorale da Honfleur a Deauville, le spiagge di Trouville, le alture di Sainte-Adresse, e poi, lungo il corso della Senna, da Le Havre ad Argenteuil, Rouen, fino a Giverny, luogo incantato caro a Monet, dove regnano sovrani l’acqua, il cielo, le colline verdeggianti e i campi di fieno.

«L’Impressionismo ha due nascitespiega Tapié -, una, più artistica, a Parigi; una più naturalistica in Norman-

DALLE SCOGLIERE DI ÉTRETAT ALLE NINFEE DI GIVERNY

VIAGGIO NEL CUORE

DELL'IMPRESSIONISMO

Settanta le tele di grandi maestri esposte nella sede del Museo degli Innocenti di Firenze, testimoni di una delle correnti artistiche più importanti e popolari della storia della pittura moderna

di Serena Colombo

dia. Qui c’è un incontro tra i pittori e la natura, tra la fisica della natura e quella della pittura. Questa fisica della natura, costituita da luce, texture, umidità: la Normandia è un paese umido e per essere impressionisti bisogna lavorare nell’umidità! Un grande storico dell’arte diceva che nell’acqua si vede la divisione del colore e la diffrazione della luce». Furono gli acquarellisti inglesi come William Turner e Richard Parkes Bonington che, attraversata la Manica per abbandonarsi allo studio di paesaggi, trasmisero la loro capacità di tradurre la verità e la vitalità della natura ai pittori francesi. Questi ultimi iniziarono a lavorare en plein air (gra- 2

1. Claude Monet, Ninfee rosa, 1897-1899 olio su tela, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, Roma

2. Edouard Vuillard, Il giardino ad Amfreville, 1905-1907 ca., olio su cartone su tavola, Caen, Collection Peindre en Normandie, dépôt à la Ville de Deauville, Les Franciscaines © Région Normandie/ Inventaire général/Patrick Merret

3. Eugène Boudin, Trouville, il molo con l’alta marea, 1888-1895 ca., olio su tavola, Caen, Collection Peindre en Normandie, dépôt à la Ville de Deauville, Les Franciscaines © Région Normandie/Inventaire général/ Patrick Merret

4. Foto della mostra Impressionisti in Normandia

zie all’invenzione dei tubetti di colore facilmente trasportabili) per cogliere «il respiro della luce del nord» e la ‘personalità’ intensa di quei paesaggi modellati dal vento e dal mare e immersi nella bruma.

«I romantici hanno fatto il loro tempo. Occorre ormai cercare le semplici bellezze della natura. […]. Far scoppiare l’azzurro», diceva Jean Boudin, il primo maestro di Monet, che Jean-Baptiste Camille Corot chiamava “re dei cieli” perché amava (sono parole sue) «Nuotare nel cielo; giungere fino alle ‘delicatezze’ delle nubi».

Un’eredità che Monet accolse e fece sua, ricercando per tutta la vita gli effetti della luce sulla natura e sulle co-

2

se. Cento sono i dipinti che il maggiore rappresentante degli impressionisti ha dedicato alle albe e ai tramonti di Le Havre, alle falesie di alabastro di Etretat e al pontile di Sainte-Adresse. Seguono poi i cicli, quello dei covoni o le trenta tele dedicate alla facciata della cattedrale di Rouen, capolavoro dell’architettura gotica francese che Monet ha fissato sulla tela nelle diverse ore del giorno e nelle quattro stagioni, osservandola da una stanza al secondo piano di un negozio di vestiti per signore affacciato proprio di fronte.

Fino a Giverny, un paesaggio creato dallo stesso Monet, sfruttando i ter-

reni generosi e ricchi di corsi d’acqua della regione. Il laghetto con le ninfee diviene la sua ossessione. Lo pensa, lo crea e poi lo dipinge, in ogni stagione e in ogni ora, osservando i riflessi della luce sulla superficie acquatica e il trascorrere delle nubi, trascrivendo i colori tenui dell’alba, come nella tela Ninfee rosa, prestito eccezionale della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, parte di una prima serie di otto tele che in seguito Monet dimenticò in un ripostiglio fino al 1914, quando tornò a far parte della quadreria nel suo primo atelier di Giverny. Nei suoi dipinti dedicati allo stagno di Giverny, Monet diceva di volere catturare il cielo nella profondità dell’acqua, di sentire la necessità di perdersi nei riflessi dello stagno per ritrovarsi. «È incredibile, scrive Marco Goldin, come Monet abbia continuato a contemplare quella bellezza, quel giardino, quello stagno, per rendere tutto ciò continuamente nuovo e diverso […] nella comprensione di una natura che andava dissolvendosi nell’aria, nelle sue trasparenze».

Impressionisti in Normandia Firenze, Museo degli Innocenti fino al 4 maggio www.museodeglinnocenti.it

Cultura

TANTI AUGURI RAGIONIER FANTOZZI!

Il personaggio cinematografico di Paolo Villaggio compie cinquant’anni. Era il 1975 quando nelle sale veniva proiettato il primo film dell’iconica serie

Non si direbbe, ma è trascorso mezzo secolo: sono passati cinquant’anni dall’uscita del primo film di Fantozzi, diretto da Luciano Salce. La pellicola debutta al cinema il 27 marzo 1975, e i primi minuti chiariscono subito che il personaggio di Ugo Fantozzi sarebbe stato diverso da quelli a cui il pubblico italiano era abituato. La prima inquadratura, infatti, è per la moglie Pina che, di spalle, sta chiamando timorosamente il centralino della società “ItalPetrolCemeTermoTessilFarmoMetalChimica” per dire che non ha più notizie del marito “da 18 giorni” e che ora comincia ad essere “un po’ preoccupata”. Dopo una segnalazione al fantomatico Ufficio Impiegati Smarriti, le ricerche del “ragionier Fantozzi

Ugo, matricola 7820/8 bis” terminano davanti ai vecchi gabinetti murati circa venti giorni prima.

di Valerio Maria Urru

È lì che qualcuno lo ha rinchiuso per sbaglio e da lì esce fuori, emaciato e sofferente, ma vivo. “Ho solo un leggero appetito”, risponde Fantozzi a quelli che gli chiedono come sta e come è successo. Poi un applauso, quasi per complimentarsi della sua capacità di sopravvivenza, riporta tutti alla normalità: Fantozzi è stato ritrovato; quindi, può tornare a lavorare le sue scartoffie. Quando rientra in ufficio capisce che nessuno ha notato la sua assenza: anche la signorina Silvani, per la quale il ragioniere nutre una cotta furibonda, non manifesta il minimo stupore nel vederlo. Solo Calboni, collega tiranno, pare essersene accorto e, facendogli un doloroso buffetto, gli dice: “Ah, ti sei imboscato, puccettì…”. Anche lui, però,

non è molto interessato e va a corteggiare la Silvani.

I primi cinque minuti di Fantozzi riescono a renderlo, da soli, un capolavoro del cinema italiano. Il resto è storia e continua a popolare il nostro inconscio cinematografico collettivo: dalla corsa per prepararsi la mattina al tentativo di prendere l’autobus al volo, dalla nuvola degli impiegati alla surreale partita a calcio tra scapoli e ammogliati, dalle allucinazioni a sfondo mistico allo scambio di regali ‘faraonici’ a Natale tra i dirigenti “nell’Olimpo del 18° piano”, dal Megadirettore Galattico alle poltrone in pelle umana, dalla non più avvenente moglie Pina alla scimmiesca figlia Mariangela. Un calembour dolceamaro di cadute e goffi tentativi di riprendersi la dignità che gli hanno fatto guadagnare un posto nella lista delle “cento pellicole che hanno cambiato la memoria collettiva del paese tra il 1942 e il 1978”. Concentrato di nevrosi, frustrazioni e tragicomiche avventure, Fantozzi resta ancora oggi il racconto dell’italiano medio alle prese con le difficoltà quotidiane. Dal lavoro alla famiglia, dalle aspirazioni agli insuccessi, il ragioniere è l’incarnazione del fallimento: non ha nessun complesso di inferiorità, lui “è” inferiore, come gli suggerirà lo psicologo della mutua qualche anno dopo in un’altra pellicola. Siamo di fronte, insomma, a un fenomeno di massa che ormai fa parte del nostro vocabolario, come dimostra la presenza dell’aggettivo ‘fantozziano’ nel Grande Dizionario della Lingua Italiana dell’Accademia della Crusca. Nien-

te male, dopo tutto, per un uomo che non riusciva neppure a pronunciare i congiuntivi in modo giusto tra “Venghi, ragioniere!”, “Allora, ragioniere, che fa? Batti?” e “Filini, facci lei”. In questi cinquant’anni Fantozzi non ci ha solo fatto ridere con la sua comicità paradossale, mentre calcava la mano sul cinismo e l’indifferenza della società. Ci ha insegnato che la vita da impiegato può essere feroce come quella in trincea; che i potenti restano potenti anche se stupidi; che i deboli per sopravvivere devono diventare servili; che alla fine solo chi fallisce è umano, non i prevaricatori senza dignità. E se parliamo di dignità, impossibile non ricordare i primi minuti di Fantozzi va in pensione del 1988, settimo capitolo della saga, e la scena del saluto ai neopensionati. Quell’inizio racchiude tutta la filosofia del lavoratore frustrato, un perfetto sconosciuto persino per l’azienda che lo ha sfruttato per decenni, e che, immancabilmente, sbaglia il suo cognome in “Fantocci”. Ma lui, il ragioniere più sfortunato d’Italia, non molla mai. Neppure dinanzi a quell’ultimo tentativo di stroppiargli il cognome: “Io veramente mi chiamerei Fantozzi”, dice il ragioniere calcando la zeta con chi lo ha chiamato per la premiazione. “Certo, Fantocci”, gli risponde l’altro. Non è da meno l’immortale Megadirettore Galattico con il suo: “Ah, caro Bambocci, non la scorderemo mai”. “Ma io veramente mi chiamo Fantozzi…”, risponde lui trasecolato. “Controlliamo”, gli dice. Tutto sembra risolversi quando lo rincuorano: “Ha ragione lei, non si chiama Bambocci…”. Peccato che nell’orologio donato dall’azienda per cui ha lavorato oltre trent’anni sia inciso “Rag. Pupazzi Ugo”. Sconosciuto e bistrattato sino alla fine, insomma. Ma intanto, caro ragioniere, ci ha fatto ridere oltre ogni aspettativa. Auguri per questi suoi primi cinquant’anni.

Tecnologia

ELIZA

RIEMERGE DAL PASSATO

sorprendere persino il suo stesso creatore: molte persone si affezionarono a Eliza, convinte di trovarsi davanti a una macchina che davvero le capiva. Poi, l’evoluzione di nuove tecnologie ha portato l’oblio.

Per anni, il codice sorgente di Eliza è rimasto sepolto negli archivi del Mit, scritto in Mad-Slip per il sistema Ctss su un Ibm 7094, un linguaggio ormai dimenticato dai più.

Recentemente, grazie agli sforzi di esperti di archeologia digitale come Jeff Shrager e Myles Crowley, il programma è stato riportato alla luce. Gli strumenti utilizzati sono stati un debug (pulizia da errori, ndr) del codice, ma anche lo sviluppo di un emulatore capace di replicare l’hardware di 60 anni fa.

Un ritrovamento che non solo permette di rivedere da vicino il funzionamento di una delle prime simulazioni di dialogo uomo-macchina, ma che ci offre anche una finestra sul pensiero computazionale degli Anni ’60.

Sepolto negli archivi del Mit per decenni, il codice sorgente di Eliza, esempio di dialogo testuale uomo-macchina, è stato riportato alla luce

Un ritrovamento che fa riflettere sull’evoluzione dell’intelligenza artificiale dai primi codici ad oggi

C’è un fascino particolare nelle scoperte che riportano alla luce qualcosa di perduto. Come gli archeologi che dissotterrano antiche tavolette cuneiformi, un gruppo di ricercatori si è immerso negli archivi informatici del Mit di Boston, alla ricerca di un frammento fondamentale della storia digitale. Il recupero è stato il codice sorgente originale di Eliza, il primo chatbot della storia, sviluppato nel 1966 da Joseph Weizenbaum, finora ritenuto perso per sempre.

Eliza non era un’intelligenza artificiale nel senso moderno del termine, ma una simulazione di conversazione, basata su semplici regole di riconoscimento del linguaggio. Il suo obiettivo era quello di ricreare il tono di uno psicoterapeuta, che rispondeva alle affermazioni dell’interlocutore con domande aperte e incoraggianti. Un trucco semplice, ma così efficace da

E se oggi l’archeologia digitale è una disciplina che sta acquisendo sempre più importanza è perché recuperare vecchi codici e software non è solo un esercizio nostalgico, ma un modo per comprendere meglio il percorso che ci ha portati fino alle moderne intelligenze artificiali. Mentre Eliza poteva solo ripetere e riformulare frasi, oggi i chatbot come ChatGPT utilizzano reti neurali avanzate per generare testi complessi e contestualizzati, lasciando gli stessi sviluppatori a bocca aperta davanti ad un’evoluzione tanto impressionante. Adesso l’intelligenza artificiale può scrivere saggi, comporre poesie, fare podcast e persino sostenere conversazioni su argomenti tecnici di qualunque natura. Il ritrovamento del codice di Eliza è un promemoria di quanto lontano siamo arrivati. Come una mappa del passato digitale, ci aiuta a capire da dove siamo partiti e a interrogarci su quale sarà il prossimo passo nell’evoluzione dell’intelligenza artificiale.

Tecnologia e dintorni

CURIOSITÀ

1954. Reynold Johnson guida un team Ibm per creare sistemi di archiviazione che sostituiscano schede perforate e nastri magnetici. Due anni dopo nel 1956, ecco l’Ibm 305 Ramac, il primo Hard Disk Drive della storia

1

SFRUTTIAMO GOOGLE MAPS AL MASSIMO

Con l’estensione Routora possiamo ottimizzare i percorsi

Google Maps dispone di funzionalità utili, ma alcune estensioni possono migliorarne l’esperienza. Routora, ad esempio, può pianificare un viaggio con più destinazioni, elencando le fermate in ordine d’inserimento e calcolando il percorso più veloce e breve. Per integrare Routora, tramite Google Chrome, si accede al Chrome Web Store e si procede con ‘Aggiungi’. Inserite le fermate su Google Maps, si clicca su Routora: ora nella nuova scheda di Google Maps le destinazioni sono ottimizzate.

2 I RANSOMWARE COMPIONO 35 ANNI

Da Aids a GPCode, passando per i bitcoin dei riscatti

Solo nel 2024 avrebbero generato perdite per oltre un miliardo di dollari. I ransomware - cyber attacchi in grado di prendere in ostaggio i nostri dati per poi richiedere un riscatto - hanno compiuto 35 anni. La loro storia inizia nel 1989 con il Trojan Aids, creato da Joseph L. Popp. L’era del ransomware moderno prosegue nel 2004: GPCode si diffonde attraverso e-mail di false offerte di lavoro. Nel 2010, l’avvento del bitcoin - usato per pagamenti anonimi e difficilmente tracciabili - ha spinto sempre più il fenomeno.

3

INTELLIGENZA

ARTIFICIALE PER LA BOTANICA

PictureThis riconosce oltre diecimila tipi di piante

Immaginate di poter identificare una pianta facendole uno scatto. Fin qui nulla di strano, ormai è quasi normale con l’IA. Ma se fosse possibile anche fare una diagnosi delle eventuali patologie e, magari, ricevere suggerimenti per curarle? È proprio quello che fa PictureThis, app che sfruttando l’IA è in grado di suggerirvi la strategia migliore, i tempi di annaffiamento, persino se una pianta è tossica per voi o i vostri animali. La vasta enciclopedia e le guide premium la rendono un’app utile agli appassionati.

4

LA TERZA SPUNTA BLU DI WHATSAPP

Molte polemiche per la nuova funzione di sicurezza

WhatsApp usa diverse spunte sullo stato dei messaggi: spunta grigia, messaggio inviato; due grigie, messaggio ricevuto; due spunte blu: messaggio letto. Ora è in arrivo una terza spunta per segnalare quando si effettua lo screenshot di una conversazione. Una nuova funzione di sicurezza con cui il noto social dimostra di tenere alla privacy dei suoi utenti, più consapevoli così della gestione delle loro conversazioni. Per il momento è in fase di test nella versione Beta, ma ha già sollevato molte polemiche.

A Milano, dal 19 al 20 marzo, c’è la XIII edizione del Cybersecurity Summit Tra i temi, hacking malevolo, Mafie 4.0 e crittografia quantistica. Per saperne di più: www.theinnovationgroup.it/events/cybersecurity-summit-2025

GLI ULTIMI DIFENSORI

UNA SCUOLA PER IMPARARE A ‘VOLARE’

Numero uno. Nonostante il calcio moderno abbia innovato la numerazione dei giocatori e in campo si possano ormai vedere numeri a due cifre, storicamente la maglia numero uno è quella che fa pensare solo al portiere. Uno, perché l’estremo difensore è l’unico che può toccare la palla con le mani all’interno dell’area di rigore, inoltre è lui il giocatore che ha l’incarico di presidiare una zona ben precisa del campo, ultimo e prezioso difensore della porta: 7 metri e 32 centimetri per 2 e 44 di altezza, croce e delizia di ogni portiere, dal giovane dilettante al consumato campione, luogo emblematico in cui vivere, in solitudine e con la squadra, le emozioni positive e negative che ogni partita offre. Ma molto sta cambiando in questo

A Roma ‘Passione Portiere’ si dedica all’allenamento dei giovani dentro e fuori dal campo tra tecniche e valori Lo raccontano i coach ruolo che rimane fondamentale anche nel calcio di oggi. E in un’Italia che in quanto a portieri ha insegnato molto a tutto il mondo - basti fare i nomi di Albertosi, Zoff e Buffon -, sono nate da diversi anni scuole dedicate esclusivamente alla preparazione fisica e mentale dei portieri. 50&Più ha messo il naso in una delle più prestigiose: “Passione Portiere”. Accolti dai fondatori di questa realtà, che opera a

Roma, Stefano Scovacricchi, Vincenzo Saccoccio e Fabrizio Massetti, siamo andati ad indagare ciò che il portiere era ieri, è oggi e sarà domani. Non pochi i segreti che i ‘magnifici tre’ coach ci hanno rivelato. Il compito primario? Formare, perfezionare, rifinire la preparazione degli atleti, che spesso già giocano in squadre, in cui però all’allenamento dei portieri è dedicata una piccola parte della seduta preparatoria alla partita. «La scuola - sottolinea Stefano - vuole dare qualcosa in più rispetto al training che il portiere riceve nei consueti allenamenti». Il calcio odierno è diventato più veloce, più atletico, più tattico rispetto al passato e c’è dunque bisogno di una revisione del ruolo di chi in campo non può sbagliare o, almeno, sbagliare il meno possibile. Proprio per questo, ci dice Vincenzo:

In queste immagini, alcuni momenti delle sessioni di allenamento della scuola di preparazione “Passione Portiere”

«Il portiere moderno non deve solo saper parare, ma avere i fondamentali per partecipare integralmente al gioco della squadra». Insomma, “buone mani ma anche buoni piedi”, doti che ne fanno un giocatore completo nel fisico e nella testa, idoneo alle esigenze di uno sport che non è più quello di pochi decenni fa. Questo percorso, evidenziano i coach, va portato avanti sin dall’inizio dell’attività agonistica. «È importantissimo - ricorda Fabrizio - prestare attenzione ai più giovani per rafforzarne il carattere, la psicologia, l’emotività; insegnare che si può sbagliare, ma ci si deve rialzare subito, in tutti i sensi. Fondamentale - dice ancora - il rapporto con i genitori, che testimoniano come spesso l’attività nella scuola abbia poi per i ragazzi ricadute positive nella vita familiare e interpersonale».

Il ruolo del portiere non viene assegnato, ma è di solito scelto dal giovane calciatore, perché per l’essere umano non è naturale volare, anche se a 50 centimetri dal suolo. Dunque, vocazione e passione devono convivere in chi si assume la grande responsabilità di difendere l’ultimo e decisivo baluardo: la porta. A “Passione Portiere”, oltre a come stare in campo, si guarda con attenzione a tutti questi aspetti umani ed emotivi, proprio per rispondere positivamente a qualsiasi evento. E in un calcio, che da qualche hanno si declina anche al femminile, è inevitabile dedicare attenzione anche alle giovani calciatrici e, in particolare, alle ragazze che scelgono di giocare in porta. Tutto è nuovo nel calcio di oggi. È cambiato il terreno: soprattutto nelle serie inferiori non ci sono più campi in terra battuta, ma sono ormai tutti in erba sintetica o naturale e il portiere non è più soggetto a quegli

«È importantissimo prestare attenzione ai più giovani per rafforzarne il carattere, la psicologia l’emotività; insegnare che si può sbagliare ma ci si deve rialzare subito, in tutti i sensi»

inevitabili incidenti dovuti all’impatto col suolo. È cambiato il pallone: addio alle sfere in cuoio, che diventavano pesantissime in caso di pioggia. Hanno lasciato il posto a palloni in materiali impermeabili. È cambiata anche l’estetica del portiere. Le divise nere o grigie di qualche decennio fa sono state sostituite da completi multicolori. Immancabili i guanti, che un tempo erano un’eccezione. È mutata la struttura fisica: raro vedere un portiere che sia più basso di 1 metro e 90 centimetri. Strumentazioni particolari vengono utilizzate negli allenamenti, come la ‘macchina sparapalloni’. Il tutto per mirare a una preparazione sempre più efficace.

E, nonostante tutto cambi, c’è sempre qualcosa che rimane. Mi viene in mente un episodio che negli Anni ’60 costò lo scudetto alla Grande Inter di Helenio Herrera: nell’ultima giornata di campionato l’estremo difensore neroazzurro, considerato una vera e propria saracinesca, Giuliano Sarti, incappò in una clamorosa ‘papera’. Alla parola ‘papera’, Scovacricchi, Saccoccio e Massetti mi redarguiscono bonariamente: «Non esiste la papera, ma l’errore tecnico. Ma è importante reagire anche di fronte all’infortunio più marchiano, sempre in agguato, perché, anche dall’errore più madornale, si forma il grande portiere di domani».

L'angolo della veterinaria

a cura di Irene Cassi

COSA SI NASCONDE DIETRO

L'AGGRESSIVITÀ

DEL GATTO

Paura, irritazione e conflitto: tante le dinamiche e le circostanze che rendono il pet vulnerabile negli atteggiamenti e nel rapporto tra simili e con umani

L’aggressività è da ritenersi un comportamento assolutamente normale quando si manifesta in un contesto appropriato e rappresenta una strategia efficace per la sopravvivenza dell’individuo. Non a caso, infatti, l’etologo e zoologo Konrad Lorenz considerava l’aggressività come un istinto animale necessario per l’adattamento e la sopravvivenza della specie. L’aggressività può essere interspecifica quando è rivolta ad altre specie animali; è, invece, intraspecifica quando avviene tra conspecifici.

QUANDO DIVENTA PATOLOGIA?

L’aggressività diventa patologia quando si manifesta senza motivazione. In genere, è determinata da uno stato di malessere psicofisico vissuto dall’animale e o sintomo di un malessere organico.

Le condizioni cliniche che possono determinare aggressività felina sono: avvelenamento da piombo, encefalopatia epatica, encefalopatia ischemica felina, epilessia, ipertiroidismo, meningioma (più frequente nei gatti anziani), rabbia e toxoplasmosi.

COME SI MANIFESTA

Nel gatto l’aggressione si svolge in tre tempi: la minaccia, l’aggressione con morsi e/o graffi e la fuga. Diversamente dal cane, nel gatto non esiste una posizione di sottomissione capace di inibire l’aggressività del suo avversario.

AGGRESSIVITÀ INTRASPECIFICA

L’aggressività intraspecifica avviene tra conspecifici ovvero tra soggetti appartenenti alla stessa specie, e si può manifestare sia tra gatti dello stesso sesso che fra maschi e femmine. Generalmente, i conflitti tra maschio-maschio insorgono più facilmente se ambedue non sono castrati, e sono spesso scatenati dalla presenza di una femmina fertile. Secondo gli studiosi, sarebbe il testosterone ad avere una forte influenza sul comportamento aggressivo dei gatti. Diverse ricerche dimostrano che, effettuando la castrazione prima dei 12 mesi d’età, si ridurrebbero le lotte dell’88%.

AGGRESSIVITÀ INTERSPECIFICA

Tendenzialmente è piuttosto difficile che il gatto aggredisca una persona o un altro animale di specie diversa senza una valida motivazione. In genere, ai conflitti preferisce la fuga o l’immobilità. Le manifestazioni aggressive nei confronti dell’uomo solitamente si verificano per paura, irritabilità o territorialità. In ogni caso, esprimono un disagio psichico del pet. Un’ansia determinata dalla paura per alcuni oggetti, dalla presenza di ospiti o da una mal gestione del territorio portano spesso il gatto ad assumere comportamenti aggressivi anche nei confronti di persone o animali con cui il pet ha una relazione piuttosto stretta. Questo comportamento sembra talora inspiegabile,

finché non viene valutato con attenzione dal medico veterinario comportamentalista.

IN CASO DI CONFLITTI TRA GATTI NON INTERVENIRE

Se il gatto ha un comportamento aggressivo nei confronti di un suo conspecifico che vive nella stessa abitazione, è opportuno non intervenire per non essere morsi o graffiati. Chiedere aiuto ad un esperto è sicuramente la scelta migliore.

AGGRESSIVITÀ DA PAURA

L’aggressività da paura si verifica quando il pet percepisce un potenziale pericolo, come le urla del proprietario o un rumore improvviso. In queste circostanze il gatto assumerà una postura con orecchie all’indietro, dorso arcuato e pelo eretto.

AGGRESSIVITÀ DA IRRITAZIONE

L’aggressività da irritazione si manifesta come risposta a un dolore, a una frustrazione o a una costrizione.

AGGRESSIVITÀ TERRITORIALE

Essendo un animale territoriale e dividendo il suo spazio in campi, il gatto non gradisce persone, conspecifici o altri animali che invadono il suo territorio. Il pet che manifesta aggressività territoriale tende a sorvegliare in modo attivo e con marcature olfattive il proprio territorio.

AGGRESSIVITÀ PER GIOCO

Per evitare comportamenti aggressivi durante l’attività ludica, è necessario insegnare ai proprietari a giocare in modo corretto con il gatto, senza utilizzare le mani e i piedi, che altrimenti saranno poi considerati dal pet come prede.

AGGRESSIVITÀ REDIRETTA

L’aggressività rediretta si manifesta quando il gatto sfoga la sua rabbia

con il primo soggetto accessibile. La vittima, non capendo il motivo, tende poi ad evitare il pet per paura. In realtà, non c’è da comprendere niente, ma solo che tutta quella rabbia non era diretta verso di lui.

SE IL GATTO È AGGRESSIVO

È sempre opportuno rivolgersi al comportamentalista che, tramite una visita, riuscirà a capire quale sia la causa che ha determinato questo

malessere nel pet. Un buon arricchimento ambientale e una suddivisione appropriata dello spazio sono senza dubbio essenziali per il benessere psicofisico del gatto, ma non sono sufficienti. Molti comportamenti errati da parte dei proprietari, ambienti rumorosi, liti troppo frequenti tra i familiari e l’arrivo di un ospite o un animale, potrebbero creare un disagio psichico al pet, tanto da farlo diventare aggressivo.

La fase aggressiva nel gatto si svolge in tre tempi

ASSEGNO UNICO 2025

DOMANDA, NUOVI IMPORTI E SOGLIE ISEE

Rimane valida la domanda di Assegno unico presentata negli anni precedenti, ma l’Isee determina gli importi e va rinnovato entro il 30 giugno 2025

Anche quest’anno l’Assegno unico viene erogato dall’Inps d’ufficio, a condizione che negli archivi dell’Istituto risulti una domanda precedentemente trasmessa e nello stato di “accolta”. La presentazione di una nuova domanda rimane però necessaria nel caso in cui il beneficiario abbia ricevuto comunicazione di decadenza, revoca o rifiuto della precedente richiesta. È inoltre fondamentale segnalare eventuali variazioni come una nuova nascita o il raggiungimento della maggiore età di un figlio. Lo comunica l’Inps nella circolare 33 del 4 febbraio 2025, nella quale l’Istituto precisa anche che “ai fini della determinazione dell’importo della prestazione sulla base della corrispondente soglia Isee è necessaria la presentazione di una nuova Dichiarazione Sostituiva Unica (Dsu) per l’anno 2025, correttamente attestata”.

L’Assegno unico e universale (Auu), introdotto a decorrere dal 1° marzo 2022 a sostegno delle famiglie con figli a carico, nel 2024 ha raggiunto circa 6 milioni di nuclei familiari, con un numero totale di figli di circa 9,5 milioni. L’assegno è definito “unico” perché sostituisce molte misure di tipo fiscale e assistenziale riconosciute in precedenza, e “universale”, in quanto l’importo spettante è determinato in base alla condizione economica del nucleo familiare e varia in ragione del valore Isee, ma è garantito in misura minima a tutte le famiglie con figli

a carico, anche in assenza di Isee o con Isee superiore alla soglia massima (€ 45.939,56 per l’anno 2025). A tal proposito, nella citata circolare, l’Inps ricorda che senza un Isee aggiornato, a partire da marzo 2025 l’assegno verrà erogato nella misura minima. Presentando però l’Isee entro il 30 giugno, l’importo sarà ricalcolato e verranno corrisposti gli eventuali arretrati spettanti. Indipendentemente dall’Isee, a decorrere dal 1° gennaio 2025 tutti gli importi dell’assegno sono stati comunque adeguati applicando un incremento dello 0,8%, in linea con il tasso di rivalutazione stabilito dall’Istat per il 2024. L’adeguamento ha comportato un aumento dell’assegno minimo, al netto delle maggiorazioni, da 57 a 57,50 euro (per chi non presenta l’Isee o in presenza di una soglia Isee oltre i 45.824,72 euro) e da 199 a 201 euro dell’importo massimo, in presenza di Isee fino a 17.227,33 euro. La maggiorazione prevista per i due genitori lavoratori è salita a 34,40 euro per ciascun figlio. Le famiglie hanno ricevuto l’aumento a partire dalla mensilità di febbraio 2025, mentre l’arretrato relativo al mese di gennaio 2025 sarà accreditato a partire dal mese di marzo.

La rivalutazione si applica non solo agli importi dell’assegno, ma anche alle relative fasce Isee e alle maggiorazioni previste per i nuclei familiari che si trovano in determinate condizioni.

L’Inps ricorda che, oltre alle maggio-

razioni già previste e riportate nella tabella allegata alla circolare 33 del 2025 (maggiorazioni per figli con disabilità, per figli ulteriori al secondo, per madri di età inferiore a 21 anni e bonus per i genitori entrambi lavoratori), continuano a sussistere, in presenza di determinati requisiti, ulteriori maggiorazioni:

● maggiorazione compensativa e transitoria (gennaio-febbraio 2025) per i nuclei familiari con Isee fino a 25.000 euro che nel 2021 abbiano ricevuto l’assegno per il nucleo familiare (Anf);

● aumento del 50% dell’assegno spettante ai nuclei con figli di età inferiore a un anno;

● aumento del 50% dell’assegno spettante - per ogni figlio di età compresa da uno a tre anni - ai nuclei familiari con almeno tre figli e indicatore Isee pari o inferiore alla fascia massima;

● maggiorazione forfettaria pari a 150 euro per i nuclei con almeno quattro figli a carico.

Il pagamento dell’Assegno unico avviene mensilmente con accredito sul conto corrente, indicativamente dal 17 al 20 del mese.

Nel caso di presentazione di una nuova domanda o di variazione, l’Inps accredita l’importo a partire dal mese successivo, di solito nell’ultima settimana, per poi procedere, a partire dal secondo mese di pagamento, all’accredito dell’assegno in base al calendario ordinario.

PENSIONE ANTICIPATA CON OPZIONE DONNA

Verifica presso il Patronato

50&PiùEnasco se hai i requisiti per andare in pensione anticipata con Opzione Donna.

CHI NE HA DIRITTO

Per beneficiare di Opzione Donna è necessario appartenere a una delle seguenti categorie: caregiver, invalide civili al 75%, disoccupate ed essere in possesso dei seguenti requisiti:

61 anni di età con possibilità di riduzione di un anno per ogni figlio, fino a un massimo di due anni

Almeno 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2024

Chiama il numero unico nazionale o trova la sede a te più vicina sul nostro sito www.50epiuenasco.it

Gli uffici

50&PiùEnasco sono a tua disposizione per una consulenza e per l’inoltro della domanda di pensione.

LEGGE DI BILANCIO 2025

DETRAZIONI ONERI E SPESE AI FINI IRPEF, COME CAMBIANO?

Tra le modifiche introdotte dall’articolo 16 ter

D.P.R. n. 917/1986, anche nuovi limiti legati al reddito complessivo e al numero di figli a carico

La Legge di Bilancio 2025, con l’articolo 1, comma 10, ha apportato non poche modifiche al sistema impositivo Irpef dei contribuenti.

RIORDINO DELLE DETRAZIONI

La norma in esame con l’introduzione dell’articolo 16 ter del D.P.R. n. 917/1986, ha previsto importanti limiti alla detrazione degli oneri e delle spese ai fini Irpef, ponendo:

· un limite delle spese in funzione del reddito complessivo del contribuente e al numero dei figli a carico (assenza di figli, presenza di uno, due o più figli, con o senza disabilità);

· un limite alle spese e agli oneri che il contribuente potrà detrarsi.

LIMITE IN FUNZIONE DEL REDDITO COMPLESSIVO E DEL NUMERO DEI FIGLI A CARICO

La Legge in esame, in primis, ha stabilito un limite parametrato al reddito complessivo dichiarato ai fini Irpef e, in particolare, ai redditi complessivi:

· fino a 75.000 euro;

· tra 75.001 e 100.000 euro;

· oltre i 100.000 euro.

LIMITE ALLE SPESE E AGLI ONERI DA POTERSI DETRARRE

A ciascuno dei suddetti scaglioni di reddito sopra indicati, corrisponde un importo totale di spese e di oneri che il contribuente potrà detrarsi in sede di dichiarazione dei redditi (Modello 730 o Modello redditi persone fisiche, rispettivamente, quadro E o RP) e, in

particolare, ai redditi complessivi:

· fino a 75.000 euro non è stabilita alcuna limitazione se non quelle previste dalle singole disposizioni di legge delle spese e degli oneri;

· superiori ai 75.000 fino a 100.000 euro è stabilito un limite complessivo di spese e di oneri detraibili di 14.000 euro, sempre nel rispetto delle singole disposizioni di legge delle spese e degli oneri;

· oltre i 100.000 euro è stabilito un limite complessivo di 8.000 euro, nel rispetto delle singole leggi delle spese e degli oneri.

Questi importi vengono moltiplicati per i coefficienti indicati dalla norma, diversi in base al numero di figli a carico.

COEFFICIENTI RETTIFICATIVI IN FUNZIONE DELLA COMPAGINE DEL NUCLEO FAMILIARE

La norma in esame prevede che gli oneri e le spese per cui le singole disposizioni di legge prevedono la relativa detrazione ai fini Irpef, considerati complessivamente, sono ammessi in detrazione fino all’ammontare calcolato moltiplicando l’importo base determinato in corrispondenza del reddito complessivo del contribuente, sopra indicato (ovvero fino a 14.000 euro o a 8.000 euro), per il coefficiente di seguito indicato, diverso in funzione della compagine del proprio nucleo familiare. A tale proposito la norma fa un distinguo se i componenti del nucleo familiare sono o meno a carico fiscalmente del dichiarante (articolo 12, comma 2, del D.P.R. n. 917/1986):

a) 0,50, se nel nucleo familiare non sono presenti figli che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 12, comma 2; (non è a carico fiscalmente);

b) 0,70, se nel nucleo familiare è presente un figlio che si trova nelle condizioni previste dall’articolo 12, comma 2 (a carico fiscalmente);

c) 0,85, se nel nucleo familiare sono presenti due figli che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 12, comma 2;

d) 1, se nel nucleo familiare sono presenti più di due figli che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 12, comma 2, o almeno un figlio con disabilità accertata ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

ESCLUSIONI DAL LIMITE

GENERALE DELLA DETRAZIONE Dal computo dell’ammontare complessivo delle spese ammesse in detrazione sono previste diverse esclusioni, come per gli oneri di cui all’articolo 15, comma 1, lettera c); lettere a) e b), e 1-ter), e lettere f) e f-bis), sostenuti in dipendenza di contratti stipulati fino al 31 dicembre 2024, e le rate delle spese per interventi edilizi detraibili o per altri casi di detrazione ripartita in più annualità (articolo 16 bis e specifiche disposizioni) sostenute fino al 31 dicembre 2024.Sono escluse, anche, le somme di cui agli articoli 29 e 29 bis D.L. n.17/2012 e 4 D.L. n. 3/2015 commi 9, seconda parte, e 9 ter.

ISEE 2025

LA CERTIFICAZIONE ISEE DÀ DIRITTO A:

tariffe agevolate per le prestazioni socio sanitarie riduzione delle tasse scolastiche (es. nido, università, mensa) incentivi statali assegno unico familiare bonus nascite ADI (Assegno di inclusione) riduzione per servizi di pubblica utilità (bonus energia, idrico, gas); agevolazione abbonamenti trasporti

L’ISEE in corso di validità permette di richiedere prestazioni sociali agevolate e riduzioni di costo di alcuni servizi di pubblica utilità

RIVOLGITI A 50&PIÙCAF PER RINNOVARLO!

Chiama il numero unico nazionale o trova la sede a te più vicina sul nostro sito www.50epiucaf.it

Gli Uffici 50&PiùCaf sono a tua disposizione per offrirti assistenza e consulenza nell’elaborazione dell’attestazione ISEE

EVENTI 50&PIÙ 2025

Nel corso degli anni 50&Più ha dato vita a manifestazioni nazionali che si caratterizzano innanzitutto per essere momenti di socializzazione e di riconoscimento tra soci: eventi culturali, sportivi e ricreativi volti a creare uno spirito identitario e di partecipazione alla vita associativa, e momenti di crescita personale. Per il 2025 50&Più propone appuntamenti dal carattere turistico-associativo (Incontri 50&Più, Olimpiadi 50&Più, Natale e Capodanno insieme), oltre ad appuntamenti “artistico-culturali” (il Concorso "Appuntamento con la creatività" e Italia In…canto). A questi si aggiungono tante proposte turistiche per arricchire il proprio bagaglio di conoscenze.

OLIMPIADI 50&PIÙ

31a edizione delle Olimpiadi 50&Più, incontri a tema sportivo e spettacoli.

dal 14 al 22 settembre

Castellaneta Marina (TA)

Bluserena Ethra Reserve

INCONTRI 50&PIÙ - 2 TURNI DA 8 NOTTI

L’evento 50&Più per godere del bel mare della Sardegna, a cui si aggiungono attività culturali e ludiche.

dal 3 all’11 giugno

dall’11 al 19 giugnoMarina di Orosei (NU)Club Hotel Marina Beach

CONCORSO 50&PIÙ - APPUNTAMENTO CON LA CREATIVITÀ

Laboratori creativi e premiazione della 43a edizione del Concorso 50&Più Prosa, Poesia, Pittura e Fotografia.

dall’11 al 16 luglio

Baveno (VB)

ITALIA IN…CANTO

Concorso canoro ideato e dedicato a cantanti dilettanti over 50.

dal 24 al 27 novembre

Napoli

Hotel Royal Continental

CAPODANNO INSIEME

Diverse proposte turistiche per trascorrere insieme, in serenità e allegria, le festività.

dal 28 dicembre al 2 gennaio 2026

IN DEFINIZIONE

IN DEFINIZIONE

GIUGNO
Grand Hotel Dino (Zacchera Hotels)
LUGLIO

PROPOSTE TURISTICHE

FEBBRAIO

Caraibi e Antille MSC Crociere partenza: dal 15 al 22 febbraio

Colombia partenza: dal 23 febbraio al 6 marzo

MARZO

Slovenia partenza: dal 16 al 26 marzo

Tenerife Alpiclub Jacaranda partenza: dal 17 al 31 marzo

Crociera fluviale "Romantico Reno" partenza: dal 21 al 28 marzo

APRILE

Agrigento partenza: in definizione

MAGGIO

Cina classica partenza: dal 13 al 24 maggio

Albania da scoprire partenza: dal 19 al 26 maggio

Crociera - Costa Toscana partenza: dal 24 al 31 maggio

OTTOBRE

Tour Grecia classica e le Meteore partenza: dal 4 al 10 ottobre

NOVEMBRE

Sud Africa o Islanda partenza: data in definizione

Marocco - Marrakech partenza: data in definizione

Soggiorno per assaporare l’atmosfera di questa affascinante città ed escursione nel deserto con cena.

DICEMBRE

Crociera sul Nilo partenza: dall'8 al 15 dicembre.

ALTRE PROPOSTE DI VIAGGIO

Marrakech

Thailandia

Crociere marine da gennaio a dicembre, possibilità di prenotare itinerari nel Mediterraneo, Caraibi e Antille, Nord Europa, Asia, Nord America ed Emirati per crociere da sogno con Costa Crociere e MSC Crociere. Viaggi in italia da marzo a novembre: itinerari di gruppi precostituiti dalle sedi provinciali in varie località come Torino, Toscana, Basilicata, Puglia, Sicilia, Tuscia (Viterbo).

Soggiorni termali Ischia, Ischia + Tour delle isole, Abano Terme, Montecatini Terme, Portoroz (Slovenia).

Mercatini di Natale

Soggiorni nelle più caratteristiche località per vivere l’atmosfera natalizia.

Per maggiori informazioni e prenotazioni contattare: mail: infoturismo@50epiu.it - tel. 06.6871108/369 oppure la sede provinciale 50&Più di appartenenza (Aut. Reg. 388/87)

CONCORSO 50&PIÙ APPUNTAMENTO CON LA CREATIVITÀ

Si riparte con la 43a edizione del Concorso, l’Evento 50&Più rivolto a tutte le persone che vogliono trovare nell’esperienza artistica il piacere di comunicare e valorizzare la propria ispirazione e creatività.Nel corso della fase finale del Concorso, i concorrenti potranno partecipare a seminari e laboratori condotti da noti artisti e condividere la propria esperienza con altri “colleghi” pittori, scrittori, fotografi, dilettanti. Una Giuria, composta da affermati nomi della cultura, selezionerà le opere che saranno premiate con i due simboli del Concorso: la Farfalla e Libellula d’oro e d’argento.

GRAND HOTEL DINO (4 STELLE SUPERIOR) - BAVENO (VB)

A grande richiesta si ritorna sul Lago Maggiore!

Gli splendidi Hotel del Gruppo Zacchera Hotels, per la loro posizione privilegiata, il magnifico scenario del Lago Maggiore e delle Isole Borromee, la qualità del servizio, la professionalità e ospitalità attenta e personalizzata, sono una garanzia da oltre 150 anni!

Durante il soggiorno sarà prevista una escursione guidata alla scoperta dei dintorni, e inoltre sarà possibile effettuare escursioni facoltative, tra le quali: Locarno in Svizzera, le Isole Borromee o il Lago d’Orta, i giardini di villa Taranto o la Rocca Borromea di Angera.

QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE (6 GIORNI/5 NOTTI):

In camera doppia

Supplemento camera singola

Supplemento camera vista lago garantita

Riduzioni adulti e bambini 3°/4° letto

€ 740

€ 320

Su richiesta

Su richiesta

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione. Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

LA QUOTA COMPRENDE: Soggiorno (6 giorni/5 notti) in camera doppia in Hotel del gruppo Zacchera con trattamento di pensione completa (acqua minerale ai pasti, inclusa) • Partecipazione ai convegni e agli intrattenimenti proposti dall’organizzazione • Una escursione di mezza giornata • Ingresso alla piscina interna ed esterna • Assistenza staff 50&Più • Assicurazione.

LA QUOTA NON COMPRENDE: Trasporti da e per Baveno • Bevande extra ai pasti • Trattamenti presso il Centro Benessere SPA • Escursioni facoltative • Tassa di soggiorno (da regolare in loco) • Mance, extra in genere e tutto quanto non specificato.

CROCIERA COSTA TOSCANA MEDITERRANEO

La nave Costa Toscana è sinonimo di vacanza italiana: esperienze di gusto e divertimento vista mare. A bordo spettacoli, veri e propri viaggi nel gusto tra gli undici ristoranti, una Spa e una palestra di ultima generazione e tanto altro. Un viaggio tra Italia, Francia e Spagna, alla scoperta delle opere d’arte a cielo aperto del Mediterraneo. Con Costa si parte all’esplorazione di Savona, Marsiglia, Barcellona, Ibiza e Palermo, tra specialità iberiche e siciliane e nuove destinazioni da vivere dal mare. L’itinerario del Mediterraneo Occidentale si arricchisce di destinazioni, nuove rotte ed esperienze indimenticabili in luoghi iconici.

CETACEI LIGHT SHOW SANTUARIO DEI CETACEI

Uno spettacolo di luci svelerà i segreti di alcune delle creature marine più affascinanti: balene, delfini e megattere. Uno show innovativo, da un punto di vista unico: quello della nave in mare aperto.

MARE DI STELLE MARE DELLE BALEARI

In mare aperto, immersi nel buio più profondo del Mediterraneo verrete guidati da un ufficiale alla scoperta dei segreti dell'universo sotto a un cielo come mai visto prima, con lo sguardo a pianeti e costellazioni.

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione. Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

PROGRAMMA

29/05 In navigazione tra cielo e mare -

QUOTA PER PERSONA

TIPO CABINA CATEGORIA IN CAMERA DOPPIA

Interne IN2 € 610 (tasse escluse) + € 300 in singola

Esterne EC € 690 (tasse escluse) + € 380 in singola

Balcone BC € 720 (tasse escluse) + € 320 in singola

SUPPLEMENTI

E TASSE

Tasse Portuali (obbligatorie)

Pacchetto bevande My Drinks (facoltativo) € 175

Assicurazione e annullamento viaggio (obbligatoria) € 40

Tasse di servizio da pagare a bordo € 77

TEMPO DI RINASCITA

«A primavera si fanno le cure depurative

Giova ancora usare i medesimi abiti adoperati per l’inverno, specialmente quelli di fibra delicata»

Almanacco Barbanera 1887

a cura di

MARZO

Marzo è il mese in cui tutto si trasforma: l’aria, i colori, il vento che spazza via le nuvole, ma anche la nostra energia. Con l’arrivo dell’equinozio, la primavera spalanca le porte all’amata stagione che porta bel tempo e rinascita per la natura e per l’uomo. È il momento in cui la terra generosa ci regala i primi frutti delle semine d’autunno, ma ci invita anche a guardare avanti, tra trapianti e nuove semine. Mentre le giornate si allungano e il vento continua a scompaginare il cielo, anche il proverbio di “marzo pazzerello” ci ricorda che la stagione è mutevole. Tra scrosci improvvisi e giornate più calde, orti, giardini e balconi cominciano a germogliare. È anche il tempo della festa di San Giuseppe, per celebrare i papà, e poco prima, della Festa della donna, che ci invita a raccogliere la mimosa, prima esuberante fioritura dell’anno, simbolo di un inizio nuovo e pieno di vita.

LA PICCOLA NOCCIOLA

Insieme a noci, mandorle, pinoli e castagne, le nocciole, oltreché salutari, sono considerate cibo portafortuna. Una virtù che si deve, secondo la tradizione, alla durezza e impenetrabilità del guscio protettivo. Sulle nostre tavole, dopo la raccolta di inizio autunno, le nocciole giungono poi tutto l’anno, e questo accade, secondo alcuni manoscritti cinesi, da ben 5.000 anni. In Italia le più apprezzate sono le ‘avellane”, da Avella - in provincia di Avellino -, che da secoli è il principale centro di produzione, e la ‘tonda gentile’ delle Langhe. IN CUCINA

Possiamo consumarle intere, macinate o tritate, aggiungendole a salse, carni, insalate e dolci. Mescolate al burro accompagnano pesci e crostacei. Ne possiamo ricavare un olio utilizzato nel Nord Europa al posto di quello di oliva, ma non tiene la cottura.

FA BENE PERCHÉ

Sono ricche di proteine, vitamine, sali minerali, calcio, ferro e ‘grassi buoni’ come gli omega 3 e 6. Aiutano ad abbassare i livelli di colesterolo nel sangue, riducendo il rischio di malattie cardiovascolari.

BUONO A SAPERSI!

La Festa del papà si festeggia con le zeppole di San Giuseppe. I bambini possono prepararne una versione semplificata acquistando choux e crema pasticcera già pronti. Loro compito sarà farcirli.

In Luna crescente pianifichiamo le vacanze. Calcolando ora quanto denaro serve per viaggio, alloggio e spese, dividiamo l’importo per i mesi che ci separano dalla partenza e risparmiamo il necessario mensilmente.

In Luna calante attenzione agli avanzi. Pur essendo una sana abitudine ecologica, evitiamo di dare a cani e gatti, cioccolato, noce di macadamia, uva passa, cipolle e aglio. Per loro sono velenosi.

No alla candeggina per sbiancare i tessuti: inquina, ingiallisce e rovina le fibre. Se proprio dobbiamo, non mescoliamola al detersivo, che ne riduce l’efficacia. Subito dopo, per contrastare l’ingiallimento, immergiamo il tessuto in parti uguali di acqua e aceto per almeno 15 minuti. Poi laviamolo in lavatrice.

COLTIVARE CON LA LUNA

NELL’ORTO

In Luna crescente, se le temperature superano i 10°C, possiamo seminare all’aperto fagioli, zucche, piselli e scalogno. Al Sud e lungo la costa, è il momento ideale per seminare zucchine, melanzane, pomodori, peperoni e peperoncini. Trapiantiamo le aromatiche come salvia, dragoncello e timo. Procediamo con gli innesti di pomacee e drupacee a ‘gemma vegetante’ e, in assenza di vento o nebbia, a ‘spacco’ o a ‘triangolo’. Possiamo anche trapiantare castagni, fichi, noccioli, olivi, viti e cespugli da frutto. Con il risveglio della natura, riprendiamo a pieno ritmo i lavori all’aperto, facendo attenzione agli ultimi colpi di coda dell’inverno. In Luna calante, seminiamo in semenzaio indivie, radicchi, bietole, sedani e porri, coprendo i semi con un mix di sabbia di fiume e terriccio. È anche il momento giusto per piantare la carciofaia in una posizione ben definita, considerando che è una coltura perenne.

NEL GIARDINO

Quando le temperature superano i 12°C, in Luna crescente possiamo seminare all’aperto piante perenni come alissi, aquilegie, delphinium, digitali, aubretie, papaveri e camomilla. Raccogliamo le erbe campagnole. Se vogliamo fare delle semine in vaso sul balcone, utilizziamo uno strato di argilla espansa sul fondo e aggiungiamo un buon terriccio. In Luna calante, approfittiamo della Luna nuova per potare gli alberi più delicati. Possiamo raccogliere le viole per profumi e pasticceria. Sul balcone e nella limonaia, procediamo alla concimazione organica degli agrumi in vaso, spargendo il concime sulla superficie del terriccio.

SUL BALCONE

Se vogliamo che la primavera giunga il prima possibile sul nostro balcone, dobbiamo pensarci in autunno, soprattutto se amiamo i bulbi. Ricchissima è, tra l’altro, la scelta quanto a specie e varietà, che ci offrirà la possibilità di creare infinite combinazioni di forme e colori. Ad esempio, potremo mettere insieme bulbose viola e bianche, interrando bulbi di muscari, giacinti e qualche anemone sulle stesse tonalità, per poi ricoprirli con del muschio. Poco prima dello sbocciare, potremo aggiungere piantine di primule che porteranno una nota di luce al balcone, proprio come succede nel bosco.

Nebbia alla valle, acqua alle spalle

GLI ORTAGGI

Aglio fresco, agretti, asparagi, carciofi, carote, cavolfiori, cavoli broccolo, cavoli cappuccio, cavolini di Bruxelles, cavoli verza, cicorie, cicorini da taglio, cime di rapa, cipolle, finocchi, indivie, lattughe, patate novelle, porri, radicchio di Verona, rape, ravanelli, sedani, spinaci, valeriana e valerianella.

LA FRUTTA

Arance, bergamotti, limoni, mandarini, mele, pere Conference e pompelmi.

GLI AROMI

Cipollotti, rosmarino e salvia.

IL SOLE:

L’1 sorge alle 06:35 tramonta alle 17:50

Il 31 sorge alle 06:44 tramonta alle 19:25

LA LUNA:

L’1 sorge alle 07:19 tramonta alle 19:50

Il 31 sorge alle 07:33 tramonta alle 22:24

Luna crescente dall’1 al 13 e dal 30 al 31.

Luna calante dal 15 al 28

Luna Piena il 14. Luna Nuova il 29

Il 14 eclissi totale di Luna. Visibile l’ingresso nella penombra dalle 04:57

È ARRIVATO IN LIBRERIA IL QUARTO VOLUME 50&PIÙ

28 esperti raccontano i linguaggi, le esperienze e le modalità della partecipazione

Dopo il lavoro, la tecnologia e i diritti visti attraverso lo sguardo della popolazione senior, il nuovo volume della Fondazione 50&Più ETS e Fondazione Leonardo indaga il tema della partecipazione grazie anche ad una vasta ricerca demografica. Entro il 2050, il 20% della popolazione mondiale avrà più di 65 anni: un cambiamento con implicazioni ancora più profonde per la società di oggi. Tra le sfide principali ci sarà quella di garantire la partecipazione delle persone anziane nel lavoro, nella vita sociale, culturale, politica e nel volontariato. Partecipare, infatti, non solo contribuisce al benessere, ma riduce solitudine ed emarginazione, elimina le disuguaglianze, promuove la collaborazione tra persone e comunità. Ventotto esperti indagano ambienti, soggetti, comunità, linguaggi, esperienze e modalità che possono facilitarla. Il risultato è un’opera di 468 pagine che rimette al centro il tema dell’associazionismo come momento di passaggio dal coinvolgimento alla partecipazione.

È possibile acquistare il volume Partecipazione, fondamento per il benessere e la coesione sociale presso le migliori librerie oppure ordinarlo su www.mulino.it, collana “Percorsi”.

AMELIA EARHART AVIATRICE

«LA PAURA? UN’ALTRA NUVOLA NEL CIELO»

Dialoghi ‘impossibili’ con i più grandi personaggi

della storia, realizzati attraverso sistemi di intelligenza artificiale

Lei non era la classica bambina dell’epoca: si arrampicava sugli alberi, raccoglieva insetti e si lanciava con la slitta.

Oh, si! Avevo circa sette anni quando, con mia sorella Pidge, costruimmo una sorta di rampa volante ispirata ai roller coaster. Fu terrificante e meraviglioso allo stesso tempo. Mi ruppi il naso e rovinai il vestito nuovo, ma provai una sensazione di libertà che non avevo mai sperimentato prima. I suoi genitori non erano preoccupati per questa costante ricerca di indipendenza?

La mia indipendenza non era una richiesta, piuttosto una necessità.

Per loro ero un problema da gestire, non

una figlia da capire. Mio padre preferiva annegare i suoi problemi nell’alcool, mia madre cercava disperatamente di adattarmi agli standard femminili dell’epoca. Se posso essere sincera, la mia vera famiglia sono stati i libri, gli spazi aperti e il cielo. Come ha iniziato la sua carriera di aviatrice?

Lavoravo come infermiera alla Croce Rossa durante la Prima Guerra Mondiale. Un giorno, al campo d’aviazione di Toronto, vidi un aereo per la prima volta: fu un colpo di fulmine. Vendetti la mia vecchia Ford per prendere le lezioni di volo da un’altra pioniera dell’aviazione, Neta Snook. Mi sono sentita subito libera, leggera. E poi, diciamocelo, l’idea di dimostrare che anche

una donna poteva pilotare un aereo, mi entusiasmava.

Durante i suoi voli, ha mai avuto paura di morire?

La paura esiste, ma non mi ha mai comandato. Ho avuto momenti difficili: motori che tossivano, carburante che scarseggiava, tempeste che oscuravano la rotta. Ma la paura è solo un’altra nuvola nel cielo, la riconosci, la attraversi e vai oltre. Volare era più forte del timore di cadere.

Le va di parlare del 2 luglio 1937, data in cui il suo volo scomparve nel Pacifico?

Non ho problemi a parlarne, ma è stato detto già tutto.

Ci racconti un dettaglio di quel volo che non conosciamo. Avevo cucito dentro al giubbotto di pelle una piccola foto di mio marito George e un fazzoletto di mia madre, erano oggetti che mi davano forza. Le dirò di più: quel giorno il cielo era limpido, ma la radio gracchiava confusa, un po’ troppo. A un certo punto ricordo di aver visto il segnalatore di carburante a un livello basso, mi girai verso Fred (Noonan, il suo navigatore ndr) preoccupata, ma lui non alzò lo sguardo perché stava tracciando la rotta. Il resto è avvolto nel mistero, anche per me.

Di recente, una spedizione statunitense con un drone sottomarino, dice di aver trovato il relitto del suo aereo nel Pacifico. (Ride) il mio vecchio Electra! Se davvero è lì, l’oceano ha custodito bene la nostra storia. Ma un relitto non racconta tutto; il vero viaggio è stato nell’aria, nei sogni che ha ispirato. Se potesse incontrare una persona del nostro presente, chi sceglierebbe e cosa le chiederebbe? Sceglierei una giovane aviatrice, qualcuna che ha spinto i suoi confini ancora più in là. E le chiederei: “Qual è il tuo Pacifico? Quale orizzonte stai cercando?”.

Abruzzo

Le sedi 50&Più provinciali

Telefono

L’Aquila - viale Corrado IV, 40/F - 50epiu.aq@50epiu.it 0862204226

Chieti - via F. Salomone, 67 - 50epiu.ch@50epiu.it 087164657

Pescara - via Aldo Moro, 1/3 - 50epiu.pe@50epiu.it 0854313623

Teramo - corso De Michetti, 2 - 50epiu.te@50epiu.it 0861252057

Basilicata

Telefono

Matera - via Don Luigi Sturzo, 16/2 - 50epiu.mt@50epiu.it 0835385714

Potenza - via Centomani, 11 - 50epiu.pz@50epiu.it 097122201

Calabria

Telefono

Cosenza - viale degli Alimena, 5 - 50epiu.cs@50epiu.it 098422041

Catanzaro - via Milano, 9 - 50epiu.cz@50epiu.it 0961720352

Crotone - via Regina Margherita, 28 - 50epiu.kr@50epiu.it 096221794

Reggio Calabria - via Tenente Panella, 20 - 50epiu.rc@50epiu.it 0965891543

Vibo Valentia - via Spogliatore snc - 50epiu.vv@50epiu.it 096343485

Campania

Telefono

Avellino - via Salvatore De Renzi, 28 - 50epiu.av@50epiu.it 082538549

Benevento - via delle Puglie, 28 - 50epiu.bn@50epiu.it 0824313555

Caserta - via Roma, 90 - 50epiu.ce@50epiu.it 0823326453

Napoli - via Cervantes, 55 int. 14 - 50epiu.na@50epiu.it 0812514037

Salerno - via Zammarelli, 12 - 50epiu.sa@50epiu.it 089227600

Emilia Romagna Telefono

Bologna - via Tiarini, 22/m - 50epiu.bo@50epiu.it 0514150680

Forlì - piazzale della Vittoria, 23 - 50epiu.fo@50epiu.it 054324118

Ferrara - via Girolamo Baruffaldi, 14/18 - 50epiu.fe@50epiu.it 0532234211

Modena - via Begarelli, 31 - 50epiu.mo@50epiu.it 0597364203

Piacenza - strada Bobbiese, 2 - c/o Unione Comm.ti 50epiu.pc@50epiu.it 0523461831

Parma - via Abbeveratoia, 61/A - 50epiu.pr@50epiu.it 0521944278

Ravenna - via di Roma, 104 - 50epiu.ra@50epiu.it 0544515707

Reggio Emilia - viale Timavo, 43 - 50epiu.re@50epiu.it 0522708565

Rimini - viale Italia, 9/11 - 50epiu.rn@50epiu.it 0541743202

Friuli Venezia Giulia Telefono

Gorizia - via Vittorio Locchi, 22 - 50epiu.go@50epiu.it 048132325

Pordenone - piazzale dei Mutilati, 6 - 50epiu.pn@50epiu.it 0434549462

Trieste - via Mazzini, 22 - 50epiu.ts@50epiu.it 0407707340

Udine - viale Duodo, 5 - 50epiu.ud@50epiu.it 04321850037

Lazio

Telefono

Frosinone - via Moro, 481 - 50epiu.fr@50epiu.it 0775855273

Latina - via dei Volsini, 60 - 50epiu.lt@50epiu.it 0773611108

Rieti - largo Cairoli, 4 - 50epiu.ri@50epiu.it 0746483612

Roma - piazza Cavour, 25 - 50epiu.rm@50epiu.it 0668891796

Viterbo - via Belluno, 39/G - 50epiu.vt@50epiu.it 0761341718

Liguria Telefono

Genova - via XX Settembre, 40/5 - 50epiu.ge@50epiu.it 010543042

Imperia - via G. F. De Marchi, 81 - 50epiu.im@50epiu.it 0183275334

La Spezia - via del Torretto, 57/1 - 50epiu.sp@50epiu.it 0187731142

Savona - corso A. Ricci - Torre Vespucci, 14 50epiu.sv@50epiu.it 019853582

Lombardia Telefono

Bergamo - via Borgo Palazzo, 133 - 50epiu.bg@50epiu.it 0354120126

Brescia - via Trento, 15/R - 50epiu.bs@50epiu.it 0303771785

Como - via Bellini, 14 - 50epiu.co@50epiu.it 031265361

Cremona - via Alessandro Manzoni, 2 - 50epiu.cr@50epiu.it 037225745

Lecco - piazza Giuseppe Garibaldi, 4 - 50epiu.lc@50epiu.it 0341287279

Lodi - viale Savoia, 7 - 50epiu.lo@50epiu.it 0371432575

Mantova - via Valsesia, 46 - 50epiu.mn@50epiu.it 0376288505

Milano - corso Venezia, 47 - 50epiu.mi@50epiu.it 0276013399

Pavia - via Ticinello, 22 - 50epiu.pv@50epiu.it 038228411

Sondrio - via del Vecchio Macello, 4/C - 50epiu.so@50epiu.it 0342533311

Varese - via Valle Venosta, 4 - 50epiu.va@50epiu.it 0332342280

Marche Telefono

Ancona - via Alcide De Gasperi, 31 - 50epiu.an@50epiu.it 0712075009

Ascoli Piceno - viale V. E. Orlando, 16 - 50epiu.ap@50epiu.it 0736051102

Macerata - via Maffeo Pantaleoni, 48a - 50epiu.mc@50epiu.it 0733261393

Pesaro - strada delle Marche, 58 - 50epiu.pu@50epiu.it 0721698224/5

Molise Telefono

Campobasso - via Giuseppe Garibaldi, 48 - 50epiu.cb@50epiu.it 0874483194

Isernia - via XXIV Maggio, 331 - 50epiu.is@50epiu.it 0865411713

Piemonte

Telefono

Alessandria - via Trotti, 46 - 50epiu.al@50epiu.it 0131260380

Asti - corso Felice Cavallotti, 37 - 50epiu.at@50epiu.it 0141353494

Biella - via Trieste, 15 - 50epiu.bi@50epiu.it 01530789

Cuneo - via Avogadro, 32 - 50epiu.cn@50epiu.it 0171604198

Novara - via Giovanni Battista Paletta, 1 - 50epiu.no@50epiu.it 032130232

Torino - via Andrea Massena, 18 - 50epiu.to@50epiu.it 011533806

Verbania - via Roma, 29 - 50epiu.vb@50epiu.it 032352350

Vercelli - via Duchessa Jolanda, 26 - 50epiu.vc@50epiu.it 0161215344

Puglia Telefono

Bari - piazza Aldo Moro, 28 - 50epiu.ba@50epiu.it 0805240342

Brindisi - via Appia, 159/B - 50epiu.br@50epiu.it 0831524187

Foggia - via Luigi Miranda, 8 - 50epiu.fg@50epiu.it 0881723151

Lecce - via Cicolella, 3 - 50epiu.le@50epiu.it 0832343923

Taranto - via Giacomo Lacaita, 5 - 50epiu.ta@50epiu.it 0997796444

Sardegna Telefono

Cagliari - via Santa Gilla, 6 - 50epiu.ca@50epiu.it 070280251

Nuoro - galleria Emanuela Loi, 8 - 50epiu.nu@50epiu.it 0784232804

Oristano - via Sebastiano Mele, 7/G - 50epiu.or@50epiu.it 078373612

Sassari - via Giovanni Pascoli, 59 - 50epiu.ss@50epiu.it 079243652

Sicilia Telefono

Agrigento - via Imera, 223/C - 50epiu.ag@50epiu.it 0922595682

Caltanissetta - via Messina, 84 - 50epiu.cl@50epiu.it 0934575798

Catania - via Mandrà, 8 - 50epiu.ct@50epiu.it 095239495

Enna - via Vulturo, 34 - 50epiu.en@50epiu.it 093524983

Messina - via Santa Maria Alemanna, 5 - 50epiu.me@50epiu.it 090673914

Palermo - via Emerico Amari, 11 - 50epiu.pa@50epiu.it 091334920

Ragusa - viale del Fante, 10 - 50epiu.rg@50epiu.it 0932246958

Siracusa - via Eschilo, 11 - 50epiu.sr@50epiu.it 093165059

Trapani - via Marino Torre, 117 - 50epiu.tp@50epiu.it 0923547829

Toscana Telefono

Arezzo - via XXV Aprile, 12 - 50epiu.ar@50epiu.it 0575354292

Carrara - via Don Minzoni, 20/A - 50epiu.ms@50epiu.it 058570973

Firenze - via Costantino Nigra, 23-25 - 50epiu.fi@50epiu.it 055664795

Grosseto - via Tevere, 5/7/9 - 50epiu.gr@50epiu.it 0564410703

Livorno - via Serristori, 15 - 50epiu.li@50epiu.it 0586898276

Lucca - via Fillungo, 121 - c/o Confcommercio

50epiu.lu@50epiu.it 0583473170

Pisa - via Chiassatello, 67 - 50epiu.pi@50epiu.it 05025196

Prato - via San Jacopo, 20-22-24 - 50epiu.po@50epiu.it 057423896

Pistoia - viale Adua, 128 - 50epiu.pt@50epiu.it 0573991500

Siena - via del Giglio, 10-12-14 - 50epiu.si@50epiu.it 0577283914

Trentino Alto Adige Telefono

Bolzano - Mitterweg - via di Mezzo ai Piani, 5 50epiu.bz@50epiu.it 0471978032

Trento - via Solteri, 78 - 50epiu.tn@50epiu.it 0461880408

Umbria Telefono

Perugia - via Settevalli, 320 - 50epiu.pg@50epiu.it 0755067178

Terni - via Aristide Gabelli, 14/16/18 - 50epiu.tr@50epiu.it 0744390152

Valle d’Aosta Telefono

Aosta - piazza Arco d’Augusto, 10 - 50epiu.ao@50epiu.it 016545981

Veneto Telefono

Belluno - piazza Martiri, 16 - 50epiu.bl@50epiu.it 0437215264

Padova - via degli Zabarella, 40/42 - 50epiu.pd@50epiu.it 049655130

Rovigo - viale del Lavoro, 4 - 50epiu.ro@50epiu.it 0425404267

Treviso - via Sebastiano Venier, 55 - 50epiu.tv@50epiu.it 042256481

Venezia Mestre - viale Ancona, 9 - 50epiu.ve@50epiu.it 0415316355

Vicenza - via Luigi Faccio, 38 - 50epiu.vi@50epiu.it 0444964300

Verona - via Sommacampagna, 63/H Sc.B - 50epiu.vr@50epiu.it 045953502

Le sedi 50&Più estere

Argentina

Buenos Aires

Telefono

0054 11 45477105

Villa Bosch 0054 9113501-9361

Australia Telefono

Perth 0061 864680197

Belgio Telefono

Bruxelles 0032 25341527

Brasile Telefono

Florianopolis 0055 4832222513

San Paolo 0055 1132591806

Canada Telefono

Burnaby - Vancouver BC 001 6042942023

Hamilton 001 9053184488

Woodbridge 001 9052660048

Montreal Riviere des Prairies 001 5144946902

Montreal Saint Leonard 001 5142525041

Ottawa 001 6139634880

St. Catharines 001 9056466555

Toronto 001 4166523759

Germania Telefono

Dusseldorf 0049 21190220201

Portogallo Telefono

Lisbona 00351 914145345

Svizzera Telefono

Lugano 0041 919212050

Uruguay Telefono

Montevideo 0059 825076416

USA Telefono

Fort Lauderdale 001 9546300086

BAZAR

a cura del Centro Studi 50&Più

Informazioni, curiosità, notizie utili, luogo d’incontro e di scambio

Inviate segnalazioni e quesiti a: centrostudi@50epiu.it

SOCIETÀ LIBRO

GLI ITALIANI

LA SOLITUDINE E LA CASA

Nel corso di quest’anno gli italiani che vivono soli toccheranno quota 9,5 milioni. Tra vent’anni saranno cresciuti di un ulteriore milione e mezzo. Le coppie senza figli - oggi 5,3 milioni - supereranno i 6, mentre gli over 75 che vivono soli (oggi 4 su 10) saranno la maggioranza. Anche se abitare da soli non vuol dire sentirsi soli, la solitudine comporta problemi rilevanti. Come quello della casa: il 6% degli italiani vive in grave deprivazione abitativa, con i costi delle abitazioni ormai stellari. Il Fondo nazionale Garanzia Prima Casa ha aiutato molte giovani ad acquistare un immobile, ma in futuro?

PODCAST

DATI ALLA MANO

Realizzata dall’Istat, la serie podcast Dati alla mano affronta, nella puntata Parliamo di produttività, il tema del lavoro e dell’invecchiamento della popolazione lavoratrice. La produttività del lavoro in Italia, infatti, risulta stagnante da molti anni, così come il nostro Pil. In quindici anni abbiamo accumulato 10 punti percentuali di distanza dalla Spagna, 14 dalla Francia e 17 dalla Germania. Cosa significa esattamente tutto questo? Un viaggio nelle caratteristiche del nostro sistema produttivo e della nostra forza lavoro, che ci rendono all’apparenza meno efficaci rispetto ai paesi europei nostri vicini di casa.

SALUTE

LISTE D’ATTESA

REGIONI NEL MIRINO

C’è molto lavoro da fare per le sanità regionali su liste d’attesa e trasparenza delle informazioni. È quanto emerge dall’annuale monitoraggio del ministero della Salute sui siti web delle regioni: una su cinque non dispone di una sezione ad hoc per le liste d’attesa. Il 70% non fornisce informazioni sui percorsi di tutela per il cittadino. Solo otto pubblicano gli esiti del monitoraggio ex ante delle prestazioni di specialistica ambulatoriale. Solo sei hanno definito in modo chiaro i percorsi di tutela attivati, se al cittadino non può essere assicurata la prestazione entro i limiti previsti.

TELEMEDICINA

RADDOPPIATA

DOPO LA PANDEMIA

Secondo l’Ocse, l’uso della telemedicina è raddoppiato dopo la pandemia, prima della quale era limitato e frammentario. Nel 2019, solo lo 0,6% dei pazienti nei paesi aderenti usava le teleconsultazioni. Nel 2021 il dato è salito all’1,4%. Il nuovo report Ocse sul tema ha valutato anche le attuali capacità di continuare a implementarla in modo sostenibile. I governi, infatti, hanno introdotto leggi emergenziali per promuoverla come alternativa alle visite in presenza, ma la sfida attuale è integrare questi servizi nel sistema sanitario ordinario, garantendone sostenibilità ed equità.

UNA SOCIETÀ

CHE INVECCHIA

di Maria Pantalone

Carocci Editore, 2021, 144 pagine

Un libro destinato agli studenti di servizio sociale e ai professionisti del settore con l’obiettivo di fare luce su alcune sfide legate all’invecchiamento della popolazione. L’aumento della speranza di vita pone infatti nuove sfide ai servizi sociali e ai singoli operatori, chiamati a ridefinire il loro ruolo nelle politiche per gli anziani. Il volume analizza quattro aree in cui agire: promozione di iniziative di invecchiamento attivo; sostegno ai caregiver informali; valutazione delle pratiche di assistenza a lungo termine; accompagnamento e supporto nel fine vita.

FILM

L’ULTIMA SETTIMANA DI SETTEMBRE

di G.De Blasi, con D.Abatantuono Commedia, Italia 2024, 90 minuti Pietro, ex scrittore di successo in depressione, tenta di suicidarsi nel giorno del suo compleanno, quando una telefonata - inattesa e dolorosagli annuncia la scomparsa della figlia e del genero in un incidente. La telefonata che nessun genitore vorrebbe ricevere paradossalmente lo salva, catapultandolo nella vita del nipote Mattia, ragazzo sensibile che conosce poco suo nonno. Il futuro sembra più nero che mai, ma è davvero così? Inizia così un viaggio sentimentale che si trasforma in un costante confronto tra due generazioni diverse.

Hai problemi di memoria?

QUESTE COMPRESSE FORNISCONO I NUTRIENTI NECESSARI AL CERVELLO PER AIUTARE LA MEMORIA E LA CONCENTRAZIONE

Quando sei di fretta perdi di vista l’essenziale e arrivi a dimenticarti persino i nomi delle persone. Migliaia di persone sono affette da perdita di memoria legata all’età, ma oggi esistono le compresse naturali Clear Brain™ che ti aiutano a mantenere una buona funzione celebrale.

Una vera innovazione

Clear BrainTM, basato su nutrienti essenziali per il cervello, (noci, melograno, corteccia di pino, vitamine, minerali) aiuta a migliorare le prestazioni mentali e le funzioni cognitive come memoria, attenzione e concentrazione.

I risultati degli scanner sul cervello*

Clear BrainTM è ricco di L-teanina, un aminoacido. Gli scanner mostrano molto chiaramente che l’attività delle onde cerebrali aumenta entro un’ora dall’assunzione della compressa. Nelle zone rosse (attive) notiamo le aree celebrali della memoria e della concentrazione. In confronto possiamo distingue le zone in blu, inattive, nelle persone che hanno assunto un placebo (una compressa senza principio bioattivo).

Noci e cervello

La noce ha un aspetto che ricorda il cervello umano e contiene molti nutrienti essenziali per il corretto funzionamento di questo organo. Diversi studi scientifici hanno dimostrato che il consumo di noci favorisce una buona memoria grazie a una doppia azione di protezione antiossidante e al miglioramento della circolazione sanguigna nel cervello.

*JOURNAL OF MEDICINAL FOOD - J Med Food 14 (4) 2011, 334–343

Clear Brain™ è disponibile in tutte le farmacie

o visita il sito www.newnordic.it

Per maggiori informazioni: 02.89070845 - info@newnordic.it

L’Albero Argento è il logo di New Nordic, è un simbolo di qualità e autenticità riconosciuta da milioni di persone in tutto il mondo

Clear Brain™ 60 compresse - codice 939478400

Clear Brain 120 compresse – codice 976733978

Ho ritrovato fiducia in me stessa

Ruth si sta godendo il suo pensionamento. “Sono sempre riuscita a mantenere il controllo, ma un giorno ho notato che non avevo più le idee chiare. È diventato difficile affrontare la quotidianità. Non ricordavo più dove stavo mettendo le mie cose e stavo perdendo fiducia in me stessa. Ora prendo le compresse di Clear Brain™ ogni giorno”.

Posso godere della compagnia dei miei amici “È molto importante per me mantenermi attiva, affrontare i problemi quotidiani, divertirmi con i miei nipoti, prendermi cura del mio giardino e giocare a carte con i miei vicini. Voglio rimanere attiva senza perdere il controllo o sentimi confusa o stanca. Non sono il tipo di persona che sta seduta tutto il giorno a guardare la TV; voglio uscire e godermi la mia famiglia e i miei amici”.

Il percorso della vitalità

Green tea
L-theanin Placebo

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.