«Con l’arte ho imparato a sconfiggere la violenza»
Dalla Hollywood dorata alla Roma artistica la diva americana all’Ara Pacis con la sua prima mostra personale
PRIMO PIANO
2000-2025, un quarto di secolo di trasformazioni sociali Politica, lavoro e spettacoli ecco come siamo cambiati
SOCIALE
Maratoneta della sanità
Medico siciliano si racconta «Apro l’ambulatorio alle 5 e posso accogliere tutti»
ECONOMIA
Claudia Segre fonda a Milano Global Thinking Foundation «L’indipendenza economica delle donne è il nostro obiettivo»
Aiuta a ridurre i disagi alle ossa tipici della menopausa
Aiuta a contrastare rughe, inestetismi della pelle e segni del tempo
Vivi con vitalità
i cambiamenti del tempo
Contribuisce alla salute e alla funzionalità delle articolazioni
Ordinalo in farmacia, erboristeria e su colpropur.it
Contribuisce a ridurre stanchezza e affaticamento
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Anno XLVII - n. 1 - gennaio 2025
Siamo un paese ricco di risorse cogliamo le opportunità di progresso
Yasmine e il richiamo all’umanità
In questo numero
Legal Love, a lezione di affettività
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Carlo Sangalli 5
Anna Grazia Concilio 6
Anna Giuffrida 20
Salvatore Giannone, medico per vocazione Claudia Benassai 22
Indipendenza economica al femminile Francesca Cutolo 28
Quel sogno irraggiungibile del Self care
Il processo alle streghe di Salem
Come arredare casa per un gatto sereno
Valerio Maria Urru 32
Anna Costalunga 58
Irene Cassi 80
Adeguamento minimo per le pensioni Maria Silvia Barbieri 84
Semplificazioni per le successioni
Alessandra De Feo 86
Viaggi: “Incontri 50&Più” 2025 crociera sul Reno, Cina classica a cura di 50&Più Turismo 88
Gennaio, tempo di semine e sogni a cura di Barbanera 92
39 34
Serbia, il miracolo economico che divide l’Europa Belgrado avanza: opportunità e ostacoli verso l’ingresso nell’Unione europea di Cosimo Caridi
2000-2025, viaggio nel primo quarto di questo secolo Ecco come siamo cambiati di L.Guzzo, V.M.Urru, A.G.Concilio, F.De Bernardinis S.Mannucci, G.C.La Vella
Rubriche
Il terzo tempo Lidia Ravera 10
Anni possibili Marco Trabucchi 12
Effetto Terra Francesca Santolini 14
Oltre 122 milioni di rifugiati affrontano la stagione fredda; Unhcr lancia una campagna di aiuto per garantire assistenza e beni di prima necessità
Se in Italia resta un miraggio, altri paesi godono dei benifici del nuovo modello lavorativo che impatta positivamente sulla qualità della vita
G.C.La Vella
Regina dello sci alpino, con due ori, due argenti e un bronzo, poi l’impegno sociale e la dirigenza al Coni e al Cio: «L’obiettivo non è vincere medaglie ma fare cose belle»
LONTANI DA CASA
C.Ludovisi
Personaggi
Salvatore Esposito sogna in grande «In Italia manca un cinema internazionale»
Cultura
Ossa sotto stress
Quali sono i rischi di fratture per gli atleti e i soggetti con osteoporosi
di Alessandro Mascia
Sharon Stone e la lotta delle donne a Hollywood 62
Torna il rock della Rettore con l’“Antidiva”
Parma la Street Art da Warhol a Banksy
Poesia, strumento di libertà. Parola di Grünbein
I cento anni degli Ossi di Seppia di Montale
Elvis Presley, 90 anni fa nasceva il ribelle del rock ’n’roll
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SIAMO UN PAESE RICCO DI RISORSE COGLIAMO LE OPPORTUNITÀ DI PROGRESSO
2000-2025. Vogliamo fare un viaggio negli eventi degli ultimi anni perché questo primo quarto di secolo è stato spettatore e protagonista di fatti e accadimenti che raccolgono l’importante eredità del passato e spianano la strada a nuovi orizzonti e prospettive. Personaggi e personalità si sono avvicendati sulla scena nazionale e internazionale dando il loro contributo alla trasformazione sociale, diventando parte della storia. Usi, costumi, politica, televisione, cinema e sport hanno subito - ma al tempo stesso hanno promosso - metamorfosi che hanno portato alla costruzione di quel modello sociale ed economico che oggi tutti noi conosciamo. Era il 1° gennaio del 2002 quando una nuova moneta iniziava a circolare nei Paesi dell’Unione. L’entrata in vigore dell’euro è stata - senza se e senza mauna delle più avvincenti rivoluzioni degli ultimi anni. Ricordo ancora lo scetticismo di quei tempi e la paura di soccombere: in tanti usavano un maneggevole convertitore alle casse dei supermercati, nei negozi di quartiere e in quelli della grande distribuzione, affinché i conti tornassero. Oggi sarebbe impossibile immaginare la quotidianità senza l’euro. Due anni più tardi è arrivato Facebook a stravolgere le nostre giornate, garantendo iperconnessione, certamente, ma con qualche punto debole, come la diffusione dell’hate speech. Anche all’epoca eravamo timidi e premurosi nei confronti di questa innovazione: oggi siamo talmente tanto abituati a usare i social network che quasi non ricordiamo come fosse la vita prima e questo utilizzo spasmodico è così sfuggito di mano che in alcuni stati - l’Australia sta facendo da apripista - i social network vengono vietati agli adolescenti. Tante altre cose sono successe in questi ultimi venticinque anni. In un recente sondaggio dell’istituto di ricerca Quorum/YouTrend, gli italiani hanno indicato tra gli eventi più significativi del primo quarto di secolo, la pandemia da Covid-19, l’invasione dell’Ucraina, il terremoto a L’Aquila, la morte di Giovanni Paolo II e ancora l’ascesa a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni, come prima donna presidente del Consiglio dei ministri. All’interno di questa classifica trovano posto - certamenteanche fatti avvenuti fuori dai confini nazionali ma che hanno sfiorato e tratteggiato la nostra quotidianità: l’attentato alle Torri Gemelle, il conflitto in Iraq, la crisi economica del 2008.
di Carlo Sangalli
Presidente Nazionale 50&Più
E mentre celebravamo successi sportivi come l’oro di Jacobs e di Tamperi e ci emozionavamo con la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio del 2006, prima di soffrire poi per l’esclusione ai mondiali del Qatar, accadevano due cose straordinarie: da una parte, la globalizzazione e, dall’altra, l’aumento degli over 65 che ci ha resi il paese più anziano d’Europa. 50&Più, dal 1974, non solo è parte della storia ma ne ha scritto anche alcune pagine. Già perché in questo periodo di grandi trasformazioni sociali non siamo mai rimasti seduti a guardare, non ci siamo mai adeguati. Abbiamo voluto leggere i cambiamenti, interpretarli e abbiamo voluto diffondere un concetto di terza età che per noi ha un significato imprescindibile: le persone anziane sono un patrimonio da valorizzare. A questo si è poi aggiunta la volontà di proiettarsi nel nuovo millennio con un progetto innovativo: la nascita di 50&Più come Sistema associativo e di servizi per mettere al centro la persona, in maniera coordinata e uniforme, apportando il nostro contributo alla società. Da associazione, dunque, siamo diventati un sistema: un sistema figlio dei tempi e frutto dei cambiamenti culturali. Non ci siamo fermati e lo scorso anno abbiamo istituito anche Fondazione 50&Più con l’obiettivo di supportare in maniera maggiormente incisiva le politiche in favore delle persone anziane. Come saranno, per noi, i prossimi venticinque anni? Ci impegneremo ancora di più per promuovere partecipazione e trasformazione, continueremo a lavorare con le istituzioni e la società civile per implementare progetti concreti e sostenibili, per ripensare il nostro modello di sviluppo, per puntare ad una crescita possibile e inclusiva che valorizzi il capitale umano. Dobbiamo creare un paese più giusto e più equo, dove ogni cittadino, a prescindere dalla sua età o dal suo background, abbia pari opportunità. Siamo un paese complesso e contraddittorio, segnato da una storia millenaria e da sfide contemporanee, ma anche ricco di risorse e di potenzialità. Siamo noi a decidere quale futuro vogliamo costruire, in relazione alla nostra capacità di affrontare il presente e di cogliere nuove opportunità. Investiamo nell’innovazione, nella ricerca e nello sviluppo delle risorse umane, affinché sia il progresso la nostra bussola.
Anna Grazia Concilio Direttrice responsabile 50&Più
YASMINE E IL RICHIAMO ALL’UMANITÀ
‘Help, help’. Sono queste le parole che Yasmine pronunciava con voce estenuata e stanca quando i suoi occhi hanno incontrato quelli di chi l’ha salvata dalle acque del Mediterraneo, dopo tre giorni di agonia. Il suo viaggio, come quello del fratellino, era iniziato in Sierra Leone, quella parte di mondo così tanto disgraziata, violenta e violentata tanto quanto lontana dal nostro modo di vivere e di pensare, lontana dagli agi e dal benessere a cui siamo abituati, come se nascere nei paesi ‘giusti’ sia già di per sé un privilegio. Suo fratello non ce l’ha fatta, è morto in mare. Insieme a lui altre 43 persone: tutte in rotta verso l’Italia in cerca di una vita degna di questo nome. Succedeva a dicembre, a pochi giorni da brindisi natalizi e panettoni farciti.
Yasmine, mentre scriviamo, è diventata per tutti noi un simbolo di speranza, di tenacia. La sua storia però è anche il simbolo di una tragedia che si ripete con una frequenza dolorosissima e che apre tanti interrogativi. Le immagini dei migranti sui barconi sono entrate così spesso nelle notizie che guardiamo in tv che ormai rappresentano quasi una “non-notizia”. Cosa siamo diventati? Dov’è il richiamo all’umanità? Yasmine è sopravvissuta, potremmo dire che “dopo-
tutto è una storia a lieto fine”. No, è uno schiaffo in faccia. Perché nessuna bambina e nessun bambino devono sperare di sopravvivere. Le immagini che tutti noi vorremmo vedere sono quelle di volti sorridenti e le lacrime vorremmo vederle solo quando un giocattolo si rompe o quando non è il momento di mangiare un gelato. Dietro ogni numero, ogni statistica, si celano vite, storie, sogni infranti. Dovremmo fare tutti uno sforzo per andare oltre le paure, gli stereotipi, le divisioni che troppo spesso lacerano la nostra società. È arrivato il momento di agire, di superare le divisioni e di costruire insieme un futuro più giusto e solidale. L’Italia, terra di accoglienza e di culture millenarie, ha un ruolo fondamentale da svolgere. Chi fugge da guerre, povertà e persecuzioni non è un nemico, non mette a repentaglio la nostra sicurezza, rappresenta un’opportunità per arricchire il nostro paese, dal punto di vista culturale, sociale ed economico. I migranti non sono un problema. Sono braccia che lavorano, menti che innovano, passati che arricchiscono. Investire nell’inclusione significa salvare vite - certamente - ma anche investire nel futuro del nostro paese. Il tutto all’interno di un sistema di accoglienza che sappia salvaguarda-
re i diritti di ognuno, migranti e residenti. Certo, la strada è ancora lunga e tortuosa. Le campagne di sensibilizzazione e gli aiuti umanitari, come le attività promosse dall’Unhcr che Chiara Ludovisi racconta per noi alle pagine 26 e 27, sono fondamentali, ma non bastano. Smantelliamo i muri che dividono e promuoviamo un’educazione all’intercultura, costruiamo una società più inclusiva, accogliente e giusta.
L’umanità è un valore universale, un patrimonio comune che dobbiamo difendere e trasmettere alle future generazioni. Yasmine ci ricorda che siamo tutti figli dello stesso mare. Yasmine ci ricorda che - se abbiamo la fortuna di nascere dalla parte giusta del mondo - abbiamo anche il dovere di impegnarci affinché nessuno si senta escluso. Yasmine ci ricorda che vivere non deve essere un privilegio. Perché, come disse l’astronauta Jurij Gagarin ‘la terra da quassù è bellissima, senza barriere ne confini’. Impegniamoci perché Yasmine si è salvata, lei ha ancora un’occasione per correre libera e costruirsi un futuro ma non dimentichiamo mai il destino di tutte le bambine e di tutti i bambini che oggi sono solo un numero su barconi che non sono mai arrivati dall’altra parte del mare.
È inglese e un tempo era ingegnere e cartografo Oggi Simon Beck, 77 anni, è conosciuto per essere il primo ‘snow artist’ del mondo
La magia silenziosa di Simon Beck
La sua tela è unica e straordinaria. Sono le vaste distese di neve a diventare il palcoscenico dove Simon Beck dà vita alle sue monumentali creazioni. Con ciaspole ai piedi traccia sulla neve fresca incredibili disegni, frutto di un paziente camminare. Osservate da lontano, le sue opere appaiono come intricati motivi geometrici, eleganti e ipnotici, che spesso si trasformano in forme frattali, semplici solo all’apparenza
SIMON BECK Snow Artist @ simonbeck_snowart
È ARRIVATO IN LIBRERIA IL QUARTO VOLUME 50&PIÙ
28 esperti raccontano i linguaggi, le esperienze e le modalità della partecipazione
Dopo il lavoro, la tecnologia e i diritti visti attraverso lo sguardo della popolazione senior, il nuovo volume della Fondazione 50&Più ETS e Fondazione Leonardo indaga il tema della partecipazione grazie anche ad una vasta ricerca demografica. Entro il 2050, il 20% della popolazione mondiale avrà più di 65 anni: un cambiamento con implicazioni ancora più profonde per la società di oggi. Tra le sfide principali ci sarà quella di garantire la partecipazione delle persone anziane nel lavoro, nella vita sociale, culturale, politica e nel volontariato. Partecipare, infatti, non solo contribuisce al benessere, ma riduce solitudine ed emarginazione, elimina le disuguaglianze, promuove la collaborazione tra persone e comunità. Ventotto esperti indagano ambienti, soggetti, comunità, linguaggi, esperienze e modalità che possono facilitarla. Il risultato è un’opera di 468 pagine che rimette al centro il tema dell’associazionismo come momento di passaggio dal coinvolgimento alla partecipazione.
È possibile acquistare il volume Partecipazione, fondamento per il benessere e la coesione sociale presso le migliori librerie oppure ordinarlo su www.mulino.it, collana “Percorsi”.
Il terzo tempo
È PIÙ IMPORTANTE PREVENIRE O VIVERE?
di Lidia Ravera
Gli anni passano, e passano in fretta, li guardiamo mentre si accumulano. Lavoriamo, stiamo bene, siamo piene di energie. Certe volte guardiamo i nostri figli trenta-quarantenni e ci sembrano mosci, demotivati, pigri. Ci sentiamo forti, nel confronto. Chissà come saranno loro alla nostra età. Parlo dei ‘settanta e più’, non dei ‘cinquanta e più’, parlo di quel territorio ancora inesplorato, quello della longevità di massa. Parlo di anni belli, pieni di libertà e di ironia, di coraggio, di capacità d’ascolto, di empatia. Io ci sono - come si dice - “con tutti e due i piedi” in quella condizione odiata e negata da tutti, ma soprattutto da ‘tutte’. Ci sono da poco e mi ci sto assestando mica male. Come me ne ho incontrate tante (quasi tutte donne), presentando in giro per l’Italia il mio Age Pride, sottotitolo: Per liberarci dei pregiudizi sull’età. Alla fine mi portavano in trionfo, tipo “santa subito” perché avevo provato ad accendere una luce rosa nel tetro grigio dei discorsi sul tempo (quello degli orologi e dei calendari, non quello benigno delle stagioni).
Mi sentivo bene perché mi pareva di fare del bene.
E ancora così mi sento quando sottolineo il buono della terza età, del terzo tempo.
Per onestà, però, devo raccontare anche il brutto, i pensieri pesanti, l’ansia e l’angoscia. La disperazione. Esiste, c’è ed è sempre collegata alla paura delle malattie, la disperazione. Provate a chiedere in giro. “Che cosa ti spaventa della tua condizione di nonpiù-giovane?”. Gli onesti e le oneste vi diranno: “ammalarmi”. Il fantasma che avvelena il Terzo Tempo della vita umana è questo: un letto d’ospedale, una casa di riposo dall’inconfondibile odore di medicinali e incontinenza, la dipendenza da figli che hanno altro e di meglio da fare. Peggio: la perdita di orientamento, di memoria, di capacità cognitive. La perdita del rispetto degli altri che si traduce quasi subito in svalutazione di sé stessi.
La riflessione è banale ma inevitabile: è settant’anni che uso questo fegato, non sarà stanco di funzionare? È da ottant’anni che i miei occhi leggono, guardano, vedono - anche se con lenti sempre più spesse -, potrebbero mollarmi da un momento all’altro, gettandomi nel buio totale.
C’è chi teme la famigerata frattura del
Finché si viveva meno erano più alte le possibilità di restare in forma intellettualmente e fisicamente
Oggi la vita può essere più lunga quindi il deterioramento minaccia tutto il nostro corpo
femore, anticamera di ospedalizzazioni terminali. C’è chi si preoccupa del cuore, della pressione troppo alta o troppo bassa. Chi ad ogni crampo pensa all’ictus, ad ogni bozzetto al cancro, ad ogni ispessimento cutaneo al melanoma. Ma su tutti svettano quelli fissati con il morbo di Alzheimer, la demenza “ladra di cervelli”, come la definisce il dottor Scoppetta, primario neurologo, animatore di un importante studio sulla genetica della demenza. I terrorizzati dalla perdita di memoria, intelligenza, capacità di mettere in relazione dati, di articolare pensieri, di pensare, di leggere, di parlare, sono più di quanti immaginiamo.
Praticamente tutte le persone che ho intervistato hanno situato il loro terrore primario nel sopravvento della demenza.
Ad ogni vuoto di memoria, è un trasalimento doloroso, quasi sempre scatta il panico.
Il dialogo si scompone: “Ma l’hai visto il film di… come si chiamava… quello che ha vinto l’Oscar… coso, hai capito chi, no?”. La sventurata risponde: “Sì, sì, quello, certo”, ma il regista del film non viene nominato neppure da lei, perché neppure lei se lo ricorda. Dopo un attimo di imbarazzo, le due amiche scoppiano a ridere e nominano l’innominabile.
Mister Alzheimer. Si tratta dell’invecchiamento dell’encefalo, mi pare.
E pare che sia inevitabile.
Incomincia con il moltiplicarsi delle
amnesie? Incomincia il giorno in cui dimentichi dove stavi andando e resti seduta in macchina, mentre tutti i clacson urlano attorno a te e ti viene voglia di piangere, invece devi guidare?
Finirai come tuo padre che, due anni dopo la morte di tua madre, si era scordato di essersi mai sposato?
L’angoscia corre dentro e fuori di te. Ti batte il cuore, ti aggrappi ai sette re di Roma, ai sette nani, ai cinquantadue stati del Nord America.
Provi a recitare questi elenchi impigliati in un passato di neuroni giovani e noia scolastica, scopri che non te li ricordi tutti e telefoni al tuo medico, perché ti prescriva qualsiasi pozione capace di rappezzarti la memoria.
Lui ascolta. Scoraggia. Saluta.
“All’età di 75, 80,85 anni qualche difficoltà di apprendimento, lievi disturbi di memoria, qualche disturbo di equilibrio e un po’ di lentezza e maldestrezza sono da mettersi in bilancio”, scrive il dottor Scoppetta.
Finché si viveva meno erano più alte le possibilità di restare in forma, intellettualmente e fisicamente. La morte arrivava improvvisa. E parecchio prima. Oggi la vita può essere molto lunga. Quindi il deterioramento minaccia tutto il nostro corpo. A partire dalla testa, sede di tutte le mie gioie (studiare, scrivere, capire). Reagire con l’ipocondria, ingozzarsi di medicine, sottoporsi a controlli costanti disturbando ogni organo, secondo me, è pericoloso come tutte le superstizioni.
È più importante prevenire o vivere? Per rispondere a questa domanda vi do un mese di tempo.
PARLIAMONE
Per scrivere a Lidia Ravera
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Anni possibili
AUGURI PER IL NUOVO ANNO
UNA SPERANZA POSSIBILE PER OGNI ETÀ
di Marco Trabucchi
Èda poco iniziato il nuovo anno: c’è ancora tempo per pensare a come collocarci nella prospettiva di un anno in più nella nostra vita, che potrebbe essere quello dal primo anno al secondo, oppure dall’ottantanovesimo al novantesimo e così via… È sempre un momento delicato, perché la costruzione del futuro è un passaggio difficile per chi non vuole rinunciare a dirigere la propria vita, pur tra mille incertezze.
L’augurio che più di altri vorrei rivolgere a chi ci legge è di poter vivere la speranza. Non quella grande, del lontano futuro, ma quella legata al giorno per giorno, fondata su ciò che ciascuno riesce a compiere per la propria vita e per quella dell’Altro. In questa rubrica sul “futuro possibile” anche in età non più giovane la speranza deve essere al primo posto, perché è il fondamento della vita. Cosa si può sperare quando si arriva a non amare più la propria stessa vita, perché carichi di preoccupazioni per il futuro e oggi di sofferenze e di dolori? L’attenzione va in particolare rivolta a questi nostri concittadini,
per dimostrare loro che non tutto è perdita e che l’età non riduce la vita (per taluni, particolarmente angosciati, la cancella). L’età, all’opposto, deve indurre a coltivare la speranza che deriva dal godere del presente, fatto di piccole, grandi cose che nel momento stesso del loro ingresso nella nostra vita generano speranza. Uno spazio particolare, vicino alla speranza, e suo fondamento, riveste l’amicizia. Holderlin ci ha indicato la strada dell’amicizia come il percorso vitale più realistico nell’affermazione “Noi siamo un colloquio”, frase che dovrebbe essere la stella guida per costruire speranza nel contatto con l’altro, non superficiale, ma di reale condivisione delle gioie e delle fatiche. Il grande psichiatra Eugenio Borgna ha affermato che “L’inferno è essere soli”. In questa prospettiva la speranza di oggi e di domani deriva dal sapere di poter contare sul supporto dell’amicizia offerta e accolta. Questa assume vesti diverse, da quelle dell’aiuto ricevuto da parte di chi ha a cuore la nostra salute, all’amicizia che si preoccupa di rompere la solitudine, fondata sulla
condivisione del domani. Riguardo all’amicizia scorro assieme ai lettori le parole drammatiche e splendide di Simone Weil: “Poiché per me l’amicizia è un beneficio incomparabile, senza misura, una sorgente di vita, in senso non metaforico, ma letterale. Poiché non solo il mio corpo, ma la mia stessa anima, interamente avvelenata dalla sofferenza, sono inabitabili per il mio pensiero, è necessario che esso si trasferisca altrove. Non può abitare in Dio se non per brevi istanti. Spesso abita nelle cose. Ma sarebbe contro natura che un pensiero umano non abitasse mai in qualcosa di umano. Così, letteralmente, l’amicizia dona al mio pensiero tutta la parte della sua vi-
ta che non gli deriva da Dio o dalla bellezza del mondo. Può dunque ben comprendere quale dono lei mi ha accordato offrendomi la sua amicizia”. L’amicizia è condizione umana dalla quale si è aiutati quando si sta scendendo lungo la china della tristezza e del dolore, e si ha bisogno di
L’augurio che più di altri vorrei rivolgere a chi ci legge è di poter vivere la speranza
Non quella grande del lontano futuro ma quella legata al giorno per giorno
ascolto e di vicinanza, di comprensione e di solidarietà. L’amicizia può essere un dialogo con la parola e con il silenzio; può essere un legame anche con persone lontane, che sanno di poter ritrovare in qualsiasi momento il luogo dell’ascolto, carico di speranza. Amicizia e speranza sono sorelle. L’amicizia vale per il presente, come sostiene Simone Weil, ma soprattutto per il futuro; è il fondamento di una preoccupazione di cura verso l’altro. E l’altro, nel momento in cui riceve amicizia, garanzia per il suo domani, vive la speranza. Un augurio per l’anno che ci attende: vivere l’amicizia nel presente e come speranza per il futuro. Qualcuno, ca-
rico di dolore, potrebbe ritenere un augurio irrealizzabile quello di farsi guidare dalle due sorelle. Sono nostri concittadini che hanno bisogno di una vicinanza più concreta e intensa, perché possano capire il valore dell’amicizia, che vince la fatica di vivere.
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PARLIAMONE
ANTIBIOTICO-RESISTENZA
UNA BOMBA A OROLOGERIA PER LA SALUTE GLOBALE
di Francesca Santolini
Di recente le Nazioni Unite hanno firmato una Dichiarazione per lanciare l’allarme sulla resistenza agli antibiotici. Un problema sanitario serissimo, aggravato dall’uso indiscriminato di questi farmaci negli allevamenti intensivi, che sta generando super batteri capaci di sfuggire alle cure. Negli ultimi decenni, l’abuso e l’uso improprio degli antibiotici, sia nella medicina umana che nella zootecnia, ha accelerato questo processo, trasformando infezioni un tempo facilmente curabili, in casi oggi difficili, se non impossibili, da trattare. Negli allevamenti intensivi, la vita degli animali è spesso caratterizzata da condizioni di sovraffollamento, stress cronico e scarsa igiene; tutti fattori che compromettono il loro sistema immunitario, rendendoli più vulnerabili a malattie infettive. Per contrastare questi problemi, gli antibiotici vengono somministrati in modo massiccio, sistematico e indiscriminato, a volte persino a gruppi interi di animali sani. In alcuni casi, per
stimolare artificialmente la crescita degli animali. Si tratta di un grave abuso zootecnico ed etico: esso favorisce la selezione di batteri resistenti, che possono trasferirsi all’uomo attraverso il cibo, l’ambiente o il contatto diretto. Il cosiddetto spillover, il salto di un microorganismo o di un virus da una specie all’altra. Questo uso massiccio crea un circolo vizioso: gli antibiotici, invece di prevenire malattie in modo sostenibile, selezionano ceppi batterici resistenti. Questi ‘super batteri’ possono sopravvivere nei prodotti animali, nei fertilizzanti organici derivati da scarti di allevamento e nelle acque reflue, diffondendosi nell’ambiente e, appunto, raggiungere così l’uomo. Le conseguenze sono drammatiche. Secondo le Nazioni Unite, l’inquinamento da antibiotici rappresenta una delle più gravi minacce globali alla salute: solo nel 2019, il fenomeno ha contribuito a 5 milioni di morti, di cui il 20% riguardava bambini sotto i cinque anni. Ma non è tutto. Sempre secondo le previsioni dell’Onu,
entro il 2050 i morti per antibiotico-resistenza nel mondo potrebbero addirittura raggiungere i 10 milioni. L’impatto di questo fenomeno non si ferma alla ‘sola’ perdita di vite umane, l’antibiotico-resistenza ha un effetto devastante anche sugli ecosistemi. Gli scarichi degli allevamenti intensivi, spesso ricchi di residui di farmaci, contaminano i suoli e i corsi d’acqua, favorendo la proliferazione di batteri resistenti, anche lontano dai siti di origine. Per affrontare questa emergenza globale, la comunità scientifica propone l’approccio “One Health”, che riconosce l’interconnessione tra la salute umana, animale e ambientale. Una visione olistica che punta a integrare politiche sostenibili e pratiche responsabili, promuovendo una riduzione a livello generale dell’uso degli antibiotici e migliorando il benessere degli animali negli allevamenti. Anche i cittadini hanno un ruolo cruciale nel contrastare l’antibiotico-resistenza. Scelte consapevoli, come privilegiare alimenti biologici o provenien-
Questi ‘super batteri’ possono sopravvivere nei prodotti animali nei fertilizzanti organici derivati da scarti di allevamento e nelle acque reflue diffondendosi nell’ambiente
ti da filiere etiche, possono influenzare positivamente le pratiche negli allevamenti, così come una riduzione del consumo di carne e derivati potrebbe
ridurre la pressione sulle risorse naturali e sugli ecosistemi.
L’antibiotico-resistenza è una crisi silenziosa ma devastante, amplificata da pratiche industriali che mettono gli interessi economici davanti alla tutela della salute. Gli allevamenti intensivi rappresentano un nodo critico, ma anche un punto di partenza per invertire la rotta. Attraverso politiche mirate, ricerca scientifica e scelte responsabili, possiamo affrontare questa minaccia globale e costruire un futuro dove la salute delle persone, degli animali e del pianeta siano finalmente considerate come un unico ecosistema interconnesso.
L’approccio “One Health” non è solo una strategia, ma un invito a ripensare il nostro rapporto con la natura, ponendo al centro la tutela della salute e il rispetto per la vita in tutte le sue forme. Anche, soprattutto, quelle future.
Per scrivere a Francesca Santolini
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PARLIAMONE
SALVATORE ESPOSITO SOGNA IN GRANDE «IN ITALIA MANCA UN CINEMA INTERNAZIONALE»
Spogliati i panni di Genny Savastano in Gomorra, l’attore napoletano raccoglie il testimone di Bud Spencer e diventa ‘Piedone’ in una serie Sky
In questo momento del suo percorso artistico, Salvatore Esposito cerca qualcosa di nuovo, che in Italia è difficile trovare.
Ormai lanciato verso una carriera internazionale, l’ex Genny Savastano di Gomorra è diventato il commissario Vincenzo Palmieri nella serie di Sky Piedone-Uno sbirro a Napoli, dove interpreta l’erede spirituale del commissario Rizzo, ossia Bud Spencer. L’attore campano ha anche pubblicato recentemente il libro Le streghe di Lourdes, terzo capitolo di una saga con protagonista lo sciamano, ossia Christian Costa, un profiler esperto di delitti rituali, che spera presto possa diventare un film.
Al 21esimo Monte-Carlo Film Festival de la Comédie (diretto da Ezio Greggio), dove ha ricevuto il Premio MCFF Award 2024, il 38enne ci ha raccontato a che punto è il suo percorso artistico. Lo vedremo a marzo nei cinema nell’action La tana dei lupi 2, diretto da Christian Gudegast, al fianco di Gerard Butler, e in questi mesi sarà impegnato sul set di Mase-
di Giulia Bianconi
rati: The Brothers, biopic di Bobby Moresco sulla storia dei fratelli che hanno rivoluzionato il mondo delle auto di lusso.
Esposito, come nasce l’esigenza in questi ultimi anni di fare lo scrittore?
Ho scritto storie che avrei voluto mi proponessero come attore. Trovo poco interessanti i progetti che vedo al cinema e in tv. Non c’è un film italiano, uscito negli ultimi quattro anni nelle sale, che avrei voluto fare. Cerco sempre qualcosa che vada oltre le cose già viste e banali, che abbia uno sguardo internazionale. Anche da spettatore, trovo incredibile che in Italia non ci sia una saga action o crime, o che non si facciano horror.
Lo sciamano quindi potrebbe diventare il protagonista di un film?
Sto cercando dei produttori, vediamo se in Italia, perché all’estero ho già delle proposte. Ma vorrei farlo qui da noi.
Da Fargo a La tana dei lupi 2, fino a Maserati. Che cosa ha imparato e sta imparando su questi grandi set internazionali?
All’estero quando si fa un film si parte da una base local con l’idea di aprirsi al mondo e raccontare storie universali. In Italia sembra che purtroppo questa cosa non sia tanto né riuscita né voluta. Da noi c’è un circoletto, io lo chiamo circolo vizioso, che sta portando a un’autodistruzione del cinema italiano. Si prendono sempre gli stessi attori e gli stessi registi. All’estero le produzioni ci tengono a tutelare il
mestiere dell’attore, perché il nostro volto va in video, insieme agli occhi, alla voce, alle mani.
Ne La tana dei lupi chi interpreta?
Sono un serbo, Slavko, che parla anche in inglese. Big Nick’ O’Brien, ossia Butler, arriva in Europa, mentre O’Shea Jackson Jr. fa parte di un gruppo di ladri di diamanti dei paesi balcani. Girare con Butler è stato davvero divertente. Quando lavori con queste star, ti rendi conto della loro professionalità e di quanto si mettano in gioco.
Piedone, invece, che esperienza è stata?
Mi ha lasciato un enorme senso di universalità. Napoli è la città più internazionale che abbiamo. Puoi trovare la bellezza più totale, come l’ha raccontata Sorrentino in Parthenope, oppure l’oscurità di Gomorra. Vai nei vicoli e ti trovi negli Anni ’70, in metropolitana sembra di stare nel 2600. Un poeta, come Pino Daniele, ha definito Napoli la città dei mille colori. In questa serie poi abbiamo trattato temi molteplici e attuali, come la malasanità, il femminicidio e il “revenge porn”, muovendoci tra risate e riflessione. Come è nata la serie?
Ho conosciuto la famiglia Pedersoli alla mostra che hanno dedicato a Bud Spencer al Palazzo Reale di Napoli. Parlando con suo figlio, Giuseppe, è venuta fuori la voglia di dare una nuova vita a Piedone. Abbiamo fatto un prodotto internazionale un po’ come i film della Marvel. Ci stiamo muovendo nello stesso universo in cui si muoveva Bud Spencer. Il mio personaggio
è stato salvato da piccolo dal commissario Rizzo. Viene accolto da quest’uomo che lo fa diventare un poliziotto. Probabilmente senza Rizzo, Vincenzo sarebbe diventato altro, forse il protagonista di un’altra serie. Palmieri è un uomo ricco di ferite, traumi, con un grande spirito di vendetta, ma che allo stesso tempo porta con sé tutto quello che vedeva fare al commissario Rizzo, per arrivare alla verità.
Tornerà a lavorare prima o poi con Marco D’Amore?
Quando vuole, io ci sono. Ora lui sta girando il prequel di Gomorra, dove verrà raccontato Don Pietro Savastano quando era un ragazzino. Qualcuno mi ha chiesto se ci sarò anche io. Chiaramente è impossibile. Gomorra, per ora, è un capitolo chiuso. Anche se, mai dire mai.
consentire agli agenti patogeni e alle sostanze nocive di penetrare nella parete intestinale. Di conseguenza, il sistema nervoso enterico viene irritato, provocando episodi di diarrea ricorrente, spesso accompagnati da dolori addominali, flatulenza e talvolta costipazione. In inglese, questo fenomeno è stato definito "leaky gut".
Falso mito 4: la sindrome dell'intestino irritabile dipende da un’alimentazione poco sana.
Nel corso degli anni si è scoperto che la classica dieta occidentale, caratterizzata da un'elevata percentuale di acidi grassi saturi e carboidrati a catena corta, favorisce lo sviluppo del “leaky gut“. Anche lo stress è stato identificato come un importante fattore scatenante. Entrambi spiegherebbero perché sempre più persone, soprattutto nelle culture occidentali, lottano contro disturbi intestinali ricorrenti come diarrea, dolori addominali e flatulenza.
Un rimedio per chi soffre di colon irritabile – un ceppo batterico specifico, il B. bifidum MIMBb75
Nel corso del tempo, è stato scoperto un ceppo specifico di bifidobatteri denominato B. bifidum MIMBb75, capace di aderire alle cellule epiteliali dell'intestino, proprio come un cerotto su una ferita.
L'idea alla base: la barriera intestinale potrebbe rigenerarsi sotto questo "cerotto" e di conseguenza i disturbi intestinali potrebbero ridursi.
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È stato osservato che i sintomi delle persone affette da sindrome dell'intestino irritabile a cui è stato somministrato questo ceppo di batteri possono attenuarsi. Questo ceppo potrebbe dunque aiutare chi soffre di sindrome dell'intestino irritabile.
Dall’idea al prodotto
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LEGAL LOVE ADOLESCENTI A LEZIONE DI AFFETTIVITÀ
Marina Condoleo, ideatrice del progetto
racconta come avvengono gli incontri nelle scuole del Lazio tra avvocati e studenti nel segno della prevenzione, della legalità e del gioco
di Anna Giuffrida
Insegnare a ragazzi e adolescenti la legalità, ma anche l’affettività. Educarli alla prevenzione, e quindi al rispetto di sé stessi e degli altri. È questa l’idea che anima Legal Love, un progetto promosso dall’associazione no profit Road to Green 2020 che, dallo scorso marzo, coinvolge centinaia di studenti tra i 13 e i 16 anni delle scuole del Lazio che aderiscono all’iniziativa.
Un progetto necessario, preso atto che «questi ragazzi non comunicano, non solo con i genitori ma anche con il mondo che li circonda», spiega Marina Condoleo, avvocata penalista con anni di esperienza a fianco degli adolescenti in Pcto (Percorsi per le Competenze
Trasversali e l’Orientamento) e ideatrice del progetto Legal Love. Le lezioni sono condotte da avvocati, con il supporto di esperti e psicologi, che con un linguaggio umano e diretto si avvicinano agli studenti nelle aule scolastiche, allenandoli prima di tutto alla fiducia negli adulti. «Quando arriviamo non ci presentiamo con titoli professionali, gli diciamo di chiamarci con i nostri nomi. E poi raccontiamo il nostro vissuto. Io racconto sempre di quando ero adolescente, e scappavo la notte per andare nella discoteca del paese di mio padre. E spieghiamo, così, che anche noi abbiamo fatto cavolate, ma che loro oggi corrono più rischi - dice l’avvocata Condoleo, che
con i colleghi avvocati dell’associazione Vis Romana conduce le lezioni in classe di Legal Love -. Dai nostri racconti nascono sorrisi e, soprattutto, fiducia. Ci mettiamo sul loro stesso piano, anche perché parliamo a braccio senza canovacci. Gestiamo la lezione con spontaneità, in base alle esigenze che emergono tra i ragazzi».
Attraverso l’uso di questionari e con momenti di gioco, gli avvocati ‘docenti’ parlano con i ragazzi di argomenti che, spesso, vivono in prima persona ma senza conoscerli del tutto, soprattutto le conseguenze: dall’uso corretto delle chat alle dipendenze da stupefacenti e alcol, dalla salute psicofisica al contrasto agli atti autolesionistici e
Roma, settembre 2024: sopra e in basso due immagini scattate in occasione della presentazione del progetto “Legal Love”, tenutasi presso la sede del Campidoglio
all’anoressia. Fino alla sessualità. Uno degli obiettivi del progetto è l’istituzione della Giornata Nazionale per il contrasto all’Infezione da HPV (Papilloma virus), come forma di prevenzione e di rispetto verso l’altra persona e verso sé stessi. «Si chiama Legal Love proprio perché la legalità è vista non come una lezione di educazione civica, ma impostata da esperti umani del diritto - spiega Marina Condoleo, con entusiasmo -. Nel senso che non gli diciamo che per quell’atto “è prevista la pena di…”, parliamo di azioni e delle conseguenze che possono avere. Love si riferisce invece all’educazione al rispetto, all’affettività e anche puntando sul fatto che vaccinarsi contro il Papilloma virus è importante. Purtroppo le scuole, spesso, non ci fanno approcciare ad argomenti sulla sessualità, sono un po’ restìe». Ma quello che caratterizza il progetto Legal Love è la passione dell’avvocata Condoleo e dei suoi ‘docenti’, come lei ama chiamarli, per il mondo dell’adolescenza. E questo trasforma alcuni
ostacoli in sfide, possibili da affrontare. «Lo scorso aprile, durante un percorso in una scuola, prima di iniziare come facciamo sempre abbiamo individuato il capobranco, che di solito è maschio per i ragazzi e femmina per le ragazze. Di regola, è anche quello che ti dà le spalle. Il nostro impegno è stato coinvolgere loro, intanto - ricorda Marina Condoleo -. In quella classe ho fatto lezione facendo una fatica enorme: uscivo da lì distrutta perché vedevo da parte del resto della classe la volontà di seguirmi, ma l’impossibilità di farlo perché c’era il diniego a collaborare. Poi, con una collega molto brava, abbiamo organizzato un gioco di ruolo. Loro rispondevano al posto nostro a delle domande sui pericoli
nelle chat. Nel fare a loro le domande, ci comportavamo come il ragazzo aveva fatto durante la prima lezione, distraendosi. Alla fine della lezione, lui ha capito, si è avvicinato e abbiamo parlato. Tutti i ragazzi che incontriamo hanno il nostro numero, nel caso volessero contattarci. Da quel giorno, lui mi chiama ancora per chiederci di tornare nella loro scuola». E aggiunge, con soddisfazione: «Se riusciamo a portare anche uno di loro dalla nostra parte, abbiamo vinto».
Un progetto che ha già dato risultati, per la domanda di tanti ragazzi di proseguire, per le richieste di dibattito su nuovi temi, come ansia e attacchi di panico negli adolescenti. Un patrimonio di informazioni preziose che, al momento, resta a beneficio solo del progetto. Un’iniziativa che rimane autofinanziata, dalla stessa avvocata Condoleo e dalla presidente dell’associazione Road to Green 2020, Barbara Molinario. Un progetto che «per me è una missione - chiosa Marina Condoleo parlando del legame che ha con i ragazzi -. Ha mai aperto un’ostrica? Quando trovi quel punto di apertura in cui riesci a entrare, hai svoltatoconclude sorridendo l’avvocata -. Loro sono come ostriche e, spesso, trovi all’interno la perla».
Marina Condoleo
SVEGLIA ALLE 5 LA VITA FRENETICA (E FELICE) DEL MEDICO DI NOTO
Salvatore Giannone, classe 1955
vive la professione come una missione senza dimenticare la famiglia e lo sport «Fare le cose con passione è fondamentale»
di Claudia Benassai
«Buongiorno, mi potevate chiamare tranquillamente alle 4. Tanto io sono pronto per andare a lavorare. Con il sorriso sempre sulle labbra. Tratto di chi, in fondo, è grato alla vita sempre. L’orario mattutino è super frequentato, soprattutto dagli anziani che mi aspettano con ansia (l’o-
rario di punta è intorno alle 8.30)». Nella splendida Noto, una delle città barocche della Sicilia sud-orientale dichiarate patrimonio dell’Unesco, il medico Salvatore Giannone, classe 1955, che si definisce un giovane settantenne, apre il suo studio alle 5 del mattino e qualche volta, quando la mole di lavoro lo richiede, anche
prima. Le telecamere della Rai e non solo, nei mesi scorsi, però, lo hanno spiazzato, come chi crede di non fare nulla di anormale. La sua vocazione? Possiamo definirla naturale, anche se non è, come si suol dire, figlio d’arte. Di fatto questa è stata anche la sua vera forza. E a rovistare nel passato si vede sempre super impegnato a “buscarsi il pane”, come si dice nella terra baciata dal sole: «Da bambino avevo le idee chiarissime. Ho frequentato - racconta - il liceo classico. Scelta che rifarei senza ombra di dubbio. Dopo la maturità mi ero iscritto in Legge controvoglia. Pensando che fosse la mia strada. In quel periodo
giocavo anche a calcio, riuscendo a guadagnare anche 500mila lire. Più di papà. Soldoni per i tempi. La mia famiglia lavorava in campagna, mi ha sempre incoraggiato, ma ciò che sono oggi lo devo anche a colei che sarebbe diventata mia moglie, Carmela - per noi Eluccia - una donna intelligente e sensibile, che avrei voluto vedere con il camice bianco, ma che ha scelto di insegnare matematica. Lei mi ha supportato tanto. Mi diceva: “Ti aiuto io, compriamo i libri insieme”. Il destino ci ha messo lo zampino e, anche se ero attanagliato da molte remore, ho fatto quello che volevo. Oggi io e la mia metà abbiamo due figli e due
splendide nipotine. Sorrido pensando a quando cercavamo di costruire i nostri sogni. Allora le cose dovevi sudartele e dovevi sempre far quadrare i conti». «Dopo la laurea - continuaho cominciato a lavorare subito. Sono diventato medico di famiglia nel 1987 e, dal 1988, sono massimalista (ha raggiunto il numero massimo di assistiti, ndr), anche questo è un traguardo raggiunto con tante peripezie. Per me le persone non sono numeri, i pazienti sono ben 3.000, anche per questo diventa una necessità aprire molto presto. Ci sono delle mattine in cui non riesco nemmeno a vedere il primo tg per aggiornarmi su cosa accade nel mondo».
Che sia un maratoneta della sanità lo dicono in tanti, ma il medico siciliano sorride quando i suoi colleghi più giovani raccontano di sentirsi stressati per aver sentito e visitato 10 pazienti in una giornata, gestendo anche le e-mail. «L’altro giorno mi hanno invitato a una cena - ricorda - e dei giovani discutevano sul lavoro svolto. Dicevano: “Pensi dottore, oggi abbiamo seguito 10 pazienti e dobbiamo mandare pure le mail”. Io ho puntualizzato che giusto quella giornata avevo fatto la bellezza di 130 visite. Dalle 4 del mattino alle 18. Però, non mi prendete per un bacchettone o un
vecchio trombone che fa prediche; io la vivo così perché forse sono un uomo che è cresciuto in un’epoca assai diversa. Gli altri, poi, mi vedono come un esempio».
In aiuto, però, arriva lo sport, come quando corri e dopo 10 km senti la stanchezza; in soccorso arriva la dopamina e non ti fa sentire più la fatica. «Gestisco due ambulatori. Uno si trova nella parte alta della città e uno nella parte bassa. Anzi tre, considerando anche la campagna. La parte più bella resta la visita domiciliare. Anche in una casa di riposo, dove ci sono alcuni miei assistiti. Che adoro. Una signora novantenne, ad esempio, mi portava il caffè che faceva lei e della cioccolata; ora non vede più, ma quando ha sentito la mia voce mi ha abbracciato con un affetto eterno. Anche per questo ho rifiutato di lavorare in ospedale».
Il dilemma più grande: non essere riuscito a convincere i suoi figli, che hanno scelto di fare altro. Il grande, spronato dalla mamma, ha deciso di fare l’ingegnere aerospaziale, mentre il piccolo ha scelto di fare l’avvocato: «La famiglia - afferma il medico virtuoso - è tutto per me. Come il lavoro. Sono orgogliosamente nonno e ho due nipotine stupende, come dicevo. Una mi ha fatto una videochiamata mentre visitavo per dirmi che era arrabbiata con me. Mentre mia moglie era lì mi ha detto: “Nonno, perché non sei venuto? Aspetta che ti mando un soldino io”. Con mia moglie il venerdì pomeriggio partiamo alla volta di Milano per vivercele. Altro tempo speso benissimo».
E il consiglio per i giovani è uno: «Fare le cose con passione è veramente fondamentale. Io mi sento ancora giovane, nonostante i miei settant’anni. Faccio sport, pesca subacquea e corsa, e il mio sogno è lavorare altri due anni - conclude -, perché sento che ho ancora tantissimo da dare».
Salvatore Giannone
Sociale
GustAbile L’OLIO PUGLIESE CHE PROMUOVE
INCLUSIONE SOCIALE
Un progetto innovativo di Tersan Puglia e delle cooperative sociali Must e Zip.h coinvolge le persone con disabilità nel mondo del lavoro attraverso l’agricoltura sostenibile
di Dario De Felicis
Un nuovo marchio di prodotti agroalimentari, GustAbile, si fa portavoce di un importante messaggio di inclusione sociale e sostenibilità. Il progetto sviluppato dalla Tersan Puglia, insieme alle cooperative sociali Must e Zip.h, mira a promuovere la crescita personale e l’inserimento lavorativo di giovani con disabilità, attraverso pratiche agricole rispettose dell’ambiente.
GustAbile è il risultato del progetto “Coltivando abilità” e si è già concretizzato con la produzione di oltre mille
bottiglie di olio extravergine di oliva. Attraverso un programma che coniuga teoria e pratica, i partecipanti hanno appreso i principi del compostaggio, il ciclo di vita degli ulivi e i benefici dei fertilizzanti biologici. Gli “studenti” hanno poi avuto l’opportunità di mettersi alla prova sul campo, partecipando alla raccolta delle olive e al processo di produzione dell’olio. Durante questa fase, che ha coinvolto sette ragazzi, sono stati raccolti circa 43 quintali di olive delle varietà ‘coratina’ e ‘ogliarola’. Un lavoro che si è svolto in dieci giornate
I ragazzi impegnati nell’etichettatura e nel confezionamento delle bottiglie di olio
di raccolta e quattro giornate di lavorazione presso il frantoio, ed è culminato con l’etichettatura e il confezionamento delle bottiglie di olio. E il progetto guarda al futuro: già nel corso del 2025 è previsto un ampliamento che includerà la raccolta e la trasformazione di mandorle e pistacchi.
«Siamo davvero orgogliosi dei risultati ottenuti in questa prima fase - ha dichiarato Luca Brenna, responsabile d’Impatto di Tersan Puglia -. Abbiamo combinato inclusione sociale, sostenibilità delle colture e salute del suolo; in particolare, ci colpisce il coinvolgimento e il grande interesse dimostrato dai ragazzi, testimonianza concreta del potere inclusivo del lavoro che non è solo crescita professionale, ma soprattutto personale e sociale».
Grande soddisfazione è stata espressa anche da Natalia Bartolomeo della cooperativa sociale Must: «Questa iniziativa offre opportunità di formazione e lavoro per persone in condizioni di svantaggio. GustAbile rappresenta un olio che incarna i valori di qualità, sostenibilità e inclusione sociale, realizzato con metodi che rispettano la terra e valorizzano le capacità individuali». Il progetto, però, non solo offre possibilità lavorative a persone che si vedrebbero altrimenti escluse, ma promuove anche un modello di agricoltura sostenibile, dimostrando come l’inclusione sociale e il rispetto per l’ambiente possano andare di pari passo. «Il nostro obiettivo - ha affermato Daniela Altomare, presidente della cooperativa sociale Zip.h – è quello di formare e orientare in una dimensione lavorativa che affonda le sue radici nelle tradizioni bitontine, nella nostra terra. Di terra in terra, di mano in mano, iniziamo a vederne i primi germogli». Con GustAbile, l’olio pugliese diventa non solo un prodotto di qualità, ma anche un simbolo di speranza e di nuove opportunità per tutti.
L’INVERNO È LONTANO DA CASA
LA STAGIONE PIÙ DURA
PER RIFUGIATI E SFOLLATI
di Chiara Ludovisi
Sono più di 122 milioni: uomini, donne e bambini, fuggiti dalla propria terra e dalla propria casa, in cerca di un luogo più sicuro e più vivibile. Sono gli sfollati e i rifugiati, che in tante parti del mondo stanno affrontando, in queste settimane, il periodo peggiore dell’anno: l’inverno. A loro Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di rifugiati, dedica una campagna: “Un altro inverno lontano da casa”. L’obiettivo è accendere i riflettori, ma soprattutto creare un’attenzione empatica e attiva verso questa complessa e drammatica realtà.
«Per milioni di rifugiati e sfollati l’inverno rappresenta un’autentica minaccia per la propria stessa sopravvivenza - spiega Laura Iucci, direttrice della raccolta fondi di Unhcr Italia -. L’abbassamento delle temperature rappresenta un rischio specialmente per le persone che, in paesi come Libano e Siria, vivono in alloggi di emergenza non isolati termicamente e quindi esposti al vento, alla pioggia e alla neve».
Oltre 122 milioni di persone fuggite da guerre e povertà vivono in condizioni di grande precarietà
Il freddo minaccia soprattutto Afghanistan Siria, Libano, Ucraina. Laura Iucci (Unhcr) spiega gli interventi dell’ultima campagna
Ma l’inverno è rigido e minaccioso anche alle porte di casa nostra, nella vicina Ucraina, dove tanti sfollati vivono in appartamenti danneggiati dai bombardamenti. «In generale - spiega ancora Iucci - la stagione fredda comporta anche un drastico aumento delle spese per soddisfare bisogni essenziali, come il riscaldamento per chi vive in appartamento, o il carburante o l’energia per chi si scalda con le stufe, ma anche per gli abiti invernali, le medicine e ovviamente il cibo e l’occorrente per cucinare. Per moltissime famiglie vulnerabili, questi costi sono letteralmente insostenibili».
Nel momento in cui parliamo, quanti sono i rifugiati e gli sfol-
lati e in quali regioni si concentrano?
Il numero di persone nel mondo costrette a fuggire da violenze e persecuzioni ha superato la cifra di 122 milioni. Da oltre 12 anni questo numero è in costante crescita. Alla fine di giugno del 2024, 1 persona su 67 in tutto il mondo si trovava in questa situazione: quasi il doppio rispetto a dieci anni fa, quando questa condizione riguardava una persona su 114. Il 71% dei rifugiati è ospitata in paesi a basso e medio reddito. Due terzi dei rifugiati e delle altre persone che necessitano di protezione internazionale provengono da soli quattro paesi: Afghanistan, Siria, Ucraina e Venezuela. Ci sono poi 36 paesi nel
mondo in cui si registra la presenza di sfollati interni: fra questi il Sudan (8,6 milioni), la Siria (7,2 milioni), l’Ucraina (6 milioni e 700mila).
Dove registrate le condizioni più difficili?
In questo momento, sicuramente nei paesi in cui sono in corso violenze: Siria, Libano e Ucraina. Ma anche nelle regioni in cui c’è un’emergenza umanitaria, come l’Afghanistan, o dove sono presenti ampie comunità di rifugiati, come Pakistan, Egitto, Giordania e Moldavia. Milioni di sfollati e rifugiati sono particolarmente a rischio in questo momento: in alcune aree di questi paesi le temperature possono scendere di parecchi gradi sotto lo zero, di conseguenza migliaia di famiglie vulnerabili sono in pericolo. Preoccupano in particolare le condizioni di centinaia di migliaia di sfollati in Libano, ma anche la situazione dei rifugiati e degli sfollati in Siria. Penso anche ai milioni di sfollati in Ucraina, che devono affrontare un altro estenuante inverno di guerra e agli oltre 23 milioni di afghani che necessitano di aiuti umanitari.
Chi sono i più vulnerabili tra i vulnerabili? Esistono categorie di sfollati particolarmente fragili? Certamente gli anziani, che peraltro in questi contesti sono spesso soli: senza l’affetto dei loro cari, la loro vulnerabilità è estrema. Per questo siamo soliti portare avanti programmi specifici per garantire loro l’assistenza materiale e psicologica di cui necessitano. Per fare soltanto un esempio, in Moldavia stiamo portando avanti, in collaborazione con il ministero del Lavoro e della Protezione Sociale, il progetto “Sostegno ai rifugiati anziani e con disabilità”. Nell’ambito del progetto, grazie anche al contributo della Fondazione Amplifon, abbiamo ristrutturato il centro di accoglienza di Valea Rediu-
lui, specializzato nell’offrire assistenza agli anziani e ai disabili. Quali sono le azioni messe in campo da Unhcr per sostenere queste persone, in particolare durante l’inverno?
Per tutti i mesi invernali, gli operatori sul campo di Unhcr lavoreranno senza sosta per fornire aiuti e supporto umanitario ai rifugiati e agli sfollati, perché possano sopravvivere alle dure condizioni invernali. La componente principale del nostro intervento è l’assistenza economica diretta: questa permette loro di provvedere in autonomia alle spese prioritarie, come
affitto, riscaldamento, cibo e medicinali. Altro punto fondamentale sono i beni di prima necessità, tra i quali le coperte e gli abiti invernali. Un’altra azione fondamentale è il supporto per la riparazione delle abitazioni danneggiate dai bombardamenti e quello per l’isolamento termico degli alloggi di emergenza. In Ucraina, per esempio, oltre 2 milioni di persone hanno la propria abitazione danneggiata dai bombardamenti. Sempre in Ucraina, un altro elemento cruciale è la fornitura di energia alternativa e di generatori. La distruzione delle infrastrutture ha infatti comportato una forte riduzione della capacità del paese di produrre energia. Questo ha un impatto devastante sulla vita delle famiglie, costrette ad affrontare continue interruzioni dell’erogazione di elettricità, riscaldamento e acqua. In Libano e in Siria, l’intervento invernale comprende anche la fornitura di cibo, acqua e kit di primo soccorso medico. La campagna “Un altro inverno lontano da casa” nasce proprio con l’obiettivo di raccogliere fondi a sostegno di questi interventi. Tutti possono sostenere l’iniziativa con una donazione online (unhcr.it): anche un piccolo aiuto può fare la differenza e contribuire a rendere meno rigido l’inverno di tante persone in tutto il mondo.
Laura Iucci
Economia «A
vevo un conto corrente condiviso con mio marito per i nostri rispettivi stipendi. Due anni fa, quando lui - manutentore di caldaie - si è messo a lavorare in proprio, le cose sono cambiate. Per acquistare nuove attrezzature, ha chiesto un prestito alla banca per il quale mi ha chiesto di firmare una fideiussione. Da tre mesi non paga più le rate e ha ridotto i versamenti sul conto condiviso. La banca mi ha chiamato per ricordarmi che ero garante del prestito e spiegarmi quanto stava succedendo. Ne abbiamo discusso in casa. Il clima familiare è diventato sempre più teso, il nervosismo alle stelle. Non siamo riusciti a trovare un punto d’incontro e i bambini si sono molto spaventati per le accese discussioni, così lui ha deciso di prendersi una pausa di riflessione, tornando a casa dalla madre». Comincia così il racconto di Veronica insegnante di scuola elementare, sposata da dieci anni, con due figli. «Sono stata costretta - continua - a toccare i soldi che avevamo accantonato in quel conto comune per le spese straordinarie. Ho capito che dovevo porre rimedio alla situazione prima che fosse troppo tardi. Un’amica mi ha parlato della Global Thinking Foundation. Mi hanno aiutato e supportato. Prima di tutto ho aperto il mio conto corrente personale, dove ora faccio versare il mio stipendio. Purtroppo, per coprire l’insoluto sono stata costretta a dare fondo ai risparmi perché altrimenti avrei dovuto vendere la macchina che mi serviva per accompagnare a scuola i figli e andare a lavorare. Spero di poter uscire da questa situazione. Sono stata fortunata perché avevo messo qualche soldo da parte, ma le discussioni continuano anche a distanza e non promettono bene. Quanto è successo, mi ha insegnato molto sulla mia capacità di gestire da sola anche quegli aspetti che avevo sempre delegato
LA MISSIONE DI GLOBAL THINKING FOUNDATION PER L’INDIPENDENZA ECONOMICA DELLE DONNE
Claudia Segre, ha fondato nel 2016, a Milano l’associazione no profit con l’obiettivo di promuovere l’alfabetizzazione finanziaria rivolta a soggetti indigenti e fasce deboli
di Francesca Cutolo
a mio marito, fidandomi ciecamente». Secondo una recentissima ricerca Global Thinking Foundation, sono il 31,2% le donne che dipendono eco-
nomicamente da partner o da altro familiare e il 68,8% quelle indipendenti dal punto di vista economico. Inoltre il 42% delle donne non possiede un con-
to corrente personale e il 33% non è in grado di gestire un budget familiare. 50&Più ha incontrato Claudia Segre (in foto), che ha fondato nel 2016, a Milano, Global Thinking Foundation, l’associazione no profit di cui è presidente, con l’obiettivo di promuovere l’alfabetizzazione finanziaria rivolta a soggetti indigenti e fasce deboli. «I casi come quello di Veronica purtroppo sono all’ordine del giorno. Lei fa parte proprio del 30 % di donne che rischia l’esclusione sociale e finanziaria, è su di loro che occorre ragionare. C’è molto da fare se pensiamo che oggi solo il 58% delle donne ha un conto corrente intestato personale. Finché il discorso soldi resterà un tabù in famiglia, come a scuola - continua Segre - non sarà possibile contemplare una reale educazione, e quindi un cambiamento nella cultura finanziaria della cittadinanza, che sappiamo in Italia essere agli ultimi posti nell’Ue».
La Global Thinking Foundation lavo-
ra proprio per diffondere l’educazione finanziaria e digitale anche attraverso progetti e attività formative, per prevenire la violenza economica e l’abuso finanziario. Cerca di combattere discriminazioni e abusi legati alla sfera economica, con particolare attenzione al benessere di donne, ragazze e di chiunque subisca violenza economica, promuovendo inclusione e parità. «La consapevolezza dell’importanza dell’indipendenza economica - spiega Segre - è il primo passo per una tutela personale nei confronti della violenza economica, che spesso è l’innesco per altre forme di violenza. La condivisione delle dinamiche e delle scelte legate ai
soldi in famiglia permetterebbe alle ragazze e ai ragazzi di prendere confidenza con l’uso del denaro e il valore delle risorse finanziarie. Laddove i figli non vengano educati ad una cultura finanziaria, saranno propensi a ripetere, nella loro vita da adulti, quello che hanno visto fare in famiglia e questo porterà a un ripetersi di dinamiche disfunzionali nelle future generazioni». Come si svolge concretamente l’attività della Fondazione? «Tra le iniziative principali, c’è il progetto “Donne al Quadrato”, un programma di alfabetizzazione finanziaria rivolto alle donne, con lezioni frontali, mentorship e supporto psicologico che, con una rete di 124 volontarie/i, ha coinvolto - negli ultimi 5 anni - oltre 10mila partecipanti. Inoltre, il progetto “Libere di…VIVERE”, che comprende diverse attività culturali e ricreative, tra cui una mostra itinerante, realizzata in collaborazione con l’Anonima Fumetti, per creare una serie di graphic novel che raccontano storie di donne che hanno superato situazioni di violenza economica grazie alla propria indipendenza». Un intenso lavoro di rete quello della Global Thinking Foundation, a disposizione dei Centri Anti Violenza, degli ordini professionali, e degli operatori della Pubblica Amministrazione, che ha favorito una disseminazione di consapevolezza sul fenomeno della violenza economica con risultati tangibili: «Siamo ottimiste - conclude Segre -, la situazione, lentamente, ma sta migliorando. I riconoscimenti ci incoraggiano a continuare a lavorare con impegno, coinvolgendo sempre di più i giovani e le scuole».
«Finché il discorso ‘soldi’ resterà un tabù in famiglia - come a scuola -, non sarà possibile contemplare una reale educazione, e quindi un cambiamento nella cultura finanziaria della cittadinanza»
SETTIMANA CORTA QUANDO IL LAVORO CEDE TEMPO ALLA SFERA PRIVATA
La
sperimentazione del ‘nuovo’ modello lavorativo ha fatto registrare ottimi risultati. Un’indagine realizzata dalla società NielsenIQ spiega le ragioni di questo successo
di Donatella Ottavi
Lavorare 4 giorni a settimana anziché 5, lasciando invariata la retribuzione mensile. È questo il punto cardine della ‘settimana corta’, un modello lavorativo sperimentale già testato da diverse realtà aziendali che finora ha fatto registrare riscontri positivi: maggiore benessere psicofisico, aumento della spinta motivazionale e diminuzione dei casi di assenteismo tra i lavoratori, in aggiunta a una riduzione dell’impatto ambientale derivante dai minori consumi energetici e dal ridotto utilizzo di mezzi di trasporto.
I primi test sono stati avviati in diversi paesi del Nord Europa, tra cui Norvegia, Danimarca e Svezia, ma è l’Islanda che, tra il 2015 e il 2019, ha condotto il più grande progetto pilota al mondo. La sperimentazione, che ha coinvolto circa 2.500 persone, ha riscosso un successo tale da spingere i sindacati dei lavoratori ad attivarsi per rendere definitivo il nuovo orario di lavoro.
Sulla scia dell’Islanda, altri paesi hanno deciso di mettersi in gioco. Tra questi, anche Inghilterra, Belgio e Spagna si sono dichiarati favorevoli a
recente, a conclusione del test avviato nel 2023: oltre il 70% delle aziende coinvolte si sono espresse in favore dell’adozione definitiva della settimana corta.
L’Italia non è rimasta a guardare, tanto da presentare un apposito disegno di legge che, nel momento in cui scriviamo, è al vaglio del Parlamento. Nel frattempo, dopo un periodo di sperimentazione, solide realtà private come Intesa Sanpaolo, Luxottica e Lamborghini hanno adottato il nuovo modello lavorativo. Una possibilità che di recente si è aperta anche al settore del pubblico impiego attraverso un accordo siglato tra l’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle
fronte degli esiti positivi ottenuti dalle rispettive esperienze: produttività e benessere dei lavoratori in crescita, così come un aumento di fatturato. Risultato, quest’ultimo, imputabile all’ottimizzazione dei processi lavorativi volti a mantenere un’alta qualità del lavoro in minor tempo. È la Germania a fornire il riscontro più
pubbliche amministrazioni) e parte dei sindacati, offrendo l’opportunità di concentrare le ordinarie 36 ore settimanali in 4 giorni.
Ma cosa ne pensano i lavoratori italiani? A fare il punto della situazione, l’analisi realizzata dalla società NielsenIQ per Pulsee Luce e Gas, secondo cui l’80% degli intervistati è favore-
vole al nuovo modello per i risvolti oggettivi dati da un ‘tempo ritrovato’, tanto da dichiararsi disposti a una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro (47%) e a una eventuale diminuzione del numero di pause (45%). Avere a disposizione un giorno libero in più a settimana contribuirebbe non poco a migliorare la qualità della vita, con effetti positivi sulla salute, sulla cura di figli, anziani o familiari disabili, e sulla gestione della casa, ambiti che, secondo l’indagine, obbligano spesso a cercare un aiuto esterno. Nel 48% dei casi gli intervistati sono genitori alle prese con la gestione dei figli; il 24% è costretto a chiedere il supporto dei nonni, mentre
l’11% si rivolge a babysitter, caso che comporta una spesa media mensile di 115 euro. Il 65% di chi si occupa di familiari anziani o disabili cerca principalmente aiuto all’interno dell’ambito familiare (42%) o si affida a forme di sostegno come badanti e case di riposo (34%), andando incontro, anche in questo caso, a una
spesa che supera mediamente i 500 euro mensili, gravando notevolmente sul bilancio familiare. È per questo che l’85% degli intervistati ‘caregiver’ vede nella settimana corta un’opportunità per prendersi cura dei propri familiari con maggiore autonomia. Relativamente alla gestione domestica, sebbene solo il 13% del campione dichiari di avvalersi di un aiuto esterno - con una spesa media mensile di 107 euro -, il nuovo modello lavorativo viene percepito come un valido strumento di supporto dall’80% degli intervistati, utile a gestire autonomamente anche questo genere di carico. Il modello della settimana corta potrebbe rappresentare la chiave di volta per allentare i serrati ritmi della quotidianità, e ritrovare - al di là dei doveri che ognuno è chiamato a rispettare - anche un po’ di tempo per sé stessi, magari per riprendere un’attività sportiva interrotta a causa del carico di impegni o semplicemente per organizzare quel breve viaggio che si rimanda da mesi. I presupposti per assistere al consolidamento di questo nuovo modello lavorativo sembrano concreti. In futuro avremo più tempo a disposizione? Sarà il ‘tempo’ a dircelo.
GIAPPONE
Il progetto di Tokio
Un giorno libero in più a settimana contribuirebbe a migliorare la qualità della vita, con effetti positivi sulla salute sulla cura di figli anziani, familiari disabili, e sulla gestione della casa
A fronte di un tasso di natalità ai minimi storici - circa 725mila nascite al 2023 -, il paese del Sol levante ha deciso di passare all’azione nel tentativo di contrastare il crescente declino demografico. È questa la motivazione principale che ha spinto il governo metropolitano della capitale nipponica ad attuare il modello della settimana corta dal prossimo mese di aprile. I 160mila dipendenti dell’amministrazione comunale coinvolti nella sperimentazione potranno inoltre contare sulla gratuità degli asili nido, come affermato da Yuriko Koike, governatrice della città. L’intento è ridurre anche l’onere finanziario a carico delle famiglie, estendendo la politica di assistenza gratuita per i secondogeniti e i figli successivi. Un’iniziativa che potrebbe essere d’esempio per quei paesi accomunati dal fenomeno ‘denatalità’. Italia compresa.
SELF CARE PARADOX QUANDO PRENDERSI CURA DI SÉ RESTA UN SOGNO
di Valerio Maria Urru
Si narra che Cleopatra seppe trasformare la cura del corpo in un’arte. I suoi bagni nel latte d’asina, le maschere all’argilla, gli oli profumati erano molto più che semplici gesti di vanità. Erano un modo per affermare la sua regalità e sedurre i suoi nemici. C’è persino chi le ha attribuito la stesura di un manuale di cosmesi, una raccolta di ricette di
bellezza che oggi potrebbero farci sorridere. Ma, come scriveva Seneca, “cum excusatione itaque veteres audiendi sunt”: dobbiamo ascoltare gli antichi, insomma, con indulgenza secondo il noto filosofo. Che poi tutto sommato non era cronologicamente molto distante dall’ultima delle grandi regine d’Egitto. Dall’antico Egitto - dove Cleopatra si dedicava ai suoi rituali di bellezza
- fino ai giorni nostri, il passo è breve. Il desiderio femminile di prendersi cura di sé è sopravvissuto, ma il rischio è che sia rimasto un privilegio riservato alle regine visto che oggi molte donne aspirano a farlo per poi scontrarsi con una realtà complessa. Così, anche se il 99% di loro in Italia riconosce l’importanza di prendersi del tempo per sé, oltre due su tre non riescono a farlo
Anche se il 99% riconosce l’importanza del benessere personale, oltre due donne su tre non riescono a farlo come vorrebbero È quanto emerge da una ricerca commissionata all’Università Luiss e condotta su un campione di oltre mille persone
effettivamente. A mettere in luce quello che è stato definito Self-care Paradox (un vero e proprio paradosso della cura personale: vorrei ma non posso), è la ricerca Self-care habits, barriers and solutions - Attitudini e comportamenti delle donne italiane nelle proprie esperienze di self-care - commissionata da Pantene all’Università Luiss e condotta coinvolgendo oltre 1.000 donne di diverse fasce d’età. A coordinare il tutto Marco Francesco Mazzù, Professor of Practice di Marketing in Luiss e Luiss Business School, affiancato da Simona Romani, Full Professor di Consumer Behaviour in Luiss.
Ma perché il self-care è così difficile da mettere in atto per le donne italiane? Il divario tra desiderio e realtà - secondo l’indagine Luiss - è in parte il riflesso del peso delle aspettative che gravano su di loro. Costrette a conciliare lavoro, famiglia e benessere personale, molto spesso è proprio quest’ultimo a farne le spese, attivando un circolo vizioso di sensi di colpa e aspettative tradite. Persino l’età ed i momenti del ciclo della vita sono in grado di influenzare la loro capacità di prendersi cura di sé ed il modo in cui lo fanno. In quel periodo che va dai 18 ai 24 anni, ad esempio, sentono di avere un tempo limitato per un vero self-care. In questa fase rincorrono soprattutto diverse attività legate a relazioni, lavoro, famiglia, subendo il peso delle aspettative e delle pressioni familiari e sociali. La conseguenza? A controbilanciare il “piacere di prendersi cura di sé” ci sono stati d’ansia e frustrazione.
Per le giovani adulte dai 25 ai 34 anni questa percezione tende ad acuirsi. Il tempo dedicato davvero al self care si restringe ancora di più con il risultato che, quando riescono a trovarlo, sembra loro una vera e propria conquista. Alla base c’è una fase di profonda trasformazione, in cui le donne di questa fascia d’età affrontano un notevole incremento delle complessità personali e professionali. Una situazione analoga a quella delle donne adulte, la fascia che va dai 35 ai 54 anni. Queste ultime si trovano nella condizione di dover gestire maggiori pressioni esterne da parte dell’ambiente lavorativo, relazionale, familiare. Dal canto loro hanno il vantaggio che riescono a identificare le attività migliori per sé ma - anche loro - hanno poco tempo a disposizione. Le uniche che sembrano non risentire di tutto questo e su cui il Self-care Paradox non estende i suoi effetti - o lo fa in modo più blando - sono le donne senior. Nella fascia dai 55 anni
in su possono contare su una maggiore auto-consapevolezza: vivono la cura di sé con serenità e soddisfazione personale. Sarà l’allentamento di tante responsabilità, l’aver vissuto già una curva elevata nelle attività lavorative e relazionali, l’essersi lasciate alle spalle compiti di cura nei confronti di figli ancora troppo piccoli. O forse una maggiore saggezza e resilienza accumulate con il passare del tempo. Fatto sta che le donne senior sembrano aver trovato una chiave di accesso al benessere personale che sfugge alle generazioni più giovani, godendo di un equilibrio e di un’armonia che spesso mancano alle donne più giovani, alle prese con le mille sfaccettature della vita moderna. Dunque, mancanza di tempo e troppe attività che riducono all’osso - se non annullano - momenti per sé, pigrizia nel prendersi cura di sé, dare priorità agli altri e senso di colpa nel non farlo: sono queste, secondo l’indagine della Luiss, le principali barriere al self-care. Per superarle, ci sono delle soluzioni. Oltre a sviluppare una migliore capacità di gestire il tempo, serve avere rispetto verso di sé, limitando la possibilità che i propri spazi vengano invasi. Ma soprattutto è necessario ricavare del tempo per attività che producano benessere e non danneggino gli altri.
Università Luiss Guido Carli
L’Europa non sta bene: l’economia ristagna, la produttività rimane bassa. A Belgrado, invece, si respira un’aria completamente diversa. Il Pil cresce oltre quattro volte più velocemente rispetto a quello dell’Eurozona, il debito pubblico è diminuito di 25 punti percentuali in meno di un decennio, i salari aumentano e la disoccupazione cala. A fine 2024, le agenzie di rating internazionali hanno migliorato la valutazione del paese, aprendo la strada a significativi investimenti esteri. «Una vittoria personale», ha dichiarato il presidente Aleksandar Vučić, sottolineando che la Serbia ora «gioca nella massima serie» con i grandi del mondo. Belgrado sta vivendo un vero e proprio
SERBIA IL MIRACOLO ECONOMICO CHE DIVIDE L’EUROPA
Per Bruxelles, l’ingresso del Paese nell’Ue rappresenta un’opportunità strategica ma persistono ostacoli significativi. Molte decisioni politiche di Belgrado sono in netto contrasto con le linee guida della Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen di Cosimo Caridi
boom economico. Il paese, candidato all’ingresso nell’Ue, ha già soddisfatto i requisiti economici per diventare un membro effettivo. Le promesse di accesso ai fondi europei sono notevoli: la Serbia potrebbe ottenere oltre 1,5 miliardi di euro entro il 2027. Nel frattempo, il governo Vučić sta investendo in infrastrutture più del 7% del bilancio statale, il doppio rispetto all’Italia, alimentando la domanda interna grazie anche alla crescita dei salari. Lo stipendio medio in Serbia si attesta a 825 euro al mese, circa il 41% più basso rispetto alla media europea, ma è un dato in forte miglioramento rispetto al 2020, quando il divario era del 55%. Nei primi mesi del 2023, il salario medio è cresciuto del 14,5% su base an-
Nella foto, Aleksandar Vučić e Viktor Orbán durante la seconda sessione del Consiglio di cooperazione strategica Serbia-Ungheria tenutasi a Budapest lo scorso novembre
nua. Anche considerando un’inflazione del 4%, superiore alla media europea, il potere d’acquisto dei cittadini serbi sta probabilmente crescendo più rapidamente che in qualsiasi altro paese europeo. Questa crescita costante e sostenuta sta attirando l’interesse internazionale: il paese riceve investimenti non solo europei, e la sua economia non dipende in modo cruciale dall’aumento delle esportazioni, a differenza di quanto accade in molte nazioni colpite dalla crisi energetica. Per Bruxelles, l’ingresso della Serbia nell’Ue rappresenta un’opportunità strategica: un nuovo mercato pronto a importare beni prodotti dagli altri Stati membri. Tuttavia, persistono ostacoli significativi. Molte decisioni politiche di Belgrado sono in netto contrasto con le linee guida della Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen. Il primo punto di attrito riguarda la politica estera: la Serbia mantiene storici legami strategici con Russia e Cina, opponendosi alle sanzioni contro Mosca e collaborando con Pechino in ambiti economici e infrastrutturali. Questa posizione divergente è un ostacolo significativo all’adesione all’Ue. Inoltre, la dipendenza dal gas siberiano resta elevata: un quarto del petrolio e due terzi del gas consumati in Serbia provengono ancora dalla Russia. Per la Commissione europea tutti gli Stati membri devono tagliare ogni contratto di fornitura con il Cremlino. Anche a costo di far salire i prezzi dell’energia. A livello regionale, la figura di Vučić suscita polemiche. Nei primi anni della sua carriera politica, è stato membro del Partito Radicale Serbo (Srs), una formazione nazionalista di estrema destra. A soli 28 anni era già ministro sotto Slobodan Milošević. Quest’ultimo fu processato dal Tribunale Penale Inter-
nazionale per l’ex Jugoslavia (Icty) per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Sebbene Vučić abbia moderato le sue posizioni, l’idea della “Grande Serbia” continua a gravitare attorno alla sua figura. In una recente intervista alla Bbc, il presidente serbo ha detto di “essere cambiato”, ma non ha voluto usare il termine genocidio per quanto avvenuto a Srebrenica nel luglio del 1995. Dopo oltre 12 anni al potere, Vučić è diventato un elemento destabilizzante per la regione. Non frena la spinta secessionista della Repubblica Srpska in Bosnia-Erzegovina e non ha normalizzato i rapporti con il Kosovo, una condizione imprescindibile per l’ingresso nell’Ue. Al contrario, le tensioni militari al confine sono aumentate sensibilmente.
Un altro tema critico è la tenuta dello stato di diritto. Vučić ricorre spesso a elezioni anticipate, mantenendo il paese in una costante campagna elettorale, una strategia che ha fatto guadagnare alla Serbia l’etichetta di “autocrazia elettorale”. Le ultime elezioni si sono tenute il 17 dicembre 2023, la terza volta in meno di quattro anni. Secondo l’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), sono emerse prove di manipolazione e frode elettorale, soprattutto nella capitale. Questi episodi, già denunciati più volte nell’ultimo decennio, non hanno ricevuto sanzioni significative da parte dell’Ue, favorendo il perpetuarsi di tali pratiche. Inoltre, il panorama mediatico è largamente controllato dal governo, e l’indipendenza della magistratura è sempre meno garantita. In Europa, però, Vučić trova un alleato in Viktor Orbán. Il primo ministro ungherese ha utilizzato il semestre di presidenza del Consiglio dell’Ue (terminato di recente) per promuovere la causa serba. Con il sostegno del premier slovacco Robert Fico, i due potrebbero creare un asse capace di influenzare le dinamiche interne dell’Unione.
SOCIAL NETWORK BLINDATI
L’AUSTRALIA
ALZA L’ASTICELLA
E
FERMA GLI ADOLESCENTI
La decisione, presa per proteggere i giovani da contenuti nocivi e cyberbullismo solleva numerose questioni e pone sfide significative per i governi e le aziende tecnologiche
di Cosimo Caridi
Una legge tanto rivoluzionaria quanto difficile da applicare. L’Australia ha deciso di limitare l’accesso ai social media per gli utenti sotto i 16 anni. Approvata con un’ampia maggioranza parlamentare, la norma, che entrerà in vigore tra un anno, vieterà agli adolescenti di utilizzare piattaforme come Facebook, Instagram, TikTok. Restano escluse dal divieto le applicazioni di messaggistica, come WhatsApp, e anche siti come YouTube, nati per condividere contenuti più lunghi. Ma già oggi sia WhatsApp, con gli status, che YouTube stanno proponendo forme di condivisione simili ai social. In particolare, gli Shorts di YouTube sono brevi video verticali, solitamente della durata massima di 60 secondi, pensati per un consumo rapido e per competere con contenuti simili su piattaforme come TikTok e Instagram.
Il legislatore australiano ha deciso di intervenire per limitare l’accesso a contenuti estremamente nocivi, come abuso di droghe, violenza, suicidio e autolesionismo. Questi messaggi, spesso veicolati da video o meme, sono però presenti non solo sui social, ma su molti siti internet. «Genitori, vi copriamo le spalle», ha detto il primo ministro Antony Albanese. Il governo vuole dare alle madri e ai padri degli adolescenti uno strumento per fare pressione su propri figli. Se l’accesso ai social è vietato per legge, gli adulti hanno un argomento a loro favore nel porre dei limiti. Ma l’alcol, le sigarette sono anch’esse vietate per i minorenni. Proibire difficilmente cancella il problema. E in questo, con l’utilizzo di internet, le modalità di intervento delle autorità sono molto limitate. Un tabaccaio può chiedere all’acquirente quanti anni ha e se
non è soddisfatto dalla risposta può semplicemente decidere di non vendere un determinato prodotto. Per i social la questione è più complessa. Il parlamento di Canberra non ha imposto quali modalità le Big Tech (grandi aziende tecnologiche, ndr) dovranno usare per limitare l’accesso ai minori di 16 anni. Saranno le stesse aziende a cercare un modello, metterlo in pratica e poi presentarlo al governo. Se lo Stato non sarà soddisfatto, scatteranno le multe, che possono arrivare a miliardi di euro. Sul tavolo ci sono diverse possibilità. La più semplice è chiedere la data di nascita a tutti gli utenti ma, con ogni probabilità, non sarebbe un problema per un 13enne mentire se non ci sarà un controllo di secondo livello. Qui entrano in gioco due alternative: caricare un documento d’identità o una foto. In passato ci sono stati diversi tentativi di spingere gli utenti dei social a consegnare copia dei propri documenti. Non è andata bene, anzi. Più persone di quante pensiamo non hanno documenti di identità validi e il numero si alza notevolmente tra i minori. L’alternativa è chiedere una foto del viso, per poi far analizzare l’immagine a un software che stabilisce l’età. Qualsiasi quattordicenne è in grado di fare una foto di un suo familiare o di un amico e aggirare il problema. Nel caso in cui si riuscisse a bloccare realmente la creazione di account ai minori di 16 anni, la legge varrebbe solo per l’Australia. Basterebbe quindi usare uno dei tanti VPN, software per occultare il proprio indirizzo di connessione, e il blocco verrebbe aggirato. Con un rovescio della medaglia importante: gli adolescenti sarebbero spinti a usare i programmi per nascondere la loro residenza, rendendo più difficile il lavoro degli investigatori nel caso avvengano poi dei reati. I social sono infatti sempre più popolati da criminali. Alcuni tentano truffe, altri,
e sono quelli più pericolosi, si fingono anch’essi adolescenti per ottenere immagini pedopornografiche. In Australia sono stati proprio alcuni di questi casi a spingere dei genitori a chiedere l’intervento legislativo. C’è poi la questione del cyberbullismo, con gruppi creati appositamente per prendere di mira un compagno di classe o simile. Il problema da affrontare è molto ampio. Il dibattito sul fatto se i social media facciano male ai bambini non sembra molto utile. Dovremmo piuttosto chiederci: come dovrebbe funzionare internet per i più giovani?
Solitamente l’Unione europea è la prima a creare regolamenti e linee guida su argomenti di questo tipo. Avviene per scelta degli Stati membri che condividono una visione: senza una norma di diritto internazionale è difficile che il mercato si autoregoli rispettando i diritti dei cittadini. C’è poi il fattore economico. L’Ue è un grande mercato, forte e maturo, capace di imporre sanzioni pesanti alle multinazionali. Da tempo a Bruxelles si parla della possibilità di normare l’accesso a internet dei più piccoli. In questo caso, è stata l’Australia a fare il primo passo. Il paese ha solo 26 milioni di abitanti ed è considerato dalla Big Tech un mercato interessante per testare i futuri cambiamenti. Se si rapporta ai 350 milioni di statunitensi o ai 450 milioni di europei, si tratta di piccole cifre per sanzioni e pubblicità persa. Il prossimo passo per rendere internet più sicuro, però, spetta agli Stati, non alle multinazionali.
«Genitori vi copriamo le spalle», ha detto il primo ministro Antony Albanese
Concorso
SCHEDA DI VOTAZIONE
È questo il momento più atteso dai finalisti del Concorso: superare la selezione. I cinque candidati al premio finale per le sezioni Prosa, Poesia, Pittura e Fotografia, attendono ora il giudizio inappellabile dei lettori. Come ogni anno, con la scheda di votazione qui proposta, sarà scelto il vincitore per
ogni disciplina. Dunque, votate secondo le vostre preferenze: quella crocetta che traccerete sul quadratino posto a lato di ogni nome sarà decisiva. Per visionare in maniera integrale le opere, consultare il sito www.50epiu.it/concorso-50epiu, scrivere a infoeventi@50epiu.it o telefonare al 06 68883297.
Da ritagliare e inviare in originale a 50&Più - Via del Melangolo 26 - 00186 Roma entro il 31/01/2025 (eventuali schede fotocopiate/scansionate saranno ritenute nulle).
La votazione può essere effettuata anche online, all’indirizzo www.50epiu.it/concorso-50epiu
Cognome Nome Via Cap Città
Telefono
Acconsento al trattamento da parte di Editoriale 50&Più S.r.l. dei dati personali da me forniti. Tale trattamento avverrà nel rispetto di quanto previsto dal Regolamento (UE) 2016/679 e delle disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale, ed ai soli fini della registrazione del voto da me espresso.
Firma
Il cielo stellato
Glauco MAGINI
Il profumo del tramonto
Giovanna PAITA
Proposta di immortalità
Giovanni SILONIO
Incollata al mondo
Rainalda TORRESINI
Io ricordo
Gabriele O.R. VALENTE
Le tue preziose mani
Clara BERGOMI
Le ultime lune
Luigi DAVOLI
Sogni senza fissa dimora
Giovanni SIGNORINO
D’amore
Antonia TUFARIELLO
Vecchia solitudine
Walter VALLESI
Contrapposte follie
Andrea FAGOTTI
Sogno Maria Antonietta FRANCIULLI
Gli occhi chiusi del mondo
Emma MARTIN
Luci e ombre Elisabetta MASSARI
La trascendenza dell’arte Francesca ORE
La speranza Marina CHIARI
La caduta degli dei Renato DALL’ARMELLINA
Rotazione Armando FESTINI
Profumo di lavanda Cesarina RIGO
Riscatto
Silvio Mario VALDISERRA
TOMMASO CERNO «L’ITALIA È SOLO ALL’INIZIO DELLA RISCOSSA»
Per stare bene nella modernità serve tornare allo spirito del Risorgimento, dice il direttore de Il Tempo. I nemici sono la cattiva globalizzazione e la spocchia di chi resta ancorato al Novecento
di Leonardo Guzzo
«L’Italia è all’inizio di un grande momento di riscossa. Hanno cercato di uniformarla agli altri Paesi, di renderla “grigia”, ma fortunatamente non ci sono riusciti». Tommaso Cerno, direttore de “Il Tempo”, come al solito spiazza, con idee che sconfessano la “vulgata” e inseguono il senso comune, cercando di mettere a fuoco la vita reale. A chiedergli un bilancio del primo quarto di ventunesimo secolo, venticinque anni in cui le certezze di fine Novecento sembrano essersi lentamente sgreto late, la risposta è perentoria. «La si nistra, nel mondo, ha in fondo vinto la partita del Novecento, ma è rimasta ancorata al Novecento. Fatica a libe rarsi del marxismo e legge con meno chiarezza della destra la nuova real tà economica e sociale. Ha sposato la globalizzazione presentandola come un processo positivo e inarrestabile e trascurandone, invece, i limiti. La tendenza ad abbattere le frontie re, a uniformare, ad accentrare, ha avuto l’effetto paradossale di reazioni di chiusura, nazionalisti che e conservatrici. Ha riportato guerre, divisioni e muri che sem
bravano caduti. Oggi destra e sinistra, nazionalismo e progressismo, nascondono la battaglia tra chi si è arricchito e chi si è impoverito con la globalizzazione». Negli ultimi trent'anni, nella politica italiana, ha tenuto banco il dibattito sulla cosiddetta Seconda Repubblica: un’evoluzione al passo coi tempi, secondo Cerno, ma ancora incompleta. «Costituzionalmente», dice il direttore, «l’Italia è rimasta la Repubblica del 1948, caratterizzata dal sus
cominciato a nascere in tre momenti: con la vittoria elettorale di Berlusconi nel 1994, ripetuta nel 2001 e nel 2009, con la vittoria di Prodi nel 1996, ripetuta nel 2006, e con la vittoria di Giorgia Meloni nel 2022. In questi casi, pur in assenza di un diritto costituzionale che attribuisce al popolo il diritto di scegliersi il premier, gli elettori hanno di fatto indicato il premier e il parlamento ne ha preso atto. Gli altri governi degli ultimi trent'anni sono stati accidenti: tentativi di tornare all’epoca in cui i governi si formavano nei palazzi, nelle segreterie dei partiti, secondo gli equilibri politici. Ma la riconversione è riuscita solo in parte, nel senso che, appena ha riavuto in mano la scheda elettorale, il popolo ha scelto di proseguire con la Seconda Repubblica, cioè di indicare un governo attraverso il voto. Alcune forze politiche fanno fatica a digerire questo metodo: le critiche a Giorgia Meloni non dipendono tanto da quello che fa, ma dal semplice fatto di essere a palazzo Chigi e di esserci arrivata in un certo modo. Il vero tema politico all’ordine del giorno è: riuscirà l’Italia a mettere per iscritto l’esperienza innovativa della Secon
politico: rispettivamente Forza Italia (e poi il Popolo delle Libertà), l’Ulivo e Fratelli d'Italia. Gli unici capaci di vincere con il consenso popolare e capaci di interpretare lo spirito dei tempi nuovi. Tutto il resto è stato fallimentare: dagli esecutivi tecnici ai cambi di casacca, dai governi del presidente a quelli di unità nazionale». L’opinione di Cerno è decisa anche a proposito dei mutamenti sociali
ne, «è nei fatti la società più aperta d’Europa. Se si parla di scartoffie, si può forse dire che i diritti siano più garantirti in un Paese come il Regno Unito. Ma si tratta di una bugia. Nella vita reale l’Italia conquista giorno dopo giorno, con fatica, una modernità di fatto, un’inte grazione di fatto, un’unità di fatto anche su questio ni complesse. Senza gran
disparità che sono invece più evidenti in Gran Bretagna, al di là delle parole e delle petizioni
Italia, con la prossima generazione, questi temi saranno completamente metabolizzati». Quando richiamo il celebre anatema di Indro Montanelli, per cui il futuro dell’Italia è compromesso dall’incapacità di ricordare il passato, Cerno chiarisce. «Il passato da ricordare non è certo il fascismo. Se c’è una cosa che la Repubblica ha rimosso dalla coscienza nazionale è proprio il fascismo. Quelli che la sinistra indica come esempi di ritorno del fascismo sono micro-elementi secondari di nostalgici, che dimostrano, proprio per la grossolanità con cui sono espressi, quanto la cultura dittatoriale sia ormai estranea all’Italia. Il passato a cui oggi dovremmo fare riferimento è antecedente al fascismo, è lo spirito risorgimentale in nome del quale un pugno di giovani ribelli prese in mano il Paese e ne fece uno Stato». La vera sfida, ammonisce Cerno, è leggere e indirizzare la modernità. «La globalizzazione intesa come capacità di unire il mondo con mezzi
Tommaso Cerno
UN MONDO IN BILICO LE SFIDE DELL'ECONOMIA
GLOBALE NEL XXI SECOLO
Dal 2000 ad oggi progressi tecnologici, tensioni geopolitiche e crisi finanziarie hanno cambiato radicalmente il lavoro e l’economia
Marco Musella - professore di Economia politica all’Università Federico II di Napoli ne analizza l’impatto presente e quello futuro
di Valerio Maria Urru
Dall’ascesa della “gig economy” alla precarizzazione del lavoro, dalla diffusione massiva delle tecnologie allo scoppio di conflitti destabilizzanti: gli ultimi venticinque anni sono stati anche questo. Una radicale trasformazione della nostra societàlegata a doppio filo a quella mondiale - che ha modificato il nostro modo di lavorare e fare economia. Per Marco Musella, professore di Economia politica all’Università Federico II di Napoli, le sfide e le opportunità sono state deluse dalla mancanza o insufficienza di processi in grado di governare il cambiamento. Al di là dei conflitti e dell’insicurezza, sulla bilancia pesa certamente l’erosione delle reti di sicurezza sociale. Professore, come ha influito la globalizzazione sull’economia e sul lavoro dal 2000 ad oggi? Cos’è cambiato in questo quarto di secolo?
Se non consideriamo il periodo precedente le guerre di questi ultimi anni, la globalizzazione ha certamente cambiato il mondo dell’economia e del lavoro. Questo perché ha modificato innanzitutto la stessa divisione e di-
stribuzione internazionale del lavoro, spostando alcune produzioni da una parte all’altra del globo e costringendo paesi come il nostro a ridisegnare la propria posizione. Una tendenza che ha toccato tutti i settori produttivi, ovviamente. E purtroppo abbiamo anche assistito ad un’incapacità delle politiche di gestire questa transizione. Si sarebbero potuti accelerare i processi di ricollocamento della forza lavoro, facilitarli, così come ridisegnare la collocazione internazionale dell’Italia sotto questo punto di vista. Invece siamo finiti all’interno di crisi economiche che in parte potevano essere evitate o, perlomeno, di cui si potevano ridurre gli effetti. Le crisi, appunto. In venticinque anni - pensiamo, ad esempio, a quella del 2008 - hanno lasciato un segno profondo. Quali sono state, secondo lei, le trasformazioni più evidenti? Prendiamo in considerazione per un momento il settore della produzione industriale dell’auto o quello della stessa finanza: abbiamo visto e vissuto trasformazioni che oggi - nel guardarle a posteriori - consideriamo inevitabili. Io, invece, credo che siano state gene-
rate anche dal fatto che si è lasciato fare troppo al mercato e che le politiche, come dicevo prima, non sono riuscite a gestire adeguatamente queste trasformazioni. Il passaggio all’elettrico, ad esempio: poteva essere più rapido. Invece, è andato a rilento. Stessa valutazione per quello che si sarebbe potuto fare sul profilo delle infrastrutture legate alle energie alternative. Non penso che tutto questo sia legato a interessi precostituiti, di certo però i processi di adeguamento hanno subìto un allentamento, magari frutto di un’incapacità di mettersi in azione o di guardare al futuro con coraggio.
L’avvento delle tecnologie digitali ha rivoluzionato molti settori. Come e quanto hanno influito sulla produttività, l’occupazione e le imprese?
Le tecnologie digitali sono state una vera e propria rivoluzione trasversale. All’inizio abbiamo avuto l’impressione che avrebbero potuto agire molto sulla qualità della produttività e della vita delle persone. Ma anche qui è emerso un problema: servivano riforme economiche e socialiridurre, ad esempio, gli orari di lavoro, spostare risorse sui servizi di cura alle persone, etc. - tali da fare di queste tecnologie digitali un’occasione per ripensare il modello sociale. Anche qui, credo che ci siamo trovati di fronte a una trasformazione incompleta, non affrontata in modo adeguato. Certamente hanno influito, è innegabile, ma hanno finito per creare più difficoltà in alcuni settori produttivi. In assenza di una riqualificazione della forza lavoro abbiamo perso posti. In assenza di capacità di gestire le relazioni industriali e i rapporti con i sindacati - e forse anche di investimenti necessari a fare tesoro di queste trasformazioni - hanno finito col creare più problemi che soluzioni. Soluzioni che invece sa-
Primo piano
rebbero potute arrivare dalle stesse tecnologie digitali, se intese come strumento di allargamento e di possibilità di accesso. Alla fine, invece, si sono trasformate in una barriera, in un cambiamento capace solo di generare una crisi. Resta però la speranza: oggi, in realtà, le tecnologie digitali potrebbero cambiare molte cose, ma dovrebbe essere gestito soprattutto il loro impatto sociale.
La diffusione della “gig economy” e dei contratti atipici ha trasformato le relazioni lavorative. Cosa è cambiato in venticinque anni e quali sono le implicazioni di queste nuove forme di lavoro?
Su questo argomento sono molto radicale: si è precarizzato il lavoro. Si è determinata una situazione di minori tutele, minori garanzie e più insicurezza. Mentre il secolo precedente aveva visto, almeno fino ad un certo punto, l’ampliamento delle sicurezze dei lavoratori, in questi venticinque anni la situazione è stata sicuramente di peggioramento sotto questo profilo. Si pensi solo al discorso delle pensioni o a quello dell’accesso ai servizi. Non
voglio dire che per affrontare questo momento avremmo dovuto parlare di più di reddito di cittadinanza, ma se ci fosse stato più coraggio nell’immaginare un modello di “flex security”, questo a mio avviso avrebbe garantito una modalità di gestire queste trasformazioni che sono diventate solo fonte di precarietà non solo lavorativa ma anche economica e sociale. E questo vuol dire anche un costante aumento delle diseguaglianze.
I conflitti geopolitici in atto e le tensioni internazionali hanno fatto e fanno sentire il loro peso. Che impatto hanno avuto e continuano ad avere sul lavoro e sull’economia?
I conflitti - quelli passati e quelli in corso - sono stati la vera sciagura di questi anni. Così come l’incapacità di gestire un altro nodo: le tensioni internazionali che ne sono scaturite. Hanno avuto un peso estremamente negativo e interrotto un processo di globalizzazione che poteva essere forse un momento di apertura del mondo a una nuova prospettiva. E invece è accaduto l’opposto: siamo tornati indietro da questo punto di
vista. È fallito un tentativo di relazioni e approcci che nei precedenti trent’anni aveva comunque gestito le conflittualità a livello globale in modo da avere meno esplosioni possibili. Una situazione che ha avuto ovviamente un impatto anche sull’economia, in particolare sulla nostra parte di mondo, il cui peso rischia di essere e rimanere negativo. Considerato quanto accaduto dal 2000 ad oggi e vista la situazione attuale, cosa possiamo aspettarci per il futuro? Finché non termineranno almeno due guerre - quella in Ucraina e quella in Medio Oriente - il futuro non potrà che essere difficile. Si tratta di due conflitti potenzialmente esplosivi, in grado di allargare gli attori in gioco. È difficile quindi pensare che si possa riprendere un cammino di prosperità. Ma anche solo di selezione di un personale politico in grado di gestire prospettive di crescita economica, piuttosto che di conflittualità. Mi aspetto purtroppo che il mondo attraversi un maggiore sviluppo del settore e delle forze militari, se non si risolve tutto questo. Mentre tutto quello che è legato allo sviluppo di tecnologie che possono liberarci dalle fatiche e dalle difficoltà, verrà ritardato. Inoltre, anche se c’è molta difficoltà ad ammetterlo, io credo che ci siamo allontanati inesorabilmente da quasi tutti gli obiettivi prefissati dall’Agenda Onu 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sia sul fronte ecologico, della riduzione delle povertà, della maggiore istruzione. Ci sono meno risorse nel mondo per perseguirli. Perché si è troppo impegnati ad “abbattere il nemico”. Almeno per il momento sono altre le priorità dell’agenda politica rispetto a quelle così elevate che il mondo si era dato a livello spirituale e morale quando eravamo un po’ più in pace.
Marco Musella
LUCA MERCALLI
«GLI EVENTI METEOROLOGICI
ESTREMI CI SONO SEMPRE
STATI. ADESSO SONO PIÙ VIOLENTI DEL PASSATO»
Un viaggio nel clima dei primi venticinque anni del nuovo secolo in compagnia di uno dei più noti climatologi del nostro paese, anche presidente della Società Meteorologica Italiana
di Anna Grazia Concilio
Estati sempre più calde, eventi estremi sempre più frequenti dalle conseguenze spesso drammatiche. Se da un lato i termometri delle città segnano oltre i 40°C, dall’altro le alluvioni
e i nubifragi distruggono intere zone abitate. Cosa succede? Luca Mercalli, climatologo, presidente della Società Meteorologica Italiana e già autore di molti libri, tra cui Breve storia del clima in Italia - in uscita a febbraio
2025 per Einaudi -, ripercorre i primi venticinque anni del nuovo secolo tra responsabilità e possibili soluzioni, con un pronostico sul futuro.
Professore, si sente spesso parlare di ‘clima impazzito’. È corretto usare questa espressione?
Più che clima impazzito, è un clima diverso da quello che abbiamo avuto nei decenni precedenti. L’inizio degli anni Duemila è proprio il punto di svolta perché il riscaldamento globale comincia a farsi sentire in modo percettibile anche dalle persone, non è più solo un fatto previsto da cinquant’anni dagli addetti ai lavori. Si sapeva, ormai, che le emissioni crescenti di CO2 avrebbero portato al riscaldamento globale. E iniziamo a percepirlo sulla nostra pelle con l’estate del 2003, la prima estate tropicale in Italia, quando si toccano i 40°C anche in Pianura padana. In quell’anno, in Europa, ci saranno 70mila morti per l’ondata di calore inedita. Da lì abbiamo il battesimo della per-
Il Trentino Alto Adige è stata una delle zone più colpite dalla tempesta di Vaia del 2018
Primo piano
cezione anche sociale dei cambiamenti climatici. A partire dal 2003 le temperature sono sempre andate aumentando anche nelle altre stagioni. L’estate del 2022 ha superato quella del 2003 diventando la più calda della storia in Europa.
Quali sono gli eventi climatici che più di tutti hanno segnato la storia di questo primo quarto di secolo?
Nel 2018 abbiamo avuto la tempesta Vaia, che ha buttato giù le foreste del Trentino e del bellunese e che rimarrà negli annali della storia meteorologica. Nel 2022 abbiamo avuto la peggiore siccità di sempre del Po - con conseguenze notevoli sull’agricoltura -, nel 2023 la siccità si conclude con l’evento opposto, quindi con le alluvioni in Romagna a maggio di quell’anno e con altre due alluvioni nell’autunno del 2024. Quattro alluvioni gravi in un anno e mezzo nello stesso territorio. Ce ne sono state anche altre a Senigallia, a Ischia, e ancora il nubifragio a Milano che, a fine luglio 2023, ha comportato cinquemila alberi abbattuti in una serata, la grandine di un chilo in Friuli. Dal punto di vista meteorologico questi eventi hanno riempito i nostri annali di record. La temperatura non ha fatto altro che salire, con il record assoluto europeo di 48,8°C registrato a Siracusa nell’agosto 2021, gli eventi estremi si sono intensificati e i ghiacciai sulle Alpi si sono drammaticamente ridotti (anche contenuti nel libro Breve storia del clima in Italia di Luca Mercalli, Einaudi).
Cosa ha segnato il passo in questi anni?
Ci sono anche fatti non strettamente meteorologici ma che possiamo ricordare: l’enciclica ambientale Laudato Si’ di papa Francesco del 2015, l’accordo di Parigi sul clima - dello stesso anno - che aveva creato ottimismo ma che ancora rimane su carta. L’ultima Con-
ferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, dello scorso novembre a Baku, quasi ha fatto passi indietro rispetto alla relativa euforia di nove anni fa. Questo è dovuto ad altri due grandi fatti avvenuti in questi anni: la pandemia e le due guerre in Ucraina e Israele. Abbiamo messo in secondo piano la questione relativa ai cambiamenti climatici sostituendola con una corsa agli armamenti. Anche l’Unione europea ha trascurato il suo Green Deal, il pacchetto di misure sull’ambiente che promulgato nel 2019 e che la stessa Commissione europea oggi sta mettendo da parte perché preferisce investire in armi.
In che modo la mano dell’uomo influisce?
Totalmente. Nell’accordo di Parigi del 2015 è scritto chiaramente che il riscaldamento globale deriva dalle attività umane e che possiamo fermarlo solo con un grande programma di riduzione delle emissioni a livello mondiale. Il Green Deal era la risposta europea: non c’erano dubbi prima del Covid e delle guerre, che fosse quella la strada da imboccare, con un’Europa capofila che si stava portando dietro anche gli
altri paesi. La mano dell’uomo, dicevo, è totale e questa è una buona notizia perché siamo noi a procurare l’intossicazione del pianeta e siamo noi a poterla curare.
Come possiamo intervenire? Riducendo le emissioni, cambiando il tipo di economia (da fossile a rinnovabile), facendo tutte quelle operazioni di green economy contenute nel Green Deal europeo ma sulle quali si sta facendo retromarcia, complice anche una scarsa fiducia della società. Oltre ai leader che pensano ai missili invece che ai pannelli solari, anche la società sta votando contro l’ambiente perché travolta da visioni a brevissimo termine. C’è quasi un fastidio da parte delle masse per i vincoli ambientali ed ecco perché tutte le elezioni sono andate verso partiti conservatori, si tende a ridurre il peso delle politiche ambientali, nonostante i sondaggi dicano che la gente è
Luca Mercalli
preoccupata dai cambiamenti climatici.
Dall’accordo di Parigi ad oggi, cosa è cambiato?
Non ci sono passi avanti a livello globale ma questo non vuol dire che non ci siano esempi virtuosi, a partire da singoli cittadini, singole industrie, singole comunità locali. Complessivamente, però, aumentano di più gli usi scorretti delle risorse del pianeta di quanto aumentino quelli virtuosi: continuiamo a buttare giù foreste, la plastica negli oceani aumenta, la cementificazione avanza. Se guardiamo dal 2000 ad oggi, tutti i nove indicatori ambientali del pianeta, i limiti planetari sono in peggioramento. Ci dobbiamo aspettare un peggioramento?
Purtroppo sì. Senza una cura la malattia peggiora! Il 2024 sarà l’anno
più caldo di sempre, secondo i dati dell’Osservatorio satellitare Copernicus dell’Unione europea. Già lo era stato il 2023, adesso il 2024 lo supera. Il contributo dei singoli cittadini può incidere?
Può incidere ma occorrono anche politiche che facilitino l’intervento: da un lato, i grandi leader mondiali devono occuparsi di scelte internazionali, dall’altro, a casa nostra dobbiamo evitare di sprecare energia e risorse, e di produrre rifiuti. Basti pensare che ogni italiano emette 7mila chili di CO2 all’anno e produce e 500 chili di rifiuti: partendo da questi numeri ognuno si interroghi su come può diminuirli. Gli eventi estremi li abbiamo sempre avuti ma quelli che stiamo vedendo oggi sono più intensi di quelli del passato.
Le variazioni di temperature ci sono sempre state, i 40°C in Pianura Padana non li avevamo mai visti, poi però li abbiamo toccati più volte. Gli eventi estremi diventano amplificati dal riscaldamento globale.
Anche lei ha fatto scelte coraggiose.
Da otto anni non prendo più l’aereo, in Europa viaggio in treno, fuori dall’Europa uso il telelavoro, ad esempio. Una scelta coraggiosa da fare, per i governi, sarebbe introdurre la ‘carbon tax’: più spreco, più consumo, più inquino e più pago.
Che cosa accadrà nei prossimi 25 anni?
Vedremo continuare il peggioramento climatico se non gli mettiamo un freno. Si rischia di vedere fenomeni meteorologici estremi ancora più violenti, di avere maggiori migrazioni nel mondo perché la siccità va a toccare la produzione di cibo. Un altro problema importante è l’aumento del livello del mare: attualmente sta aumentando di quasi 5 millimetri all’anno e questo pian piano va a penalizzare tutte le zone costiere, da noi la zona più fragile è l’area di Venezia e il delta del Po.
Alla luce di tutto quello che ci siamo detti, una domanda è inevitabile: perché siamo così sordi e ciechi?
In parte è una questione economica ma non solo. Anche a livello popolare c’è un forte fastidio per i temi ambientali visti come una limitazione attuale per conseguenze che si immaginano solo a lungo termine. Anche se poi non sempre è così: su qualcuno le conseguenze sono immediate, si pensi alle alluvioni in Romagna: costi e sofferenze. È importante tenere a mente che il clima non ci aspetta: dipende da leggi fisiche e una volta che le abbiamo provocate non possiamo più tornare indietro. A pagare il prezzo più alto saranno i nostri figli e i nostri nipoti.
Saluzzo (Cn), luglio 2022: la lunga assenza di precipitazioni ha provocato una siccità del fiume Po senza precedenti
Primo piano
DALLA NOTIZIA AL GOSSIP L’EVOLUZIONE
DEI MEDIA
NELL’ERA DIGITALE
Il cinema è diventato ciò che la tv era un tempo ossia una finestra, un oblò puntato sul mondo
Anche il linguaggio è cambiato con un tono sempre uguale, un borbottio pigro e indifferenziato
di Flavio De Bernardinis, critico cinematografico
Nel campo delle comunicazioni di massa, la novità più rilevante di questo primo quarto di secolo è l’integrazione tra rete telematica e vecchi media. Televisione, cinema, radio e internet si compattano all’insegna del digitale, che tutto amalgama e riproduce. Telefono cellulare, computer e smart tv sono gli interfaccia più comuni e accessibili per fruire di una simile offerta.
Questo la tecnologia, ma i contenuti? Il principio è lo stesso, l’integrazione, perché agli stessi orari, sulle maggiori reti, Rai Mediaset, La7, e anche Nove, va in onda la medesima filiera di trasmissioni: giochi e quiz che fanno da scivolo per il Tg, dopo di che scatta la miriade di talk show che affolla i palinsesti. Opinionisti di ogni ordine e grado, giornalisti e politici, transitano da un contenitore all’altro, rendendo tutto uguale e contrario. Ma soprattutto uguale: a tutte le ore, su tutti i canali. Alternativa, ecco le cosiddette tv tematiche. Esempio, Real Time, il cui palinsesto - come da titolo - indica il “tempo reale”, ossia la vita quotidiana effettiva, cadenzata di elucubrate cortesie per gli ospiti, case e casette a prima vista, succose gastronomie per chiunque, primi sinuosi appuntamenti, spettacolari mega matrimoni, minuziose esperienze di medicina
e salute. In breve, l’occupazione del tempo tutto intero: mattina, pomeriggio, sera inoltrata. L’integrazione tra internet e vecchi media prevede così la copertura invasiva del tempo, sia macroscopico, quello delle guerre e grandi eventi, presente sulle tv più forti, ma anche quello microscopico, pani, amori e fantasie, depositato sulle reti meno muscolose. La tv è ormai il luogo di una diretta perpetua con l’esistente, dove il grande e il piccolo si scambiano continuamente i ruoli. Per cui la pietanza architettata dallo chef di turno appare una cosa enorme, mentre il crollo di un viadotto autostradale sembra un incidente tra gli altri. E viceversa, in eterno. Il cambiamento più forte è tuttavia un altro, quello del linguaggio. Si parli dell’elezione del presidente degli Stati Uniti o del tour cancellato di un cantante, il tono rimane lo stesso: un borbottio pigro e indifferenziato, un riflusso di informazioni quasi furtive, rapide raccomandazioni insinuanti, consigli e suggerimenti un poco enigmatici. Tutto ciò, per tenere desta e alta l’attenzione. Qualcosa ovvero che riguardi tutti, ma dedicato solo a me che osservo, a te che ascolti. È il trionfo della personal communication. La notizia è importante non per quello che giustamente vale, grande e piccolo infatti si equivalgono, ma per il fatto
puro e semplice che dal teleschermo qualcuno la venga a dire proprio a me, a te. Urlando, ma al tempo stesso sottobanco, quasi in confidenza. Questo linguaggio, istantaneo e inequivocabile, ha un nome: si chiama gossip. Oggi, tutto è gossip. I servizi televisivi col cellulare, a rettangolo alto, per esempio, girati da un reporter improvvisato e misterioso, ebbene quello è gossip: qualcosa che viene spiato, senza tuttavia essere testimoniato. Ciò che si scorge, ma non si certifica. Non solo l’informazione, ma anche gli infiniti talk show, i programmi del “tempo reale”, i giochi e i quiz, persino la satira è gossip, perché ha l’aria di ciò che
viene spifferato soltanto per me, e per te, che siamo in perenne video-ascolto. Lo spiffero non può valere come prova e testimonianza della verità, certo, ma è un potente segno di affetto e fiducia nei miei riguardi di affezionato video-utente. Affinché non cambi canale (e perché dovrei, se è tutto uguale?). Il cinema, allora, può restare escluso dal gossip? In questi ultimi 25 anni, il cinema è diventato ciò che la tv era un tempo, ossia una finestra, un oblò puntato sul mondo. Il cinema d’autore, feritoia e ferita sull’abisso della fantasia più esclusiva, croce e delizia del XX secolo, oggi è ormai al tramonto. Adesso dominano i film-oblò, quasi
tutti tratti da storie vere. Parthenope, pur personale e onirico, è comunque percepito come un oblò mirato sulla creatività di Paolo Sorrentino, l’artista. Per incasso e numero di spettatori, tuttavia, Parthenope è clamorosamente surclassato da Il ragazzo dai pantaloni rosa, storia interamente calata nella cruda realtà dei nostri tempi. Oblò sui mali del mondo, lente sul dolore di questo inizio secolo e millennio. In chiave generale, sembra quindi che il medium più giovane sia capace di influire su quello più anziano. Il regno ufficiale del gossip, infatti, è la giovanissima rete. Persino una qualsiasi voce di Wikipedia pare scritta col tono
del gossip: più sussurro e suggerimento, che informazione a pieni polmoni. Per tacere del fatto che uno dei siti più consultati, tanto dai vip che dalla gente comune, si chiama Dagospia. Dalla rete, ultima arrivata, il gossip transita allora sul medium precedente, la televisione, regno degli spifferi. In tal modo, il cinema eredita quello che all’inizio era la televisione, finestra e oblò sul mondo: occhio più circoscritto, compreso in sé stesso, limitato nel tempo e nello spazio. Il grande grandissimo film Oppenheimer, in fondo, altro non è che un oblò puntato sulla mente dell’insigne scienziato. Dove i neuroni bisbigliano l’apocalisse.
Un luna park dalle fragili fondamenta. E dove gli artisti rischiano di diventare bersagli da buttar giù con il tiro a segno. Benvenuti nel padiglione della musica italiana del Terzo Millennio, una fiera delle illusioni in cui tanti teen-idol si arrendono presto, senza essere protetti dalla discografia e men che meno dagli impresari. Effetto inevitabile del cambiamento epocale avvenuto a cavallo del nuovo secolo, quando l’avvento di internet e più tardi dei social ha spazzato via l’approccio tridimensionale dell’industria delle canzoni, fatto sino ad allora di rapporti artigianali e della paziente ‘costruzione’ di personaggi in grado di occupare le classifiche o di inventare percorsi autorali di valore. Il Duemila si apre già orfano di figure mitologiche come Lucio Battisti e Fabrizio De André, presto se ne va
IL PALCOSCENICO DELLE ILLUSIONI LA MUSICA ITALIANA NEL NUOVO MILLENNIO
Dalla vendita dei dischi allo streaming e il ruolo delle etichette discografiche ritratto della trasformazione di artisti e melodie
di Stefano Mannucci, giornalista e critico musicale
anche Giorgio Gaber. Numi tutelari di una linea espressiva alta, che però non rinnegava la cantabilità, elemento fondante del pop nazionale. Gli altri grandi del filone cantautorale degli Anni ’70-’80 del Novecento andranno poi, inevitabilmente, a presidiare gli slot dell’autocelebrazione, del reduci-
smo, fino ad oggi. Baglioni, Venditti, De Gregori li trovi tuttora in questo circo da live senza sosta, e senza la reale volontà di un addio. Attorno ai senatori, resiste la generazione dei cinquantenni e più, quelli che da ragazzi erano riusciti a infilarsi nell’ultimo varco praticabile del ‘successo’
solido, meglio se esportabile in Europa o Sudamerica: Ferro, Pausini, Nannini, Ramazzotti, Zucchero, Jovanotti. ‘Prodotti’ senza più scadenza di garanzia: puntano sul marchio e sulla gavetta fatta a vent’anni, prima che la virtualità spalancasse l’abisso in cui sono precipitati troppi emergenti di belle speranze. Il Ventunesimo secolo della musica italiana è infatti costruito sull’illusione di potercela fare sfangandola in un talent tv, l’“uno-su-mille” che si crede arrivato quando a una finale di XFactor, Amici o The Voice i fari lo illuminano: invece è proprio quello il momento in cui gli incoronati dai televoti andrebbero accompagnati dentro la foresta delle insidie. In vent’anni di talent, gli iscritti ai provini sono stati centinaia di migliaia. Un esercito di cantanti e gruppi, moltissimi interessanti, quasi tutti tornati rapidamente nell’ombra. E non
solo i bocciati. Quanti sono emersi, pure senza il trofeo tra le mani? Pochi: Emma, Alessandra Amoroso, Elodie, Annalisa, Noemi, Angelina Mango, i The Kolors. Breve la parabola ascendente di Marco Carta e Valerio Scanu, che hanno fatto in tempo a prendersi i loro Sanremo, così come i Maneskin. Ecco, Damiano & Co, sparati verso le stelle dall’Ariston, con la tappa decisiva dell’Eurofestival e il colpo grosso della presa del mondo (con tanto di endorsement della vecchia guardia r’n’r, a partire da Mick Jagger), costituiscono il più clamoroso paradosso della musica italiana contemporanea: una band tricolore (‘allenata’ a XF da Manuel Agnelli, il colonnello del rock alternativo anni Zero degli Afterhours, Marlene Kuntz, Verdena) che rovescia il comune sentire del ‘sanremismo’ fondato sull’aerea genialità del Volare modugnesco - o del melodismo
ai confini del trash e oltre - occupando con spavalderia gli spazi sacri del business d’oltreoceano. L’irripetibile fenomeno Maneskin: ragazzini romani a via del Corso, con il cappello sul marciapiede, da lì fino al sogno hollywoodiano. Dove, però, la loro ‘americanizzazione’ è un pegno che toglie identità, li sfibra, li induce a uno stop. Se sono ancora insieme si vedrà dopo la parentesi solista di Damiano (rimodellato verso il power-pop alla Harry Styles) con tanto di tour planetario. Quanto a Sanremo, dal Duemila a oggi, il tempio della leggera ha saputo omaggiare l’autorialità con le vittorie degli Avion Travel, Elisa, Cristicchi, Vecchioni, Diodato, Fabrizio Moro & Ermal Meta. O consentire un cambio di passo verso il meglio del nuovo, vedi Mahmood, Mengoni, la Mango, lo stesso ‘perdente’ Ultimo. Ma non è una riverniciatura definitiva e più nobile del Festival: nel tempo, siamo stati afflitti da Povia o da Il Volo. La kermesse sanremese non è però l’unica mostra di merce pregiata della filiera: nell’area cantautorale, qualcosa di pregevole lo hanno mostrato con continuità i vari Silvestri, Fabi, Gazzè, Brunori SAS, Bersani, Mannarino, Capossela, Calcutta, Carmen Consoli, Cristina Donà, Levante. Riecheggia il vintage della ‘Italodisco’, da Gigi D’Agostino a Gabry Ponte. I rapper si sono quasi sempre persi dentro lo specchio del bad-boy di periferia, ma tra Fabri Fibra, Marracash e Lazza qualcosa può essere salvato. Il resto è narcisismo da streaming sulle piattaforme (miliardi di ascolti, poca sostanza e scarsi guadagni), la tecnica del ‘feat’ dove ognuno duetta con qualcun altro per sommare le rispettive ‘fan base’: scarsa inventiva, il piattume da copia e incolla, gli stadi per concerti sovradimensionati, l’irrefrenabile discesa nel buco dei tormentoni esotici, l’incubo del reggaeton ovunque sia.
PASSIONE E BUSINESS
IL DIFFICILE EQUILIBRIO DELLO
SPORT MODERNO
Carlo Nesti, tra i più famosi telecronisti, racconta le trasformazioni di questo primo quarto di secolo e commenta: «Ci sarà sempre un bambino che prenderà a calci un pallone finché esisterà l'uomo»
di Giovanni Carlo La Vella
Iprimi 25 anni del XXI secolo sono stati vissuti tra attese e sorprese anche nel mondo dello sport. È stato un periodo di forti cambiamenti, ma l’entusiasmo e l’interesse degli appassionati sembrano rimasti intatti anche di fronte ad un mondo che ha scelto di aprirsi alle logiche del guadagno e dello spettacolo, abbandonando in parte le norme fer-
ree della regolarità agonistica. Carlo Nesti, una delle più illustri firme del giornalismo sportivo targato Rai, offre a 50&Più la sua analisi. Nesti, da sempre il mondo dello sport sembra quasi vivere in un eterno presente, eppure in 25 anni tante cose sono cambiate. Sicuramente un dato molto significativo è il fatto che nelle prime 50 posizio-
ni delle trasmissioni più viste in tv ci sono ben 47 partite di calcio. Quindi è chiaro che l’interesse per questo sport è forte, 25 anni fa come oggi. Però devo dire che quello che era una volta il giocattolo della domenica pomeriggio è diventato oggi un colosso inquietante. Parlo naturalmente dell’aspetto economico. A livello di spese, in Italia, nella serie A di calcio abbiamo una media dell’83% del fatturato delle società che finisce nelle tasche dei dipendenti, cioè giocatori e procuratori. Ora, se un’azienda di qualsiasi altro settore facesse una cosa del genere, fallirebbe nel giro di un mese. Ecco, questo per dare l’idea di che cosa in pochi lustri sia diventato il calcio, uno spettacolo, e lo dico con tanta malinconia, che al 75% è business e solo al 25% gioco. Nonostante tutto questo, lo sport rimane, ieri come oggi, qualcosa che dà emozioni forti. Questa è anche un po’ la schiavitù dello sport, nel senso che la passione dei
tifosi va comunque ad alimentare il sistema. Ma non dobbiamo dimenticare all’origine c’è lo sport di base. In Italia, se guardiamo all’impiantistica sportiva, c’è ancora una evidente carenza. E nonostante questo nelle ultime Olimpiadi di Parigi abbiamo conquistato ben 40 medaglie. Grande successo anche delle Paralimpiadi, che sono diventate anche un evento televisivo, e questo credo che sia bellissimo.
Questi ultimi 25 anni ci hanno dato modo di ammirare l’uomo più veloce del mondo: Usain Bolt.
È verissimo. Il giamaicano Bolt è davvero uno dei simboli sportivi di questi ultimi 25 anni. Ma anche qui l’Italia ha risposto alla grande: siamo andati a vincere una medaglia d’oro con Marcel Jacobs nei 100 metri piani nelle Olimpiadi di Tokyo e lo stesso abbiamo fatto nella staffetta 4 x 100. Ma in questa panoramica non possiamo dimenticare il tennis, uno sport nel quale fino a qualche anno fa eravamo scomparsi. Poi con Jannik Sinner sono arrivate due storiche vittorie nella Coppa Davis. Credo che l’altoatesino sia il volto perfetto di questi 25 anni, dato che è nato il 16 agosto 2001, proprio all’inizio del periodo che stiamo analizzando. Ma non dimentichiamo i grandi campione che negli ultimi anni ci hanno lasciato: Riva, Rossi, Schillaci e altri. Essi continuano ad essere modelli per i giovani, ai quali dico sempre che per guardare al futuro bisogna conoscere il passato. Questo vale per la storia del mondo e anche per la storia dello sport.
In 25 anni lo sport sta parlando anche sempre di più al femminile?
Sì, è impossibile fare tutti i nomi, dalla Pellegrini nel nuoto alla Goggia nello sci, ma anche le tenniste e
le pallavoliste che hanno vinto l’oro olimpico con il mitico coach Julio Velasco. Ed è questa la vera grandissima novità: l’avanzata impetuosa in vari settori agonistici delle donne. E questo è un aspetto molto positivo, perché sappiamo che la condizione della donna non è certo facile oggi, però le ragazze hanno una grande forza interiore e proprio nello sport stanno facendo cose che prima erano inimmaginabili.
Stiamo raccontando lo sport degli ultimi 25 anni, ma come saranno i prossimi 25?
Con un’evoluzione così veloce, mi riesce difficile immaginare lo sport dei prossimi 25 anni. Come anziano, faccio fatica a essere ottimista, ma penso poi che c’è sempre stata una contrapposizione fra generazioni. L’anziano non capisce i comportamenti dei giovani e viceversa. Pur essendo in pensione, continuo a lavorare nel giornalismo. Mi sforzo a
guardare il gioco per quello che è. Voglio continuare a vedere lo sport in questa maniera, anche se mi rendo conto che la cornice è cambiata. Non dimentichiamo, Nesti, che c’è uno sport di chi non sarà mai un campione. Ci sarà sempre un bambino che prende a calci un barattolo pensando di imitare il suo campione preferito. È vero, sarà così finché esisterà l’uomo. Purtroppo non c’è più la strada, non ci sono gli oratori. Oggi l’attività agonistica si fa in impianti privati e tutto ciò implica un costo per le famiglie. Questo è un aspetto che non mi piace, perché compromette la libertà del gesto, però è un cambiamento a cui dobbiamo adattarci. L’importante è che gli spazi per lo sport continuino ad esistere. E proprio nel Sud Italia, dove c’è una carenza di impianti, nascono continuamente campioni. È un miracolo che ci fa continuare a dire sempre: «W lo sport».
DA MILANO A SASSARI
LA PAROLA D’ORDINE È PREVENZIONE
Tante le iniziative promosse dalle 50&Più provinciali per sottolineare l’importanza di prendersi cura della propria salute
di Anna Grazia Concilio
‘Prevenire è meglio che curare’. È un detto antico come il mondo ma sempre universale. È quasi un imperativo per le associazioni provinciali 50&Più impegnate nella prevenzione e nella tutela della salute. Da Milano a Sassari, passando per Genova, Piacenza, Arezzo, Avellino e Nuoro, tante
le iniziative ideate e promosse - in collaborazione con le realtà territoriali - che hanno l’obiettivo di invitare tutti a prendersi cura di sé stessi. Lo scorso mese di novembre, 50&Più Sassari ha organizzato un appuntamento sulla prevenzione delle patologie tiroidee promuovendo un con-
vegno dal titolo “La tiroide: patologie e terapie”, presso la Sala Confcommercio. Ad aprire i lavori è stato il padrone di casa, il vicepresidente vicario nazionale Sebastiano Casu che ha commentato: «I nostri incontri sulla prevenzione spaziano dalla medicina alla sicurezza, soprattutto la sicurezza stradale in riferimento alla recente attuazione del nuovo codice della strada - ha aggiunto - Così come la presidente Brigida Gallinaro ha fatto in Liguria». L’importanza della prevenzione per l’associazione provinciale di Sassari è sottolineata anche dalla continuità con cui si affrontano queste tematiche: oltre agli incontri passati, sono già fissati in calendario nuovi appuntamenti. Ed è proprio la continuità il filo rosso che unisce molte altre iniziative terri-
toriali incentrate sul tema della prevenzione. Ne sono esempio le attività di 50&Più Avellino, che a settembre, ha organizzato una giornata dedicata alla prevenzione del tumore al seno, offrendo visite gratuite e screening. L’evento è stato realizzato in collaborazione con Amdos e ha visto la partecipazione di esperti, molti dei quali afferenti all’Ospedale Moscati. Un appuntamento che segue altri già svolti perché come ha ricordato Carmelino Noviello, presidente 50&Più Avellino: «Per noi la prevenzione è vita. Sono tanti gli incontri che organizziamo e che vedono la partecipazione di esperti e medici pronti a spiegare e fornire tutte le informazioni necessarie per prevenire le malattie». A Milano, lo scorso mese di settembre, si è svolta una due giorni dal titolo “Spim - Non temere il primo passo”, realizzata in collaborazione con l’Associazione per lo sviluppo e il potenziamento delle abilità mentali. Al centro dell’appuntamento a Palazzo Castiglioni, il test gratuito CAiGStrumento di Valutazione Neuropsicologica - che permette di avere un riscontro immediato sullo stato cognitivo del paziente. La somministrazione è avvenuta in sessioni individuali che hanno consentito di formulare indicazioni personalizzate sull’eventuale percorso da seguire nell’ambito del training cognitivo. Sempre a settembre 2024, altre associazioni provinciali sono scese in campo al fianco della prevenzione. A Udine si è svolta la “Passeggiata della salute” in accordo tra la 50&Più e la rete di farmacie Apoteca Natura, partendo dal Giardino del Torso: l’iniziativa, aperta a tutti, ha consentito di proseguire un percorso già avviato sulla prevenzione. Poche settimane più tardi, a ottobre, è stata la volta di Piacenza: qui, l’associazione provinciale ha organizzato la conferenza dal titolo “Creatività e memoria, un’accoppiata vincente”.
All’appuntamento è intervenuta Nicoletta Porcu, neuropsicologa, che ha unito la teoria alla pratica, esponendo concetti e mostrando esercizi da svolgere in autonomia per mantenere un buon livello di memoria. A novembre altre due province si sono occupate di prevenzione, promuovendo iniziative e diffondendo informazioni. Nella Sala Mercurio di Confcommercio, l’8 novembre, 50&Più Arezzo ha promosso un appuntamento per conoscere meglio le malattie reumatiche che, in Italia, interessano oltre 5 milioni di persone. Quali diagnosi e quali terapie? Queste le domande a cui ha risposto Lara Storri, direttrice U.O. Reumatologia Ospedale San Donato. Anche 50&Più Taranto ha
promosso nei mesi di settembre e dicembre attività di prevenzione. Lo ha fatto in collaborazione con l’ambulatorio Crispiano Medical Center partecipando a una giornata di screening cardiologico e a dicembre con una giornata di screening audiometrico. «Con il nostro impegno vogliamo sostenere tutti, soprattutto chi non ha la possibilità di farlo. Crediamo molto nell’importanza della prevenzione» ha detto Giovanbattista Paparella, presidente di 50&Più Taranto. A dicembre, 50&Più Nuoro, presieduta da Stefano Flamini, ha ideato e promosso l’incontro dal titolo “Il valore della prevenzione nelle patologie oncologiche, cosa possiamo e dobbiamo sapere”.
il mondo
L’ACQUA IN BOTTIGLIA DEL FUTURO ARRIVA DALLE ALGHE ROSSE
Un designer islandese sta per rivoluzionare il packaging delle bevande con un materiale naturale totalmente biodegradabile
L’inquinamento da plastica è una piaga globale: milioni di tonnellate di rifiuti plastici finiscono ogni anno negli oceani, causando danni irreparabili all’ambiente. E se potessimo sostituire la plastica con un materiale completamente biodegradabile e sostenibile? Ari Jónsson, un designer islandese, ha trovato una risposta innovativa: l’agar-agar. Jónsson ha creato una bottiglia d’acqua realizzata interamente con un gelificante naturale, l’agar-agar appunto, estratto da alghe rosse. A differenza della plastica, questo si decompone naturalmente, lasciando zero impatto ambientale. La sua produzione richiede meno energia e risorse rispetto alla plastica, rendendola una scelta ecologica decisamente vantaggiosa. Le bottiglie, una volta vuote, possono essere semplicemente compostate, riducendo drasticamente la quantità di rifiuti che finiscono nelle discariche. Ma come funziona in pratica? L’agar-agar è una sostanza gelatinosa utilizzata in cucina come addensante, ma anche in microbiologia come terreno di coltura per batteri. La sua capacità di gelificare lo rende perfetto per creare una bottiglia resistente e malleabile. In media, un rapporto di circa 0.9 gr di agar-agar per 100 ml di liquido neutro è sufficiente per ottenere una consistenza simile alla plastica. Jónsson è riuscito a modellare l’agar-agar in forma di bottiglia, adatta al confezionamento di liquidi. Il potenziale di mercato di questa innovazione è enorme. Il crescente interesse dei consumatori per prodotti eco-compatibili apre le porte a un futuro in cui l’acqua, e potenzialmente altre bevande, vengono vendute in packaging completamente biodegradabili. Diverse aziende già offrono agar-agar in bottiglie, ad esempio la Sigma-Aldrich con bottiglie da 250 ml e la Teknova con bottiglie sterili da 500 ml. Esempi che dimostrano la fattibilità dell’utilizzo dell’agar-agar nel settore del confezionamento, aprendo la strada a ulteriori sviluppi e innovazioni nel campo del packaging sostenibile.
UNO SCUDO PER IL FEGATO
La pirrolochinolina chinone (PQQ) è un potente antiossidante presente in molti alimenti come soia, prezzemolo, sedano, kiwi e papaia, e si rivela un valido alleato nella lotta contro la steatosi epatica. Questa condizione, comunemente nota come fegato grasso, è causata dall’accumulo eccessivo di lipidi nelle cellule dell’organo.
BOWLING D’EGITTO
Prove archeologiche suggeriscono che giochi simili al bowling venivano praticati già nell’antico Egitto. Oggetti ritrovati nelle tombe dei faraoni, come sfere di pietra e birilli rudimentali, testimoniano l’esistenza di attività ludiche che prevedevano il lancio di una palla verso un bersaglio. Sebbene le regole fossero certamente diverse da quelle attuali, il principio rimaneva lo stesso.
“CASCATE DI SANGUE”
In Antartide c’è un ghiacciaio che “sanguina”. Il colore rosso è dato da un antico lago salato sotto il ghiaccio, ricco di ferro e abitato da microrganismi. Questi esseri viventi, adattati a condizioni estreme, rilasciano il ferro che, a contatto con l’ossigeno, arrugginisce donando all’acqua un curioso colore rosso-amaranto.
Storia e misteri
I PROCESSI DI SALEM MORTE ALLE STREGHE
I fatti accaduti nel XVII secolo in America sono il frutto di un’isteria collettiva alimentata dalla paura del diavolo
di Anna Costalunga
Iprocessi alle streghe di Salem si sono svolti in Massachusetts tra l’inizio del 1692 e la metà del 1693. Degli oltre 200 accusati di connivenza col diavolo, diciannove hanno affrontato il patibolo.
La fede nel soprannaturale e nella pratica del diavolo di offrire ad alcuni il potere di danneggiare il prossimo in cambio della fedeltà, si diffonde dall’Europa nelle colonie americane. In una di queste, Salem (Massachusetts), i coloni, già segnati dalla dura vita rurale e dalla rigida morale puritana, nel freddo inverno del 1692 si trovarono ad affrontare una grave epidemia di vaiolo e gli attacchi delle tribù locali dei nativi.
Il clima esplosivo scaturito dal mix di ten-
sioni alimenta lo scontro tra le famiglie e nella comunità. Al centro della controversia finisce anche il reverendo Samuel Parris, noto per i suoi modi rigidi. Nel gennaio del 1692, la figlia di Parris, Betty, di 9 anni, e la nipote Abigail, di 11, iniziano ad avere delle crisi. Gridano, lanciano oggetti e si contorcono in strane posizioni. Altre ragazze iniziano a manifestare sintomi simili, e tutte - durante gli interrogatori in Tribunale - affermano di vedere apparizioni spettrali accanto ai presenti. Il 29 febbraio, sotto la pressione dei magistrati, additano come streghe tre donne: Tituba, una schiava di colore dei Parris, Sarah Good, una mendicante, e Sarah Osborne, un’anziana donna povera. Tutte e tre le donne vengono interrogate dai giudici per diversi giorni. Osborne e Good si dichiarano innocenti, ma Tituba confessa: «Il diavolo è venuto da me e mi ha ordinato di servirlo». Dice di aver visto di notte cani neri, gatti rossi, uccelli gialli e un “uomo alto con i capelli bianchi”. Probabilmente, cercando di salvarsi da una condanna certa, accusa altre donne e infatti esce di scena. Sono i primi semi del male, cui segue - nei mesi successivi - una lunga catena di accuse. Quelle contro Martha Corey, membro stimato della chiesa di Salem, preoccupano molto la comunità: se una donna pia può essere una strega, allora, chiunque può esserlo. La paranoia alimenta i sospetti e i magistrati interrogano persino la figlia di 4 anni di Sarah Good, Dorothy, le cui timide risposte sono interpretate come una confessione. Il 27 maggio 1692, il governatore del Massachusetts, William Phips, ordina l’istituzione di una Corte speciale che interroga Bridget Bishop, un’anziana nota per le sue abitudini pettegole e la sua promiscuità. All’accusa di stregoneria risponde: «Sono inno -
cente come un bambino non ancora nato», ma la difesa non deve essere stata convincente, perché viene dichiarata colpevole e, il 10 giugno, è la prima a finire impiccata.
Il reverendo Cotton Mather, una delle più influenti autorità religiose in America, chiede alla Corte di non ammettere le ‘prove spettrali’, ovvero le testimonianze basate su sogni e visioni. La corte lo ignora e condanna all’impiccagione cinque persone a luglio, altre cinque ad agosto e otto a settembre. Suo figlio, Increase Mather, preside del Collegio di Harvard, denuncia: «Sarebbe meglio che dieci presunte streghe scappassero piuttosto che un’innocente venga condannata».
Il governatore Phips, in risposta alle suppliche (e all’interrogatorio della moglie, sospettata di essere anche lei una strega), proibisce ulteriori arresti rilasciando molte delle accusate. La nuova Corte di giustizia, che non ammette più le prove spettrali, condanna 3 dei 56 imputati. Entro maggio 1693, Phips grazia tutti coloro che erano stati imprigionati per accuse di stregoneria. Ma intanto 19, tra uomini e donne, sono stati impiccati e tutti si erano dichiarati innocenti. Uno di loro, John Proctor, un sessantenne che si era opposto pubblicamente ai
processi, pagò con la vita il suo coraggio. Almeno cinque degli accusati morirono in prigione.
Negli anni successivi, molti dei testimoni confessano pubblicamente errori e colpe. Il 14 gennaio 1697, la Corte del Massachusetts ordina un giorno di digiuno per la tragedia di Salem e nel 1702 dichiara i processi illegali. Nel 1711, una legge ripristina il buon nome di molti degli accusati, oltre a concedere 600 sterline di risarcimento ai loro eredi. Ma solo nel 1957, più di 250 anni dopo, il Massachusetts si scusa formalmente per gli eventi del 1692.
La storia dei processi di Salem è diventata sinonimo di paranoia e ingiustizia. Il drammaturgo Arthur Miller, nella sua opera del 1953 The Crucible (Il Crogiolo), fa rivivere nel Maccartismo americano anticomunista le stesse dinamiche che hanno coinvolto vittime e autorità in Massachusetts nel 1692.
I tentativi di spiegare la follia che colpì i coloni sono i più vari: dall’avvelenamento da ergot, pianta parassita delle graminacee contenente alcaloidi velenosi, alle dinamiche di gruppo. Più probabilmente a Salem agirono paura, superstizione e invidia. Se cattiveria ci fu, non fu demoniaca ma umana.
Salem, Massachusetts, lapide commemorativa dedicata a Bridget Bishop
BETA LA GENERAZIONE CHE CAMBIERÀ IL MONDO
I nati tra il 1° gennaio 2025 e il 31 dicembre 2039 saranno tecnologicamente integrati attenti all’ambiente, alla giustizia sociale E sono già pronti a plasmare il futuro
Il 2025 segna l’alba di una nuova era demografica: la Generazione Beta. Questa coorte, che comprenderà tutti gli individui nati tra il 1° gennaio 2025 e il 31 dicembre 2039, si prospetta profondamente diversa dalle precedenti. Si tratta della settima generazione delineata dagli esperti di demografia, a partire dalla “Lost Generation” del periodo post Prima guerra mondiale. A differenza delle prime classificazioni, basate su eventi storici dirompenti come la Grande depressione o il boom economico del Secondo dopoguerra, l’attuale approccio socio-demografico utilizza anni di nascita prestabiliti ed etichette non descrittive, per consentire analisi più oggettive e la creazione di un’identità individuale. Una tendenza destinata a continuare in futuro; ad esempio, la Generazione Gamma (i nati tra il 2040 e il 2054), la Generazione Delta (i nati tra il 2055 e il 2069) e così via. Questo intervallo di tempo standardizzato, di 14 anni, consentirà agli analisti futuri di condurre studi più completi e confronti globali. Secondo l’analista sociale statunitense Mark McCrindle, la Generazione
Beta si distinguerà per una profonda integrazione tecnologica, un’accettazione naturale dell’intelligenza artificiale e un forte apprezzamento per la diversità e l’inclusione. E prenderà il testimone demografico dell’Alpha (2010-2024), che numericamente è stata la più consistente della storia, con una popolazione stimata di oltre 2 miliardi di persone.
Il grande merito dell’Alpha sarà quello di aprire le porte verso una generale competenza digitale, un approccio al lavoro spesso autonomo o imprenditoriale, e una forte interazione con i social media, considerati fonti informative principali. Tuttavia, sarà una generazione che, da adulta, dovrà fare i conti con le incertezze di un’epoca segnata dai cambiamenti climatici, dalle trasformazioni sociali e da nuove forme di genitorialità. Oltre ad aver attraversato una pandemia globale.
La Generazione Beta, invece, sarà figlia dei Millennials e della Gen Z, ed erediterà la sensibilità ambientale e sociale delle generazioni precedenti.
I “giovani Beta” cresceranno in un mondo in cui la sostenibilità, l’inclusione e la parità di genere saranno
valori già radicati, e impareranno ad utilizzare tecnologie avanzate, come l’intelligenza artificiale, fin dalla più tenera età. In questa prospettiva, l’IA non sarà qualcosa da imparare a usare, ma un’estensione del quotidiano: sarà come la corrente elettrica o il wi-fi per noi, oggi. Le differenze tra Generazione Alpha e Beta, pur nella comune competenza digitale, saranno significative. I Beta - in un tipico scontro di visioni tra genitori e figli - vedranno gli Alpha come ‘antiquati’, attaccati a idee che necessitano di essere superate per una società più giusta ed evoluta. E l’obiettivo dei nuovi cittadini del mondo sarà quello di creare una società attenta alla parità di genere, in costante lotta per i diritti e per una definitiva integrazione razziale.
La Generazione Beta, quindi, si presenta come un soggetto di studio affascinante e complesso, pronto a plasmare il futuro con le sue peculiarità tecnologiche e la sua attenzione alla sostenibilità.
Il 2025 non segna solo l’inizio di un nuovo anno, ma l’avvento di una generazione che promette di riscrivere le regole del gioco.
di Dario De Felicis
SHARON STONE
ICONA SENZA FILTRI «INTELLIGENZA E BELLEZZA SONO UN PESO PER LE DONNE»
All’ultimo Film Festival di Torino la diva hollywoodiana ha ricevuto la Stella della Mole alla carriera Regista e produttrice, ha iniziato a Milano il suo percorso, quando sognava di fare la modella Il sex simbol di Basic Instinct porta avanti battaglie umanitarie e sociali di Giulia Bianconi
n vero sex symbol e, ancora oggi a 66 anni, una donna dal fascino e dall’intelligenza invidiabili. Sharon Stone è sempre stata una delle dive indiscusse di Hollywood. Eppure l’attrice, ospite dell’ultimo Torino Film Festival, dove ha ricevuto la Stella della Mole alla carriera, non si è sentita sempre capita. Il motivo? Essere donna. Superati gli anta, la star americana, come molte altre colleghe, ha sentito di non avere più le stesse possibilità degli inizi. Si è sentita messa in dubbio da un mondo patriarcale come quello cinematografico. Dopo aver recitato in pellicole che l’hanno resa un’icona, da Basic Instinct a Casinò, e prodotto film come Pronti a morire, avrebbe voluto anche dirigerne uno. «Quando mi sono proposta agli Studios, ho sentito la resistenza al lavoro delle donne. La mia intelligenza era sprecata per insistere con uomini meno intelligenti di me. Purtroppo,
ancora oggi intelligenza e bellezza sono un peso per le donne».
Spostando la riflessione sulla violenza di genere, Stone ha anche detto di sentirsi «una sopravvissuta e questo è stato possibile solo perché noi donne ci siamo sostenute le une con le altre. Ora anche gli uomini perbene ci dovrebbero aiutare, e ammettere che esistono uomini violenti e pericolosi, che vanno tenuti lontani».
Nel 1995 l’attrice ha prodotto Pronti a morire, di cui è stata anche protagonista femminile, e che ha riproposto a Torino. «In quel film diedi un ruolo importante a un giovane Leonardo Di Caprio e feci arrivare a Hollywood Russell Crowe - ha raccontato, parlando di quella esperienza -. Scelsi anche il regista, Sam Raimi, che fino a quel momento aveva fatto solo film di serie B. Dopo Pronti a morire la sua carriera ebbe una svolta, portandolo a dirigere la trilogia di Spider-Man. Non mi ha
mai ringraziato per questo, né chiesto di lavorare di nuovo insieme». Poi la diva ha spiegato il perché le avessero offerto di produrre il film: «Non volevano pagarmi la cifra che chiedevo come attrice, ossia un milione di dollari. Non avevano mai pagato nessuna donna una cifra del genere. Io, però, ero convinta di valere quel denaro, visto il successo dei miei film precedenti. Così mi proposero quel milione, facendomi fare anche la produttrice. Quando chiesi una colonna sonora moderna da western, mi risposero di no. Insomma, potevo decidere, ma fino a un certo punto. E allora non ho più prodotto film per un lungo periodo». Oggi Stone, più che recitare, preferisce dipingere, come racconta anche nei suoi post sui social. Presto presenterà una personale di quadri all’Ara Pacis di Roma. «In questo momento di conflitti, l’arte è il modo non politico che abbiamo per esprimerci, con grazia e senza
violenza», ha detto la star, che porta avanti anche delle battaglie umanitarie e sociali, come la lotta all’Aids. Per lei l’Italia è sempre stata importante. «A 19 anni mi sono trasferita a Milano per fare la modella. Ho avuto anche un fidanzato italiano. Sono tornata più volte in questo paese, ci ho portato i miei figli perché volevo che conoscessero quant’è ricca la cultura italiana». Uno dei suoi registi del cuore è stato Bernardo Bertolucci: «Un vero genio. Mi manca molto». Stone avrebbe potuto lavorare con Sergio Leone in C’era una volta in America: «Ho fatto diversi provini per quel film - ha rivelato -. Non sono stata presa perché avevo troppo seno e per il personaggio cercavano una ragazza che non ne avesse. Ho avuto, però, la fortuna di conoscere Robert De Niro, con cui sono diventata amica. Ho fatto altri casting per film dove c’era lui. Non mi hanno mai presa fino a quando Martin Scorsese non mi ha scelta per Casinò. Dopo quel film, però, hanno smesso di offrirmi ruoli interessanti. E così ho deciso di dedicarmi ad altro. Mi sono sposata, ho cresciuto i miei figli e ho ripreso a lavorare solo quando sono diventati più grandi».
A sinistra, Sharon Stone al Torino Film Festival. Sotto, Carlo Chatrian, direttore del Museo del Cinema di Torino, consegna all’attrice il premio Stella della Mole
ʻDADA’ RETTORE ANTIDIVA ED ETERNA ADOLESCENTE
Esce in questi giorni il 14esimo album della cantautrice veneta divertente e variato demenziale e ironico tra disco e rock
ono passati più di 45 anni da Splendido splendente, il suo primo grande successo. E ne sono passati quasi 14 anni dal precedente album di inediti di Rettore che, sull’orlo delle 70 primavere, continua a non voler essere chiamata Donatella, perché non le è mai piaciuto. Pensa ancora che porti un po’ scalogna, preferisce eventualmente Dada o Telly, come la chiamano gli amici fin da piccola.
La trasgressiva, ironica, provocatrice per eccellenza della nostra musica leggera è riuscita però a restare presente, a farsi notare, a essere considerata un’icona viva e positiva. «Da quanto tempo non viene a un mio concerto? - chiede -. Capirebbe subito perché.» In realtà, lo si capisce anche dal suo nuovissimo album, Antidiva putiferio che, oltre a raccogliere i suoi ultimi singoli, compresi Chimica - cantato a Sanremo 2022 con Ditonellapiaga - e Thelma e Louise, che la vede duetta-
di Raffaello Carabini
re con BigMama, propone una manciata di brani che sanno fondere la canzone con le forme internazionali del pop-rock elettrico, cui aggiunge decise spruzzate demenziali («sono sempre stata una fan degli Skiantos»), una disco sciccosa con interventi rap (ancora BigMama in Disco Prosecco), arrangiamenti rock-elettronici di scuola europea e collaboratori dall’impronta personale, come i punk La Sad, la cantautrice eclettica Marta Tenaglia e il rapper Tancredi nella provocatoria Faccio da me.
Quattordici anni dall’ultimo album: nella musica è un tempo enorme, cambiano le mode, gli stili, anche le generazioni. È colpa dell’età che avanza?
Io non faccio mai dischi per un’occorrenza, uno dietro l’altro o quando è passato un certo tempo o quando viene Natale, per dire. Li faccio quando sento il fremito giusto, e questo album lo porta con sé. Il mio rallentamento non è dovuto all’età che avanza ma alla società, che è ferma, latita, è stagnante. Non è come negli Anni ’80 o ’90, pieni di slanci, di stimoli festosi. Come artista sento molta fiacchezza e puzza di muffa, proprio per questo voglio tirar fuori un po’ di cose spumeggianti, vivaci, invece delle cose mortaccine che senti continuamente.
Ci sono cinque artisti ospiti, tutti giovanissimi. Cosa offrono in più rispetto a quelli della sua generazione?
Li ho scelti perché io sono un’eterna adolescente, il che sicuramente per me è un sacrificio. Tutti mi dicono “ma l’età avanza”, però io sono stata giovane, ho avuto la possibilità di esprimere la mia giovinezza nella sua totalità. E anche di portarmela un po’ dietro. È solo adesso che i grandi non ti danno la possibilità di vivere veramente da giovani, però ci sono io a difenderli.
Putiferio di Donatella Rettore
WARNER MUSIC
12 BRANI
Adesso si parla tanto di retromania, del fatto che i dischi di repertorio, degli anni passati, vendono più di quelli nuovi. È la verità. Noi, parlando di Tozzi, di Nannini, di Mannoia, di Raf, abbiamo avuto la possibilità di manifestarci come giovani, di fare le nostre canzoni, i nostri errori, le nostre scelte. Io ho ancora voglia di novità, di vita, mentre mi sembra che sia tutto fermo, tutto morto, tutto no.
In Antidiva confessa di essere “social-passiva”. Cosa pensa della decisione dell’Australia di vietare i social ai minori di 16 anni?
Secondo me dovevano vietarli fino a 21 anni. Almeno così si vive. Quattro calci a un pallone sono molto più salutari di quaranta like, la vita non va vissuta davanti a un computer o davanti a un telefonino.
Come valuta la sua parabola artistica attuale?
Sto vivendo il pomeriggio della mia carriera. Mi piace il pomeriggio, quando il sole diventa rosso sul mare e sto ad ammirarlo con un bicchiere di vino, il mio uomo e i miei cani
al fianco. E ascolto la musica del mio gruppo preferito, una band americana degli Anni ’80 che ho iniziato ad amare quando stavo a Londra, i Foreigner, che facevano heavy melody. O anche Huey Lewis and the News di The Power Of Love o gli Knack di My Sharona. Quello era il rock che piace a me, quello vitale.
Qual è il valore del rock oggi, quando sembra soppiantato da urban, rap, trap?
Non sono una che “il rock è morto”, che a 30 anni sei “too old to rock’n’roll” come dicevano i Jethro Tull, che peggio ancora si suicidano come Kurt Cobain, io sono pro Mick Jagger da quando avevo 11 anni. Jagger si è fatto di tutto, eppure è un ragazzino. È fantastico, e anche noi abbiamo degli italiani così. Prenda Morandi, un fenomeno. Fare la maratona di New York a 73 anni è rock! Wow! In Beepolare canta “sono nata al contrario” e “odio tutti”. Non c’era verso di cambiare, fare meditazione, incontrare lo spirituale, senza rimanere ribelle fino a 70 anni?
Guardi che la persona che odia tutti, in realtà ama tutti. Odiare è già avere un’attenzione verso qualcuno e qualcosa. Quando tu mi ignori, non ti interesso, è quella la vera cattiveria. Quando odi ti stai concentrando su qualcuno, in un certo senso è un sentimento. Non c’è odio senza amore e quando ami un po’ odi. È la verità. Stanotte faccio da me porta un po’ di sesso anche in questo cd. È il sale della vita anche a 70 anni?
Non è come a 25 anni, quando devi per forza finire lì perché se no stai male e non sai come sfogarti, però è ancora una valvola di sfogo mica da ridere. È un beneficio proprio fisico. È come andare a fare una gita in bicicletta oppure un’ora di palestra. Il sesso è importantissimo anche a 70 anni.
Antidiva
mmaginiamo di scendere i gradini di una metropolitana le cui linee collegano idealmente l’America e l’Europa: è un viaggio underground attraverso l’arte urbana, da Warhol a Banksy, da Keith Haring a Obey, Blek Le Rat, Mr Brainwash, e agli italiani Microbo, Bo130 e Orticanoodles, quello che si intraprende nella mostra di Palazzo Tarasconi a Parma, Street Art Revolution, curata da Giuseppe Pizzuto e dalla galleria Wunderkammern, con la direzione artistica di Luca Bravo. Un viaggio dai graffiti sulle metropolitane di New York ai muri di Banksy. Proprio nella Grande Mela, negli anni Settanta, caratteri indecifrabili hanno iniziato a comparire sulle strade e sui vagoni della metro del Bronx, di Harlem e poi di tutti gli altri boroughs. «Qualcosa di magico deve esserci stato in quella città, in quel periodo. Non è possibile che si sia tutto concentrato in quei pochi chilometri quadrati. L’arte, la musica, il cinema. Tutto quello che ha influenzato la cultura contemporanea sembra essere partito o passato da New York ad un certo punto», racconta il curatore.
Anche se non ha mai realizzato graffiti o opere sui muri della metropolitana o delle strade, il percorso inizia con Andy Warhol, il pioniere della Pop Art, fermamente convinto che «nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per quindici minuti». Warhol è stato, secondo Luca Bravo, «il visionario che ha rivoluzionato la nostra percezione dell’arte, la fenomenologia dell’immagine di consumo e che ha sostituito un’immagine dell’arte elitaria con immagini semplici, dirette, provenienti dal basso». Dalla sua Factory, negli anni Sessanta e Settanta, hanno spiccato il volo alcuni dei più importanti creativi dell’epoca, da Jean-Michel Basquiat a Keith Haring. «Un giorno, viaggiando in metropolitana, ho visto un pannello che doveva contenere un
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DALLA METROPOLITANA
ALLA TELA: UN VIAGGIO NELLA STREET ART
Dalla Grande Mela, dove tutto ha avuto inizio fino ai murales che colorano le nostre città, la mostra a Parma celebra l’arte che nasce dal basso e che ha il potere di trasformare il mondo, diventando un fenomeno globale
di Serena Colombo
messaggio pubblicitario. Ho capito subito che quello era lo spazio più appropriato per disegnare. Sono risalito in strada fino a una cartoleria e ho comprato una confezione di gessetti bianchi, sono tornato in metropolitana e ho fatto un disegno su quel pannello.
Era perfetto, soffice su carta nera; il gesso vi disegnava sopra con estrema facilità.» Da allora, Haring, non ha più smesso, convinto che l’arte dovesse essere fruibile da tutti, da chi quotidianamente prendeva la metropolitana per andare a lavorare e ricevere così
1. Mr Brainwash, With All my Love, 2023 tecnica mista su carta, credit Deodato Arte Gallery
2. Keith Haring, Fiorucci Wall, 1984 vernice spray su legno
3. Banksy, Balloon girl, serigrafia su carta
4. Blek le Rat, Lady Madonna, 2012 acrilico e vernice spray su tela collezione privata, credit Wunderkammern
un momento di gioia e serenità. Spirito libero, Haring era ribelle e ironico ma mai sgarbato. Una carriera fulminante, interrotta dalla morte per AIDS, che ha sconvolto il panorama dell’arte della Grande Mela e del mondo. Di Haring a Parma è esposto Fiorucci Wall, un pezzo unico realizzato per lo store di Elio Fiorucci a Milano tra il 1983 e il 1984. Keith Haring decorò le pareti con i suoi caratteristici graffiti, usando per alcuni dei suoi “omini” una vernice fluo al neon, con un inedito, vivacissimo effetto di movimento.
Il ponte tra New York e l’Europa è rappresentato da JonOne, «writer di Harlem - racconta sempre Pizzuto - che a un certo punto si è trasferito a Parigi ed è riuscito a trasferire completamente (operazione tutt’altro che scontata e riuscita davvero a pochissimi) l’energia dei graffiti sulle sue tele, attraverso un processo di trasformazione del writing in una sorta di Action Painting in cui la
lettera, seppur quasi sempre presente, tende a scomparire lasciando spazio alla pura energia del colore e del gesto». Si arriva così alla scena europea, dove Blek Le Rat e, poco dopo, Jef Aérosol, hanno cambiato il volto delle città francesi con i loro innovativi stencil. Considerato padre della Stencil Art, Blek Le Rat, pifferaio magico che ha invaso la città con i suoi “topolini” simbolo della ribellione e della pervasività dell’arte urbana, ha influenzato generazioni di artisti, fra cui Banksy, di cui si ignora l’identità e che continua a fare parlare di sé con le sue opere provocatorie e socialmente impegnate. A Parma è esposta una delle sue icone, la ragazza con il palloncino a forma di cuore, Balloon girl.
L’“European Wave” investe anche altri artisti e appare sempre più contaminata dalla pittura e dall’immaginario pop, richiamando Warhol: ne sono un esempio i coloratissimi lavori di Mr
Brainwash (il francese Thierry Guetta), e di Pure Evil, accanto alle opere quasi fumettistiche di D*Face (l’inglese Dean Stockton).
Infine, la mostra dedica una sezione agli artisti italiani che hanno lasciato il segno sulla scena internazionale, dando un contributo significativo alla crescita e all’evoluzione della Street Art, da Sten&Lex, con i loro inconfondibili stencil astratti in bianco e nero, a Microbo, Bo130 e Orticanoodles passando per le geniali e ironiche intuizioni di Biancoshock e per le sferzate (anche piuttosto violente) di Hogre.
Una conclusione che potrebbe rappresentare l’inizio di una mostra interamente dedicata alla Street Art italiana, con l’auspicio del curatore che «tutto questo bombardamento visivo possa scombussolare, lasciare senza punti di riferimento, confondere e - auspicabilmente- stimolare a volerci capire un po’ di più. Perché se la storia della Street Art è molto complessa e difficile da raccontare, le storie dei vari artisti (la maggior parte dei quali viventi) sono invece a disposizione di chiunque le voglia conoscere ed approfondire». «La Street Art, se vi piace davvero, cercatela per strada», suggerisce Giuseppe Pizzuto, «perché è là che succede. Le storie, invece, potete cercarle ovunque, anche in un museo».
Cultura
Ai detenuti del carcere circondario dell’Aquila, durante un incontro molto emozionante, ha detto incoraggiandoli a leggere versi e anche a scriverne: «I temi della poesia sono antichissimi, sono l’amore, il desiderio, l’enigma del tempo, gli shock della scoperta che uno fa sulla propria pelle e quell’attimo di felicità che torna sempre quando ci si sente al bivio». Ai molti giovani presenti nel ridotto del Teatro Stabile dell’Aquila, che anche loro avevano scritto poesie, ha ripetuto che «nella poesia il soggetto in fondo conta poco, ciò che conta è ciò che si iscrive con tutta forza, è una visione mai espressa prima, uno sfondamento delle dimensioni in cui si pensa e si sente, un salto mortale nel non detto».
Sul palco, dove ha ricevuto il prestigioso premio internazionale Bper Banca Laudomia Bonanni Città dell’Aquila, Durs Grünbein ha letto una sua poesia, dal suo ultimo libro: “Seguitate pure a dettare, poeti: le parole non dormono”. Il sessantunenne poeta tedesco sa bene che non dormono “nei dizionari. Se ne vanno a zonzo, un giro attorno all’isolato, / giocano come bambini con la guerra/ ancora in corso, a guerra ormai finita”. La poesia è dappertutto quando c’è un poeta che sappia nominarla. Da Sarajevo, “storia come catastrofe/accaduta durante la propria vita”, ai capolavori dell’espressionismo, al mercato delle pulci, alla fantasia iperrealista di un Circo Massimo arena per i lanciatori di coltello: poeta doctus e insieme filosofo, Grünbein sa nominarla. Dopo i cinque precedenti libri da Einaudi che lo hanno fatto conoscere, ecco Le parole non dormono da Crocetti (a cura di Valentina di Rosa) di questo sessantunenne poeta nato a Dresda nella Ddr “superstite del secolo delle utopie fallite con l’eredità di due opposti totalitarismi, nazismo e stalinismo”, tra le voci più forti della poesia europea.
DURS GRÜNBEIN “IO, SUPERSTITE DEL SECOLO DELLE UTOPIE”
Ospite d’onore al Premio internazionale
BPER Banca Laudomia Bonanni Città dell’Aquila
il poeta si racconta in un viaggio da Sarajevo a Pompei nella poesia del presente
di Renato Minore
Grünbein osserva minuziosamente la realtà, interroga con crudezza i propri sentimenti, trova nuove parole d’amore, ma come ripartendo da un vuoto, un’ombra di incomprensibilità maggiore che in passato.
Nelle sue poesie tutto parte da un’immagine colta al volo: un gruppo di migranti sdraiati in un prato, due moto incastrate dopo un incidente, una barca rovesciata da un’onda. Ma poi da quell’immagine nascono altre immagini, per associazioni a volte sorprendenti, sempre illuminanti. E riflessioni che coinvolgono le più varie branche del pensiero, non ultime le neuroscienze e la fisica quantistica. Non per nulla un suo libro si intitola Schiuma di quanti. Queste connessioni improvvise e impreviste sono espresse in maniera lucida, non sentimentale, ma a partire dallo spiazzamento mentale toccano poi corde sempre più profonde e coinvolgenti. Il poeta continua sempre a osservare minuziosamente la realtà, a interrogare con crudezza i propri sentimenti, a trovare nuove parole d’amore, ma come ripartendo da un vuoto, con un’ombra di incomprensibilità maggiore che in passato. Così al poeta (ci dice Grünbein all’inizio della nostra conversazione) «non resta che agire con gli strumenti di un chirurgo armato di un bisturi e di raggi x per studiare, analizzare l’uni-
ca cosa che resta all’uomo moderno: il corpo e all’interno del corpo il cervello, il pezzo più evoluto e presuntuoso, una scatola nera incastrata tra logo e sentimento».
Una prima domanda viene spontanea per il poeta-chirurgo riconosciuto a livello internazionale, che però vive dentro un’arte che è la meno visibile. Il poeta è sempre in esilio nel mondo moderno?
Gran parte dell’effetto della poesia si basa sui vuoti di memoria. Quanto più ampi sono - in una società che reprime la parola come in una società in
parole
di Durs Grünbein CROCETTI EDITORE
336 PAGINE
cui c’è eccesso di informazione - tanto più tocca alla singola poesia per altro senza che il suo autore debba esserne necessariamente consapevole».
Lei ha parlato dinnanzi a un pubblico soprattutto di giovani. Dica perché può essere necessario leggere poesia. Lei ha scritto in un recente testo, Ipotesi, che talune poesie possono salvare la vita. Perché?
La mia prima esperienza con la poesia è stata proprio questa, ho avuto l’impressione che la mia vita si assestasse, avesse un senso, si salvasse. E ora, se riesco a creare un messaggio che immediatamente raggiunge il lettore, non sono più solo, riesco a superare tempo e spazio in un attimo. È possibile che un uomo venga raggiunto dalla poesia, è un rapporto immediato che lo fa sentire circondato e salvato dalla parola poetica. Durante la pandemia eravamo soli, isolati, non comunicavamo: credo che in molti casi la parola (e la parola poetica in modo particolare) ci ha raggiunti in modo impensato, ci ha salvato.
Del suo rapporto con l’Italia, che per lei è molto importante, vorrei che parlasse della sua scoperta, credo ugualmente importante per la sua poesia, di Pompei ed Ercolano. Cosa la colpì di quella antica catastrofe?
Per quanto l’esperienza del declino socialista sia stata travolgente, per me divenne produttiva solo cinque anni più tardi, nel 1994, durante un soggiorno in Italia quando visitai gli scavi di Ercolano e Pompei. Solo là vidi per la prima volta l’effetto di questa violenta detonazione che è il tempo, vidi lo scroscio ritardato delle schegge della civilizzazione e nella famosa catastrofe, in presenza del vulcano, la prova di una sorta di memoria immemore. La poesia, l’ho sempre saputo, sarebbe riuscita a ritrovarne le tracce, se non a che scopo sarebbe servita?
Le
non dormono
Cultura
orse un mattino andando in un’aria di vetro,/ arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:/ il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro/ di me, con un terrore di ubriaco”. Sono alcuni tra i versi più noti di Ossi di seppia, la raccolta poetica che nel 1925 rivelò il talento di Eugenio Montale e che quest’anno festeggia il secolo di vita. Montale ventinovenne, diplomato ragioniere e letterato autodidatta, la stampò nel mese di giugno presso l’amico Piero Gobetti, giovane campione dell’antifascismo che a Torino aveva impiantato una piccola casa editrice col suo nome. Il fascismo si avviava ormai a diventare regime, Montale aveva firmato il “Manifesto degli intellettuali antifascisti” redatto da Benedetto Croce, sull’Italia scendeva una cappa di rigore e oppressione di cui lo stesso Gobetti avrebbe fatto le spese, morendo in Francia per i postumi della violenta persecuzione, politica e fisica, ordinata ai suoi danni da Mussolini in persona. In questo clima cominciò a circolare l’opera rivoluzionaria di Montale: sessanta componimenti, ora brevi ora più articolati, divisi in otto sezioni, che rappresentano (per scelta dell’autore stesso) il meglio della sua produzione giovanile. Marco Sonzogni, professore di italianistica e traduttologia alla Victoria University di Wellington, in Nuova Zelanda, studioso di lunga data di Montale, non ha dubbi: «Ossi di seppia è uno di quei libri che rispecchiano in modo assoluto chi li ha scritti e l’epoca in cui sono stati scritti. Non me ne vengono in mente molti altri: La terra desolata di Thomas Stearns Eliot, le Elegie duinesi di Rainer Maria Rilke, Morte di un naturalista di Seamus Heaney o più di recente Un paradiso portatile di Roger Robinson. Libri, mi spingo a dire, fotografici per il modo in cui riescono a documentare e tramandare un mondo, a esprimere un modo di viverlo e interpretarlo. Ossi di seppia, e più in generale la poetica di Montale, testimoniano la capacità della
CENTO ANNI
DI OSSI DI SEPPIA IL MIRACOLO POETICO DI MONTALE
Nel 1925 usciva a Torino l’opera forse più celebre del Premio Nobel ligure. Il professor Marco Sonzogni ne racconta i capisaldi e l’eredità durevole
poesia di rappresentare la condizione umana in un momento di crisi di valori individuali e collettivi, che era quello dei bui anni Venti in Europa, terreno di coltura dei totalitarismi, ma che ogni epoca presto o tardi si trova ad affrontare». Non sorprende, allora, che Ossi di seppia costituisca uno snodo essenziale nella storia della poesia italiana e che l’autore resti una figura imprescindibile nel panorama letterario del Novecento. «Montale - spiega Sonzogni - ha avuto la stessa straordinaria capacità di testimonianza di Dante e di Petrarca. La motivazione con cui, nel 1975, l’Accademia di Svezia gli conferì il Premio Nobel per la Letteratura, riassume perfettamente i suoi meriti: la paternità di una poesia
che, “con grande sensibilità artistica”, ha “interpretato i valori umani” in seno “a una visione della vita priva di illusioni”. Come pochi altri scrittori nel corso del ventesimo secolo, e di questo nostro che ne ha raccolto l’eredità, Montale ha offerto un esempio di vita e di scrittura. Ha poeticamente rappresentato e prima ancora incarnato la “decenza quotidiana”: una postura purtroppo sempre più rara in ogni ambito, pubblico come privato, della vita umana».
È l’esigenza dell’uomo di stare al mondo, accogliendo con dignità la propria fragilità e incompiutezza. L’esigenza di accettare la frattura con la realtà, che si sana solo in certi momenti eccezionali e fugaci, i cosiddetti ‘miracoli’. Lo
di Leonardo Guzzo
Marco Sonzogni, studioso di lunga data di Montale non ha dubbi: «Ossi di seppia è uno di quei libri che rispecchiano in modo assoluto chi li ha scritti e l’epoca in cui sono stati scritti»
slancio di fare il proprio dovere nonostante tutto, secondo un principio morale (ma non moralistico, né ideologico). Si tratta di un messaggio ancora oggi attuale, nella forma e nel contenuto: di un’attualità perenne, si potrebbe dire. «Lo stile di Montale continua ad essere un punto di riferimento imprescindibile - conferma Sonzogni - e il suo discorso poetico fornisce l’esempio di come, a fronte di tutto ciò che nel mondo ci soffoca e ci opprime, sia sempre possibile incontrare una piccola oasi di respiro e ristoro. Montale si aggrappa al lampo del ricordo: la tecnica del “fissaggio mnestico”, come l’ha chiamata una delle voci più importanti della critica montaliana, Anto-
nietta Grignani. E fa affidamento su un lungo catalogo di oggetti - secondo l’altra tecnica del “correlativo oggettivo” - che attraverso tutta la sua poesia gli servono per fissare ed esprimere la propria soggettività, tanto nelle manifestazioni positive quanto in quelle negative. Questi oggetti, entità animate o inanimate, sono come amuleti: rifugi e antidoti con cui lenire la morsa della realtà che ostacola e opprime il poeta. In Ossi di seppia se ne evidenziano una serie: il mare, i limoni, il muro che simboleggia la prigione, la maglia rotta di una rete che incarna il varco verso la libertà». La particolarità e il significato di questi oggetti, in cui spesso si condensa il ‘miracolo’ rivelatorio dell’essenza più profonda della vita, ha sempre costituito un elemento centrale dell’interesse di Sonzogni verso Montale. «Sono oggetti di ordinaria straordinarietà - spiega il professore - espressioni di una quieta magia, saturi di quella vita che Montale poteva accarezzare e apprezzare solo a sprazzi e solo soffrendone, per una sorta di costituzionale ‘disarmonia’ con la realtà. Di uno di questi oggetti, un nettaunghie etrusco regalato negli anni Trenta all’italianista americana Irma Brandeis, la “Clizia” della raccolta Le occasioni, ho scritto in un mio fortunato saggio intitolato Il guindolo del Tempo (Archinto, 2017). Di un altro, un libro, sto scrivendo. Se la poesia di Montale deriva per sublimazione da certi oggetti, alcuni oggetti profondamente montaliani portano incisa una traccia indelebile di quella poesia».
ELVIS PRESLEY
NOVANT’ANNI FA NASCEVA IL RIBELLE DEL ROCK ’N’ROLL
Contestava il razzismo, la morale sessuale perbenista, il rispetto per l'autorità E aveva un credo: «Non posso smettere ho degli stipendi da pagare, i ragazzi hanno famiglie da mantenere»
di Anna Costalunga
Elvis “The King” Presley è nato l’8 gennaio 1935 da una famiglia modesta, nell’ancor più modesta cittadina di Tupelo, Mississippi. Nel 1948 si trasferisce con i genitori a Memphis, nel Tennessee, dove comincia a respirare fin da subito le note musicali pop e country del profondo Sud, unite ai cori gospel che ascolta durante le funzioni in chiesa. Nel 1954 inizia la carriera di cantante con la leggendaria etichetta Sun Records di Memphis e nel 1956 è già una star internazionale. Il suo stile, un mix di blues, country e pop - che allora sfidava le barriere razziali -, inaugurò una nuova era, e nulla fu più come prima. Era il simbolo (e il mito vivente) della generazione ribelle americana postbellica degli Anni ’50. Quella che - per la prima volta - contestava il razzismo, la morale sessuale perbenista e il rispetto per l’autorità. Quando cantava ancheggiando Blue Suede Shoes , considerata il primo vero successo del rock’n’roll, Elvis celebrava una generazione di adolescenti in “scarpe scamosciate blu”, poco disposta ad accettare la rigida disciplina a scuola o in fabbrica. Pur venendo da una famiglia religiosa pentecostale, The King, con quella sensualità ostentata e l’amore per la black music non incontrava le simpatie delle gerarchie ecclesiastiche del tradizionale Sud degli Stati Uniti, che cercarono di boicottare la sua “musica da giungla” senza successo. Si fece anche molti nemici negli ambienti razzisti, dove ancora si parlava di segregazione. Quando si esibì dal vivo al Grand Ole Opry, un noto programma radiofonico country trasmesso da una radio di Nashville (Tennessee), dal pubblico gli gridarono di andarsene: «Non facciamo musica
black qui, torna a guidare il camion». Il riferimento era agli anni della sua gioventù, quando per sbarcare il lunario lavorava come autista e frequentava i quartieri neri e a buon mercato di Memphis. Alla fine, però, oltre ai fan vinsero i soldi, quelli da capogiro che guadagnò (e fece guadagnare) come cantante e come attore. Ciuffo nero (ottenuto tingendo i capelli biondo scuro per un’aria più ‘rock’), occhi azzurri e sguardo introverso, Elvis ha recitato in 31 film di successo (qualche titolo, Stella di fuoco , Viva Las Vegas , Pugno proibito) e ha venduto oltre un miliardo di dischi, più di qualsiasi altro artista al mondo. Nonostante la sua presenza scenica sia durata solo una decina d’anni, dal 1958 al 1968, il suo successo fu smisurato ed eterno. Quando per patriottismo (e senza chiedere nessun privilegio speciale) nel 1958 partì militare per due anni, lasciando il pubblico in trepidante attesa, non considerò che il mondo al suo ritorno sarebbe cambiato. L’America che lo riaccolse non era più quella bacchettona degli Anni ’50, e agli occhi degli hippy il suo talento non era più così trasgressivo. Lui stesso lo comprese. Elvis morì nella sua casa di Memphis, Graceland, il 16 agosto 1977. Aveva 42 anni. Si dice che alla fine fosse sfruttato dal suo impresario, il discusso colonnello Parker, che per continuare a monetizzare lo obbligava a estenuanti tournée e a salire sul palco malato e gonfio di pillole. Negli ultimi tour gli era persino capitato di dover scappare dietro le quinte perché non ricordava le parole delle canzoni. Elvis era stanco e preoccupato per la sua voce, sempre più debole, e per il suo aspetto, sempre più gonfio per le medicine (aveva dolori in tutto
A sinistra, l'esibizione di Elvis Presley nello show televisivo Comeback Special registrato in California nel 1968
il corpo). Agli amici che gli chiedevano di riguardarsi rispondeva: «Non posso smettere, ho degli stipendi da pagare, i ragazzi hanno famiglie da mantenere». Sempre rispettoso del prossimo, come era nel suo stile. The Pelvis, Memphis Flash, The King, The Hillbilly Cat, Mr. Dynamite, sono solo alcuni dei soprannomi datigli dai fan, che lui personalmente non amava. Il suo ultimo concerto lo tenne a Indianapolis, in Indiana, il 26 giugno 1977, alla Market Square Arena. Per la sua morte si parlò di abuso di farmaci, costipazione e di una malattia autoimmune. L’autopsia venne secretata (i risultati dovrebbero essere resi noti nel 2027), il che alimentò le voci più varie. Quando morì, ad alcuni concerti punk la notizia fu accolta con un applauso. Elvis era tutto ciò che i punk disprezzavano: vecchio (!), ricco e famoso per ballate stucchevoli come Love me tender, Are you lonesome tonight? e Surrender (la versione americana di Torna a Surriento). Eppure, senza di lui, la maggior parte della musica pop degli ultimi cinquant’anni non sarebbe stata possibile. Un’intera generazione di cantanti lo ha preso come punto di partenza per la propria carriera. Bob Dylan si avvicinò per la prima volta alla musica rock ascoltando Hound Dog. John Lennon disse: «Prima di Elvis non c’era niente». Jimmy Page imparò a suonare la chitarra spinto da Baby Let’s Play House di Elvis. Il Re è morto, viva Il Re.
Progetti
LARMONICOLTURA L’ARTE E LA MUSICA RAGGIUNGONO I CAMPI
e piante sono organismi viventi molto più complessi di quanto a volte si immagini, e diversi studi scientifici ne hanno accertato l’interazione con l’ambiente e la reazione agli stimoli sonori. In provincia di Foggia, a San Paolo di Civitate, l’azienda agricola biologica Posta Faugno ha messo a punto un protocollo per un nuovo modello di agricoltura, basato sulle frequenze musicali con accordatura a 432 hz, e sull’aumento della biodiversità e il miglioramento degli ecosistemi.
«Armonicoltura, così si chiama, coniuga due approcci, scientifico e artistico - spiega a 50&Più Luca Niro, uno dei titolari dell’azienda - perché l’arte ha un ruolo importantissimo nella vita di un organismo. Nelle persone le emozioni possono influenzare la biochimica cellulare, e questo è il campo di studio dell’epigenetica; ma se compariamo la nostra composizione cellulare con quella degli organismi vegetali, siamo molto meno diversi di quanto pensiamo. Ciò che ci distingue è l’atomo, che è di ferro o di magnesio, e che in un caso forma la clorofilla, nell’altro il sangue, ma la forma è quella».
Luca Niro (Posta Faugno)
«Se compariamo la nostra composizione cellulare con quella degli organismi vegetali siamo molto meno diversi di quanto pensiamo»
di Ilaria Romano
Come vi siete organizzati sul campo?
Inizialmente il progetto prevedeva una palificazione importante che potesse coprire un’estensione di terreno molto ampia, ma l’impatto visivo sarebbe stato devastante. Così abbiamo cominciato a fare ricerca con dei tecnici del suono e in sei mesi siamo riusciti ad avere un sistema con quattro semplici postazioni che a stento si vedono, quindi a impatto zero, con 36 altoparlanti che diffondono la musica per tutta l’azienda.
Quali benefici avete notato sulle piante?
I nostri sono dati empirici: facendo questo lavoro da tantissimo tempo abbiamo notato sin da subito un miglioramento. Oggi, avendo tutta l’azienda irradiata dalla musica, non abbiamo più la possibilità di fare dei test comparativi, ma alla luce dell’esperienza passata abbiamo riscontrato un miglioramento della vitalità del suolo, dei microrganismi, un inspessimento delle lamine fogliari e una riduzione degli attacchi parassitari, con una presenza più bilanciata fra insetti utili e insetti predatori.
Cosa si coltiva con la musica?
In questo periodo abbiamo due tipi di bietole, il cavolo nero, le cime di rapa, le cicorie, le zucche e il radicchio. D’estate coltiviamo pomodori, melanzane, zucchine, basilico e cotone, e in questo caso siamo stati i primi a portare in Italia quello biologico, cinque anni fa. Il cotone in Italia è stato coltivato fino agli anni Sessanta, mentre oggi si produce principalmente in Grecia e in Turchia, oltre che nei grandi latifondi americani, perché l’industria tende ad abbassare il costo della materia prima. Ma il ‘made in Italy’ ha ancora un appeal, e il biologico può contribuire a creare quelle filiere che rendono di nuovo la coltivazione remunerativa, come succede oggi in Puglia e in Sicilia. Ci descrive un esempio di “Armonicoltura”?
Armonicoltura prevede, oltre all’impiego della musica, il miglioramento dell’azienda attraverso gli ecosistemi, con il conseguente aumento della biodiversità. Un esempio è la coltivazione della cima di rapa, una pianta che continua a crescere anche dopo che la parte ‘commestibile’ è stata tagliata. Dopo il raccolto, nell’agricoltura convenzionale la coltivazione è finita e il terreno viene dissodato e preparato rapidamente a quella successiva. Noi, invece, lasciamo le piante sul campo per mesi, in modo che queste possano fiorire e dare sostentamento agli insetti in un periodo come quello invernale dove i fiori scarseggiano. In questo modo riusciamo anche a dare colore all’azienda, nonostante il freddo e la scarsa luminosità. Si tende solo a prendere dal ter-
reno, noi cerchiamo anche di dare, utilizzando la musica, l’arte, la scienza. Si può affermare che la vibrazione della musica produca uno scambio di energia con gli organismi vegetali?
Tutti gli elementi naturali, anche i sassi, vibrano. E la vibrazione è energia in movimento. Le piante lavorano per garantirsi una continuità e in questo producono bellezza. Pensiamo ai fiori, concepiti dalla natura per la riproduzione della pianta attraverso l’‘inganno’ alle api e agli insetti impollinatori; oppure ai frutti, che devono essere succulenti perché possano essere mangiati dalle specie animali per la diffusione dei semi, nonostante l’immobilità dell’organismo primario. La musica e l’arte interagiscono con questi meccanismi naturali e consentono di ampliarli.
Ci sono aziende che hanno seguito il vostro esempio?
Abbiamo creato un protocollo da condividere e molte aziende si sono avvicinate, ma poi è molto difficile avere tutte le caratteristiche per attivare un progetto di questo tipo. I campi sono spesso isolati, molti non hanno la corrente, altri non
hanno superfici adeguate. Insomma, possono esserci molte variabili in gioco, tuttavia riceviamo molte richieste, diamo gli spunti e poi ogni realtà lavora autonomamente.
Come comunicate il progetto ai non addetti ai lavori?
Abbiamo particolarmente a cuore la formazione nelle scuole, per avvicinare i ragazzi alla campagna, alla natura; organizziamo anche giornate tematiche, con lo studio e il riconoscimento delle erbe, la conoscenza degli animali che abbiamo all’interno, la divulgazione scientifica rispetto ai benefici delle frequenze per le coltivazioni.
A sinistra, uno scorcio dell'Azienda Posta Faugno. A destra, i fratelli Luca e Paolo Niro
MANUELA DI CENTA
LA LEGGENDA DELLO SCI NORDICO SI RACCONTA
Due ori, due argenti e un bronzo, poi l’impegno sociale e la dirigenza al Coni e nel Cio «L’obiettivo non è vincere medaglie ma fare cose belle»
di Giovanni Carlo La Vella
Una vita sugli sci, segnata da fatica e allori, non sui ripidi pendii alpini, ma sugli altipiani innevati che offrono la possibilità di scivolare per chilometri e chilometri. Logiche diverse per due discipline sorelle, ma radicalmente diverse: lo sci alpino e lo sci nordico. È proprio in quest’ultimo sport che Manuela Di Centa ha scritto
la storia dell’agonismo mondiale sulla neve. Tra i numerosi allori, solo nelle Olimpiadi invernali di Lillehammer 1994, due ori, due argenti e un bronzo in cinque gare distinte. Poi l’esperienza politica e quella dirigenziale nel Coni e nel Cio, sempre con l’obiettivo di fare dello sport, di qualsiasi sport, una parte essenziale della vita di tutti, anche senza diventare campioni.
Manuela Di Centa, un nome diventato leggenda, ma quando da bimba ha deciso che gli sci sarebbero stati la sua vita?
Probabilmente dentro il mio cuore mi sono sempre detta che nella vita avrei voluto fare quello che mi piaceva e questa cosa era lo sport, in particolare lo sci, la neve, il freddo, i colori della montagna. Allora l’obiettivo non era vincere medaglie, ma fare cose belle e per esse dare il massimo. Poi, certo, come atleta si cerca di arrivare il più in alto possibile chiaramente. Questo è stato il mio mondo e il mio modo di pensare sin da piccolissima. Poi dopo ho anche capito che la forza dello sport può e deve manifestarsi soprattutto nel sociale e non solo nelle vittorie. Quanto questa realtà è stata favorita dall’appartenere ad una famiglia di sportivi?
Sì, certo, la spinta della famiglia è stata importante. Ho fatto anche tanta atletica, soprattutto d’estate, e detengo ancora diversi record ottenuti quando ho gareggiato con la mia società, la Libertas Udine Banca del Friuli. Abbiamo vinto uno scudetto Nazionale. Insomma tante soddisfazioni che non cito mai dato che ho vinto tanto nello sci nordico. Un’altra grande passione, che mi è stata trasmessa da mio papà, è la corsa in montagna, una specialità nella quale ho vinto tante gare mondiali. Poi è arrivata comunque la scelta dello sci di fondo. Perché non quello alpino, messo in evidenza in Italia da tanti campioni, Gustav Thoeni per citarne uno? Beh, lo sci nordico è una tradizione familiare che viene sempre da mio padre. Lui era istruttore in questa meravigliosa disciplina e nella mia società sportiva era tra le attività di punta insieme, come ho detto, con la corsa in montagna e l’atletica durante l’estate. Il fondo mi ha consentito di emergere. Ricordo con particolare emozione le Olimpiadi invernali di Lillehammer nel 1994. Ci
Giochi olimpici di Parigi. In alto a destra, con Sergio Mattarella; in basso, nella sede della Federazione Italiana Sport Invernali
sono arrivata dopo momenti di grande difficoltà legate alla salute della mia tiroide. Dal punto di vista medico erano disturbi ancora poco conosciuti, per cui, dopo l’operazione, ho dovuto riequilibrare con difficoltà il mio corpo. E proprio questa difficile esperienza mi ha dato modo di trovare una condizione fisica eccellente. Anche oggi penso che vincere cinque medaglie in cinque gare in un’Olimpiade sia qualche cosa di straordinario.
Terminata l’attività agonistica c’è stata e c’è ancora quella di gestione dello sport. Come è avvenuto questo passaggio?
E sì, qui torniamo a quello che pensavo da bambina, cioè non tanto di primeggiare, ma di fare qualcosa di utile nello sport. Certo, anche vincere è stato importante, perché ho gareggiato in anni in cui nello sport le donne erano considerate molto, ma molto meno dei maschi. E io ho dovuto lottare per qualsiasi cosa come donna, come ragazza. Con questo stesso spirito, quando ho terminato l’attività agonistica, sono voluta passare dall’altra parte per essere, anche lì, campionessa. Mi sono
messa a disposizione del Coni e poi del Comitato Olimpico Internazionale, il Cio, che aveva bisogno del vissuto dei grandi atleti. Qui sono stata per 11 anni e poi sono diventata membro onorario, quindi a vita. Ho avuto modo di vedere globalmente lo sport, dialogando con tutti i Paesi del mondo. Ma il suo legato allo sport per tutti non finisce qui. Ho visto che una bella opportunità può nascere grazie alla nuova legge del 2018. Io collaboro con una società nuova, Sport e Salute, che si dedica proprio alle persone che non diventeranno sicuramente dei campioni, per far conoscere a tutti quanto l’attività sportiva sia importante per ognuno di noi, sia da giovani, ma anche quando siamo avanti negli anni, sino a quando si va in pensione. È un progetto che coinvolge il mondo della scuola, ma anche la terza età. Ci sto lavorando da tempo e, come dire, arriverò al podio anche qua, sperando che questo podio possa rappresentare una vittoria
per tante persone. Stiamo dialogando col mondo sanitario e quello previdenziale, ovvero l’Inps, per portare avanti politiche sociali attraverso la cultura del movimento, magari una semplice passeggiata che possa migliorare la salute di tanti, possa alleviare il carico della sanità nazionale, degli ospedali, aiutando tutti a stare un po’ meglio e magari a prendere una medicina in meno. Ecco, questa sarebbe una bella medaglia d’oro!
Sopra, Manuela Di Centa agli ultimi
QUANDO L’OSSO DIVENTA FRAGILE F RATTURE DA STRESS O PER OSTEOPOROSI
Sia per l’atleta che pratica attività agonistica che per chi lavora quotidianamente con carichi pesanti è sempre presente il rischio che le ossa subiscano una condizione di over-stress e possano andare incontro a fratture. Lo stesso rischio che si presenta nei soggetti con osteoporosi perché carichi anche normali gravano su ossa fragili. La differenza per i due tipi di frattura è data dal coefficiente di resistenza della matrice ossea. In entrambi i casi è l’osso a cedere, la differenza però non è soltanto la quantità di carico che insiste sull’osso (periostio e trabecole ossee), ma anche la sua capacità di sostenerlo.
In relazione alla fascia di età esistono criticità differenti e variabili in rapporto al carico sullo scheletro di Alessandro Mascia
La matrice dell’osso è formata da un tessuto spugnoso. Presenta una struttura porosa capace di scomporre i carichi e di dissiparli seguendo delle linee di carico specifiche e caratteristiche per ogni osso. Lo scheletro umano è un sistema capace di ridurre notevolmente l’impatto dei carichi sui muscoli e sulle articolazioni. L’esempio più evidente è dato dallo stesso sistema di carichi
che è stato quindi “ripreso dalla natura” per la progettazione e costruzione degli archi sin dall’inizio dei tempi. In particolare l’osso sacro, con la sua forma triangolare, è una vera e propria “chiave di volta” incuneata nel bacino. La conformazione delle ossa del bacino completa il disegno e la funzione di un arco, mentre gli arti inferiori, che completano questa architettura, assumono il ruolo di colonne portan-
ti atte a sostenere il peso del corpo. All’aumentare dei carichi sulla colonna vertebrale aumenta la capacità del sacro di contenere e suddividere le forze lungo le gambe, grazie quindi alle articolazioni (tra sacro e bacino e arti inferiori) stabilizzate da fortissime strutture legamentose.
La struttura spugnosa dell’osso costituisce un sistema meccanico altamente raffinato e specializzato in quanto accomuna una grande capacità di sostenere carichi a una estrema leggerezza. Se le ossa fossero piene, lo scheletro dovrebbe pesare due o anche tre volte tanto. Le ossa sottoposte a carico (soprattutto le ossa lunghe degli arti inferiori) hanno una loro capacità intrinseca di flettersi. È questo un coefficiente di elasticità fondamentale per aumentare la capacità di carico e che riduce notevolmente il rischio di fratture.
Questo è quanto avviene in condizioni di normalità. I rischi aumentano nel momento in cui cambiano i parametri di sovraccarico sullo scheletro. I principali motivi di frattura dell’osso possono quindi dipendere dall’aumento eccessivo del carico (fratture
È IMPORTANTE FARE SPORT IN MANIERA CORRETTA
Chi pratica attività sportive di fondo (come i maratoneti) o attività nelle quali si utilizzano carichi importanti (come gli esercizi in palestra con i pesi) deve sempre rispettare un criterio di gradualità. È sempre pericoloso sottoporre il sistema scheletrico a stress meccanici ai quali non si è abituati e per i quali non si è allenati. È anche fondamentale l’utilizzo di attrezzature adeguate ed efficienti. Ad esempio, il maratoneta deve indossare sempre calzature ben ammortizzate e sostituirle regolarmente non appena si riduce la capacità della soletta di assorbire i carichi. Infatti, non sono infrequenti nei maratoneti le fratture dei metatarsi. E, in caso di recidive, è importante verificare che non ci sia a monte un problema di assorbimento del calcio.
da stress) oppure dall’indebolimento della struttura dell’osso (osteoporosi). Il primo caso riguarda ad esempio chi svolge attività di carico pesanti sia per lavoro che durante la pratica sportiva. Le ossa mantengono la loro ‘robustezza’ in risposta ai carichi cui vengono normalmente sottoposte. Ma se il carico, in condizioni eccezionali come per un sovra-allenamento o una gara sportiva particolarmente faticosa, viene ulteriormente aumentato, si ricreano condizioni tali da sottoporre l’osso a un elevato rischio di frattura. Soprattutto se il sovraccarico funzionale è protratto nel tempo. Sono
ANALISI E PREVENZIONE
queste quelle che vengono chiamate “fratture da stress”.
Il secondo caso è invece quello tipico delle fratture da osteoporosi. Con il passare degli anni la matrice ossea tende a essere sempre più rarefatta, soprattutto nei soggetti che camminano poco e che non praticano attività sportiva. In questo caso non è il carico ad aumentare ma è la forte diminuzione della capacità delle ossa di sostenere carichi anche normali. È questo il caso tipico delle “fratture spontanee” ossia quelle fratture che avvengono durante le normali attività di vita quotidiana.
Possono essere entrambe definite come “patologie da sovraccarico”, dove la differenza è data dallo stato di salute dell’osso. Mentre nelle fratture da stress l’osso è sano, nelle fratture da osteoporosi l’osso è fortemente indebolito.
La Moc (mineralometria ossea computerizzata) è un esame fondamentale da ripetere con cadenza regolare a partire dai 50-60 anni di età, soprattutto per la popolazione femminile e, in particolare, per i soggetti affetti da patologie che diminuiscono l’assorbimento del calcio. Patologie a carico del fegato, dei reni, delle ghiandole paratiroidi, celiachia, interventi chirurgici del tratto gastrointestinale o l’assunzione prolungata di farmaci come, ad esempio, antibiotici e lassativi, possono diminuire significativamente l’assorbimento del calcio alimentare. Ma anche un’alimentazione troppo ricca di sodio o di proteine di origine animale aumenta la dispersione del calcio attraverso le urine.
L'angolo della veterinaria
a cura di Irene Cassi
UNA CASA A MISURA DI GATTO
L'ambiente ideale deve prevedere tre aree distinte e strumenti adeguati Ecco la ricetta che rende felici i nostri amici a quattro zampe
Per rendere una casa cat-friendly, è necessario fornire all’animale, tramite strutture e risorse, gli stimoli sensoriali e motori necessari per facilitare l’espressione dei suoi moduli comportamentali. Per fare questo è possibile agire su più fronti, ma occorre innanzitutto valutare attentamente la casa in cui vive il pet, stabilendo di conseguenza il modo migliore per organizzarla.
COME FARE?
Il gatto ha l’esigenza di organizzare le sue principali attività in almeno tre aree ben definite dette campi territoriali: il campo di attività, di isolamento e di aggressione. Nel campo di attività il pet gioca, caccia ed elimina; nel campo di isolamento si riposa, dorme e si rifugia per evitare contatti con altri animali o persone; nel campo di aggressione può manifestare la sua aggressività sia nei confronti di persone che di animali. Quest’ultimo non è uno spazio ben definito ma variabile, è ridotto quando il gatto è calmo, più ampio quando invece è spaventato. È, quindi, strettamente correlato al suo stato fisiologico o emozionale. Per rendere la casa cat-friendly è necessario, quindi, ricreare queste zone, cercando di seguire i consigli del medico veterinario comportamentalista che, tramite una supervisione dell’abitazione o servendosi di una planimetria, di video e di fotografie, indicherà, secondo le sue necessità etologiche, dove devono essere collocati i vari oggetti per facilitare il suo benessere psicofisico.
FUORI DALLA FINESTRA
Prima di tutto sarà necessario ricreare una tridimensionalità spaziale con aperture visive verso l’esterno, utilizzando mensole da collocare sui davanzali delle finestre per dare la possibilità al gatto di vedere che cosa succede fuori. In questo modo, aumentando gli stimoli visivi, olfattivi e sonori percepibili, il gatto non si annoierà e difficilmente svilupperà sintomi correlabili a un quadro depressivo.
ZONA DI ELIMINAZIONE
Occorre scegliere con scrupolosità la zona di eliminazione. La lettiera deve essere collocata in un luogo riservato, possibilmente nel bagno, lontano
dagli occhi indiscreti degli ospiti e dai rumori degli elettrodomestici. Per evitare possibili problemi di eliminazione, occorre scegliere un substrato a grana fine, pulirlo quotidianamente e non cambiarlo se il gatto non manifesta alcun disagio.
ZONA DI ALIMENTAZIONE
La zona di alimentazione deve essere sopraelevata se in casa ci sono anche cani e lontana dalla lettiera e dai rumori degli elettrodomestici. Il cibo deve essere ad libitum, cioè a volontà, perché i gatti in natura tendono a fare molti pasti.
ZONA LUDICA
È necessario ricreare una zona ludica dove il gatto possa giocare. Essendo un predatore, è opportuno fornire all’animale finte prede e giochi d’acqua, perché stimolano sia l’attività fisica che psichica. Utili anche le bacchette che fanno muovere le finte prede perché consentono al proprietario e al gatto di giocare insieme, migliorando così la loro relazione.
ZONE DI ISOLAMENTO
Il gatto, durante la giornata, ha la necessità di isolarsi dall’ambiente circostante. Sarebbe consigliabile creare
almeno tre zone d’isolamento, perché una, spesso, non è sufficiente per il pet. In queste aree, che devono essere lontane dai rumori e dagli occhi indiscreti delle persone, devono essere collocate delle cucce, meglio se chiuse, dove il gatto abbia la possibilità di riposare, di nascondersi e di isolarsi. Nella zona d’isolamento il gatto riesce a mettere in atto il meccanismo di coping. Si tratta di una strategia che viene utilizzata per fronteggiare situazioni stressanti.
IL TIRAGRAFFI
È consigliabile posizionare più tiragraffi in posizioni strategiche ovvero vicino a poltrone o divani. Quello ideale è abbastanza alto ed è rivestito di un materiale stimolante come il sisal.
MENS SANA IN CORPORE SANO
I gatti che vivono in casa tendono a trascorrere troppo tempo sul divano e a diventare con il tempo obesi. È necessario, quindi, attaccare delle mensole sulle pareti sia della sala che della camera da letto, per dare la possibilità al gatto di balzarci sopra. Utile anche collocare un grande albero in una zona del soggiorno per facilitare l’attività fisica e consentire al gatto di saltare, arrampicarsi e scalare.
Dal Regno Unito arriva la “nonna IA” per contrastare le frodi online trasformando l’inganno in un’arma contro i cybercriminali
L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE CHE
DICHIARA GUERRA
AI TRUFFATORI
di Dario De Felicis
La società di telecomunicazioni Virgin Media O2 ha recentemente introdotto “Daisy”, una sofisticata IA progettata per impersonare una nonna anziana che inganna i truffatori, tenendoli al telefono il più a lungo possibile. Daisy opera attraverso un modello linguistico di grandi dimensioni (Large Language Model), specificamente addestrato per condurre conversazioni in tempo reale con i truffatori. L’obiettivo? Semplicemente far perdere loro tempo. L’IA mantiene i cybercriminali impegnati in dialoghi prolungati e privi di senso, impedendo loro di contattare altre potenziali vittime. Secondo la O2, infatti, sette persone su dieci nel Regno Unito sono state bersaglio di truffe telefoniche; un dato allarmante che ha spinto l’azienda a cercare soluzioni creative per arginare il fenomeno. «Mentre sono impegnati a parlare con me, non possono truffare te e, diciamocelo, cara, ho tutto il tempo del mondo», afferma Daisy in un video spot pubblicitario, che la mostra come una figura dolce e rassicurante, dotata di capelli grigi, occhiali e un’aria familiare. L’IA imita il tono e le modalità di conversazione di una nonna reale, basandosi su ore di registrazioni autentiche. Il risultato è un’interazione convincente che confonde e frustra i truffatori, spesso portandoli a lunghe conversazioni su argomenti futili come gatti, lavori a maglia e membri della famiglia. La strategia di Daisy non mira a eliminare completamente le truffe, ma a rallentarle significativamente.
L’iniziativa rappresenta un passo significativo nell’uso dell’IA per la sicurezza personale, mostrando come le nuove tecnologie possano essere impiegate in modi creativi e benefici. Sebbene Daisy da sola non possa fermare tutte le truffe, la sua esistenza potrebbe ispirare ulteriori sviluppi tecnologici e strategie di protezione.
L’approccio della dolce nonna ‘artificiale’ è chiamato “scambaiting” e sfrutta i pregiudizi comuni dei truffatori nei confronti delle persone anziane, spesso considerate bersagli facili.
Una novità che risulta particolarmente utile, anche alla luce dell’aumento delle truffe online in Italia. Solo per fare un esempio, nel Report della Polizia Postale relativo al 2023 si rileva un incremento del 6% dei tentativi di truffa online rispetto al 2022, con un aumento del 20% del denaro sottratto, passando da 114 a 137 milioni di euro. E solo negli ultimi 12 mesi sono stati individuati ben 2.500 nuovi siti di “phishing” (truffa che cattura i dati sensibili). Ma sotto attacco non sono solo i senior; secondo un indagine di Consumerismo, 1 italiano su 5 dichiara di aver subìto almeno una truffa mentre faceva acquisti in rete. Percentuale che sale al 33,1% nella fascia d’età 25-34 anni, il che significa che 1 giovane su 3 è caduto nelle ‘trappole’ dell’e-commerce. Voce rassicurante, sorriso digitale e tanto tempo a disposizione: a tutti serve una nonna come Daisy, anche ai più giovani.
Tecnologia e dintorni
CURIOSITÀ
Il 24 gennaio di quarantuno anni fa un elegante Steve Jobs, lontano dallo stile casual che lo contraddistinguerà in futuro, presentava il Macintosh 128k della Apple
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L’UNIVERSITÀ “SAPIENZA” PRESENTA MINERVA 7B
Una nuova versione della “ChatGPT” dell’Ateneo romano
Dopo mesi di lavoro incessante e un addestramento con 1,5 trilioni di parole, il gruppo di ricerca Sapienza NLP - Natural Language Processing - ha presentato Minerva 7B, ultima versione del modello linguistico di IA dell’ateneo romano. Sviluppato nel progetto “Future Artificial Intelligence Research” e col supporto del supercomputer Leonardo, Minerva è il primo, e a oggi unico, modello aperto che si presta a essere usato dalle pubbliche amministrazioni per trasparenza delle fonti e del processo di addestramento.
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ETÀ ANAGRAFICA E SOCIAL, IL GRANDE INGANNO
Nel Regno Unito i minori dichiarano di avere 18 anni o più
Recentemente l’Australia ha vietato l’uso dei social ai minori di 16 anni. La maggior parte dei ragazzi mente però sull’effettiva età. Secondo un sondaggio dell’autorità di regolamentazione dei media del Regno Unito, il 22% dei ragazzi tra gli 8 e i 17 anni afferma di avere 18 anni o più sui social network. Si tratta di un comportamento molto pericoloso, come sostiene l’Office of Communications: i minori che sui social si spacciano per adulti corrono il rischio di esporsi a contenuti dannosi.
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DEUS IN MACHINA, L’ASSOLUZIONE È DIGITALE
Un controverso esperimento che mescola fede e tecnologia
Immaginate un Gesù virtuale che vi accoglie, ascolta e poi assolve. È quello che sta accadendo presso la Chiesa di San Pietro a Lucerna, in Svizzera, dove un team di informatici e teologi svizzeri ha messo a punto un ‘ologramma’ di Gesù che ascolta, risponde in tempo reale e assolve in oltre cento lingue attraverso l’intelligenza artificiale. L’esperimento, parte del progetto “Deus in Machina”, si basava all’inizio su ChatGPT-4o di OpenAI, una versione poi bloccata per timori sulla privacy.
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SPOOFING, QUATTRO TIPI DI FRODI IN UNO
Truffatori in azione via telefono, web, e-mail o sms
Secondo un’indagine del 2023, in Italia il 15% delle frodi nel digital banking è avvenuto tramite “spoofing”, tecnica con cui i truffatori mascherano la loro identità per ottenere dati sensibili. La truffa può avvenire in quattro modi: telefono, web, e-mail o sms. Qualsiasi sia il mezzo, gli hacker cercano sempre - attraverso software - di modificare il proprio numero spacciandosi per altri, inviare link che reindirizzano verso siti ingannevoli, indurre a rivelare le credenziali della carta di credito.
Dal 7 al 10 gennaio torna l’evento tecnologico più importante al mondo dove scoprire le grandi innovazioni: è il Consumer Electronics Show (CES) di Las Vegas. Per saperne di più: www.ces.tech
RIVALUTAZIONE PENSIONI 2025
POCHI EURO DI AUMENTO E NON PER TUTTI
Fissato allo 0,8% l’indice provvisorio di adeguamento all’inflazione, ma non tutti i pensionati riceveranno l’aumento pieno. Ecco il nuovo meccanismo di rivalutazione previsto dalla Manovra 2025
Nessun conguaglio a favore per il 2023 e solo lo 0,8% di adeguamento per il 2024, riconosciuto ai pensionati a decorrere dal 1° gennaio 2025. Lo ha stabilito il decreto interministeriale del 15 novembre 2024, emanato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze di concerto con il Ministero del Lavoro e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 27 novembre 2024. Se da una parte la notizia è positiva, perché significa che l’inflazione è in discesa rispetto ai picchi degli ultimi anni, dall’altra è innegabile che i prezzi al consumo restino alti e che i tagli alla perequazione operati nell’ultimo decennio abbiano intaccato il reale potere di acquisto delle pensioni.
Nel 2025 torna il meccanismo di rivalutazione a scaglioni in vigore nel 2022, che sostituisce quello per fasce in vigore lo scorso anno. Nelle tabelle 1 e 2, in calce, sono indicate le percentuali di adeguamento riconosciute in base ai tre scaglioni previsti per il 2025, messe a confronto con i valori definitivi di perequazione per fasce previsti nel 2024. Anche per le pensioni minime quest’anno l’aumento è molto esiguo. Si tratta in concreto di soli 1,80 euro. Infatti, l’importo della pensione minima pagata nel 2024 includeva una maggiorazione straordinaria del 2,7% che ha portato l’assegno a 614,77 euro mensili. Non considerando questa maggiorazione, il trattamento minimo lordo mensile, con la rivalutazione pie-
na dello 0,8%, passa da 598,61 euro a 603,40 euro, a cui si aggiunge una nuova maggiorazione straordinaria per l’anno 2025 del 2,2%, che porterà l’importo effettivo a 616,67 euro, con un incremento reale dello 0,3% rispetto all’importo in pagamento nel 2024. L’Ufficio parlamentare di bilancio, nella sua audizione sulla Manovra 2025, ha tuttavia chiarito che nell’arco temporale 2021-2026 le pensioni minime, anche per effetto delle maggiorazioni straordinarie, saranno aumentate di 106,67 euro, con una variazione del 20,7%, che è comunque maggiore dell’inflazione stimata nel periodo 2021-2024. Resta il fatto che il dibattito sull’aumento delle pensioni minime all’interno del Governo non si è ancora chiuso. Forza Italia aveva addirittura promesso di portare le minime a 1.000 euro entro la fine della legislatura ma, considerate le poche risorse disponibili, questo obiettivo appare sempre più lontano. Cattive notizie anche per i pensionati italiani che risiedono all’estero. Da quest’anno infatti scatta la stretta sull’indicizzazione e gli assegni non saranno rivalutati, ad eccezione di quelli di importo pari al trattamento minimo. Come sempre, l’Inps provvede all’applicazione automatica della rivalutazione a partire dalla mensilità di gennaio e i pensionati non dovranno fare alcuna richiesta per ottenere l’adeguamento. Inoltre, qualora l’indice provvisorio dello 0,8% non corrisponda al dato definitivo, già a fine anno l’Istituto potrebbe procedere a un conguaglio.
a
Da 5 a 6 volte il
Da 6 a 8 volte il
Da 8 a 10 volte il trattamento minimo Fino a € 5.679,4037% (1,998%)
Oltre 10 volte il trattamento minimo Fino a € 5.679,4022% (1,188%)
ANNO 2025 - TABELLA 1
ANNO 2024 - TABELLA 2
DIRITTI INESPRESSI
Li hai mai verificati?
Alcune prestazioni assistenziali e previdenziali, senza una esplicita richiesta, non vengono riconosciute
RIENTRANO NEI DIRITTI INESPRESSI:
Assegno Unico
Assegno familiare
Integrazione al trattamento minimo
Maggiorazioni sociali
Quattordicesima
Maggiorazione per ex combattenti
Aumento al “milione”
Prestazioni a favore degli invalidi civili
Supplemento di pensione
Importo aggiuntivo a dicembre
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Il Patronato 50&PiùEnasco è a tua disposizione per la verifica dei tuoi “diritti inespressi” e per il ricalcolo della pensione
LA SUCCESSIONE EREDITARIA MODIFICHE AI FINI FISCALI
Una materia complessa che, relativamente all’ambito fiscale, è stata oggetto di importanti variazioni attraverso il decreto legislativo n. 139/2024
La successione ereditaria è materia complessa che interessa tutti e che richiede la conoscenza di diverse disposizioni di natura sia civilistica che fiscale. In merito a quest’ultima, il D.Lgs. 18 settembre 2024 n. 139 è intervenuto disciplinando la riforma dell’imposta di successione e apportando importanti modifiche, decorrenti dal 1° gennaio 2025. Nel presente articolo affronteremo:
1) le semplificazioni relative al calcolo e al pagamento delle imposte e, in particolare, dell’imposta di successione;
2) la semplificazione dei documenti da allegare alla dichiarazione di successione.
Dal 2025, a seguito dell’intervento normativo in esame, il procedimento di liquidazione dell’imposta sulle successioni è stato modificato come segue: › l’imposta di successione è liquidata dai soggetti obbligati al pagamento della stessa in base alla dichiarazione di successione (anteriforma l’Agenzia delle Entrate inviava l’avviso di liquidazione con il relativo calcolo dell’imposta da versare);
› in caso di successiva presentazione di dichiarazione sostitutiva o integrativa, l’imposta è nuovamente autoliquidata;
› il versamento dell’imposta di successione deve essere adempiuto entro 90 giorni dal termine della presentazione della dichiarazione di successione; in alternativa, è possibile procedere al pagamento dell’imposta sulle successioni autoliquidata
nella misura non inferiore al 20%, sempre entro 90 giorni e, per il rimanente importo, in 8 rate trimestrali o in un massimo di 12 rate trimestrali (qualora si tratti di importi superiori a 20mila euro). Non è consentito rateizzare importi inferiori a € 1.000; › resta fermo il termine di liquidazione e versamento delle imposte ipotecaria e catastale, che deve essere effettuato entro il termine di presentazione della dichiarazione di successione.
Successivamente, gli uffici effettuano il controllo della regolarità dell’autoliquidazione delle imposte e tasse effettuata dal contribuente, nonché dei versamenti e la loro rispondenza con i dati indicati nella dichiarazione. L’Ufficio provvede a correggere eventuali errori materiali e di calcolo commessi dal dichiarante nella determinazione della base imponibile o dell’imposta. Qualora risulti dovuta una maggiore imposta, l’Ufficio notifica apposito avviso di liquidazione, nel termine di decadenza di due anni dalla data di presentazione della dichiarazione di successione, con l’invito a effettuare, entro 60 giorni, il pagamento dell’importo dovuto. Il D.Lgs. n. 139 ha anche previsto che, nel caso di unico erede di età non superiore a 26 anni e in presenza di beni immobili nell’asse ereditario, le banche e gli altri intermediari finanziari devono consentire lo svincolo delle attività cadute in successione, nei limiti del valore necessario all’erede per effettuare il versamento delle imposte catastali, ipotecarie e di bollo.
In merito, invece, ai documenti da allegare alla dichiarazione di successione, è stata prevista una notevole semplificazione, in quanto: › non sarà più necessario richiedere i certificati di morte e di stato di famiglia perché potranno essere sostituiti dalle autocertificazioni; › non è più richiesto allegare gli atti relativi alle vendite eseguite negli ultimi 6 mesi di vita, né tutta la documentazione catastale collegata; › non dovranno essere allegati neanche gli estratti catastali relativi agli immobili indicati in successione, poiché essi dovranno essere acquisiti d’ufficio dall’Agenzia delle Entrate; › è previsto, quale unica modalità di presentazione della documentazione, l’invio telematico da farsi entro 12 mesi dall’apertura della successione, e sarà sufficiente la firma di uno solo degli eredi.
La presentazione della dichiarazione, come detto, deve avvenire per via telematica, con modalità stabilite mediante provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate, mentre è consentita la spedizione tramite raccomandata (o altri mezzi equipollenti, a condizione che risulti con certezza la data di spedizione) ai soggetti non residenti e, in tale ipotesi, la data di presentazione della dichiarazione di successione viene fatta coincidere con quella di spedizione.
ISEE 2025
L’ISEE in corso di validità permette di richiedere prestazioni sociali agevolate e riduzioni di costo di alcuni servizi di pubblica utilità
RIVOLGITI A 50&PIÙCAF PER RINNOVARLO!
LA CERTIFICAZIONE ISEE DÀ DIRITTO A:
tariffe agevolate per le prestazioni socio sanitarie
riduzione delle tasse scolastiche (es. nido, università, mensa)
incentivi statali
assegno unico familiare
ADI (Assegno di inclusione)
riduzione per servizi di pubblica utilità (bonus energia, idrico, gas);
agevolazione abbonamenti trasporti
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Gli Uffici 50&PiùCaf sono a tua disposizione per offrirti assistenza e consulenza nell’elaborazione dell’attestazione ISEE
Turismo
“INCONTRI 50&PIÙ” 2025
IN SARDEGNA AL MARINA BEACH DI OROSEI (NU)
3 - 11 giugno (8 notti/9 giorni) | 11 - 19 giugno (8 notti/9 giorni)
Una grande festa di inizio estate dove ritrovarsi e condividere il piacere di una vacanza all’insegna del bel mare, del relax, del divertimento e della scoperta di luoghi. Una scelta di qualità arricchita con attività culturali, corsi di cucina, tornei di burraco e gara di ballo, oltre all’assistenza dello staff 50&Più e 50&Più Turismo. Vi aspettiamo nella bella Sardegna.
CLUB HOTEL MARINA BEACH
Un perfetto villaggio-vacanze nel Golfo di Orosei, direttamente sul mare e sulle spiagge incontaminate della Sardegna. Si trova a circa 50 minuti dal porto/ aeroporto di Olbia, inserito in un Parco di 23 ettari con giardini meravigliosi e frutteti, proprio di fronte a una spiaggia di sabbia dorata lunga circa 7 km, una delle più belle della Sardegna. Le forme architettoniche, le piazzette interne, le grandi piscine e la posizione rispetto al mare fanno del complesso uno dei più belli ed eleganti realizzati in Sardegna. Servizio navetta dal Resort al vicino paese di Orosei servito anche da una pista pedonale illuminata.
Nuoro Olbia
QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE
Riduzioni bambini su richiesta
1° TURNO
Dal 3 all’11 giugno (8 notti/9 giorni)
2° TURNO
Dall’11 al 19 giugno (8 notti/9 giorni)
Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione. Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni
LA QUOTA COMPRENDE: Soggiorno di 8 notti/9 giorni (camere disponibili alle 15:00 del giorno di arrivo e liberate entro le ore 10:30 del giorno di partenza) • Trattamento di pensione completa a buffet dalla cena del giorno di arrivo al pranzo del giorno di partenza (per arrivi anticipati con il pranzo, i servizi terminano con la prima colazione del giorno di partenza) • Bevande ai pasti (acqua minerale e vino) • Tessera Club (dà diritto a tutte le attività sportive e ricreative del Marina Beach) • Servizi balneari riservati in spiaggia (un ombrellone e 2 lettini per camera) • Animazione diurna e serale con spettacoli, piano bar, giochi e tornei • Partecipazione ad attività culturali e ricreative organizzate da 50&Più • Partecipazione al Torneo di Burraco 50&Più • Assistenza medica H24 • Assicurazione bagaglio/sanitaria e annullamento viaggio UnipolSai SpA • Presenza di personale 50&Più e 50&Più Turismo.
LA QUOTA NON COMPRENDE: Tutti i trasporti da e per il Marina Beach (quote su richiesta) • Telo mare a noleggio (da affittare in loco) • Escursioni facoltative da acquistare e pagare in loco • Eventuali imposte di soggiorno comunali, da regolare in loco (attualmente € 1,20 per persona al giorno) • Extra in genere e tutto quanto non espressamente specificato.
IN NAVIGAZIONE LUNGO IL ROMANTICO RENO A bordo della nave MS SWISS PEARL | Dal 21 al 28 Marzo 2025
COLONIA, COBLENZA, MAINZ, SPIRA, STRASBURGO, MANNHEIM, RUDESHEIM, COLONIA
GERMANIA
Colonia
Coblenza
Mainz
Spira
Da più di 200 anni il termine romanticismo viene associato con il più tedesco dei fiumi: il Reno. Molti poeti, pittori e musicisti hanno reso il loro tributo a questa importante arteria del sistema fluviale europeo, che dalla sorgente nelle Alpi Svizzere fino alla foce nel Mare del Nord percorre 1.320 chilometri. La bellezza e la storia di questa vallata, con ben 40 castelli, sono state riconosciute nel 2002 dall’UNESCO come Patrimonio Mondiale dell’Umanità. La navigazione offre vedute su uno scenario di castelli superbi, graziose località, uniche nel loro genere.
Strasburgo
FRANCIA
A BORDO DELLA NAVE “MS SWISS PEARL”
Ristrutturata nel 2023, la nave presenta l’eleganza dei suoi interni con superfici vetrate che creano un ambiente luminoso e panorami incredibili dei paesaggi circostanti. A bordo gli ospiti hanno accesso a un ristorante, un salone con bar e spazio sufficiente per ballare e un salone più piccolo nella parte posteriore della nave, inoltre troverete un negozio di bordo, una sala fitness con le attrezzature più moderne. L’ascensore collega tutti i 3 ponti, eccetto il ponte esterno attrezzato con lettini.
VOLI DI LINEA O VOLI LOW COST
Al momento della prenotazione saranno verificate le migliori tariffe disponibili.
QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE
Ponte Diamante (Superiore) - suite plus
Ponte Diamante (Superiore) - suite
Ponte Diamante (Superiore)
Ponte Diamante (Superiore) - singola
Ponte Rubino (Centrale)
Ponte Smeraldo (Inferiore)
Ponte Smeraldo (Inferiore) - singola
Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione. Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni
La quota comprende: Crociera di 8 giorni/7 notti in cabina della categoria prescelta • Trattamento di pensione completa a bordo, dalla cena del 1° giorno alla prima colazione dell’8° giorno • Cocktail di benvenuto e cena di gala a bordo • Escursioni e visite guidate inserite nel programma (ingressi esclusi, ove previsti) • Tasse portuali • Assicurazione medico/bagaglio e annullamento viaggio UnipolSai SpA (fino a un massimale di € 2.500) • Assistenza di un medico a bordo per tutta la navigazione • Assistenza dello staff di 50&Più Turismo. La quota comprende: Voli dall’Italia in Germania A/R e trasferimenti da e per l’aeroporto • Assicurazione integrativa (oltre il massimale indicato) • Ingressi durante le visite, ove previsti (da pagare in loco) • Escursioni indicate come facoltative (da acquistare prima della partenza o in loco) • Eventuali adeguamenti costi carburante aereo/nave e tasse non previste • Tutte le bevande, mance, extra in genere e tutto quanto non sopra specificato.
ITINERARIO, VISITE ED ESCURSIONI SONO DA RICONFERMARE AL MOMENTO DELL’ISCRIZIONE ALLA CROCIERA
Vi condurremo in un viaggio tra tradizioni millenarie e innovazioni moderne, esplorando templi sacri, città imperiali, paesaggi naturali da sogno e vita quotidiana di metropoli in continua evoluzione. Un’opportunità unica per comprendere insieme le radici profonde della Cina e per vivere il fascino di un mondo antico che continua a stupire. L’itinerario percorre i luoghi che hanno plasmato storia, cultura e tradizioni di questo immenso paese, testimoniando la grandezza di una civiltà tra le più affascinanti del mondo.
1° GIORNO Partenza per Pechino.
2° GIORNO Arrivo a Pechino. Visita della città, con Piazza Tienanmen e Palazzo Imperiale, conosciuto anche come “la Città Proibita“; fu per quasi 500 anni la residenza degli imperatori, centro cerimoniale e politico del governo cinese. A seguire, il Palazzo d’Estate.
3° GIORNO Pechino. Escursione alla Grande Muraglia, una delle opere più grandiose mai realizzate dall’uomo. La sua costruzione è iniziata nel 215 a.C. Questo monumento storico è stato dichiarato patrimonio UNESCO e inserito fra le sette meraviglie del mondo moderno.
4° GIORNO Pechino - Xi’an. In mattinata visita del Tempio del Cielo, massima espressione dell’architettura Ming Partenza con il volo per Xi’an.
5° GIORNO Xi’an. Visita dell’Esercito di Terracotta, straordinaria testimonianza archeologica scoperta nel 1974 e composta da oltre 8000 statue a grandezza naturale che raffiguravano soldati, ufficiali, cavalli e carri da guerra.
6° GIORNO Xi’an - Guilin. Si completa la visita di Xi’an con la Moschea costruita durante la dinastia Tang (VIII Sec. d.C.) e tappa al Mausoleo Yangling, nominato il piccolo esercito di terracotta. Volo per Guilin.
7° GIORNO Guilin - Navigazione lungo il Fiume Li. Guilin è una bella città che deve la sua fama al paesaggio carsico, tanto decantato da pittori e poeti sin dall’antichità, tra i più incantevoli del Paese. Crociera lungo il fiume Li.
8° GIORNO Guilin - Hangzhou. Tappa alla Collina degli Elefanti somigliante ad un enorme elefante che si disseta nelle rive del fiume. Volo per Hangzhou.
9° GIORNO Hangzhou - Suzhou. Ritenuta una delle più belle città cinesi con la Pagoda delle Sei Armonie, l’antica farmacia cinese e il Museo del Tè. Trasferimento via terra a Suzhou, la “Venezia d’Oriente”, dove l’antica arte del giardinaggio raggiunge la massima espressione.
10° GIORNO Suzhou. Escursione alla Collina della Tigre con il giardino di bonsai. Successivamente tappa al Giardino del Pescatore. Trasferimento per Shanghai.
11° GIORNO Shanghai. Visita della Città Vecchia, con il Giardino del Mandarino Yu. Tappa al Bund, lo storico quartiere in stile coloniale. L’area ospita eleganti edifici in stile art-decò e neoclassico.
12° GIORNO Shanghai - Rientro in Italia. Tempo a disposizione per la visita di un museo e per passeggiare lungo la famosa Nanjing Road, con negozi, grandi magazzini, storici empori di the e artigianato, sete e libri antichi. Partenza.
13° GIORNO Arrivo in Italia.
SIAMO A DISPOSIZIONE PER INFORMAZIONI
E PER CONOSCERE LE QUOTE DI PARTECIPAZIONE CONTATTATECI A INFOTURISMO@50EPIU.IT
IL LENTO RISVEGLIO DELLA TERRA
«Forse ricordi quanto io ti dissi per l’anno ventinove: gli occhi fissi noi dobbiamo tener su la Natura e sui prodotti suoi!
Questa è la vera cura per vivere felici lunghi anni, lontani dai rumori e dagli affanni»
Almanacco Barbanera 1830
a cura di
GENNAIO
Nei primi giorni del mese, ancora immersi nella calda atmosfera delle feste, lasciamoci conquistare dalla consapevolezza che un intero anno si apre davanti a noi offrendoci l’opportunità per fare, cambiare, intraprendere nuove strade. Poi, inevitabilmente, la quotidianità tornerà a farci compagnia, ma con la certezza che ciò che non abbiamo realizzato oggi, potremo farlo domani. E così, tra speranze e ritmi scanditi dalla natura, si apre lo spazio alla progettualità e, anche il freddo dell’inverno insieme alla fatica quotidiana, sembrano pesare un po’ meno. Il gelo ci tiene ancora in casa, ma le giornate cominciano timidamente ad allungarsi e la terra a risvegliarsi. È il momento di pianificare i lavori nell’orto, nel giardino e sul balcone, dove solo qualche pianta aromatica resiste coraggiosamente al freddo. Tra semine, potature e trapianti c’è tanto da fare a gennaio, ma a darci una mano ci sarà, come sempre, la nostra alleata speciale: la Luna, che ci guiderà suggerendoci i tempi e le pratiche più giuste per un buon vivere.
LENTICCHIE: BENAUGURANTI E SALUTARI
Forse nessuno oserebbe oggi far mancare le lenticchie dalla tavola di Capodanno. Portatrici di buona fortuna, perché ricordano nella forma le monete, sono il simbolo per eccellenza della tradizione a tavola. Anche se poi forse in pochi sanno che la lenticchia o lente - come viene anche detta - ha una storia così lunga da risalire addirittura all’età del Bronzo! Sconosciuta allo stato spontaneo, la Lens esculenta o Lens culinaris, è il legume più antico coltivato dall’uomo, originario, a quanto sembra, dell’Asia centrale. Cibo amato e prezioso, lo si consumava già 8.000 anni fa insieme ad orzo e frumento. La più celebre in Italia è la lenticchia Igp (Indicazione Geografica Protetta) di Castelluccio di Norcia.
IN CUCINA. Sono buonissime in zuppe o lessate in insalata. In India le accompagnano al riso.
FANNO BENE PERCHÉ . Sono ricche di fibre, sali minerali, acido folico, potassio e vitamine, ferro e fosforo: per questo un tempo erano dette la “carne dei poveri”. Oggi se ne esalta il potere antiossidante protettivo delle cellule.
NEL CESTINO DEL MESE
ORTAGGI: aglio, carciofi, cardi, carote, catalogna, cavolfiori, cavolini di Bruxelles, cavoli broccolo, cavoli cappuccio, cavoli verza, cicorie, cicorini da taglio, cime di rapa, cipolle, finocchi, indivie, lattughe, porri, radicchi rossi, rape, sedani, spinaci, valerianella e soncino.
FRUTTA: arance tarocco, cedri, clementine, kiwi, limoni, mandarini, mele Golden, mele Deliziose e pompelmi.
AROMI: prezzemolo, rosmarino e salvia.
BUONO A SAPERSI!
Il nuovo anno arriva e porta con sé i buoni propositi. Come quello di svegliarsi in tempo per fare una sana colazione insieme. Condividere i progetti con i propri figli ci aiuterà a rispettarli. Scriviamoli, disegniamoli e appendiamo i disegni.
La fase di Luna calante è ideale per pulire gli oggetti preziosi. Le statuine di marmo si spolverano con pennelli puliti, ma se sono molto impolverate, assorbiamo lo sporco tamponando con stracci bianchi imbevuti in acqua senza cloro. Non usiamo l’acqua del rubinetto che le rovinerebbe. Igienizziamo i mattoncini delle costruzioni dei bambini lavandoli a bassa temperatura in lavatrice dopo averli messi in un sacchetto per i lavaggi, di quelli forati con zip. Per profumare l’automobile usiamo bustine di tè aromatizzato legate con un nastrino. Con la Luna Nuova, invece, potremmo dipingere a pennello con il caffè su fogli da acquerello o cartoncini porosi; sarà un modo per mettere alla prova la creatività e realizzare quadri dal bel sapore antico.
LE STAGIONI SUL BALCONE
ERBE DELLA SALUTE . È semplice disporre, anche in inverno, di erbe contro i mali di stagione. Basta poco: semi o piantine, terriccio universale e vasi con un buon drenaggio sul fondo, ottenuto utilizzando dei sassolini. Di grande utilità sarà il timo, antisettico delle vie respiratorie: si interrano le piantine o si semina in Luna crescente. Stessi tempi di coltivazione per la digestiva santoreggia e per la malva, disinfettante della bocca. E non dimentichiamo la salvia, dalle virtù salutari e immancabile anche in cucina. Piante dalle belle fioriture, attirano anche le operose api.
COLTIVARE CON LA LUNA
NELL’ORTO. In fase di Luna calante, nelle ore più calde della giornata - quando il terreno non è gelato -, è il momento di vangare il terreno asciutto con letame, compost e sabbia silicea se il terreno è argilloso. Seminiamo l’aglio. Seminiamo e trapiantiamo ortaggi da radice come rape, barbabietole e carote. Se poi abbiamo piante da frutto, concimiamo con letame, meglio se bovino. Copriamo la concimazione con paglia e terreno. Facciamo trattamenti a base di rame (poltiglia bordolese) contro i funghi. In Luna crescente, preleviamo da mandorli e albicocchi le marze, cioè i rametti giovani di un anno di 10-15 cm della pianta da riprodurre, da conservare al freddo e al buio. Si possono prendere anche talee di fico e di olivo da far radicare in serra.
IN GIARDINO. Con la Luna calante eliminiamo dai rampicanti, come passiflore, clematidi, rose e gelsomini, i rami secchi. Puliamo gli attrezzi, affiliamoli, disinfettiamoli e trattiamoli con olio protettivo. Mentre nelle ore centrali di belle giornate asciutte daremo aria alla limonaia, anche per togliere accumulo di umidità. Con la Luna crescente, mettiamo a dimora piantine di camelie, rododendri e azalee. Prepariamo il terreno per avere le fragole in mezzo ai fiori. Facciamo talee legnose (78 cm) di more senza spine, da mettere a radicare in vasi con terriccio molto inumidito.
DICE IL PROVERBIO
Anche la lode giusta va colta per metà
Contro il gelo, poco giova il tremare
L’acqua alla gola insegna a nuotare
IL SOLE:
L’1 sorge alle 07:28 e tramonta alle 16:39
Il 31 sorge alle 07:14 e tramonta alle 17:14
LA LUNA:
L’1 sorge alle 09:01 e tramonta alle 18:09
Il 31 sorge alle 08:31 e tramonta alle 19:39
Luna calante dal 14 al 28
Luna crescente dall’1 al 12 e dal 30 al 31
Luna Piena il 13. Luna Nuova il 29
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MARILYN MONROE DALL’ORFANOTROFIO A HOLLYWOOD LA (RI)NASCITA DELLA DIVA
Dialoghi ‘impossibili’ con i più grandi personaggi della storia, realizzati attraverso sistemi di intelligenza artificiale
Come preferisce essere chiamata, Norma Jeane (il suo vero nome, ndr) o Marilyn?
Marilyn, mio caro. Norma Jeane era una ragazzina spaventata, nascosta dietro i sogni. Marilyn è l’artista, la donna che ha conquistato Hollywood: ho scelto io questo nome, è come la mia maschera più vera. Un’identità che ho costruito con le mie mani, pezzo dopo pezzo.
Quando ha sentito per la prima volta che Marilyn stava prendendo il sopravvento su Norma?
Era il 1946 e avevo appena 20 anni. Dopo anni di orfanotrofio e matrimoni precoci, sognavo di diventare qualcun’altra. E Marilyn era la mia rinascita, la mia rivincita sulla vita. Ricordo la prima volta che posai quel nome sulle mie labbra, sentii che non ero più solo una ragazza qualunque: ero destinata a brillare. La sua è stata un’infanzia difficile. Se potesse descriverla con una immagine, quale sceglierebbe?
Un angolo buio di una stanza vuota. Una bambina seduta nell’ombra, con un vestitino troppo grande e gli occhi già stanchi. Nessuno che l’abbraccia, nessuno che le sorride. Sono io, semplicemen-
te Norma Jeane. Un’immagine di solitudine che porto ancora dentro di me. Poi è arrivato il successo. Come ha vissuto questo cambio radicale? (ride malinconica) Il successo, dice? È come ballare su un palcoscenico dove il pavimento è sempre instabile. Ero una ragazza che voleva essere notata, e poi all’improvviso tutti mi guardavano. Ma essere ammirata non significa essere amata. Una cosa che ho capito troppo tardi è che Hollywood ti costruisce, poi
ti spezza, senza troppe spiegazioni. Ero diventata un sogno per tutti, tranne che per me stessa.
Lei però è considerata un’icona di bellezza e sensualità.
Lo so bene, la bellezza è una maschera pesante da portare. Tutti vedevano il mio corpo, nessuno vedeva la mia anima. Essere considerata un simbolo sessuale significa essere ridotta a un oggetto, non a una persona. Ero intelligente, leggevo, studiavo, ma per tutti ero solo un corpo da ammirare. La vera sensualità non è nelle forme ma nella complessità di una donna.
C’è un ruolo che ha sognato di interpretare ma che non le è mai stato offerto?
Essere Sula in L’altra, il romanzo di Toni Morrison. Un personaggio complesso, una donna libera da convenzioni. Hollywood mi voleva solo come la bionda sexy, ma io sognavo ruoli che raccontassero la vera essenza femminile. Un sogno che è rimasto tale, infranto dalla gabbia dei miei stereotipi.
Il suo sorriso ha conquistato il mondo, ma cosa la faceva sorridere davvero?
La lettura era il mio rifugio segreto. Un libro aperto era l’unico posto dove mi sentivo davvero me stessa, libera da sguardi e aspettative. Arthur Miller (il terzo marito) mi capiva, condivideva questa passione. Sorridevo quando leggevo, quando la parola scritta mi portava altrove, lontana dal set e dai riflettori. La cosa più vera che qualcuno abbia mai detto su di lei?
Mia madre una volta mi disse: “Sei speciale, più di quanto tu possa immaginare”. Era l’unica persona che mi vedeva oltre l’apparenza. Quella frase così semplice mi ha salvato nei momenti più bui. Le altre parole scivolavano via, quelle no: sono rimaste dentro di me sempre, come una promessa.
Le sedi 50&Più provinciali
Abruzzo Telefono
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Chieti - via F. Salomone, 67 087164657
Pescara - via Aldo Moro, 1/3 0854313623
Teramo - corso De Michetti, 2 0861252057
Basilicata Telefono
Matera - via Don Luigi Sturzo, 16/2 0835385714
Potenza - via Centomani, 11 097122201
Calabria Telefono
Cosenza - viale degli Alimena, 5 098422041
Catanzaro - via Milano, 9 0961720352
Crotone - via Regina Margherita, 28 096221794
Reggio Calabria - via Tenente Panella, 20 0965891543
Vibo Valentia - via Spogliatore snc 096343485
Campania Telefono
Avellino - via Salvatore De Renzi, 28 082538549
Benevento - via delle Puglie, 28 0824313555
Caserta - via Roma, 90 0823326453
Napoli - via Cervantes, 55 int. 14 0812514037
Salerno - via Zammarelli, 12 089227600
Emilia Romagna Telefono
Bologna - via Tiarini, 22/m 0514150680
Forlì - piazzale della Vittoria, 23 054324118
Ferrara - via Girolamo Baruffaldi, 14/18 0532234211
Modena - via Begarelli, 31 0597364203
Piacenza - strada Bobbiese, 2 - c/o Unione Comm.ti 0523/461831-32-61
Parma - via Abbeveratoia, 61/A 0521944278
Ravenna - via di Roma, 104 0544515707
Reggio Emilia - viale Timavo, 43 0522708565-553
Rimini - viale Italia, 9/11 0541743202
Friuli Venezia Giulia Telefono
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Liguria
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Novara - via Giovanni Battista Paletta, 1 032130232
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Vercelli - via Duchessa Jolanda, 26 0161215344
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Lucca - via Fillungo, 121 - c/o Confcommercio 0583473170
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BAZAR
a cura del Centro Studi 50&Più
SALUTE
ITALIA, TROPPI
MEDICI ANZIANI
L’Ocse è tornata a puntare i riflettori sul nostro sistema sanitario: i medici italiani sono i più vecchi d’Europa. Il 54% ha più di 55 anni e il 27% più di 65. Il nostro paese è alla vigilia del più grande esodo di massa del personale medico, un’ondata di pensionamenti che raggiungerà il picco nel 2025 e si normalizzerà solo alla fine del decennio. C’è poi un altro problema: ci sono troppo pochi infermieri. Sono 6,5 per mille abitanti contro la media Ue di 8,4. Le domande di immatricolazione ai percorsi formativi infermieristici si sono quasi dimezzate dal 2012, nonostante un aumento del 25% del numero di posti disponibili.
SPORT E VITA SANA PER LA MENTE
Una ricerca condotta su oltre diecimila persone e recentemente pubblicata sul Journal of Alzheimer’s Disease ha dimostrato che chi cammina molto o pratica con regolarità sport ha un volume cerebrale maggiore in aree critiche per la memoria, come l’ippocampo, e un maggior numero di connessioni fra diverse aree del cervello. Uno stile di vita che aiuti il cervello a restare in forma significa però anche non fumare, non abusare di alcolici e seguire una dieta sana: quella mediterranea è la migliore grazie all’apporto di alimenti come frutta secca, olio d’oliva per i grassi buoni, antiossidanti da frutta e verdura, vitamina B12 da carne, pesce e latticini.
Informazioni, curiosità, notizie utili, luogo d’incontro e di scambio
Inviate segnalazioni e quesiti a: centrostudi@50epiu.it
SCIENZA
LA LONGEVITÀ
NELLE CELLULE STAMINALI
Cellule provenienti da persone di età superiore a cento anni stanno offrendo agli scienziati una nuova risorsa per studiare ed esplorare i fattori biologici alla base dell’estrema longevità. La chiave per raggiungere tale età potrebbe risiedere nel modo in cui le cellule staminali funzionano e si rigenerano nel tempo. A questo sono giunti alcuni scienziati di Boston, nel Massachusetts, riprogrammando le cellule staminali del sangue dei centenari. Esaminandone le proprietà uniche hanno scoperto preziose informazioni sul processo di invecchiamento e sul potenziale per prolungare la durata della vita umana.
LIBRO
NONNAMATTA
E LA CACCIA AI MOSTRI
di Nilsson Moni
Iperborea, Milano, 2024, pp.160 Tra spedizioni notturne, trappole per mostri e portali segreti nella foresta, una nonna eccentrica accompagna il nipotino in un’avventura scaccia paure. Da quando a scuola ha sentito parlare di mostri, Frasse ha gli incubi e non riesce a dormire. Per fortuna, giovedì andrà a prenderlo sua nonna, che tutti chiamano Nonnamatta. Lei non è come gli altri della sua età: non parla di acciacchi, non ha paura, è una fonte inesauribile di avventure spericolate e in più sa tutto di magia. Quando scopre della paura di Frasse, le viene subito un’idea per aiutare il nipote.
PODCAST
VIVI BENE. A LUNGO IN MOVIMENTO E IN SALUTE Vivi bene è un podcast di Chora Media promosso da Fondazione Paolo Sorbini per la scienza nell’alimentazione. Un viaggio tra alimentazione, scienza, medicina, esercizio fisico e stili di vita per rispondere alle seguenti domande: come si può vivere a lungo e bene? Cosa possiamo fare per invecchiare meglio? Esistono momenti nella vita in cui è necessario imparare a leggere i segnali che ci manda il nostro corpo e provare a cambiare i nostri comportamenti? Le voci di esperti italiani e internazionali aiutano a comprendere cos’è la longevità sana e a individuare delle azioni che possiamo mettere in pratica tutti i giorni.
FILM
UNA STORIA VERA di D. Lynch
con S. Spacek, H.D. Stanton Usa, Francia (1999), 111 minuti Laurens, Iowa. Alvin Straight è un settantatreenne che vive con la figlia Rose. Venuto a sapere che il fratello Lyle, con cui non parla da dieci anni, ha avuto un infarto, decide di partire e - prima che sia troppo tardi - di arrivare a Mount Zion, in Wisconsin, per incontrarlo. Non viaggerà però in corriera o in treno. Alvin vuole guidare da solo, seguire i suoi tempi e i suoi modi. C’è un problema però: non ha più la patente. Non gli resta quindi che guidare un tosaerba con rimorchio e assaporare con grande lentezza le meraviglie del Midwest americano prima di arrivare a destinazione.
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