Aprile_2025

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PRIMO PIANO

Tutti pazzi per Caravaggio

Boom di visite a Palazzo Barberini per ammirare le opere del genio sregolato. Il nostro viaggio nella storia dell’arte e dell’architettura, due sentieri che portano a Roma

ELEZIONI

Carlo Sangalli eletto presidente Confcommercio per acclamazione

«L’obiettivo è essere utili alle nostre imprese e quindi al paese»

DIPENDENZE

Roberta Balestra presidente FeDerSerd «Dobbiamo facilitare le richieste di aiuto degli adolescenti»

SPORT

Gioia Bartali e Faustino Coppi raccontano i miti del ciclismo

«In gara avversari corretti nella vita amici veri»

IL COMMERCIO DI PROSSIMITÀ COME PRESIDIO SOCIALE E STILE DI VITA

Aprile è il mese della Giornata Nazionale del Made in Italy, un’espressione che non allude solo ai prodotti e alla loro qualità, ma incorpora una componente culturale e uno stile di vita. Da tempo in Confcommercio, non a caso, abbiamo cominciato a parlare di “Sense of Italy”, per sottolineare che dietro l’etichetta vi è una catena del valore che comprende territorio, lifestyle, servizi e sicuramente anche la rete del commercio di prossimità. La rete capillare del com-

LA DESERTIFICAZIONE AVANZA, NON PUÒ ESSERCI UNA CITTÀ SENZA ANIMA E FUTURO. VALORIZZIAMO IL MADE IN ITALY

mercio diffuso in Italia - con le sue vetrine, i mercati locali, il commercio itinerante - rappresenta una tipicità e una caratteristica che distingue il nostro paese nell’esperienza di vita e di visita. Il rapporto umano che la prossimità abilita crea una relazione di fiducia e conoscenza, che si traduce dal punto di vista economico in un’esperienza di acquisto personalizzata e in un servizio più attento alle esigenze del cliente. Ma il commercio e i servizi di prossimità hanno anche una valenza sociale come presidi di sicurezza e decoro urbano, contribuendo alla vivibilità dei luoghi. Infine, queste attività sono un discrimine decisivo nell’attrattività dei territori, laddove influenzano le ragioni di chi sceglie di vivere in quei luoghi e gli aspetti di unicità e irriproducibilità dell’esperienza del visitatore. A fronte di queste considerazioni che si inseriscono a pieno tito-

di Carlo Sangalli Presidente Nazionale 50&Più

lo tra le ragioni del successo del Made in Italy proprio il tessuto commerciale italiano, i dati ci dicono però che la desertificazione commerciale nei nostri centri urbani avanza prepotentemente. Negli ultimi 10 anni, la densità commerciale, cioè il rapporto tra esercizi commerciali e popolazione, è diminuita di oltre 15 punti percentuali. E, considerato che un’altra crisi del paese è quella demografica, è evidente che tante, troppe attività economiche del terziario hanno chiuso e continuano a chiudere. Desertificazione peraltro non è solo un concetto quantitativo, ma anche qualitativo. Non è uguale, per esempio, se chiudono i locali storici o non riescono ad aprire i servizi di prossimità caratteristici, e i turisti in tante città si trovano davanti vie-fotocopia che non hanno personalità commerciale, storia territoriale e capacità di reinventarsi. La desertificazione è quindi un concetto anche qualitativo e può esserci una città con tanti esercizi commerciali, tanti pubblici esercizi e tanti servizi, che eppure appare - ed è - deserta, arida, senza passato, senza anima e senza futuro. Per questo, è importante puntare sulla rivitalizzazione dei servizi di prossimità e sul modello italiano di pluralismo distributivo che significa non solo rispettare la storia delle nostre città ma anche dare nuova vita all’esistente, come bene comune. La valorizzazione del Made in Italy non si mette in atto solo difendendo e comprando prodotti italiani, ma scegliendo anche con cura e attenzione “dove” acquistare questi prodotti. Il “senso dell’Italia” è in fondo questo: un vero e proprio sesto senso per il futuro del paese.

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Anno XLVII - n. 4 - aprile 2025

Il commercio di prossimità come presidio sociale e stile di vita

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Carlo Sangalli 3

La bellezza come cura e resistenza Anna Grazia Concilio 6

In questo numero

Sara, caregiver per amore di Simone Chiara Ludovisi 20 ICare.IT, il progetto per aiutare chi aiuta Alessandra Espis 22

Confcommercio: eletto Carlo Sangalli Anna Grazia Concilio 30

Tre giovani e un sogno: fare impresa Claudia Benassai 34

Adolescenti e dipendenze, l’allarme Ser.D Francesca Cutolo 36

Pensioni 2025: cosa dice la circolare INPS Maria Silvia Barbieri 84

Modello 730, le novità di quest’anno Alessandra De Feo 86

Incontri 50&Più, Crociera Mediterraneo Concorso 50&Più, Tour Grecia classica a cura di 50&Più Turismo 88

Il tiepido abbraccio della primavera a cura di Barbanera 92

24

Speciale Giornata della Terra Agenda 2030: a che punto siamo? Le sfide ancora da vincere per salvare il Pianeta di Gloria De Rugeriis

Rubriche

41

Caravaggio, genio sregolato Un viaggio dal ’500 ai giorni nostri racconta il pittore maledetto tra arte architettura e cinema di A.Costalunga, S.Colombo A.G.Concilio, G.Bianconi, V.M.Urru

Terzo tempo Lidia Ravera 10

Anni possibili Marco Trabucchi 12

Effetto terra Francesca Santolini 14

Ivano De Matteo

«Vi racconto il mio cinema sociale»

Cultura

Wanda Marasco svela il suo Di spalle a questo mondo 66

Beppe Carletti, il leader dei Nomadi si racconta 68

Angelina Jolie: «Ho convinto Baricco con gli spaghetti» 70

La pittura sospesa di Felice Casorati in mostra a Milano 72

Il Grande Gatsby, i 100 anni del capolavoro di Fitzgerald 74

Goldrake, il robot venuto dallo spazio compie mezzo secolo 76

L’angolo della veterinaria

I cani capiscono ciò che diciamo?

Recenti studi dimostrano che sono in grado di comprendere parole e intere frasi

82 a cura di Irene Cassi 16

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04 aprile 2025

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LA MODA INCLUSIVA DI ‘ABITO’

Un spazio nato in nome dell’inclusione sociale e della sostenibilità ambientale. A Torino è possibile scegliere indumenti usati, ma in ottimo stato, e in modo del tutto gratuito

IL GIGANTE TEDESCO IN DIFFICOLTÀ 38

La consistente affluenza elettorale registrata lo scorso febbraio non è stata sufficiente a garantire la formazione di un governo solido. E il paese è ancora in cerca di stabilità

I LIBRI COME RISORSA E TERAPIA

La biblioterapia si rivela preziosa in percorsi di cura e crescita. Rosa Mininno: «Partire dalla propria autobiografia aiuta a capire i punti che la persona mette in evidenza di sé stessa»

Finito di stampare:
di Giulia Bianconi
C.Caridi

LA BELLEZZA COME CURA E RESISTENZA

Frenesia e superficialità. Due parole apparentemente lontane tra loro ma più vicine di quanto si possa immaginare. Se per un attimo ci fermassimo, catturando un istante, cosa vedremmo? La nostra quotidianità oscillare tra frenesia e superficialità, appunto. Non sono atteggiamenti volontari, più riflessi incondizionati del ritmo che - con sempre maggiore insistenza - prende la nostra vita. Il lavoro, la famiglia, i diritti, i doveri ci portano spesso in un contesto in cui la libertà di scegliere e di essere si riduce al minimo. E al minimo si riducono anche le occasioni - o se vogliamo le opportunità - di lasciare cadere il nostro sguardo sulla bellezza. Il ‘bello’ diventa un concetto sempre più astratto, quasi un lusso. Quanto è bello fermarsi ad ammirare un quadro? Sedersi su una comoda poltrona di velluto rosso e aspettare che il sipario si apra su un

balletto di danza classica? Accomodarsi per assistere a un concerto? Non è assurdo: la bellezza sta anche in queste cose. Intanto, nella possibilità di decidere di sganciarsi dalla routine e concedersi del tempo per sé stessi, e poi nella meraviglia di guardare oltre, oltre le nostre capacità. La bellezza è anche nella realtà che ci circonda e Caravaggio, il genio sregolato a cui dedichiamo ad aprile alcune delle pagine della rivista, lo insegna a tutti. Uscire dai canoni prestabiliti per raccontare la realtà, dunque, anche attraverso le brutture che poi - passate dal pennello di un artista come lui - diventano bellezza. E allora è dalla realtà che dobbiamo partire: è dai bambini che ancora giocano a pallone nel grigio dei palazzoni di periferia che traspare bellezza. Èancora - dall’aiuto che diamo a chi ne ha bisogno che si evince il bello; è nei sorrisi di chi non ha motivo di

ridere che si incontrano lo stupore e la meraviglia. Se tutti noi facessimo uno sforzo in più per andare oltre, potremmo provare a rendere la bellezza una cura. Certo, prima di queste righe, altri – molto più esperti e saggi – si sono riferiti alla bellezza come a una cura ma non è mai tempo di smettere. In un mondo spesso dominato dalla frenesia e dalla superficialità, riscoprire la bellezza significa rallentare il passo, affinare i sensi e aprire il cuore alla contemplazione. La bellezza ci ricorda la nostra umanità, la nostra capacità di emozionarci, di stupirci, di amare. L’educazione al bello non è un lusso, ma una necessità. In un’epoca in cui la bruttezza e la violenza sembrano dilagare, la bellezza può essere un antidoto potente, un’arma di resistenza. ‘La bellezza salverà il mondo’ disse il principe Lev Nikolaevič Myškin nel romanzo L‘idiota di Dostoevskij.

Punti di vista

TIM FU designer architettonico instagram.com/ti.fu/ www.timfu.com/

Tim Fu è un giovane architetto, lavora nella sede londinese di Zaha Hadid Architects, è specializzato in progettazione algoritmica e ricerca sull’intelligenza artificiale

‘Future Noveau’ creare case con IA

Progetti di case generati dall’intelligenza artificiale È questo l’ultimo studio di Tim Fu, rinomato progettista architettonico specializzato in informatica avanzata e intelligenza artificiale. Con ‘Future Noveau’ diventa pioniere nella sovrapposizione tra tecnologia e design Le sue esplorazioni sull’IA sono state presentate sui media di tutto il mondo ed esposte alla Biennale di Venezia

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Terzo tempo

SCIOPERIAMO CONTRO LA GUERRA

“Ci rivolgiamo a chi ha milioni di contatti con il mondo, a un movimento, una rete, un hacker che abbia a cuore la nostra sopravvivenza e la disfatta di chi la sta mettendo in pericolo. Chi è nato durante la Seconda guerra mondiale è cresciuto pensando: “mai più”. Mai più una guerra. 50 milioni di morti sembravano aver fatto rinsavire il mondo. Da allora guerre e genocidi non sono mai finiti. Gli ultimi li abbiamo sotto gli occhi: l’avanzata inarrestabile della Nato; l’invasione russa dell’Ucraina; l’atroce attacco di Hamas e la risposta inumana di Israele; il martirio infinito delle genti di Gaza. Stragi, stragi, stragi. Quando vedo la gente mitragliata mentre va a prendere la farina, penso che loro siamo noi. Non in senso evangelico, ma storico. Nessuno ci vuole salvi. Tutti ci vogliono armati. C’è una fame di guerra che somiglia ai prodromi della Prima guerra mondiale e annuncia la terza, e veramente ultima. Ho paura. Abbiamo tutti paura. Ma ci illudiamo che armandoci ci difenderemo. No, armandoci ci consegneremo alla guerra, al nemico, alla morte. Abbiamo un sogno. Che qualcuno che abbia i mezzi di comunicazione adeguati a svegliare la terra, dichiari uno scio-

pero mondiale contro la guerra. Per un giorno incrociamo le braccia. Per un giorno non si produce e non si consuma. Se anche il 20 per cento aderisse, anche solo per qualche ora, produciamo un danno economico come dieci guerre. Così il mondo si accorgerà che esistiamo: noi che vogliamo la pace, perché la pace è la vita”. Quando ho ricevuto l’appello di cui vi ho copiato le prime venti righe (è molto più lungo e circostanziato), ho provato un momentaneo sollievo dall’ansia che mi divora da tre anni a questa parte.

Mi sono detta: “Allora non sono sola, io che rifiuto la guerra”.

Me l’ha mandato una donna che conosco bene, Ginevra Bompiani, una scrittrice importante, una studiosa serissima e sempre impegnata a ragionare sul mondo; ma, soprattutto, una donna che ha più di ottant’anni, l’età del silenzio, una donna che lotta per parlare e per essere ascoltata quando la vorrebbero muta e rassegnata.

Perché è così che ci vorrebbero, ancora e forse per sempre: zitte.

Noi donne. Noi donne vecchie. Noi pacifiste e pacifisti.

L’ invito ad uno sciopero mondiale contro la guerra mi è subito sembrato affascinante quanto irreale. Un sogno.

Chi è nato durante la Seconda guerra mondiale è cresciuto pensando: “mai più” Mai più una guerra 50 milioni di morti sembravano aver fatto rinsavire il mondo

Ma bisogna continuare a sognare, vero? Il territorio del sogno è più impraticabile dell’impervio territorio della speranza. È più impalpabile, ha contorni sfumati, ma pulisce l’anima. Il pacifismo, mi dicono, è “roba da sognatori”.

Forse, però io vi devo confessare che la mia unica certezza etica e politica è contenuta in una frase del Vangelo: “Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te” ( Matteo 7, 12). C’è tutto, in quelle parole. È la bocciatura della violenza in tutte le sue forme. In questi anni di guerre visibili, portate nelle nostre case dai telegiornali, ho sofferto e soffro ogni giorno di più. Mi fa soffrire il dolore degli altri. I disagi fisici di una vita quotidiana che si svolge al freddo, senza più un tetto a proteggerti; mi fa soffrire che soffrano la fame (noi italiani nati nel dopoguerra neppure la conosciamo e non la abbiamo mai provata). Mi fa soffrire sapere che bambini piccoli muoiono di freddo, mi getta in una disperazione emotivamente intollerabile. Ci sono madri e nonne che vedono creature appena venute al mondo piangere e poi spegnersi, come congegni arrivati a esaurimento, all’improvviso non piangono più, e nella minuscola bolla di silenzio che segue i vagiti interrotti si celebra la sconfitta più atroce: la guerra che impedisce ai nuovi nati di vivere, di conoscere il bello e il brutto della vita. Di crescere. Certe sere vorrei semplicemente non guardare, ma mi è tornata alla mente un’antica conversazione, tra me ragaz-

zina e mia madre. Avevo appena finito di leggere Se questo è un uomo, avevo, più o meno, dodici anni. Ero rimasta colpita profondamente dal romanzo, avevo scoperto i campi di concentramento, la persecuzione di un popolo, la follia nazista che fece sei milioni di morti; cercai mia madre, la trovai in cucina, stava preparando la cena. Le chiesi: «Ma tu, nel 1938, quando Mussolini firmò la legge per la difesa della razza, quando incominciarono a deportare e uccidere persone innocenti, anche da qui, anche dall’Italia, tu c’eri, tu eri già abbastanza grande, tu che cosa hai fatto?». Lei mi rispose evasiva: «Io non sapevo niente, non c’era mica la televisione in quegli anni». Ecco, adesso la televisione c’è . Nessuno può dire non c’ero o non sapevo. Siamo bersagliati da una quantità tossica di immagini. Conosciamo il pallore malato degli ostaggi israeliani restituiti e l’angoscia delle madri di quelli che non sono ancora stati restituiti. Conosciamo le città distrutte nella striscia di Gaza. Abbiamo visto quel che resta di case e strade, degli ospedali, abbiamo visto i sacchi in cui continuamente vengono sepolti alla svelta i cadaveri. Abbiamo visto. Abbiamo ascoltato i potenti blaterare minacce, puntarsi addosso ciascuno la sua atomica, come se potessimo permetterci di usarle, quando si sa che sarebbe la scomparsa dell’umanità. Siamo tutti perfettamente informati di quello che sta succedendo nel mondo. E che cosa abbiamo fatto? Che cosa vogliamo fare?

PARLIAMONE

Per scrivere a Lidia Ravera

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COMPRENDERE E AMARE UNA LEZIONE DI VITA

Un recente libro di Franco Ferrarotti, Elogio della vecchiaia, pubblicato da Armando Editore, inizia così: “La vecchiaia mi ha tratto in salvo, mi ha insegnato a muovermi stando fermo; non solo a vedere, ma vedere e allo stesso tempo guardare, osservare, scrutare, interpretare, comprendere, contemplare. Non per afferrare, secondo i dettami di una cultura pre-

datoria, ma per comprendere e amare”. Le due parole chiave per realizzare un ‘mondo possibile’ sono appunto comprendere e amare.

La prima esprime un atteggiamento possibile a tutte le età. Però comprendere il mondo è un atto realistico solo per chi cerca di allenare questa scelta, attraverso l’immersione continua e senza pace nel mondo che cambia. “Senza pace” non è un’affermazione

retorica, ma lo spirito che deve caratterizzare il desiderio di capire anche ciò che apparentemente è oscuro. Chi è dominato dalla televisione o dai social entra in un torpore che fa da barriera all’ingresso nel suo cervello di qualsiasi altra informazione, fresca, provocante, attraente, che da gioie e dolori. Essere senza pace non comporta angoscia, ma esprime un modo di vivere opposto della pigrizia mentale, atteggiamento autoriproducente, caratterizzato da meccanismi difficili da contrastare, se non attraverso scelte coraggiose e faticose. È possibile, anche per periodi limitati, utilizzare i cellulari solo per comunicare con altri, viventi, e non con uno schermo? La pigrizia cancella la curiosità, la spinta a guardare anche dentro gli angoli bui della vita delle persone e delle comunità. La curiosità, all’opposto, è una grande virtù, anche se non è attitudine facile; è necessario avere una storia di attenzioni che ha allenato a vedere anche ciò che è apparentemente invisibile. La curiosità dei bambini può infatti essere vissuta a tutte le età. Se si impara a “guardare, osservare, scrutare, interpretare,

comprendere, contemplare”, si capisce il mondo, non più vissuto come una realtà che spesso induce paura e dalla quale non si può nulla sperare. In questa prospettiva le comunità devono dedicare particolare attenzione e cura a chi non ha la capacità personale di guardare e comprendere per mancanza di istruzione, perché limitato dalle difficili condizioni dell’esistenza (povertà, solitudine, dolore dello spirito e del corpo, tensioni famigliari e sociali). Le comunità solidali dovrebbero essere strutture viventi, in grado di controllare che tutti, invecchiando, possano continuare a comprendere, perché solo così la comunità stessa diventa luogo di

Gli anziani di oggi potrebbero davvero essere esempio anche per le generazioni più giovani, perché meno limitati dagli obblighi, spesso fasulli che vengono imposti dai riti sociali

relazioni e, quindi, luogo che protegge dalle varie forme di invecchiamento accelerato. Chi non comprende si isola e così (lo ha dimostrato la scienza medica in molti studi recenti) peggiora anche la propria condizione di salute. Chi, invece, ha compreso che la vita vissuta nella prospettiva del noi dura di più, anche con minori pesi provocati dalle malattie, è persona fortunata nel mondo delle ansie e del pessimismo. È un esempio e gli anziani di oggi potrebbero davvero esserlo anche per le generazioni più giovani, perché meno limitati dalle convenzioni e dagli obblighi, spesso fasulli, che vengono imposti dai riti sociali. La seconda parola chiave per costruire ‘un mondo possibile’ riguarda un aspetto delicatissimo. È necessario amare per continuare a vivere a tutte le età? Il famoso Christopher Lambert ha dichiarato: «Nessuna macchina può replicare il cuore dell’uomo. Per questo mi sento tranquillo; un circuito elettronico non potrà mai dire “Ti amo” con la stessa intensità di un uomo». Le parole del grande attore sono rassicuranti e rendono concreto l’impegno ad amare come difesa della nostra specie,

della nostra povera, fragile umanità. Però amare non sempre è un atteggiamento naturale, ma una conquista da raggiungere con fatica. Per questo ‘amore’ è una parola preclusa ai circuiti elettronici, incapaci di ricostruire la complessità e la difficoltà di amare e la possibilità che l’atto di amore compaia improvvisamente, senza continuità con il passato di una certa persona. La macchina non comprende la forza dell’amore, di una scelta che viene da dentro ed è possibile ad ogni età. Amare anche in età non più giovani non è un evento impossibile, purché di una vita lunga non si ricordino solo i momenti meno sereni, le tensioni in famiglia, al lavoro, nella giornata. È possibile amare, come indicano gli esempi che numerosi circondano le esistenze di ciascuno; pensiamo alle nostre moltissime concittadine che dedicano il loro tempo (la vita intera!) alla cura dei propri cari ammalati. Sono gli esempi dell’amore ai quali dobbiamo guardare con intensità, per capire che davvero l’amore può spostare le montagne sempre, anche da vecchi e per i vecchi. Senza la loro capacità di cura, di vicinanza, di amore molti morirebbero nell’abbandono; invece, chi si dedica alla cura può spostare le montagne, cioè accompagnare chi è solo, curare chi è infermo, amare anche chi non mostra gratitudine. Quindi davvero ha ragione Ferrarotti: comprendere e amare rendono ‘possibile’ la vita ad ogni età!

Per scrivere a Marco Trabucchi

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PARLIAMONE

LA BEAUTY MANIA

NON È AMICA DELL’AMBIENTE

Un tempo la skincare era sinonimo di cura della pelle, oggi sembra diventata una corsa sfrenata all’accumulo seriale. Routine di bellezza infinite, prodotti sponsorizzati da celebrità, il dilagare della beauty mania su TikTok. Ma quando la cura della pelle è diventata una forma estrema di consumismo? Negli ultimi anni, il concetto di skincare ha subìto una vera e propria mutazione genetica. Da semplice gesto di benessere è diventato un rituale quasi mistico, alimentato da un’industria che sforna prodotti a ripetizione e dai social media che trasformano ogni trend in una necessità assoluta. Quello che un tempo era un approccio essenziale - detergere, idratare, proteggere - si è trasformato in una maratona di acidi, sieri, maschere e gadget high-tech, spesso senza alcun reale beneficio.

E chi guida questa rivoluzione consumistica? Gli influencer e le piattaforme social, che hanno reso virali mode come il contouring (makeup che modella i lineamenti attraverso un gioco di luci e ombre, ndr) o la glass skin (trattamento per una pelle pura e luminosa, ndr), spingendo milioni di persone a riempire i propri scaf-

fali di prodotti superflui. Il fenomeno è evidente: l’hashtag #TikTokMadeMeBuyIt (me l’ha fatto comprare TikTok) ha accumulato milioni di visualizzazioni, creando una domanda per cosmetici che spesso sono variazioni sullo stesso tema e, nella migliore delle ipotesi, composti perlopiù da acqua. Il meccanismo è chiaro: per mantenere viva l’attenzione dei follower, servono sempre nuove formule, nuovi packaging, nuove tendenze. Del resto, la stessa piattaforma TikTok ha ammesso che il 67% degli utenti si sente spinto a comprare qualcosa, anche quando non ne aveva intenzione. Il business della bellezza, o forse sarebbe più corretto dire dell’illusione della bellezza, ha colto al volo questa opportunità, registrando una crescita annua del 4,6% a partire dal 2000. Ma a quale prezzo? Oltre a svuotare i portafogli, questo consumismo esasperato ha un impatto devastante sull’ambiente: ogni anno vengono prodotte circa 120 miliardi di confezioni in plastica per i cosmetici, e tra il 20 e il 40% dei prodotti rimane inutilizzato. E poi ci sono gli irriducibili della skincare, quelli che non si accontentano di avere decine di creme e sieri, ma acquistano anche mini-frigoriferi per

conservare i prodotti alla temperatura ideale, organizer, bauli e scaffali interamente dedicati alla loro collezione. Sì, perché ormai non basta più comprare, bisogna trovare anche lo spazio per esporre con stile la propria ossessione. E così, attorno alla beauty routine, è nato un mercato parallelo di accessori e gadget, un circolo vizioso dove ogni nuovo acquisto sembra giustificare il successivo. Ma la skincare non è l’unico settore in espansione. Secondo un rapporto di McKinsey, l’industria della bellezza sta rapidamente conquistando nuovi territori: trattamenti per capelli, maschere per il cuoio capelluto, prodotti per migliorare la qualità del sonno co-

Il business della bellezza ha un impatto devastante sull’ecosistema: ogni anno vengono prodotte circa 120 miliardi di confezioni in plastica per i cosmetici

me spray per cuscini e maschere per gli occhi. Ogni aspetto della cura personale viene trasformato in un’occasione per vendere qualcosa di nuovo, qualcosa di ‘fondamentale’ che fino a ieri nessuno sapeva di volere. Il problema? Accumuliamo più prodotti di quanti riusciremo mai a usare

prima della scadenza. La produzione aumenta, i rifiuti si moltiplicano. Si stima che il 6,2% della produzione annuale venga scartato prima ancora di arrivare sugli scaffali, mentre quello che viene effettivamente acquistato spesso non viene completamente utilizzato. E il packaging? Ovviamente in plastica, è destinato a restare nelle discariche per secoli. Per inciso, il trucco è un’arte e la dermatologia una scienza, ma la realtà è che l’industria della bellezza oggi ha molto più a che fare con il consumismo che con la cura della pelle. È una macchina perfetta, costruita per vendere desideri impacchettati in flaconi scintillanti.

Il problema non è solo economico (o psicologico), ma anche ambientale. Dietro a video patinati e illusorie promesse di perfezione, si nasconde un’enorme quantità di spreco e inquinamento, una realtà molto meno glamour che nessuna crema può davvero cancellare.

Per scrivere a Francesca Santolini

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PARLIAMONE

Personaggi

IVANO DE MATTEO «VI RACCONTO IL MIO CINEMA SOCIALE»

Il regista romano torna a indagare il delicato rapporto tra genitori e figli, parla di carcere e giustizia riparativa. Il suo ultimo film, è nelle sale dal 24 aprile, con Stefano Accorsi

Nel suo cinema, da oltre vent’anni, Ivano De Matteo pone attenzione alla real tà. «Attraverso una visione quasi documentaristica, mi interessa affrontare tematiche sociali che riguar dano la contemporaneità, fotografare i conflitti umani, le dinamiche familiari, il legame tra adulti e nuove generazio ni, la complessità dei giovani di oggi», racconta a 50&Più. Nel suo ultimo film, Una figlia, presentato in anteprima al Bif&st (Bari International Film&Tv Fe stival) - prodotto da Rodeo Drive e Rai Cinema, e nelle sale dal 24 aprile con 01 Distribution - dopo I nostri ragazzi e Mia, il regista romano, 59 anni, è tor nato a indagare sul delicato rapporto genitori-figli, parlando anche di per corso carcerario e giustizia riparativa. Il dramma, che De Matteo ha scritto insieme alla co-sceneggiatrice Valen tina Ferlan (sua compagna di vita), è la storia di Pietro, ossia Stefano Ac corsi, un padre di mezza età che, con amore e dedizione, sta crescendo da solo - da quando sua moglie è morta - la figlia adolescente Sofia, con il vol to di Ginevra Francesconi. Da qualche tempo l’uomo si è rifatto una vita con una nuova compagna, Chiara (Thony), ma la ragazza non sopporta la sua pre senza. Una sera, colta da un impeto di

rabbia, Sofia commetterà un crimine e Pietro si ritroverà a lottare tra dolore e istinto paterno per trovare il modo di perdonare la figlia per ciò che ha fatto.

De Matteo, Una figlia trae ispirazione liberamente dal romanzo

Qualunque cosa accada di Ciro Noja.

Siamo partiti da questo libro per raccontare una storia che parla anche del duro percorso carcerario di una ragazza e di giustizia riparativa. Sofia commette un reato e, oltre a pagare per ciò che ha fatto, deve ricostruire la sua vita. Questo era un tema che volevamo affrontare già dai tempi de I nostri ragazzi, dove ci sono due giovani che commettono un reato. Qui siamo andati oltre, raccontando cosa c’è dopo. Per noi questo è anche un film di sentimenti, che parla di amore e rinascita.

Ciò che accade a Pietro e Sofia potrebbe succedere in qualsiasi famiglia.

Un genitore è portato a pensare che fatti come questi non gli possano mai

di Giulia Bianconi

do, perché il carcere è comunque un’esperienza traumatizzante. Per il ruolo del padre, invece, ho pensato subito a Stefano. Avevo bisogno di un uomo dall’aspetto buono, che avesse anche dei figli nella vita e capisse il significato di essere un genitore.

Nei suoi film c’è sempre un’aderenza alla realtà.

Mi interessa parlare di ciò che vedo intorno a me, attraverso un cinema quasi documentaristico. Per Una figlia io e Valentina ci siamo rivolti a psicologi, psicoterapeuti, giudici, avvocati e organizzazioni come “Il fiore del deserto”. Anche il percorso carcerario doveva essere vero. Abbiamo girato in alcuni luoghi del carcere minorile di Roma, mentre abbiamo ricostruito le celle delle detenute. Nel film parliamo anche della Map, ossia la ‘messa alla prova’ che consiste nella sospensione del procedimento penale, e della possibilità di

un giovane di reinserirsi nella società. Cosa si aspetta dall’uscita del film?

Mi auguro che possa aprire a un dialogo con il pubblico, soprattutto con le nuove generazioni, come è accaduto anche con Mia. Quel film è stato visto da più di 15mila ragazzi e ancora oggi organizziamo proiezioni con i giovani, anche nelle scuole.

Il cinema, dunque, ha ancora la forza di far riflettere su temi che riguardano il mondo in cui viviamo?

I film possono essere uno strumento di intrattenimento, ma anche di riflessione. Io sono felice di aver ancora oggi la possibilità di fare un certo tipo di cinema. Dopo Una figlia, però, per liberarci dal peso di certi temi, stiamo lavorando a un prossimo film che sarà una commedia amara all’italiana, una critica di costume con toni più leggeri.

“Ma che razza di vita è questa?”. Sai quante volte mi sono sentita fare questa domanda? E io rispondo: «È una vita bella. Così bella che non la cambierei con nessun’altra. Anche se riuscire a farmi una doccia è un’impresa, anche se ho i capelli di tre colori diversi perché nemmeno ricordo quando sono andata dal parrucchiere l’ultima volta, anche se la morte è sempre qui pronta a bussare, perché Simone può andarsene da un momento all’altro e devo occuparmi di lui tutto il giorno e tutta la notte. Anzi, diciamo la verità, per noi il giorno e la notte quasi non esistono. Se gli altri di notte riposano, quello è il momento in cui noi siamo più attivi, perché per Simone la notte è noia, solitudine e spesso dolore: senza nessuno intorno, senza distrazione, senza nessuno che lo muova e lo massaggi, Simone soffre e si lamenta. E io mi occupo di lui, senza quasi dormire. Sono fortunata se riesco a concedermi tre ore di sonno profondo ogni giorno. Nonostante questo e con tutto questo, la mia vita con Simone è bella». Sara Bonanno ha 60 anni e vive finalmente in una casa al piano terra con un piccolo giardino, in un palazzo dell’Ater (Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale pubblica), nella periferia romana. Simone ha 29 anni e un viso da divo di Hollywood: niente, nel suo aspetto, lascia indovinare la grande sofferenza che la sua grave disabilità gli impone, da quando è nato e ogni giorno di più, impedendogli quasi di muoversi e perfino di respirare da solo. Simone non vede, ma dal suo sguardo profondo non si direbbe. Una tetraparesi spastica dovuta a un’infezione contratta in ospedale alla nascita lo ha portato sulla sedia a rotelle prima, sul letto ora.

Sara è rimasta vedova troppo presto, quando lui aveva appena tre anni: «Forse mio marito si è ammalato

MAMMA SARA: «LA MIA VITA CON SIMONE È BELLA NONOSTANTE TUTTO»

La donna, caregiver di suo figlio con una disabilità grave, racconta il rapporto di simbiosi che li lega da oltre trent’anni

di Chiara Ludovisi

per non essere riuscito a incanalare il dolore, gli uomini sono diversi da noi donne: tengono tutto dentro e il dolore finisce per diventare un buco nero che ti divora», dice con la voce tremante. Le trema spesso la voce, ora per la tristezza, ora per la rabbia, perché di battaglie Sara ne ha dovute combattere tante, per difendere il diritto di Simone a una vita dignitosa, un diritto che passa per un’assistenza continuativa, per una casa accogliente e senza barriere, per farmaci e ausili che rendano la vita un po’ più semplice. Da caregiver familiare che dedica tutto il suo tempo e l’intera vita alla cura di suo figlio, Sa-

ra conosce la fatica dell’assistenza ma soprattutto il dolore che viene dalla mancanza di comprensione e di empatia verso chi ha un corpo che non sa fare nulla, ma un’anima che sa sentire, soffrire, desiderare e commuoversi. «Si tende a identificare una persona con ciò che fa, ciò che dice o ciò che riesce a costruire nelle relazioni e nella vita - dice Sara, parlando di quella che non esita a definire la sua ‘simbiosi’ con Simone -. Un corpo fragile, segnato dalla malattia o dall’immobilità, può sembrare lontano dall’idea di una ‘persona’, ma non lo è affatto. È come accade con una calamita: se la avvicini

«Lui ha il diritto alla libertà, perché la libertà non è solo un’esperienza fisica ma è sentirsi riconosciuti e rispettati nella propria essenza»

a qualcosa privo di energia, non succede nulla. Ma se incontra un’energia opposta, viene attratta con forza fino a unirsi in un unico corpo. E così si percepisce la presenza di un’energia potente, vitale, autenticamente umana. Chi ha vissuto accanto a una persona in questa condizione conosce bene questa sensazione: un’adesione così intensa da permettere di comprendere il suo stato d’animo, la sua gioia o la sua sofferenza, anche se all’apparenza sembra solo un involucro silenzioso.

Non si tratta semplicemente di affezionarsi, di prendersi cura o di rispondere a un bisogno di sentirsi utili. È qualcosa di più profondo: è un’energia che attrae e trasforma».

Ed è l’energia che Sara trova ogni giorno, per vivere e spesso lottare al fianco di Simone perché «lui ha gli stessi diritti di chiunque altro: il diritto di essere curato, di vivere in un ambiente che rispecchi i suoi desideri; il diritto di poter scegliere, anche se la sua voce si esprime solo attraver-

so chi entra in sintonia con lui. Ha il diritto a essere protetto, soprattutto perché non può difendersi da solo. E ha diritto alla libertà. Perché la libertà non è solo un’esperienza fisica, ma è sentirsi riconosciuti e rispettati nella propria essenza».

Sara, che era un’assistente sociale, ha studiato il mondo della disabilità, ma lo ha conosciuto davvero solo immergendosi completamente in esso. Ha dovuto lasciare il lavoro che amava, ma ha imparato a prendersi cura di suo figlio e per lui è diventata medico, infermiere, avvocato, psicologo.

«La nostra vita è un brivido, ha il sapore dell’avventura, se vogliamo leggerla in questa chiave - dice Sara scherzando, ma anche molto seriamente -. Spesso mi capita di dover rianimare Simone per una delle sempre più frequenti crisi respiratorie. Ho combattuto battaglie legali per difendere il suo diritto a un’assistenza continuativa, perché Simone non può passare da una mano all’altra come se fosse un manichino. Mi sono ritrovata anche ad avere fame perché la disabilità porta povertà, specialmente quando una madre è sola e non può lavorare. Per fortuna, ho intorno a me tanta solidarietà e qualcuno mi dà sempre una mano».

Con le istituzioni, però, è spesso una battaglia, una delle ultime è stata quella per la casa. «Vivevamo in una casa popolare all’ottavo piano di una palazzo. Quando Simone è cresciuto e si è allettato, non potevo portarlo neanche in balcone, figuriamoci in quell’ascensore minuscolo. Quando c’è stato il terremoto a Roma, anni fa, eravamo rimasti solo io e lui a tremare, intrappolati dentro il palazzo. Ho lottato finché non ho ottenuto questa casetta al piano terra, con un pezzo di giardino in cui Simone, con il suo lettino con le ruote, può uscire ad annusare il cielo tutte le volte che si può. Perché a nessuno si può negare la felicità e il calore di un raggio di sole».

ICARE.IT

IL PROGETTO CHE SI PRENDE CURA DEI CAREGIVER

In Italia, circa un milione di persone ha ricevuto una diagnosi di demenza e più di 3 milioni di persone sono coinvolte direttamente o indirettamente nell’assistenza. La maggior parte dei caregiver sono donne, con un’età media o superiore ai 50 anni, affrontano una serie di sfide che vanno dall’isolamento sociale allo stress, fino a un significativo indebolimento dei rapporti familiari e a un innalzamento del rischio di malattie. Nel contesto dell’assistenza alle persone anziane con demenza, abbiamo intervistato Marco Domenicali, professore associato del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna, direttore di Medicina Interna dell’Ospedale Santa Maria delle Croci di Ravenna e responsabile del progetto “ICare.IT-AvereCura”. «Il progetto nasce dalla necessità di esplorare l’impatto dell’assistenza ai familiari con demenza sul

benessere dei caregiver, attori fondamentali nella cura ma anche prossimi anziani - ha detto Domenicali -. L’obiettivo che ci siamo posti col progetto è quello di aiutare chi aiuta, puntando al loro benessere. I caregiver nella maggior parte dei casi non sono professionisti del settore sanitario e si trovano a fronteggiare un carico emotivo e fisico notevole. Attraverso un sistema di monitoraggio costante, vogliamo raccogliere e analizzare i segnali di peggioramento della salute fisica, mentale e sociale di queste persone e fornire loro suggerimenti per affrontare l’impegno costante che portano avanti quotidianamente».

Il progetto rientra nel più ampio partenariato “Age.it”, dedicato allo studio dell’invecchiamento in Italia, e si compone di due importanti azioni: un’indagine basata su un questionario online, a livello nazionale, per stimare il carico psicologico e fisico dei caregiver, e il monitoraggio, nelle città di Bologna e Ravenna, tramite sensori in grado di rilevare problemi di sonno e salute cardiovascolare.

«Il benessere in senso ampio è un elemento fondamentale nella vita dei caregiver e ha una duplice valenza positiva perché si riflette direttamente sulla qualità dell’assistenza che forniscono ma significa anche, in prospettiva, prendersi cura degli anziani che saranno in futuro. Mettendo in evidenza la necessità della prevenzione possiamo evitare che i caregiver stessi diventino soggetti bisognosi di assistenza», commenta il responsabile del progetto. Guardando al futuro, Domenicali immagina una piattaforma dedicata al monitoraggio dei caregiver integrata nella pratica clinica. «È fondamentale ampliare il raggio d’azione del progetto, includendo anche i caregiver di pazienti oncologici, che affrontano situazioni di stress e necessitano di supporto simile, ma con esigenze diverse rispetto a quelli che assistono persone con demenza». Il progetto “ICare.IT-AvereCura” rappresenta un passo cruciale verso la valorizzazione del ruolo dei caregiver e il miglioramento della loro qualità di vita. Prendersi cura di chi si prende cura degli altri è un atto d’amore, una responsabilità collettiva che richiede attenzione, risorse e un impegno costante per garantire che nessuno rimanga indietro.

Marco Domenicali (UniBo): «Attraverso un sistema di monitoraggio costante, vogliamo raccogliere e analizzare i segnali di peggioramento della salute fisica, mentale e sociale»

Earth Day

AGENDA

La conservazione ambientale è una delle sfide più urgenti del nostro tempo Perdita di biodiversità, cambiamento climatico, deforestazione e inquinamento minacciano gli equilibri naturali e la qualità della vita umana

L’Agenda 2030 è stata adottata il 25 settembre 2015 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite come piano d’azione globale con 17 obiettivi e 169 traguardi per migliorare le condizioni economiche, sociali e ambientali del pianeta entro il 2030. Gli obiettivi spaziano dalla lotta alla povertà e alla fame, alla tutela ambientale, alla parità di genere e alla cooperazione internazionale. Tuttavia, questi sono strettamente interconnessi e devono essere perseguiti in modo sinergico per ottenere un reale sviluppo sostenibile. Mancano 5 anni per raggiungere questi obiettivi, a che punto siamo?

A livello globale la situazione è preoccupante: nel vertice Onu del 2024 è stato ribadito che meno del 20% degli obiettivi dell’Agenda 2030 è in linea con le previsioni iniziali, segnando un ritardo rispetto alle aspettative. La deforestazione, l’inquinamento e la crisi idrica rappresentano alcune delle sfide più gravi per il pianeta. Secondo il Global Forest Watch, nel 2024 gli incendi hanno devastato vaste aree del Sud America, con oltre 53.000 roghi in Brasile che hanno compromesso ampie zone dell’Amazzonia, del Pantanal e del Cerrado. L’inquinamento da pla-

stica continua a crescere, con milioni di tonnellate riversate ogni anno negli oceani e le microplastiche ormai rilevate ovunque, dai ghiacci artici all’acqua potabile. A queste minacce si aggiunge la crisi idrica: lunghi periodi di siccità e avanzamento della desertificazione stanno mettendo a rischio intere regioni, aggravando le disuguaglianze sociali e compromettendo la sicurezza alimentare globale.

A livello nazionale il quadro non è migliore: secondo il Rapporto 2024 dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), il nostro paese registra ancora ritardi significativi in settori chiave come la povertà, le disuguaglianze e la tutela degli ecosistemi terrestri. Alcuni progressi sono stati fatti nella salute, nell’istruzione e nella parità di genere, e si stanno sviluppando iniziative innovative nel settore green. La produzione di energia solare continua a crescere, mentre startup e università lavorano su materiali ecosostenibili per l’edilizia e sistemi di agricoltura di precisione volti a ridurre il consumo idrico. Ad esempio, in Italia sono in corso sperimentazioni su calcestruzzi a basso impatto ambientale e sistemi di irrigazione avanzati che permettono di ottimizzare l’uso delle risorse idriche.

Nonostante il quadro sconfortante, la tecnologia ha introdotto strumenti innovativi per affrontare queste emergenze. L’intelligenza artificiale e i satelliti permettono di monitorare la deforestazione in tempo reale, mentre i droni piantano alberi in aree difficili da raggiungere. Il progetto “Droneseed”, ad esempio, ha sviluppato droni capaci di spargere semi con una velocità e un’efficienza tali da accelerare il ripristino delle foreste. La biotecnologia sta contribuendo con colture geneticamente migliorate, capaci di resistere a eventi climatici estremi e ridurre il consumo di acqua e fertilizzanti. Il settore dell’energia rinnovabile sta avanzando rapidamente. Il costo dell’energia solare ed eolica è in continua discesa, rendendola più competitiva rispetto ai combustibili fossili. Nel 2024, la capacità installata di fotovoltaico ha continuato a crescere, superando ampiamente i 1.200 GW del 2023, secondo i dati dell’International Renewable Energy Agency (Irena). L’idrogeno verde è considerato una soluzione promettente per ridurre le emissioni nei settori più difficili da decarbonizzare, come il trasporto pesante e l’industria siderurgica. Inoltre, le nuove batterie a stato solido, ancora in fase di sviluppo, potrebbero rivoluzionare lo stoccaggio energe-

A CHE PUNTO SIAMO? 2030

tico, ottimizzando l’uso di fonti intermittenti come sole e vento.

L’economia circolare è un altro pilastro della transizione sostenibile. Passare da un modello “usa e getta” a un sistema basato su riuso e riciclo può ridurre drasticamente l’estrazione di materie prime e la produzione di rifiuti. Il riciclo chimico sta facendo progressi nel trattamento delle plastiche non riciclabili, mentre alcune aziende lavorano a bioplastiche derivate da alghe o scarti agricoli, che potrebbero rappresentare un’alternativa sostenibile alla plastica tradizionale. Tuttavia, queste tecnologie devono ancora affrontare sfide legate ai costi elevati e alla scalabilità della produzione.

Possiamo affidarci alla sola tecnologia per invertire la crisi ambientale? La risposta è scontata, il progresso deve essere accompagnato da politiche concrete e da un cambiamento culturale diffuso, altrimenti la tecnologia rischia di essere insufficiente. Servono normative stringenti e investimenti mirati da parte dei governi, aziende impegnate a ripensare i modelli produttivi e cittadini consapevoli che scelgano prodotti a basso impatto ambientale, ridu-

cano sprechi alimentari ed energetici e partecipino attivamente al dibattito pubblico, anche attraverso petizioni e movimenti per il clima. In questo modo sarà possibile aspirare a un cambiamento su larga scala.

L’Agenda 2030 rappresenta ancora una speranza per il futuro del pianeta. Scienza e tecnologia offrono strumenti concreti per una transizione ecologica, ma senza un impegno collettivo rischiano di restare inutilizzati.

GIORNATA DELLA TERRA UN IMPEGNO GLOBALE

PER IL FUTURO DEL PIANETA

Istituita il 22 aprile del 1970 su iniziativa del senatore statunitense Gaylord Nelson, questa data ha segnato l’inizio del moderno movimento ambientalista con venti milioni di americani scesi in piazza per chiedere leggi più rigorose, contribuendo alla nascita dell’Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti (Epa) e all’approvazione di normative fondamentali come il “Clean Air Act” e il “Clean Water Act”. L’idea nacque in un periodo di grande trasformazione sociale e culturale, quando le proteste contro la guerra in Vietnam e il movimento per i diritti civili dominavano la scena politica americana. Nonostante eventi drammatici come il disastro petrolifero di Santa Barbara nel 1969 avessero dimostrato le gravi conseguenze dell’inquinamento, l’attenzione per le questioni ambientali era ancora marginale. Con il tempo, l’Earth Day è diventato un evento globale, coinvolgendo organizzazioni, istituzioni e cittadini di tutto il mondo in attività di sensibilizzazione. Vent’anni dopo, la tematica era al centro delle agende politiche internazionali di oltre 140 paesi e nel 2000, con l’ascesa di Internet, la mobilitazione raggiunse molte più persone. L’evento si è evoluto nel tempo, affrontando sfide sempre più urgenti tra cui il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, l’inquinamento da plastica e, oggi, vede la partecipazione attiva di miliardi di persone in oltre 190 paesi. Il tema scelto quest’anno da Earth Day, l’organizzazione che coordina le celebrazioni a livello globale, è “Our Power,

È la più grande

manifestazione ambientale del mondo, appuntamento in cui

tutti i cittadini si uniscono per celebrare la Terra e promuoverne la salvaguardia

Our Planet” (“Il nostro potere, il nostro pianeta”): un invito a unirsi per sostenere le energie rinnovabili e triplicare la produzione di energia pulita entro il 2030 con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e contrastare i cambiamenti climatici.

In Italia, uno dei principali appuntamenti dedicati alla sensibilizzazione ambientale è il Villaggio per la Terra, che si tiene dal 10 al 13 aprile a Roma. Durante queste giornate si svolgerà la nona edizione del “Festival dell’Educazione alla Sostenibilità”, con attività

didattiche, laboratori, eventi sportivi e artistici che coinvolgeranno scuole e comunità locali.

La scienza ci avverte che siamo vicini al punto di non ritorno per il clima e per molte specie viventi. La Giornata della Terra ci ricorda che il tempo per agire è ora: ognuno di noi può fare la differenza scegliendo stili di vita più sostenibili, riducendo i consumi e promuovendo politiche ambientali efficaci attraverso l’educazione e la diffusione del rispetto per l’ambiente, che devono diventare parte integrante della cultura collettiva.

Donare una casa all’UNICEF significa donare all’infanzia un futuro migliore. Ciò che ha avuto un valore affettivo per te, può avere valore anche per la vita di tanti bambini.

In molti luoghi del mondo milioni di bambini vivono in estrema povertà, afflitti da guerre, catastrofi naturali, vittime di abusi e sfruttamento.

La tua donazione immobiliare sarà trasformata in cibo, vaccini, scuola e protezione.

Chiama o scrivi, anche ora, a Laura Verderosa

Insieme troveremo il modo più semplice ed efficace per compiere questo gesto d’amore. 06 47809235 - 3664245511 donazionebeni@unicef.it

Rimettere in circolo gli abiti usati in un modo nuovo, in nome dell’inclusione sociale e della sostenibilità ambientale. L’organizzazione di volontariato San Vincenzo de Paoli - Consiglio Centrale di Torino ha dato vita, oltre a tutte le attività di supporto per chi è in difficoltà, al progetto “Abito”, un vero e proprio emporio dove l’abbigliamento si sceglie in base alle proprie esigenze, ovviamente in modo del tutto gratuito.

«Per decenni l’Odv San Vincenzo de Paoli ha avuto un servizio di distribuzione tradizionale di vestiario - spiega a 50&Più Elisa Valenti, coordinatrice di progetto Abito - con le persone che si mettevano in fila per ricevere un pacco. Nel 2018, alcuni volontari hanno pensato di cambiare modalità per dare un servizio ancora più rispettoso della dignità degli utenti. In un contesto sociale ormai multietnico, in cui le povertà aumentano e i bisogni sono sempre più diversificati, si è pensato che creare uno spazio che avesse l’aspetto di un vero e proprio negozio fosse la scelta migliore».

ABITO, IL PROGETTO CHE RENDE LA MODA INCLUSIVA

Non solo un emporio dedicato a famiglie in difficoltà a Torino anche una sartoria sociale. Tra gli obiettivi inclusione e sostenibilità ambientale. Racconta la storia Elisa Valenti, coordinatrice dell’iniziativa

In queste immagini, alcune collaboratrici dello staff operativo all'interno dell'emporio Abito

Come è organizzato l’emporio di progetto Abito?

Le famiglie sono ricevute su appuntamento e al massimo ne entrano due alla volta. Nell’emporio possono scegliere in base all’età, alla cultura e alle preferenze di adulti e bambini. Entrare in un negozio è un’esperienza familiare, che rende più semplice chiedere aiuto di fronte a una difficoltà. I senza fissa dimora hanno esigenze diverse, e magari delle emergenze, quindi vengono più spesso.

Come si compone l’utenza?

I nuclei familiari con bambini rappresentano il 90% della nostra utenza. Non tutte le persone che vengono da noi sono disoccupate, ma spesso svolgono lavori umili che non gli consentono comunque di arrivare a fine mese. Spesso si tratta di famiglie monoreddito. Una percentuale compresa fra il 30 e il 40% è di origine marocchina, seguita dagli italiani e dai nigeriani. Poi ci sono tantissime altre nazionalità, ma in percentuali più piccole.

Come si può donare?

Basta prenotare un appuntamento tramite il nostro sito, nella sezione “Dona vestiti”. In questo modo possiamo avere traccia di quante persone verranno a trovarci e di conseguenza di quanti volontari avremo bisogno. Accettiamo solo capi di stagione, non avendo spazi di stoccaggio, e non prendiamo abiti di taglio classico, in quanto solitamente chi viene da noi non utilizza quel tipo di abbigliamento perché fa lavori manuali. Tutti i capi devono essere in ottimo stato, senza buchi né macchie, e quelli selezionati vengono poi sanificati con l’ozono. Si possono donare fino a un massimo di venti pezzi a persona, per evitare il fenomeno dello ‘svuota cantine’, ossia che ci arrivino grandi quantità di vestiti senza un controllo preventivo. Scontiamo ancora il pregiudizio che una persona in difficoltà debba accontentar-

«Entrare in un negozio è un’esperienza familiare che rende più semplice chiedere aiuto in caso di bisogno»

si di tutto, eppure anche chi è senza dimora ha diritto di scegliere e preferisce un paio di jeans o comunque un pantalone scuro, anche se non pulitissimo, ad uno bianco o beige pulito, perché sa bene che i colori chiari saranno più difficili da mantenere, e quindi lo metteranno in maggiore difficoltà. Quando vado nelle scuole a parlare del progetto parto da una provocazione, e chiedo agli studenti di immaginarsi con i vestiti della propria nonna, e viceversa, anche se magari portano la stessa taglia. Oltre all’emporio, progetto Abito ha dato vita anche a una sartoria sociale: quali sono gli obiettivi?

La nostra sartoria nasce come luogo di aggregazione perché si vuole offrire alle persone che frequentano lo spazio un posto di socialità, ma anche un laboratorio di riuso e riciclo in cui i vestiti non adatti alla distribuzione possono essere trasformati in qualcos’altro, e poi proposti negli eventi che organizziamo per finanziarci.

Come si finanzia progetto Abito? Quattro volte l’anno organizziamo dei mercatini di raccolta fondi con gli abiti più particolari, vintage, firmati da marchi famosi. Con il ricavato mandiamo avanti l’emporio. Contiamo molto anche sulle donazioni dei privati che contribuiscono non solo con i capi di abbigliamento ma anche attraverso contributi economici. Perché il progetto non vive di soli abiti.

Quante persone collaborano al

progetto e che tipo di formazione ricevono?

Siamo un piccolo staff composto da me come coordinatrice, un’operatrice sociale, un’addetta alla comunicazione e alla raccolta fondi e una stagista. Poi abbiamo un’ottantina di volontari, non tutti impiegati operativamente nella distribuzione dei vestiti: ad esempio, abbiamo chi si occupa solo dei trasporti delle forniture di abiti che ci vengono donati. La formazione è al primo posto: si impara a relazionarsi con gli utenti, a gestire i conflitti, a entrare in sintonia con persone di diverse culture mettendo da parte pregiudizi e convinzioni personali. Si studia la sostenibilità ambientale, che è un altro focus del progetto, e si interagisce con i servizi del territorio e con altre associazioni che lavorano nel sociale, con l’obiettivo di fare rete. Accennava alla formazione nelle scuole: qual è il riscontro fra i giovanissimi rispetto a tematiche come l’inclusione sociale delle persone in difficoltà e la sostenibilità ambientale?

Molto positivo, sono tematiche che incuriosiscono perché si parla di situazioni con le quali non si confrontano spesso. I ragazzi hanno un rapporto “usa e getta” con la moda e gli si racconta l’impatto delle scelte di consumo, ma anche come possono attivarsi concretamente dal punto di vista della sostenibilità e dell’inclusione sociale. Qualcuno di loro ha incominciato a fare volontariato proprio dopo i nostri incontri.

CARLO SANGALLI CONFERMATO PER ACCLAMAZIONE: GUIDERÀ CONFCOMMERCIO PER I PROSSIMI CINQUE ANNI

Una sala gremita quella che tra applausi e standing ovation ha confermato per acclamazione Carlo Sangalli alla guida di Confcommercio Imprese per l’Italia. L’elezione, avvenuta lo scorso 12 marzo a Roma e fortemente voluta dal mondo confederale, rappresenta per il presidente una importante continuità che lo vede ancora al vertice di un’organizzazione complessa che rappresenta oltre 700mila imprese.

Continua l’impegno del Presidente al vertice della Confederazione

L’assemblea lo ha eletto lo scorso 12 marzo a Roma

Lo abbiamo incontrato

Sangalli tratteggia le linee di grandi sfide che ha di fronte Confcommercio, perché il futuro è già qui. Presidente, da quasi vent’anni alla guida di Confcommercio, possiamo parlare di continuità e cambiamento? Le due cose stanno necessariamente insieme. Non ci può essere continuità senza cambiamento. Questi vent’anni, per il terziario di mercato che rappresentiamo, hanno significato trasformazioni

«L’obiettivo della Confederazione è essere utili alle nostre imprese e quindi al paese. Ci impegneremo su temi per noi fondamentali come il contrasto alla desertificazione commerciale, la riforma fiscale, la semplificazione burocratica i contratti e il welfare»

veloci e senza precedenti. La continuità è stata fondamentale per consolidare la nostra rappresentanza e rafforzare i nostri valori, ma il cambiamento è stato altrettanto essenziale perché ci ha permesso di capire e affrontare le nuove sfide.

Quali le più importanti?

Certamente la digitalizzazione, la globalizzazione, le grandi crisi economico-finanziarie e la pandemia. Oggi ci troviamo di fronte all’intelligenza artificiale che è molto più di una straordinaria evoluzione tecnologica. È una svolta epocale che spalanca le porte a un futuro difficilmente prevedibile con infinite opportunità e infiniti rischi.

Quali sono gli ambiti su cui si concentrerà maggiormente l’azione di Confcommercio?

L’obiettivo principale, che poi è la sintesi del nostro ruolo, è quello di essere utili alle nostre imprese e quindi utili al paese. Ci impegneremo su temi per noi fondamentali come il contrasto alla desertificazione commerciale, la riforma fiscale, la semplificazione burocratica, i contratti e il welfare. In particolare, ci concentreremo sull’innovazione, perché accelerare la digitalizzazione delle imprese, promuovere l’adozione di nuove tecnologie e sostenere la formazione continua è la via principale per crescere e competere sul mercato. Proviamo a leggere i tempi, secondo lei, che apporto può dare l’intelligenza artificiale in ambiti come il lavoro, la pro-

duttività e il mondo delle piccole e medie imprese?

L’intelligenza artificiale è l’inizio di una nuova era che cambierà radicalmente interi settori, il mondo del lavoro, la competitività e il concetto stesso di produttività. Se studiata, applicata e regolamentata con intelligenza umana, credo possa rappresentare una opportunità senza precedenti anche per le piccole e medie imprese.

Come Confederazione, avete già avviato progetti che vanno verso questa direzione?

Stiamo costituendo una Task force dedicata agli sviluppi della IA e alle implicazioni per il terziario di mercato. Al progetto partecipano i grandi player con i quali abbiamo già collaborato, come Microsoft, ma anche esperti in grado di aiutarci a formare non tanto le competenze, quanto una visione efficace dei cambiamenti che attraverseranno il mondo che rappresentiamo.

Confcommercio compie 80 anni ad aprile. Cosa rappresenta questo traguardo?

80 anni sono certamente un traguardo ma sono soprattutto un nuovo punto di partenza perché ci saranno sempre e ancora occasioni di sviluppo e di innovazione. Parlo spesso di continuità innovativa, perché è solo così che possiamo ‘ricordare il futuro’, continuando a leggere e interpretare i cambiamenti e dare risposte. A proposito di anniversari, 50&Più Associazione, che lei pre-

siede, ha compiuto mezzo secolo lo scorso novembre. Che cosa c’è nel futuro dell’Associazione? Il futuro di 50&Più è strettamente legato al futuro del nostro paese. In un’epoca in cui assistiamo a un progressivo invecchiamento della popolazione, l’associazione continuerà a svolgere un ruolo fondamentale di difesa dei diritti, valorizzazione e inclusione della persona anziana. Vogliamo offrire ai nostri associati nuove opportunità di apprendimento, di volontariato e di partecipazione attiva alla vita sociale.

L’Associazione è molto impegnata anche in temi come cohousing e caregiving. Ci sono progetti in cantiere?

Guardi, il nostro obiettivo è fare in modo che nessuno resti indietro e resti solo. Vogliamo continuare ad agire su un doppio binario per favorire il diritto all’abitare, anche in condivisione, sia per una questione economica che sociale perché spesso la conseguenza dell’assenza di politiche inclusive porta all’isolamento. Troppo spesso, infatti, le cronache raccontano fatti tragici legati all’abbandono. Assolutamente sì. Pensiamo, ad esempio, al grande attore Gene Hackman e a sua moglie, trovati soli e privi di vita dopo diversi giorni. La solitudine non conosce stato sociale, non conosce colori, non conosce appartenenze, colpisce tutti. Noi dobbiamo contrastarla e trovare soluzioni percorribili. Allo stesso tempo, vogliamo fare in modo che chi si prende cura degli altri - come i caregiver anche familiari - possa farlo serenamente, senza sacrificare sé stesso, il suo lavoro, la sua famiglia. È anche attraverso questi passaggi che possiamo costruire una società più giusta, più solidale e più umana per noi e per le prossime generazioni.

LA TERZA ETÀ MIXA BOOM DEL DJING

AL FEMMINILE

Un workshop per imparare le basi del mixaggio

l’uso dell’attrezzatura tecnica e la gestione di un dj set

L’iniziativa tedesca fa il giro del mondo

di Donatella Ottavi

Scratch, drop, sequencer rappresentano termini dall’oscuro significato per molti di noi, ma sono parte integrante del mestiere di un disk jockey. Quella del ‘djing’ è una vera e propria arte che unisce passione per la musica, competenze tecnologiche e grandi dosi di creatività. Un ambito in cui siamo abituati a vedere alla consolle perlopiù giovani in cuffia, pronti a farci ballare attraverso un abile uso di equalizzatori, mixer, sintetizzatori e molto altro. Un mestiere che però sembra intrigare anche le fasce di popolazione più adulte, se una recente iniziativa finanziata dal Ministero della Cultura e della Scienza del Nord Reno-Vestfalia (Germania)

ha ottenuto un immediato successo. Si tratta di “Forever Fresh”, un workshop aperto a donne over 70 che offre l’opportunità di imparare i trucchi del mestiere del djing.

Lanciata dal Consiglio Statale della Musica della Renania Settentrionale-Vestfalia e il “c/o pop Festival” di Colonia, l’iniziativa ha raccolto un tale numero di richieste di partecipazione da spingere gli organizzatori a programmare sin d’ora una successiva edizione, inserendo in una lista d’attesa le aspiranti disk jockey rimaste fuori dal corso.

A seguire il gruppo di allieve - undici in tutto, tra cui una ottantanovennedue esperti del settore, Anna Cainelli e

Sedaction, entrambi dj professionisti. Oltre ad acquisire le basi del mixaggio, a sperimentare l’uso dell’attrezzatura tecnica e la gestione di un dj set, durante le lezioni le partecipanti hanno modo di apprendere ulteriori competenze, altrettanto essenziali per esercitare il mestiere: styling, presenza scenica e utilizzo dei social media. Veicolo di comunicazione universale, la musica - come sottolineato durante l’inaugurazione del workshop dalla direttrice del “c/o pop Festival”, Elke Kuhlen, e dal rappresentante del Consiglio Statale della Musica della Renania Settentrionale-Vestfalia, Robert V. Zahn - diviene anche strumento per abbattere barriere culturali e sociali. Il progetto intende dare una nuova voce alla musica elettronica, contrastando i pregiudizi legati all’età che, non di rado, si manifestano in ambito creativo-tecnologico.

A chiudere il workshop, alla fine di aprile, l’esibizione dal vivo delle allieve durante il “c/o pop Festival”. Una bella soddisfazione, a dimostrazione che, per reinventarsi o seguire le proprie passioni, c’è sempre tempo.

Imprese

Ci piacerebbe che altri ragazzi si unissero al coro di chi è in controtendenza. Di chi accoglie le sfide senza paura. E soprattutto che si riscriva la storia di altre imprese in Sicilia che attirino altri giovani, generando davvero una catena virtuosa». Se non avessero scelto di scommettere su quel piccolo opificio di un artigiano locale, l’isola baciata dal sole, che combatte ogni giorno contro la diaspora dei suoi figli, avrebbe parlato stancamente ancora una volta di occasione mancata. Ma loro, tre giovani siculi, Emanuela Russo, Katia Consentino e Giuseppe Piccolo, hanno deciso con convinzione, anche se i loro percorsi professionali li avevano portati altrove, di investire sulle loro radici e su quelle distese immense colorate di agrumi, spesso oggetto di abbandono. Tutto ha inizio nel 2011, a Roccalumera, in provincia di Messina, a un tiro di schioppo dalle bellissima Taormina, la terrazza naturale a picco sullo Ionio che rappresenta un sogno per ogni turista. E qui la storia di “Giardini d’Amore” è maturata con qualche ingrediente fondamentale. Coraggio, passione e soprattutto voglia di non arrendersi: «Questa straordinaria avventura, a tratti davvero filmica, è nata nel 2011 quando è stata rilevata l’azienda -racconta Katia Consentino - da un signore che era un piccolo artigiano con un grande bagaglio da tramandare. Stava per andare in pensione e chiudere i battenti per sempre perché i suoi figli, come spesso accade, non volevano portare avanti la tradizione familiare e pensavano al classico posto fisso che garantisce nell’immaginario comune qualche garanzia in più». La base comunque prometteva bene anche se bisognava fare altri passi necessari. Giuseppe era ed è il presidente provinciale Coldiretti di Messina e in testa aveva l’idea di trasformare i prodotti freschi della sua azienda, e con Emanuela, che ha lasciato inca-

TRE GIOVANI E UN SOGNO FARE IMPRESA IN SICILIA

Emanuela, Katia e Giuseppe hanno deciso di dedicarsi a una piccola azienda di Roccalumera prossima alla chiusura Dal 2011 il loro impegno per riscattare l’Isola attraverso la bontà dei suoi prodotti

di Claudia Benassai

richi dirigenziali, hanno cominciato a studiare sodo per dare forma al progetto: «Nessuno di noi - continua - ad essere sinceri aveva un passato nel settore. I miei soci hanno acquisito metodi di lavorazione di tantissime tipologie di liquori e, seguendo le orme del mentore con cui hanno lavorato gomito a gomito per sei mesi, hanno iniziato a sperimentare e fare dei prodotti simili». Dopo tante ricerche, i tre hanno deciso di puntare tutto sulla naturalità del prodotto e sulla qualità delle materie prime, con l’obiettivo di restituire a pieno la Sicilia più autentica. E queste sono in buona parte di produzione propria, come il finocchio selvatico, fichi d’india e i limoni “Interdonato” di Messina, mentre il resto proviene dalle migliori produzioni agricole sicule, creando indotto per l’economia. La mandorla è di Avola, il pistacchio di Bronte, la liquirizia è rigorosamente calabrese, mentre la cannella è l’unica che non rientra tra le colture italiane ed è stata scelta la varietà “Ceylon”, originaria dello Sri Lanka. Rinunciando a coloranti, addensanti e aromi artificiali e utilizzando, appunto, materie prime acquistate esclusivamente da aziende agricole selezionate, la società ha stabilito così un vero e proprio codice di responsabilità finalizzato a garantire l’eccellenza e la naturalità del prodotto. «Non è stato semplice - puntualizzama ci abbiamo messo tutto l’impegno possibile per creare il brand che abbiamo presentato per la prima volta all’Expo di Milano. Con Emanuela ci conosciamo dalle scuole elementari, a sua volta lei e Giuseppe si sono incontrati in ambito lavorativo, e alla fine anche io, che mi sono sempre occupata

di comunicazione, sono stata attratta dal progetto e dall’amore spasmodico per una terra che ha bisogno del contributo di tutti e ha davvero tutte le potenzialità per crescere. Invertendo il classico racconto che dal Sud si debba andare necessariamente via». E le porte di questo regno sono aperte per chi vuole conoscere da vicino questa realtà imprenditoriale: «Il piccolo laboratorio di Roccalumera è visitabile prenotandosi e con la bella stagione si può anche organizzare un tour dei giardini che sono vicini. La cosa bella che si può toccare con mano è l’agricoltura eroica che si sviluppa in altezza, con i terrazzamenti, quindi riuscire a fare una gita con la raccolta dei limoni è caratteristico perché vedi davvero quanta fatica ci metti a recuperare il prodotto». In coda arriva il consiglio per altri giovani che vogliono fare impresa da coloro che ormai si definiscono giovani nello spirito: «Bisogna guardarsi intorno - conclude la Consentino - e capire come si sta evolvendo il mercato. Interpretare la velocità del cambiamento è la vera sfida. Non si deve combattere con l’e -commerce o l’intelligenza artificiale perché sono delle tecnologie ausiliarie che, se ben utilizzate, possono portare buoni frutti e aiutarci a sviluppare il nostro business. Di sicuro, però, non bisogna pensare che la testa e la creatività verranno meno perché saranno sempre queste a fare la differenza. Del resto, anche noi non ci siamo inventati nulla, abbiamo ridato vita a qualcosa che era vincente in nuce, ma doveva essere migliorata con tutte quelle competenze che abbiamo maturato».

Dipendenze

M«I GIOVANI MESCOLANO SOSTANZE PER AUTOCURARSI»

Roberta Balestra, presidente FeDerSerd accende un faro sulle assuefazioni tipiche dell’adolescenza tra alcol e nuove droghe

«Dobbiamo facilitare le loro richieste di aiuto»

di Francesca Cutolo

eno operatori, più assistiti. I Servizi pubblici per le Dipendenze (Ser.D) reggono, ma con sempre meno risorse umane a fronte di una domanda in crescita. Negli ultimi cinque anni, secondo il Rapporto Tossicodipendenze del Ministero della Salute, le strutture sono rimaste quasi invariate (da 561 a 570), ma il personale è calato del 6%, passando da 6.223 a 5.843 operatori. Nello stesso periodo, gli utenti sono aumentati del 3%, da 127.977 a 132.195. E la situazione è in evoluzione. Dal Rapporto Espad 2023 dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr, che analizza gli stili di vita e i comportamenti a rischio degli studenti tra i 15 e i 19 anni, risulta che l’abuso di alcol e sostanze tra gli adolescenti italiani continua a destare preoccupazione. Secondo il Report, circa 780.000 giovani, nel 2023, hanno abusato di alcol, con un dato allarmante: il 6,1% consuma alcol almeno 20 volte al mese, la percentuale più alta mai registrata in Italia. Preoccupa anche l’uso di cannabis, che tra gli adolescenti italiani supera la media europea. In aumento anche l’utilizzo di sostanze psicoattive. Roberta Balestra, psichiatra, figura di rilievo nel panorama italiano della cura delle dipendenze, è la nuova presidente di FeDerSerD, la Federazione Italiana degli Operatori dei Dipartimenti e dei Servizi delle Dipendenze, una società scientifica che riunisce professionisti e operatori sanitari attivi nei Servizi pubblici per le Dipendenze (Ser.D).

Presidente, c’è preoccupazione per l’aumento delle dipendenze?

Sì, siamo preoccupati perché stiamo assistendo a una ‘precocizzazione’ del consumo e a un aggravarsi del malessere psichico che poi purtroppo innesca il consumo problematico e la dipendenza. Questi sono fattori di rischio importanti, non si tratta della sperimentazione dell’adolescente che c’è sempre stata. Qui siamo di fronte a ragazzi che stanno male e questo disagio può diventare un vero e proprio disturbo e un problema di dipendenza. Negli ultimi anni si è assistito alla diffusione di nuove sostanze psicoattive (NPS). Quali sono le più pericolose e perché stanno prendendo piede nel mercato delle droghe?

Le nuove droghe sono le sostanze psicoattive (NPS). All’interno di questo scenario rientrano diverse famiglie di sostanze, tra cui cannabinoidi, oppioidi e anfetaminici, nei cui composti vengono costantemente introdotte nuove molecole sintetizzate per aumentarne l’efficacia. Si tratta di un mercato emergente di droghe sintetiche, prodotte con relativa facilità. Tra queste, un’attenzione particolare va al Fentanil e ad altri antidolorifici oppiacei, come l’ossicodone, farmaci essenziali per il trattamento del dolore grave, ma che possono diventare estremamente pericolosi se prendono una strada diversa. Negli Stati Uniti, dove manca una rete di servizi sanitari pubblici come quella italiana, il fenomeno ha assunto di-

mensioni allarmanti. Accanto alle nuove sostanze, continuano a essere diffuse anche cocaina, eroina e crack, con modalità di assunzione che cambiano nel tempo, ma che mantengono vivo il problema delle droghe tradizionali. Sempre più giovani usano sostanze non per lo ‘sballo’, ma come una forma di autoterapia. Cosa significa questo e quali sono i rischi di questa tendenza? Nei giovani che curiamo nei Ser.D non si trova più la dipendenza dalla singola sostanza perché le sostanze vengono spesso mescolate (si parla di policonsumo) e usate per ricercare un effetto specifico, anche come sollievo. Ho bisogno di non sentire il dolore, la depressione, ecco che uso una sostanza che annulla questo stato d’animo spiacevole. Devo affrontare un particolare evento stressante, assumo un altro tipo di prodotto chimico per sentirmi più a mio agio. Quando si parla con questi ragazzi, le storie che emergono sono di un consumo che è diventato una forma di autocura, una modalità per superare momenti di difficoltà. In questi giovani non c’è svago o divertimento, ma c’è un tale malessere e un dolore psichico che viene affrontato con comportamenti autolesivi o appunto con sostanze. Nei casi dei ragazzi che si tagliano il meccanismo è lo stesso: la sofferenza che sopporti è talmente angosciante che il dolore che ti procuri tagliandoti e facendoti del male fisicamente ti distrae, ti ‘rilassa’ dal dolore che hai dentro.

«Siamo

preoccupati perché stiamo assistendo

a un aggravarsi del malessere psichico che poi purtroppo innesca il consumo problematico e la dipendenza»

Come valuta l’attuale approccio alle dipendenze in Italia, soprattutto per quanto riguarda i giovani e le risorse messe a disposizione dai Ser.D?

Dobbiamo puntare a facilitare la richiesta di aiuto dei ragazzi e dei familiari, offrendo servizi specialistici dedicati e con competenze interdisciplinari. Oggi il consumo problematico di sostanze psicoattive e le varie forme di dipendenza in età evolutiva richiedono anche ai Ser.D la rimodulazione della propria offerta di prevenzione e di trattamento; tale revisione si sta progressivamente sviluppando nei servizi, seppure con disomogeneità territoriali, viste le insufficienti risorse investite in questo settore. L’adolescente richiede specifici approcci diagnostici e terapeutici; la compresenza di tematiche relative all’adolescenza richiede la collaborazione interdisciplinare con altri specialisti dell’età evolutiva. Come FeDerSerD siamo molto impegnati nella formazione dei professionisti, nella sensibilizzazione delle istituzioni, nelle attività di proposta ai massimi livelli gestionali e politici. Col Dipartimento nazionale per le politiche antidroga stiamo collaborando per portare alla Conferenza Nazionale per le Dipendenze del prossimo novembre questi temi fondamentali. I Ser.D sono l’asse portante del sistema di prevenzione e cura delle dipendenze, che vede un altro soggetto fondamentale nel terzo settore.

IL GIGANTE TEDESCO IN DIFFICOLTÀ ELEZIONI, CRISI E TRASFORMAZIONI

Il nuovo cancelliere vuole avviare una serie di riforme costituzionali cruciali per la legislatura e per superare l’impasse del paese

Per i tedeschi c’è una sola priorità: la stabilità. Quello che attraversiamo, purtroppo, non è un periodo di certezze. Questo è stato uno dei motivi per cui in Germania, il 23 febbraio scorso, si è registrata la più alta affluenza elettorale dalla riunificazione del paese. Ha votato quasi l’83% degli aventi diritto; in Italia, nel 2022, si è fermata sotto il 64%.

L’elevata partecipazione non è bastata a garantire la formazione di un governo solido, con un mandato chiaro per grandi riforme. I due partiti che tradizionalmente si alternano alla guida del paese hanno ottenuto, insieme, una maggioranza risicata al Bundestag: poco più di dieci voti. Sufficienti per governare, ma troppo pochi per l’autorevolezza richiesta dalla situazione. La Germania è entrata nel terzo anno consecutivo di recessione, ma la crisi non è solo economica: l’intero sistema paese è in difficoltà. Alle urne il partito più votato è stata l’Unione cristianodemocratica, composta da Cdu e dalla sua controparte bavarese, la Csu. Ma è stato il secondo peggior risultato nella storia del movimento conservatore. Il leader, Friedrich Merz, che dovrebbe giurare come cancelliere poco prima di Pasqua, ha deciso di accelerare da subito. Nella serata elettorale, quando ancora non era stata scrutinata la metà delle schede, in tv parlava già di una riforma costituzionale per modificare il freno al debito, il dogma dell’austerità

di Cosimo Caridi
Friedrich Merz, leader della Cdu

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tedesca. Nel 2009 Angela Merkel, al suo secondo mandato, fece aggiungere alla Legge Fondamentale il limite dello 0,35% di deficit pubblico annuale. Stati Uniti e Francia hanno chiuso il 2024 con un saldo negativo vicino al 6%. Per Berlino, l’obbligo del pareggio di bilancio ha frenato lo sviluppo per oltre 15 anni. Il paese esportava e accumulava avanzi commerciali, ma invece di investire questi fondi in infrastrutture e ricerca, Merkel ha scelto di mantenere lo Stato in una posizione di immobilità. Chi visita la Germania rimane colpito dalla pessima copertura telefonica. Basta uscire dai centri abitati per perdere il segnale, a volte per decine di chilometri. Il servizio internet è tra i peggiori e più costosi d’Europa. Negli anni delle “vacche grasse”, il governo ha incentivato i consumi senza costruire le infrastrutture per il futuro. La pandemia ha mostrato le prime crepe del sistema. Le esportazioni, soprattutto nel settore automobilistico, sono calate. La Cina, da principale importatore del made in Germany, è diventata un concorrente. A Pechino le Volkswagen sono considerate “auto da nonni”, mentre i produttori cinesi di auto elettriche

hanno conquistato il mercato europeo. Poi è arrivata la crisi energetica. Con il taglio delle forniture di gas russo, la manifattura tedesca, molto energivora, si è trovata incapace di sostenere i nuovi costi. Nei 16 anni di governi Merkel non era mai stata sviluppata un’alternativa al gas siberiano. Olaf Scholz, il cancelliere dimissionario, non è riuscito a reagire. L’ultimo colpo è arrivato dagli Stati Uniti. Washington ha imposto a tutta l’Europa un drastico aumento delle spese militari. Le forze armate tedesche, la Bundeswehr, sono soprannominate “broken army”, l’esercito rotto. Elicotteri che non volano, cannoni obsoleti, in diverse missioni internazionali mancavano persino uniformi adeguate. Il 24 febbraio 2022, giorno dell’invasione russa dell’Ucraina, nei depositi tedeschi c’erano munizioni sufficienti per combattere una sola settimana. Servono centinaia di miliardi per riportare Berlino al centro del piano di difesa europeo. Questi sono stati i temi della campagna elettorale. Tutti i partiti concordano sulla gravità dei problemi, ma non sulle responsabilità. L’estrema destra, AfD, che ha raddoppiato i voti, è diventato il secondo partito più votato. Fin dalla sua nascita nel 2013, AfD ha attribuito falsamente

all’accoglienza dei migranti ogni problema della Germania, dalla sicurezza alla crisi economica. Osservando la mappa elettorale, emerge chiaramente che nell’ex Ddr, oggi la parte più povera del paese, AfD è la prima forza politica, mentre nella Germania occidentale dominano i cristianodemocratici. Le grandi città, come nel resto del mondo, restano bastioni dell’elettorato riformista: Berlino ha scelto Linke, Amburgo Spd e Colonia i Verdi. Tutti i partiti tradizionali sostengono il Brandmauer, il cordone sanitario che esclude l’estrema destra da ogni alleanza. Ma i risultati delle urne danno ad AfD un peso nel dibattito pubblico e nella gestione del Parlamento. Il nuovo cancelliere vuole avviare una serie di riforme costituzionali cruciali per la legislatura e per superare l’impasse del paese. Per riuscirci, avrà bisogno della maggioranza qualificata, i due terzi del Parlamento. Senza i voti di AfD, Merz dovrà convincere tutte le altre forze politiche a sostenere il suo programma. Sarà difficile convincere i Verdi a riattivare le centrali nucleari con fondi extra bilancio, a debito. Ancora più complesso ottenere il voto della Linke, sinistra radicale, per finanziare il piano da centinaia di miliardi per l’industria della Difesa.

CARAVAGGIO TRA GENIO E SREGOLATEZZA

Michelangelo Merisi fu superato nell’arte da una cosa sola: la sua vita

In queste pagine compiamo un viaggio immaginale che dalla fine del ’500 porta ai giorni nostri perché il mito del pittore maledetto sarà sempre intramontabile

Dalla pittura al cinema: l’artista che ha cambiato la storia

cura di Anna

a
Costalunga, Serena Colombo, Anna Grazia Concilio Giulia Bianconi, Valerio Maria Urru
Autoritratto in veste di Bacco (Bacchino malato), 1595 c.a., olio su tela; Galleria Borghese, Roma (IT), ph. M. Coen © Galleria Borghese

MICHELANGELO MERISI VITA E OPERE DI UN ARTISTA RIVOLUZIONARIO

Il genio lombardo, innamorato del vero e della luce è stato una figura complessa e contraddittoria Iracondo, eccentrico, eretico, omosessuale schiavo della passione per le donne, ebbe una vita travagliata segnata dal delitto, dalla fuga disperata e da un perdono giunto troppo tardi

di Anna Costalunga

Michelangelo Merisi, noto come Caravaggio, nasce a Milano nel 1571. Nel 1577, la famiglia si trasferisce a Caravaggio, in provincia di Bergamo, per sfuggire alla peste, che però lo lascia orfano di padre. La madre, con i quattro figli, torna quindi a Milano, dove il giovane Michelangelo inizia il suo apprendistato presso un pittore locale. Grazie all’amicizia del nonno con Costanza Colonna, marchesa di Caravaggio, nel 1592 si trasferisce a Roma, andando a vivere da Pandolfo Pucci, un beneficiario di San Pietro, da lui soprannominato “monsignor insalata” per il misero vitto che gli veniva offerto. Stanco del trattamento ricevuto, Caravaggio trova ospitalità in un’osteria e inizia a lavorare in diverse botteghe, realizzando le sue prime opere, nelle quali si manifesta già il rifiuto per la bellezza idealizzata tipica del Rinascimento e la predilezione per il realismo e il naturalismo, utilizzando come modelli ragazzi e ragazze di strada.

La sua vita subisce una svolta decisiva quando viene accolto a

Palazzo Madama dal cardinale Francesco Maria Del Monte, uomo di grande cultura e mecenate, nonché ambasciatore dei Medici a Roma. Il cardinale non solo gli offre alloggio e protezione, ma gli garantisce anche uno stipendio mensile, permettendogli di dedicarsi interamente alla pittura. Questo incontro segna l’inizio di un periodo particolarmente fecondo per l’artista, che si inserisce in un ambiente intellettuale stimolante, venendo a contatto con importanti personalità romane. In questi anni, Caravaggio realizza per Del Monte alcune delle opere più significative, tra cui Bacco, Santa Caterina d’Alessandria e Ragazzo morso da un ramarro, il cui protagonista effeminato più che alla presunta omosessualità di Caravaggio si riconduce all’ambiente dei festini organizzati a Palazzo Madama per il cardinale suo committente. Grazie al sostegno di quest’ultimo, ottiene anche importanti commissioni pubbliche, come la decorazione della Cappella Contarelli nella chiesa di San Luigi

dei Francesi, dove realizza le tre tele dedicate alla vita di San Matteo. Nel 1592 Michelangelo va ad abitare nel rione Campo Marzio, dove, circondato da amici iracondi ed eccentrici, si vanta della sua abilità con la spada e, nonostante la fama che sta rapidamente conquistando, partecipa a risse e duelli. Le strade della Città Eterna, strette e sporche, animate da bordelli e taverne, esercitano su di lui un’attrazione fatale. Violenze e scontri tra fazioni filospagnole e filofrancesi sono all’ordine del giorno e mettere mano alla spada è un vizio comune. Giovani garzoni e cortigiane riempiono prima le sue fantasie e poi le sue tele.

La bellissima Fillide Melandroni lavora sotto la protezione di Ranuccio Tomassoni, capo di una banda che gestisce loschi traffici nel rione. Lui ne resta colpito, forse se ne innamora, e la ritrae in quattro dei suoi dipinti.

Accanto a lei Lena, Maddalena Antonietti, tra le più note prostitute romane. Suo è il volto della Madonna dei Pellegrini e della Madonna dei Palafrenieri. Lo scandalo, nella Roma della Controriforma, è enorme. Come quando l’umile Annuccia (Anna Bianchini) presta il suo corpo alla Madonna nel Riposo nella “Fuga in Egitto”. Circola anche voce che, per dipingere la Morte della Vergine - commissionatagli per una cappella mortuaria nella chiesa di Santa Maria della Scala - abbia usato come modella una donna annegata nel Tevere con la pancia gonfia, i piedi nudi e il corpo grigiastro. La tela, considerata indecorosa, gli viene restituita senza compenso. Sono ancora gli anni in cui è all’apice della carriera, ma la fama si accompagna a nuove difficoltà.

All’inizio del 1604 è denunciato per aver lanciato un piatto di carciofi contro un oste in una taverna. In ottobre è arrestato per un lancio di pietre contro le guardie e, in no-

vembre, di nuovo per ingiurie, anche se gli studiosi oggi mettono in dubbio la fondatezza di molte di queste accuse. In ogni caso, l’influenza del cardinale Del Monte gli permette per ora di evitare conseguenze gravi. Nel 1605, con l’elezione a papa di Paolo V la fortuna inizia a girare. La nuova corte pontificia gli preferisce lo stile classico ed elegante di Guido Reni e il suo umore peggiora. A luglio è di nuovo arrestato per ‘questioni di donne’. Poco dopo aggredisce un notaio per via di una sua modella che ne era l’amante. La serie di denunce culmina a maggio del 1606, quando si scontra in duello con Ranuccio Tomassoni per motivi ancora discussi dagli storici. Forse per una donna - magari Fillide -, per questioni politiche - lui era filofrancese e Tomassoni filospagnolo -, per debiti o per una disputa di gioco. Sempre pronto a difendere il suo onore con la stessa veemenza con cui dipingeva i suoi capolavori, Caravaggio ferisce a morte il suo rivale, forse involontariamente, ed è costretto a una fuga disperata per sfuggire alla condanna a morte per decapitazione in contumacia. Di questo periodo è il suo drammatico autoritratto impresso nella testa mozza impugnata da un vittorioso ma malinconico Davide. Cerca rifugio lontano dalla giurisdizione pontificia, prima a Napoli poi a Malta, dove arriva nel luglio del 1607. Qui dipinge il ritratto del Gran Maestro dei Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni, che lo ricompensa con la Croce dell’Ordine, garanzia di immunità anche a Roma. Tuttavia, cedendo al suo temperamento irascibile, sguaina la spada contro un confratello, violando le regole dell’Ordine. Dopo aver così perso l’abito, fugge a Siracusa, ma la sua mente inizia a vacillare: dorme con un pugnale, temendo la giustizia romana e maltese. Si sposta di nuovo da Messina a Palermo, per sfuggire all’accusa di omosessualità. Nell’ottobre del 1609

torna a Napoli, ospite della marchesa Costanza Colonna, sua protettrice, dove riceve notizia del perdono papale. Nel luglio del 1610 si imbarca su una feluca diretta a Porto Ercole, con uno scalo imprevisto a Palo di Ladispoli dove, presso la famiglia Orsini - suoi vecchi amici - spera probabilmente di attendere in sicurezza l’ufficialità della grazia. Qui però è fermato per accertamenti, mentre la nave prosegue la rotta, con i suoi effetti personali a bordo, incluse tre tele destinate al cardinale Scipione Borghese in cambio della libertà. Per recuperarli Caravaggio raggiunge Porto Ercole via mare, probabilmente grazie a un’imbarcazione offerta dagli Orsini. Lì giunto, stremato e malato, è ricoverato nel sanatorio Santa Maria Ausiliatrice, dove muore di ‘febbre maligna’ il 18 luglio 1610, a 38 anni.

Questa almeno è la versione riportata dal suo primo biografo e rivale, Giovanni Baglione, ma molti aspetti del decesso rimangono misteriosi in mancanza di documenti certi. La data e il luogo ufficiali si ricavano da un epitaffio del poeta Marzio Milesi che lo chiama “esimio emulatore della natura”. Si parla di febbre malarica, ma - da un’analisi su alcune ossa a lui attribuite - nel 2010 si fa strada l’idea di un avvelenamento da piombo e arsenico, contenuti nei colori. Non manca nella sua fine rocambolesca il tocco di giallo: nel 2012 due studiosi, Vincenzo Pacelli e Tomaso Montanari, ipotizzano un assassinio avvenuto proprio durante la sosta a Palo Laziale ad opera di emissari dei Cavalieri di Malta, per vendicare l’offesa arrecata al loro confratello, e architettato con il tacito assenso della Curia romana.

Santa Caterina di Alessandria 1598-1599 c.a., olio su tela Museo Thyssen-Bonemisza, Madrid (ES) © Museo Nacional Thyssen-Bornemisza Madrid

Primo piano

DA MILANO A PORTO ERCOLE

GLI ITINERARI DEL PITTORE MALEDETTO

Un viaggio da nord a sud per raccontare le opere di Caravaggio e il contesto in cui sono state realizzate

di Serena Colombo

Un viaggio ideale da nord a sud dell’Italia, seguendo le tracce di Caravaggio, tra i luoghi dove sono nati i suoi capolavori, alcuni ancora nella loro collocazione originaria. I primi passi di questo cammino si muovono lungo le vie di Milano: in pieno centro, nella parrocchia di Santo Stefano, Michelangelo Merisi viene battezzato il 30 settembre 1571. Giovanissimo, è messo a bottega da Simone Peterzano. Non conosciamo opere eseguite a Milano, ma in città si conservano due lavori importanti. La famosa Canestra della Pinacoteca Ambrosiana, considerata una delle prime nature morte a noi note, già nel 1607 a Milano nella collezione di Federico Borromeo; e la Cena in Emmaus, conservata alla Pinacoteca di Brera dal 1939: è eseguita da Caravaggio verosimilmente durante la sua permanenza nei feudi laziali dei Colonna. Una versione dipinta qualche anno prima

si trova alla National Gallery di Londra. Poco più che ventenne, Caravaggio si mette in viaggio verso Roma. Si potrebbe ipotizzare (ma non è documentata) una sosta a Parma, per ammirare la cupola di Correggio, e a Firenze, per studiare i classici del Rinascimento. Non conosciamo opere realizzate in questa città che ospita tuttavia numerosi lavori del Merisi, dal magnifico scudo da parata con la testa spiccata di Medusa con i capelli trasformati in serpenti (Uffizi), al Bacco, che fa parte di un gruppo di opere con soggetti analoghi, tra cui il Fanciullo morso dal ramarro della Fondazione Longhi. Sempre agli Uffizi è

custodito il Sacrificio di Isacco, realizzato su commissione di Maffeo Barberini, futuro papa Urbano VIII. A Roma Michelangelo lavora in diverse botteghe contemporaneamente, con il desiderio febbrile di imparare, realizzando teste di santi, imperatori, sovrani, vendute a poco prezzo sul mercato romano.

L’Urbe è in assoluto la città che conserva il maggior numero di opere di Caravaggio, alcune ancora nella collocazione originaria: le due tele con la Crocifissione di San Pietro e la Conversione di San Paolo (la prima versione, custodita nella collezione Odescalchi nell’omonimo palazzo, è esposta in mostra) nella cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo, e le Storie di San Matteo in San Luigi dei Francesi per i Contarelli. Caravaggio, in questo momento, è uno dei pittori più originali e richiesti del panorama artistico romano. Per il cardinale del Monte realizza Giove, Nettuno e Plutone, “coloriti a olio nella volta, non avendo Michele mai pennello a fresco” (come scrive Giovan Pietro Bellori): si tratta del soffitto del camerino in cui Del Monte si dilettava di alchimia, all’interno del Casino dell’Aurora, a Villa Ludovisi sul Pincio. In occasione della mostra quest’opera, unico dipinto murale noto di Caravaggio, è eccezionalmente visitabile. Come pure si può ammirare, nella chiesa di Sant’Agostino, la Madonna dei Pelle -

grini, con i famosi piedi sporchi che poggiano sopra la mensa dell’altare. Lo stipite della casa di Maria sembra essere ripreso dal portale in marmo dello scuro ingresso al civico 22 di vicolo del Divino Amore (all’epoca vicolo san Biagio), nella casa abitata da Caravaggio.

La Galleria Borghese ospita la collezione del cardinale Scipione Borghese, grande estimatore del Merisi (che acquistò anche La Madonna della serpe, oggi al Louvre, dipinta per un altare di San Pietro ma subito fatta sparire per i toni troppo popolareschi della procace giovane madre di Gesù). Qui, si ammirano il Bacchino malato, il Fanciullo con canestro di frutta e San Girolamo scrivente.

La Pinacoteca Capitolina, invece, custodisce la Buona ventura - un’altra versione è al Louvre - e il San Giovanni Battista, la cui seconda versione si trova alla Galleria Doria Pamphilj insieme alla Maddalena penitente e al Riposo durante la fuga in Egitto. Nel 1606 Caravaggio lascia Roma per Napoli, città che, all’epoca, era una tra le più popolose d’Europa. Ha una condanna alla pena capitale a causa dell’omicidio di Ranuccio Tomassoni durante una partita di pallacorda. Per la chiesa del Pio Monte della Misericordia dipinge Le sette opere di Misericordia, ambientata tra la locanda del Cerriglio, situata tra la piazzetta di porto e il vicolo di Santa Maria la Nova, e altri vicoli partenopei, di cui Caravaggio coglie e trasmette rumori, umori, l’agitazione teatrale della folla. Sempre a Napoli realizza La Madonna del rosario, oggi a Vienna, e la Flagellazione di Cristo per san Domenico Maggiore (in deposito a Capodimonte, fu uno dei dipinti che decretò il successo del pittore nella città partenopea). A Napoli si pensa abbia dipinto anche la tela con

l’Ecce Homo di recente attribuitagli, di proprietà del viceré García Avellaneda y Haro conte di Castrillo. Nel 1607 Michelangelo salpa dal porto di Napoli diretto a Malta, dove realizza la Decollazione di San Giovanni Battista per l’Oratorio di San Giovanni Battista dei Cavalieri nella Concattedrale di San Giovanni a La Valletta. Purtroppo, anche questo soggiorno finisce presto a causa di una rissa. Incarcerato, con una fuga rocambolesca si dirige in Sicilia. A Siracusa rimane, sull’altare del Santuario di Santa Lucia al Sepolcro, una grande tela con Il seppellimento di Santa Lucia. A Messina realizza l’Adorazione dei pastori e la Resurrezione di Lazzaro (entrambi al Museo Regionale), mentre a Palermo, per l’Oratorio di San Lorenzo, esegue la Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, trafugata - pare su commissione mafiosa - in una piovosa notte di ottobre del 1969 e mai ritrovata (l’Fbi l’ha inserita nella lista mondiale dei dieci capolavori rubati più importanti, con un valore stimato di oltre 20 milioni di dollari).

A sinistra, Cena di Emmaus, 1606 olio su tela; Milano (IT), Pinacoteca di Brera © Pinacoteca di Brera, Milano-MiC

In basso, Davide con la testa di Golia 1606-1610, olio su tela; Roma (IT) Galleria Borghese, ph. M. Coen © Galleria Borghese

Scompare la Natività e scompare Caravaggio dall’isola, diretto nuovamente a Napoli, ospite di Costanza Colonna. Ma il desiderio è di rivedere Roma. Il Martirio di sant’Orsola, dipinta per il genovese Marcantonio Doria, è probabilmente l’ultimo quadro di Caravaggio. Lo si può ammirare in mostra, ma normalmente è custodito a Napoli, alle Gallerie d’Italia. Il San Giovanni Battista, una delle tele che portò con sé sulla feluca diretta a Roma, ha raggiunto il Davide con la testa di Golia alla Galleria Borghese. Un’opera nata come supplica al pontefice per ottenere il perdono, che ottenne nel 1610 come testimonia un avviso del 31 luglio conservato alla Biblioteca Apostolica Vaticana: “È morto Michel Angelo da Caravaggio pittore cellebre a Port’Hercole mentre da Napoli veniva a Roma per la gratia da Sua Santità fattali dal bando capitale che haveva”.

Caravaggio 2025 è l’eccezionale mostra allestita a Palazzo Barberini nell’anno giubilare, una monografica dedicata all’artista che rivoluzionò la storia dell’arte occidentale, moderno e universale, che continua a parlare a tutti. Una folla di visitatori ha invaso le sale dell’esposizione, a cura di Francesca Cappelletti, Maria Cristina Terzaghi e Thomas Clement Salomon, per ammirare i 24 capolavori straordinariamente concessi in prestito dai più prestigiosi musei nazionali e internazionali come I Musici del Metropolitan di New York, I Bari oggi in Texas e Santa Caterina di Alessandria, proveniente da Madrid. Inedito il confronto tra le due versioni del ritratto di Maffeo Barberini, futuro papa Urbano VIII, provenienti entrambe da collezioni private, che apre a una riflessione sulla produzione ritrattistica di Caravaggio che dovette essere molto vasta e stimata, anche se poche sono le testimonianze arrivate fino a noi. Il percorso si snoda tra le importanti commissioni pubbliche romane (in mostra la prima versione della Conversione di Saulo per la cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi) e napoletane, in anni in cui realizza l’Ecce Homo ritrovato nel 2021, La cattura di Cristo di Dublino e il San Giovanni Battista di Kansas City, e si chiude approfondendo l’ultima fase della produzione dell’artista, animato dal costante desiderio di tornare a Roma: dal David con la testa di Golia (un suo autoritratto) al Martirio di Sant’Orsola, dipinto pochi giorni prima del suo ultimo tragico viaggio. Ci siamo fatti raccontare la mostra dalla curatrice, Maria Cristina Terzaghi, con la raccomandazione di «farsi un regalo e andare a vederla, un’ora di gioia pura!». Professoressa, perché una mostra su Caravaggio, nel 2025? Per prima cosa, perché dentro la bellezza non c’è mai fine. È come dire,

CARAVAGGIO 2025 A ROMA LA MOSTRA EVENTO

DEL GIUBILEO

A Palazzo Barberini anche opere inedite o poco visibili Abbiamo incontrato Maria Cristina Terzaghi, curatrice «Un artista pienamente immerso nel suo tempo»

di Serena Colombo

perché rileggiamo Dante? In secondo luogo, in questi ultimi quindici anni ci sono state scoperte che hanno rivoluzionato il nostro modo di vedere il percorso di Caravaggio, fin dagli esordi. Inoltre, in mostra sono esposte opere inedite o poco visibili, come l’Ecce Homo, scoperto a Madrid nel 2021, e il Ritratto di Maffeo Barberini, pubblicato da Longhi nel 1963 e finalmente recuperato alla vista del pubblico. Come è cambiata la percezione che abbiamo di Caravaggio negli ultimi anni?

Gli studi recenti ci hanno permesso di assestare alcune cronologie, in particolare quella dell’arrivo di Caravaggio a Roma che dal 2011 abbiamo posticipato di circa un anno. Questo significa che ci sono tutta una serie di opere che pensavamo scalate nell’arco di tre o quattro anni, la cui esecuzione

si concentra invece nel giro di un paio d’anni. Qualsiasi artista proveniente dal Nord, se voleva affermarsi a Roma, frequentava le botteghe locali e dipingeva teste di santi, imperatori e uomini illustri. Caravaggio lo fa lavorando in modo quasi febbrile, la mattina in una bottega e la sera in un’altra. Lo testimoniano anche le fonti; ad esempio, ci è chiara oggi l’affermazione di Karel van Mander che nel 1604 diceva «tutto afferrando come chi vuole emergere». Quadri come la Buona ventura, I Bari e I Musici, esposti in mostra, testimoniano questo procedimento esecutivo e segnano il momento in cui, come dicono i biografi, «prova a stare da sé stesso», quindi cerca di mettersi in proprio. Un percorso eccezionale, il suo (era geniale e i contemporanei se ne sono accorti subito), all’interno di una prassi normale.

© ALBERTO NOVELLI & ALESSIO PANUNZI

Inoltre, si è evoluta l’idea del pittore maledetto in lotta con la società del suo tempo: non è stato così. Di tutte le opere pubbliche eseguite da Caravaggio ne è stata rifiutata una soltanto, La morte della Vergine, respinta poi, per ben due volte, anche a Carlo Saraceni. Non era quindi un problema di artisti ma della committenza. Sicuramente Caravaggio fu un artista borderline, che ha avuto molto a che fare con la giustizia, cosa che non era una norma, pur in una città molto violenta come Roma nel Seicento. Insomma, il quadro che abbiamo è quello di un’artista pienamente immerso nel suo tempo, che quando ha sbagliato ha cercato tutta la vita di ottenere il perdono del Papa: avrebbe potuto tranquillamente abitare a Napoli senza più incorrere in problemi di giustizia; invece, ha cercato di tornare a Roma, che evidentemente sentiva essere “la sua casa”. Ci racconta la vicenda che ha visto protagonista l’ Ecce Homo di Madrid?

L’Ecce Homo era in collezione privata e andò in un’asta che si doveva tenere nell’aprile del 2021 a Madrid. Eravamo ancora in epoca Covid, si circolava pochissimo. Quando l’immagine venne divulgata raggiungendo la comunità scientifica internazionale, alcuni studiosi hanno fiutato la possibilità che si trattasse di un capolavoro. Io sono stata l’unica a sfidare la pandemia e a volare a Madrid prima che il quadro fosse tolto dall’asta, e quindi dalla vista pubblica, e scomparisse per i tre anni che sono stati necessari al compimento della storia commerciale dell’opera. Ho potuto appurare, ripercorrendo tutta la vicenda a ritroso, che l’Ecce

Homo era stato portato in Spagna dal viceré di Napoli, il Conte di Castrillo, tra il 1657 e il 1659, e che probabilmente fu donato o addirittura comprato appositamente per Filippo IV che si approvvigionava di dipinti a Napoli attraverso il Castrillo. Quando andò all’asta era attribuito alla cerchia di Ribera e aveva un valore base d’asta di 1.500 euro: poi su tutti i giornali è stato scritto che l’opera è stata venduta a 36 milioni. Su questa vicenda è stato girato un documentario dal regista spagnolo Àlvaro Longoria, Il Caravaggio perduto (una coproduzione italiana con Fandango), che racconta passo dopo passo - come un thrillertutte le vicende della riscoperta dell’opera e della sua attribuzione da parte della sottoscritta e di altri studiosi. Qual è stato il lascito di Caravaggio?

È stato un lascito straordinario. Dal punto di vista della professione dell’artista, con Caravaggio viene centuplicata l’idea - tutta moderna - di un artista che può lavorare espressamente per il mercato e non solo per un mecenate o un committente. Dal punto di vista tecnico, Caravaggio ha introdotto la libertà di lavorare senza l’ausilio del disegno

In apertura, San Giovanni Battista 1604-1606, olio su tela; Roma (IT) Gallerie Nazionali di Arte Antica Galleria Corsini. A sinistra, San Giovanni Battista nel deserto, 1604, olio su tela; Kansas City (Usa), The Nelson Atkins Museum, Nelson-Atkins Digital Production & Preservation

come strumento di ideazione ma con l’ausilio del modello, cioè dipingendo con il modello davanti.

Questo non significa che Caravaggio non sia un pittore colto, conosceva molto bene i lavori anche degli altri grandi maestri, ma decide di introdurre una strada diversa. L’altra novità tecnica Caravaggio è stato il colorito e cioè l’uso di chiaroscuri accentuati. Il fondo scuro si era visto a Venezia ma non era mai stato praticato in questo modo. Al lume diurno, come diceva Pasolini, o zenitale del Rinascimento, Caravaggio ha sostituito il lume notturno. Questa è una rivoluzione sicuramente straordinaria. Cosa significa che la poetica di Caravaggio si incentra su vero e umano?

Vero e umano sono le due categorie senza le quali non si può comprendere l’opera di Caravaggio. Vero perché l’idea di prendere direttamente dal modello avvicina la pittura a un’esperienza reale. Umano perché a Caravaggio interessa soprattutto la figura umana, nei suoi quadri ci sono pochissimi paesaggi e la natura morta che troviamo nelle prime opere a poco a poco viene meno per concentrarsi sulla rappresentazione dell’uomo e dell’espressione dell’animo umano. Queste caratteristiche hanno commosso da sempre chi è entrato in contatto con le sue opere, e forse proprio per questo è sempre stato percepito come moderno, tanto che i contemporanei dicevano: «La sua è una maniera (cioè uno stile) meravigliosamente adatta per essere seguita dai giovani».

PALAZZO BARBERINI LÌ DOVE È NATO IL BAROCCO

Simona Ciofetta, storica dell’arte, ci accompagna in via delle Quattro Fontane a Roma, dove ha sede uno dei luoghi più simbolici della Capitale che - fino a luglio - ospita Caravaggio 2025

Alberto Sordi diceva che «Roma non è una città come le altre, è un grande museo, un salotto da attraversare in punta di piedi». Ed è proprio tra le sue strade che si incontra la bellezza di un passato lontano, oratore di una storia sempre eterna. Tra i tesori della città, tanti sono i luoghi simbolo, testimonianze di capolavori architettonici e artistici: su tutti c’è Palazzo Barberini che - da marzo a luglio - ospita la mostra Caravaggio 2025. Con Simona Ciofetta, storica dell’arte, entriamo in una delle costruzioni più antiche della città.

Palazzo Barberini è considerato un capolavoro dell’architettura barocca a Roma. Può spiegare cosa lo rende così eccezionale? È a Palazzo Barberini che nasce il barocco. Questo edificio ha origine da una eccezionale coincidenza tra l’intuizione e la sensibilità del committente e l’opera di quelli che saranno i protagonisti del barocco romano: rappresenta un momento di passaggio verso una nuova visione artistica e architettonica. Il grandioso complesso, in parte ridimensionato dopo l’unità d’Italia, fu concepito quale rappresentazione del

coronamento dell’ascesa della famiglia con l’elezione al papato di Maffeo Barberini, colto mecenate delle arti e della letteratura e poeta egli stesso, con il nome di Urbano VIII.

Perché è un luogo da visitare anche quando sarà finita la mostra di Caravaggio?

Almeno per due ottime ragioni. Il Palazzo è sede delle Gallerie Nazionali, insieme a Palazzo Corsini. Con la donazione allo Stato della collezione Corsini nel 1883 nacque l’idea di fondare a Roma, nuova capitale, una Galleria Nazionale degna delle grandi capitali europee. Dalla fondazione nel 1895 si aggiunsero nel tempo numerose altre donazioni, tanto che fu necessario cercare una nuova sede. Il luogo prescelto fu Palazzo Barberini, acquistato dallo Stato nel 1949 e inaugurato nel 1953. Oggi, mentre Palazzo Corsini è sede dell’originaria quadreria settecentesca di quella famiglia, Palazzo Barberini ospita una vasta collezione che illustra il percorso dell’arte italiana dal Duecento al Settecento. Il Cinquecento e il Seicento sono i secoli più rappresentati, con nomi che vanno da Raffaello a Tintoretto per giungere allo stesso Caravaggio e ai caravaggeschi, a Bernini, Poussin, Pietro da Cortona. Ma non va dimenticato che lo stesso complesso architettonico del palazzo è un’opera d’arte imperdibile.

Qual è la sua storia?

Poco dopo l’elezione al pontificato di Urbano VIII, i Barberini acquistarono il palazzo Sforza, un edificio cinquecentesco prospiciente l’attuale piazza Barberini, e allo stesso tempo si assicurarono un’ampia area di terreni. La zona era, a quel tempo, al limite della città e si prestava alla realizzazione di una grandiosa villa suburbana. All’architetto Carlo Maderno si deve il progetto del nuovo edificio, con una soluzione ingegnosa e innovativa: al precedente palazzo si aggiunge simmetricamente una nuo-

va ala e tra le due parti viene inserito un grande corpo porticato, ottenendo così una costruzione ad ali aperte che si compenetra con l’ambiente naturale del parco. Alla morte di Maderno gli succede Gian Lorenzo Bernini, che prosegue il progetto ideando il grande salone a doppia altezza e l’attigua sala ovale, la grande loggia vetrata del corpo centrale in continuità con il portico sottostante, lo scalone quadrangolare contrapposto a quello elicoidale di Francesco Borromini, che aveva lavorato nel cantiere con lo zio Maderno e che disegna probabilmente anche le finestre del piano nobile. In tal modo venne creato un grandioso palazzo-villa, rispondente al desiderio di Urbano VIII di avere una vera reggia per la sua famiglia. Quali nomi sono più legati al Palazzo e perché? Sia a livello architettonico che artistico. All’architettura del palazzo contribuiscono personalità che segnano la nascita di un nuovo stile. Maderno è una figura fondamentale nella transizione dalla tradizione classica cinquecentesca verso una nuova concezione dello spazio, un passaggio che viene colto e sviluppato da Bernini, attore principale del barocco e protetto di Urbano VIII. Anche la presenza di un Borromini ancora non pienamente affermato è molto significativa. Ma nel palazzo opera anche il terzo grande protagonista del barocco, Pietro da Cortona, autore della spettacolare volta affrescata del salone con il Trionfo della Divina Provvidenza nonché del progetto del teatro, ora distrutto. Non possono essere dimenticati i nipoti del pontefice: il cardinale Francesco, colto collezionista che impiantò nel palazzo una celebre biblioteca, e il cardinale Antonio, che condivise con il fratello maggiore Francesco l’interesse per il giardino, ricchissimo di specie botaniche rare, progettato con la consulenza di uno studioso del calibro di Cassiano dal Pozzo.

A sinistra, Riccardo Scamarcio in L’ombra di Caravaggio, di Michele Placido (2022) Sotto, Alessio Boni in Caravaggio, di Angelo Longoni, miniserie televisiva del 2008
In basso, Nigel Terry e Sean Bean in Caravaggio, di Derek Jarman (1986)

IL MITO DEL ‘BAD BOY’

NELLA LETTERATURA DEL TARDO RINASCIMENTO

Caravaggio fu superato nell’arte da una sola cosa la sua vita. E proprio questa ha attirato l’attenzione e la fantasia di chi lo ha trasportato sulle pagine di libri e romanzi

Per uno strano scherzo del destino i genitori di Caravaggio si chiamavano Fermo e Lucia, proprio come i protagonisti della prima stesura de I Promessi Spo si di Manzoni. Ma questo non è l’unico collegamento indiretto fra l’artista e lo scrittore. Anche la figura del cardinale Federico Borromeo, personaggio chiave del romanzo ottocentesco, è legata a Caravaggio. Borromeo - vissuto tra il 1564 e il 1631 - non fu solo uomo di chiesa ma anche un grande collezionista: tra le opere che si era procurato c’era anche la famosa Canestra di frutta che il pittore realizzò verso il 1596. Dipinto che, tra l’altro, ancora oggi è nella Biblioteca e Pinacoteca Ambrosiana di Milano, istituzione fondata proprio dal cardinale. Al di là del sottile filo rosso che unisce Manzoni a Caravaggio, la fama dell’artista ha varcato i confini di gallerie e musei per approdare nella letteratura, diventando soggetto ricorrente in biografie romanzate, saggi critici, poesie. Pasolini, ad esempio, fu così affascinato dalla sua figura da dedicargli un saggio, La luce di Caravaggio, elaborato nel 1974 e dato alle stampe, postumo, un quarto di secolo dopo. “Tutto ciò che io posso sapere

intorno al Caravaggio - scriverà Pasolini all’inizio dello stesso saggio - è ciò che ne ha detto Longhi. È vero che il Caravaggio è stato un grande inventore, e quindi un grande realista. Ma che cosa ha inventato il Caravaggio? Nel rispondere a questa domanda che non mi pongo per pura retorica, non posso che attenermi a Roberto Longhi”. Di Longhi, uno dei più grandi storici dell’arte che il nostro paese abbia mai avuto, Pasolini aveva avuto modo di seguire le lezioni tra il 1941 e il 1942 presso l’Università di Bologna. Un incontro che aveva lasciato il segno e che creò sovrapposizione tra le ‘scandalose’ vite di entrambi, tra i giovani dipinti dal Merisi e i ragazzi di vita di Pasolini. Entrambi sempre immersi tra chi era ai margini della società: prostitute, assassini e ladri il primo; poveri, emarginati e gente di borgata il secondo. Impossibile che non scoppiasse la scintilla dell’attrazione.

Un salto indietro nel tempo e scopriamo che l’amicizia con il napoletano Giovan Battista Marino fu per Caravaggio il passepartout per il mondo della poesia. Marino - anche lui vissuto a cavallo tra ’500 e ’600fu il più importante esponente della nuova poesia Barocca. Strinse ami-

cizia con moltissimi pittori, ma con il nostro aveva un’affinità elettiva. Perché anche lui era un irrequieto al pari di Caravaggio. Si conobbero al servizio del cardinale Pietro Aldobrandini. Una frequentazione breve ma intensa, un’amicizia sincera, piena di ammirazione, avvenuta nella Roma di Clemente VIII tra il 1600 e il 1605. ‘Amicissimi’ li definirà lo storico dell’arte Giovan Pietro Bellori (1613-1696). In effetti, nella Galeriauna raccolta di oltre seicento componimenti - troviamo un sonetto in lode di un ritratto che Caravaggio fece a Marino e un madrigale che celebra il famoso tondo con la testa di Medusa, oggi agli Uffizi. Il pittore viene ricordato anche nel poemetto Il Tempio e poi nell’Adone In quest’ultimo gli dedica ben quattro versi, molto più delle rapide menzioni riservate agli altri pittori. Dopo la scomparsa dell’amico Marino, scriverà lo struggente In morte di Michelagnolo da Caravaggio. La reputazione di “bad boy” di fine Rinascimento, di artista ribelle e provocatore, ha di certo aggiunto fascino alla figura di Caravaggio (a cui è stato dedicato un numero infinito di monografie e studi). La sua personalità

dai tratti chiaro scuri, come la tecnica che usava, ha ispirato - tra gli altri - Peter Robb, autore di M. L’enigma Caravaggio, biografia che si legge come un romanzo ma che non si può proprio definire una biografia tradizionale. Semmai un tentativo di svelare parte dell’enigma che si nasconde dietro la morte del pittore. Anche Ruggero Cappuccio, nel suo testo teatrale Le ultime sette parole di Caravaggio, rievoca e reinventa la morte del pittore in un’atmosfera delirante e

poetica. Ambientato nel luglio 1610, il pittore appare su una spiaggia desolata con il servo Tropea. Ogni dialogo sembra uno scambio tra Don Chisciotte e Sancho Panza. A cercarlo per ucciderlo sono le ‘femminote’, un gruppo di zingare provenienti dal Sud Italia, pagate per avvelenarlo. Un biglietto, un casale sperso nella campagna e un misterioso diario autografo. Sono questi, invece, gli elementi principali de Il colore del sole, giallo scritto da Andrea Camilleri sull’ultima parte della vita del pittore. Il papà del Commissario Montalbano abbandona per un momento le strade, le storie e i personaggi di Vigata per scrivere un giallo in cui è proprio luil’autore - il protagonista.

La trama: Camilleri è a Siracusa per assistere a uno spettacolo nell’antico teatro greco quando qualcuno gli infila in tasca un biglietto con un numero di telefono. Dovrà contattarlo da una cabina pubblica. Impossibile non indagare. Tra misteri sempre più fitti e inquietanti lo scrittore si ritroverà fra le mani il diario di Caravaggio del periodo trascorso a Malta e in Sicilia, nell’estate del 1607. Tra le pagine l’ossessione dell’artista per il “sole nero”, simbolo della sua condizione di vita e della sua poetica.

I Bari, 1595 c.a., olio su tela
Kimbell Art Museum, Fort Worth (Usa) © Kimbell Art Museum, Fort Worth, Texas

A ROVIGO SI PARLA DI SALUTE

DESTRO: «VOGLIAMO MIGLIORARE

IL BENESSERE DEGLI ASSOCIATI»

Quattro gli appuntamenti promossi dall’associazione provinciale che, da marzo a giugno, saranno occasione di formazione e apprendimento. L’iniziativa è realizzata in collaborazione con Confcommercio e Cupla

‘Incontri sulla salute’. È questo il titolo dell’iniziativa promossa da 50&Più Rovigo, in collaborazione con Confcommercio e Cupla. Il progetto, avviato lo scorso 19 marzo, sarà attivo fino al prossimo 19 giugno: tutti gli appuntamenti si svolgono all’interno della sede dell’associazione provinciale, in viale del Lavoro. «Il nostro obiettivo è sensibilizzare i soci sul tema della prevenzione attraverso incontri con esperti di settore e specialisti», spiega Giancarlo Destro, presidente di 50&Più Rovigo. I temi della rassegna - individuati dal professor Roberto Turrini, medico di base - spaziano da argomenti legati a malattie specifiche ad aggiornamenti più tecnici e burocratici. Agli ‘Incontri

sulla salute’ si parla di Diabete Mellito e di Mammografia, Pap Test, Ricerca sangue occulto; si parla anche di novità del Sistema Sanitario Nazionale e di vaccinazioni nella Terza età. Il primo appuntamento dello scorso 19 marzo ha visto relatore Francesco Mollo, medico, ex Primario Unità Operativa Complessa di Diabetologia Ospedale Civile di Rovigo: Diabetologo e Medicina del Ricambio. Durante l’incontro, Mollo ha snocciolato alcuni dati: sono 4 milioni le persone con diabete in Italia. A questi numeri va ad aggiungersi un incremento di 350.000 nuovi casi l’anno, con incidenza di circa il 6% della popolazione italiana. Nella stessa occasione è stato presentato anche un focus sull’impatto

sociale: già perché il numero di ricoveri è in aumento, come sono in aumento la quantità di farmaci consumati dai pazienti diabetici e il numero delle visite. In questo scenario, i tempi di degenza risultano sempre più lunghi rispetto ad un paziente non diabetico, pertanto, «la malattia è estremamente impattante sul Sistema Sanitario Nazionale, motivo per cui la prevenzione diventa più importante della cura stessa», fanno sapere i promotori dell’appuntamento. «In Veneto, dalla relazione regionale del 2024 riferita ai pazienti del 2023, si registra una incidenza maggiore della media nazionale, perché l’attività amministrativa in Veneto è superiore alle altre regioni, quindi il censimento dei casi è più accurato. Circa 300.000 le persone con diabete, con il 60% dei pazienti con altre patologie associate», hanno aggiunto dalla 50&Più Rovigo. «Parlare di salute è sempre più importante - ha concluso Destro -. Sono sufficienti piccoli accorgimenti per migliorare la qualità della vita». Gli appuntamenti nell’ambito dell’iniziativa: il 16 aprile, “Screening: Mammografia, Pap Test, Ricerca sangue occulto”; il 28 maggio, “Le novità del S.S.N.” - in replica a Porto Viro (RO) il 18 giugno -; il 19 giugno, “Le vaccinazioni nella Terza età”.

COME FARE PER STIMOLARE LA VITA DI COPPIA

Una combinazione di speciali ingredienti può contribuire al rinvigorimento della vitalità maschile

Quando nei momenti di intimità le cose non funzionano come dovrebbero, la maggior parte degli uomini si lascia prendere dallo sconforto. Ormai è un dato di fatto: è difficile trovare una persona di sesso maschile che non abbia mai dovuto affrontare un inconveniente del genere! Anche se si tratta di un problema piuttosto diffuso, sono pochi gli uomini che parlano apertamente dei loro disturbi di natura sessuale. In Italia, si stima che ne siano affetti circa tre milioni di uomini, tra cui un numero crescente di giovani.1 Negli uomini più avanti con gli anni, per esempio, possono verificarsi cambiamenti di natura biologica e fisiologica a livello ormonale e di sistema nervoso, come una carenza di testosterone. Nelle persone più gio-

vani, la pressione psicologica subita a livello sociale, gioca spesso un ruolo importante.

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scegliere i nutrienti giusti Molti preparati chimici promettono di rimediare alla questione. Tuttavia, questi composti non sono indicati per l'automedicazione, poiché un dosaggio troppo elevato aumenta soprattutto la probabilità che si verifichino effetti collaterali. Un altro punto riguarda anche il non limitare la spontaneità nei momenti di intimità.

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A differenza di molti altri composti, Neradin può essere consumato in qualsiasi momento, così da non compromettere l'atteggiamento disinvolto, che nei momenti di intimità è la cosa più importante. Neradin è inoltre ben tollerato.

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giro per il mondo

DA VINCI E L’ARTE DELLA GUERRA SUBACQUEA

Realizzato solo nel 1951 un progetto rivoluzionario nascosto nel Codice Atlantico che sfidò i limiti della scienza medievale

Nel vasto universo delle invenzioni di Leonardo da Vinci, una delle più affascinanti e meno conosciute è sicuramente quella di un dispositivo progettato per operazioni militari subacquee. Questa sorta di scafandro da palombaro, descritto con cura nel foglio 909 del Codex Atlanticus e conservato presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, rappresenta un esempio straordinario dell’ingegno leonardesco applicato all’arte della guerra. Il disegno, risalente ad un periodo tra il 1485 e il 1487, raffigura un equipaggiamento in cuoio, dotato di tubi per la respirazione realizzati in canna e rinforzati con anelli d’acciaio per resistere alla pressione dell’acqua. Ma è nei particolari tecnici che si manifesta la creatività di Leonardo: il dispositivo raffigura una sorta di armatura che proteggeva l’intero corpo, con un elmetto dotato di due finestre trasparenti per consentire la visibilità e un meccanismo per l’immissione e l’espulsione dell’aria. Completavano l’attrezzatura, oltre la giubba, dei pantaloni, un otre per la minzione e un galleggiante a forma di campana per mantenere le aperture di respirazione sopra il livello dell’acqua. Un’innovazione che anticipava di almeno tre secoli le tecnologie subacquee moderne. Dagli appunti, pare che l’obiettivo principale dello scafandro fosse quello di consentire ai sommozzatori di avvicinarsi furtivamente alle navi nemiche per sabotarle. Il progetto, però, rimase solo su carta per secoli. Fino al 1951, quando l’ingegnere Luigi Tursini decise di realizzare un modello basato sui disegni leonardeschi, dimostrando la piena fattibilità del progetto rinascimentale. L’esemplare è attualmente esposto al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano, nella sezione dedicata alle invenzioni del genio toscano. La realizzazione di Tursini offre una testimonianza tangibile della lungimiranza di Leonardo e della sua capacità di anticipare soluzioni tecnologiche che sarebbero divenute realtà solo molti anni dopo.

IL MISTERO DEI CERCHI

Nel deserto del Namib, in Namibia, si trovano i misteriosi “Cerchi Fatati”, piccole isole regolari di sabbia spoglia, circondate da erba alta e rigogliosa (visibili anche dallo spazio). Si pensa siano opera di termiti della sabbia che, scavando nel terreno dei tunnel, favoriscono la raccolta e la conservazione dell’umidità sotterranea.

TATUAGGI DI BUONA SORTE

Nel XIX secolo, i marinai segnavano le tappe dei loro viaggi con inchiostro sulla pelle: uno alla partenza, uno all’arrivo e uno al ritorno. Avere un numero dispari di tatuaggi era simbolo di un viaggio completato, mentre un numero pari presagiva sventura. Questa credenza si è trasformata da usanza marinaresca a curioso portafortuna.

IL LATO OSCURO DEL PARADISO TROPICALE

La Mancinella, originaria delle zone costiere tropicali delle Americhe, è chiamata anche “albero della morte”. Un contatto con la sua linfa provoca ustioni, un morso dei suoi frutti può essere fatale. E il fumo, generato dalla combustione della corteccia è un pericolo per gli occhi. Un vero monito della natura.

Iniziative

BIBLIOTERAPIA

QUANDO I LIBRI CURANO L’ANIMA

Ilibri come occasione di crescita, come momento in cui prendersi cura di sé. Si basa su questo aspetto terapeutico, del libro e della lettura, la biblioterapia, una tecnica che inserita in percorsi di psicoterapia o in ambiti educativi e formativi, può diventare un prezioso alleato contro tanti malesseri emotivi.

La lettura di un libro diventa uno strumento capace di aiutare il lettore, o il paziente, ad aprire la mente al cambiamento. «Quello che è terapeutico, nella biblioterapia, è l’utilizzo che si fa del libro e della lettura. Una lettura che deve essere scelta e guidata, e anche integrata dalla presenza di un terapeuta o un educatore o un operatore formato», chiarisce la dottoressa Rosa Mininno, psicologa, psicoterapeuta, fondatrice nel 2015 della prima Scuola di Biblioterapia, la S.I.Bi.L.L.A, e del primo sito italiano dedicato al tema. «Anche la nostra vita è una narrazione. Per questo io parto sempre dall’autobiografia: all’inizio faccio scrivere la propria auto-

Rosa Mininno

psicologa e psicoterapeuta

fonda S.I.Bi.L.L.A nel 2015 «Anche la nostra vita è una narrazione per questo parto sempre dalla biografia»

biografia, per capire quali punti la persona mette in evidenza di sé stessa. E poi, si parte da lì - spiega la dottoressa Mininno, che ha iniziato ad occuparsi di biblioterapia nella sua professione nel 1998 -. Il libro, a quel punto, è uno strumento che aiuta a fare emergere aspetti che magari non sarebbero mai venuti fuori. Quando leggiamo, infatti, si attivano alcune zone e funzioni del cervello, come le emozioni, la memoria e il ricordo. Ed è come se stessimo vivendo quelle situazioni. La potenza della lettura è proprio questa».

La scelta del genere letterario diventa fondamentale per attivare nel lettore, fruitore della biblioterapia, l’immedesimazione e per sviluppare una maggiore empatia. «La biblioterapia funziona in base all’immedesimazione che la persona ha con la storia e i personaggi. Un personaggio può piacere perché magari ha aspetti che coincidono con i propri o che si desidera avere, o può non piacere perché si riconoscono in lui aspetti che non ci piacciono ma che abbiamo. Proprio per questo serve l’interazione con un esperto, con un terapeuta che acco-

di Anna Giuffrida
Rosa Mininno, fondatrice della S.I.Bi.L.L.A

glie e che non giudica - aggiunge Rosa Mininno -. Non si tratta semplicemente di consigliare un libro, quella è la promozione della lettura che può fare chiunque, senza particolari prescrizioni. Si tratta invece di fare un percorso, e la difficoltà sta anche nello scegliere il libro adatto al momento che la persona sta vivendo, e all’obiettivo che si vuole raggiungere. In casi di abuso, di violenza o mobbing, ad esempio, io proporrei narrativa o teatro, o poesia. Ma sono anche utili le biografie e i libri che io definisco ‘di testimonianza’, scritti da persone che hanno vissuto il problema e che, raccontando la loro esperienza, spiegano che da quella sofferenza si può uscire». Ma ci sono anche generi di letture che nella biblioterapia sono sconsigliati, come l’horror, «perché il rischio, soprattutto nei giovani, è l’emulazione di alcune azioni, e per evitarlo serve un equilibrio psicologico che alcuni in certe fasi della vita non hanno», precisa Rosa Mininno. Ma la biblioterapia non è solo destinata alla cura, può essere utilizzata anche come strumento di accudimento della persona, dai bambini agli anziani. È il caso della biblioterapia educativa e della formazione, condotta da insegnanti formati all’utilizzo di questa tecnica e da operatori specializzati, che la praticano in vari contesti e luoghi di lavoro. Il libro diventa un ponte per educare alla legalità e all’affettività, magari con l’uso di fumetti e manga, e per affrontare stati d’ansia o le nuove dipendenze da social e cellulari. Ma anche per migliorare l’empatia, «un’abilità importante che oggi scarseggia. Quel mettersi al posto dell’altro per capire le sue ragioni, le sue emozioni, senza confondersi con l’altro. Anche per questo facciamo leggere, per sviluppare questa capacità», chiosa la dottoressa Mininno.

Dal Centro per il libro e la lettura alle scuole di specializzazione in Psicoterapia, passando per le università, la

«L’interazione con un esperto serve per avviare un percorso e la difficoltà sta anche nello scegliere un libro adatto al momento che la persona sta vivendo»

biblioterapia in Italia si sta lentamente diffondendo, coinvolgendo, in certi casi, anche le biblioteche e le strutture sanitarie. Come il progetto promosso dall’Università Sapienza di Roma, ‘Come in uno specchio: il lettore che si legge’, animato dall’idea di riassegnare ai libri “un ruolo pratico di sostegno, supporto e confronto, riaffermando il rapporto diretto che c’è tra racconto ed esperienza e di fatto riconoscendo alle biblioteche la funzione di veri e propri operatori culturali e sociali”, come si legge nel progetto.

I libri, la lettura sono spazi di condivisione, come lo è la biblioterapia che nelle esperienze di gruppo viene abbinata ai benefici della lettura ad alta voce. «Leggendo ad alta voce facciamo un esercizio di esposizione. Ma anche di ascolto, che serve a chi legge e anche a chi ascolta», dice la dottoressa Mininno. Un’esperienza che diventa un circolo virtuoso, per tutte le persone coinvolte. «Aggiungo che la biblioterapia non fa bene solo ai fruitori, ma anche agli stessi operatori», conclude Rosa Mininno.

Sopra, la dottoressa Mininno durante un convegno dedicato al tema “biblioterapia e disturbi del comportamento alimentare”

SE IL LAVORO FA STARE MALE CRESCE IL BURNOUT E COLPISCE SOPRATTUTTO GLI OVER 50

Secondo il recente Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, il 25% dei lavoratori dipendenti ha vissuto spesso situazioni di stress e ansia legati al lavoro. Ed è (anche) un fatto generazionale

Il parere di due esperti, Francesco Pace e Luca Pieti di Chiara Ludovisi

Il lavoro può far male. E spesso lo fa. Un lavoratore dipendente su 4 ha infatti dichiarato di aver vissuto spesso situazioni di stress o ansia legate al lavoro, e la stessa percentuale lamenta di non essere riuscita a bilanciare come avrebbe voluto vita lavorativa e vita privata. Non solo: il 31,8% dei lavoratori dipendenti riferisce di aver provato sensazioni di esaurimento, estraneità o sentimenti negativi nei confronti del proprio lavoro. Un’esperienza comune a giovani e meno giovani e che riguarda, in particolare, il 23% degli over 50. Sono i dati diffusi a fine febbraio scorso dall’8° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, che dedica alle “fatiche del lavoro” un intero capitolo. Dati che impressionano e che interrogano, specialmente nel mese in cui

- il 28 aprile - si celebra la Giornata Mondiale della Sicurezza e della Salute sul Lavoro. Ne parliamo con Francesco Pace, past president di Siplo (Società Italiana di Psicologia del Lavoro e dell’Organizzazione) e docente presso l’Università di Palermo.

Pace, è vero che il cosiddetto ‘burnout’ è in crescita?

Sì, se non altro perché oggi si parla di burnout anche in relazione a professioni che non hanno un carico emotivo particolare, quali quelle sanitarie o delle forze dell’ordine. Siccome la componente relazionale ed emotiva è aumentata, si riconosce e segnala il burnout anche in altri ambiti professionali. Direi che, come spesso capita, la crescita del burnout è dovuta anche all’aumento di consapevolezza rispetto al disagio. In realtà la sofferenza al la-

voro c’è sempre stata ed ha a che fare con il sovraccarico di responsabilità, senza che questa sia controbilanciata da risorse e riconoscimenti economici e professionali. Oggi però le persone vogliono stare meglio, sono più consapevoli e quindi identificano e segnalano più facilmente il disagio sul lavoro. In molti casi poi, non siamo di fronte a un vero e proprio stato di burnout, ma piuttosto a una condizione di rischio, che come tale deve essere accolta e trattata.

In che modo?

Con la prevenzione: credo che questo sia lo strumento fondamentale. Il burnout è una sindrome e può portare a un disagio anche importante. Prevenire significa riconoscere nelle persone questi bisogni emotivi e relazionali e creare quel controbilan-

ciamento che manca, soprattutto in termini di partecipazione e coinvolgimento. In Italia la consapevolezza dell’importanza della salute mentale è ancora troppo bassa, per cui le aziende difficilmente sanno affrontare questo disagio. Anche le risposte che vengono offerte in termini di riconoscimento, significatività e feedback in generale sono spesso fredde e artificiali. Per esempio, l’azienda che racconta ai suoi dipendenti cosa intende fare non sta creando un vero coinvolgimento, ma sta solo tentando di mettere una ‘toppa’, per così dire, incapace però di riparare in profondità la distanza esistente. Sicuramente stiamo facendo passi avanti nel riconoscimento del problema, ma le prassi sono ancora acerbe: dovremmo guardare alla Scandinavia, all’O-

landa, alla Germania, per trovare esempi virtuosi a cui ispirarci. Con Luca Pieti, psicologo del lavoro e delle organizzazioni, consulente e formatore, esperto di risorse umane, parliamo dell’elemento generazionale. Pieti, è vero che il fenomeno coinvolge anche molti over 50? Mi capita sempre più spesso di incontrare persone che, intorno ai 50 anni, vogliono lasciare il lavoro o cambiarlo. O cambiare del tutto vita. Questo dipende dal fatto che la rappresentazione del mondo è cambiata e, soprattutto grazie a internet, la visione si è allargata e le possibilità si sono moltiplicate. Fino a qualche decennio fa, il lavoro era l’impegno principale della vita, che occupava gran parte del tempo e serviva per comprare la casa e mettere su famiglia, oggi le possibilità

e quindi le esigenze sono aumentate. E sono aumentate le responsabilità emotive, per esempio con un maggior coinvolgimento anche degli uomini nella vita familiare. Il burnout aumenta perché le richieste aumentano: chi ha poco spirito di adattamento rischia di sentirsi schiacciato.

Cosa fare, quindi, per non restare schiacciati?

Credo sia fondamentale lavorare su sé stessi, diventare consapevoli delle richieste ma anche dei proprio bisogni. E formarsi, per essere sempre pronti a rimettersi in gioco in un mondo che è cambiato e continua a cambiare. In questo, i giovani hanno molto da insegnare: loro tendono a difendersi da questo meccanismo totalizzante, dal lavoro che occupa tutto lo spazio di vita: stanno inventando nuovi modelli, che noi spesso chiamiamo disimpegno, ma forse sono il futuro.

Francesco Pace
Luca Pieti

Oltre 4mila sedi CAF sul territorio nazionale potranno offrire un nuovo servizio alla propria utenza, in qualità di Punti di ritiro SEND (Servizio Notifiche Digitali), grazie a un accordo siglato tra la Consulta Nazionale dei CAF e la società PagoPA - responsabile dello sviluppo e gestione della piattaforma Send. La convenzione tra la Consulta Nazionale dei CAF e PagoPA consente di rendere disponibili i cosiddetti “Servizi RADD” (Rete di Assorbimento del Divario Digitale istituita dalla normativa di SEND ai commi 20 e 22 bis dell’articolo 26 del Decreto legge 76/2020 e nel Decreto del Ministero per la Trasformazione Digitale del 8 febbraio 2022 n. 58.) ai destinatari di notifiche inviate tra-

NASCE LA RETE DEI “PUNTI DI RITIRO SEND”

IN OLTRE 4MILA SEDI CAF

La Consulta Nazionale dei CAF ha siglato una convenzione con PagoPA per offrire un nuovo servizio agli utenti, utile a consultare atti della pubblica amministrazione

Linda Lara, direttore 50&PiùCaf, spiega i vantaggi della modalità di assistenza nata con l’obiettivo di contrastare il “digital divide”

mite SEND, inclusi quelli in “digital divide”, per favorire l’accesso universale al servizio dando la possibilità di ritirare una copia stampata dei documenti notificati presso gli esercenti convenzionati. L’attivazione dei Punti di Ritiro SEND, inizialmente operativi presso oltre 4.000 CAF distribuiti sul territorio italiano, proseguirà estendendosi gradualmente ad altri operatori, in linea con l’adozione incrementale del servizio SEND che, lanciato nel luglio 2023, ha già gestito l’invio di 12,7 milioni di notifiche a cittadini e imprese per conto di circa 4.500 enti. «Questo progetto - commenta Giovanni Angileri, coordinatore della Consulta dei CAF - rappresenta un importante passo verso la digitalizzazione dei servizi offerti dai CAF, con

l’obiettivo di semplificare e rendere più accessibile la comunicazione tra le amministrazioni e i cittadini. In particolare, il servizio è pensato per ridurre il cosiddetto “divario digitale” verso chi potrebbe incontrare maggiori difficoltà nell’uso delle tecnologie e quindi nell’accesso ai servizi online. Grazie a questa soluzione, il circuito dei CAF in Italia offre una rete di sportelli fisici su tutto il territorio nazionale, dove i cittadini potranno ritirare in modo sicuro gli atti pubblici notificati digitalmente,

con pieno valore legale». Maurizio Fatarella, direttore generale di PagoPA, ha spiegato: «Con l’avvio della rete dei Punti di Ritiro presso i CAF, il servizio SEND si arricchisce oggi di una nuova modalità di accesso alle notifiche a disposizione dei cittadini. Questo offre un’alternativa di prossimità a supporto degli utenti meno digitalizzati, in un’ottica di inclusione e facilitazione dell’accesso ai servizi pubblici. Siamo fiduciosi che, grazie alla libertà di scelta tra diverse opzioni di consultazione degli atti a valore legale, i cittadini possano apprezzare pienamente i vantaggi concreti derivanti dalla digitalizzazione delle notifiche, sperimentando in prima persona la semplicità e l’efficienza che il servizio SEND offre». A spiegare come funziona nel dettaglio l’innovazione presentata a marzo è Linda Lara, direttore di 50&PiùCaf: «La nuova procedura è immaginata per migliorare la quotidianità della vita dei cittadini, che - in alcuni casipotrebbero non avere identità digitale o spid, e - in altri - potrebbero non avere dimestichezza con gli strumenti informatici». Come si traduce questo per gli utenti? È ancora la direttrice di 50&PiùCaf a spiegare: «È sufficiente che il cittadino, una volta ricevuta la notifica da parte della pubblica amministrazione, si rechi presso gli uffici 50&PiùCaf a lui più vicino. Una volta in sede troverà ad accoglierlo la disponibilità e la professionalità dei nostri collaboratori che - attraverso il QR code oppure il codice univoco ricevuto dal cittadino - si collegheranno ai sistemi della pubblica amministrazione e forniranno supporto e assistenza per tutte le pratiche».

Per maggiori informazioni su SEND è possibile consultare il sito notifichedigitali.pagopa.it che, alla voce “serve aiuto” accessibile dalla home page, offre tutte le informazioni utili per fruire al meglio del nuovo servizio

I MISTERI DI ALLEGHE UN HORROR ITALIANO

Sotto il piccolo lago in provincia di Belluno si nascondono segreti inconfessabili, legati a una serie di omicidi che scossero la comunità locale tra il fascismo e il dopoguerra

Tra il 1933 e il 1946, una serie di delitti ebbero come teatro l’ambiente omertoso del paesino dolomitico di Alleghe, in provincia di Belluno. Solo 27 anni dopo, grazie all’indagine del giornalista Sergio Saviane e al lavoro del vicebrigadiere dei carabinieri Ezio Cesca, la verità cominciò a emergere, portando all’arresto, nel 1960, di Adelina Da Tos, di suo fratello Aldo, di suo marito Pietro De Biasio e di un amico, Giuseppe Gasperin. Tutto inizia il 9 maggio 1933, quando nella stanza dell’Albergo Centrale, viene scoperto il corpo senza vita di una giovane cameriera, Emma De Ventura. A lanciare l’allarme è Adelina Da Tos, figlia di Fiore Da Tos ed Elvira Riva, i ricchi proprietari dell’albergo. La ragazza ha la gola tagliata,

su una mensola è adagiata una boccetta di tintura di iodio chiusa e sul comodino, ad alcuni metri dal corpo, è poggiato un rasoio insanguinato. Incredibilmente i carabinieri e il medico legale parlano di suicidio per una delusione amorosa. Una tesi ‘confermata’ dal ritrovamento, nella stanza della ragazza, di una lettera incompleta al fidanzato e da tracce di iodio nel suo stomaco. I genitori sono scettici e le voci di paese additano la famiglia Da Tos, per la quale la ragazza lavorava da circa otto mesi. Ma poi, con l’arrivo dell’estate e dei turisti, la vita torna alla normalità. A novembre Aldo Da Tos, l’altro figlio di Fiore ed Elvira, sposa Carolina Finazzer. Al ritorno dal viaggio di nozze, Carolina appare turbata e chiede alla madre di andarla a prendere. Non

vuole rimanere lì e deve dirle una cosa importante. Il giorno dopo il suo corpo viene trovato nel lago. Aldo Da Tos spiega la morte con un attacco di sonnambulismo e le autorità accettano la spiegazione. Stranamente, però, le indagini rivelano assenza di acqua nello stomaco e diversi ematomi sul collo. Passano tredici anni. La notte del 17 novembre 1946, i coniugi Luigi e Luigia Del Monego, gestori della panetteria di Alleghe, stanno tornando a casa dal lavoro. In una stradina insolitamente buia (il lampione in frantumi verrà trovato sul selciato), vengono raggiunti da alcuni colpi di pistola. La polizia pensa ad una rapina per l’incasso giornaliero che Luigia teneva in borsa. La notizia arriva a Sergio Saviane, un giovane giornalista di Castelfranco Veneto, che aveva trascorso molte estati ad Alleghe. Saviane, che conosceva personalmente le vittime, rimane turbato e inizia a interrogarsi sui possibili collegamenti tra la loro morte e i commenti che Luigi Del Monego aveva fatto in passato sulla ‘coscienza sporca’ dei proprietari dell’Albergo Centrale.

Nel 1952, torna ad Alleghe per condurre un’indagine, ma si trova di fronte a un muro di omertà e reticenza. Solo due persone, Annetta Del Monego e il barbiere Cecchine, lo incoraggiano a proseguire, avvertendolo del clima di terrore che regna nel paese. Il 20 aprile 1952, Saviane pubblica un articolo intitolato La Montelepre del nord, un soprannome con cui gli abitanti del Bellunese si riferiscono ad Alleghe, suggerendo che la morte dei Del Monego sia collegata agli omicidi di Emma De Ventura e Carolina Finazzer. L’ipotesi gli costa la condanna a otto mesi per diffamazione e una multa.

Intanto un’altra persona si interessa al caso, il vicebrigadiere dei carabinieri Ezio Cesca, che nel 1956, sotto copertura, si finge un lavoratore per riaprire il caso. Indaga su due paesani, Giuseppe Gasperin e Corona Valt. Grazie a una finta proposta di matrimonio alla figlioccia di Corona, ottiene la sua testimonianza: aveva visto Gasperin sul luogo dell’omicidio Del Monego. Con un trucco, Cesca ottie-

ne la confessione di Gasperin, che fa i nomi di Aldo Da Tos e di tale Pietro De Biasio. Tutti vengono arrestati, insieme ad Adelina Da Tos. Fiore Da Tos ed Elvira Riva, citati nelle confessioni, erano morti di vecchiaia. Dalle memorie emerge un quadro degno di Agatha Christie. Adelina Da Tos ammette di aver ucciso Emma De Ventura con un singolo colpo di rasoio, orchestrando poi una messinscena per far credere a un suicidio. Il movente, rivela, era una relazione clandestina tra Emma e suo marito, Pietro. L’intera famiglia Da Tos, aggiunge, fu complice di questa macabra rappresentazione. Aldo però rimase profondamente turbato dalla morte della cameriera, della quale era infatuato. Per distrarlo, il padre gli organizzò un matrimonio lampo con Carolina Finazzer. Durante la luna di miele, però, Aldo le rivelò il terribile segreto. Carolina, sconvolta, interruppe il viaggio e, una volta ad Alleghe, manifestò l’intenzione di confidarsi con la madre. La sua sorte fu segnata durante una riunione fa-

miliare: i Da Tos la strangolarono inscenando un altro falso suicidio. Tuttavia, durante il trasporto del corpo al lago, Aldo fu visto da due fidanzati di ritorno da una festa, Luigi e Luigia Del Monego.

Per anni, la coppia mantenne il silenzio, ma poi iniziò a confidarsi con alcuni conoscenti. Una di queste confidenze, fatta da Luigi a Giuseppe Gasperin, fu riportata ai Da Tos. L’agguato ai Del Monego fu quindi portato a termine da Gasperin, Aldo Da Tos e Pietro De Biasio.

L’8 giugno 1960, la sentenza: Gasperin fu condannato a trent’anni di reclusione, i fratelli Da Tos e De Biasio finirono all’ergastolo. Le sentenze, confermate in tutti i gradi di giudizio, posero fine a uno dei capitoli più oscuri della cronaca italiana.

O forse no. Alcuni, infatti, ipotizzano un movente diverso per la morte di Emma De Ventura: la scoperta da parte sua di un figlio illegittimo di Elvira Riva, presentatosi al Centrale per ottenere la sua parte di eredità e fatto sparire dai Da Tos.

o sfondo storico è quello di un Sud umiliato dopo le lotte risorgimentali con l’Unificazione. Palasciano militò come senatore della sinistra liberale. Combatté contro ogni forma di corruzione, sostenuto dall’idea che il vero progresso dovesse fondarsi sull’Umanesimo e la sapienza scientifica». Così mi dice Wanda Marasco che ha pubblicato Di spalle a questo mondo, il suo quarto romanzo, potente e avvincente storia ambientata in anni in cui i progressi della scienza si mescolavano e si confondevano con lo spiritismo e il magnetismo. Ma (aggiunge) «non ho voluto insistere sul fascino esercitato dalle scelte dello spiritismo e del magnetismo, che pure si possono rivelare in alcune scene. Per l’equilibrio del romanzo era più utile soffermarsi sulla conflagrazione delle certezze e sul rischio di esistere». Al centro di questo conflitto c’è proprio lui, Ferdinando Palasciano, chirurgo, scienziato, filantropo e negromante nella Napoli ottocentesca, deciso a curare anche i nemici in guerra, antesignano di quella ‘cura’ per cui molti anni più tardi arriverà la Croce Rossa. Internato in manicomio, è “sopraffatto dalle visioni”, assediato da “una dolente comunità di vivi e di morti”. Ripensa per sprazzi convulsi e oscurità alla propria vita e all’incontro con Olga, la nobildonna russa che lui ha curato e poi sposato, lei vivrà nel suo ricordo facendo erigere a Napoli una torre secondo l’architettura toscana prerinascimentale. Tornato a casa non guarito, è condannato a una “forma di inesistenza” in dialogo con un immaginario “pazzo arcaico”, alter ego che si esprime in dialetto. Di spalle

WANDA MARASCO RACCONTA

DI SPALLE A QUESTO MONDO

Il quarto romanzo per la scrittrice partenopea, che racconta una storia ambientata nella Napoli dell’Ottocento in anni in cui i progressi della scienza si mescolavano con lo spiritismo e il magnetismo

a questo mondo si frantuma per lampi e scosse di conoscenza individuale e storica, piccoli aggregati di saperi e di vissuti, ma insieme dolore e mancanza, caso e destino. Wanda Marasco ha detto di aver usato l’immedesimazione per inventare l’interiorità.

Ma la storia individuale come si innesta in quella collettiva? Come è stata scritta questa ‘interiorità’, come doveva essere scritta? Ho sempre scritto, credo, unificando il desiderio di narrare alla mia formazione teatrale e all’istintualità poetica. Considero la pagina bianca uno spazio sacro come lo è il palcoscenico, dove il dramma può agire, accadere senza essere corrotto e tradito dalle mistificazioni del presente. Qui corpo, psiche, rappresentazione dell’interiorità procedono verso lo svelamento dando vita a un processo drammaturgico che è portatore di una visione del mondo. Il personaggio per me è dramatis personae, maschera da indossare con lo scopo di condurre un’inchiesta utile a svelare qualche verità umana. In questo senso ogni mia storia è ‘creaturale’, è protezione e annudamento. La maschera, nel processo di immedesimazione, svela e confessa il volto che nasconde. L’interiorità dei due protagonisti è la storia di un naufragio e di un’acquisizione di senso. Non potevo immaginarla se non fondandomi sul-

le esperienze di vita e sui libri che ho amato. Ho espresso scavo e immedesimazione servendomi dell’alternanza dei registri, in prevalenza attraverso l’uso di una prosa lirica (si badi bene, non è ‘lirismo’) che meglio si prestava a divenire canto, drammatica trasfigurazione e partitura della coscienza. Lo scienziato, il filantropo e poi l’uomo che s’ingolfa nella sua follia. C’è un legame indissolubile tra questi due modi di essere del suo eroe? La follia è un modo di conoscere meglio la realtà? In Palasciano, paradossalmente, la fol-

lia è la chiave di accesso a un grado di conoscenza maggiore, è l’incontro con il daimon - ha scritto Fabrizio Coscia - da cui si viene segnati e costretti a un itinerario di gnosi che non lascia scampo. Allo stesso modo funziona la zoppia di Olga, la moglie, ritmo della lotta nell’attrito con l’esistenza e consapevolezza di una fragilità in cui risuona il tema della claudicanza universale. Prendersi cura degli altri. Era difficile ieri, lo è oggi ancora di più?

L’utopia della ‘cura’ da estendere a ogni essere vivente è il tema fondamentale del racconto. Ferdinando fu ossessionato da questo ideale. Sono certa che esistano ancora medici vocati, impegnati nella lotta contro il deplorevole stato della sanità.

Accanto a lui sua moglie. Il modello di coppia letteraria a cui si è ispirata?

L’ispirazione per raccontare la profondità dell’amore tra Ferdinando e Olga mi viene dalle esperienze di vita e da grandi modelli letterari: Eros e Psiche, Abelardo ed Eloisa, Giulietta e Romeo, Amleto e Ofelia e da sensibilità più moderne, come quelle espresse da Heathcliff e Catherine Earnshaw in Cime tempestose. Ma si badi bene: la malinconia come stato di meditazione e i frammenti erotico-luttuosi presenti nel romanzo provengono anche dalla poetica di Pavese, di Bufalino, di Thomas Mann e persino da Joyce e da Beckett. La lista degli influssi rientrati nella narrazione sarebbe troppo lunga. C’è un personaggio dei nostri giorni la cui figura può essere accostata a quella di Palasciano? Mentre scrivevo eravamo in piena pandemia. Si è creata un’osmosi tra il presente e la materia del racconto. Ho pensato che Palasciano (novello Semmelweis) potesse essere paragonato a Gino Strada. Entrambi si sono spesi con spirito battagliero, forza etica e urgenza filantropica.

Di spalle a questo mondo di Wanda Marasco
NERI POZZA EDITORE
416 PAGINE

Cultura

BEPPE CARLETTI PER SEMPRE ‘NOMADE’

Il leader della seconda band più longeva al mondo, dopo i Rolling Stones racconta aneddoti, dietro le quinte e ricordi in un nuovo libro, corredato da due cd inediti

«È

un libro e un doppio cd, che narra episodi della mia vita e di quella dei Nomadi senza seguire un ordine cronologico», ci dice Beppe Carletti, fondatore e tastierista della band emiliana, attiva ininterrottamente dal 1963. «Si intitola Soldi in tasca non ne ho, ma lassù mi è rimasto Dio e parla di incontri con amici, ricordi, aneddoti anche già noti, ma scritti in maniera rapida e immediata, in una pagina e mezzo ciascuno. Rispetto ai miei libri precedenti propongo momenti diversi, come la realizzazione dell’album live con Guccini o la seconda vita di Io vagabondo grazie a Fiorello, dopo 15 anni che non la suonavamo più, e anche quelli già noti, come il mio disco con lo pseudonimo Capitan Nemo o l’incontro tra me e Augusto. Sono raccontati in un modo nuovo, molto scorrevole, bello. In più c’è il doppio cd, che è la prosecuzione dei miei due album solo strumentali. Non ci sono canzoni, è la musica di alcuni cortometraggi di amici, tra cui uno dedicato a Garibaldi, e del film La Rugiada di san Giovanni. Non fa guadagnare nulla ma dà soddisfazione, fin dal momento in cui mi è stato chiesto di scriverla». Carletti e la sua band, a 62 anni dal debutto nelle balere dell’Emilia e della

riviera romagnola, continuano a fare 80/90 concerti l’anno in giro per l’Italia, stanno per cambiare casa discografica e preparano nuova musica, collaborando con giovani musicisti, che sono un po’ la loro linfa vitale.

Ci arrivano molti brani al giorno, e li ascoltiamo tutti. Li rispettiamo, ma facciamo solo quello che ci va, che piace soprattutto a chi canta, che deve essere convinto di quello che dice. Non saremmo più qua se non lo fosse. Io faccio una preselezione, perché mi ricordo più o meno le circa 400

canzoni che abbiamo inciso e non vogliamo ripeterci: se trattiamo lo stesso argomento lo dobbiamo fare in modo pulito e nuovo. Collaboriamo sempre con i ragazzi che ci mandano brani. Possiamo prendere un ritornello, una frase, mezza canzone, quello che loro è loro, quello che è nostro è nostro, si divide equamente. Non diciamo mai “la facciamo ma date tutti i diritti a noi, assolutamente no”. Solo così possono crescere.

Però avete avuto una crisi a metà degli anni Ottanta.

C’era la disco music che imperversava e noi non potevamo metterci a seguirla, ci saremmo dovuti rimangiare tutto quello che avevamo fatto fino a quel momento. Poi ci strapparono il contratto perché avevamo fatto Dio è morto e le case per un po’ di tempo non ci vollero più. Finché non si accorsero che continuavamo a fare concerti:

“Però attirate ancora gente”, ci disse un discografico quasi scherzando, “non è che avete un disco pronto?”, “Ma certo!” rispondemmo e uscirono Solo Nomadi nel 1990 e l’anno dopo Gente come noi, che fu un grande successo, con Gli aironi neri, Ma che film la vita, Ma noi no!, Uno come noi, Ricordati di Chico. La nostra è stata sempre una magnifica avventura, che auguro veramente a tanti. In particolare ai giovani musicisti, perché non devono abbattersi quando le cose non

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vanno. Dico sempre “ragazzi, voi dovete suonare perché amate la musica, non per fare successo; se il successo viene bene, se no vi siete divertiti”. Agli inizi, con Augusto non pensavamo neppure di fare dei dischi, suonavamo nelle balere e ci piaceva. Mia mamma mi diceva in dialetto “vai avanti così e farai la fame del suonatore”. In molti dicono che, con l’avanzare dell’età, sogni, desideri, possibilità si riducono di dimensione e di valore. Lei ha quasi 80 anni, eppure continua a suonare, a comporre, a scrivere memorie. Qual è il suo trucco? Nessun trucco, lo faccio perché mi piace, mi diverto. Nonostante siano 63 anni che faccio il ‘nomade’ non ho affatto voglia di smettere, perché salire sul palco è la cosa più bella che ci sia al mondo. Alla mia età mi diverto

ancora a vedere la gente che viene ai concerti, che è tanta e non è fatta solo di nostalgici. Vengono anche loro certo, ma spesso si portano dietro i figli e i nipoti. C’è anche gente nuova che ci scopre. È un passaparola quello dei Nomadi, dato che le radio non ci trasmettono. Facciamo le feste popolari, le saghe meravigliose che si tengono al Sud, non c’è niente di meglio che andare incontro alla gente. Fanno crescere ancora noi come musicisti e farebbero bene a tanti ragazzi giovani.

A una certa età, come diceva un brano di Renato Zero, ci si sente spesso con le “spalle al muro”, malgrado si abbiano ancora energie, idee, desideri. Cosa suggerirebbe a chi si sente così? Renato è veramente un grande, sa cogliere la vita della gente. Io ho un solo suggerimento per queste persone: non devono fermarsi mai. È come per gli attori di teatro che recitano ancora a più di 80 anni. Il profumo del palcoscenico è una cosa incredibile, non puoi paragonarlo a nient’altro. E ognuno deve attivarsi per trovare il proprio palco, lottare e impegnarsi partendo dalle piccole cose. Per me è la musica che mi fa vivere. E fa vivere chi l’ascolta. È una forma d’arte unica. Intanto, l’eterno tour dei Nomadi continua anche in questo mese di aprile, con le date di Argenta (FE) il 9, San Benedetto del Tronto (AP) il 12 e Legnano (MI) il 19.

Soldi in tasca non ne ho
Ma lassù mi è rimasto Dio di Beppe Carletti

Cultura

ANGELINA JOLIE

«IL

FILM CON BARICCO? L’HO CONVINTO CON UN PIATTO DI SPAGHETTI»

La regista californiana racconta l’incontro con lo scrittore italiano, dal suo romano Senza sangue ha realizzato la pellicola Without Blood, nelle sale dal 10 aprile

Ha raccontato di aver «approcciato al libro con grande umiltà. Ho cercato di ascoltare le parole scritte, provando a entrare nella mente di Alessandro. È stato un dono per me fare questo viaggio. Soprattutto mi ha fatto riflettere su chi siamo e che non esistono buoni o cattivi. Ma solo la complessità dell’essere umano, che ci porta a

comprendere anche ciò che abbiamo vissuto e visto nella vita. Questo dovrebbe farci riflettere sul modo in cui ascoltiamo gli altri, a indurci a farlo di più, perché ormai sembriamo incapaci di sederci a un tavolo per trovare un terreno comune. I preconcetti dominano le nostre menti».

Per Angelina Jolie adattare per il grande schermo il romanzo del 2002

di Alessandro Baricco, Senza sangue, è stata soprattutto un’esperienza di arricchimento umano. All’ultimo “Torino Film Festival” la regista ha presentato come evento speciale Without Blood, prodotto da Fremantle, Jolie Productions, The Apartment Pictures e De Maio Entertainment, girato anche negli Studi di Cinecittà, e nelle sale dal 10 aprile con Vision Distribution. Una storia con protagonista Salma Hayek, ambientata all’indomani di un generico conflitto, che esplora verità universali su guerra, trauma, violenza, memoria e guarigione.

di Giulia Bianconi

A sinistra, Angelina Jolie sul set di Senza sangue. A destra, Salma Hayek in una scena del film. In basso, da sinistra, Giulio Base Angelina Jolie e Alessandro Baricco alla presentazione del film al Torino Film Festival 2024

«Sono sempre stata una grande ammiratrice di Alessandro Baricco. Sa scrivere con una chiarezza tale da riuscire a dare un linguaggio cinematografico alle sue parole - ha spiegato la californiana, 49 anni -. Quando molti anni fa ho letto Senza sangue, ho pensato fosse uno studio sull’umanità e sui rapporti umani. Qualcosa di importante e necessario ancora oggi, in questo momento storico. Per questo il libro e il film parlano anche di noi».

Jolie, sia come attrice che come regista, soprattutto negli ultimi anni, ha dimostrato una certa attenzione nei confronti di storie profonde e personaggi che provano sofferenza e dolore nella vita. L’ultimo è stato Maria Callas, a cui ha dato volto e voce nel biopic di Pablo Larraín, in concorso alla Mostra di Venezia. «Io non cerco tanto la sofferenza degli altri, ma trovo che le persone che hanno sofferto abbiano una maggiore comprensione della vita e dell’amore. Portano in sé stesse una saggezza e una profondità più grande rispetto agli altri. Perché sono state private di tante cose e per questo ci possono insegnare molto - ha spiegato -. In generale, credo che un artista studi il comportamento umano, così come fa anche uno scrittore».

A Torino Jolie ha ricevuto la Stella della Mole dalle mani del direttore artistico Giulio Base. Di fronte alla stampa, la star hollywoodiana ha rivelato il primo incontro con Baricco a Los Angeles, avvenuto a casa sua, di fronte a un piatto di spaghetti. «Un’americana che cucina la pasta a un italiano è qualcosa di incredibile. Eppure ho convinto così Alessandro»,

ha ironizzato Jolie. Ma a far dire di sì al progetto allo scrittore, più che gli spaghetti, «davvero buoni», è stata l’e-mail che ha ricevuto dall’attrice. «Mi ha scritto delle parole stupende, piene di comprensione, dolcezza e intelligenza, dicendomi che il mio libro era il più bello che avesse mai letto - ha raccontato Baricco -. Io ho

sempre immaginato Angelina come Jessica Rabbit o Topolino, figure che non credi possano esistere. Sono partito da Torino per l’America per andarla a incontrare, ed è stato un viaggio dell’anima, più che fisico. È stata una di quelle cose magiche che accadono nella vita di uno che fa un mestiere magico».

Cultura

ealtà e magia, una pittura sospesa nel tempo e nello spazio, fatta di quiete e silenzio, ma al contempo carnale. Felice Casorati (1883-1963) è uno degli artisti italiani più importanti del Novecento, tanto da attraversare «con una sua cifra unica e singolare il simbolismo, la Metafisica, l’arte figurativa degli anni Trenta e Quaranta», spiega Giorgia Bertolino, curatrice con Fernando Mazzocca e Francesco Poli dell’importante retrospettiva di Palazzo Reale (prodotta da Palazzo Reale e Marsilio Arte in stretta collaborazione con l’Archivio Casorati), che riporta l’opera del pittore piemontese a Milano dopo trentacinque anni di assenza dalla città con cui strinse un legame particolare (approfondito in mostra e nel catalogo) e dove trovò un moderno sistema e mercato dell’arte e il sostegno delle gallerie private.

La mostra si snoda cronologicamente attraverso il percorso dell’artista nato a Novara nel 1883 e morto a Torino nel 1963, e presenta oltre un centinaio di opere: non solo dipinti ma anche sculture, opere grafiche e bozzetti scenografici, frutto del lavoro di un artista poliedrico, raffinato, rigoroso e indipendente. Sala dopo sala, il percorso espositivo presenta simboli e allegorie, figure pensose e malinconiche, conversazioni platoniche, paesaggi silenti e splendide e inconsuete nature morte (le forme pure di limoni, bottiglie e scodelle bianche, e tante, tante uova, che ritornano come un’eco nella sua pittura).

«Mio padre per consolarmi dell’abbandono del pianoforte e dei miei studi prediletti mi regalò una scatola di colori. Il demone della pittura mi prese e non mi lasciò più». Ma l’armonia musicale gli è rimasta nel cuore, come si nota fin dalle prime opere connotate da uno spiccato realismo, tra cui l’enigmatico Ritratto di sorella Elvira del 1907, una sinfonia di neri racchiusa nel suo mistero, il «mio primo quadro», come lo definiva lui stesso. Con

LA PITTURA SOSPESA DI FELICE CASORATI IN MOSTRA A MILANO

«Mio padre per consolarmi dell’abbandono del pianoforte e dei miei studi prediletti mi regalò una scatola di colori Il demone della pittura mi prese e non mi lasciò più»

di Serena Colombo

quest’opera esordisce, ventiquattrenne, alla Biennale di Venezia, che frequenta spesso dopo essersi trasferito a Verona, città «di una bellezza fine e delicata, fatta di cose nobili e squisite, preziosa insieme e semplice come una perla grigia che fulge mitemente». Le suggestioni del simbolismo riecheggiano nelle allegoriche Le Signorine (1912), un pic-nic disseminato di oggetti su un tappeto di fiori secessionisti, o nella poesia notturna de La via lattea del 1915. A Roma la sua strada si intreccia alla Metafisica di Carrà e de Chirico, alla poetica dell’eternità rappresa in un manichino, destinata a segnare il periodo maturo. Con la perdita del padre, nel 1919, Casorati si stabilisce a Torino, nella casa-studio di via Mazzini 52, dove vivrà per tutta la vita.

«A Torino - raccontava - ho trovato questa casa, questa casa silenziosa e questo studio. E qui sono nati tutti i

miei quadri». «Torino - diceva - mi conquistò d’improvviso. Sentii che soltanto in questa città […] ordinata, geometrica e misurata come un teorema, enigmatica e inquietante come una cabala, che ogni giorno bisogna scoprire e poi ancora riscoprire, in cui la nebbia è più luminosa che il sole, in cui la misura non è stata mai dimenticata e non potrà mai essere dimenticata, in questa città quadrata e squadrettata, solo in questa città avrei potuto riprendere la mia vita di pittore».

Nello studio torinese Casorati ha tenuto con sé, custodendolo gelosamente, uno dei ritratti più noti, l’algida Silvana Cenni (1922), icona metafisica ispirata alla misura classica quattrocentesca e alle pale d’altare di Piero della Francesca, allestita in mostra a due metri d’altezza per accentuare l’effetto prospettico del pavimento che slitta in alto verso la finestra aperta su un paesaggio che

risente della misura rinascimentale. Una silente immobilità permea ogni cosa, congelando la figura e la scena in un fermo immagine misterioso. Ugualmente, richiamano la ritrattistica di Antonello da Messina e del cognato Giovanni Bellini i ritratti a mezzo busto di Cesarina e Riccardo Gualino, collezionista e mecenate con cui Casorati intrecciò un duraturo sodalizio, progettando, insieme all’architetto Alberto Sartoris, il piccolo teatro privato nella sua residenza torinese. Al tema delle Conversazioni, ciclo ideale inaugurato negli anni Venti con l’intrigante Conversazione platonica del 1925, seguono alcune fanciulle degli anni Trenta e Quaranta, come Donne in barca del 1933 e Le sorelle Pontorno del 1937, entrambi caratterizzati da atmosfere sospese e intime. In questi anni, spiega Francesco Poli, la sua pittura «tende ad aprirsi a una dimensione meno freddamente ‘metafisica’, più ‘accogliente’, meno lontana dalla realtà quotidiana, grazie a una ariosa e vibrante vitalizzazione delle atmosfere cromatiche, e attraverso una figurazione più sinteticamente espressiva e deformata dei personaggi e degli oggetti, sempre però all’interno di una logica compositiva molto controllata». Gli ultimi anni sono documentati da nature morte, nelle quali torna il tema antico delle uova, immobili e silenziose come le sue figure eteree dallo sguardo perso nel vuoto, un invito al silenzio, alla contemplazione, a uno sguardo che scorre lento, per penetrare l’enigma, il mistero, con il desiderio di «proclamare la dolcezza di fissare sulla tela le anime estatiche e ferme, le cose immobili e mute, gli sguardi lunghi, i pensieri profondi e limpidi, la vita di gioia e non di vertigine, la vita di dolore e non di affanno».

CASORATI

Milano, Palazzo Reale fino al 29 giugno www.palazzorealemilano.it/mostre

1. Maschere, olio su tela, 1921 2. Meriggio, olio su tavola, 1923 3. Raja, tempera su tavola, 1924-'25 4. Le sorelle Pontorno, olio su tela, 1927 4

IL GRANDE GATSBY AFFRESCO DELL’AMERICA DEI RUGGENTI ANNI VENTI

Il capolavoro di Fitzgerald compie un secolo e non smette di affascinare Racconta gli inganni dell’amore il passato che non torna ma anche la crisi del “sogno americano”

di Leonardo Guzzo

Èuna New York da “dolce vita”, nel pieno della sfavillante età del jazz, quella in cui, il 10 aprile del 1925, l’editore Scribner pubblica Il grande Gatsby. Si tratta del terzo romanzo di Francis Scott Fitzgerald, allora ventiseienne (era nato in Minnesota nel 1896), che dell’età del jazz è considerato il cantore. Infanzia povera, ossessionato dal successo letterario, riscattato dalla fortuna dei suoi primi romanzi (Di qua dal Paradiso e Belli e dannati) e di nuovo precipitato nel baratro da uno stile di vita dissoluto, Fitzgerald si trova a un bivio. Ha lasciato la troppo costosa New York per la Francia: in Europa ha concepito Il grande Gatsby, ma ha visto entrare in crisi il matrimonio con la bella Zelda, artista inquieta e insofferente al protagonismo del marito. Col nuovo romanzo Francis cerca la svolta, soprattutto economica. Ha scritto - ne è convinto - l’autobiografia della sua generazione, un affresco dell’America

nei ruggenti anni Venti, divisa tra luci che l’accecano e contraddizioni che più o meno silenziosamente la corrodono. Il grande Gatsby è la storia di James Gatz, un giovane del North Dakota, bello, talentuoso ma povero. L’aiuto di un benefattore gli permette di frequentare una scuola militare a Louisville, dove conosce Daisy Fay, un’ereditiera diciottenne con cui inizia una romantica storia d’amore. L’idillio è troncato quando il giovane viene spedito a combattere la Grande Guerra in Europa. Daisy promette di aspettarlo ma poi sposa il campione di polo Tom Buchanan, insieme al quale si trasferisce al-

la periferia di New York, nel quartiere di East Egg, a Long Island. James sopravvive alla guerra e vince la sua guerra personale: studia ad Oxford e, di ritorno negli Stati Uniti, accumula un’enorme fortuna grazie al contrabbando. Adotta lo pseudonimo di Jay Gatsby, quasi a sancire la sua nuova identità di “uomo che si è fatto da sé”, e va a vivere in una villa a West Egg, sulla sponda di una grande baia che lo separa dalla casa di Daisy. Ogni sera esce a guardare la luce verde in fondo al molo che da quella casa si allunga e, ogni settimana, organizza nella sua villa una festa sfarzosa. Sembra voler attirare tutta l’alta società newyorkese, ma in realtà non gli interessa che l’attenzione di Daisy. Vuole rivederla, parlarle e riprendere la loro storia da dove si è interrotta. Ci riesce grazie alla complicità di Nick Carraway, cugino della ragazza e suo vicino di casa, che è anche la voce narrante del libro. Ma quando sembra che il suo sogno possa avverarsi, le cose precipitano. Daisy è restia ad abbandonare il marito, confessa che lo ha amato e che forse lo ama ancora, resta turbata mentre Tom rinfaccia a Gatsby l’origine illecita delle sue ricchezze. Dopo la discussione, tornando in macchina da New York a East Egg, Gatsby e Daisy investono una donna uccidendola e fuggono via. Alla guida è Daisy, ma Gatsby mente assumendosi la responsabilità dell’incidente. Per un’assurda coincidenza la donna è Myrtle, l’amante di Tom: il marito è deciso a farsi giustizia da solo e proprio Tom gli indica Gatsby come il colpevole. L’uomo si introduce furtivamente nella villa di Gatsby e lo uccide con un colpo di pistola. È l’epilogo concreto di una tragedia che si è già consumata nell’animo di Gatsby, quando ha appreso che il suo sogno è svanito, che il passato non può ritornare. Il funerale quasi deserto del tycoon in disgrazia mette il sigillo su una vita grandiosa e disperata.

In parte autobiografico e tristemente profetico (Fitzgerald morì povero nel 1940, convinto di non aver lasciato traccia nella storia della letteratura), Il grande Gatsby fu lodato dalla critica ma non vendette quanto l’autore sperava. Venne incluso nei consigli di lettura ai soldati sul fronte, durante la Seconda guerra mondiale, e da allora la sua fortuna è cresciuta esponenzialmente. Fernanda Pivano, che nel 1950 ne realizzò una splendida traduzione in italiano, lo definiva “il capolavoro della narrativa americana moderna”. Epopea di un amore sbagliato, intrappolato nel passato, idolatrato dal protagonista al punto di sacrificare l’onestà e la vita, Il grande Gatsby nasconde un messaggio più profondo. Una lezione storica e morale che il libro dà quasi senza volerlo, solo raccontando uno slancio di vita estremo ma reale, perfettamente riconoscibile. Romanticamente e drammaticamente riconoscibile. Il passato non può tornare uguale, e men che meno si può ricostruire. L’impero dell’ideale si scontra con le complicazioni e il cinico meccanismo del mondo, con i compromessi, le incongruenze, gli opportunismi e i capricci di cui Daisy diventa il pur affascinante emblema. La rovina di Gatsby rappresenta la fine dell’innocenza: puro nel suo slancio, il protagonista viene ricompensato con l’incertezza, la vacuità, l’opportunismo, il fraintendimento da parte degli uomini e la beffa della sorte. Daisy lo illude e lo delude per due volte e nemmeno si presenta al suo funerale. Il passato che Gatsby cerca follemente di ricreare è una specie di Arcadia perduta, una condizione felice di valori saldi e riconoscibili, ormai schiantati dal guazzabuglio dei tempi nuovi. Non c’è più spazio per l’amore autentico, quello che si svela agli amanti come l’America agli occhi dei primi coloni: qualcosa di ancora adeguato alla capacità di meraviglia dell’animo umano.

Cultura

ra il 4 aprile 1978 quando per la prima volta, sui teleschermi italiani, faceva la sua comparsa un gigantesco robot pilotato da un giovane principe alieno. Nessuno poteva immaginarlo, ma quel momento avrebbe cambiato per sempre la cultura popolare del nostro paese. Perché Goldrake non era solo un cartone animato: era una rivoluzione, una ventata di novità che travolgeva il panorama televisivo italiano con la forza di un’alabarda spaziale. Creato nel 1975 dal visionario autore giapponese Go Nagai per la Toei Animation, UFO Robot Grendizer (questo il titolo originale) narrava le vicende del principe Actarus, costretto a lasciare il suo pianeta morente, Fleed, per combattere sulla Terra contro gli invasori arrivati dal pianeta Vega; una storia che conquistò da subito il pubblico nipponico. Ma fu l’arrivo in Italia, tre anni dopo, a trasformare Goldrake in un fenomeno di massa, grazie all’intuizione dell’editore Arnoldo Mondadori che, acquistati i diritti, lo propose alla Rai. La serie debuttò all’interno della trasmissione Buonasera con... Atlas Ufo Robot, ottenendo un successo clamoroso e inaspettato.

50 ANNI DI GOLDRAKE IL GIGANTE D’ACCIAIO CHE HA CAMBIATO UNA GENERAZIONE E

Per la prima volta, un cartone animato giapponese conquistava il pubblico italiano con la sua estetica nipponica e temi adulti come la guerra, l’ecologia, il sacrificio e la pace. Perché Actarus era un guerriero che odiava la guerra. Combatteva solo perché costretto, sempre riluttante a infliggere sofferenza persino ai suoi nemici. In molti episodi tentava prima la via del dialogo, ricorrendo alla forza solo come estrema risorsa.

E poi, c’era quella musica. La prima sigla di Ufo Robot, composta da Vince Tempera con i testi di Luigi Albertelli, “Si trasforma in un razzo missile, con circuiti di mille valvole…”, cantata a squarciagola da milioni di bambini con la sua melodia incalzante e il te-

Il robot venuto dallo spazio compie mezzo secolo un mito che resiste al tempo tra nostalgia e nuove celebrazioni

sto evocativo, divenne un vero e proprio tormentone, vendendo oltre un milione di copie. Le sonorità erano quelle ispirate alla disco music americana, con un tocco futuristico, ma erano così innovative da spingere i disc jockey dell’epoca a usarle addirittura nelle discoteche. E i testi, surreali e poetici, parlavano di libri di cibernetica, insalate di matematica e viaggi su Marte, mescolando fantasia e scienza in modo irresistibile. Con la seconda sigla (oltre settecentomila copie vendute), Goldrake entrò definitivamente nell’immaginario collettivo, diventando la colonna sonora di un’intera generazione. Da lì in poi, in Italia scoppiò una vera e propria “Goldrakemania”. I cortili si trasformarono in campi di battaglia dove i bambini mimavano il lancio di missili fotonici con ramoscelli raccolti da terra, combattendo con “pugni rotanti”, mitiche “alabar-

de spaziali” (sempre di legno) e “magli perforanti” contro gli invasori venuti da Vega. Naturalmente, sempre scandendo prima a pieni polmoni il nome dell’arma che veniva utilizzata.

A carnevale, era impossibile non imbattersi in decine di piccoli Actarus con mantelli di fortuna e caschi improvvisati. E se i compleanni erano tematizzati con tovaglie, piatti e candeline raffiguranti il mitico robot, a scuola zaini, cartelle, astucci e persino le copertine dei quaderni ostentavano l’immagine di Goldrake in battaglia. Le collezioni di figurine Panini dedicate al cartone diventarono oggetto di scambio frenetico durante le ricreazioni, mentre i modellini del robot, con tanto di astronave Spazer estraibile, rappresentavano il regalo più ambito sotto l’albero di Natale. I più fortunati potevano addirittura sfoggiare orologi con il quadrante raffigurante Actarus o magliette ufficiali che, indossate sotto il grembiule di scuola, davano un senso di segreta appartenenza al gruppo dei difensori della Terra.

La statua di Goldrake al Boulevard World (Riyadh, Arabia Saudita). Alta 33,7 metri ha conquistato il record mondiale come la più grande statua in metallo di un personaggio di fantasia

Eppure, a mezzo secolo dal suo debutto, Goldrake continua a essere un’icona intramontabile. Anche perché, a ben guardare, la nostalgia per il “Dragone d’Oro” (Gold-Drake) non è solo il rimpianto per l’infanzia perduta. È il ricordo di un’epoca in cui la fantascienza raccontava le ansie del presente, travestendole da invasioni aliene. Gli Anni ’70, con la crisi energetica e la Guerra Fredda, trovavano eco nelle trame del cartone animato, dove i Veghiani miravano alle risorse terrestri con la loro tecnologia distruttiva. Era un modo per elaborare paure collettive, ma anche per immaginare un futuro in cui la tecnologia potesse essere usata solo a fin di bene. In occasione dell’anniversario, la Warner Music Italia ha reso disponibile la ristampa in vinile azzurro ghiaccio delle celebri sigle, con audio completamente rimasterizzato: una limited edition che riproduce fedelmente il vinile del 1978, poster incluso. Anche la Rai ha deciso di celebrare il robot più amato d’Italia trasmettendo la serie originale restaurata: tutti i 74 episodi tornano in Tv per la gioia dei vecchi e nuovi spettatori che vogliono rivivere un’epoca straordinaria.

Quei bambini degli Anni ’70, oggi adulti, ricordano quel gigantesco robot dalle corna dorate come un compagno di avventure che ha insegnato loro a sognare in grande. Oggi, sono cresciuti, ci sono le famiglie, il lavoro e vere responsabilità ma, cinquant’anni dopo, il mito di Goldrake resiste, dimostrando che alcune storie non invecchiano mai. Perché, in fondo, tutti abbiamo bisogno di credere che, da qualche parte tra le stelle, esista ancora un robot con un cuore umano, pronto a difenderci dal male.

Concorso 50&Più · Edizione 2025

Il Concorso 50&Più è ideato e organizzato dall’associazione 50&Più e prevede la partecipazione di opere artistiche a tema libero realizzate da autori over 50 non professionisti.

1. Al Concorso possono partecipare tutti coloro che abbiano compiuto 50 anni all’atto dell’iscrizione, purché non siano scrittori, poeti, pittori o fotografi professionisti.

2. Gli autori possono partecipare esclusivamente con opere da loro realizzate.

3. Le opere concorrenti devono essere inedite.

4. Il Concorso prevede quattro categorie: Prosa, Poesia, Pittura e Fotografia. È possibile partecipare a più categorie, con massimo un’opera per ogni categoria.

5. Una giuria tecnica, istituita dall’associazione 50&Più, valuterà le opere.

6. Il Concorso prevede i seguenti premi/riconoscimenti:

• Farfalla 50&Più assegnata alle opere ammesse al Concorso 50&Più;

• Menzione Speciale 50&Più assegnata, per ciascuna sezione, ai meritevoli di menzione selezionati dalla Giuria;

• Libellula 50&Più assegnata dalla Giuria a cinque opere per categoria;

• viene assegnata una Superfarfalla per categoria mediante votazione dei lettori di www.50&Più.it e della rivista 50&Più

7. Le opere in concorso devono rispondere alle seguenti caratteristiche:

• Prosa

lingua italiana, massimo 7.200 battute spazi inclusi (2 cartelle da 40 righe a pagina) scritta al computer (formati ammessi doc, docx, pdf, txt, odt);

• Poesia

lingua italiana, massimo 35 versi scritti al computer (formati ammessi doc, docx, pdf, txt, odt);

• Pittura olio/acrilico/acquerello/grafica/collage, dimensione massima 60×80 cm comprensivi di eventuale cornice (in fase di iscrizione allegare una fotografia digitale dell’opera);

• Fotografia

bianco e nero o a colori, formato digitale 20×30 cm in alta definizione 300 dpi.

Il mancato rispetto dei formati e delle misure indicate, comporta l’esclusione dell’opera dal Concorso.

8. L’iscrizione può essere effettuata online o per posta ordinaria, entro il 20 maggio - online collegarsi al sito www.50epiu.it e compilare la scheda di

iscrizione allegando l’opera con cui si intende concorrere nei formati indicati al punto 7 del presente bando (per le opere pittoriche inviare solo la fotografia*);

- posta ordinaria compilare la scheda di iscrizione presente nella rivista 50&Più del mese di marzo, inviando il file digitale dell’opera con cui si intende concorrere su chiavetta usb e nei formati indicati al punto 7 del presente bando.

Inviare a:

Concorso 50&Più, via del Melangolo n. 26, 00186 - Roma

* Le opere pittoriche dovranno essere spedite alla sede espositiva della mostra secondo indicazioni che saranno fornite successivamente.

La partecipazione al Concorso prevede il versamento di un contributo pari a:

Non socio

€ 40,00 per concorrere con un’opera

€ 70,00 per concorrere con due opere

€ 95,00 per concorrere con tre opere

€ 120,00 per concorrere con quattro opere

Socio

€ 30,00 (1 opera) n. tessera______________________

€ 40,00 (2 opere) n. tessera______________________

€ 55,00 (3 opere) n. tessera______________________

€ 70,00 (4 opere) n. tessera______________________

Il versamento può essere effettuato tramite:

• c/c postale n. 19898006

causale: Partecipazione Concorso 50&Più ed. 2025 (al momento dell’iscrizione allegare copia della ricevuta);

• bonifico bancario

IBAN IT33H0832703247000000047010

causale: Partecipazione Concorso 50&Più ed. 2025 (al momento dell’iscrizione allegare copia della ricevuta);

• Carta di credito o Paypal disponibile al momento dell’iscrizione online sul sito www.50epiu.it

9. Le spese di spedizione sono a carico del partecipante. Le opere, ad eccezione di quelle pittoriche, in nessun caso verranno restituite all’autore che ne dovesse fare richiesta.

10. La composizione della giuria, il luogo e la data delle premiazioni verranno resi noti sul sito www.50epiu.it entro il mese di giugno.

11. L’organizzazione si impegna a promuovere il Concorso con comunicati stampa e recensioni sia su organi di stampa che media digitali.

12. In caso di controversie è competente il Tribunale di Roma.

13. La partecipazione al Concorso comporta l’accettazione e l’osservanza di tutte le norme del presente bando.

Scheda di iscrizione da inviare entro il 20 maggio 2025

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CHIEDE DI PARTECIPARE ALLA 43a EDIZIONE DEL CONCORSO PROSA, POESIA, PITTURA E FOTOGRAFIA CON:

un’opera di PROSA dal titolo: allegare 1 copia dell’opera in formato digitale su chiavetta usb in formato doc, docx, pdf, txt, odt - (max 7.200 battute spazi inclusi)

un’opera di POESIA dal titolo: allegare 1 copia dell’opera in formato digitale su chiavetta usb, in formato doc, docx, pdf, txt, odt - (lunghezza massima 35 versi)

un’opera di PITTURA dal titolo: allegare la foto dell’opera in formato digitale su chiavetta usb, con l’indicazione delle tecniche adottate - (misure quadro massimo 60x80 cm)

un’opera di FOTOGRAFIA dal titolo: allegare la fotografia in formato digitale su chiavetta usb, in alta definizione 300 dpi, con l’indicazione dell’apparecchio usato e delle tecniche adottate - (formato foto 20x30)

A tal fine provvede al versamento di:

Non socio Socio 50&Più Numero tessera

€ 40 per concorrere con un’opera

€ 70 per concorrere con due opere

€ 95 per concorrere con tre opere

€ 120 per concorrere con quattro opere

mediante:

€ 30

€ 40

€ 55

€ 70

versamento c/c postale n. 19898006 intestato 50&Più causale: Partecipazione Concorso ed. 2025 (allegare ricevuta)

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Quando lo sport diventa leggenda e anche dopo decine di anni si ricordano le gesta dei protagonisti. È un po’ questa la storia di Gino Bartali e Fausto Coppi (in rigoroso ordine alfabetico), avversari leali sulle due ruote e amici nella vita, legati da destini uguali e diversi: ambedue persero, per incidenti in gara, i fratelli minori, Giulio Bartali e Serse Coppi, per ambedue la carriera ciclistica fu interrotta per cinque anni dalla Seconda guerra mondiale. Sport, fede e famiglia i valori del ‘toscanaccio’ Gino, nato nel 1914 e scomparso nel 2000; una vita più movimentata per il ‘Campionissimo’ di Castellania, classe 1919 e scomparso prematuramente nel 1960 per una malaria non diagnosticata. Divisero l’Italia con le loro imprese, al Giro, al Tour, nelle classiche e al Campionato del mondo, alloro di cui solo Coppi riuscì a fregiarsi nel 1953 a Lugano. Ne parliamo con coloro che custodiscono valori e memorie dei due grandi campioni: Gioia Bartali, nipote di nonno Gino, e Faustino Coppi, figlio di Fausto. Gioia Bartali, come definire il rapporto tra Gino e Fausto? Un rapporto di grande lealtà e generosità. In gara avversari corretti, nella vita amici veri. Tanto che quando morì Serse Coppi, lo stesso Fau-

«IN

GARA AVVERSARI CORRETTI NELLA VITA AMICI VERI»

GIOIA BARTALI E FAUSTINO COPPI

RACCONTANO I MITI DEL CICLISMO

Rispettivamente nipote e figlio i due disegnano un ritratto intimo e inedito degli sportivi italiani più famosi al mondo

sto chiese a lui, che aveva vissuto lo stesso dolore di perdere un fratello, di andare a confortare la mamma. Tutto questo parla di un ciclismo di una volta, un ciclismo epico fatto di tanta umanità tra due leggende. Faustino Coppi, lei porta il nome di suo papà, col quale purtroppo ha vissuto solo cinque anni. Quali ricordi ha?

Sono ricordi sbiaditi, ma intensi, di un bambino di pochi anni. L’abbraccio che mi dava tornando a casa dalle corse, quando mi insegnò ad andare in bicicletta. Ho tante foto che mi raccontano di lui, incontro tanta gente che mi svela episodi del Coppi campione sulle due ruote.

Gioia, forse il simbolo del rapporto tra i due è il passaggio della borraccia d’acqua al tour de France.

Mio nonno diceva che se lo sport non è solidarietà, non è nulla. Due grandi campioni, due grandi rivali che si aiutano: è questo il vero significato di quel gesto, non tanto stabilire chi ha passato l’acqua a chi. Coppi, quale degli episodi che le hanno raccontato o che ha avuto modo di vedere sul web la emoziona oggi?

Io non ero ancora nato, ma il Campionato del mondo del 1953 a Lugano è una delle cose più belle che ho visto di mio papà. Mi ricordo che diversi anni

di Giovanni Carlo La Vella

dopo venni invitato a una cerimonia nella ricorrenza di quella storica gara ed è stato qualcosa di emozionante che porto nel cuore ancora oggi. Gioia, si è saputo solo recentemente che durante la guerra suo nonno è riuscito a salvare la vita a tanti ebrei, nascondendo durante gli allenamenti documenti nel telaio della bicicletta. Lo Yad Vashem lo ha nominato “Giusto tra le nazioni”. Sì, è una cosa di cui lui non si è mai vantato. Da sincero cristiano - era terziario carmelitano -, pur essendo già famoso e con un discreto patrimonio, si mise a disposizione per salvare tanti ebrei, rischiando di persona.

Faustino, come viveva Coppi il rapporto con il rivale e amico Bartali?

In bicicletta erano avversari, non si facevano sconti in gara, ma quando scendevano dalla bici vivevano quel rapporto intenso di chi ha vissuto le stesse difficoltà come può essere una guerra mondiale. Proprio sulle stesse sofferenze, che entrambi hanno vissuto, hanno basato la loro amicizia. È stata una condivisione di valori e di sentimenti.

Gioia, su Bartali, come anche su Coppi, ci sono centinaia di informazioni. C’è qualche epi-

sodio non ancora raccontato? Era in corso il Giro d’Italia del 1940 e un giovane Coppi era gregario nella squadra di mio nonno che era il capitano. A causa di una rovinosa caduta, Bartali rimase indietro nella classifica ma si mise al servizio di Fausto, facendo lui da gregario. E quello fu il primo Giro vinto da Coppi, grazie anche alla generosità di Gino. Faustino, tra le tante vittorie di suo padre ne ricorda una in particolare?

Ricordo una ‘non vittoria’. Io sono nato nel maggio del 1955, proprio nel periodo in cui si disputa il Giro d’Italia, e so che lui avrebbe voluto de -

In apertura, il celebre passaggio della borraccia tra Bartali e Coppi al Tour de France del 1952

A sinistra, Gioia Bartali e Faustino Coppi

In basso, i due campioni durante un Giro d’Italia tra gli Anni ’40 e ’50

dicarmi e regalarmi la vittoria, ma non ci riuscì, perché arrivò a soli 13 secondi dal vincitore della gara, Fiorenzo Magni.

Qual è in poche parole la nota essenziale del carattere di Gino Bartali, a 25 anni dalla sua scomparsa?

Fare bene e fare del bene, ma in silenzio. Anche nello sport Bartali avrebbe potuto avere tanti vantaggi, ma lui non li ha mai cercati.

“Un uomo solo al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi”. Faustino, il giornalista Mario Ferretti iniziò la radiocronaca della salita dello Stelvio in cui Coppi fece il vuoto con queste parole.

Ho avuto modo, durante un Giro, di conoscere Claudio Ferretti, anche lui giornalista come il padre Mario. E proprio ricordando quell’episodio è nata un’amicizia profonda. Anche lui mi ha trasmesso tanti ricordi di mio papà.

L'angolo della veterinaria

I CANI CAPISCONO CIÒ CHE DICIAMO?

Secondo gli studiosi, i nostri pet non solo sarebbero capaci di capire vocaboli e intere frasi, ma addirittura analizzerebbero le parole e la loro intonazione, riuscendo a comprendere il linguaggio umano

QUANTE PAROLE CAPISCONO?

Da un recente studio condotto presso il Dipartimento di psicologia e neuroscienze della Dalhousie University (Canada) - e pubblicato sulla rivista Applied Animal Behaviour Science-, è emerso che i cani non solo riuscirebbero a comprendere circa 89 parole fino a un massimo di 215, ma comprenderebbero anche intere frasi apprese in modo casuale. È possibile, infatti, che il cane capisca espressioni che magari ha associato a un evento, a una passeggiata o all’arrivo di un ospite ad esempio.

I PRIMI DELLA CLASSE

I primi della classe, secondo gli studiosi, sono i pastori e i cani da compagnia. Tra i pastori, i più dotti sarebbero l’Australian Shepherd Dog, il Border Collie, il Pastore Americano Nano, lo Shetland Sheepdog e lo Welsh Cardigan. Tra i cani da compagnia, i migliori sarebbero il Barboncino, il Bichon Frisè, il Cavalier King Charles Spaniel e il Chihuahua.

PER UN APPRENDIMENTO

SEMPLICE

Per facilitare l’apprendimento, è necessario insegnare all'animale - sin da cucciolo - i comandi base: “andiamo”, “vieni”, “seduto”, “lascia”, “dammi la zampa”, “a terra”, e stimolarlo con giochi di attivazione mentale, giochi di ricerca e collaborativi. Per semplificare la memorizzazione di nuovi termini, è utile mostrare al cane l’oggetto corrispondente alla parola pronunciata. Se nel riproporre l’esercizio il cane riesce a identificare l’oggetto corretto, lo premieremo con un biscotto dicendogli “bravo”. Una pratica che andrebbe ripetuta più volte al giorno, per far sì che l’animale possa migliorare le proprie capacità co-

gnitive e ampliare il suo vocabolario. Questo tipo di gioco, utile a qualsiasi età, ha un valore educativo rilevante perché il cane impara cose nuove e si diverte. Il gioco è sempre consigliato in presenza di problemi relazionali, anche legati allo status gerarchico. In questi casi è consigliabile - anche - riprendere con una telecamera le sessioni di gioco, al fine di individuare, durante la visita comportamentale, eventuali errori commessi dal proprietario e correggerli. Spesso, i problemi legati allo status gerarchico sono involontariamente determinati dai proprietari che hanno una scarsa conoscenza dell’etogramma (repertorio dei comportamenti, ndr) del cane.

I CANI SONO CAPACI

DI ANALIZZARE

IL

LINGUAGGIO

DELL’UOMO?

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Current Biology e condotto da due ricercatori dell’Università del Sussex (Regno Unito), Victoria Ratcliffe e David Reby, i cani sarebbero in grado di riconoscere i suoni, analizzare le parole e la loro intonazione. Dai risultati di questa ricerca è emerso che i cani giravano la testa a destra quando gli venivano dati comandi noti, e a sinistra, quando venivano pronunciati in un’altra lingua o con errori grammaticali. Secondo gli studiosi, i pet avrebbero un’elaborazione separata nei due emisferi, molto simile a quella del cervello umano. In pratica, utilizzerebbero l’emisfero destro per elaborare l’intonazione e l’emisfero sinistro per interpretare le parole.

L’UNIONE FA LA FORZA

Un cane che tende a trascorrere il tempo fuori dalle mura domestiche, ad esempio in giardino, ha minori possibilità sia di interagire con i suoi familiari sia di apprendere, anche casualmente, nuovi vocaboli. Una situazione che, a lungo andare, potrebbe condurre l’animale a sviluppare un vero disagio psichico. Per questo, prima di adottare un cane, è consigliabile rivolgersi al comportamentalista, e capire se ci sono le condizioni per poterlo fare.

UNA COMPRENSIONE PROFONDA

DEL LINGUAGGIO UMANO

Un team di ricercatori, guidato dalla dottoressa Marianna Boros del Laboratorio di Neuroetologia della Comunicazione dell’Università Eötvös Loránd, ha recentemente condotto uno studio - pubblicato su Current Biology - da cui è emerso che i cani, a fronte di determinate parole, non reagirebbero solo con uno specifico comportamento, ma attiverebbero anche una rappresentazione mentale. In pratica, avrebbero una comprensione piuttosto profonda del linguaggio umano, che non si limiterebbe ad associare una parola ad un’azione. Questo studio apre nuove prospettive fondamentali per la comunicazione interspecifica.

PENSIONI 2025

PUBBLICATA LA CIRCOLARE INPS

Con la circolare 53 del 5 marzo 2025 l’Inps fornisce le prime indicazioni relative alle disposizioni in materia pensionistica introdotte dall’ultima Legge di Bilancio

Come già anticipato a novembre, possiamo confermare che la Manovra 2025, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre 2024 ed entrata in vigore dal 1° gennaio 2025, in tema di pensioni, si è limitata a prorogare le misure sperimentali già in vigore introducendo poche novità.

Restano invariati i requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia (67 anni di età e almeno 20 anni di contributi) e alla pensione anticipata ordinaria (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne), per la quale viene introdotto da quest’anno l’incentivo alla prosecuzione dell’attività lavorativa.

Confermata per il 2025, con tutte le penalizzazioni introdotte nel 2024, “Quota 103”. È quindi ancora possibile accedere alla pensione con 62 anni di età e 41 anni di contributi, ma l’assegno è calcolato con il sistema contributivo e fino ai 67 anni non potrà essere superiore a € 2.413,60 lordi mensili. Confermate anche le finestre mobili, di sette mesi per i lavoratori privati e di nove mesi per i dipendenti pubblici. Restano in vigore l’impossibilità di cumulare reddito da lavoro e pensione fino al compimento del 67° anno di età e l’incentivo in busta paga per chi deciderà di posticipare il pensionamento. Prorogata anche “Opzione donna”, con tutte le restrizioni entrate in vigore nel 2023. In particolare, nel 2025 possono accedere a questa prestazione le lavoratrici che entro il 31 dicembre 2024 abbiano maturato un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e

almeno 61 anni di età e che, alla data della domanda, si trovino in una delle condizioni indicate nella norma. Restano confermate la riduzione di un anno - fino a un massimo di due - del requisito anagrafico per ogni figlio e le finestre mobili di 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e 18 mesi per le autonome. Proroga di un anno anche per l’“Ape Sociale”, a cui si può accedere con almeno 63 anni e 5 mesi e 30 anni di contributi. Le donne possono beneficiare di una riduzione del requisito contributivo di 12 mesi per ogni figlio, fino a un massimo di due anni. Confermata l’incumulabilità della prestazione con i redditi di lavoro dipendente e autonomo, ad eccezione del lavoro autonomo occasionale entro un massimo di € 5.000 lordi annui. Poche novità anche per le pensioni contributive. Restano infatti invariati i requisiti per accedere alla pensione di vecchiaia (67 anni di età e 20 anni di contributi con un importo soglia di € 538,69 o 71 anni di età e 5 anni di contributi senza importo soglia) e alla cosiddetta pensione anticipata “contributiva 63” (64 anni di età e almeno 20 anni di contributi con un importo soglia che va da € 1.616,07 a € 1.400,59). In caso di anticipo, l’assegno non potrà inoltre essere superiore a cinque volte il minimo Inps (€ 3.017) fino al compimento del 67° anno di età e vige una finestra di tre mesi dalla maturazione dei requisiti. Arriva una buona notizia solo per le lavoratrici madri. La Legge di Bilancio 2025, infatti, ha innalzato da dodici a sedici mesi la riduzione del requisito anagrafico per l’accesso alla pensione contributiva in favore delle

donne con quattro o più figli. Pertanto, il requisito anagrafico potrà essere ridotto di quattro mesi per ogni figlio fino a un massimo di sedici in caso di quattro o più figli, sempre in alternativa all’applicazione del coefficiente di trasformazione maggiorato per ottenere un importo di pensione più generoso. La circolare Inps non contiene alcun chiarimento riguardo all’unica vera novità della Legge di Bilancio, ossia la possibilità di utilizzare il valore teorico di una o più rendite di previdenza complementare per raggiungere l’importo soglia richiesto per l’accesso alle pensioni contributive. L’individuazione dei criteri di computo, delle modalità di richiesta e di certificazione del valore della rendita è infatti demandata a uno specifico decreto interministeriale. Questa novità rappresenta senza dubbio un primo passo per creare un collegamento tra previdenza pubblica e complementare, ma forse, per incentivare davvero il cosiddetto “secondo pilastro”, sarebbe stato più efficace inserire in Manovra anche l’avvio del tanto discusso nuovo semestre di silenzio-assenso e rivedere ulteriormente il regime fiscale applicato alla previdenza integrativa. L’attuale scenario richiede a nostro parere una maggiore coerenza normativa, al fine di garantire, nel lungo periodo, l’equilibrio di un sistema pensionistico in parte compromesso da quella che viene definita la più grande transizione demografica di tutti i tempi.

Verifica

i tuoi requisiti presso gli uffici

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QUOTA 103 PENSIONE ANTICIPATA FLESSIBILE

I requisiti per accedere alla pensione anticipata flessibile Quota 103 sono: 62 anni di età 41 anni di contributi non beneficiare già di altro trattamento pensionistico.

Le finestre pensionistiche di decorrenza sono: di 7 mesi per gli iscritti alla gestione dipendenti del settore privato; di 9 mesi per i dipendenti pubblici.

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Il Patronato

50&PiùEnasco è a disposizione per un’analisi personalizzata della tua posizione contributiva e per l’inoltro della domanda di pensione Quota 103.

a cura di Alessandra De Feo

MODELLO

730 2025 QUANTE NOVITÀ?

Una rassegna di alcune rilevanti modifiche

presenti nella nuova dichiarazione dei redditi dall’ampliamento della platea agli scaglioni di reddito

Alla data di redazione del presente articolo, sono state rese pubbliche la bozza del modello 730 2025 e le relative istruzioni. Interessanti sono le modifiche presenti nel suddetto modello, che rappresentano la continuazione del processo, iniziato già da alcuni anni, diretto ad ampliare sempre di più il ricorso al modello 730.

Le più rilevanti novità sono di seguito elencate e distinte in due gruppi, considerando la natura strutturale e normativa che ciascuna di essa presenta.

A) Ampliamento della platea (sotto l’aspetto dei redditi).

È possibile utilizzare il modello 730 2025 anche per dichiarare alcune fattispecie reddituali per le quali, in precedenza, era necessario presentare il modello Redditi PF:

• i redditi soggetti a tassazione separata e imposta sostitutiva, e da rivalutazione dei terreni (quadro M);

• le plusvalenze di natura finanziaria (quadro T);

• per comunicare dati relativi alla rivalutazione del valore dei terreni effettuata ai sensi dell’articolo 2 del D.L. 24 dicembre 2002, n. 282;

• per dichiarare determinati redditi di capitale di fonte estera assoggettati a imposta sostitutiva;

• per assolvere agli adempimenti relativi agli investimenti all’estero e alle attività estere di natura finanziaria a titolo di proprietà o di altro diritto reale e determinare in relazione ad essi le imposte sostitutive dovuteIvafe, Ivie e Imposta cripto-attività - (quadro W).

B) Modifiche normative.

• modifica scaglioni di reddito e delle aliquote Irpef: il D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 216, ha previsto per il 2024 la riduzione da quattro a tre degli scaglioni di reddito e delle corrispondenti aliquote. Ciò è divenuto strutturale con la Legge di Bilancio 2025;

• locazioni brevi: i redditi derivanti da contratti di locazione breve sono assoggettati a imposta sostitutiva nella forma della cedolare secca, con aliquota al 26%; la predetta aliquota è ridotta al 21% per i redditi da locazione breve relativi ad una unità immobiliare individuata dal contribuente in sede di dichiarazione dei redditi;

• lavoro dipendente prestato all’estero in zona di frontiera: dal 2024, il reddito da lavoro dipendente prestato all’estero in zona di frontiera o in altri paesi limitrofi al territorio nazionale, in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto, da soggetti residenti nel territorio dello Stato italiano, concorre a formare il reddito complessivo per l’importo eccedente € 10.000;

• rimodulazione delle detrazioni per redditi da lavoro dipendente: per il solo periodo d’imposta 2024 è innalzata da € 1.880 a € 1.955 la detrazione prevista per i contribuenti titolari di redditi di lavoro dipendente, escluse le pensioni e assegni ad esse equiparati e per taluni redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, in caso di reddito complessivo non superiore a € 15.000;

• bonus tredicesima: per l’anno 2024, ai titolari di reddito di lavoro dipendente con reddito complessivo non superiore a € 28.000 che rispettino determinate condizioni, è riconosciuta un’indennità di importo pari a € 100, ragguagliata al periodo di lavoro, che non concorre alla formazione del reddito complessivo;

• rimodulazione delle detrazioni per oneri: per i contribuenti titolari di un reddito complessivo superiore a € 50.000, è prevista una riduzione di € 260 dell’ammontare della detrazione dall’imposta lorda;

• detrazione Superbonus: per le spese sostenute nel 2024 rientranti nel Superbonus, salvo eccezioni, si applica la percentuale di detrazione del 70%. Per le spese sostenute a partire dal 1° gennaio 2024 la detrazione è rateizzata in 10 rate di pari importo;

• detrazione Sismabonus ed eliminazione barriere architettoniche: per le spese sostenute nel 2024 relative ad interventi rientranti nel Sismabonus o finalizzate all’eliminazione delle barriere architettoniche di cui all’articolo 119-ter del D.L. n. 34/2020, la detrazione è rateizzata in 10 rate di pari importo;

• detrazione bonus mobili e grandi elettrodomestici: per l’anno 2024, il limite di spesa è pari a € 5.000;

• Ivie e Ivafe: l’aliquota dell’Ivie è dell’1,06%; l’aliquota dell’Ivafe è del 4%, se l’investimento è negli Stati o Territori privilegiati.

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ULTIME DISPONIBILITÀ 1° TURNO

“INCONTRI 50&PIÙ”

IN SARDEGNA AL MARINA BEACH DI OROSEI (NU)

GIUGNO 2025

Una grande festa di inizio estate dove ritrovarsi e condividere il piacere di una vacanza all’insegna del bel mare, del relax, del divertimento e della scoperta di luoghi. Una scelta di qualità arricchita con attività culturali, corsi di cucina, tornei di burraco e gara di ballo, oltre all’assistenza dello staff 50&Più e 50&Più Turismo. Vi aspettiamo nella bella Sardegna.

CLUB HOTEL MARINA BEACH

Un perfetto villaggio-vacanze nel Golfo di Orosei, direttamente sul mare e sulle spiagge incontaminate della Sardegna. Si trova a circa 50 minuti dal porto/aeroporto di Olbia, inserito in un Parco di 23 ettari con giardini meravigliosi e frutteti, proprio di fronte a una spiaggia di sabbia dorata lunga circa 7 km, una delle più belle della Sardegna. Le forme architettoniche, le piazzette interne, le grandi piscine e la posizione rispetto al mare fanno del complesso uno dei più belli ed eleganti realizzati in Sardegna. Servizio navetta dal Resort al vicino paese di Orosei servito anche da una pista pedonale illuminata.

QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE

PERIODO DOPPIA / MATRIMONIALE

Dal 3 all’11 giugno (8 notti/9 giorni) € 785

RIDUZIONI BAMBINI

Bambini 0/12 anni, non compiuti, in terzo letto

Bambini 0/12 anni, non compiuti, in quarto letto

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione. Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

LA QUOTA COMPRENDE: Soggiorno di 8 notti/9 giorni (camere disponibili alle 15:00 del giorno di arrivo e liberate entro le ore 10:30 del giorno di partenza) • Trattamento di pensione completa a buffet dalla cena del giorno di arrivo al pranzo del giorno di partenza (per arrivi anticipati con il pranzo, i servizi terminano con la prima colazione del giorno di partenza) • Bevande ai pasti (acqua minerale e vino) • Tessera Club (dà diritto a tutte le attività sportive e ricreative del Marina Beach) • Servizi balneari riservati in spiaggia (un ombrellone e 2 lettini per camera) • Animazione diurna e serale con spettacoli, piano bar, giochi e tornei • Partecipazione ad attività culturali e ricreative organizzate da 50&Più • Partecipazione al Torneo di Burraco 50&Più • Assistenza medica H24 • Assicurazione bagaglio/sanitaria e annullamento viaggio UnipolSai SpA • Presenza di personale 50&Più e 50&Più Turismo.

LA QUOTA NON COMPRENDE: Tutti i trasporti da e per il Marina Beach (quote su richiesta) • Telo mare a noleggio (da affittare in loco) • Escursioni facoltative da acquistare e pagare in loco • Eventuali imposte di soggiorno comunali, da regolare in loco (attualmente € 1,20 per persona al giorno) • Extra in genere e tutto quanto non espressamente specificato. - 50% gratuiti

CROCIERA COSTA TOSCANA MEDITERRANEO

DA CIVITAVECCHIA

dal 24 al 31 maggio 2025 (7 notti/8 giorni)

La nave Costa Toscana è sinonimo di vacanza italiana: esperienze di gusto e divertimento vista mare. A bordo spettacoli, veri e propri viaggi nel gusto tra gli undici ristoranti, una Spa e una palestra di ultima generazione e tanto altro. Un viaggio tra Italia, Francia e Spagna, alla scoperta delle opere d’arte a cielo aperto del Mediterraneo. Con Costa si parte all’esplorazione di Savona, Marsiglia, Barcellona, Ibiza e Palermo, tra specialità iberiche e siciliane e nuove destinazioni da vivere dal mare. L’itinerario del Mediterraneo Occidentale si arricchisce di destinazioni, nuove rotte ed esperienze indimenticabili in luoghi iconici.

CETACEI LIGHT SHOW SANTUARIO DEI CETACEI

Uno spettacolo di luci svelerà i segreti di alcune delle creature marine più affascinanti: balene, delfini e megattere. Uno show innovativo, da un punto di vista unico: quello della nave in mare aperto.

MARE DI STELLE MARE DELLE BALEARI

In mare aperto, immersi nel buio più profondo del Mediterraneo verrete guidati da un ufficiale alla scoperta dei segreti dell'universo sotto a un cielo come mai visto prima, con lo sguardo a pianeti e costellazioni.

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione. Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

PROGRAMMA

29/05 In

QUOTA PER PERSONA

TIPO CABINA CATEGORIA IN CAMERA DOPPIA

Interne IN2 € 610 (tasse escluse) + € 300 in singola

Esterne EC € 690 (tasse escluse) + € 380 in singola

Balcone BC € 720 (tasse escluse) + € 420 in singola

SUPPLEMENTI E TASSE

Tasse Portuali (obbligatorie)

Pacchetto bevande My Drinks (facoltativo) € 175

Assicurazione e annullamento viaggio (obbligatoria) € 40

Tasse di servizio da pagare a bordo € 77

CONCORSO 50&PIÙ APPUNTAMENTO CON LA CREATIVITÀ

dall’11 al 16 luglio 2025 (5 notti/6 giorni)

Si riparte con la 43a edizione del Concorso, l’Evento 50&Più rivolto a tutte le persone che vogliono trovare nell’esperienza artistica il piacere di comunicare e valorizzare la propria ispirazione e creatività.Nel corso della fase finale del Concorso, i concorrenti potranno partecipare a seminari e laboratori condotti da noti artisti e condividere la propria esperienza con altri “colleghi” pittori, scrittori, fotografi, dilettanti. Una Giuria, composta da affermati nomi della cultura, selezionerà le opere che saranno premiate con i due simboli del Concorso: la Farfalla e Libellula d’oro e d’argento.

GRAND HOTEL DINO (4 STELLE SUPERIOR) - BAVENO (VB)

A grande richiesta si ritorna sul Lago Maggiore!

Gli splendidi Hotel del Gruppo Zacchera Hotels, per la loro posizione privilegiata, il magnifico scenario del Lago Maggiore e delle Isole Borromee, la qualità del servizio, la professionalità e ospitalità attenta e personalizzata, sono una garanzia da oltre 150 anni!

Durante il soggiorno sarà prevista una escursione guidata alla scoperta dei dintorni, e inoltre sarà possibile effettuare escursioni facoltative, tra le quali: Locarno in Svizzera, le Isole Borromee o il Lago d’Orta, i giardini di villa Taranto o la Rocca Borromea di Angera.

QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE

In camera doppia

Supplemento camera singola

€ 740

€ 320

Supplemento camera vista lago garantita Su richiesta

Riduzioni adulti e bambini 3°/4° letto Su richiesta

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione. Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

LA QUOTA COMPRENDE: Soggiorno (5 notti/6 giorni) in camera doppia in Hotel del gruppo Zacchera con trattamento di pensione completa (acqua minerale ai pasti, inclusa) • Partecipazione ai convegni e agli intrattenimenti proposti dall’organizzazione • Una escursione di mezza giornata • Ingresso alla piscina interna ed esterna • Assistenza staff 50&Più • Assicurazione.

LA QUOTA NON COMPRENDE: Trasporti da e per Baveno • Bevande extra ai pasti • Accesso al Centro Benessere SPA • Escursioni facoltative • Tassa di soggiorno (da regolare in loco) • Mance, extra in genere e tutto quanto non specificato.

GRECIA CLASSICA E LE METEORE LA CULLA DELLA CIVILTÀ MODERNA

dal 4 al 10 ottobre 2025 (6 notti/7 giorni)

Tour alla scoperta del grande patrimonio culturale della Grecia, terra di miti, dèi e filosofi. Si visiteranno luoghi imperdibili come Atene, Epidauro, Micene, Olimpia, Delfi e infine le Meteore, uno degli spettacoli naturali più sorprendenti con formazioni rocciose che si innalzano maestosamente nel cuore della pianura tessalica.

Delfi Itea

Epidauro Micene Olimpia

1° GIORNO Partenza dall’Italia per Atene e passeggiata con guida per conoscere la città.

2° GIORNO Atene. Visita guidata dell’Acropoli per ammirare il Partenone e i capolavori dell’arte greca, il Museo Archeologico e il Museo dell’Acropoli.

3° GIORNO Corinto - Epidauro – Micene - Olimpia. Partenza per il Peloponneso: sosta al Canale di Corinto, visite guidate del teatro di Epidauro e di Micene con l’Acropoli, Tombe Reali, Mura Ciclopiche e dell’esterno del Palazzo. Proseguimento per Olimpia.

4° GIORNO Olimpia - Itea. Giornata dedicata ad esplorare l’affascinante area archeologica di Olimpia: i resti dei templi di Zeus ed Era, dello Stadio Olimpico e l’antico laboratorio di Fidia. Partenza per Itea sul Golfo di Corinto.

5° GIORNO Itea - Delfi - Kalambaka. Visita del sito archeologico di Delfi, immerso in un paesaggio unico, con il celebre santuario di Apollo e il museo con importante raccolta di arte greca. Trasferimento a Kalambaka.

6° GIORNO Kalambaka - Le Meteore – Atene. Visita con guida delle Meteore, paesaggio unico al mondo con rocce alte 600 metri sormontate da monasteri, un tempo rifugio dei monaci ortodossi. Visita di due monasteri attivi. Trasferimento per Atene attraverso la fertile pianura della Tessaglia e le alte catene montuose.

7° GIORNO Atene - Rientro in Italia. Trasferimento in aeroporto in tempo utile e volo di ritorno per l’Italia.

QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE (minimo 25 partecipanti)

In camera doppia

Supplemento camera singola

€ 1.490

€ 510

Le quote di soggiorno sopra riportate sono riservate ai soci 50&Più Associazione. Per i non soci 50&Più è previsto un supplemento di € 50 a partire dai 18 anni

LA QUOTA COMPRENDE: Volo di linea da Roma ad Atene e ritorno • Trasferimenti in bus privato per il tour • Sistemazioni in hotel 4 stelle con trattamento di mezza pensione (prima colazione e cena) • Bevande a cena (1/2 di acqua e ¼ di vino) • Guida-accompagnatore locale durante il tour • Cocktail di arrivederci • Auricolari • Assicurazione medico bagaglio.

LA QUOTA NON COMPRENDE: Supplemento partenza da Napoli € 90, da Milano Linate € 70, sempre via Roma • Assicurazione annullamento € 40 • Pranzi e bevande • Tasse aeroportuali € 110• Ingressi a musei, monumenti e siti archeologici regolabili solo sul posto (circa € 160) • Mance, Extra personale e tutto quanto non indicato.

Per maggiori informazioni e prenotazioni contattare: mail: infoturismo@50epiu.it - tel. 06.6871108/369 oppure la sede provinciale 50&Più di appartenenza (Aut. Reg. 388/87)

Meteora
MAR EGEO
MAR IONIO

IL TIEPIDO ABBRACCIO DELLA PRIMAVERA

«Si seminano le zinnie le spose novelle il basilico, e tutti gli altri le di cui piante necessitano del caldo della buona stagione»

Almanacco Barbanera 1872

a cura di

APRILE

Ogni giorno nuove fioriture e profumi ci circondano, mentre il verde ora brillante di prati e alberi ci regala una sferzata di energia. Per fortuna, al lavoro nei giardini si vedono ancora le api, che rendono l’atmosfera ancora più vibrante. Aprile spalanca le porte alla primavera, salutando la stagione di mezzo con il calore del sole e gli improvvisi acquazzoni che rinfrescano l’aria. È tempo di tornare alla terra, tra semine e i primi fruttuosi raccolti. In casa, sul balcone, nell’orto e nel giardino c’è un gran daffare, ma aprile ci chiama anche all’aperto. Ci aspettano le prime escursioni, passeggiate in campagna o gite in bicicletta, per scoprire fiori ed erbe di campo anche nei parchi o nei sentieri della città. Ma il mese ci invita anche a rallentare, a vivere piacevolmente nel ritmo dolce dei raggi di sole, a godere della pace che la primavera ci regala.

IL GUSTO SELVATICO DEGLI ASPARAGI

Primizia di primavera molto amata, gli asparagi, forse anche per l’insolito modo di mangiarli con le mani (ma solo in famiglia), portano in tavola gusto e allegria. A sentire il galateo si dovrebbero invece portare alla bocca con l’apposita pinza, oppure con la forchetta se si hanno nel piatto solo le punte. I più prelibati sono quelli selvatici, di bosco, ma gli asparagi si coltivano negli orti da lunghissimo tempo. Oggi, quelli che giungono sulle nostre tavole sono di tre principali varietà: verdi, bianchi e violetti. Tipici dell’area mediterranea orientale, ma presenti anche in Nord Africa, entrano da 2000 anni nei nostri ricettari.

IN CUCINA

Li possiamo preparare lessi, in acqua o al vapore. Ridotti in purea entrano in vellutate, passati, soufflé. Ottimi in frittate, torte salate, paste e risotti.

FANNO BENE PERCHÉ

Per le poche calorie, sono adattissimi alle diete dimagranti. Ricchi di vitamine A, C e del gruppo B, sono diuretici, sedativi e lassativi. La tradizione gli attribuisce anche proprietà afrodisiache.

BUONO A SAPERSI!

Non proteggete troppo i bambini dalle difficoltà. Molti ragazzi oggi non riescono a tollerare un insuccesso scolastico, sportivo o sentimentale, a causa di un’infanzia troppo ‘dorata’. Il periodo di Luna crescente è favorevole alla raccolta: di idee, di investimenti o di ispirazioni artistiche, ma anche di rami fioriti per creare stupende composizioni floreali. Con la Luna calante dedichiamoci alla casa: per una lavatrice pulita, e priva di calcare, facciamo un lavaggio a vuoto dopo aver versato un bicchiere di aceto nel cestello e nelle vaschette del detersivo e dell’ammorbidente. Poi lucidiamo i mobili di legno chiaro con un panno leggermente imbevuto di birra chiara. Inoltre, programmiamo una visita dal veterinario: le temperature più miti, aumentano i rischi per i cani di contrarre la filariosi e i parassiti intestinali.

IL CESTINO DI APRILE

ORTAGGI: aglio, agretti, asparagi bianchi e verdi, carciofi, carote, cavolfiori, cavoli broccolo, cavoli cappuccio, cavoli verza, cicorie, cicorini da taglio, cime di rapa, cipolle, fave, finocchi, indivie, lattughe, patate novelle, piselli, porri, radicchi rossi, rape, ravanelli, rucola, sedani, spinaci e valerianella.

COLTIVARE CON LA LUNA

NELL’ORTO. In Luna crescente, se il clima lo permette, seminiamo rucola, cavolfiori, zucchine, cardi, cetrioli, zucche, fagioli, piselli e meloni. Al Centro e al Nord, se rigido, seminiamo in semenzaio peperoni, melanzane e pomodori. Un proverbio recita: “Aprile temperato non è mai ingrato”, e allora seminiamo all’aperto, con la Luna calante, cicorie, scarole, lattughe, radicchi, bietole, cavoli, ravanelli, porri, sedani, valerianella e prezzemolo. Prepariamo i tutori per fagiolini, piselli, pomodori e zucche rampicanti. Contro gli afidi delle piante da frutto, usiamo olio di neem con sapone di Marsiglia. Finite le fioriture, trattiamo con rame. IN GIARDINO. Con la Luna crescente, interriamo i bulbi di gladioli, dalie e monbretie. Seminiamo la calendula tenendo umida la terra. Facciamo i rinvasi di piantine da fiore anche sul balcone. Interriamo i bulbi estivi. È tempo anche per la margotta negli agrumi: avvolgiamo nella plastica una porzione di ramo, inserendo del terriccio. Leghiamo a ‘caramella’ mantenendo umido fino ad agosto. Con la Luna calante concimiamo con compost e ripuliamo i cespugli sfioriti. Pratichiamo una potatura di mantenimento per gli agrumi all’aperto: togliamo rami che hanno fruttificato e interni alla chioma e trattiamo con rame.

LE STAGIONI SUL BALCONE

BELLE PIANTE ANCHE CON LA TRAMONTANA

Se abbiamo un balcone esposto ai venti freddi da nord, ma non vogliamo rinunciare a fiori e piante, potremo optare per le più rustiche e meno freddolose. Ad esempio, una felice accoppiata sarà quella di elleboro, o rosa d’inverno, e pervinca. Anche di diverse varietà e specie, l’elleboro, dalle belle foglie e dai fiori invernali, garantisce ornamento tutto l’anno. Nello stesso vaso, perché hanno le stesse esigenze, la pervinca assicurerà una copertura verde brillante, anche ricadente, senza alcuna manutenzione. Produce inoltre meravigliosi fiori, color pervinca appunto, dalla primavera all’autunno.

FRUTTA: arance ovali, bergamotti, fragole, limoni e pompelmi.

AROMI: prezzemolo, rosmarino e salvia.

DICE IL PROVERBIO

Aprile temperato non è mai ingrato

Alta o bassa è freddo fino a Pasqua

Gli anni sanno più dei libri

IL SOLE:

L’1 sorge alle 06:43 e tramonta alle 19:26

Il 30 sorge alle 05:57e tramonta alle 19:58

LA LUNA:

L’1 sorge alle 08:06 e tramonta alle 23:47

Il 30 sorge alle 07:25 e tramonta alle 23:54

Luna crescente dall’1 al 12 e dal 28 al 30

Luna calante dal 14 al 26

Luna Piena il 13. Luna Nuova il 27

Il 13 Luna piena di aprile detta anche Luna rosa

BASTANO DUE SETTIMANE “OFFLINE” PER ESSERE PIÙ FELICI

Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica PNAS Nexus ha confermato che ridurre il tempo trascorso sui nostri dispositivi per accedere a Internet ci rende più felici e concentrati

Prendere una pausa dallo smartphone può fare molto più che bene. No, non è un’affermazione paternalistica: è la verità, con tanto di dimostrazione scientifica. Un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Alberta, in Canada, ha voluto vederci chiaro sugli effetti prodotti dalla iperconnessione sulla salute mentale. Gli americani, infatti, tendono a trascorrere in media circa cinque ore al giorno sul proprio smartphone. Da qui la necessità di capire se un costante accesso a Internet tramite questo dispositivo danneggi le funzioni cognitive e l’equilibrio emotivo. Per capire quindi l’impatto dello smartphone, il team di ricerca ha sottoposto ad un “digital detox” controllato un campione di 467 persone. Non si è trattato di una ‘dieta’ drastica: i partecipanti dovevano installare e mantenere attiva per un periodo di due settimane un’app in grado di bloccare internet mobile. L’app consentiva di mantenere la connessione per i messaggi e le chiamate, ma non quella al web, funzionando da deterrente per qualsiasi tentativo di consultare la Rete. Già da subito, per molti dei partecipanti si è rivelato piuttosto difficile rispettare i termini dell’esperimento. Dell’intero gruppo che vi ha preso parte solo 266 hanno impostato l’app, mentre appena 119 (il 25,5%) sono riusciti a man-

tenere un blocco di almeno 10 giorni su 14. I risultati hanno dimostrato che, osservando la limitazione, si sono verificati dei cambiamenti. Infatti, rispetto a coloro che hanno abbandonato, quel-

rispetto all’effetto medio indotto dagli antidepressivi farmaceutici.

I ricercatori hanno collegato questi miglioramenti alla diminuzione del tempo medio che le persone hanno trascorso allo smartphone, crollato da 314 a 161 minuti. Questa riduzione di quasi il 50% ha prodotto risultati positivi - suggeriscono - che possono essere parzialmente spiegati dal modo con cui i partecipanti hanno deciso di trascorrere il loro tempo. Senza accesso a Internet mobile hanno optato per passarlo di più a socializzare di persona, fare esercizio fisico, leggere un libro, coltivare un hobby e stare nella natura.

L’esperimento dell’Università dell’Alberta offre una prospettiva preziosa sul nostro rapporto con la tecnologia. Non si tratta di demonizzare gli smartphone

li che sono riusciti a portare a termine il test hanno mostrato un incremento significativo nella salute mentale, così come nel benessere soggettivo e nella capacità di mantenere attiva l’attenzione. Il 91% dei partecipanti ha visto migliorare almeno uno di questi aspetti. Il cambiamento nella capacità di attenzione, ad esempio, è stato equivalente alla cancellazione di dieci anni di età. Il miglioramento dei sintomi della depressione, invece, è stato maggiore

o Internet, ma di trovare un equilibrio sano. Due settimane di disconnessione parziale possono essere un investimento significativo per la salute mentale e il benessere. Ci invita a riflettere su come trascorriamo il nostro tempo e a riscoprire il piacere delle interazioni umane dirette, delle attività all’aria aperta e degli hobby che arricchiscono la nostra vita. Forse, la chiave per una vita più felice e soddisfacente è proprio lì: a portata di mano, ma al di fuori dello schermo.

di Valerio Maria Urru

NERONE

L’IMPERATORE ARTISTA

CHE SCANDALIZZÒ IL SENATO

«NON

SONO STATO IO A DISTRUGGERE ROMA»

Dialoghi ‘impossibili’ con i più grandi personaggi della storia, realizzati attraverso sistemi di intelligenza artificiale

«Sono Nerone, Imperatore di Roma, figlio di Agrippina! Patrono delle arti, auriga, poeta e, a detta di alcuni, un tiranno». Grazie per la presentazione ma non abbiamo ancora iniziato l’intervista. Allora proceda celere, Roma attende. Visto che l’ha citata, partiamo proprio con Agrippina, che viene spesso descritta come la vera artefice della sua ascesa.

Lei mi fa ridere e suscita un leggero sdegno, con la sua domanda. Ammetto che il rapporto con mia madre è stato, diciamo, ‘complesso’. Ma crede forse che un uomo possa regnare con l’ombra di una madre sul trono?

Roma non ha due Augusti, né due padroni. Lei mi ha fatto imperatore, io mi sono fatto sovrano!

Mi pare di sentire un po’ di acredine nelle sue parole.

Ma che acredine! È solo il fuoco di Roma che arde nelle mie parole. Chi governa senza passione? Chi domina senza furore? Se avessi temuto le lingue appuntite come la sua, sarei rimasto nell’ombra di mia madre.

Pur essendo Imperatore, si esibiva come cantante e attore, scandalizzando il senato.

Il Senato? La casta che si nasconde dietro a lunghe tuniche e sorrisi finti? Mi esibivo per il popolo, per chi sa apprezzare l’arte, mentre loro si crogiolano nella loro noiosa politica. Dovrei forse vergognarmi di celebrare il mio talento? Se non fosse stato per il mio spirito, Roma sarebbe rimasta prigioniera della noia. I primi cinque anni del suo regno sono ricordati come un periodo di saggezza amministrativa. Ero un giovane imperatore, in cerca di un equilibrio, che cercava di ascoltare i saggi e di consolidare il potere. Ma la saggezza è un vestito che cresce con l’uomo. È facile essere giudicati quando si è giovani e inesperti, ma la

vera forza è nell’evoluzione; che nessuno dimentichi che Roma si è espansa sotto la mia guida. Si dice che avesse l’abitudine di vagare per Roma di notte, in incognito.

Ah, le notti di Roma, sotto il cielo stellato, mi perdevo tra le strade di questa città immortale. Non cercavo il tradimento, come alcuni insinuano, ma la verità. Volevo vedere con i miei occhi come vivono i miei sudditi, sentire le voci dei poveri, degli artigiani. La loro vita, le loro grida, mi erano necessarie per governare.

Parliamo del grande incendio di Roma, a lei attribuito dalla storiografia. Ci racconti la sua versione.

Roma bruciò, sì, ma non per mia volontà. Il fuoco che devastò la città non fu altro che un disastro naturale. Le fiamme divamparono improvvisamente, alimentate dal caldo e dalla densità delle abitazioni: non sono stato io a volere distruggere la mia stessa casa! Anzi, mentre la città ardeva io ero tra i miei soldati, impegnato a salvare ciò che rimaneva. Eppure si dice che mentre Roma ardeva, lei cantasse con la lira in mano

Le voci mi dipingono come un mostro, ma chi comprende l’anima di un artista? La verità è che, mentre la città bruciava, io contemplavo la tragedia, cercando di trovare nell’arte ciò che il caos non poteva distruggere. Se potesse tornare indietro, quale singola decisione cambierebbe del suo regno?

La scelta dei miei alleati. Ho avuto molti traditori tra le mani, ma le mie decisioni sono sempre state mosse dalla passione e dal desiderio di grandezza. Tuttavia, il tradimento di alcuni, come Seneca, mi ha segnato. Se potessi tornare indietro, avrei forse imparato a non fidarmi tanto di chi si mascherava da amico. Eliminarli prima mi avrebbe risolto molti problemi.

Le sedi 50&Più provinciali

Abruzzo Telefono

L’Aquila - viale Corrado IV, 40/F - 50epiu.aq@50epiu.it 0862204226

Chieti - via F. Salomone, 67 - 50epiu.ch@50epiu.it 087164657

Pescara - via Aldo Moro, 1/3 - 50epiu.pe@50epiu.it 0854313623

Teramo - corso De Michetti, 2 - 50epiu.te@50epiu.it 0861252057

Basilicata Telefono

Matera - via Don Luigi Sturzo, 16/2 - 50epiu.mt@50epiu.it 0835385714

Potenza - via Centomani, 11 - 50epiu.pz@50epiu.it 097122201

Calabria Telefono

Cosenza - viale degli Alimena, 5 - 50epiu.cs@50epiu.it 098422041

Catanzaro - via Milano, 9 - 50epiu.cz@50epiu.it 0961720352

Crotone - via Regina Margherita, 28 - 50epiu.kr@50epiu.it 096221794

Reggio Calabria - via Tenente Panella, 20 - 50epiu.rc@50epiu.it 0965891543

Vibo Valentia - via Spogliatore snc - 50epiu.vv@50epiu.it 096343485

Campania Telefono

Avellino - via Salvatore De Renzi, 28 - 50epiu.av@50epiu.it 082538549

Benevento - via delle Puglie, 28 - 50epiu.bn@50epiu.it 0824313555

Caserta - via Roma, 90 - 50epiu.ce@50epiu.it 0823326453

Napoli - via Cervantes, 55 int. 14 - 50epiu.na@50epiu.it 0812514037

Salerno - via Zammarelli, 12 - 50epiu.sa@50epiu.it 089227600

Emilia Romagna Telefono

Bologna - via Tiarini, 22/m - 50epiu.bo@50epiu.it 0514150680

Forlì - piazzale della Vittoria, 23 - 50epiu.fo@50epiu.it 054324118

Ferrara - via Girolamo Baruffaldi, 14/18 - 50epiu.fe@50epiu.it 0532234211

Modena - via Begarelli, 31 - 50epiu.mo@50epiu.it 0597364203

Piacenza - strada Bobbiese, 2 - c/o Unione Comm.ti 50epiu.pc@50epiu.it 0523461831

Parma - via Abbeveratoia, 61/A - 50epiu.pr@50epiu.it 0521944278

Ravenna - via di Roma, 104 - 50epiu.ra@50epiu.it 0544515707

Reggio Emilia - viale Timavo, 43 - 50epiu.re@50epiu.it 0522708565

Rimini - viale Italia, 9/11 - 50epiu.rn@50epiu.it 0541743202

Friuli Venezia Giulia Telefono

Gorizia - via Vittorio Locchi, 22 - 50epiu.go@50epiu.it 048132325

Pordenone - piazzale dei Mutilati, 6 - 50epiu.pn@50epiu.it 0434549462

Trieste - via Mazzini, 22 - 50epiu.ts@50epiu.it 0407707340

Udine - viale Duodo, 5 - 50epiu.ud@50epiu.it 04321850037

Lazio

Telefono

Frosinone - via Moro, 481 - 50epiu.fr@50epiu.it 0775855273

Latina - via dei Volsini, 60 - 50epiu.lt@50epiu.it 0773611108

Rieti - largo Cairoli, 4 - 50epiu.ri@50epiu.it 0746483612

Roma - piazza Cavour, 25 - 50epiu.rm@50epiu.it 0668891796

Viterbo - via Belluno, 39/G - 50epiu.vt@50epiu.it 0761341718

Liguria Telefono

Genova - via XX Settembre, 40/5 - 50epiu.ge@50epiu.it 010543042

Imperia - via G. F. De Marchi, 81 - 50epiu.im@50epiu.it 0183275334

La Spezia - via del Torretto, 57/1 - 50epiu.sp@50epiu.it 0187731142

Savona - corso A. Ricci - Torre Vespucci, 14 50epiu.sv@50epiu.it 019853582

Lombardia Telefono

Bergamo - via Borgo Palazzo, 133 - 50epiu.bg@50epiu.it 0354120126

Brescia - via Trento, 15/R - 50epiu.bs@50epiu.it 0303771785

Como - via Bellini, 14 - 50epiu.co@50epiu.it 031265361

Cremona - via Alessandro Manzoni, 2 - 50epiu.cr@50epiu.it 037225745

Lecco - piazza Giuseppe Garibaldi, 4 - 50epiu.lc@50epiu.it 0341287279

Lodi - viale Savoia, 7 - 50epiu.lo@50epiu.it 0371432575

Mantova - via Valsesia, 46 - 50epiu.mn@50epiu.it 0376288505

Milano - corso Venezia, 47 - 50epiu.mi@50epiu.it 0276013399

Pavia - via Ticinello, 22 - 50epiu.pv@50epiu.it 038228411

Sondrio - via del Vecchio Macello, 4/C - 50epiu.so@50epiu.it 0342533311

Varese - via Valle Venosta, 4 - 50epiu.va@50epiu.it 0332342280

Marche Telefono

Ancona - via Alcide De Gasperi, 31 - 50epiu.an@50epiu.it 0712075009

Ascoli Piceno - viale V. E. Orlando, 16 - 50epiu.ap@50epiu.it 0736051102

Macerata - via Maffeo Pantaleoni, 48a - 50epiu.mc@50epiu.it 0733261393

Pesaro - strada delle Marche, 58 - 50epiu.pu@50epiu.it 0721698224/5

Molise Telefono

Campobasso - via Giuseppe Garibaldi, 48 - 50epiu.cb@50epiu.it 0874483194

Isernia - via XXIV Maggio, 331 - 50epiu.is@50epiu.it 0865411713

Piemonte Telefono

Alessandria - via Trotti, 46 - 50epiu.al@50epiu.it 0131260380

Asti - corso Felice Cavallotti, 37 - 50epiu.at@50epiu.it 0141353494

Biella - via Trieste, 15 - 50epiu.bi@50epiu.it 01530789

Cuneo - via Avogadro, 32 - 50epiu.cn@50epiu.it 0171604198

Novara - via Giovanni Battista Paletta, 1 - 50epiu.no@50epiu.it 032130232

Torino - via Andrea Massena, 18 - 50epiu.to@50epiu.it 011533806

Verbania - via Roma, 29 - 50epiu.vb@50epiu.it 032352350

Vercelli - via Duchessa Jolanda, 26 - 50epiu.vc@50epiu.it 0161215344

Puglia

Telefono

Bari - piazza Aldo Moro, 28 - 50epiu.ba@50epiu.it 0805240342

Brindisi - via Appia, 159/B - 50epiu.br@50epiu.it 0831524187

Foggia - via Luigi Miranda, 8 - 50epiu.fg@50epiu.it 0881723151

Lecce - via Cicolella, 3 - 50epiu.le@50epiu.it 0832343923

Taranto - via Giacomo Lacaita, 5 - 50epiu.ta@50epiu.it 0997796444

Sardegna Telefono

Cagliari - via Santa Gilla, 6 - 50epiu.ca@50epiu.it 070280251

Nuoro - galleria Emanuela Loi, 8 - 50epiu.nu@50epiu.it 0784232804

Oristano - via Sebastiano Mele, 7/G - 50epiu.or@50epiu.it 078373612

Sassari - via Giovanni Pascoli, 59 - 50epiu.ss@50epiu.it 079243652

Sicilia Telefono

Agrigento - via Imera, 223/C - 50epiu.ag@50epiu.it 0922595682

Caltanissetta - via Messina, 84 - 50epiu.cl@50epiu.it 0934575798

Catania - via Mandrà, 8 - 50epiu.ct@50epiu.it 095239495

Enna - via Vulturo, 34 - 50epiu.en@50epiu.it 093524983

Messina - via Santa Maria Alemanna, 5 - 50epiu.me@50epiu.it 090673914

Palermo - via Emerico Amari, 11 - 50epiu.pa@50epiu.it 091334920

Ragusa - viale del Fante, 10 - 50epiu.rg@50epiu.it 0932246958

Siracusa - via Eschilo, 11 - 50epiu.sr@50epiu.it 093165059

Trapani - via Marino Torre, 117 - 50epiu.tp@50epiu.it 0923547829

Toscana Telefono

Arezzo - via XXV Aprile, 12 - 50epiu.ar@50epiu.it 0575354292

Carrara - via Don Minzoni, 20/A - 50epiu.ms@50epiu.it 058570973

Firenze - via Costantino Nigra, 23-25 - 50epiu.fi@50epiu.it 055664795

Grosseto - via Tevere, 5/7/9 - 50epiu.gr@50epiu.it 0564410703

Livorno - via Serristori, 15 - 50epiu.li@50epiu.it 0586898276

Lucca - via Fillungo, 121 - c/o Confcommercio

50epiu.lu@50epiu.it 0583473170

Pisa - via Chiassatello, 67 - 50epiu.pi@50epiu.it 05025196

Prato - via San Jacopo, 20-22-24 - 50epiu.po@50epiu.it 057423896

Pistoia - viale Adua, 128 - 50epiu.pt@50epiu.it 0573991500

Siena - via del Giglio, 10-12-14 - 50epiu.si@50epiu.it 0577283914

Trentino Alto Adige

Telefono

Bolzano - Mitterweg - via di Mezzo ai Piani, 5 50epiu.bz@50epiu.it 0471978032

Trento - via Solteri, 78 - 50epiu.tn@50epiu.it 0461880408

Umbria Telefono

Perugia - via Settevalli, 320 - 50epiu.pg@50epiu.it 0755067178

Terni - via Aristide Gabelli, 14/16/18 - 50epiu.tr@50epiu.it 0744390152

Valle d’Aosta

Telefono

Aosta - piazza Arco d’Augusto, 10 - 50epiu.ao@50epiu.it 016545981

Veneto Telefono

Belluno - piazza Martiri, 16 - 50epiu.bl@50epiu.it

0437215264

Padova - via degli Zabarella, 40/42 - 50epiu.pd@50epiu.it 049655130

Rovigo - viale del Lavoro, 4 - 50epiu.ro@50epiu.it 0425404267

Treviso - via Sebastiano Venier, 55 - 50epiu.tv@50epiu.it 042256481

Venezia Mestre - viale Ancona, 9 - 50epiu.ve@50epiu.it 0415316355

Vicenza - via Luigi Faccio, 38 - 50epiu.vi@50epiu.it 0444964300

Verona - via Sommacampagna, 63/H Sc.B - 50epiu.vr@50epiu.it 045953502

Le sedi 50&Più estere

Argentina Telefono

Buenos Aires

0054 11 45477105

Villa Bosch 0054 9113501-9361

Australia Telefono

Perth 0061 864680197

Belgio Telefono

Bruxelles 0032 25341527

Brasile Telefono

Florianopolis

0055 4832222513

San Paolo 0055 1132591806

Canada Telefono

Burnaby - Vancouver BC 001 6042942023

Hamilton 001 9053184488

Woodbridge 001 9052660048

Montreal Riviere des Prairies

001 5144946902

Montreal Saint Leonard 001 5142525041

Ottawa 001 6139634880

St. Catharines 001 9056466555

Toronto 001 4166523759

Germania Telefono

Dusseldorf 0049 21190220201

Portogallo Telefono

Lisbona 00351 914145345

Svizzera Telefono

Lugano 0041 919212050

Uruguay Telefono

Montevideo 0059 825076416

USA Telefono

Fort Lauderdale 001 9546300086

BAZAR

a cura di Osservatorio 50&Più

LO SPORT COME FARMACO

Siamo un popolo poco attento all’attività fisica. Il 25% degli italiani è convinto di farne a sufficienza, ma secondo Oms e Ocse l’inattività fisica ci costerà 1,3 miliardi di euro in spese sanitarie nei prossimi 30 anni. Un importante passo avanti è stato compiuto con la sottoscrizione del Ddl 287 per riconoscere lo sport come farmaco. Nello specifico, nel Disegno di legge lo sport è indicato come strumento per prevenire e curare all’interno del Servizio Sanitario Nazionale. Questa nuova possibilità consentirà ai medici di prescrivere l’attività fisica, incentivando le famiglie attraverso le detrazioni fiscali.

Informazioni, curiosità, notizie utili, luogo d’incontro e di scambio

Inviate segnalazioni e quesiti a: osservatorio@50epiu.it

SCIENZA SOCIETÀ

STUDIARE I NEURONI IN 3D

Per capire come crescono i neuroni, alla Delft University of Technology, nei Paesi Bassi, hanno creato un modello in 3D che mima l’ambiente cerebrale. Hanno usato minuscoli nanopilastri, strutture assai piccole che imitano il tessuto neurale molle e le fibre della matrice extracellulare del cervello. In questo modo possono indagare come le reti neuronali si sviluppano, strutturano e si scambiano segnali. Tutte informazioni che in futuro potrebbero essere utili per cambiare il corso di alcune malattie neurologiche come l’Alzheimer, il morbo di Parkinson e i disturbi dello spettro autistico.

SALUTE PODCAST

LIBRO

L’ETÀ GRANDE

di Gabriella Caramore

Garzanti, 2023, 144 pagine

In genere si pensa alla vecchiaia come a una stagione di declino, immobilità e giorni vuoti. In alternativaoggi in particolare - c’è chi la vede come un’età in cui tutto è ancora possibile. Ma andando al di là dei tabù e dei luoghi comuni, è un momento che spalanca davanti a sé paesaggi inesplorati. L’autrice, spingendo lo sguardo tra le fenditure del tempo, vede nascere un desiderio inaspettato: il bisogno di sentirsi vivi, proprio quando la consapevolezza della fine si fa sentire. Nel ripercorrere questo cammino profondamente umano, L’età grande prova a riscoprire il senso più autentico della vita.

I NUMERI

DELLA SOLITUDINE

Cresce la solitudine delle persone nel nostro paese. Nella provincia di Bolzano sono ventimila gli over 75 che vivono da soli. Rispetto agli anni Novanta il numero è più che triplicato. In tredicimila hanno un’età superiore agli 80 anni. Nella maggior parte dei casi si tratta di donne: una over 75 su tre è costretta ad affrontare una condizione di solitudine. Le donne, infatti, essendo più longeve, vivono in media 4-5 anni più degli uomini e per questo diventano vedove più facilmente. La solitudine, allora, può diventare negli anziani un problema che va oltre lo stress, comportando diverse malattie.

FILM

LONTANO DA LEI

di Sarah Polley

con J. Christie e G. Pinsent

Drammatico, Canada 2006, 110 minuti Sposati da 44 anni, Grant e Fiona sono molto legati. Hanno una vita quotidiana piena di tenerezza e umorismo, finché i vuoti di memoria di Fiona non diventano sempre più evidenti e nessuno dei due può più ignorarli. In seguito alla diagnosi di Alzheimer, temendo per la vita della moglie, Grant si dedica a lei con tutte le sue attenzioni ma, per la prima volta, è anche costretto a separarsi da lei per lungo tempo. Entrata nella casa di cura, Fiona, anche a causa della lontananza dal marito, inizia a dimenticarlo e a nutrire interesse verso un altro ospite dell’ospedale.

IL FUTURO A 60 ANNI

Una serie podcast in otto puntate. Ideato e realizzato da Caterina Lazzarini, life coach per over 60, Il futuro a 60 anni è un ciclo dedicato a chi - superata la fatidica soglia d’età - si sente ancora attivo e pieno di voglia di fare. Uno sguardo diverso per chi ha intenzione di cambiare vita, ma non sa da dove iniziare. Soprattutto per chi è stanco dei soliti stereotipi sui boomer. È una raccolta di storie di persone dai 60 anni in su che hanno deciso di vivere in modo diverso la loro maturità, dall’amore in tarda età ai segreti di una vita attiva, dal desiderio di trasferirsi in un altro paese al bisogno di aprirsi a nuove esperienze.

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