Febbraio 2023

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INCHIESTA

Il grande spettacolo della televisione

Cambia il concetto di Tv, tra streaming, on demand e programmi tradizionali

SANITÀ Aumentano le disparità regionali in materia di servizi sanitari Troppi pazienti sono ancora fermi in lista di attesa per una cura

ATTUALITÀ

Ad un bivio con l’intelligenza artificiale: come e quando usarla?

La soluzione potrebbe essere un “umanesimo tecnologico”

ESTERO Kazakhstan tra passato, futuro e un presente tutto da definire Ma i giovani sono pronti a prendere il testimone di un Paese in crisi

Il valore dell’esperienza | FEBBRAIO 2023 | Anno XLV - n.2 - € 2,50 I.P.

Mensile di attualità e cultura di 50&Più Sistema Associativo e di Servizi 50&Più il valore dell’esperienza

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Da una società “senza” a una società “con” Carlo Sangalli 5 Produttori di energia Gabriele Sampaolo 6

In questo numero

Periscopio, notizie dal mondo Dario De Felicis 18 Italia disuguale per malati cronici e rari Ilaria Romano 20 Umanità o scienza tech: quale futuro? Giulia Zaccardelli 24

In casa famiglia per “ripartire” Giada Valdannini 28 Kazakhstan, un futuro da conquistare Ilaria Romano 38 Concorso 50&Più: vota i supervincitori! Ester Riva 58

Anno XLV - n. 2 - febbraio 2023

34

IN CAMPO PER L’INTEGRAZIONE

Sono colf e badanti, hanno tra i 13 e i 46 anni e risiedono a Torino: sono le coraggiose rappresentanti della selezione femminile peruviana di calcio a 5.

60

Valerio Maria Urru 73 Previdenza M. Silvia Barbieri 76 Fisco Alessandra De Feo 78

Tecnologia

32

Foibe, una ferita ancora aperta

Una pagina oscura e drammatica della storia d’Italia

di Anna Costalunga

Rubriche

45

1954-2023: i 69 anni della televisione italiana

Com’è la Tv oggi, tra nuovi programmi e possibili insidie per i più giovani di G. Vecchiotti, L. Russo, L. Piraccini, A.G. Concilio, G. Capuano

ITALIA IN...CANTO: LA FINALE A NAPOLI

Il prossimo 26 aprile, presso il Teatro Cilea di Napoli, i venti finalisti si sfideranno per aggiudicarsi la vittoria della 19ª edizione.

64 di E. Costa

La forma delle nuvole Gianrico e Giorgia Carofiglio 10

Il Terzo Tempo Lidia Ravera 12 Anni possibili Marco Trabucchi 14

S. VALENTINO, ALLE ORIGINI DELLA FESTA

Il 14 febbraio, giorno dell’amore romantico per eccellenza, si perde nella notte dei tempi e in sanguinari riti ancestrali.

Effetto Terra Francesca Santolini 16 Lettere al Direttore Giovanna Vecchiotti 98 febbraio 2023

Sommario
di R. Vinci di S. Leoni
| www.spazio50.org 3

Ritratti

Bob Dylan, cantore del nostro tempo Oltre la musica... con la sua arte visiva ha saputo raccontare un’America inedita di Sadìa Maccari 66

Direttore Editoriale Anna Maria Melloni @ am.melloni@50epiu.it

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Amministrazione

Scienze

Cultura e tempo libero

Vene varicose, tra sintomi e rischi 70 a cura di Fondazione U. Veronesi

Un disturbo in cui la prevenzione gioca un ruolo fondamentale

I Viaggi di 50&Più 82 Libri, Consigliati da 50&Più, Arte, Teatro, Musica, Cinema 85 Vivere in Armonia 92 Giochi 94 Bacheca 95 Bazar 97

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DA UNA SOCIETÀ “SENZA” A UNA SOCIETÀ “CON”

L’ultimo Rapporto Censis delinea una società a cui mancano coesione sociale, lavoro per i giovani, medici, infermieri e studenti. Una triste tendenza che dobbiamo avere la forza di invertire partendo dalle fasce più forti, come i senior

Scuola e università “senza” studenti: meno 7% di ragazzi iscritti a scuola negli ultimi cinque anni (dall’infanzia alla scuola di secondo grado). Sanità “senza” medici e infermieri: l’incidenza del finanziamento del Sistema Sanitario Nazionale scenderà al 6,2% del Prodotto Interno Lordo nel 2024 rispetto al 6,6% di dieci anni fa. E ancora: territorio “senza” coesione sociale, una più ampia aspettativa di vita “senza” sicurezza, una società “senza” giovani.

Il 56° Rapporto Censis fotografa un’Italia a cui decisamente “manca qualcosa”. Il professor Giuseppe De Rita ha definito a proposito il 2022

«PER “EDUCARE” BISOGNA TRASMETTERE CONTENUTI, CON LA CAPACITÀ RECIPROCA DI CRESCERE INSIEME, CAMMINANDO A FIANCO TRA GENERAZIONI»

l’anno della malinconia, quella sensazione esistenziale di “mancanza” o “latenza”: una fase dove non andiamo indietro, ma neanche avanti, sospesi tra nostalgia e senso di vuoto. Mancano insomma i cosiddetti meccanismi di proiezione nel futuro, che spingevano le persone a fare sacrifici per essere migliori e che adesso risultano inceppati. Paradossalmente, tutto questo avviene in una fase che potrebbe essere di rinascita, dopo la prova individuale e collettiva a cui ci ha sottoposto la pandemia. Per contrastare il “senza” serve allora lavorare “con”, inteso in almeno due modi. Servono innanzitutto i “con-tenuti”, che aiutano a ristabilire nella società quella sensazione

sospesa di incertezza e a ridare un senso individuale a quello che si fa. Da questo punto di vista, insegnanti, educatori, catechisti, allenatori sportivi, maestri di musica, ma soprattutto nonni, spesso in pensione ma sempre in attività, hanno un ruolo più importante che mai per trasmettere i contenuti. Non dimentichiamo inoltre che i nonni sono anche un importante punto di equilibrio familiare, economicamente parlando, riducendo sensibilmente l’esposizione al rischio povertà con la loro presenza, e risultano pertanto determinanti, non solo psicologicamente, nell’incoraggiare i più giovani nello studio.

E qui si viene alla seconda accezione della particella “con”, che significa insieme. La malinconia si alimenta della solitudine, delle solitudini e si sconfigge lavorando insieme, vivendo insieme, sognando insieme. Per “educare”, indispensabile ruolo delle generazioni più mature, bisogna non tanto imporre regole ma trasmettere contenuti, con la capacità reciproca di crescere insieme senza invecchiare, camminando a fianco tra generazioni. Eddie Jaku, scomparso nel 2021, sopravvissuto da ragazzo ai campi di concentramento e che a 99 anni ha scritto L’uomo più felice del mondo, una volta ha detto: «Non camminare davanti, potrei non essere in grado di seguirti; non camminare indietro, potrei non essere in grado di guidarti. Cammina a mio fianco e sii mio amico» (tratto dalla poesia Non camminare davanti a me di Albert Camus, N.d.R.). Questa è la società “con”, una società che cammina insieme e non lascia indietro nessuno.

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di Carlo Sangalli Presidente Nazionale 50&Più

PRODUTTORI DI ENERGIA

Ci sono concetti appresi nel corso degli studi universitari che poi restano. Concetti che si insediano più nella coscienza che nella memoria. Punti di riferimento sempre utili per orientarsi nella complessità del presente (…proprio come gli uomini in montagna).

Uno di questi, che allora si fece prepotentemente largo nella mia testa, riguarda il concetto di storia secondo un certo Edward Carr. In sintesi, secondo lo studioso, la storia sarebbe sempre la risultante di tutte quelle forze - grandi, piccole, palesi, nascoste, attive o anche inermi - che gli individui, indipendentemente dai propri atti volontari, fanno comunque valere per il solo motivo di esistere ed essere parte della società. Dunque alla storia non si assiste, né vi si esce perché, piaccia o no, vi si prende comunque parte.

Questa concezione può sembrare elementare, ma, al contrario, ha grande importanza per le implicazioni che ne derivano. Infatti, se il corso della storia è determinato da “tutte” le forze, espresse o inespresse, non ci si può sottrarre. In altre parole, anche se

lascio fare ad altri e mi disinteresso di tutto, imprimo anch’io un andamento alla storia.

Talvolta vorremmo dire il famoso “fermate il mondo, voglio scendere”, ma fintanto che siamo al mondo non abbiamo altra possibilità che esserne parte. Dunque, ciò che sembrerebbe una opzione possibile è nei fatti una illusione. Anzi, proprio quando da parte di molti non vi è l’assunzione di responsabilità del proprio “peso” - per quanto apparentemente infinitesimale - si apre la via a divisioni, a contrapposizioni, al conflitto, alle varie forme di autoritarismo. In questa prospettiva, però, resta aperta una questione di fondamentale importanza: con quale criterio giocarsi questo “peso” che comunque, in quanto individui, in un modo o nell’altro, ognuno di noi ha? Come, da un lato, restare liberi e coerenti con se stessi e, dall’altro, far sì che le proprie idee e posizioni risultino massimamente utili e costruttive?

L’energia genera interesse, cura, motivazione, intraprendenza, coraggio, inventiva e si esprime attraverso forme che siamo abituati a riconoscere

immediatamente nel nostro interlocutore: apertura, rispetto, disponibilità, collaborazione.

L’energia, quella umana, è la risorsa più grande che abbiamo a disposizione. Se vogliamo giocare al meglio il peso che abbiamo nella comunità di cui facciamo parte, chiediamoci sempre cosa produce e cosa diminuisce energia. Cosa genera energia negli altri e cosa invece gliela sottrae. Sono domande semplici che richiedono risposte semplici. Sono un invito a ciascuno di noi ad agire con la consapevolezza del proprio “peso” e la certezza di poter fare sempre la differenza, anzitutto nei confronti delle persone che condividono la quotidianità con noi.

Penso che valga la pena rifletterci e chiedersi sempre se ciò che stiamo per fare e il modo in cui intendiamo farlo aumenti o diminuisca l’energia in chi ci è vicino. Del resto sappiamo già bene che il successo di ogni impresa, di ogni progetto è - per l’appunto - la risultante di tanti atti di energia di ciascuno, dunque, “...nessuno si senta escluso”.

www.spazio50.org | febbraio 2023 6
“La storia siamo noi, nessuno si senta offeso, siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo. La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso”
(F. De Gregori)

INGE MORATH FOTOGRAFARE DA VENEZIA IN

POI

Il Museo di Palazzo Grimani di Venezia ospita gli scatti di Inge Morath, la prima donna fotografa dell’Agenzia Magnum che proprio nella città lagunare fece i suoi esordi. La mostra raccoglie circa 200 fotografie, anche inedite, su Venezia, Spagna, Iran, Francia, Inghilterra-Irlanda, Usa, Cina e Russia, e ritratti realizzati nell’ultima parte della sua carriera.

MUSEO DI PALAZZO GRIMANI VENEZIA FINO AL 4 GIUGNO

© Inge Morath, Audrey Hepburn, Durango, Messico, 1958 ©Fotohof archiv / Inge Morath / Magnum Photos

Vuoi dare una mano a Don Giulio?

Grazie al suo sorriso e alla sua disponibilità ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette, Renato ha ritrovato un lavoro e la sua famiglia un tetto sopra alla testa. Ma anche Martina e Isaac hanno trovato un luogo in cui investire tempo libero ed energie, mettendo i loro talenti a disposizione di tutti e come loro molte altre decine di volontari. Intorno a don Giulio Gallerani, parroco dei Santi Pietro e Girolamo a Rastignano (BO), oggi vive una comunità giovane, impegnata, attenta agli ultimi: un oratorio e tante attività sportive, la casa del pellegrino, una radio gestita dai giovani, una Caritas parrocchiale sempre col motore acceso per soccorrere chi ha bisogno d’aiuto. Il suo numero di cellulare è scritto su un cartello appeso in fondo alla chiesa e chiunque può mandargli un messaggio e prendere un appuntamento con lui, che trova un po’ di tempo per chiunque voglia incontrarlo.

Se vuoi nel sito www.unitineldono.it trovi anche la sua storia, insieme a quella di tanti altri sacerdoti e della loro gente. Sono quasi 33.000 nelle 227 diocesi italiane e ogni giorno annunciano il Vangelo con tutte le loro forze, insieme alle comunità cristiane a date alle loro cure. Sono uomini che si impegnano a costruire un tessuto umano accogliente e fraterno

e a seminare speranza. Si spendono per costruire una società che non lasci indietro nessuno, perché non esistano più gli di un dio minore.

Alcune centinaia, tra questi preti, vivono il loro ministero come missionari “ dei donum” nei paesi più poveri del mondo.

Altri 3300 sono ormai anziani o malati, anche se magari continuano a rendersi disponibili ugualmente per la celebrazione della messa, per le confessioni o per la direzione spirituale.

Dal 1989, per legge, il loro sostentamento non è più a carico dello Stato (né del Vaticano) ma è a dato a tutti noi. A tutte quelle persone di buona volontà che, attraverso la rma per l’8xmille alla Chiesa cattolica o direttamente attraverso le o erte deducibili per i sacerdoti possono contribuire a garantire loro un sostentamento dignitoso. Dalle montagne alle isole, nelle grandi città come nei piccoli paesi, grazie ad un sistema che si fonda sulla perequazione e la corresponsabilità, ciascuno di loro ha bisogno del contributo di tutti. Anche del tuo.

Scopri come donare, in modo semplice

In foto: Don Giulio Gallerani, parroco dei Santi Pietro e Girolamo a Rastignano (BO)

Nonostante l’ordine sia un “potente ansiolitico” capace di escludere imprevisti e preoccupazioni, è nell’incertezza del disordine che tiriamo fuori il nostro meglio: improvvisando, cercando soluzioni alternative e dando ampio spazio alla nostra creatività

ELOGIO AL DISORDINE

Di questi tempi vanno di gran moda il minimalismo, il decluttering - la pratica di liberarsi di oggetti brutti, vecchi, che non usiamo o che semplicemente occupano troppo spazio - insomma l’ordine come stile di vita. La giapponese Marie Kondo si è guadagnata una fama planetaria (Netflix le ha addirittura dedicato una serie piuttosto divertente) con le sue istruzioni per riordinare le case e vivere felici. Ma anche il disordine ha i suoi vantaggi, e di tanto in tanto è necessario difenderlo dai suoi molti detrattori. A Vancouver si trova una libreria molto diversa dal solito. Si chiama MacLeod’s Books, vende ogni sorta di libri usati - di cui ha un assortimento sterminato -, si trova in Pender Street, cioè in pieno centro, e dovrebbe essere una tappa obbligatoria per chi si trovi a passare di lì. Cosa rende MacLeod’s un posto così fuori del comune, a parte il fatto che è possibile trovarci di tutto? Per capirlo è necessario descrivere il luogo, e in realtà per farlo basterebbero due parole: gigantesco disordine. I libri sono disposti in modo all’apparenza casuale, ammucchiati su banconi, stipati su scaffali, impilati in equilibrio precario sul pavimento. In alcune zone del negozio anche solo muoversi è piuttosto complicato: l’impressione, non del tutto rassicurante, è che

un gesto sbagliato potrebbe produrre crolli a catena dagli effetti imprevedibili. Se si leggono i commenti su Internet si scopre che molti frequentatori descrivono la visita come un’autentica caccia al tesoro e in particolare nel piano interrato - se possibile perfino più disordinato del pian terreno e dall’atmosfera ancora più misteriosa, quasi esoterica - si scovano libri davvero sorprendenti. L’aspetto più singolare dell’esperienza, però, consiste nell’osservazione del lavoro dei commessi. Arriva un cliente e con l’espressione dubbiosa di chi non crede sia possibile ritrovare alcunché, lì dentro, chiede qualcosa, magari mostrando un foglietto con un appunto. Il commesso sfodera un sorriso professionale e anche un po’ inquietante, annuisce e, senza consultare computer o archivi, si dirige con incomprensibile sicurezza verso un punto preciso di quel caos, scompare per qualche istante fra cataste di volumi e ne riemerge quasi sempre con il libro richiesto.

Lo spettacolo ha un che di ipnotico - è come assistere a un’elegante prestazione sportiva o, meglio, all’esibizione di un prestigiatore - e l’abilità quasi soprannaturale dei commessi di MacLeod’s ricorda un testo interessantissimo intitolato, senza lasciare spazio a troppi equivoci: La forza del disordine, di Eric Abrahamson e David H. Freedman.

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La forma delle nuvole Un padre e una figlia osservano il mondo di

Ci sono molte cose che fanno riflettere in questo libro. Il succo - spiegato con esempi divertenti e inattesi - è che spesso ordine, organizzazione e tendenza alla pianificazione producono più danni che benefici; e che individui, istituzioni e sistemi moderatamente disorganizzati si rivelano più dinamici, elastici e creativi di quelli troppo organizzati.

Per la maggioranza di noi - sostengono gli autori - l’ordine è divenuto un fine piuttosto che un mezzo. Quando veniamo travolti dall’ansia per le nostre scrivanie e le nostre case disordinate non è tanto perché il disordine ci crea dei veri problemi, ma solo perché supponiamo che dovremmo essere più ordinati e organizzati.

È chiaro che mettere in ordine ci dà un senso di controllo, la sensazione di sapere cosa stiamo facendo, la soddisfazione di perseguire i nostri obietti-

vi con efficienza. Avere un posto per ogni cosa - letterale o metaforico - è un potente ansiolitico, perché riduce al minimo l’imprevedibilità. Il disordine invece ci costringe ad improvvisare, a sopportare la frustrazione di non sapere dove stiamo andando, ci obbliga a fare i conti con l’incertezza. La cosa più sorprendente, però, è che a volte la disorganizzazione può portare a essere non solo più creativi, ma anche più efficienti. Nel 2014, durante uno sciopero della metropolitana di Londra, tre economisti monitorarono il percorso dei viaggiatori costretti a cercare modi alternativi per andare a lavoro e spostarsi per la città. La maggior parte delle persone aveva dovuto abbandonare le proprie abitudini, probabilmente con un certo fastidio, ma quello che sorprese gli studiosi fu ciò che accadde dopo. Seguendo i dati delle carte utilizzate

per pagare il viaggio, i ricercatori scoprirono che alcuni degli utenti della metro non erano mai più tornati alle loro abitudini precedenti. Il caos generato dallo sciopero e un po’ di inventiva avevano permesso loro di trovare percorsi migliori, più brevi o più economici. Alternative che non avrebbero mai scoperto se tutto fosse andato per il verso giusto. Molto più di una consolazione per quelli tra noi - ad esempio gli autori di questa rubrica - che hanno un rapporto difficile con l’ordine e con l’organizzazione personale. In momenti di particolare sconforto, l’antidoto è ripetersi una frase attribuita ad Einstein, che fa più o meno così: «Se una scrivania in disordine è segno di una mente disordinata, di cosa è segno, allora, una scrivania vuota?». Almeno ci ricorda che siamo in buona compagnia.

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SIAMO TUTTI SCRITTORI (PURTROPPO)

di Lidia Ravera

La scrittura, nei secoli esercizio riservato a piccole enclave di religiosi, ristrette élite di aristocratici studiosi e altre minoranze, è finalmente diventata pratica di massa.

Oggi tutti scrivono. Scriviamo tutti. Non si tratta di una magicamente democratica distribuzione del talento letterario o della sensibilità poetica, si tratta dell’affermazione massiccia delle pagine Facebook, delle amicizie virtuali fra estranei, a distanza siderale gli uni dagli altri. Tweet, chat, blog, sms, whatsapp e via singhiozzando parolette straniere: è un’orgia di scrittura. Dei 35 milioni di titolari di connessione internet (il dato è di una decina d’anni fa), una percentuale elevatissima frequenta i social network, scrivendo. Sono prosette d’occasione, inviti, insulti, ciance, sentite didascalie a commento dell’immancabile gattino, autopromozioni di qualsiasi opera dell’ingegno (eventualmente del tutto priva di ingegno), si tratta di scemenze sciolte, di dichiarazioni apodittiche, di comizi in absentia (di piazza, di popolo, di seguito) oppure di auguri di compleanno senza senso (“Fai sentire a Maria Tizietta che è nei tuoi pensieri”). Non discuto della qualità delle opere, bensì della loro quantità: sono milioni.

E della loro forma: sono parole scritte. È “parola scritta” anche l’urlo inarticolato dell’“hater” di turno (bizzarra questa nuova figura professionale: l’addetto all’odio, il disprezzatore delle opinioni altrui), sono “parola scritta” le balle spaziali spacciate per informazione e le vibrate proteste elevate per inficiarle. Si scrive invece di telefonare, ci si scrive invece di incontrarsi, ci si scrive per accoppiarsi e per lasciarsi, ci si scrive per partecipare ad un lutto e per ingraziarsi un potente, ci si scrive per sembrare migliori di quello che si è e per smascherare chi cerca di sembrare migliore di quello che è. Insomma, si scrive con leggerezza e senza pensare, perché si scrive credendo di parlare.

Volano i “verba”, deresponsabilizzando il loro autore, ma permangono a futura memoria, perché sono “scripta” e questa è la loro funzione.

È la funzione dei romanzi, dei saggi, dei poemi, quella di permanere nel tempo.

La parola letteraria è frutto della ricerca ostinata di una sfumatura di senso, di un suono, di uno di quei cortocircuiti che accendono di poesia una pagina.

Ci si passa ore, giorni, mesi, anni, a organizzare frasi degne di restare. Chiunque abbia qualche famigliarità

con la letteratura, anche soltanto da lettore, lo sa.

E la funzione della letteratura è questa: alzare la voce, la voce umana, consentirle di soverchiare il brusio delle parole volanti, quelle senza peso che quotidianamente ci scambiamo. Questo accesso democraticissimo al pulpito della scrittura, cambierà qualcosa nel minacciato mondo della letteratura? E nella politica?

E nell’informazione? E nelle relazioni fra noi?

Si tratta di comunicazioni brevi, è

www.spazio50.org | febbraio 2023 12 Il TERZO tempo

questo il codice del parlato-scritto. Diventerà l’unica forma accettata? E questa forma influirà sui contenuti, sul pensiero? Impareremo a pensare breve?

Prima di questa rivoluzione (o involuzione?) se portavi a termine un testo scritto, dovevi, per essere pubblicato, convincere un editore della validità del tuo lavoro.

Dovevi sottoporti a giudizio, per far uscire le tue memorie dal cassetto e proporle a tutto il mondo. Adesso che tutti scrivono e ciascu-

no è editore di se stesso che cosa si rischia? Di morire soffocati dall’ego degli altri. O di morire di noia. E veniamo a noi, io, voi, i Grandi Adulti. Noi che siamo cresciuti con il telefono appeso alla parete della cucina che ti costringeva a restare a casa se volevi sentire il tuo ragazzo, il tuo collega, la tua amica. Noi che non potevamo guardare in faccia gli interlocutori telefonici, altro che zoom e webinar. Noi che pagavamo care salate le interurbane e non avremmo mai potuto giocare alle Barbie in vi-

PARLIAMONE...

Chi volesse scrivere a Lidia Ravera può farlo: per posta - C/O Redazione 50&Più Via del Melangolo, 26 - (RM) per fax - 066872597 per email - redazione@50epiu.it

deochiamata FaceTime fra Roma e Bryan, in Texas, come facciamo io e la mia nipotina seienne per due ore, tutti i sabati e le domeniche. Non era pensabile, ci sarebbe costato un milione di vecchie lire. Quando lavoravo negli Stati Uniti e mio figlio bambino stava con i nonni, me lo ricordo come un incubo il quarto di dollaro che cadeva implacabile ogni secondo nella feritoia del telefono a gettone. Ricordo che per dirgli “mi manchi tesoro” dovevo averne una saccoccia piena, di quarti di dollaro. Noi che lavoravamo con la macchina da scrivere, pigiando sui tasti e se dovevamo tagliare e incollare ci toccava prendere forbici e colla, oggetti, mica icone da cliccare. Noi che dovevamo spedire le lettere infilandole nell’apposita buca, comprando il francobollo e aspettando settimane una risposta… noi, ragazzi e ragazze del secolo scorso, come le viviamo le conquiste della tecnologia. Ci siamo abituati? Le diamo per scontate? O abbiamo nostalgia per il mondo di prima, quando non c’era Google e non potevi consultare freneticamente questo oracolo contemporaneo, e toccava leggere libri interi per avere una risposta, dove adesso basta impostare una domanda sul telefonino?

Raccontatemi qual è il vostro rapporto con tutta questa facilità, questi automatismi post moderni, questi mezzi inimmaginabili soltanto una quarantina di anni fa. Aspetto le vostre lettere.

febbraio 2023 | www.spazio50.org 13

Anni possibili

L’ALZHEIMER NON CANCELLA LA VITA

Quanti timori, quante preoccupazioni destano le demenze, e l’Alzheimer in particolare. Temiamo per noi e quindi scrutiamo con ansia qualsiasi nostro piccolo segno, che ci pare possa essere un segnale premonitore, e temia-

mo per i nostri famigliari e amici, che guardiamo con apprensione per qualsiasi loro manifestazione che ci richiama alla parola che pronunciamo con angoscia…: “Alzheimer”! Questi atteggiamenti sono dovuti principalmente a quanto leggiamo sui social o sui giornali o su al-

tri mezzi di comunicazione, dettati dalla necessità di farsi notare e non da un sano desiderio di informare.

Invece, dobbiamo avere la coscienza che la malattia permette ancora “anni possibili”, certamente diversi da quelli di altre persone, ma sempre espressione di vitalità.

Per evitare che questa visione esclusivamente negativa impedisca di vivere la demenza come un momento della vita, pur difficile e complesso, è importante dimostrare che le demenze sono malattie di lunga durata, che però non cancellano la vita. Infatti, resta sempre un legame d’amore tra l’ammalato e chi gli vive attorno, anche nelle fasi più avanzate della malattia. Un amore che nel tempo del dolore e della fatica continua a essere donatore di vita.

La persona ammalata non perde la capacità di attaccamento alla vita, esprimendo interessi di esperienza, diversi da quelli della razionalità. La persona perde la memoria, la capacità di interpretare la realtà, ma non

www.spazio50.org | febbraio 2023 14

perde la capacità di esprimere scelte legate al proprio vissuto più profondo. L’esperienza, anche quella non razionale, lascia segni nella carne della persona ammalata, la quale conserva ancora la capacità di scegliere alcune tappe per costruire il suo futuro. Ovviamente ciò avviene per la gran parte del tempo di malattia, escluse le fasi finali; anche in queste, però, talvolta si sviluppa un contatto privilegiato tra il malato e alcuni famigliari. Non deve essere interpretato con scetticismo da parte di chi è estraneo ad una relazione profonda e misteriosa ma, al contrario, valorizzato perché permette a chi assiste di sentirsi ancora attore di una relazione che viene compresa da chi ne è beneficiario.

La persona con demenza è capace di comprendere chi le vuole bene, chi l’accompagna con dolcezza e attenzione e chi, invece, esprime trascuratezza, abbandono, talvolta anche aggressività. Questa interpretazione dell’esistenza dei malati deve diven-

tare lo scenario di fondo di qualsiasi atto di cura, per ispirare una prassi gentile e per costruire una relazione positiva, che dura nel tempo. La perdita di memoria, infatti, può indurre la perdita della capacità di ricordare il nome di un famigliare, di un caregiver, di un operatore, ma non potrà far dimenticare il volto sereno, la carezza, il calore di un contatto. L’affermazione che la vita continua durante la malattia riguarda anche l’organizzazione dei servizi, perché la regola della personalizzazione non si cancella quando l’ammalato ha perso la memoria. Continua il dovere di accompagnare e curare, nella certezza che nessuno è uguale all’altro, che nessuno è così compromesso da autorizzare chi cura a comportarsi come fosse inanimato. La medicina da molti anni ha adottato la capacità di trasformare le regole generali della cura in atti riferiti alla singola persona, che conseguono ad una indagine approfondita e accurata delle dinamiche biologiche, cliniche e psicologiche del singolo, anche quelle apparentemente più estreme. Si potrebbe dire che la demenza è una malattia che impone legami d’amore se si vuole che le sue conseguenze siano meno pesanti, per chi lo dona e chi lo riceve.

Il criterio di dignità e valore della vita non può mai essere dimenticato di fronte all’ammalato, anche il più

compromesso. Un criterio che deve appartenere ad ogni cittadino, quando è impegnato in una relazione di cura, criterio che deve essere patrimonio, in particolare, di chi opera in un servizio di assistenza. Per raggiungere la capacità di intravvedere nell’ammalato la sua dignità occorre una formazione sia sul piano culturale e tecnico, sia su quello civile (e religioso, per chi ne ha la possibilità). Nessuna condizione, seppur grave e disturbante (si pensi in particolare ad alcune manifestazioni comportamentali in corso di demenza), può cambiare un atteggiamento indiscutibile e fermo di rispetto della dignità assoluta della persona, fondata sul fatto che ciascuno ha un valore maggiore della sua struttura biologica e della sua psiche. Per questo la terminologia “persona affetta da demenza” è irrinunciabile; così, a cominciare dagli aspetti formali, non si riduce l’ammalato alla sua patologia, con il rischio concreto che malattia e vita si confondano, ma si valorizza l’individuo, indipendentemente dal suo livello di memoria e di altre funzioni. Perché l’Alzheimer non cancella la vita. Michela Marzano ha scritto recentemente: “Ma si diventa davvero altro da sé quando si perde la memoria? Si è davvero soli o le relazioni affettive, nonostante tutto, restano possibili?”. Noi crediamo che davvero siano possibili!

PARLIAMONE...

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febbraio 2023 | www.spazio50.org 15
La persona con demenza è capace di comprendere chi le vuole bene, chi l’accompagna con dolcezza e attenzione, e chi, invece, esprime trascuratezza, abbandono, talvolta anche aggressività

SICCITÀ: È STATO DI EMERGENZA ANNUNCIATO

Nel 1959, in Sicilia, a due passi dal comune di Regalbuto, venne realizzato un bacino con una capacità pari a 150 milioni di metri cubi d’acqua. In quell’enorme conca venivano raccolte le acque del Fiume Salso per assicurare l’irrigazione agli agrumeti dell’ennese e alla Piana di Catania. Da quel bacino, oggi prosciugato fino all’ultima goccia d’acqua a causa della siccità, è nato il deserto di Pozzillo. Non solo il deserto di Pozzillo, anche tanti altri luoghi del nostro Paese si stanno trasformando in vere e proprie aree desertiche; si tratta di un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti e che non possiamo più ignorare: la siccità e gli effetti devastanti che ne derivano. L’estate 2022 è stata la peggiore degli ultimi cinquecento anni.

www.spazio50.org | febbraio 2023 16 Effetto Terra

Dicevamo delle conseguenze drammatiche della siccità; prima fra tutte la desertificazione, un fenomeno che interessa un quinto del territorio italiano, con regioni come la Sicilia dove le percentuali arrivano al 70% del territorio.

La desertificazione è un fenomeno lento, invisibile, una tragedia in slow motion, al rallentatore, non fa notizia come una bomba d’acqua, non ci rende la vita insopportabile come un’ondata di calore, ma causa danni enormi e duraturi.

Anche se sembra difficile da credere, la nostra sopravvivenza alimentare è legata ad una buccia di terra della giusta consistenza: non troppo dura, non troppo fragile, non coesa. Se questa buccia di terra, ad esempio, diventa dura come il cemento o

La desertificazione - fenomeno lento, costante, spesso invisibile, devastante - dipende anche dai nostri stili di vita poco sostenibili e da un uso discutibile delle risorse idriche»

se, al contrario, si sgretola e diventa polvere, quando piove - ammesso che piova - non riesce più a trattenere l’acqua che si disperde irrimediabilmente. È così che nascono i deserti. Come quello del fiume Salinello, in Abruzzo, che ormai nei mesi estivi scompare a causa della siccità. Qui in estate le pareti rocciose si svuotano della suggestiva Cascata del Caccamo e di tutta l’acqua che sgorga da una fenditura nella roccia. Così come degli altri ruscelli e piccole cascate che prima rendevano vivo questo incredibile habitat durante tutto l’anno, creando suggestivi spettacoli d’acqua. Ora il Salinello si può attraversare senza neanche bagnarsi le ginocchia, perché il letto del torrente prosciugato è diventato un sentiero drammaticamente perfetto per amanti del trekking.

La desertificazione, infatti, non riguarda luoghi estremi come per esempio il Sahara, o ecosistemi collocati in aree geograficamente aride, ma territori che da fertili diventano inerti, sterili, inadeguati a far crescere vita. Ciò accade in Sicilia, come in Lombardia: Montespluga è un deserto nel cuore delle Alpi. Siamo nella Alta Valchiavenna, al confine con la Svizzera, dove l’apparizione di un paesaggio desertico è sorprendente e inquietante. Prima del deserto qui c’era un lago, con una capacità di circa 32 milioni di metri cubi di acqua, ormai ridotto al 10% della portata massima, praticamente una pozza d’acqua. Anche in questo caso, la colpa è della siccità. Una situazione analoga a quella di un altro lago, il Trasimeno.

Un lago che sta evaporando con campi e colline già arsi dal sole, un colpo d’occhio significativo che conferma l’emergenza in corso con temperature altissime e la prolungata assenza di pioggia. Con la perdita di paesaggio si perde poi anche l’identità culturale di un luogo: un lago che “sembra un uovo di pavoncella; ulivi grigi preziosi, delicati, freddo mare, verde conchiglia”. Così descriveva il Trasimeno Virginia Woolf, nell’inverno del 1935, nel suo diario, non immaginando che in meno di un secolo quel lago sarebbe diventato solo un ricordo.

Una situazione figlia del cambiamento climatico che sta ridefinendo la geografia del nostro Paese, pericolosamente aiutato dalle nostre azioni quotidiane e da un uso sicuramente discutibile delle risorse idriche. Se continuiamo così, non saranno neanche le acque del sottosuolo, da cui dipendiamo in larga parte, a salvarci.

Occorre reagire e occorre farlo subito, in tutti i modi che la scienza, la tecnica e soprattutto la politica consentono. Perché, come in molti avvertono, il 2022 rischia di essere l’anno più fresco dei prossimi cinquanta.

PARLIAMONE...

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febbraio 2023 | www.spazio50.org 17

Periscopio

UNO SCUDO SPAZIALE SALVERÀ LA TERRA

A partire dagli Anni ’90 Hollywood, ciclicamente, ci ha inondato di film catastrofici su asteroidi che colpiscono la Terra, causando danni enormi e costringendo la razza umana alla semi-estinzione. Fantasia? Quasi, perché il rischio che un corpo celeste impatti sul nostro pianeta è una pericolosa possibilità. Per capire meglio dobbiamo fare un piccolo passo indietro. Già dagli ultimi anni del secolo scorso è stata sviluppata una rete di osservatori astronomici per controllare sistematicamente i PHO (Potentially Hazardous Object) ovvero gli oggetti potenzialmente pericolosi. Si tratta di asteroidi con un diametro di almeno 150 metri e un’orbita con una distanza minima dalla Terra minore di sette milioni e mezzo di chilometri. Non troppo vicini, ma neppure troppo lontani. Il pensiero era come combattere la potenziale minaccia, creando in qualche maniera uno scudo spaziale per proteggere il Pianeta. La soluzione scelta dalle agenzie spaziali internazionali congiunte - quasi in “stile Hollywood” - è stata quella di sparare un missile che colpisse la possibile minaccia e deviarne la rotta. Per questo è nata la DART (Double Asteroid Redirection Test), una missione spaziale con lo scopo dimostrativo di verificare se fosse davvero possibile reindirizzare la traiettoria

di un asteroide. Obiettivo della missione, l’asteroide Didymos, scoperto nel 1996 con un diametro di circa 800 metri e un’orbita fra la Terra e Marte; non una minaccia effettiva ma un perfetto banco di prova. Il 23 novembre 2021, dopo un viaggio di 10 mesi e un percorso di circa 11 milioni di km con una velocità media di 22.500 km/h, la sonda DART ha centrato Didymos con una precisione incredibile, provocando un’esplosione laterale abbastanza forte da fargli cambiare traiettoria. L’evento ha tenuto il mondo col fiato sospeso ed è stato seguito da lontano dagli astronomi con i telescopi Hubble e James Webb. L’impatto è stato ripreso da un testimone oculare tutto italiano: il satellite LiciaCube, finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), che si trovava a poca distanza, e per giorni ha mandato sulla Terra incredibili immagini della collisione. Il successo della missione ha creato una grande euforia, perché è stato dimostrato che l’uomo è in possesso di una tecnologia in grado di colpire un asteroide, deviandone la traiettoria. L’esame era importante. In questa simulazione il nostro Pianeta è salvo, grazie ad una piccola sonda di appena 570 chilogrammi: da oggi possiamo dormire sonni ancora più tranquilli.

a cura di Dario De Felicis
| febbraio 2023

Bowie, sempre un passo avanti

Nell’estate del 1998, il musicista e icona della cultura pop David Bowie lanciò uno dei primi provider di servizi internet. Mentre il mondo stava ancora scoprendo internet, Bowie aveva già individuato la Rete come un luogo in cui creare, condividere ed espandere l’arte. Diventando il primo artista a distribuire una canzone online. www.rockol.it

Le paure più profonde dell’essere umano

Nasciamo con due sole paure: la paura di cadere e la paura dei suoni forti. È il risultato di uno studio della americana Emory University, che ha analizzato i comportamenti di bambini di età compresa tra 6 e 14 mesi. Queste paure sono risposte istintive a due situazioni che possono metterci in pericolo.

www.cnn.com

Broccoli al gusto di chewing-gum

Il tentativo più stravagante di McDonald’s di rendere il proprio menu più nutriente e accattivante per i bambini è stato quello di progettare broccoli che sapessero di gomma da masticare. Esperimento del tutto fallito in fase di test, in quanto i bambini erano confusi dal gusto. Di fatto, il prodotto non vide mai la commercializzazione.

www.tech.everyeye.it

In giro per il mondo

A PROPOSITO DI...

NUMERI DA RECORD

Una patologia... “fantastica”

La sindrome di Alice nel paese delle meraviglie (clinicamente nota come AIWS) è una rara patologia il cui sintomo è l’alterazione percepita dell’immagine corporea. Le parti del corpo o le dimensioni degli oggetti esterni vengono viste in modo errato: spesso enormi o minuscole. Le cause dell’AIWS non sono ancora note.

www.minervamedica.it

I “pagliacci” amano cambiare

IL FILM MONUMENTALE

Il documentario svedese Logistics di Erika Magnusson e Daniel Andersson, uscito nel 2012, è il film più lungo mai distribuito, con una durata di 857 ore (35 giorni).

I “pesci pagliaccio” possono cambiare sesso, modificando i loro organi riproduttivi e il processo è irreversibile. Questo tipo di pesce, chiamato anche “pesce anemone”, nasce maschio ma muta di genere solo per diventare la femmina dominante di un gruppo.

www.biopianeta.it

Un casco naturale per il picchio

IL SUPER RETICOLO

Il materiale più leggero del mondo è stato sviluppato dalla Boeing ed è un microreticolo metallico composto per il 99,99% di aria. Tecnicamente è una struttura 3D a cella aperta di polimero.

I COMPUTER PIÙ POTENTI

La fantascienza è già qui e ha un nome ben preciso: supercomputer. È riduttivo chiamarli computer perché hanno una potenza di calcolo impressionante, misurabile in FLOPS (acronimo di FLoating point Operations Per Second), ovvero il numero di operazioni eseguite in un secondo dalla CPU, l’unità centrale di elaborazione.

Frontier (USA) 1,1 EsaFLOPS

Fugaku (Giappone) 442 PetaFLOPS

Lumi (Finlandia) 151,9 PetaFLOPS

Summit (USA) 148,6 PetaFLOPS

La lingua è sostenuta da un osso chiamato ioide. Tuttavia, lo ioide di un picchio è molto diverso: si divide “a V” tra gli occhi, con i due canali che avvolgono completamente il cranio, passano per la schiena e poi tornano sul becco. Questo per sostenere la lunga lingua che usa per ammortizzare le sue veloci beccate.

www.journals.plos.org

Oro nel nostro organismo

Secondo The Elements, il trattato tecnico di John Emsley pubblicato nel 1998, il corpo di una persona media che pesa 70 chili conterrebbe una massa totale di 0,2 milligrammi d’oro. Inoltre, nel corpo sono presenti molti altri minerali, tra cui circa 1 grammo di silicio (la cui funzione metabolica è ancora sconosciuta).

www.goldavenue.com

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febbraio 2023 | www.spazio50.org

ITALIA DISUGUALE PER I MALATI CRONICI E RARI

I dati, non incoraggianti, arrivano dal XX Rapporto sulle politiche della cronicità. Le Regioni non seguono adeguatamente i pazienti nei percorsi diagnostici terapeutici assistenziali, spingendoli a rivolgersi sempre più spesso a strutture private

www.spazio50.org | febbraio 2023 20
Sanità

Lo stato di salute della popolazione in Italia è oggi molto diverso dal periodo precedente alla pandemia. Il Covid-19 ha interrotto controlli medici e screening periodici, e ha ulteriormente intensificato le disparità regionali in materia di servizi sanitari, già presenti nel 2019, e di presa in carico dei pazienti, soprattutto se affetti da patologie croniche o rare.

Secondo i dati Istat relativi al 2022, quattro italiani su dieci soffrono di un problema di salute cronico, e il 45,3% di questi sono over 65.

La prima malattia cronica per numero di pazienti è l’ipertensione, e ne soffre il 18,3% della popolazione (quasi 11 milioni di persone), in prevalenza donne e anziani. Al secondo posto c’è l’artrosi, con 8,8 milioni di persone, delle quali il 66,4% sono donne. Seguono poi le malattie allergiche, che toccano anche fasce più giovani per il 32,9%, e solo il 18,5% degli over 65.

Sono considerate croniche anche l’osteoporosi, il diabete, la bronchite cronica, i disturbi nervosi, le cardiopatie e i problemi gastrici e duodenali.

Secondo i dati del XX Rapporto sulle politiche della cronicità, realizzato dal Coordinamento nazionale delle associazioni di malati cronici e rari insieme a Cittadinanzattiva, più di un cittadino su tre con patologia cronica ha atteso oltre dieci anni per arrivare a una diagnosi, e uno su quattro fra chi soffre di una malattia rara deve spostarsi dal proprio luogo di residenza per curarsi; e le liste d’attesa si sono ulteriormente allungate con la pandemia.

Il Rapporto si intitola Fermi al Piano, in riferimento al Piano nazionale della cronicità e alla sua mancata attuazione in molti territori, e nasce dalle interviste a 871 pazienti e 86 presidenti di associazioni di patologia cronica o rara.

Le regioni che prevedono una presa

in carico del paziente - secondo il 56% degli intervistati - sono Lombardia e Veneto, Emilia Romagna per il 50%, Piemonte e Toscana per il 47%, Lazio per il 43%, Puglia per il 31%, Liguria per il 25%, Marche per il 22%, Campania per il 19%, Abruzzo, Sardegna, Sicilia e Umbria per il 9%, Basilicata, Calabria e Molise solo nel 3% dei casi.

La mancata attuazione del Piano si riflette soprattutto sull’assenza dei Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali, che dovrebbero definire l’iter di cure più adeguato sulla base delle esigenze del paziente.

Le criticità principali riscontrate dal 35,7% dei pazienti riguardano l’accesso ai farmaci e alle terapie, che non sono equamente garantite su tutto il territorio nazionale. In alcuni casi il problema è il budget regionale, in altri i criteri di accesso, gli iter autorizzativi o la carenza di alcuni medicinali. Un altro elemento che si evidenzia dalle interviste è la ridotta aderenza terapeutica, ossia la difficoltà nel seguire le indicazioni terapeutiche del medico, che si manifesta soprattutto fra gli anziani ed è risultata in crescita durante la pandemia. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nei Paesi sviluppati, non più del 50% dei pazienti cronici rispetta le terapie assegnate, per dosaggio e tempi di assunzione, e il trattamento viene seguito alla lettera solo fra il 43 e il 78%. Per un presidente di associazione su due, i fattori che condizionano di più la mancanza di aderenza alle terapie sono la durata lunga e continuativa delle cure, le difficoltà a interagire con il medico, le complicazioni burocratiche, gli effetti collaterali, i costi delle terapie non coperte dal Servizio Sanitario Nazionale. Per l’80% dei presidenti delle associazioni ci sono forti disuguaglianze fra regioni nella modalità di gestione delle prenotazioni e dei tempi di attesa; per il 78,6% manca la

Viene considerata rara ogni malattia che colpisce non più di 5 persone su 10mila. Si tratta di forme croniche, spesso degenerative, disabilitanti e condizionanti, per l’80% di origine genetica. In Europa si stima che le persone affette da queste patologie siano 20-30 milioni, delle quali due milioni solo in Italia, molti in età pediatrica. Per la maggior parte di queste malattie non si dispone di una cura efficace, e si arriva tardivamente alla diagnosi.

... E CRONICHE

Si tratta di patologie che presentano sintomi che non si risolvono nel tempo né migliorano, caratterizzate da un lento e progressivo declino delle normali funzioni fisiologiche. Alla base possono esserci fattori di rischio comuni come un’alimentazione poco sana, tabagismo, abuso di alcol, mancanza di attività fisica. Queste cause possono generare i cosiddetti fattori di rischio intermedi, come ipertensione, glicemia elevata, eccesso di colesterolo e obesità.

Ci sono poi i fattori di rischio non modificabili, come l’età e la predisposizione genetica.

febbraio 2023 | www.spazio50.org 21
LE MALATTIE RARE...

Sanità

LA SPESA PER I FARMACI

Una parte consistente della spesa sanitaria, soprattutto farmaceutica, è oggi a carico del cittadino. Nel 2021, il 43,5% della spesa farmaceutica territoriale è stata pagata dalle famiglie, con un aumento del 6,3% rispetto a quella del 2020. A sostenere l’acquisto di molti farmaci sono anche i nuclei che risultano al di sotto della soglia di povertà assoluta. Secondo i dati Istat, negli ultimi 8 anni le famiglie povere hanno sostenuto una spesa sanitaria mensile pro-capite compresa fra i 9 e gli 11 euro, destinandone oltre il 60% ai farmaci. Sullo squilibrio pesa principalmente il fatto che il Servizio Sanitario Nazionale non offra alcuna copertura per quelli da banco che non richiedono una prescrizione medica, e che non sia stata introdotta alcuna distinzione di reddito. Il 10° Rapporto Donare per curare, Povertà sanitaria e Donazione farmaci, realizzato dal Banco Farmaceutico, indica che la spesa sanitaria è condizionata dalla combinazione tra il sistema dei bisogni e delle preferenze da un lato, e dai vincoli dati dalle risorse economiche a disposizione dall’altro, che si fanno più stringenti quanto più il budget risulti scarso. Le alternative considerate dalle famiglie sono: limitare il numero delle visite/accertamenti, rivolgersi a centri diagnostici più economici, utilizzare entrambe le possibilità. Dal Rapporto emerge che negli ultimi quattro anni, la strategia del rinvio-rinuncia delle cure o del risparmio mediante il ricorso a centri meno costosi è stata usata da una famiglia italiana su sei. La strategia del risparmio risulta essere più difficile da perseguire, non solo per la carenza di offerta, ma anche per la difficoltà di accesso a informazioni che non tutti sono in grado di reperire. Un dato rilevante per capire quante persone versino in condizioni di indigenza anche dal punto di vista sanitario, è quello che riguarda il fabbisogno di farmaci che gli enti caritativi, assistenziali e di prossimità convenzionati con la Fondazione Banco Farmaceutico stimano come necessario per i potenziali beneficiari delle donazioni. Ogni anno, nel mese di febbraio, si svolge la Giornata di raccolta del farmaco (quest’anno dal 7 al 13 febbraio), e nel 2022 i 1.806 enti convenzionati avevano previsto di assistere sul territorio quasi 390mila persone in condizioni di povertà assoluta. Le richieste hanno riguardato soprattutto antinfiammatori, integratori, farmaci per le malattie respiratorie e gastroenteriche, cortisone, prodotti dermatologici e antisettici.

garanzia di un sostegno psicologico e del riconoscimento di invalidità, accompagnamento e handicap, mentre per il 73% siamo ancora indietro nella diffusione dei servizi di telemedicina, teleconsulto e monitoraggio online.

Tra i cittadini intervistati, oltre il 26% è in cura per una patologia cronica o rara diagnosticata da più di 20 anni, il 19% da 6 a 20 anni, il 18,5% da 3 a 5 anni. Più di un paziente su tre ha aspettato un decennio dalla comparsa dei primi sintomi per arrivare a una diagnosi, e quasi uno su cinque ha atteso da 2 a 10 anni. I motivi del ritardo sono indicati come la scarsa conoscenza della parte del medico di famiglia o del pediatra, la sottovalu-

www.spazio50.org | febbraio 2023 22

tazione dei sintomi, la mancanza di personale specializzato sul territorio e i tempi delle liste d’attesa. La necessità di fare esami e visite nei giusti tempi spinge i cittadini a rivolgersi ai servizi a pagamento: si spende di tasca propria per la prevenzione, per l’adattamento dell’abitazione

alle esigenze di cura, per l’acquisto di farmaci necessari e non rimborsati, per protesi e ausili non riconosciuti, per la retta di strutture residenziali e semiresidenziali.

Fra i malati rari, più del 60% non riceve cure standardizzate sul territorio, si rivolge a strutture private o è costretto a spostarsi in un’altra regione (Lombardia in testa, seguita da Lazio, Liguria e Toscana).

Il quadro che emerge dal Rapporto mostra un’inadeguatezza nella gestione dei servizi e dei bisogni di salute dei cittadini, che può essere colmata implementando le cure di prossimità e rafforzando il personale sanitario, puntando a eliminare le disuguaglianze e le distanze socioeconomiche fra un territorio e l’altro.

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INTELLIGENZA ARTIFICIALE, LA TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELL’UOMO

Umanità o scienza tech: l’aut aut del futuro?

L’umanesimo tecnologico potrebbe essere la soluzione di Giulia Zaccardelli

Bologna, ora di pranzo, pieno centro: davanti ad una delle osterie più famose della città c’è un serpentone di persone in attesa di entrare. Guardano tutte verso il basso, con la testa e il busto proteso in avanti: fissano il proprio smartphone, i pollici impegnati a scrivere sullo schermo, o ad accarezzarlo rapidamente dal basso verso l’alto. La rete e l’intelligenza artificiale non cambiano solo i rapporti tra gli individui, ma l’aspetto stesso delle città. Infatti, non stupisce più che in auto, sul treno, in piedi sull’autobus e addirittura camminando per strada, tutti rivolgano l’attenzione al proprio telefonino. Al contrario, sarebbe quasi futuristico vedere sconosciuti in fila parlare tra di loro.

Ma ormai di futuristico non resta (quasi) più niente. Se in passato le macchine rivendicavano la propria superiorità sull’uomo soprattutto in campo tecnico-scientifico - è emblematico il verso della canzone di Luca Carboni Fisico&Politico: “così tanto abituato alle macchine che non so più fare 1+1 senza calcolatrice” -, che dire se oggi invadessero altri campi in cui l’umanità non ha ancora conosciuto rivali alla pari?

Ecco che, piano piano, l’intelligenza si fa sempre più sopraffina, e allora vedono la luce automobili che si muovono senza il controllo dell’uomo, elettrodomestici che si comandano a distanza anche di chilometri con un solo click sul telefono, app che fanno cantare i quadri, chatbot - parola na-

ta dalla fusione tra chat e robot - che scrivono racconti e danno consigli su come affrontare situazioni emotivamente difficili. Non si tratta di finzione, ma di vita quotidiana, che gli uomini ormai condividono con macchine sempre più performanti.

Se da una parte, ci affidiamo alla tecnologia, dall’altra però potremmo non allenare alcune nostre facoltà. Per esempio: quanti, in mezzo alla natura, utilizzerebbero una cartina, avendo Maps sul telefono? E se questo si scaricasse? Senza app di incontri sarebbe ugualmente facile approcciare sconosciuti? O, molto più banalmente, se non ci fossero il correttore automatico, o il controllo ortografico, le persone riuscirebbero ad individuare i propri errori grammaticali?

www.spazio50.org | febbraio 2023 24 Attualità

È anche utile chiedersi se le soluzioni semplici e veloci offerte dalla tecnologia non rischiano di sminuire la naturale complessità emotiva del genere umano: ora che le chatbot sono in grado di scrivere racconti, se gli studenti le usassero per fare i compiti a casa, in che modo potrebbero allenare la propria fantasia e sviluppare la creatività? Se le persone chiedessero alle macchine come reagire in una situazione dolorosa, che consapevolezza avrebbero della propria emotività? Infine, se si scegliesse solo sulla base di ciò che propongono gli algoritmi, che si limitano a ripetere le informazioni già acquisite, in che modo potrebbe evolversi l’umanità? A questo punto potrebbe essere utile capire fin dove può spingersi il progresso tecnologico. E una possibile risposta a questa domanda si può trovare nel Libro bianco sull’Intelligenza artificiale al servizio del cittadino - documento promosso da AgID, Agenzia per l’Italia digitale, e pubblicato nel marzo 2018, in cui si cerca di capire in che modo l’IA possa essere utile nella definizione di un nuovo rapporto tra lo Stato e i cittadini. Nel testo è stato stilato un cronoprogramma con i possibili progressi dell’IA: “incidere una canzone pop che entrerà nella top 40”, “scrivere uno dei bestseller selezionati dal New York Times”, “eseguire interventi chirurgici” fino a “sostituire l’uomo in ogni attività”, previsto per il 2061, e “sostituire l’uomo in ogni lavoro” per il 2137.

Rispetto a questi scenari, ci siamo chiesti quale possa essere il confine tra intelligenza umana e artificiale, e ne abbiamo parlato con Andrea Cerroni, sociologo della conoscenza, professore ordinario di Processi sociali e comunicativi e direttore del master in Comunicazione della Scienza e dell’Innovazione Sostenibile presso l’Università Bicocca di Milano.

Quando parliamo di intelligenza artificiale, a cosa ci riferiamo esattamente?

Prima di parlare di intelligenza artificiale, sarebbe più opportuno chiarire il concetto stesso di intelligenza. Se si tratta di una facoltà innata, se si acquisisce nel tempo - e su questo la comunità scientifica non ha una visione unanime - o se la scelta tra le due non è poi così netta. E ancora: a quale tipo di intelligenza ci riferiamo? Non bisogna infatti pensarla come una capacità unitaria, misurabile e limitata al settore scientifico. A partire dagli anni Ottanta, grazie agli studi condotti dallo psicologo Howard Gardner, sappiamo che l’intelligenza è un’abilità multipla, e come tale può essere sviluppata in diversi ambiti della vita - una di queste è l’intelligenza cinestetica (la capacità di gestire abilmente il proprio corpo, N.d.R.) pensando a Pelè, morto di recente. Ecco allora che quando parliamo di intelligenza artificiale, rischiamo di incorrere in un’ambiguità: considerare intelligenza quella velocità e competenza di problem solving delle macchine che altro non è che automazione. Il rischio nasce dalla tendenza ad antropomorfizzare, cioè riconoscere qualità tipiche dell’uomo agli apparecchi. Ma questi non sono dotati di pensiero,

di volontà, di emozioni. Si limitano a svolgere gli ordini che sono stati loro impartiti, a seguire gli schemi con cui sono stati programmati.

Quindi l’intelligenza umana non è replicabile?

Questo non è del tutto vero. In un futuro potremmo anche avere un’intelligenza simile a quella umana, se non addirittura superiore. È però necessario che l’uomo riesca a “porre sul silicio” - a integrare nella macchina - la cosiddetta prospettiva ECO-EVO-DEVO, o biologia evoluzionistica dello sviluppo, dove eco sta per ecologia, evo per evoluzione e devo per development (sviluppo). La macchina dovrà essere in grado di intercettare, comprendere ed elaborare le modalità con cui interagisce con l’ambiente e viceversa, in modo da evolversi. Dovrà inoltre percepire di avere essa stessa, e chi la circonda, una vita individuale, capace di intrattenere relazioni sociali attraverso la comunicazione, e che è inserita in un contesto storico-culturale ben preciso, fatto di determinati simboli, codici e tradizioni. Senza questi presupposti, la macchina non avrà un’intelligenza, ma solo la capacità di automatizzare processi. Questo passaggio è importante affinché si sviluppi una cultura dell’intelligenza

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artificiale, un vero e proprio umanesimo tecnologico. Il rischio è che, senza questa, gli errori fatti dall’uomo nel corso della storia siano perpetrati più velocemente dalle macchine. Che cosa intende per umanesimo tecnologico?

Intendo lo sviluppo di una cultura che ci permetta di essere liberi dalle macchine e dalla loro “intelligenza”. Esse non sono aletiche, cioè non creano verità, perché sono costruite e programmate da uomini. Non siamo al cospetto della Sibilla, che dà responsi davanti ai quali inchinarci, ma a macchine che producono dati, da tenere in considerazione, certo, ma che l’uomo deve sempre interpretare e contestualizzare. Affidare a loro le nostre decisioni, per tenerci al riparo dagli errori, ci farebbe perdere la capacità di ragionare, e appiattirebbe le nostre emozioni. Sarebbe altresì sbagliato pensare un mondo senza tecnologia: essa è uno strumento di cui l’uomo si serve per espandersi oltre i propri confini fisici, per assecondare il naturale dinamismo intrinseco nell’evoluzione. Mi viene in mente un bellissimo verso della canzone La libertà di Giorgio Gaber, “libertà è partecipazione”: è quindi avere la possibilità di accedere a tutti gli strumenti di cui possiamo servirci per soddisfare i nostri bisogni, e la tecnologia è uno di questi. Bisogna fare un grande sforzo culturale in questo senso. Perché è difficile governare la tecnologia?

Perché ci si lascia abbacinare troppo facilmente dalla sua velocità e performatività. Ma ciò che è umano, e analogico, non smette di esistere. Per fare un esempio: la carta stampata e i giornali online. Come confermano le neuroscienze, per leggere una notizia rapidamente, per restare aggiornati sull’attualità, i motori di ricerca online sono perfetti. Ma per comprendere il testo, per rifletterci in modo approfondito, dovremmo leggerlo sul foglio.

Non si tratta di un gioco a somma zero, ma di mezzi diversi, usati per finalità differenti. Stessa cosa vale anche per le lezioni a scuola: guai se non ci fosse la DaD, ma non può sostituirsi completamente all’insegnamento in presenza, che è incontro, partecipazione, confronto. Il Covid inoltre ha puntato i riflettori sul digital divide, ancora molto grande in Italia. Questo divario digitale tra chi ha accesso alle tecnologie, attraverso supporti adeguati o reti internet funzionanti, e chi no, rende immediatamente evidente come oggi sia impensabile affidarsi solo ad esse. La nostra schiavitù dalle macchine consiste anche nel pensare che in esse si esaurisca tutto, che non si debbano prevedere alternative. Quindi dobbiamo pensare tecnologie a supporto, e non in sostituzione, dell’uomo? Assolutamente sì. Non si può pensare di prescindere dall’elemento umano, quando si compie una scelta. Penso ai

campi legale e medico, e alla possibile introduzione di robot: le decisioni sono prese dai professionisti in base alla loro conoscenza, alla sensibilità, all’esperienza, ma anche agli imprevisti e agli errori di calcolo. Se dimenticassero un precedente giudiziario o il nome di una malattia, le macchine li aiuterebbero immediatamente, ma non potrebbero fare altro. Sia perché non sono infallibili, sia perché non hanno facoltà di pensiero, e quindi di valutare la realtà in ogni sua forma. Anche perché, non dimentichiamolo, i professionisti agiscono in base ad una deontologia che li rende responsabili rispetto alla propria comunità, ai terzi e a se stessi, responsabilità che le macchine non hanno. Il progresso scientifico deve poter procedere di pari passo con una cultura del digitale che metta in chiaro luci e ombre dell’intelligenza artificiale, ma soprattutto che faccia recuperare alle persone la centralità e il valore della propria umanità.

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L’intelligenza artificiale è solo uno strumento di supporto che non deve mai essere preponderante. Perché solo l’essere umano è in grado di gestire una situazione in base alla propria conoscenza, sensibilità ed esperienza.
Attualità

INSIEME, PER RICOMINCIARE

«Ilpranzo, la cena, le pulizie. Accompagnare i bambini a scuola, riprenderli, creare laboratori adatti a loro. È quasi una sostituzione di una nonna, non solo l’operatrice che li guarda con occhio professionale». Chi parla è Stefania, fa l’educatrice: una donna sulla sessantina, da tempo occupata in una casa famiglia. Qua, trovano riparo donne che hanno a che fare con varie fragilità: la più comune, aver subìto violenza. Ce lo racconta Antonio che guida la cooperativa La Nuova Arca e gestisce la casa in cui ci troviamo, ottenuta in comodato d’uso quattordici anni fa. Si trova percor-

La casa famiglia gestita dalla cooperativa La Nuova Arca è un raggio di luce e un luogo sicuro per tante donne con fragilità, soprattutto vittime di violenza domestica. Qui sono accolte, aiutate e messe in condizione di risollevarsi di Giada Valdannini

rendo uno sterrato: qualche minuto dal centro abitato, in quelle aperture di campagna che ci sono pure a Roma, in città.

«Per noi operatrici, ogni volta - prosegue Stefania - c’è anche una parte emozionale coinvolta, che è con

ognuna molto profonda». In effetti, entrare qui è come entrare in un mondo inesplorato fatto sì di fragilità ma anche slancio, accoglienza e solidarietà. Verso le donne, ovvio, ma anche verso chi le accompagna: cinque bambini - al momento -, figli di madri

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in difficoltà. Tutte col loro carico di sofferenza; ciascuna in cerca di una strada che le porti un po’ più lontano. Là dove sperano di costruire una nuova vita. È il caso di Angela (nome di fantasia): la incontriamo appena entrati nel grande salone. Scorre nervosa qualcosa sul cellulare, a stento alza la faccia ma sappiamo che intende parlare. «Se mi sono decisa a raccontare - dice - è perché spero che qualche donna, ascoltandomi, sappia che una via di fuga c’è, ma occorre sapere cosa fare».

Ci spiega, perciò, che è arrivata in casa famiglia dopo un anno in una struttura protetta e che ci è arrivata

tramite il tribunale. «È una casa famiglia per donne con una situazione di svantaggio e figli a carico - prosegue Antonio -. Il percorso medio di accoglienza dura diciotto mesi e si giunge per una presa in carico da parte dei servizi sociali che intervengono per decreto del tribunale». Un intervento che è spesso all’apice di una storia andata male già molto prima. Angela si è trasferita in Italia tre anni fa lasciando alla sorella un figlio non ancora maggiorenne pur di assicurare a lui e al suo futuro una maggiore dignità. «In Colombia - ci dice - non c’era speranza». Così, con una valigia in mano ha tentato un’altra carta. «Dopo quattro mesi dal mio arrivo - dice Angela - ho conosciuto un uomo». Piuttosto giovane, suo coetaneo con cui scatta subito l’amore. È premuroso, dolce e spende ogni istante che ha per mostrarle il bello che c’è in città e ad Angela non deve sembrare neppure vero. Il problema è che, poco dopo - quando l’uomo comprende che Angela è senza permesso di soggiorno - cambia. Niente più coccole e cortesie, ma botte sonore e ogni genere di umiliazione. «Bastarda parassita, dove pensi di scappare che tanto i documenti stanno qua?», le diceva mentre la costringeva - chiusa - per giorni in

casa. Non poteva uscire né vedere alcuna persona, tantomeno incontrare qualcuno - che pure conosceva - della sua stessa nazionalità. «Ma l’errore più grosso - ci dice piangendo - sai quando l’ho compiuto? Quando ho pensato che con un figlio potesse cambiare». Dopo qualche tempo, infatti, Angela scopre la gravidanza e se in un primo momento la notizia sembra fonte di gioia, poco dopo si trasforma in una ben diversa realtà. L’uomo ritiene Angela ancora più cosa sua e le nega definitivamente ogni contatto col mondo esterno. In tutto ciò, la famiglia di lui assiste ad ogni assalto: lo giustifica; dice che, in fondo, le vuole bene. Ma quando le botte non si fermano - anche mentre il pancione cresce -, Angela capisce che la situazione non può che peggiorare. E allora, complice un’ecografia, raggiunge un ospedale pubblico romano - il San Gallicano, noto agli abitanti della Capitale come l’ospedale dei migranti - e parla con un medico. L’uomo, compreso lo stato di grave necessità, la porta da una psicologa che la inserisce nei programmi di un centro antiviolenza. Con lei, Angela si fa forza e va dai carabinieri a denunciare. Porta con sé gli audio registrati col cellulare: testimoniano violenze e minacce che

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A VIVERE

Società

ha subìto nel chiuso di casa. Di lì, l’iter di allontanamento viene avviato e interviene il magistrato. «È grazie a loro se sono viva. Se non fosse per loro, per la struttura di protezione e per la casa famiglia non ce l’avrei fatta». Angela ci confida anche di aver meditato di gettarsi nel vuoto. «Non l’ho fatto solo perché ho scoperto di essere incinta». Lui le ripeteva ogni giorno che era un’ignorante, che non valeva niente e lei, alla fine, ha finito per convincersene. «Al di là delle percosse - continua strofinandosi le mani cui mentre parla non dà pace -, sono le parole che mi hanno umiliata, messa a terra». E ricorda: «Io, prima di metterci piede, mica me lo aspettavo che in Italia esistessero dei centri antiviolenza. In Colombia, non ce ne sono». Ma effettivamente entrare in un simile circuito di protezione cambia il corso della sua vita e, a distanza di due anni, la troviamo qua, in cerca di un futuro, con strumenti che l’aiuteranno a realizzare. «Da qui nessuna esce senza reddito - ci spiega ancora l’educatrice Stefania che assieme alla responsabile della struttura, Francesca, si danno un gran daffare -. Per ogni donna che entra - chiarisce Francesca - viene cucito un piano che parte dal bilancio di competenze. Se ha già un lavoro, l’aiutiamo a conservarlo occupandoci dei figli durante i suoi turni; se disoccupata, cerchiamo borse lavoro, offerte e tirocini che quasi sempre si trasformano in assunzione».

Così è andata anche per Angela, che oggi fa la cameriera in un hotel e la colf in una casa privata. Effetto di un lavoro di cura che, in questa struttura, non può lasciare nulla al caso. Così, nell’apparente naturalezza di una casa come altre - molto più grande, è chiaro -, ogni giorno è scandito da un’attenta pianificazione. Ci sono i turni per la colazione, quelli del pran-

zo e per la cena; persino quelli per chi accende e spegne la Tv. «Addirittura?», domandiamo… «Quelli della Tv sono dei bambini. Evidentemente lo valutano un piccolo strumento di potere ma anche di responsabilità: così, cinque giorni su sette, è compito loro. Quelli che avanzano toccano all’operatore in turno». Sì perché, come in ogni famiglia, anche qui ci sono attriti e piccole ostilità ma, come appunto in ogni famiglia, ci sono adulti in grado di fare quadrato attorno alle esigenze dei piccini. «Capita spesso che si creino forti legami di solidarietà - dice Stefania - al punto che, quando i

bambini e le loro mamme escono di qua, capita spesso che si vedano a prescindere dalla casa».

Angela e suo figlio, infatti, sono in procinto di andare. Lei ha preso una casa autonoma dove vivere e presto saranno là. Mentre continua a piangere, ci dice che è pronta ma qualche paura - confessa - resta. Il suo ex compagno - il padre del bambino che non ha mai smesso di cercarlaora sa dove si trova. L’ha raggiunta che era alla fermata dell’autobus e, mentre stava col bimbo in braccio, ha preso a insultarla. Non solo. L’ha minacciata dicendo che gliela farà pagare. Ma Angela non intende più dargliela vinta. Per lei e il bambino è l’inizio di una nuova strada. Un sogno nel cassetto ancora ce l’ha: portare in Italia il figlio che ha lasciato in Colombia. «Verrà solo per un soggiorno - dice - perché si sta costruendo una vita a Bogotà. Fin da piccino l’ho accompagnato a fare lezioni di teatro e ora è riuscito a ottenere un ruolo: fa parte di un cast. È una serie televisiva per un grosso produttore internazionale».

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FOIBE: UNA TRAGEDIA ITALIANA A LUNGO DIMENTICATA

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale sul confine orientale si consuma una dolorosa pagina di storia. Ecco come si è arrivati a quegli eventi sanguinosi e perché è importante ricordarli, al di là di ogni retorica

Con una legge ad hoc, nel 2004 l’Italia istituisce, a più di 60 anni dai fatti, il Giorno del Ricordo per commemorare la sorte di tutte le vittime delle foibe e dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel dopoguerra, tutti stritolati dalle complesse vicende del confine orientale seguite al crollo del fascismo. Una memoria che lo stesso presidente Mattarella non stenta a definire “un impegno di civiltà”, poiché «il ricordo, anche quello più doloroso, può diventare seme di pace e di crescita civile». E che insegna, una volta in più, come sia impossibile comprendere gli eventi della storia senza ripercorrere la lunga catena di accadimenti, spesso tragici, che li hanno prodotti.

www.spazio50.org | febbraio 2023 32 Anniversari
di Anna Costalunga

Il termine foibe deriva dal latino fovea e indica cavità profonde anche decine di metri, tipiche dei terreni carsici della regione Giulia e, per estensione, gli eccidi di migliaia di italiani lì gettati dalle forze dei Comitati popolari jugoslavi di liberazione intorno la fine del secondo conflitto mondiale. Ma come si è arrivati a tanto? Nel 1943 per l’Italia le sorti della guerra volgevano ormai al peggio. Alla storica riunione del Gran Consiglio del Fascismo era seguito lo scioglimento del partito, la resa dell’8 settembre e lo sfaldamento delle Forze armate. In seguito a ciò i tedeschi presero Trieste, Pola e Fiume, mentre in Istria, annessa all’Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale, assunse il potere il movimento di liberazione jugoslavo. In un quadro confuso questa venne quindi annessa alla Croazia e iniziarono le prime purghe contro gli italiani, accusati di avere governato quelle zone col pugno di ferro e in senso anti-slavo durante il fascismo. Ben presto l’ondata di violenza colpì non più solo gerarchi e alti funzionari, ma anche qualsiasi appartenente alla comunità italiana, in quanto “nemico del popolo jugoslavo”. Il nome foibe suona oggi ancora sinistro anche perché la maggioranza delle vittime vi fu gettata ancora in vita. Le fonti infatti raccontano che i condannati, legati l’un l’altro, venivano condotti sull’orlo della fenditura. Qui le raffiche di mitra colpivano i primi della fila, che cadendo trascinavano con sé i compagni di sventura. Il più alto numero di vittime si consumò a partire da maggio del 1945, quando era in gioco la futura divisione dell’Europa. La nuova Jugoslavia puntava a

Fiume, Trieste e Istria con l’obiettivo di occupare la Venezia Giulia prima dell’arrivo degli alleati. Ripresero gli arresti della popolazione italiana, anche in vista di una “slavizzazione” del territorio, e seguirono nuove uccisioni. Chiunque fosse contrario all’annessione del Friuli Venezia Giulia alla Jugoslavia rischiava la vita. Iniziò così l’esodo dei cittadini giuliano-dalmati (circa 350mila) alla ricerca di un futuro in Italia, dopo aver abbandonato tutti i loro beni. Fu una fuga di massa che spopolò intere città come Fiume dove, entro la fine del 1946, 20.000 persone dovettero abbandonare case, averi e terreni. La vicenda si concluse il 10 febbraio del 1947 (data scelta per il Giorno del Ricordo), con la firma del Trattato di Parigi, che sancì il confine italo-jugoslavo, concedendo alla neonata Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia il diritto di requisire i beni appartenuti ai nostri concittadini in fuga che, d’altro canto, lo stesso governo italiano si impegnava a risarcire. Ma gli eventi futuri aggiunsero ingiustizia ad ingiustizia. Mentre a est calava la cortina di ferro, l’Italia, alle prese con la transizione politica e la ricostruzione, non riusciva a garantire un’equa distribuzione degli indennizzi, lasciando che la maggior parte degli esuli

A partire dal 1945, ebbe inizio l’esodo dei cittadini giuliano-dalmati, che abbandonarono case e averi alla ricerca di un futuro in Italia. L’esodo coinvolse circa 350mila persone, lasciando quasi completamente spopolate intere città, tra cui Fiume.

cercasse fortuna altrove, con l’amara sensazione di essere stati i soli a pagare, di tasca propria, i debiti di guerra. Una pagina triste della Repubblica, soprattutto dopo che la Corte di Cassazione, nel 2014 ha escluso altri risarcimenti per le migliaia di esuli giuliani e dalmati che persero i propri beni nei territori ceduti alla Jugoslavia.

Slavi e italiani si sono accusati a vicenda di nefandezze e crudeltà nei territori contesi ed è ancora difficile per gli studiosi e per i comuni cittadini affrontare questi avvenimenti con distacco storico, senza sfociare nel dibattito politico, nell’acredine del risentimento o nell’indulgenza del dolore. Tuttavia - nella condanna di qualsiasi nazionalismo - il riconoscimento di questi accadimenti travagliati è necessario per ristabilire dignità alle migliaia di vittime coinvolte, molte delle quali anziani, donne e bambini. Tra queste Norma Cossetto (medaglia d’oro al valor civile), don Angelo Tarticchio e le tre sorelle Radecchi. Oggi che la foiba di Basovizza, a Trieste, è monumento nazionale, è doveroso ricordare, perché il futuro di una nazione si costruisce solo facendo i conti col suo passato.

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LE BADANTI PERUVIANE SCENDONO IN CAMPO

Arrivano dal Perù e hanno creato una squadra di calcio femminile a Torino: è la Seleccion Peruana De Futbol Femenino, composta solo da colf e caregiver. Dietro al pallone, una grande voglia di rivalsa e di comunità

Lourdes Jacqueline ha 42 anni, viene dal Perù, lavora come badante ed è qui in Italia con le sue due bambine. Gioca in difesa. Cruz Nelly di anni ne ha 46, anche lei ricopre il ruolo di difensore. Nella vita di tutti i giorni è una colf. Poi c’è Karen, 33enne, di mestiere fa la colf badante, e Santos Jhovany, 31enne che gioca in attacco, ha due figli maschi e riesce a barcamenarsi tra casa, lavoro, scuola e gli allenamenti di calcio di entrambi. Anche Rosella Paula è un attaccante sul terreno di gioco, ha 39 anni e, come le altre, fa la caregiver. C’è poi Jeniffer Melissa, che in campo mette i guantoni perché gioca come portiere, di anni ne ha 27. E ancora Maria del Carmen, Elizabeth, Channel Dennise, Milagritos Catherine, Jannika, Thamyrys, Jeniffer Solange, Maria Chiara, Luisa. Sono quindici donne, tutte peruviane, hanno tra i 13 e i 46

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anni e vivono a Torino. Sono le giocatrici della Seleccion Peruana De Futbol Femenino De Turin , una squadra di calcio a 5 che manda un messaggio che va ben oltre lo sport. Perché mostra quanto sia importante l’unione, il sentirsi parte di qualcosa.

L’INIZIO - Il progetto nasce quasi per gioco, senza troppe ambizioni, quindici anni fa. L’idea è di Tommy Lopez, un uomo peruviano trapiantato a Torino con la passione per il calcio che, nel 2008, riunisce alcune sue connazionali ed inizia ad allenarle nella periferia della città. Pian piano il gruppo si consolida, si forma la prima squadra di calcio a 5. Gli allenamenti diventano cadenzati, le giocatrici iniziano a crederci, ed ecco i primi campionati. C’è lo sforzo, il sacrificio, ma anche la voglia di farcela. «Quando partecipiamo ad un torneo, spesso, è difficile anche raggiungere il campo di gioco, perché magari è fuori Torino. Ma ci siamo sempre organizzate, con un furgoncino o con macchine messe a disposizione da amici e parenti. Non è tanto importante giocare per noi, quanto lo sforzo che mettiamo per arrivarci, e quello in campo si vede». A raccontarci questa storia è Jeniffer Melissa, che fa parte della squadra da dieci anni. Lei definisce le sue compagne delle guerriere, perché giocare a calcio non è facile, soprattutto con la vita che queste donne conducono.

«La maggior parte di noi è impegnata nel lavoro di cura, un lavoro duro, logorante, che spesso ti fa sentire sola - racconta Jeniffer -. Ed ecco che poi, anche se a fine giornata sei stanca, cerchi e trovi la forza per venire qui ad allenarti. Perché quando sei in campo ti scarichi, urli, corri, tiri fuori tutto quello che hai dentro. Il calcio ti dà la carica per andare avanti. E le tue compagne diventano un po’ la tua seconda famiglia».

UNA NUOVA VITA - Jeniffer è arrivata in Italia nel 2013, non aveva compiuto ancora diciotto anni. C’era sua mamma qui, era partita sei anni prima lasciando la figlia ai nonni. Il sogno di Jeniffer, quando era a Lima, era quello di andare all’università e studiare Amministrazione ed economia. Il viaggio in Italia ha cambiato i suoi piani. «Quando sono arrivata a Torino ho trovato una situazione totalmente diversa, ho capito che dovevo rimboccarmi le maniche e costruire qualcosa da zero». Lo ha fatto, eccome se lo ha fatto. Dopo pochi mesi dal suo arrivo in Piemonte ha conosciuto il suo compagno, hanno avuto una figlia che oggi ha otto anni. E Jeniffer si è riscritta a scuola, per seguire il suo sogno di completare gli studi. E poi c’è il calcio. Nella vita di Jeniffer è sempre stato importante. «Anche a Lima, durante l’ora di educazione motoria, giocavamo sia a calcio che a pallavolo. Mi piaceva correre dietro la palla, ma non avrei mai immaginato di entrare a far parte di una squadra».

L’incontro con la nazionale Seleccion Peruana De Futbol Femenino

De Turin avviene quasi subito e Jeniffer percepisce immediatamente l’importanza di appartenere a qualcosa. «Spesso si pensa che le donne sono deboli, e che il calcio è uno sport troppo duro per loro, ma noi siamo la dimostrazione che ciò non è vero».

LA COMUNITÀ - Secondo i dati Istat, aggiornati al mese di gennaio 2022, la comunità peruviana in provincia di Torino supera le 8mila unità e rappresenta il 4% della popolazione straniera residente nella provincia piemontese (oltre 200mila persone). Una percentuale alta, se si tiene conto che, in Italia, i peruviani rappresentano solo l’1,9% degli stranieri (94mila su 5 milioni). Sono numeri importanti, che ben ci aiutano ad inquadrare il fenomeno. «Siamo una comunità numerosa e siamo molto uniti - spiega Jeniffer -, il calcio per noi rappresenta un collante, ma non facciamo solo quello». Basta curiosare nella pagina Facebook della squadra, Seleccion Peruana De Futbol Femenino De Turin, per rendersi conto di quanto siano vere le parole di Jeniffer. Si condividono

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febbraio

le feste, i compleanni, le celebrazioni religiose, le festività nazionali. «Ed anche quando arriva qualche ragazza dal Perù, noi cerchiamo di inserirla nella nostra squadra». Magari non saprà giocare bene, magari il calcio non le è mai interessato, magari immaginava un’occupazione diversa non appena raggiunta l’Italia. Eppure l’unione fa la forza. E allontanare lo spettro della solitudine e la paura di dover affrontare, da sola, un mondo totalmente nuovo, può essere un antidoto vincente.

L’INVERNO - Il grande problema della Seleccion Peruana De Futbol Femenino De Turin in questo momento è… il freddo. «Noi ci alleniamo almeno due volte a settimana, la sera, dopo il lavoro, nel Parco Dora a Torino. Lo facciamo all’aperto, ma in questo periodo le temperature sono troppo basse e non riusciamo a stare fuori. Non possiamo rischiare di ammalarci, perché la maggior parte di noi lavora a contatto con persone anziane e fragili, rischiamo di essere un pericolo per loro». Hanno chiesto aiuto in vari modi, sperando di trovare qualcuno interessato a sostenere il desiderio di praticare una disciplina sportiva e superare le fatiche quotidiane. Hanno cercato fondi o risorse per poter pagare l’affitto di un campo coperto. Ma invano. E così si autofinanziano, riducendo l’allenamento ad un’ora a settimana. Perché di più non è sostenibile. Non è facile essere donne e voler contare qualcosa nel mondo del pallone. Ancor più quando si è una minoranza in un Paese straniero. «L’ambasciata peruviana non ci ha mai mostrato il suo supporto - lamenta Jeniffer -, non abbiamo mai ricevuto alcun riconoscimento. Invece per la squadra maschile è diverso, loro possono contare su vari tipi di sponsorizzazioni».

BALON MUNDIAL - C’è un appuntamento clou nel cuore di Jeniffer e delle sue compagne di squadra. Si disputa all’inizio dell’estate, ma loro si allenano per tutto l’anno per farsi trovare pronte. È il Balon Mundial, la Coppa del Mondo della comunità di Torino. Un torneo che si svolge nel capoluogo piemontese dal 2007, organizzato dall’omonima associazione senza fini di lucro. Alla competizione partecipano nazionali che vengono da tutto il mondo, rappresentate da donne e uomini che vivono a Torino. Uno spazio unico nel territorio per fare incontrare i migranti e i residenti. Per far diventare lo sport un collante, di storie e culture, il modo migliore per dare un calcio alle differenze di ogni tipo. C’è il torneo maschile (di solito con trentadue squadre) e quello femminile (una decina). E l’attesa è tanta. «È un bellissimo modo per conoscere anche altre nazionalità, nascono

delle belle amicizie dentro e fuori del campo - racconta Jeniffer, che non si nasconde dietro frasi di circostanza - ma è alta anche la competizione. Noi siamo sempre tra le squadre favorite e questo è un motivo di orgoglio». Nel 2018 hanno vinto il titolo, lo scorso anno sono arrivate quarte, quest’anno puntano al podio. Le avversarie più temute? «Il Brasile, l’Iran, anche l’Italia è molto forte», dice Jeniffer sorridendo. All’inizio di ogni partita, prima di entrare in campo, il loro allenatore Andres Rodriguez Martinez suona la carica. «Ci dice che siamo le migliori e che dobbiamo farcela sempre, sul campo come nella vita». E poi eccole, queste donne, sul rettangolo verde di gioco. «Prima del fischio di inizio ci raccogliamo tutte, ci abbracciamo e urliamo tre volte “Perù, Perù, Perù”. È un modo per sentirci più vicine a casa nostra».

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Sport

KAZAKHSTAN,

Estero
ponte
punto d’incontro tra Occidente
il Kazakhstan è adesso ad un crocevia della sua storia, alle prese con una profonda crisi economica
la guerra tra Russia e Ucraina che incombe
Storicamente
e
e Oriente,
e
di Ilaria Romano
UN FUTURO TUTTO DA CONQUISTARE

Il Kazakhstan è il più grande Paese dell’Asia Centrale e il decimo al mondo per estensione, con 2,7 milioni di chilometri quadrati. Oltre la metà dei suoi 19 milioni di abitanti è concentrata nelle aree urbane, fra la capitale Astana, che supera il milione di residenti, la precedente capitale Almaty, che resta la città più popolosa con quasi due milioni di presenze, Shkyment e Karaganda.

In generale, un terzo della popolazione totale vive nelle tre regioni sudorientali, ossia quelle di Almaty, del Sud Kazakhstan e di Jambyl. Con la Russia il Kazakhstan condivide un confine lungo più di 6mila chilometri, dal Volga alla Siberia, il secondo per estensione dopo quello fra Canada e Stati Uniti, che termina vicino alla Mongolia. Con la Cina confina per altri 1.500 chilometri a Oriente, mentre a Sud si affaccia sulle altre repubbliche dell’Asia Centrale: Turkmenistan, Uzbekistan e Kirghizistan. A Ovest si caratterizza per una fascia costiera sul Mar Caspio per oltre 1.800 chilometri, condividendo il bacino, oltre che con la Russia, anche con Azerbaigian, Iran e Turkmenistan.

È dunque facile intuire perché, data la posizione, il territorio dell’attuale Kazakhstan abbia rappresentato sin dall’antichità un punto di incontro, scontro, conquiste e passaggi per diverse popolazioni e culture: dall’insediamento delle prime tribù nomadi turche all’invasione mongola guidata da Gengis Khan, dalla spartizione dei territori fra i suoi successori alla creazione di kanati che finirono sotto la dominazione della Russia zarista, prima come protettorati e poi, dal 1878, come proprietà statale. Dalla fine del XIX secolo, questo nuovo assetto politico cambiò completamente la vita delle popolazioni locali: la politica di requisizione delle terre per

uso agricolo, oltre all’arrivo massiccio di coloni russi, decretò la fine del nomadismo tradizionale e la prima grande trasformazione sociale.

La successiva sovietizzazione ha poi rappresentato il fattore fondamentale per la creazione e l’affermazione di quella che oggi può essere definita la moderna identità nazionale del Paese. Con la dissoluzione dell’Impero russo e la Rivoluzione di ottobre, molti territori che ne facevano parte cominciano a sviluppare movimenti indipendentisti, e in Kazakhstan quello di ispirazione islamica Alash Orda riesce a proclamare l’autonomia nel 1917, e stabilisce un controllo parziale del territorio fino al 1919. Da allora il Paese entrerà ufficialmente nell’area sovietica, ma solo nel 1936 diventerà una Repubblica socialista con gli attuali confini.

La sedentarizzazione forzata, i programmi di collettivizzazione delle terre e le campagne per sradicare l’Islam, oltre all’introduzione del cirillico al posto dei caratteri latini nel 1940, non hanno mai completamente spento la consapevolezza dell’identità kazaka, che negli anni Ottanta

comincia a prendere forma sotto la spinta della Perestroika inaugurata da Gorbachev nell’Urss. Nel 1989 viene avviato un processo di democratizzazione con la comparsa di numerose associazioni che portano all’attenzione istanze nazionaliste ed ecologiche. Nel 1990, Nursultan Nazerbayev viene eletto alla presidenza e il 16 dicembre del 1991 porterà il Paese alla dichiarazione di indipendenza, ultimo tra le repubbliche sovietiche. Rieletto per quattro volte e rimasto in carica fino alle dimissioni del 2019, Nazerbayev è stato più volte accusato di autoritarismo, censura e violazione dei diritti umani in patria, ma a livello internazionale, pur essendo molto vicino a Mosca, è stato in grado di mantenere buone relazioni con la Cina e pure con l’Europa e gli Stati Uniti, grazie alle ingenti risorse minerarie ed energetiche di cui il Paese dispone.

Con una produzione di petrolio pari al 3% di quella mondiale, è fra i primi 12 Paesi per riserve di greggio, circa 80 milioni di tonnellate, e fra i primi 15 per riserve di gas con 1,5 trilioni di metri cubi. Inoltre produce più del

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40% dell’uranio mondiale. Soltanto nel 2020 compagnie come Eni, Shell, Chevron hanno investito in Kazakhstan oltre 160 miliardi. Prima della pandemia, nel 2019, l’Italia era al terzo posto tra i suoi partner commerciali, dopo Russia e Cina, e il primo in Europa, secondo i dati diffusi dall’Istituto nazionale di statistica kazako.

L’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane ha stimato che le esportazioni italiane verso il Kazakhstan valgono 1,088 miliardi di euro (dati 2019), e l’Italia è anche il secondo mercato di destinazione dell’export del Paese.

Il Kazakhstan è considerato dalla

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Estero

Banca Mondiale come un Paese a medio reddito, con circa 9 mila dollari annui pro capite. Il problema, però, è la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza, legata soprattutto ai proventi di idrocarburi e altre preziose materie prime, che finiscono nelle mani di pochi. L’agricoltura, settore di punta ai tempi dell’Urss, produce oggi meno del 5% del Pil del Paese, e circa 25 milioni di ettari di terreno restano inutilizzati o sottoutilizzati, a causa di tecnologie di coltivazione obsolete e canali di irrigazione insufficienti. Gli scarsi investimenti in ricerca e sviluppo hanno poi contribuito alla stagnazione delle industrie. La pensione minima corrisponde a circa

Terra di migrazioni e, oggi, porta aperta per i giovani russi

In Kazakhstan il 68% della popolazione è composta da kazaki, il 19,3% da russi, il 3,2% da uzbeki, e la restante parte da minoranze ucraine, ugiure, tatare, tedesche. La religione più diffusa è l’islam, seguita dal cristianesimo ortodosso, e il 40% degli abitanti ha meno di 25 anni. Durante la metà del XX secolo, con l’industrializzazione dell’era sovietica, arrivarono nel Paese ondate di russi deportati da altre parti dell’Urss, che finirono per superare numericamente i kazaki Dopo l’indipendenza, i russi e altri cittadini europei cominciarono a emigrare, mentre alcuni kazaki tornarono in patria dalla Cina e dalla Mongolia, ristabilendo una maggioranza demografica.

Negli ultimi anni il Kazakhstan è passato da paese di emigrazione a paese di immigrazione, grazie al boom economico trainato dal petrolio. Dopo l’inizio della guerra in Ucraina, e soprattutto dopo la mobilitazione parziale annunciata da Putin nel settembre scorso, molti giovani russi hanno deciso di lasciare il Paese perché a rischio di essere chiamati nell’esercito per andare a combattere. Una delle destinazioni più ricercate è stata proprio il Kazakhstan, per vicinanza geografica, culturale, linguistica e per la raggiungibilità senza grandi problemi burocratici.

«Nei primi periodi ho pensato che fosse un incubo - racconta Sasha, un lavoro da programmatore informatico a Kazan, nella regione semi-autonoma del Tatarstan - non riuscivo a credere che stesse succedendo davvero. Ci confrontavamo spesso con i miei amici e ci sembrava impossibile che nel 2022 il nostro Paese si stesse rendendo protagonista di un’invasione. Ho pensato di andarmene da subito, ma avevo in mente varie opzioni, in diversi paesi. In fondo la mia fortuna è che posso lavorare da remoto un po’ ovunque. Ho scelto il Kazakhstan perché avevo dei colleghi originari di Almaty, e anche perché qui si parla il russo ed è facile integrarsi. Cosa vedo nel mio futuro? Se la situazione dovesse cambiare tornerei a casa, perché la mia famiglia è lì. Ma al momento credo sia stato meglio partire, non riesco a pensare che potrei essere mandato al fronte a uccidere, non è mai stato nei miei piani prendere le armi, e tantomeno contro gli ucraini».

24mila tenge, che equivalgono a cinquanta euro mensili, e gli stipendi medi si attestano intorno ai 500 euro. La pandemia ha provocato un ulteriore rallentamento del sistema economico e occupazionale, e proprio un anno fa il malcontento sociale è sfociato in una serie di manifestazioni che si sono propagate in tutto il Paese a partire dalla regione di Mangistau, a Ovest, quando la mattina del 2 gennaio 2021 i residenti hanno scoperto che il prezzo del Gpl era raddoppiato in una notte, in un’area del Kazakhstan dove tutti hanno le auto a gas perché costa meno. I cittadini di Zhanaozen, in cui l’occupazione è legata al settore petrolifero, sono scesi in piazza; i cortei si sono poi propagati a Nord, e in tutte le maggiori

città fino ad Almaty, dove ai manifestanti pacifici dei primi giorni, si sono affiancati ben presto gruppi violenti che hanno preso di mira i palazzi del potere, e che sono stati repressi con la forza e al costo di decine di vittime.

Da allora, il presidente ha annunciato una serie di riforme politico-economiche per arginare la corruzione e cercare di puntare sulla redistribuzione delle risorse, ma nel mentre la guerra in Ucraina ha cambiato ancora una volta lo scenario.

«Le sanzioni alla Russia hanno avuto un impatto importante sul nostro Paese - spiega Yannat Argynn, avvocata di Almaty -, ini-

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zialmente sono state utili dal punto di vista economico perché tutti i beni che non potevano più essere venduti e scambiati con Mosca sono transitati da qui e poi fatti arrivare oltre confine per aggirare i divieti. Il conflitto ha però causato anche molte preoccupazioni, da queste parti, a causa del rapporto stretto che abbiamo con la Russia, ma anche con l’Ucraina. Molti di noi hanno studiato in Russia quando c’era ancora l’Urss, o subito dopo, perché il sistema di istruzione era di un livello superiore al nostro. I nostri genitori hanno sempre considerato la Russia e il Kazakhstan quasi come la stessa cosa. Quindi la guerra è stata uno choc per tutti, o almeno per coloro che non credono alla propaganda. E per quanto riguarda Kyiv - aggiunge - stava diventando un modello di ispirazione per il fermento culturale, l’ambiente creativo e contemporaneo, e le opportunità che offriva. In tanti da Almaty si erano trasferiti in Ucraina, ora sono tornati a casa». Una figlia all’università negli Stati Uniti e un’esperienza pluriennale di lavoro in Cina, Yannat ha oggi le idee chiare: «La cosa che abbiamo capito dopo le manifestazioni di gennaio 2021 - racconta - è che non siamo costretti a restare impotenti, perché come cittadini abbiamo il diritto e il

dovere di cambiare il nostro Paese. Io stessa volevo andarmene da qui, come ho già fatto in passato. Ora invece voglio restare e contribuire al cambiamento di questo Paese».

Anche Yermek, un passato di studi a Londra e un presente ad Almaty come titolare di una catena di cibo da asporto assieme alla moglie, ha visto un grande cambiamento nel corso dell’ultimo anno.

«I tentativi di riforma più importanti si stanno vedendo soprattutto nel settore dell’istruzione - spiega -, il Governo cerca di incoraggiare i giovani a iscriversi all’università, grazie a contributi a fondo perduto, e promuove

anche la formazione all’estero. L’unica garanzia che richiede è che alla fine del percorso si torni a lavorare nel proprio Paese. Siamo una popolazione con un’età media di trent’anni, e i giovani ormai cominciano a prendere le distanze dalle figure legate al sistema sovietico, guardano altri modelli, ai Paesi europei e asiatici, vogliono fare nuove esperienze e non accontentarsi. Tutto sommato, rispetto a ciò a cui stiamo assistendo in Russia, culturalmente molto vicina, qui non possiamo lamentarci: non siamo certo il miglior Paese in fatto di diritti umani, ma a questo punto nemmeno il peggiore».

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«Dopo le manifestazioni di gennaio 2021 abbiamo capito che non siamo costretti a restare impotenti, perché come cittadini abbiamo il diritto e il dovere di cambiare il nostro Paese»
Estero
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LA MAGIA DENTRO UNA SCATOLA

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La Rai Radio Televisione Italiana inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive. Le maggiori trasmissioni dell’odierno programma sono: ore 11:00, telecronaca dell’inaugurazione degli Studi di Milano e dei trasmettitori di Torino e di Roma; ore 15:45, pomeriggio sportivo; ore 17:30, “Le miserie del signor Travet”, un film diretto da Mario Soldati; ore 19:00, “Avventure dell’arte: Giovan Battista Tiepolo”; ore 20:45, Telegiornale; ore 21:15, Teleclub; ore 21:45, “L’osteria della posta” di Carlo Goldoni, regia di Franco Enriquez. Signore e signori, buon divertimento!». Il sorriso dolce e discreto di Fulvia Colombo accompagnava la sua lettura del messaggio di inaugurazione delle trasmissioni televisive regolari della Rai. Era il 3 gennaio 1954 e da quel giorno la vita degli italiani si sarebbe lentamente trasformata. Quella magica scatola di metallo, dentro la quale si muovevano e parlavano le persone e si vedevano cose, sarebbe infatti diventata anche punto di aggregazione di un’intera Nazione. Nel giro di qualche anno la televisione sarebbe entrata in molte case ma ancora non in tutte, perché all’epoca molto costosa; però il suo richiamo era talmente forte che nei caffè, nelle

parrocchie, nei circoli e in molti luoghi di ritrovo fu installato un televisore, cosicché le persone potessero riunirsi e guardare insieme qualcosa che apparteneva ancora alla sfera del fantastico. Fu così che la Tv divenne il primo grande collante sociale, il diffusore di valori e di cultura - ma anche di divertimento - in un Paese che stava risorgendo dalle macerie della guerra e camminava spedito verso quello della prosperità. Con quella scatola si poteva imparare a leggere e a scrivere seguendo il maestro Manzi, ci si poteva divertire con Mike Bongiorno e i primi giochi a premi, si poteva andare al teatro o vedere i grandi film, si poteva assistere alla gara canora per eccellenza o andare alla partita di calcio o al Giro d’Italia. Il tutto seduti comodamente a casa.

E dopo quasi settant’anni la magia non si è spenta, e la televisione continua a richiamare attorno a sé famiglie, amici, compagni di scuola, continua a fare da catalizzatore in occasione dei grandi eventi, fosse andare sulla luna o vincere un mondiale di calcio. Perché solo lo schermo della Tv, grande o piccolo che sia, ha la capacità di farti abbracciare di felicità lo sconosciuto che ti è accanto nel momento della vittoria.

Focus
di Giovanna Vecchiotti

DAL 1954 NELLE NOSTRE CASE

Dal bianco e nero ai colori, da “Non è mai troppo tardi” a “C’è posta per te”, da Mike Bongiorno ad Amadeus. Quali sono i passaggi più significativi e iconici che hanno segnato la storia della televisione italiana dal 1954 a oggi?

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Inchiesta 50&Più
di Linda Russo

Da 69 anni la televisione italiana è compagna - e in certi casi anche maestra - di vita. Molti sono i risvolti che ne hanno segnato la storia: ne abbiamo parlato con Anna Bisogno, professore associato di Cinema Radio Televisione presso la facoltà di Economia nel corso di laurea in Scienze e Tecnologie delle Arti, del Cinema e dello Spettacolo dell’Università Telematica “Universitas Mercatorum”. Esperta di storia della televisione italiana, cultura visuale e degli intrecci tra la Tv e i social network.

Il 3 gennaio del 1954 dagli studi Rai di Torino cominciano le prime trasmissioni della televisione nel nostro Paese. Cosa vuol dire per gli italiani quel momento e quali sono i programmi che colpiscono negli anni successivi?

La televisione presenta agli italiani i vantaggi veri o presunti della nuova situazione politica ed esibisce il benessere prima ancora che fosse materialmente arrivato nelle famiglie, anche attraverso la presentazione di esempi o storie presi dalla realtà americana o da quanto avveniva nelle parti più avanzate dell’Europa. La televisione fornisce i modelli sociali del consumo, insegna a consumare, fa conoscere le marche, i prodotti, spiega come usarli (ad esempio, come si fa il tè) e perché sono importanti. Tutto ciò passa attraverso la sorvegliata pubblicità televisiva di Carosello (1957-1977), dove il messaggio promozionale è contenuto da precise regole stilistiche e narrative, ma passa trasversalmente nell’intera programmazione. Un modello pedagogico indubbiamente c’è, ma esso si incarica anche di educare alla modernità. Da questo punto di vista, il quiz è paradigmatico. Lascia o raddoppia?, in onda dal 1955 al 1959, ad

esempio, è una trasparente metafora dell’ascesa sociale attraverso il duro studio che separa il concorrente dalla gente comune dalla quale pur proviene. Miracolo economico e televisione si sono date manforte in uno dei più veloci e radicali cambiamenti sociali che l’umanità abbia mai visto.

Negli anni Ottanta l’affermazione di Fininvest dà inizio al duopolio successivamente regolato dalla Legge Mammì. Come avviene questo passaggio e com’è vissuto dagli italiani?

Fu un passaggio complesso soprattutto sotto il profilo giuridico. In quella circostanza furono necessari ben due pronunciamenti da parte della Corte Costituzionale che non aveva precedenti formali, senza contare il Lodo Mondadori. Nella società italiana, però, i cambiamenti avvengono prima che il legislatore li metta a sistema: il monopolio della RAI e la politica pedagogica sembravano essere inattuali rispetto a un Paese che, ad esempio, stava diventando (anche) laico, che stava chiedendo nuovi diritti per le donne

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e per i giovani. Insomma, era necessario un racconto più plurale e libero che non poteva essere garantito solo da una legge di Riforma (1975) e/o da una lottizzazione delle reti secondo gli esiti elettorali referendari sul divorzio. E poi una forte spinta arrivava anche dalle grandi catene di distribuzione che spingevano per avere spazi finalizzati alla promozione dei loro prodotti che non fossero soltanto quelli tradizionali. La liberalizzazione dell’etere fu utile anche alla radio e alla televisione del servizio pubblico che, di fronte alla concorrenza, furono chiamate a una necessaria quanto inevitabile “sinto -

nizzazione” sullo spirito del tempo. L’arrivo del digitale terrestre rivoluziona nuovamente lo scenario, aumentando l’offerta e il contenuto. Secondo lei, è ancora possibile esercitare un’influenza sul pubblico in questo nuovo assetto? In questa nuova fase c’è una variabile

fondamentale da considerare e cioè che lo spettatore è esso stesso creatore dei contenuti che decide di guardare, sia sotto il profilo della produzione che sul versante della selezione ampia di cui dispone attraverso le diverse piattaforme. Lo spettatore sa di essere profilato e dunque più che influenzato è consigliato e incuriosito. È la televisione lineare ad esercitare ancora una qualche influenza. Essa resta il grande narratore collettivo del nostro Paeselo ha confermato durante l’emergenza sanitaria legata al Covid 19 - ma anche un po’ un “gigante dormiente”, che rischia poco: le novità vengono subito cancellate se non hanno un riscontro immediato, si lavora poco sullo sviluppo dei prodotti. Va inoltre considerato che i contenuti televisivi trasmigrano sui social media, sia attraverso i nuovi contenuti creati appositamente dagli editori sia tramite l’attività di commento, discussione, “engagement” dei pubblici.

Con le piattaforme streaming e on demand di cui disponiamo, quale sarà il futuro della televisione?

Intanto possiamo dire, a chi ne celebra continuamente il funerale, che la televisione non è morta. Si è - per così dire - trasferita. Forse il vero defunto è il televisore, quello tradizionale, quello ingombrante che faceva parte dell’arredamento della casa e che scandiva la giornata degli italiani, seguendola attraverso una programmazione parallela ma mirata. Oggi il televisore è uno schermo che diventa sempre più piccolo a seconda del dispositivo che si sceglie. Lo spettatore guarda di più la televisione anche se in maniera frammentata e volubile, sempre alla ricerca della formula che ottimizzi il tempo a disposizione, quello della visione e la sua gratificazione visiva. La televisione è già nel futuro.

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«Possiamo dire, a chi ne celebra continuamente il funerale, che la televisione non è morta. Si è, per così dire, “trasferita”»

DIVERSI UTENTI, DIVERSI PROGRAMMI: “A CHI” E “DI CHI” PARLA LA TV

Il mese di febbraio, in Italia, spinge molti ad accendere il televisore per gustare cinque lunghissime serate dello spettacolo musicale d’eccellenza: il Festival di Sanremo. Uno show che, se analizzato nelle sue varie edizioni, permette di ripercorrere un viaggio nella storia del Paese. Personaggi, cantanti, costumi e presentatori sono, in parte, lo “specchio dei tempi”. Pensiamo a Jula De Palma, nel 1959, quando fece scalpore per l’esibizione troppo sensuale, anche nel look, con il brano Tua. Una performance a cui seguirono migliaia di lettere contenenti offese indirizzate all’artista che fu perfino aggredita per strada e che, rivista oggi, non crea il minimo scalpore. Due anni dopo, invece, fu la volta di Adriano Celentano, che mostrò la schiena al pubblico, così come di Gino Paoli, primo cantante senza smoking e con la cravatta slacciata. Niente in confronto agli abbigliamenti eccentrici dell’Achille Lauro di oggi. Oppure pensiamo ancora al 1978, anno d’esordio di Anna Oxa, che fece scalpore con un look che la stampa etichettò come punk e venne accusato di essere il simbolo di un’età decadente. Vasco Rossi, poi, fu protagonista di un ulteriore scandalo nel 1983: in aperta polemica con l’organizzazione, abbandonò il palco prima della fine della sua canzone, svelando al pubblico che gli artisti si stavano esibendo in playback. Dieci anni dopo, invece, fu l’esordiente Nek, in gara tra i “Giovani”, a scatenare polemiche col suo brano In te, canzone contro l’aborto. Scalpore e polemiche, invece, nel 2009 per la canzone Luca era gay di Povia, che parlava di un omosessuale che diventava eterosessuale, scatenando le proteste della comunità LGBT.

Ogni anno, d’altronde, il Festival

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ai
considerate? Quante
si
nei
di
Dai cartoni animati
film western, dai documentari agli show cooking. Come sono pensati i programmi proposti in Tv? Quali sono le fasce d’età più
volte
vedono senior, donne o bambini
programmi
tutti i giorni?
di Lucilla Piraccini

Inchiesta 50&Più

propone una serie di artisti, cercando di rispecchiare i gusti di tutti gli italiani sia in termini di preferenze musicali che di tematiche da affrontare. Può accadere, quindi, che leggendo la lista degli artisti, lo stesso nome possa suscitare reazioni diverse in base alla fascia d’età. Così si va da I cugini di campagna ad Anna Oxa, fino ad arrivare a Ultimo, Tananai e Madame. Diversi utenti, diverse richieste. Un po’ come accade tra i programmi televisivi pensati per abbracciare tutte le esigenze e le generazioni: dai cartoni animati ai film western, dai documentari ai programmi di cucina. Certo, con tutte le piattaforme on demand a cui possiamo abbonarci oggi, in cui possiamo scegliere sempre ciò che più risponde ai nostri desideri, la competizione per la Tv del digitale terrestre è spietata. In questo senso, le ultime tendenze mostrano che la Tv in streaming e on demand continua a guadagnare terreno su quella “tradizionale”.

Tv in streaming e on demand continua a guadagnare terreno su quella “tradizionale”.

Gli utenti della Tv su Internet sono 24 milioni e mezzo, appartenenti a tutte le età

Lo documenta anche il 5° Rapporto Auditel-Censis, presentato il 19 dicembre scorso, che ha indagato il rapporto tra italiani e la televisione. La Rilevazione di Base Auditel registra, infatti, che coloro che accedono a piattaforme e siti web, live e on demand, gratuiti e a pagamento, per seguire contenuti e programmi video, sono 24 milioni e mezzo e appartenenti a tutte le età. I generi più seguiti sul web sono i film, le serie televisive, i programmi di in-

trattenimento e l’attualità. Gli schermi presenti nelle case degli italiani, invece, sono quasi 120 milioni, per una media di 5 schermi a famiglia. Tra questi, i device connessi sono 93 milioni e 200.000 e sono aumentati di quasi 20 milioni negli ultimi cinque anni. Al primo posto ci sono 48 milioni di smartphone, le televisioni sono circa 43 milioni, presenti nel 97,3% delle abitazioni. 16 milioni e 700mila apparecchi sono Smart Tv (ovvero televisori in grado di collegarsi a Internet e alle principali piattaforme a pagamento) o dispositivi che possono adattare le vecchie Tv alla modalità smart.

Ma se consideriamo un esempio delle rilevazioni Auditel settimanali, possiamo renderci conto di come sia composto il pubblico degli aficionados ai programmi televisivi. Abbiamo analizzato i dati rilevati nella settimana tra il 4 e il 10 dicembre, un periodo quasi invernale che spinge molti a rimanere a casa, ma non ancora vicino a quelle festività natalizie che potrebbero aver impegnato i più. I dati di questo periodo registrano 9.599.849 ascoltatori medi per 1 miliardo e 612 milioni di ore totali passate davanti alla Tv. Il primato rimane, di poco, a “Mamma Rai” con una media di 3 milioni e 869mila ascoltatori, di cui il 53% donne e il 47% uomini. 3 milioni e 781mila di loro ha seguito gli spettacoli grazie a un televisore tradizionale, mentre il restante da pc, smartphone, Smart Tv e tablet. In termini di età, invece, la fascia più presente è quella degli over 65 (49%), seguita a cascata da quella 55-64 (19%) e quella 45-54 (12%) che, complessivamente, compongono l’80% del pubblico, mentre i bambini tra i 4 e i 14 anni sono il 3%. Al secondo posto c’è Mediaset con 3 milioni e 496mila spettatori di cui il 59% donne e il 41% uomini.

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La

Anche in questo caso il primato va alla Tv tradizionale, più o meno con le stesse percentuali registrate per la Rai. Si notano invece differenze sull’età dell’audience: per il 41% composta da over 65, mentre il 17% ha tra i 55 e i 64 anni e il 16% tra i 45 e 54 (in tutto, il 74% del totale). Si passa, poi, a Sky con 716mila spettatori in media, di cui il 52% donne. In questo caso il pubblico si dimostra più vario: gli spettatori con oltre 45 anni sono il 69%. A poca distanza in termini di ascolti ci sono i canali di proprietà della Warner Bros Discovery come Real Time, Dmax, Food Network, ma anche canali per bambini come Frisbee e K2. Qui si registrano 711mila ascoltatori, di cui il 55% donne e nel 69% dei casi con più di 45 anni (gli over 65 si attestano al 29%). Ma si registra anche il dato più alto nelle fasce tra i 4 e i 14 anni che si attesta all’8%. In ultimo,

chiude la classifica La7 con 366mila spettatori e la più alta fascia di over 65 (51%), seguita dalla fascia tra i 55 e i 64 anni (21%) e quella tra i 45 e i 54 (12%) per un totale pari all’84%. Ora che sappiamo, quindi, com’è composto l’audience “a cui parla” la Tv, dovremmo chiederci “di chi” parla. Secondo il Contratto di Servizio 2018-2022 stipulato da “Mamma Rai” e il Ministero dello Sviluppo Economico, deve esserci un impegno da parte dell’emittente per evidenziare una pluralità di contenuti che raggiunga le diverse componenti della società in termini di genere, generazioni, disabilità, identità etnica, culturale e religiosa. Per capire quanto questo accada, Carer - Osservatorio di Pavia ha monitorato, rilevato e valutato la moltitudine dei temi trattati, l’aderenza alla realtà rispetto alla rappresentazione del Paese e la qualità dell’informa-

zione. L’analisi ha preso in esame 1.100 programmi di Rai 1, Rai 2 e Rai 3 trasmessi nel corso del 2019 dalle 06:00 alle 02:00. Tra le persone coinvolte a vario titolo nelle trasmissioni (intervistati, ospiti, attori comparse, ecc), i giovani compresi nella fascia di età dai 18 ai 35 anni risultano sottorappresentati. I minori, poi, costituiscono meno del 3%, pur rappresentando il 17,8% circa della popolazione italiana. Un problema riscontrato, anche se in misura minore, nella classe di età over 65 che compare il 15,5% delle volte, a fronte del 22,6% nella popolazione reale. In particolare, le donne senior sono quelle meno presenti. La rappresentazione delle professioni, invece, risente di distorsione mediatica. Si registra, infatti, una sovrarappresentazione di celebrità spesso conduttrici od ospiti di programmi Rai. Una scelta che mette in primo piano figure come politici, rappresentanti della società e accademici, rappresentando soltanto nel 17% dei casi i ruoli secondari o di dipendenza. Anche l’attenzione alla disabilità sembra marginale: la presenza di soggetti che convivono con qualche tipo di disabilità, infatti, è pari all’1,5%. Il tema, però, è esplorato dal punto di vista dell’inclusione sociale, dell’inserimento lavorativo, dell’accesso alle pratiche culturali, sportive e medico-sanitarie. Punto forte dei programmi della Rai, invece, è il tema del pluralismo religioso che risulta ben rappresentato grazie alla presenza di rubriche tematiche. Alcuni esempi sono A sua immagine e Sulla via di Damasco (confessione cattolica), Protestantesimo (fede protestante) e Sorgente di vita (ebraismo). Manca, tuttavia, spazio alla religione islamica, che riguarda una considerevole parte dei cittadini stranieri residenti in Italia.

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«COSA GUARDA MIO NIPOTE?». IL RUOLO DEI NONNI SE I BAMBINI HANNO IL TELECOMANDO

Cosa dovrebbe contenere o meno un programma televisivo rivolto ai minori?

Lo abbiamo chiesto a Elisabetta Scala, vice presidente del Moige, Movimento Italiano Genitori di Anna Grazia Concilio

«Oggi si dice che ti serve uno speciale apparecchietto da applicare alla Tv in modo che i bambini non possano guardare questo o quello. Ai miei tempi, non avevamo bisogno di un simile marchingegno. Mia madre era l’apparecchietto. Fine della storia». L’idea di Ray Charles, pianista statunitense di fama internazionale, era destinata a diventare universale. Le trasformazioni sociali, dal boom economico all’avvento del digitale, passando dalla pandemia e dall’affermazione di nuovi modelli culturali, hanno reso necessario un cambiamento, anche strutturale, nei sistemi di approccio all’intrattenimento. Televisione, computer e telefonini non sono più solo strumenti. A spiegare come riconoscere e tutelare il benessere delle famiglie, dei bambini e dei ragazzi nella contemporaneità è Elisabetta Scala, vice presidente del MoigeMovimento Italiano Genitori - e responsabile dell’Osservatorio media. Quando è nato il Moige e per quale motivo?

È stato fondato nel 1997 da un gruppo di giovani genitori che ha pensato di creare un’associazione rappresentativa di tutte le famiglie, a partire da quelle che vivono difficoltà sociali, economiche. È, pertanto, laica, apolitica e aconfessionale. Lei è tra questi? Non sono una socia fondatrice ma sono stata chiamata a far parte dell’associazione subito dopo la sua fondazione. Ho iniziato il mio percorso da volontaria, mamma di figli piccoli, poi nel tempo l’impegno è stato sempre più considerevole. Sono una pedagogista e oggi il Moige è il mio lavoro.

L’obiettivo, dunque, era fronteggiare le criticità che i genitori incontrano nel quotidiano? Esattamente. Dalle difficoltà economiche alla volontà di rappresentare le famiglie davanti alle istituzioni per rivolgersi direttamente a chi ci governa, sia a livello nazionale che locale. Tra gli obiettivi anche quello di fronteggiare la necessità che un genitore incontra quando i figli crescono, proteggerli dalle insidie della società,

tutelarli nel rapporto con la scuola. Com’è strutturato il Moige? Abbiamo una sede centrale e Roma - con un gruppo di professionisti impegnati nel settore - e una trentina di volontari sparsi in varie regioni che si fanno parte attiva sul territorio. Molti di loro sono rappresentanti presso il Ministero dell’Istruzione e presso gli uffici scolastici regionali, trasferiscono a livello nazionale le azioni locali. Tra le attività di advocacy (insieme di azioni con cui un soggetto si fa promotore e sostiene attivamente una causa, n.d.r.) fatte fino ad ora, di quali siete particolarmente orgogliosi?

www.spazio50.org | febbraio 2023 52 Inchiesta 50&Più

Siamo impegnati in tante aree di interesse. Tra queste, il cyberbullismo e la sicurezza in rete, pertanto educare le nuove generazioni ad essere buoni cittadini digitali, consci dei rischi e capaci di sfruttare la tecnologia nel modo migliore. Per questo andiamo in migliaia di scuole a formare ragazzi, insegnanti e genitori. È un lavoro che facciamo sia in presenza che attraverso incontri online. Abbiamo una postazione mobile che fa il giro d’Italia tutto l’anno, in compagnia dei nostri psicologi e dei nostri esperti. Ancora, lavoriamo per tutelare le mamme in difficoltà economica e sociale, soprattutto con l’arrivo di “un

figlio in più”. Si tratta principalmente di mamme straniere, mamme sole. E, inoltre, ci dedichiamo all’Osservatorio media, quindi l’attenzione a tutti quei messaggi che vengono veicolati

ai minori - anche riguardanti l’immagine della famiglia - tra Tv e web. Da quanto tempo esiste l’Osservatorio?

È nato subito dopo la nascita del Moige, come un’azione di denuncia per protestare contro quei programmi che passavano in fasce accessibili ai minori con contenuti per loro pericolosi anche per la loro crescita affettiva.

Come funziona?

Sul nostro sito (www.moige.it) abbiamo un form di segnalazione che consente a chiunque di segnalare programmi Tv e web con contenuti inadatti ai minori. È chiaro che possono essere segnalati anche esempi positivi ma il più delle volte questo non succede. Il materiale viene recepito da un gruppo di professionisti composto da persone di varia età (giovani adulti, adulti), con una specializzazione, impegnati come volontari. Le segnalazioni le esaminiamo direttamente e, in casi urgenti, le sottoponiamo agli organi competenti, tra questi il Comitato Media e Minori, la Vigilanza Rai, l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria o anche alle diverse reti televisive, perché negli anni abbiamo stabilito con loro un rapporto diretto. Periodicamente, invece, ci incontriamo per monitorare i programmi segnalati ogni anno, ne selezioniamo 300 in maniera trasversale - dall’intrattenimento alla fiction, dalle piattaforme ai canali web - e stiliamo una guida critica in ottica “family friendly” intitolata Un anno di zapping. Può fare un esempio di cosa non dovrebbe contenere un programma rivolto ai minori?

La violenza in varie forme, dal sesso in maniera volgare alla violenza verbale. Un esempio che racchiude questo è senza dubbio il Grande Fratello. L’intrattenimento, per altro, non ha nessun tipo di bollino o di classificazione. È una batta-

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Il Moige nasce nel 1997 da un gruppo di genitori, con l’intento di creare un’associazione che rappresentasse tutte le famiglie

Inchiesta 50&Più

glia che stiamo portando avanti perché dovrebbero esserci campagne informative, anche i bollini dicono poco, anzi non dicono nulla perché non specificano l’età.

Il Moige stila anche decaloghi da seguire. Di che si tratta?

Lanciamo un insieme di indicazione per cercare di sensibilizzare i genitori e le famiglie ad un utilizzo consapevole, considerando che questi strumenti sono in continua evoluzione. Ma ci sono, tuttavia, delle regole auree. Ad esempio?

Evitare di posizionare la televisione o un computer in camera del bambino lontano dal controllo dei genitori, almeno fino a una certa età. Quando il bambino inizia a usare questi strumenti da solo dovrebbero esserci un parental control e degli orari. Spesso ci sono bambini che utilizzano televisioni, computer e telefonini fino a ora molto tarda. Sicuramente un bambino che frequenta le elementari

Le “guide critiche” intendono accompagnare genitori e nonni verso una scelta consapevole dei programmi da seguire

non ha bisogno di telefoni collegati a Internet. Per i ragazzi che frequentano le medie, invece, è preferibile che abbiano dispositivi con filtri e che li utilizzino sempre con la presenza dei genitori. Alle scuole superiori, meno controlli ma una supervisione dei genitori sarebbe auspicabile considerato che i ragazzi si trovano in una età in cui è possibile ancora fare errori. Anche guardare insieme ai propri figli la televisione è una delle regole che riteniamo opportune, così da spiegare e commentare e dire anche dei “no” motivati. A volte i ragazzi commettono

degli errori madornali perché non hanno la consapevolezza dei rischi e questo dobbiamo evitarlo.

Nel rapporto tra bambini e televisione che ruolo giocano i nonni?

Un ruolo importantissimo. Sappiamo che i bambini trascorrono ore con i nonni, soprattutto in caso di genitori entrambi lavoratori. La scelta dei programmi da guardare diventa fondamentale. Per coadiuvarli in questo percorso, abbiamo messo a disposizione le “guide critiche”, scaricabili dal nostro sito con una quantità di programmi selezionati e commentati. È utile perché i nonni conoscano i programmi che i bambini chiedono di vedere e si facciano su questo una cultura.

Il Moige ha evidenziato mutamenti dei programmi in questi anni?

Purtroppo la crescita dell’offerta televisiva e web ha aumentato i rischi ma anche la qualità. Il campionario è molto vasto, pertanto si possono trovare più programmi di qualità ma anche più programmi a rischio. Sicuramente negli ultimi anni si sono persi dei filtri, sia nell’intrattenimento che nelle fiction. È presente molta più volgarità espressa che un tempo non ci sarebbe stata, anche nei linguaggi dei talk, una sorta di libertà che prima non c’era. Questo senso di libertà senza confini, un po’ esagerato, non tiene conto di chi può stare dall’altra parte dello schermo. Vorrei fare un appello ai lettori. Partecipate ai nostri form. Se i genitori, i nonni, vogliono fare delle segnalazioni ne abbiamo piacere, perché l’interazione può arrivare a raggiungere obiettivi alti. Anche sostenerci è importante. La nostra è un’attività molto impegnativa, ci sostituiamo alle istituzioni e supportarci è fondamentale.

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STREAMING, TV E CINEMA. L’ETERNA

SFIDA DELL’INTRATTENIMENTO

La lenta ripresa delle sale cinematografiche dopo la pandemia, il boom delle piattaforme streaming e l’intramontabile televisione. Il ruolo degli anziani dalle grandi potenzialità di connessione di Grazia Capuano

Piattaforme streaming, televisione e cinema. L’intrattenimento degli italiani passa dal divano di casa alle poltrone dei maxischermi. E se da un lato c’è la comodità, l’immediatezza e la possibilità di scegliere cosa guardare anche all’ultimo minuto - con costi

decisamente più contenuti -, dall’altro c’è il romanticismo di sedersi in una sala cinematografica, gremita ma silenziosa, e abbandonarsi alla magia di una pellicola che scorre lenta. L’esplosione della pandemia, il lockdown e la paura dei contagi hanno, inevitabilmente, ridisegnato gli usi e

i costumi degli italiani. È anche per questo che a partire dal 2020 si è registrata - a danno delle sale cinematografiche chiuse per oltre cinque mesi - un’impennata di accessi alle piattaforme streaming e alle pay tv. Secondo i dati forniti dal 5° Rapporto Auditel-Censis, pubblicato a dicembre dello scorso anno, non ci sono dubbi: la Tv, tradizionale o Smart è al centro della vita degli italiani. Tra le pagine di La transizione digitale degli italiani si legge: “Cambiano le modalità di visione e di ascolto, fuori e dentro casa, live e on demand, si moltiplicano i device da cui è possibile seguire i contenuti te -

febbraio 2023 | www.spazio50.org 55

levisivi, eppure la televisione nella sua versione tradizionale o Smart, rimane al centro della fruizione mediatica degli italiani”. Esiste, dunque, una nuova televisione che “naviga” veloce. È la televisione del web e delle piattaforme streaming, in grado di rendere immediatezza e libertà di scelta tra generi e contenuti. Basti pensare che - si osserva ancora dai dati Auditel - nel 2017 gli apparecchi televisivi presenti nelle case degli italiani erano 42 milioni e 700mila, e le Connected Tv (Smart Tv o Tv connesse con dispositivi esterni) erano

video raggiunge almeno il 40% per tutte le classi di età, e supera il 60% tra le persone di età compresa tra i 18 e i 34 anni (67,8%) e gli adolescenti della cosiddetta Generazione Z, di età compresa tra gli 11 e i 18 anni (62,9%). Unica eccezione sono gli over 65, tra i quali solo il 14,1% dichiara di seguire programmi in streaming. Questo segmento, però, ha potenzialità di crescita enormi, basti pensare al fatto che i senior utilizzatori di servizi/piattaforme web in cinque anni sono aumentati del 128,6%.

5 milioni e 400mila. Nelle case degli italiani, oggi, ci sono 42 milioni e 900mila apparecchi Tv. Di questi, quasi 15 milioni sono Smart TV collegate al web. Se si aggiungessero le Tv tradizionali connesse con dispositivi esterni, il totale sarebbe di 16 milioni e 700mila Connected Tv. Dall’indagine del 2022 emerge che la quota di italiani collegati ad Internet per seguire programmi e contenuti

Nella classifica di streaming a pagamento e on demand, Netflix si posiziona al primo posto nel 2022. A dirlo sono dati di Agcom. L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha registrato solo nel primo semestre dello scorso anno 9,2 milioni di utenti di Netflix. Si posiziona al secondo posto Amazon Prime Video con 7 milioni di utenti, Disney Plus con 3,5 milioni e ancora Dazn con 2,6 milioni e

Now con un milione. Per Agcom, gli utenti pay complessivi hanno raggiunto quota 16,1 milioni (marzo 2022), registrando un incremento di 1,7 milioni rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il picco assoluto si è registrato a marzo 2020 quando, in piena pandemia, è stata superata la soglia di 18,7 milioni. Che numeri registra, invece, il cinema, in affanno negli ultimi anni a causa della pandemia? Secondo i dati forniti da Anica (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Digitali), nell’anno 2020 al box office italiano si sono incassati € 182.509.209 per un numero di presenze in sala pari a 28.140.682. Una diminuzione di incassi notevole rispetto al 2019 che si aggira intorno al 71,30%. Prima dell’inizio dell’emergenza, il mercato cresceva invece in termini di incasso di più del 20% rispetto al 2019, del 7% circa sul 2018 e di più del 3% rispetto al 2017, e seguiva ad un anno, il 2019, che aveva registrato il 5° miglior risultato dal 1995 in termini di incasso. Nel 2021 i cinema hanno registrato un incasso complessivo di circa 170 milioni di euro, per un numero di presenze pari a 25 milioni di biglietti venduti. Dati che aumentano l’anno successivo: nel 2022, il box office ha incassato 306 milioni di euro con 44,5 milioni di presenze in sala. Si assiste certamente a un aumento rispetto al 2021 dell’81%, ma anche a un calo del 48% rispetto alla media 2017-2019. Insomma, aveva ragione Ennio Flaiano quando sosteneva: «Fra 30 anni l’Italia non sarà come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la Tv».

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Inchiesta 50&Più

edizione del Concorso

Ivincitori che hanno ricevuto dalla giuria il premio finale per le sezioni Prosa, Poesia, Pittura e Fotografia attendono la valutazione del pubblico e, come ogni anno, ciascuno di voi potrà votare la propria opera “del cuore” per ognuna delle quattro discipline in gara. A chi volesse rinfrescare la memoria (e agli indecisi) suggeriamo di consultare le opere che hanno trionfato con la Farfalla d’Oro sul sito www.spazio50. org, nella sezione Concorso. Esprimere la propria opinione è semplicissimo, basta

andare sulla pagina dedicata (dove è anche disponibile l’elenco dei vincitori e delle rispettive fatiche artistiche, divise per categoria) e compilare l’apposito format. In alternativa, si può utilizzare la scheda cartacea pubblicata nella pagina accanto. Nel ricordare che il termine ultimo per votare è fissato a venerdì 31 marzo, vi diamo appuntamento fin d’ora alla prossima edizione - la 41ª -, che quest’anno avrà luogo ad Assisi nel mese di luglio. Tutti i dettagli e le novità verranno “svelati” a breve sui canali ufficiali di 50&Più. “Stay tuned”.

ancora
Eventi
www.spazio50.org | febbraio 2023 58
C’è
tempo per scegliere il supervincitore preferito tra i fantastici artisti premiati a Stresa con la Farfalla d’Oro
40ª
50&Più: vota i supervincitori! di Ester Riva

SCHEDA DI VOTAZIONE PER IL CONCORSO PROSA, POESIA, PITTURA, FOTOGRAFIA

È questo il momento più atteso dai finalisti: superare la selezione. I cinque candidati al premio finale per le sezioni Prosa, Poesia, Pittura e Fotografia, attendono ora il giudizio inappellabile dei lettori. Come ogni anno, con la

scheda di votazione qui proposta, sarà scelto il vincitore per ogni disciplina. Dunque, votate secondo le vostre preferenze: quella crocetta che traccerete sul quadratino posto a lato di ogni nome sarà decisiva.

Da ritagliare e inviare in originale a 50&Più - Via del Melangolo 26 - 00186 Roma entro il 31/03/2023 (eventuali schede fotocopiate/scansionate saranno ritenute nulle). La votazione può essere effettuata anche online, all’indirizzo www.spazio50.org

Cognome Nome

Acconsento al trattamento da parte di Editoriale 50&Più S.r.l. dei dati personali da me forniti. Tale trattamento avverrà nel rispetto di quanto previsto dal Regolamento (UE) 2016/679 e delle disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale, ed ai soli fini della registrazione del voto da me espresso.

Firma

PROSA POESIA PITTURA FOTOGRAFIA

Un posto al sole Elisabetta GRECO Caro Merlo Adelino BRESCIANI Giardino fiorito Gianpiero CALZARI Spensieratezza di una vacanza al mare - Bruna ADAMI Dreams Emilia MASTRANGELO Vorrei Michela FONTANA Vento in poppa Rosalba CRILLISSI Il lavoro Tiziana CALLEGARI

Vivaci riflessi di bucato Emma MARTIN

Melodie romane sul Tevere Roberta MARCONI

L’ora di Monet Lorenzo OGGERO Felicità Luciana SALVUCCI

Incontro con la solitudine Giovanni SIGNORINO Il tempo Giorgio Luciano PANI

Sarò sempre la vostra luce Giuseppe PASERO

Libertà Giorgio ZATTA

Fibra: il nuovo Tsunami Carlo TREVISAN

Magiche atmosfere Luciano ZONI

Libellula d’Oro per la Prosa: Maria Pia CORTELLESSA, di Foggia, con l’opera L’amore tardivo. Libellula d’Oro per la Poesia: Rainalda TORRESINI, di Carbonera (Tv), con l’opera Io (ovvero la noce) Libellula d’Oro per la Pittura: Claudia TENANI, di Milano, con l’opera Lotta dell’acqua e del fuoco. Libellula d’Oro per la Fotografia: Claudia TENANI, di Milano, con l’opera Sean Scully a Villa Panza Varese.

PROSA: Francesca BALASSO, Antonio BORGHESI, Attilio BOTARELLI, Giancarlo CALLEGARI, Merville FERRARI, Giuseppe GESANO, Mariuccia FACCINI, Simonetta MANASIA, Sonia Bernardetta SELLA, Clelia TONINI.

POESIA: Rosangela BUSNELLI, Dante CAMPUS, Lucia D’ABARNO, Rita DALL’ANTONIA, Paolo DE MARTINI, Piera GALLINA, Caterina LORENZETTI, Silvana PASINETTI, Giuseppe PONZELLI, Lolita RINFORZI.

PITTURA : Daniela TURK, Doretta IAMUNDO, Antonio FAGOTTI, Filippa RENNA, Flora TRAMONTE, Antonio PASQUALETTO, Antonio SERGI.

FOTOGRAFIA: Laura CALORE, Enrica CERIANI, Lina D’ARPA, Anna Angela FERRANTE, Sofia PALUMBO

SEGNALAZIONI

Prosa: Giovanni SILONIO, Luciana SALVUCCI. Poesia: Marco LENCI, Gabriella ZAGAGLIA. Pittura: Marco LENCI, Francesca SANNA. Fotografia: Vincenzo CUCCURULLO, Enzo RUBIN. Via Cap Città
Telefono
MENZIONI SPECIALI
Prima che i ricordi svaniscano Vincenzo MINGACCI Gallura Maria PALLACORDI
www.spazio50.org | febbraio 2023 60 Eventi Il 26 aprile, presso il Teatro Cilea di Napoli, i venti finalisti si sfideranno per aggiudicarsi la vittoria della 19ª edizione del concorso Italia In…Canto. Un appuntamento carico di aspettative ed emozioni raccontate dal Maestro Gaetano Raiola, che dirigerà l’orchestra e accompagnerà gli artisti di Stefano Leoni
APPUNTAMENTO A NAPOLI
ITALIA IN…CANTO:

Sono passati più di vent’anni da quando Vincenzo Cozzolino, vicepresidente e storico dirigente della 50&Più venuto a mancare agli inizi di gennaio scorso, decise di organizzare un concorso canoro dedicato agli over 50 della Campania. La città designata a ospitare questa manifestazione era proprio il capoluogo, Napoli, così come le canzoni erano quelle della tradizione partenopea. Un’idea così bella che venne poi estesa a tutto il territorio nazionale e alle melodie che hanno segnato la storia del Belpaese, dando vita a Italia In…Canto, oggi alla sua 19ª edizione. E proprio in occasione della finale, i venti cantanti che hanno superato le fasi precedenti torneranno a Napoli, al Teatro Cilea, il 26 aprile, per esibirsi e scoprire chi si aggiudicherà la vittoria. Ne abbiamo parlato con il loro punto di riferimento, il Maestro Gaetano Raiola (nella foto a destra), che da anni dirige l’orchestra che accompagna i concorrenti durante le loro esibizioni e che lo scorso anno ha anche rivestito il ruolo di membro della giuria. Maestro Raiola, com’è per i cantanti tornare a Napoli, città che ha dato i natali alla competizione, ed esibirsi con l’orchestra?

I cantanti sono impazienti di tornare a Napoli e di esibirsi: tornare a cantare con l’orchestra è un grandissimo motivo di orgoglio come lo è sempre stato. L’edizione precedente di Italia In…Canto, infatti, doveva rispettare le norme anticontagio quindi l’esibizione doveva essere all’aperto e non poteva prevedere troppi musicisti ravvicinati. Per questo il ritorno dell’orchestra è vissuto come una grande novità. Esibirsi con l’orchestra per molti dei finalisti è un grande sogno.

Nonostante molti di loro cantino in tante situazioni, questa rimane un’emozione grandissima. Infatti, quando il presidente nazionale di 50&Più, Carlo Sangalli, nel discorso di apertura alle semifinali ha annunciato questo ritorno a Napoli e il reinserimento dell’orchestra, è stata una notizia che ha regalato molte emozioni. Napoli, poi, ha un grande significato perché quest’anno si torna lì dove tutto è iniziato. Lei è un punto di riferimento per i finalisti: avrà tanto lavoro da fare… Saranno settimane di duro lavoro, ma molto appagante. Inizierò, grazie al contatto con ogni artista, a confezionare degli arrangiamenti che tengano conto delle particolarità di ogni cantante e risultino cuciti sulla persona. In questo modo, ognuno di loro avrà la possibilità di esaltare le proprie qualità e i propri punti di forza. Nelle prossime settimane riprenderò anche il mio ruolo di “accompagnatore” dei cantanti in questo percorso.

Si parla di ritorno a Napoli, di ritorno dell’orchestra, ma parliamo anche del suo ritorno come direttore d’orchestra. Per me è come tornare a casa perché questo è il ruolo che ricopro anche nella mia vita professionale (è direttore d’orchestra e direttore di coro, n.d.r.). L’esperienza della scorsa edizione come giurato è stata divertentissima, ma anche in quel caso il rapporto con

febbraio 2023 | www.spazio50.org 61

Eventi

i cantanti è rimasto un po’ quello di motivatore. Molti di loro, infatti, partecipano a questa competizione da tanti anni e, conoscendoli, ho vissuto con loro le ansie e le gioie. Cosa si aspetta dalla finale di questa 19 ª edizione?

Ammetto di avere grandissime aspettative perché le selezioni sono state accurate sia nella fase preliminare sia dopo la semifinale, dove la giuria si è dimostrata unanime nella scelta dei finalisti. Sono certo che coloro che si esibiranno sapranno regalarci un grande spettacolo. Inoltre, le canzoni sono molto belle: si spazia da Nel Sole di Al Bano a La voce del silenzio di Ranieri fino a pezzi più contemporanei di Alex Britti. C’è anche un omaggio a Gabriella Ferri, che si discosta un po’ da alcune melodie a cui siamo più abituati. Quindi ci sarà un ventaglio di notevole intensità sia per quanto riguarda la qualità sia per i generi musicali. Sono certo che questo conferirà un valore aggiunto alla manifestazione perché il pubblico avrà modo di divertirsi e ascoltare tanta bella musica. Come annunciato dal Maestro Raiola, le canzoni scelte dai concorrenti sono tra i capolavori più famosi di Lucio Dalla, Massimo Ranieri, Gianni Morandi, Mia Martini, Vasco Rossi, Claudio Baglioni e tanti altri. A interpretarle i venti finalisti: Gemma Amoroso, Fatia Bacci, Lorenzo Barbieri, Stefania Brambilla, Sabrina Brodosi, Fabio Fravolini, Umberto Lo Sapio, Paolo Malvini, Vincenzo Marcianò, Giuseppe Mariniello, Natale Munaò, Pasqualina Nappo, Maria Antonella Nenni, Tatiana Paggini, Genni Pierro, Luigi Enrico Ramponi, Grazia Rizzari, Maurizio Stacchini, Minnena Stangoni e Monica Stasi. Tra loro c’è il prossimo vincitore della 19ª edizione di Italia In…Canto

Napoli vanta un patrimonio artistico, storico e culturale che non teme confronti in tutto il Vecchio Continente. L’importanza e il prestigio plurisecolare della città rivivono quotidianamente nelle chiese, nei musei, nei palazzi storici, nei castelli, nei vicoli, nelle piazze, nei resti archeologici. Un patrimonio artistico e architettonico che l’Unesco ha deciso di tutelare, includendo il centro storico di Napoli, il più esteso d’Europa, tra i siti del Patrimonio Mondiale dell’Umanità.

Il soggiorno è previsto presso l’Hotel Royal Continental (4 stelle), situato sul lungomare di Napoli, di fronte al Castel dell’Ovo e il Borgo Marinari, a pochi minuti di cammino da Piazza del Plebiscito e dal Maschio Angioino.

QUOTE INDIVIDUALI DI PARTECIPAZIONE

In camera doppia “classic” con trattamento di mezza pensione € 390

In camera doppia uso singola “classic” con trattamento di mezza pensione € 580 Supplemento vista mare: su richiesta Supplemento pensione completa: su richiesta

Quota supplementare per i non soci 50&Più: € 50

La quota comprende: Soggiorno di 4 giorni/3 notti con trattamento di mezza pensione (incluse bevande ai pasti) - Ingresso al Teatro Cilea, inclusi i trasferimenti - Escursione a Pompei - Partecipazione alle attività proposte da 50&Più - Assicurazione bagaglio, sanitaria e annullamento con estensione COVID-19 - Assistenza di personale 50&Più.

La quota non comprende: Trasporti per raggiungere NapoliImposta di soggiorno - Ingressi ai siti visitati, mance, extra personali e tutto quanto non sopra specificato.

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Tradizioni

SAN VALENTINO, LA RICORRENZA NATA NELL’ANTICA ROMA

Il 14 febbraio, oggi, è il giorno dedicato all’amore romantico per eccellenza. Ma non è sempre stato così: la tradizione di scambiarsi dolci, rose e bigliettini si perde infatti nei tempi antichi e in sanguinari riti ancestrali

L’origine di San Valentino risale alla festa dei Lupercalia, tra le più sentite del calendario romano, durante la quale avveniva la purificazione di tutto il popolo. Nel corso della cerimonia, celebrata il 15 febbraio in onore del dio Luperco - protettore delle greggi -, i sacerdoti, dopo aver sacrificato delle capre e un cane, correvano seminudi per le vie di Roma,

sferzando con la pelle degli animali il suolo e il ventre delle giovani donne per propiziarne la fertilità. Gli studiosi vi riconoscono tracce del mito di Romolo e Remo, anche perché i rituali venivano celebrati in una grotta sul Palatino, detta Lupercale, nella quale si credeva che i gemelli fossero stati allattati dalla Lupa. Tuttavia è anche certo che l’antica tradizione rifletteva il

timore delle società pastorali verso i lupi e, più in generale, verso le forze oscure nascoste nei boschi. Con il loro carico di sessualità e sfrenatezza i Lupercalia erano una delle poche feste pagane ancora celebrate quasi 150 anni dopo la legalizzazione del Cristianesimo nell’impero romano. Fu infatti solo nel 495 che papa Gelasio ne proibì la partecipazione ai fedeli, anche se gli aspetti della festa relativi alla purificazione hanno lasciato una traccia evidente nel giorno della Candelora. Poco tempo dopo, sulla spinta del sincretismo religioso, la chiesa cattolica dichiarò il 14 febbraio giorno di festa per celebrare il martire Valentino. Secon-

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di Ettore Costa

do la tradizione più accreditata, costui fu un vescovo nato a Interamna Nahars, l’attuale Terni, nel 176 d.C. e martirizzato a Roma il 14 febbraio 273. Famoso come taumaturgo (gli si attribuiscono molte guarigioni miracolose), è considerato il patrono delle coppie per diverse leggende che lo vedono protagonista nel ruolo di difensore dell’amore e dei matrimoni. Un probabile retaggio dell’antico tema della fecondità legato al sacramento dell’unione cristiana. Il racconto più famoso riguarda la storia d’amore tra Sabino, un centurione romano, e Serapia, una ragazza cristiana. Poiché la famiglia di quest’ultima era contraria al matrimonio i due giovani si rivolsero al vescovo Valentino che li aiutò a preparare le nozze. Ma Serapia si ammalò gravemente, così il suo amato, disperato, chiese a Valentino di battezzarlo per unirli in matrimonio e quando ciò avvenne i due giovani si addormentarono nel sonno eterno, per sempre insieme. Oggi le reliquie del Santo sono custo-

dite nella basilica di Terni che porta il suo nome, meta di pellegrinaggio per gli innamorati di tutto il mondo. Per il lato romantico dei festeggiamenti bisognerà però attendere il XIV secolo, quando il poeta inglese Geoffrey Chaucer, autore dei Racconti di Canterbury, citò il giorno di San Valentino nel suo poema Il parlamento degli uccelli. L’opera, del XIV secolo, descrive un gruppo di pennuti che si riunisce all’inizio della primavera - il “Seynt Valentynes day” (“il Giorno di San Valentino”) - per scegliere i loro compagni dell’anno. Forse fu un collegamento casuale, spiegano gli studiosi, legato alla stagione degli amori di questi animali in una società basata sui cicli naturali. Fatto sta che i poeti successivi, incluso Shakespeare - che fa riferimento a San Valentino nell’atto IV della scena V di Amleto -, seguirono il suo esempio, contribuendo ad ammantare la ricorrenza delle attuali connotazioni romantiche. Forse su questa scia, nel 1477, l’inglese Margery Brews scrisse una lettera al cugino John Paston, considerata la prima testimonianza scritta nel suo genere, chiamandolo “il mio amato Valentino”. Pochi certamente sapranno che il primo vero biglietto di San Valentino in versi risale però al 1415, anno in cui il 21enne Carlo duca d’Orléans, prigioniero nella Torre di Londra, ne inviò uno alla moglie lontana, l’undicenne Bona d’Armagnac, chiamandola “la mia dolce Valentina”. Per la cronaca i due non si rividero mai più: quando Carlo tornò libero Bona era infatti già scomparsa. Anni dopo il Duca si risposò con la giovanissima Maria di Cleves, dalla quale ebbe tre figli. Un finale poco melenso e di certo meno romantico di quanto ci si aspetterebbe da una storia per San Valentino.

SAN VALENTINO, PER MOLTI MA NON PER TUTTI

La Festa degli innamorati non si celebra ovunque nello stesso giorno.

S e in Brasile è il 12 giugno (vigilia di Sant’Antonio, protettore dei matrimoni), a Barcellona le coppie si s cambiano rose e libri il 23 aprile, nella Diada de Sant Jordi, in onore di San Giorgio, patrono della Catalogna.

I n alcune aree del mondo, per motivi culturali e religiosi, è addirittura proibito f esteggiare: è questo il caso di India, Pakistan, Arabia S audita e Malesia.

Nella regione russa di Belgorod la festa degli innamorati, “non in linea con le t radizioni”, è stata recentemente vietata perché accusata di traviare i giovani.

65 febbraio 2023 | www.spazio50.org

BOB

CANTORE VISIVO DELL’AMERICA PIÙ PROFONDA

«Credo che la chiave del futuro risieda in ciò che resta del passato e che sia necessario padroneggiare i linguaggi del proprio tempo per poter acquisire un’identità nel presente». A parlare è quel ragazzo col cappello calcato sulla testa alla Huckleberry Finn, quel Robert Allen Zimmerman sbarcato a New York in un gelido inverno del 1961 lasciandosi alle spalle il Minnesota. Lo stesso che di lì a qualche tempo, per tutti, sarebbe diventato Bob Dylan: per molti, il più grande artista dell’ultimo secolo, eclettico, complesso. Una figura decisiva della cultura mondiale: indiscutibile cantore del pacifismo, sempre a sostegno dei diritti umani.

www.spazio50.org | febbraio 2023 66 Ritratti

Il Museo MAXXI di Roma celebra l’estro creativo di Bob Dylan. Un artista universale capace di “creare nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana”

Ma la musica, che lo ha reso celebre, non descrive unicamente il volto di un artista, appunto, poliedrico. Alla figura di cantante, performer, si affianca infatti il volto forse meno noto: quello di artista visivo in grado di parlare alle nuove generazioni. La sua ricca produzione artistica - in mostra al MAXXI, il Museo delle Arti del XXI secolo, a Roma, fino ad aprile - ricostruisce un percorso creativo che si muove attraverso il tempo e lo spazio. Oltre cento opere, divise in otto sezioni, per la prima volta esposte in Europa. L’ottantunenne Dylan continua, perciò, a far parlare di sé e lo fa attraverso le sue opere e le parole. «Volevo creare - dice - immagini che non si prestassero a essere male interpretate o fraintese» e, dunque, racconta il reale. Un reale fatto di grandi metropoli, paesaggi brulli e sterminati, binari della ferrovia, strade aperte, automobili, camion e pompe di benzina. Ma anche motel, baracche, negozi

e bar, cortili, cartelloni pubblicitari e insegne al neon. Ha ritratto, negli anni, l’America più intima restituendo - come lui stesso racconta - «il realismo dell’istante, arcaico, statico perlopiù, ma comunque percorso da un fremito». E il fremito, per come lo si coglie lungo questo poderoso percorso narrativo, abbraccia l’intera carriera di arte visiva di Bob Dylan, che evidentemente corre parallela alla sua carriera artistica.

Proprio la sua, costellata di successi e riconoscimenti, gli stessi che gli vengono tributati per aver venduto oltre 125 milioni di dischi e aver dato alle stampe otto libri di disegni e dipinti. Ma non è tutto, perché Dylan, il cantore della protesta che incantò il mondo, è anche stato colui che ha vinto Grammy, Golden Globe e Oscar, col suo nome finito nella Rock and Roll

DYLAN

Hall of Fame. Come se non bastasse, negli anni, sono arrivati per lui - nel 2008 - anche un Pulitzer “per il suo profondo impatto sulla musica popolare e sulla cultura americana, segnato da composizioni liriche di straordinaria potenza poetica”. Ma sarà nel 2012 che riceverà dalle mani del presidente Obama la Presidential Medal of Freedom, un riconoscimento, questo, alla libertà, la cui radice - la libertà, appunto - riecheggia in ogni singola opera prodotta e oggi in visione al pubblico italiano. Ma Dylan è anche colui che, nel 2016, ha vinto il Nobel per la Letteratura “per aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana”. Poesia - dicevamo - e libertà che ritornano intatte anche nella sua produzione di artista visivo, che spazia dai disegni ai paesaggi passando per la rivisitazione grafica di note copertine di giornali fino ai diari illustrati, ritratti e sculture anche di grosse dimensioni. Davanti alle sue opere si può tutto tranne che rimanere indifferenti: scelgono di raccontare la condizione umana esplorando quei misteri della vita che continuano a lasciarci perplessi. Nelle sue opere, appartenenti a stili ed epoche differenti, c’è il mondo

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Ritratti

per come appare. «Il mondo che vedo - dice - o che scelgo di vedere, di cui faccio parte o in cui entro». E non è un caso che nel suo lungo lavoro non ci siano esattamente i simboli più iconici dell’America, quanto le immagini più intime, ma collaterali, di un popolo che sembra quasi di toccare attraverso il suo racconto visivo. È lui stesso a scrivere: «La mia idea era di fare cose semplici, occuparmi solo di ciò che è visibile all’esterno». Ecco perciò che sceglie di raccontare l’America che meno ti aspetti, quella che solo chi la vive ed è in grado di osservarla nel profondo sa descrivere: «Scelgo le immagini per ciò che significano per me, moli, paludi, fermate di camion, linee elettriche, segnali. Direi che il fine è semplice, non sperimentale né esplorativo».

Un’arte, dunque, intima, profonda e con un intento dichiarato che non si presta ad alcuna forma di snobismo elitario. In tale filone, colpisce - anche a livello materico - tutta l’ampia produzione legata alla sua terra d’origine: il Minnesota, terra di minatori. È da quella regione degli Usa che Dylan trae ispirazione per un viaggio attraverso il fuoco e il ferro, materiali, appunto, lavorati in maniera molto diffusa in quello Stato. Così nasce “Ironworks” - la sua vasta produzione di sculture in ferro - sorprendenti anche quelle di grandi dimensioni -, strutture funzionali composte da oggetti e attrezzi convertiti a nuovo uso che oltre ad affondare nel ricordo dell’infanzia - quella di Dylan - nella zona mineraria del Nord Minnesota, rievocano anche il passato industriale degli Stati Uniti d’America. Lo stesso passato che sembra riaffiorare in un presente che appare quasi statico, immutato, fotografico come nella raccolta The Drawn Blank, che si concretizza in una sorta di diario illustrato con istantanee di strada tra ritratti accorati e angoli nascosti. Ma l’umanità - quella di cui

riesci a cogliere lo spirito, i pensieri più profondi - appare chiara nel suo lungo viaggio attraverso New Orleans, la serie calata nella città natale del jazz e della quale Dylan dimostra di conoscere ogni angolo, anche il meno visibile. Situata all’estremità sud della Route 61 - una delle arterie più celebri d’America -, è anche conosciuta ai più come la “Strada del Blues”. È qui che Dylan cattura i volti dei suoi abitanti, le abitudini, i cori, le cerimonie religiose con uno sguardo ravvicinato che sa abbracciare squarci di vita quotidiana restituendo tutta l’energia allo spettatore che osserva. Cantante, dunque, come è noto ma anche - appunto - pittore, scultore, performer in grado di parlare pure alle generazioni più giovani. Ed è un tratto non da poco della sua scelta artistica considerando che la sua musica e la sua arte sono in grado di dialogare con un pubblico che per scelta, appunto, non conosce frontiere. Stando al curatore della retrospettiva oggi a Roma, Shai Baitel, la cosiddetta Silent Generation - quella che si sarebbe accontentata per troppo tempo di agire all’interno del sistema per poi solo dopo farsi massa critica - ha molto da dire anche alla Generazione Z. Se la Silent Generation non aveva, infatti,

«mezzi e infrastrutture per modificare lo status quo - dice Baitel -, la Generazione Z ha la possibilità di scegliere e di sfruttare il suo potere collettivo». Oggi, dice ancora il curatore della mostra: «le masse armate di smartphone possono essere altrettanto potenti nei confronti delle autorità quanto lo sono state le generazioni precedenti con le loro armi e tattiche di guerriglia». Osservando perciò Dylan lungo tutta la sua produzione artistica si ha la sensazione di essere di fronte a una figura difficilmente imbrigliabile nelle semplificazioni e nello stereotipo del mito in musica; piuttosto un artista in grado di tenere assieme il passato e il presente, con un sottofondo costante di profonda speranza nel futuro.

«Tutto quello che posso fare è essere me stesso, chiunque io sia», dice di sé Bob Dylan e sembra riuscirci nell’istante stesso in cui non mette filtri tra il proprio punto di osservazione, il luogo o la scena narrata e l’osservatore.

«Davanti a queste composizioni - scrive ancora Dylan - l’osservatore non ha bisogno di chiedersi se si tratti di un oggetto reale o se è frutto di un’allucinazione: se visitasse il luogo in cui quell’immagine è realmente esistita, vedrebbe la stessa cosa. È questo che ci unisce tutti».

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IN FARMACIA
PRATICHE MINI-COMPRESSE

VENE VARICOSE: CON LA PREVENZIONE SI POSSONO EVITARE

C’

è un disturbo vascolare noto sin dall’antichità, eppure legato a doppio filo con due degli aspetti tipici dei nostri tempi, in cui si vive a lungo e si conduce una vita comoda. Parliamo delle varici, o vene varicose, che in Europa riguardano il 10-20% della popolazione, soprattutto dopo i 40 anni e con un’incidenza tre volte maggiore fra le donne.

CHE COSA SONO?

Si tratta di vene superficiali delle gambe che assumono un tipico aspetto dilatato e tortuoso e nelle quali la circolazione del sangue risulta alterata e difficoltosa. Perché ciò accade? Le pareti dei vasi sanguigni cedono, si allargano e si allungano con un andamento tortuoso; le valvole all’interno dei vasi che normalmente regolano il flusso del sangue, impedendone il deflusso verso il basso, iniziano a funzionare male, e il sangue per effetto della gravità tende quindi ad accumularsi nei vasi venosi della parte inferiore delle gambe.

Talvolta le varici sono una delle manifestazioni della più ampia malattia venosa cronica, o insufficienza venosa cronica, e possono accompagnarsi alle teleangectasie (i cosiddetti “capillari” in evidenza, che hanno una valenza soprattutto antiestetica). Solitamente il fenomeno riguarda la più lunga fra le nostre vene superficiali, la safena, che si estende dalla caviglia all’inguine, e le vene ad essa collegate.

I SINTOMI

Non sempre le vene varicose danno sintomi evidenti, talvolta sono molto visibili ma non arrecano fastidio, altre al contrario si associano a una sensazione di pe -

Scienze www.spazio50.org | febbraio 2023 70

santezza delle gambe, al prurito e gonfiore delle caviglie quando si sta in piedi, crampi, formicolii e difficoltà a stare fermi in condizioni di riposo o nel sonno. In genere danno dolore solo in condizione particolari, come quando si forma una trombosi (con l’infiammazione e la formazione di coaguli di sangue).

LE TERAPIE

Che cosa si può fare per alleviare i sintomi e prevenire le complicanze delle vene varicose? Innanzitutto non sottovalutare ciò che a volte ci appare come un problema meramente estetico: una visita e il parere del medico non guasteranno. Lo specialista potrà prescrivere un esame diagnostico più approfondito come l’ecocolordoppler per valutare l’anatomia e la funzionalità dei vasi sanguigni, identificare eventuali trombi e osservare il flusso di sangue. Se la situazione non è complicata si potrà adottare un metodo non invasivo come l’uso di calze elastiche, che comprimono gradualmente le vene. Ci sono poi farmaci da assumere per bocca per proteggere i vasi e farmaci da applicare localmente per attenuare i sintomi. Quando invece la compressione non basta, si può intervenire con due strategie. La prima è chiudere la vena dilatata tramite l’iniezione di sostanze sclerosanti (terapia sclerosante) oppure l’ablazione con laser o radiofrequenza. La seconda è rimuovere chirurgicamente la vena patologica, tutta o in parte, praticando delle piccole incisioni e “sfilando” il vaso dilatato (stripping). Sarà il chirurgo a valutare se rimuovere la vena o se cercare di preservarla. L’intervento serve a risolvere la situazione ma non a prevenire la formazione di altre vene varicose.

I FATTORI DI RISCHIO (E DI PREVENZIONE)

Chi ha sperimentato le vene varicose spesso lo sa bene: la familiarità conta, insieme alla genetica, all’età, al sesso (le donne sono molto più esposte) e ai fattori ormonali (livelli elevati di estrogeni, gli ormoni femminili, sono legati ad un rilassamento delle pareti dei vasi; inoltre, non di rado le vene varicose compaiono in gravidanza).

In una certa misura, poi, influiscono anche fattori modificabili, legati cioè ai comportamenti e alle abitudini. Conoscerli permette non solo di comprendere meglio la problematica, ma anche di mettere in atto le strategie che abbiamo a disposizione per prevenire le varici. La sedentarietà, la postazione eretta prolungata (ortostatismo) e il sovrappeso, in particolare, possono facilitare il ristagno e la cattiva circolazione del sangue dai piedi verso il cuore, facilitando l’insorgenza delle vene varicose nei soggetti predisposti. L’esposizione prolungata degli arti inferiori al calore contribuisce alla dilatazione dei vasi. Anche l’alimentazione può giocare una parte da tenere in considerazione: una dieta ricca di frutta e verdura, oltre a favorire il controllo del peso, permette di assumere i micronutrienti (vitamine e flavonoidi) ad azione antiossidante che aiutano a preservare i vasi sanguigni.

L’IMPORTANZA DI UN INTESTINO IN SALUTE

Anche la stitichezza c’entra con la prevenzione delle vene varicose. Come? Può contribuire a ostacolare il ritorno venoso con l’aumento della pressione a livello addominale e un rallentamento del flusso sanguigno in quest’area. Bene quindi favorire il transito intestinale bevendo almeno 1,5 litri d’acqua al giorno (due litri se la circolazione delle gambe risulta già affaticata), non facendo mancare frutta, verdura e altri alimenti ricchi di acqua e di fibre (legumi, cereali, frutta secca, alimenti integrali). Possono aiutare anche semi di lino e di psillio; meglio invece limitare il consumo di patate, alimenti ricchi di amidi o prodotti che hanno un’azione astringente come il cioccolato.

LA VENA SAFENA

L’origine del nome “safena” è incerta. Secondo alcune fonti, infatti, deriverebbe dal latino medievale saphena, a sua volta derivante dall’arabo safin, ovvero “nascosta”. Di significato opposto, invece, l’ipotesi etimologica che imputa l’origine al greco safaini, ovvero “facilmente visibile”.

a cura di Fondazione Umberto Veronesi
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Contattaci per saperne di più o richiedere la guida informativa 02.76018187 - lasciti.fondazioneveronesi.it Un lascito nel tuo testamento a Fondazione Umberto Veronesi permetterà di sostenere la ricerca sui tumori per migliorare la vita delle generazioni future e delle persone che ami di più.Scegli oggi di aiutare chi avrà bisogno di cure domani. HO SCELTO DI MIGLIORARE LA VITA DI CHI VERRÀ DOPO DI ME. Con un lascito testamentario a Fondazione Umberto Veronesi. Con il Patrocinio e la collaborazione del Consiglio Nazionale del Notariato

Tecnologia e dintorni

CURIOSITÀ 50 anni fa, Martin Cooper, ingegnere presso la Motorola, fece la prima telefonata da un dispositivo mobile. Il “telefonino” pesava 1 kg e aveva un’autonomia di 30 minuti.

1UNO STIVALE “BIOROBOTICO” PER CAMMINARE

Spostamenti più semplici per le persone con difficoltà motorie

I Laboratori di Biomeccatronica dell’Università di Stanford stanno realizzando un esoscheletro simile ad uno stivale, un prototipo che supporta i muscoli del polpaccio e dà a chi lo indossa una spinta che facilita la camminata. Rispetto agli altri esoscheletri, grazie all’intelligenza artificiale, lo stivale apprende il modo di camminare adattandosi. L’obiettivo è aiutare le persone con difficoltà motorie, soprattutto gli anziani, a spostarsi facilmente. https://www.youtube.com/watch?v=-vTk-TRN0C8&t=2s

2ADERENZA ALLE TERAPIE CON “AIFA MEDICINALI”

Un'App per ottenere informazioni e notifiche sui farmaci

L’Agenzia Italiana del Farmaco ha rilasciato l’App “AIFA Medicinali”. Tra le diverse funzioni consente di accedere alla Banca Dati dei farmaci di AIFA per effettuare ricerche, consultare i fogli illustrativi e le caratteristiche, verificare lo stato di commercializzazione dei medicinali. L’App permette anche di creare “armadietti virtuali" dei farmaci usati più di frequente e impostare promemoria per assumerli in modo corretto.

https://play.google.com

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GUIDARE IN MODO SOSTENIBILE CON GOOGLE MAPS

Percorsi sostenibili con l'App del colosso della tecnologia

Torniamo a parlare di Google Maps, perché l’App da qualche tempo può suggerire ai guidatori non solo il percorso più veloce ma anche il più sostenibile. La funzionalità consente di scegliere percorsi che riducono il consumo di carburante e le emissioni di anidride carbonica. Basta aprire l’App e seguire il percorso “Impostazioni”, “Impostazioni di navigazione”, "Opzioni percorso", quindi “Scegli percorsi a minor consumo di carburante”. https://play.google.com

4CHI STA USANDO IL MIO WI-FI? Vediamo come verificare e bloccare eventuali ospiti indesiderati

Per verificare se qualcuno stia usando abusivamente la nostra rete Wi-Fi, accedere alla pagina di gestione del modem router (all’indirizzo 192.168.0.1 o 192.168.1.1) con l’identificativo e la password, sezione "Wi-Fi", quindi "Dispositivi connessi". Se non riconosciamo un nostro dispositivo, usiamo la funzione "Blocca". Ci siamo sbagliati e si trattava di un nostro device? Nessun problema: "sblocchiamo” accedendo alla funzione “Blacklist” o simili.

LO SAPEVATE CHE?

A Cannes, in Francia, dal 9 all’11 febbraio si svolge il World AI Cannes Festival, il più importante evento mondiale sulle tecnologie legate all’Intelligenza Artificiale (https://worldaicannes.com).

a cura di Valerio Maria Urru
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LA PENSIONE

NEL 2023

TRA AUMENTI, TRATTENUTE E CONGUAGLI

Indice provvisorio di rivalutazione record al 7,3%, ma non per tutti. E attenzione alle trattenute e ai conguagli fiscali

Tra segni più e segni meno non è sempre facile comprendere il cedolino della pensione, accessibile on line sul portale istituzionale dell’Inps, anche perché quasi ogni anno cambiano le regole relative alla perequazione.

Quest’anno l’Inps, come annunciato nella circolare 135 del 22 dicembre 2022, ha disposto il pagamento della prima rata di pensione il 3 gennaio 2023, una volta concluse tutte le attività di rivalutazione delle pensioni e delle prestazioni assistenziali.

Per l’anno 2022, l’aumento di perequazione automatica definitivo è stato stabilito nella misura dell’1,9% e, come previsto dal “Decreto Aiuti bis”, il conguaglio dello 0,2%, rispetto all’aumento attribuito in via provvisoria pari

all’1,7%, è già stato applicato sulle pensioni interessate tra novembre e dicembre 2022.

Per l’anno 2023, vista l’inflazione alle stelle, in base al decreto interministeriale del 22 novembre 2022, l’indice provvisorio di rivalutazione delle pensioni è stato fissato al 7,3%, ma non tutti i pensionati hanno ricevuto l’aumento sulla rata di gennaio.

La Legge di Bilancio 2023 ha infatti previsto una revisione del meccanismo di indicizzazione delle pensioni per gli anni 2023 e 2024 e l’Inps, con un comunicato stampa del 22 dicembre 2022, ha specificato che “al fine di evitare la corresponsione di somme potenzialmente indebite” sulla rata di gennaio l’aumento è stato applicato nella misura del 100% solo a chi gode di un trattamen-

to pensionistico di importo complessivamente pari o inferiore a € 2.101,52 (quattro volte il trattamento minimo in pagamento nel 2022).

Per gli importi di pensione che superano questo limite, considerato che la Legge di Bilancio 2023 è stata approvata in via definitiva e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 29 dicembre 2022, la rivalutazione viene attribuita dall’Inps sulla prima rata utile di pensione, sulla base dei sei diversi scaglioni riportati nella tabella in calce.

Occorre tenere presente che gli aumenti di rivalutazione sono comunque attribuiti anche oltre gli importi soglia ma fino a concorrenza del limite maggiorato della quota di rivalutazione.

Per contrastare ulteriormente l’inflazione, la nuova Legge di Bilancio ha inoltre stabilito che agli assegni di importo pari o inferiore al trattamento minimo venga riconosciuto, in via eccezionale, un ulteriore incremento mensile di: 1,5 punti percentuali per l’anno 2023 2,7 punti percentuali per l’anno 2024 Infine, per i soggetti over 75 scatterà, oltre all’indicizzazione del 7,3%, una rivalutazione del 6,4% - invece del previsto 1,5% - che porterà di fatto gli assegni a circa 600 euro.

Come di consueto, oltre agli aumenti, hanno un peso sull’importo di pensione in pagamento anche l’Irpef mensile e le addizionali regionali e comunali relative al 2022, trattenute in 11 rate nell’anno successivo a quello in cui si riferiscono.

L’Inps ha inoltre effettuato il ricalcolo a consuntivo delle ritenute fiscali dovute per l’anno 2022 sulla base dell’ammontare complessivo delle sole prestazioni pensionistiche e, in caso di debito, gli importi vengono recuperati sulle rate di pensione tra gennaio e febbraio 2023. Solo le prestazioni di invalidità civile, le pensioni o gli assegni sociali e le prestazioni non assoggettate a tassazione per particolari motivazioni non subiscono trattenute fiscali.

a cura di Maria Silvia Barbieri Previdenza
www.spazio50.org | febbraio 2023 76 Importo complessivo trattamenti pensionistici Importo soglia Percentuale di rivalutazione Fino a 4 volte il trattamento minimo Fino a € 2.101,52100% (7,3%) Da 4 a 5 volte il trattamento minimo Fino a € 2.626,9085% (6,2%) Da 5 a 6 volte il trattamento minimo Fino a € 3.152,2853% (3,9%) Da 6 a 8 volte il trattamento minimo Fino a € 4.203,0447% (3,4%)
8 a 10 volte il trattamento minimo Fino a € 5.253,8037% (2,7%)
10 volte il trattamento minimo Oltre € 5.253,8032% (2,3%)
Da
Oltre

PENSIONE QUOTA 103

CHI NE HA DIRITTO

La “pensione anticipata flessibile” consentirà, solo per il 2023, a tutti i lavoratori dipendenti, del pubblico impiego, autonomi e parasubordinati di andare in pensione entro il 31 dicembre 2023. I requisiti sono almeno 41 anni di contributi e 62 anni di età.

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almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi?
103.

AVVISI BONARI: cosa c’è da sapere

Tra le diverse disposizioni previste dalla Legge di Bilancio, anche la definizione agevolata delle somme dovute a seguito di alcuni controlli automatizzati

In data 29.12.2022 è stata pubblicata (G.U. n. 303) la Legge di Bilancio 2023 (Legge n. 197/2022), e, in particolare, con l’articolo 1, sono state previste diverse disposizioni in campo fiscale.

All’articolo 1, comma 153 è stato predisposto un “pacchetto” per gli avvisi bonari per la definizione agevolata delle somme dovute a seguito del controllo automatizzato (articolo 36 bis D.P.R. 600/1973 e articolo 54 bis D.P.R. 633/1972) delle dichiarazioni per le annualità 2019, 2020 e 2021. L’agevolazione è costituita dalla riduzione delle sanzioni al 3% (rispetto al 10% ordinariamente applicabile).

La citata disposizione riguarda le somme dovute a seguito della liquidazione delle dichiarazioni presentate dai contribuenti, ai fini Irpef, Ires, Irap e Iva, effettuata sulla base sia dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle loro dichiarazioni che di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria. Infatti, i controlli automatici svolti dall’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate potrebbero fare emergere un risultato diverso rispetto a quello indicato dal contribuente nella dichiarazione. La finalità di comunicare all’interessato (al contribuente o al sostituto d’imposta) l’esito della liquidazione è di evitare la reiterazione di errori e di consentirne la regolarizzazione, ferma restando la possibilità per i contribuenti di fornire i chiarimenti necessari all’Amministrazione finanziaria.

Nello specifico, ai sensi del comma 153, possono essere definite le comu-

nicazioni già citate, per le quali: non è ancora scaduto al 1° gennaio 2023, il termine di pagamento dei 30 giorni, decorrente dalla data di ricevimento della comunicazione, ovvero della comunicazione definitiva contenente la rideterminazione a seguito di istanza di autotutela del contribuente (articolo 2, comma 2, D.Lgs n. 462/1997); oppure, quelle recapitate successivamente al 1° gennaio 2023. Il pagamento delle somme - integralmente o a rate - deve avvenire secondo le modalità e i termini ordinariamente stabiliti dagli articoli 2 e 3 bis del D.Lgs n. 462/1997. In caso di mancato pagamento delle somme dovute, in tutto o in parte, alle scadenze prestabilite, la definizione non produce effetti e si applicano le ordinarie disposizioni in materia di sanzioni e riscossione.

La Legge di Bilancio 2023, oltre a detta disposizione, al successivo comma 155, ha concesso la suddetta riduzione sanzionatoria (al 3%), anche agli avvisi bonari il cui pagamento rateale è ancora in corso al 1° gennaio 2023. Per cui, anche in detto caso, il debito residuo a titolo di imposte e di contributi previdenziali, interessi e somme aggiuntive, sarà dovuto con applicazione delle sanzioni al 3%.

Il pagamento rateale delle somme prosegue secondo le modalità e i termini previsti dallo stesso articolo 3-bis del D.Lgs n. 462/1997. In caso di mancato pagamento delle somme dovute, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, la definizione non si perfeziona e si

applicheranno le ordinarie disposizioni in materia di sanzioni e riscossione. A seguito dell’intervento operato sugli avvisi bonari - atti non ancora cartellizzati -, il legislatore ha allungato i termini di decadenza a carico dell’Agente per la riscossione per la notificazione delle cartelle di pagamento, con riferimento alle somme dovute a seguito del controllo automatizzato delle dichiarazioni relative al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019.

Infatti, in deroga a quanto previsto all’articolo 3 della Legge n. 212/2000 (Statuto del Contribuente), i termini di decadenza per la notifica delle cartelle, previsti dall’articolo 25 D.P.R. n. 602/1973, sono prorogati di un anno. Il legislatore ha pure modificato le regole per la rateizzazione delle somme dovute a seguito della liquidazione della dichiarazione.

Infatti, lo stesso articolo 1, comma 159, della Legge di Bilancio 2023, consente a tutti i contribuenti (persone fisiche, persone giuridiche, enti, etc.), indipendentemente dall’importo del debito, la rateizzazione in un numero massimo di 20 rate trimestrali, a differenza di quanto stabilito precedentemente (otto rate trimestrali di pari importo per un debito fino a 5.000 euro, ovvero, se superiore, un numero massimo di venti rate trimestrali di pari importo).

Va precisato che questa normativa agevolativa prevista dalla Legge di Bilancio 2023, viene riconosciuta solo alla liquidazione della dichiarazione e non investe il controllo formale della stessa (articolo 36 del D.P.R. n. 600/1973).

a cura di Alessandra De Feo Fisco
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Forlì - Piazzale della Vittoria, 23 054324118

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Parma - Via Abbeveratoia, 61/A 0521944278

Ravenna - Via di Roma, 104 0544515707

Reggio Emilia - Viale Timavo, 43 0522708565-553

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Gorizia - Via Vittorio Locchi, 22 048132325

Pordenone - Piazzale dei Mutilati, 6 0434549462

Trieste - Via Mazzini, 22 0407707340

Udine - Viale Duodo, 5 0432538707-538705

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Frosinone - Via Moro, 481 0775855273

Latina - Via dei Volsini, 60 0773611108

Rieti - Largo Cairoli, 4 0746483612

Roma - Via Cola di Rienzo, 240 0668891796

Viterbo - Via Belluno, 39/G 0761341718

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Savona - Corso A. Ricci - Torre Vespucci, 14 019853582

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Bergamo - Via Borgo Palazzo, 133 0354120126

Brescia - Via Trento, 15/R 0303771785

Como - Via Bellini, 14 031265361

Cremona - Via Alessandro Manzoni, 2 037225745-458715

Lecco - Piazza Giuseppe Garibaldi, 4 0341287279

Lodi - Via Giovanni Haussmann, 1 0371432575

Mantova - Via Valsesia, 46 0376288505

Milano - Corso Venezia, 47 0276013399

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Sondrio - Via del Vecchio Macello, 4/C 0342533311

Varese - Via Valle Venosta, 4 0332342280

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Ancona - Via Alcide De Gasperi, 31 0712075009

Ascoli Piceno - Viale Vittorio Emanuele Orlando, 16 0736051102

Macerata - Via Maffeo Pantaleoni, 48a 0733261393

Pesaro - Strada delle Marche, 58 0721698224/5

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Campobasso - Via Giuseppe Garibaldi, 48 0874483194

Isernia - Via XXIV Maggio, 331 0865411713

Piemonte Telefono

Alba - Piazza S. Paolo, 3 0173226611

Alessandria - Via Trotti, 46 0131260380

Asti - Corso Felice Cavallotti, 37 0141353494

Biella - Via Trieste, 15 01530789

Cuneo - Via Avogadro, 32 0171604198

Novara - Via Giovanni Battista Paletta, 1 032130232

Torino - Via Andrea Massena, 18 011533806

Verbania - Via Roma, 29 032352350

Vercelli - Via Duchessa Jolanda, 26 0161215344

Puglia Telefono

Bari - Piazza Aldo Moro, 28 0805240342

Brindisi - Via Appia, 159/B 0831524187

Foggia - Via Luigi Miranda, 8 0881723151

Lecce - Via Cicolella, 3 0832343923

Taranto - Via Giacomo Lacaita, 5 0997796444

Sardegna Telefono Cagliari - Via Santa Gilla, 6 070280251

Nuoro - Galleria Emanuela Loi, 8 0784232804

Oristano - Via Sebastiano Mele, 7/G 078373612

Sassari - Via Giovanni Pascoli, 59 079243652

Sicilia Telefono

Agrigento - Via Imera, 223/C 0922595682

Caltanissetta - Via Messina, 84 0934575798

Catania - Via Mandrà, 8 095239495

Enna - Via Vulturo, 34 093524983

Messina - Via Santa Maria Alemanna, 5 090673914

Palermo - Via Emerico Amari, 11 091334920

Ragusa - Viale del Fante, 10 0932246958

Siracusa - Via Eschilo, 11 093165059-415119

Trapani - Via Marino Torre, 117 0923547829

Toscana Telefono

Arezzo - Via XXV Aprile, 12 0575354292

Carrara - Via Don Minzoni,20/A 058570973-570672

Firenze - Via Costantino Nigra, 23-25 055664795

Grosseto - Via Tevere, 5/7/9 0564410703

Livorno - Via Serristori, 15 0586898276

Lucca - Via Fillungo, 121 - c/o Confcommercio 0583473170

Pisa - Via Chiassatello, 67 05025196-0507846635/30

Prato - Via San Jacopo, 20-22-24 057423896

Le sedi 50&Più provinciali

Pistoia - Viale Adua, 128 0573991500

Siena - Via del Giglio, 10-12-14 0577283914

Trentino Alto Adige Telefono

Bolzano - Mitterweg - Via di Mezzo ai Piani, 5 0471978032

Trento - Via Solteri, 78 0461880408

Umbria Telefono

Perugia - Via Settevalli, 320 0755067178

Terni - Via Aristide Gabelli, 14/16/18 0744390152

Valle d’Aosta Telefono

Aosta - Piazza Arco d’Augusto, 10 016545981

Veneto Telefono Belluno - Piazza Martiri, 16 0437215264

Padova - Via degli Zabarella, 40/42 049655130

Rovigo - Viale del Lavoro, 4 0425404267

Treviso - Via Sebastiano Venier, 55 042256481

Venezia Mestre - Viale Ancona, 9 0415316355

Vicenza - Via Luigi Faccio, 38 0444964300

Verona - Via Sommacampagna, 63/H - Sc. B 045953502

Le sedi 50&Più all’estero

Argentina Telefono

Buenos Aires 0054 11 45477105

Villa Bosch 0054 9113501-9361

Australia Telefono Perth 0061 864680197

Belgio Telefono

Bruxelles 0032 25341527

Brasile Telefono

Florianopolis 0055 4832222513

San Paolo 0055 1132591806

Canada Telefono

Burnaby - Vancouver BC 001 6042942023

Hamilton 001 9053184488

Woodbridge 001 9052660048

Montreal Riviere des Prairies 001 5144946902

Montreal Saint Leonard 001 5142525041

Ottawa 001 6135674532

St. Catharines 001 9056466555

Toronto 001 4166523759

Germania Telefono

Dusseldorf 0049 021190220201

Portogallo Telefono

Lisbona 00351 914145345

Spagna Telefono

Valencia 0034 961030890

Svizzera Telefono Lugano 0041 919212050

Uruguay Telefono Montevideo 0059 825076416

USA Telefono

Fort Lauderdale 001 9546300086

50&Più SISTEMA ASSOCIATIVO E DI SERVIZI VITA ASSOCIATIVA ASSISTENZA PREVIDENZIALE ASSISTENZA

FISCALE

WWW.50EPIU.IT

4-11 giugno 11-18 giugno 7 notti 8 giorni

SERENÈ VILLAGE BLUSERENA a Marinella di Cutro in Calabria, sul Mare Ionio

SERENÈ VILLAGE

“Incontri 50&Più” è un evento importante, una grande festa di inizio estate dove oltre 2.000 soci 50&Più si ritroveranno per condividere il piacere di una vacanza, all’insegna del bel mare, del divertimento e del relax. Il soggiorno personalizzato e arricchito con attività culturali, incontri dedicati, corsi danza con “gara di ballo”, tornei di burraco e altri divertimenti, oltre all’assistenza in loco dello staff 50&Più e 50&Più Turismo, sono il vero valore aggiunto che determina il grande successo di partecipazione.

Il Serenè Village è un villaggio turistico 4 stelle che si presenta agli ospiti in una veste rinnovata. È situato su una bellissima spiaggia della costa ionica, bordata da un grande bosco di eucalipti. Sorge in Località Marinella di Cutro, a 18 km dall’aeroporto di Crotone e a 80 km da quello di Lamezia Terme. Dispone di 480 camere poste su due piani, dotate di tutti i comfort, vicinissime al mare (300 m). Il villaggio è privo di barriere architettoniche.

www.spazio50.org | febbraio 2023 82 INCONTRI 50&PIÙ 2023 dal 4 al 18 giugno 2023

CAMERE - Le 480 camere, poste su due piani, sono suddivise in camere Classic, Family, Premium e Comfort. Inoltre, camere bivano (senza porte fra i due vani) con 5 posti letto. Le camere al piano terra dispongono di giardino, quelle al primo piano di balconcino. Su richiesta, possibilità di camere comunicanti e per diversamente abili. Tutte le camere sono dotate di aria condizionata con regolazione individuale, TV, mini frigo, cassaforte, bagno. Disponibili Dog Room in cui sono ammessi cani di piccola taglia (max 10 kg).

SPIAGGIA - L’ampia spiaggia sabbiosa e privata del Serenè Village (profonda 40 e larga 400 m) è attrezzata con ombrelloni riservati, lettini e sdraio, spogliatoi e docce, desk informazioni e servizi del Bluserena SeaSport (alcuni a pagamento) tra cui barche a vela e windsurf , canoe, pedalò, campi da beach tennis e beach volley.

RISTORAZIONE - Il Serenè Village offre una ristorazione ricca, varia e di qualità con menu show cooking alla scoperta del territorio regionale, delle tradizioni italiane e di proposte culinarie dal mondo. Sono presenti: un ristorante centrale con due sale climatizzate e Patio, oltre al ristorante gourmet

Il Gusto (con servizio al tavolo) e il Blu Beach Restaurant (a buffet), entrambi su prenotazione.

SERVIZI - A disposizione degli ospiti: piscina di 500 mq e piscina per il nuoto, campi polivalenti, campi da tennis, campi da bocce, Parco Avventura per bambini, Area fitness ultramoderna. L’animazione, sempre presente e mai i nvadente, quotidianamente proporrà: spettacoli, corsi di vela e windsurf (collettivi), acquagym, tornei sportivi, balli di gruppo e tanto altro.

QUOTE SETTIMANALI INDIVIDUALI DI PARTECIPAZIONE IN FORMULA EXTRA ALL INCLUSIVE

1° TURNO | 4 -11 giugno (con possibilità di estensione dal 1° giugno su richiesta - 10 notti) € 695€ 870 € 555

2° TURNO | 11 - 18 giugno (con possibilità di prolungamento fino al 25 giugno su richiesta - 14 notti) € 780€ 955 € 625

Riduzioni 3° letto bambini: 0/3 anni gratuito (€ 85 Coccinella Baby care); 3/8 anni - 80%; 8/12 anni - 50% - Riduzioni 4° letto: su richiesta

Quota supplementare per i non soci 50&Più: € 50 - Quotazioni viaggio a/r da tutta Italia: su richiesta.

La quota comprende: - Soggiorno presso il Serene’ Village per la durata prescelta (le camere saranno disponibili a partire dalle ore 15:00 del giorno di arrivo e dovranno essere liberate entro le ore 10:00 del giorno di partenza) - Trattamento di pensione completa a buffet dalla cena del giorno di arrivo al pranzo del giorno di partenza (per arrivi anticipati con il pranzo incluso i servizi terminano con la prima colazione del giorno di partenza) - Bevande ai pasti inclusi acqua minerale, vino e bibite alla spina - Formula Extra All Inclusive al bar principale, al bar della spiaggia e al ristorante (come specificato) - Servizi balneari in spiaggia attrezzata (1 ombrellone, 1 lettino e 1 sdraio per camera) - Facchinaggio in arrivo

e in partenza - Animazione diurna e serale con spettacoli, piano bar, giochi e tornei - Partecipazione ad attività culturali e ricreative organizzate da 50&Più - Assistenza in loco di personale medico dedicato H24 - Assistenza in loco di personale 50&Più e 50&Più Turismo- Assicurazione bagaglio/sanitaria/copertura Covid-19 e annullamento, UNIPOL SAI Assicurazioni.

La quota non comprende: - Trasporti da e per il Serenè VillageEscursioni da prenotare e pagare in loco - Eventuale pasto extra, da regolare in loco - Imposta di soggiorno comunale, da regolare in loco - Tutto quanto non sopra specificato.

FORMULA EXTRA ALL INCLUSIVE Bar principali: caffetteria; bibite alla spina in bicchieri 20 cl. a scelta tra: the fred do al limone o alla pesca, limonata, acqua tonica, cedrata, chinotto e gassosa, aranciata e coca cola; succhi di frutta (ananas, ace, pesca, albicocca, arancia rossa, pera), sciroppi (amarena, latte di mandorla, menta e orzata), acqua minerale, birra alla spina, granite, un vino bianco e un vino rosso, prosecco, amari e liquori, aperitivi e vermouth, grappe. Happy Hour dalle 17:30 alle 19:30 con cocktail base, scelti da menù specifico Dalla formula sono esclusi altri cocktail o richiesti in altri orari, champagne e alcolici definiti speciali sul listino bar. Bibite in bicchiere da 20 cl. Bar del ristorante centrale: caffè espresso e cappuccino, anche decaffeinato e d’orzo, cappuccino con latte di soia, latte bianco e macchiato, a pranzo e cena una bevanda alla spina da 40 cl. per persona a partire dai 3 anni, a scelta tra birra, aranciata e coca cola.

febbraio 2023 | www.spazio50.org 83
DOPPIA DOPPIA USO SINGOLA TERZO LETTO ADULTI

Ischia “La

perla del Mediterraneo”

Il verde della natura, il blu del mare, le terme naturali: tutto questo e molto altro in un soggiorno all’insegna del benessere, della buona cucina, del sole e del relax.

Hotel Terme President - 4 stelle - Ischia Porto

L’albergo composto da tre corpi attigui, situato in zona panoramica sovrastante il suggestivo porto di Ischia, è diretto con cura e professionalità. Dispone di piscina termale coperta e si distingue per l’attrezzato centro benessere “La Ninfea” e lo stabilimento termale convenzionato, situati entrambi all’interno dell’albergo.

Hotel Terme Cristallo - 4 stelle - Casamicciola Incastonato in un’oasi di verde, l’hotel gode di una posizione panoramica in un’area tranquilla e riservata. Costituito da bianchi padiglioni in stile moderno e con terrazze fiorite, si compone di un corpo centrale disposto su 5 livelli.

Dispone di piscine termali, palestra, reparto termale convenzionato e moderna beauty farm.

Il soggiorno comprende: 7 notti/8 giorni - Pensione completa con bevande ai pasti - Serate piano bar - 1 serata di gala - Uso delle piscine termali - Uso della palestra - Uso della sauna, bagno turco, reparto termale interno convenzionato Asl - Shuttle bus da e per il centro (Hotel President).

Non sono compresi: Trasferimenti da e per Ischia - Assicurazione annullamento con estensione Covid (€ 20 a persona) - Tassa di soggiorno (se prevista) - Extra, mance e tutto quanto non indicato ne “Il soggiorno comprende”. Su richiesta, i collegamenti a/r per Ischia con bus G.T. (traghetto incluso), in partenza dalle principali città del Nord e Centro Italia.

Per usufruire dell’offerta sopra riportata, per ogni 7 notti di soggiorno, è obbligatorio effettuare la cura per fanghi e bagni terapeutici, presentando l’impegnativa del medico di base. Per gli ospiti che non effettueranno tale cura, sarà applicato un supplemento di € 10 per persona, per notte, da regolare in hotel.

Quota supplementare per i non soci: € 50

(Aut. Reg. 388/87) Tel. 06 6871108/369 Fax 06 6833135 - Email: info@50epiuturismo.it www.50epiuturismo.it

www.spazio50.org | febbraio 2023 84
DAL 1 MARZO AL 14 MAGGIO 2023 SOGGIORNI DA DOMENICA A DOMENICA QUOTAZIONI SU RICHIESTA

Cultura

ISTRUZIONI PER IL VIAGGIATORE. POESIE (1967-2016) LUIS SEPÚLVEDA GUANDA 288 PAGINE 22 EURO

STORIE DI VITA, DI LOTTA E D’AMORE

La poesia, dietro la narrazione di storie impegnate, tra battaglie per l’ecologia e versi d’amore. In questa raccolta è racchiuso tutto lo stile di Sepúlveda, scrittore cileno scomparso prematuramente a causa del Covid

di Renato Minore

«Come un’ombra che proietta sullo schermo della memoria i segreti percepibili, il chiaroscuro di emozioni, passioni, disillusioni». Così Luis Sepúlveda mi parlava della sua poesia che non solo marginalmente si accompagna ai suoi fortunati exploit narrativi. «Uno dei più grandi piaceri è piantare non uno ma molti alberi, sono una parte di te. Sai che non sopravviverai a loro, eppure piantare l’albero della poesia è un piacere, è bellissimo sentire il senso di appartenenza al luogo in cui vivi, fondi una casa, sai che ogni pietra ha qualcosa di te». Tutto Sepúlveda, il Sepúlveda poetico, è nello splendido volume Istruzioni per il viaggiatore, i versi scritti dal 1967 al 2016 con traduzione di Ilide Carmignani. La natura e la rivoluzione, l’impegno e l’avventura. Ma il problema è il dosaggio di vita e opera mescolate in modo inestricabile. Non come autobiografia, ma come scommessa su una scrittura spo-

gliata dai manierismi, molto chiara, quasi elementare nella stringatezza. Come preoccupazione per i problemi sociali e politici, difesa di un eroismo civico contro il potere costituito. Una scrittura, gli entusiasmi. Con tutti i suoi ideali e le grandi battaglie, ma anche con il velleitarismo, ogni inquietudine sentimentale. Una specie di amarcord tra sorriso e malinconia. “La poesia di Lucho - scrive Alejandro Céspedes nel saggio che accompagna il libro - è profondamente comunicativa, aspira a stabilire coincidenze emotive con i suoi simili, a creare legami che uniscano vite comuni”. Poi, man mano che l’età avanza, diventa più interna e il dolore più individuale che collettivo, un riparo contro il peso di una vita estrema: la rivoluzione, la sconfitta, la persecuzione, l’imminenza di una morte annunziata e prevista. I vari esili verso una terra che finalmente possa concedergli serenità.

«Non sono particolarmente affascinata dal Presente. Gli studi di storia e archeologia mi hanno insegnato che l’aggettivo “perfetto” nell’originale latino sta per “completato, condotto a termine”, come il Passato. Una cornice narrativa di elezione, dal mio punto di vista. E poi, non scordiamoci mai che in ogni Passato c’è molto Presente, e viceversa». Così Ben Pastor ha spiegato la sua predilezione per il poliziesco a carattere storico. E anche nell’ultimo La Venere di Salò, il dodicesimo che ha come protagonista Martin Heinz von Bora il nobile ufficiale tedesco, colpisce nel segno con il coinvolgimento del lettore, dimostrando per quali misteriose ragioni una famosa tela di Tiziano, carica di misteriosi simbolismi si trovi al centro di un intrigo internazionale durante gli ultimi mesi della Seconda Guerra Mondiale.

LA
DI
di
Sellerio 464
16
VENERE
SALÒ
Ben Pastor
pagine
euro
Libri
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UN LUNGO VIAGGIO DI SAPORI E RICORDI

C’è voluta tanta passione, amore e una buona dose di coraggio per realizzare Ricette di Memoria. Un diario a più mani dentro il cuore grande della Toscana. Un libro che può essere definito un vero e proprio progetto di Sistema 50&Più, soprattutto grazie al supporto del presidente 50&Più Toscana, Antonio Fanucchi, e Claudio Magi, presidente di 50&Più Arezzo, che ha affermato: «È

un colorato mosaico di racconti e ricette, che in realtà prende come pretesto l’arte culinaria per narrare una storia, quella della Toscana, che sta via via scomparendo. Fatta di ricordi, luoghi della memoria, personaggi e costumi di una volta». Della stesura del libro abbiamo parlato con la curatrice, la scrittrice Silvana Agostini. Quando è partita l’idea di realizzare un progetto così ambizioso?

In quel periodo era appena uscito Un libro per un pasto caldo, che scrissi durante il periodo della pandemia, e pensai fosse il momento di coinvolgere i soci della 50&Più della nostra regione a fare qualcosa di importante; così li ho spronati a raccontare storie legate alle ricette della loro zona. È stato difficile mettere insieme tanti documenti per creare un unico libro?

Ho molto a cuore Ricette di Memoria e per la sua realizzazione ho cercato di ricoprire tutti i ruoli possibili: oltre all’ideazione, ho fatto il redattore, corretto tutte le bozze che mi sono arrivate e naturalmente ho fatto anche la scrittrice, visto che alcune storie sono le mie. Nell’idea iniziale non è mai stato un libro di ricette,

www.spazio50.org | febbraio 2023 86 Cultura
di
50&Più Toscana ha pubblicato un volume che racchiude, concentrata, tutta l’esperienza e la memoria dei soci uniti dalla passione per la buona tavola. Silvana Agostini ne ha curato la stesura

ma di storie. Di Storia, con la maiuscola. Ogni racconto è in realtà uno spunto, un assaggio di Toscana. Per la realizzazione nel concreto, però, ho avuto un buon riscontro da molte provincie, a partire da Arezzo e dalla mia Pistoia. Ogni presidente ha sollecitato i propri soci ad inviare le storie che poi hanno composto il ricco affresco di memorie. Poi, ho provato ad ordinare questi “ricordi” collegandoli a spunti che via via mi venivano in mente; molte storie le ho collegate con luoghi o personaggi di quei posti, quasi come se avessi unito i puntini di una narrazione che doveva solo essere riscoperta. Mi ha emozionato molto scrivere di quei luoghi di lavoro spariti, come la SMI o la Lebole, che hanno segnato un’epoca; le città vivevano intorno ad una fabbrica, adesso, vedendo gli scheletri dei grandi capannoni, sembra impensabile. E allora, vengono spontanee anche altre domande: il progresso, ci ha portato ad un’evoluzione o ad una involuzione? Ho letto la Storia dentro le storie che ci sono arrivate, perché tra le pagine del libro c’è la Grande Guerra, Caporetto, la Linea Gotica, tutte tappe che hanno significato tanto per il nostro Paese. C’è stato spazio anche per ricordare eminenti personaggi legati alla Toscana. Partendo dai ricordi che mi arrivavano sono venuti fuori molti collegamenti con tante personalità come il grande compositore Giacomo Puccini, Carlo Collodi con il suo Pinocchio o Enrico Caruso, il tenore di origine campana ma affezionato alla Toscana, in particolare ad alcune località, come il lago di Massaciuccoli. Erano personaggi, ma anche uomini, legati alle passioni e alle emozioni come noi, che si lasciavano affascinare da meravigliosi paesaggi e da gustose ricette locali. Al di là della loro aura di celebrità, mi piace la loro “umaniz-

zazione” attraverso i sentimenti legati alla nostra terra. In generale, ho messo qua e là tante piccole gemme di Memoria, tra racconti personali, ricette, luoghi e momenti di cultura popolare, con un unico comune denominatore: nulla è lasciato al caso. Ogni finestra, ogni paragrafo, che può sembrare fine a se stesso, fa parte di un disegno più ampio e complesso che restituisce al lettore tutta la sua grandezza alla fine del libro. Il volume è custode di tante storie di un passato che è quasi del tutto scomparso. Possiamo definire questo lavoro un lascito alle nuove generazioni? Certamente. È scritto chiaramente anche nel segnalibro che ho preparato per l’occasione: “Una volta erano i cantastorie a tramandare la memoria, più tardi sono stati i libri, in futuro saranno i media. Ma di sicuro il libro rimarrà l’unica forma palpabile di memoria. Da conservare come un bagaglio a mano da tramandare alle generazioni dopo di noi”. Ecco, voglio pensare che questo libro sia un bagaglio a mano donato con delicatezza ai giovani. Molte persone si sono messe in gioco per raccontare la loro storia, un momento intimo del loro passato. È un dono privato, che saprà entrare nel cuore dei lettori. Un’ultima battuta la offre anche Antonio Fanucchi, presidente 50&Più Toscana.

Presidente Fanucchi, c’è già qualche progetto per il futuro? Sarebbe molto interessante fare un libro simile sui mestieri. Far di nuovo raccontare ai soci storie sul loro vissuto lavorativo, cosa hanno fatto, dove hanno prestato servizio. Se si riuscisse a dare concretezza alle nostre microstorie, ai nostri microcosmi, si potrebbe essere tutti protagonisti di un racconto più grande. E in questo, i soci 50&Più sono una miniera inesauribile.

UNO SCRIGNO DI TESORI NASCOSTI

Può un libro essere un almanacco, un libro di ricette e al tempo stesso uno spaccato su un pezzo d’Italia che non c’è più? Il volume Ricette di Memoria, realizzato con la collaborazione di tutte le provincie 50&Più della Toscana, è questo e molto altro. Fin dal sommario, costruito come se fosse un menù, si evince subito che sarà un viaggio lungo, pieno di tappe intermedie, fatto di ricordi privati e storie di vita che unisce luoghi e personaggi legati alla Toscana. La cucina tradizionale serve solo come filo conduttore. Lungo le pagine si aprono costantemente finestre, box, trafiletti; cassetti dove trovare piccole perle, ricette dal sapore particolarmente intrigante ed appetitoso, spiegate con dovizia di particolari. Un attimo dopo si torna a parlare di storie private, locali, che camminano in parallelo con la grande storia d’Italia, mescolandosi in un racconto che diventa corale. E così, alla fine, spizzicando tra una curiosità, una ricetta e un ricordo, si arriva alla vera sorpresa del libro. Una ricca appendice (le “Prelibatezze finali”) che lega il cibo all’arte, al cinema, alla letteratura e alla cultura dei proverbi.

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febbraio 2023
50&Più
Consigliati da

HIERONYMUS BOSCH, IL VISIONARIO

Un’importante mostra mette a confronto “l’epica del male” del maestro fiammingo con i suoi contemporanei per proporre “un altro Rinascimento”

Jeroen Van Aken, alias Hieronymus Bosch (da ’s-Hertogenbosch, città natale da cui il pittore prese lo pseudonimo, secondo una consuetudine diffusa), fu uno dei sommi geni della pittura di tutti i tempi, ma la sua influenza è stata piuttosto relativa sull’arte italiana. Da noi sono conservate solamente tre opere, tutte a Venezia: il Trittico della martire crocifissa, le Quattro visioni dell’Aldilà del Palazzo Ducale e il Trittico degli Eremiti di Palazzo Grimani. Quest’ultima sarà al Palazzo Reale di Milano fino al 12 marzo per la mostra Bosch e un altro Rinascimento. Se la nuova arte del Rinascimento in Italia portava direttamente alla deificazione dell’uomo, con Leonardo e con Michelangelo, per il pittore olandese diventa lo stimolo a creare una sfera “a parte”, un universo che ha mezzi di espressione suoi propri, si confronta ogni momento con l’infernale, è immerso in una sorta di antinatura, è popolato da creature-personaggi-allegorie. Bosch è il pittore del dominio del caos, un caos inteso come organizzazione del mondo.

I pesci appesi ai rami, i fiori di cardo con le ali, gli alberi cavi che allattano bimbi, le città fantastiche, i demoni di

ogni sorta, le delizie e le tentazioni, più che amore per il subconscio e il mostruoso, più che un’Apocalisse contemporanea, più che il futuro cui ci porterà la follia umana, indicavano che la quotidianità è incombente e sfaccettata, da maneggiare con le molle della fede e della speranza.

A Milano dipinti, arazzi, sculture, incisioni, bronzetti, volumi antichi e oggetti rari, propongono un dialogo con altri pittori (Bruegel il Vecchio, Albrecht Dürer, Marcantonio Raimondi) e con una “rinascita” che è solo prosecuzione della medievale epica del male.

Informazioni sulla mostra: Bosch e un altro Rinascimento Palazzo Reale

Piazza Duomo n. 12, Milano

Orario: 10/19.30 (giovedì 10/22.30); chiuso il lunedì

Biglietti: € 15; ridotto € 13 (over 65, under 26, disabili, gruppi, adulti famiglie, insegnanti, militari, forze dell’ordine, convenzioni); ridotto € 6 (scolaresche, minori famiglie, convenzioni, giornalisti); gratuito per under 6, accompagnatori portatori di handicap e di gruppi. Telefono: 0288445181 www.palazzorealemilano.it Fino al 12 marzo

BREVI PROPOSTE

ARTEMISIA

GENTILESCHI A NAPOLI

La più importante pittrice italiana visse a Napoli per un quarto di secolo, tra il 1630 e la morte, periodo analizzato in questa rassegna con 21 opere di Artemisia (provenienti anche da mezza Europa) e di 30 artisti a lei contemporanei, compresa la partenopea “Annella” Di Rosa.

Gallerie d’Italia Fino al 20 marzo

BANKSY A TRIESTE

Il personaggio più conosciuto dell’arte contemporanea è anche il meno noto, avendo fatto dell’anonimato la propria scelta. C’è persino chi ipotizza sia una donna. The great communicator, titolo della mostra giuliana, è presentato seguendo le sue tre influenze principali: il Maggio francese, il situazionismo e il graffitismo. Salone degli Incanti Fino al 10 aprile

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Arte
di Ersilia Rozza
Cultura

TEATRO STABILE DI TORINO: TEATRO NAZIONALE, LA

FORZA DELLE IDEE

Prosegue il nostro viaggio nella prosa in giro per l’Italia con una pluralità di linguaggi e narrazione divertente e intima, commovente e un po’ folle, di ieri e di oggi

Una volta Mario Scaccia, grande attore romano disse: «Se il Teatro non ci fosse stato, lo avrei inventato io per sopravvivere». Penso che questa sentita riflessione accomuni tutta l’umanità attoriale che ogni giorno calpesta le tavole del palcoscenico. Credo inoltre che lo stesso sentimento coinvolga anche chi sta intorno a quel palcoscenico, il pubblico, che ogni sera respira emozioni. Il direttore artistico dello Stabile di Torino, Valerio Binasco, parla di teatro come di un sentimento che quasi non riesce a descrivere… e dalle sue parole traspare chiaramente un animo pieno di amore. Come non parlare poi di passione e dedizione di fronte alle dichiarazioni del presidente Lamberto Vallarino Gancia e del Direttore Filippo Fonsatti? «La nostra idea di teatro - dichiarano - pone al centro il valore della creazione arti-

stica come strumento per alimentare il pensiero critico e per rafforzare la coesione sociale…». Tutto questo si traduce in un cartellone ricco di proposte che possano soddisfare spettatori sempre più trasversali. Da una parte lo sguardo al repertorio classico, dall’altra l’accento sulla contemporaneità. Filippo Dini, Kriszta Székely, Leonardo Lidi, Alessandro Serra e Gabriele Vacis sono il cuore creativo pulsante della squadra capitanata da Valerio Binasco. Tanti i grandi artisti in scena a febbraio. Al Teatro Carignano il regista Davide Livermore con Maria Stuarda, Massimo Popolizio, Ugo Dighero con Paolo Fresu. Al Gobetti Jurij Ferrini, Giuseppe Miale di Mauro e i registi Fabrizio Falco, Paola Rota, Emanuele Aldrovandi. Alle Fonderie Limone Moncalieri, Pippo Delbono. Info: 0115169555

EVENTI

TRIESTE

Inarrestabile Rossetti Storie popolari, poetiche e contemporanee, musiche trascinanti e grandi attori negli spettacoli Don Chisciotte (fino all’1) con Alessio Boni e Serra Ylmaz, Il figlio (13-14 ) con Cesare Bocci e Galatea Ranzi, Tango Macondo (dal 28) con Ugo Dighero e Rosanna Naddeo, accompagnati dal lirismo della tromba di Paolo Fresu.

UMBRIA

Fra natura e cultura Nel delizioso borgo di Corciano, in provincia di Perugia, c’è un piccolo teatro costruito alla fine del 1800, il Teatro della Filarmonica. La stagione teatrale del suggestivo spazio prosegue questo mese con due appuntamenti: La divina Sarah, interpretata da Lucrezia Lante della Rovere e Stefano Santospago, e Da lontano di Lucia Calamaro, con Isabella Ragonese.

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di Mila Sarti
Teatro
© ALBERTO TERRILE

Musica Cultura

FABRIZIO BOSSO E IL “RAGAZZO MERAVIGLIA”

Il trombettista fiore all’occhiello del jazz peninsulare rilegge l’universo del sommo Stevie Wonder, in brani che spaziano dai sixties al suo ultimo cd

Quest’anno veleggia verso le 50 primavere il torinese Fabrizio Bosso, da diversi anni una certezza di alto livello del nostro jazz. Diplomato al conservatorio già a 15 anni, sideman con diversi musicisti italiani e stranieri (da Enrico Pieranunzi a Claudio Baglioni, da Roberto Gatto a Tullio De Piscopo, da Slide Hampton a Steve Lacy, da Carla Bley a Steve Coleman) e poi leader di sue formazioni con cui ha suonato in Europa, Africa, Arabia, Stati Uniti e Cuba, oltre a incidere album di pregio.

Alla collana si è aggiunto da poco We Wonder, che unisce il talento del trombettista e del suo quartetto (e del sassofonista ospite Nico Gori) a quello di uno dei massimi compositori del XX secolo, Stevland Hardaway Morris, da tutti conosciuto come Stevie Wonder. Nove brani dell’infinita varietà di meraviglie scritte dal musi-

cista non vedente, di cui quattro tratti da Songs In The Key Of Life, «il miglior album mai realizzato» (parola di un tipo che se ne intende, sir Elton John).

Bosso, forte di un gusto, di una tecnica e di un timbro di alta caratura, convincente sintesi degli stili introdotti dagli artisti da lui presi a riferimento («il primo amore è stato sicuramente Clifford Brown, poi sono passato ad ascoltare Miles Davis, Freddie Hubbard, Kenny Dolan, mentre tra i contemporanei Winton Marsalis è quello che apprezzo di più, lo trovo geniale»), propone le canzoni in stile squisitamente jazzistico, uno straight bop raffinato e permeato di un fascino speciale, forte di una scaletta nel contempo ruffiana e coinvolgente, in cui spiccano Moon Blue, My Cherie Amour e Isn’t She Lovely

C’ERA UNA VOLTA IL FESTIVAL

Compie 40 anni l’unico Sanremo con un podio tutto al femminile: vinse Tiziana Rivale con Sarà quel che sarà, seconda Donatella Milani con Volevo dirti (firmata anche da Zucchero, che si classificò 20° con Nuvola) e terza Dori Ghezzi con Margherita non lo sa. Tra i battuti Vasco Rossi con Vita spericolata (penultima), i Matia Bazar con la raffinata Vacanze romane (quarta) e Toto Cutugno con l’inno L’Italiano (quinta).

DA NON PERDERE

L’etichetta Alfa Music, dopo la prof universitaria che canta la bossanova (Madalena nel bel cd Briza), propone il giornalista politico che fa il cantautore: Massimo Leoni, al suo secondo album, dopo il riuscito Canzonette morali. Ricchi riferimenti sonori e testi mai banali per 14 brani (tra cui la title-track in due versioni, uno standard jazz e uno dei Genesis), che variano dal pop elegante al rock progressivo e raccontano intimità profonde e realtà difficili, con una voce piana e confidenziale.

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di Raffaello Carabini LE AMANTI DI MASSIMO LEONI

EMPIRE OF LIGHT

Il regista di Era mio padre e American Beauty apre uno spiraglio malinconico sull’amore per il cinema e celebra il valore salvifico della settima arte. Con Colin Firth e Olivia Colman

L’amore per il grande schermo parla al sognatore che è nel cuore di ogni cinefilo. Come in Nitrato d’argento di Marco Ferreri o Nuovo cinema paradiso di Giuseppe Tornatore, anche la storia narrata con malinconia da Sam Mendes coinvolge i ricordi legati al cinematografo. Siamo negli Anni ’80 in una città inglese dove sopravvive un’unica sala retró, l’Empire. Pur essendo al suo declino, in questo cinema persiste il profumo della celluloide: particolare essenza che si sprigiona al buio e si fa largo, guidata dalla luce del proiettore sui velluti rossi della platea, facendo danzare le immagini sullo schermo. Nel suo film Mendes ritrae un’epoca al tramonto. Siamo nell’era della Thatcher, tra punk e skinhead. Intorno al foyer del ci-

nema ruotano pezzi d’umanità che sta cambiando pelle. La storia interseca i destini di personaggi diversi. È una danza di anime sole a caccia di redenzione quella di caratteri che con le loro vite, i disagi e i sogni transitano sotto il raggio di luce dell’Empire, cercando chi l’illuminazione e chi una via di salvezza. Accanto al direttore incravattato Mr Harris (Colin Firth) brilla la 50enne Hilary (Olivia Colman) che gestisce il cinema. Nelle pause tra un disturbo nervoso e l’altro, la donna ha incontri intimi col direttore ma l’arrivo all’Empire del giovane impiegato Stephen (Micheal Ward) farà saltare tutti gli equilibri. Nel cast anche Tobey Jones.

Regia: Sam Mendes

Genere: Drammatico

FILM IN USCITA

DOCUMENTARIO

LAGGIU’ QUALCUNO

Regia:

MI AMA

Nel 70° anniversario della nascita di Troisi, per celebrare il grande attore e regista napoletano esce in sala un docufilm scritto da Mario Martone e Anna Pavignano, compagna di vita e di lavoro di Massimo. Testimonianze di colleghi ed amici, preziosi ricordi e documenti inediti rievocano lo spirito di un maestro che ci ha lasciato troppo presto, e la cui presenza è indelebile nella nostra memoria.

COMMEDIA NON COSÌ VICINO

Regia:

Un film perfetto per il talento di Tom Hanks nei panni di Otto Anderson, vedovo 60enne scontroso e maniaco delle sue abitudini. Costretto a lasciare il lavoro, l’uomo inizia a meditare il suicidio ma ogni suo tentativo viene mandato a monte dalle intromissioni dei nuovi vicini di casa. Amicizie improbabili e un nuovo senso di famiglia sono i risvolti di una storia che fa ridere e battere il cuore.

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febbraio
Mario Martone Marc Forster con: Con Tom Hanks, Rachel Keller, Manuel Garcia-Rulfo, Mariana Treviño
Cinema
di Alessandra Miccinesi © ANNA PAVIGNANO

in armonia

IL LENTO RISVEGLIO

«La docilità dell’indole, la dolcezza del cuore, la bontà dei costumi, e la virtù in generale esser dovrebbero i punti d’osservazione da farsi, specialmente nella scelta dello Sposo… poiché queste sono le vere qualità che possono produrre una stabile felicità».

Almanacco Barbanera 1817

FEBBRAIO

È un mese di passaggio febbraio, un ponte tra il freddo e l’attesa del primo tepore. Ma quando i rigori dell’inverno si fanno sentire, nel mese più corto e più freddo dell’anno, un certo spirito festoso anima le giornate e scalda il cuore. Ecco infatti che San Biagio, amato protettore della gola, accompagna le allegrezze del Carnevale con maschere, coriandoli e i tipici profumi che riempiono le cucine dei prelibati dolci della tradizione. Le giornate intanto riprendono timidamente ad allungarsi. E anche la terra comincia timidamente a risvegliarsi. Si guarda avanti, alla primavera annunciata dai fiori d’amore di San Valentino, si pensa al bel tempo, a rimettere in sesto gli strumenti, a definire spazi e colture. Nuove energie fanno spuntare primule e violette, nuovi progetti ci fanno mettere le mani nell’orto e nel giardino dove ci aspettano le semine, le potature e la cura delle erbe aromatiche seguendo il ritmo della Luna.

a cura di:

L’ORTAGGIO

Il basilico (Ocimum basilicum)

Erba aromatica non spontanea, tra le più diffuse e coltivate negli orti, nei giardini e anche in vaso sul balcone. Collocata sul davanzale delle finestre, aiuterà a respingere mosche e zanzare. Nell’orto invece, vicino al pomodoro, allontana parassiti come la mosca bianca.

La semina

Il basilico si semina in semenzaio - in Luna calante - da febbraio a marzo. Mettere il seme a circa 0.5 cm di profondità e ricoprirlo con un sottile strato di terra o compost. Ama una posizione soleggiata e riparata. Il trapianto si effettua con la fase di Luna crescente a maggio. Concimare il terreno con letame o compost. Scavare alla distanza di 40 cm l’una dall’altra piccole buche di circa 20 cm di profondità, mettere sul fondo il compost e interrare il basilico. Pressare leggermente la terra, poi annaffiare con regolarità. Per prolungare il ciclo di sviluppo asportare gli steli fiorali ap pena spuntano.

Raccolta e conservazione

Le foglie fresche si raccolgono da giugno a settembre in Luna crescente. Si con servano - raccolte in calante - essiccate, surgelate in sacchetti, oppure in olio vergine di oliva.

Fa bene perché...

Buono e virtuoso, stimola la digestione, agisce contro l’emicrania e l’inappetenza. L’olio essenziale è rilassante e afrodisiaco. Ricco di potassio, contiene ferro, fosforo e vitamina A.

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seguendo
le stagioni Vivere

BUONO A SAPERSI!

Un albero per San Valentino

I fiori, belli e sempre graditi, rallegrano la casa oltre che il cuore. Ma donare un albero dà un messaggio ancora più potente, dimostra a chi si ama che il vostro è un sentimento serio, destinato a durare. Ditelo dunque con un albero: una betulla è simbolo di rinnovamento, di eterna gioventù; un pino di longevità, un frassino di fecondità, un cedro di eternità, grandezza d’animo ed elevazione spirituale. Regalando una pianta, sia l’amato che l’ambiente vi saranno grati.

COLTIVARE CON LA LUNA

NELL’ORTO

Nel periodo dell’anno in cui riprendono a pieno ritmo le semine, la Luna crescente chiede di pensare a ceci, rucola, zafferano, piselli (al Nord), di seminare in semenzaio i peperoni e mettere a dimora le zampe di asparago. In Luna calante è, invece, il momento per la semina in semenzaio di basilico, bietola da coste, cipolla bianca, erba cipollina, lattuga, prezzemolo, ravanello, sedano. All’aperto, invece, bietola da orto, le varietà precoci di carote, cavolo cappuccio primaverile-estivo, rape e spinaci. Se non già fatto, si possono ancora piantare i bulbilli di aglio e il topinambur. Rincalzare i piselli seminati in autunno.

NEL GIARDINO

Con l’aiuto della Luna crescente è tempo di propagare per talea begonie, dalie e viti americane e posizionarle in substrato di sabbia e terriccio. Mettere a dimora forsizia, cotogno giapponese, clematide e rose. Tra i rampicanti piantare convolvolo e pisello odoroso, proteggendo il terreno con della pacciamatura per evitare che le gelate danneggino le radici. Seminare viola e violacciocca in vaso, e pelargoni in semenzaio. Potare a febbraio le rose in crescente per averle a gambo lungo, altrimenti in calante. Sempre in Luna calante potare e cimare - ovvero ridurre la cima - le siepi delle specie spoglianti, gli arbusti a fioritura autunnale e quelli che hanno già perso i frutti. Iniziare a potare anche le ortensie e le erbe aromatiche.

COLORI NELL’OMBRA PENSANDO ALLA PRIMAVERA

PICCOLI FRUTTI

A PORTATA DI MANO

È il momento di piantare in Luna crescente ribes e uva spina. Facili da coltivare e belli da vedere, bastano poche piante di ribes bianco e rosso e uva spina di varietà bianca e rossa per avere un piccolo “boschetto” fruttifero. Non hanno particolari esigenze: vasi più profondi (40 cm) che larghi, annaffiature una volta al giorno in estate, un trattamento con concime organico (letame) in inverno, la potatura dei rami secchi in ogni stagione.

DICE IL PROVERBIO...

Per la santa Candelora, se nevica o se plora dell’inverno siamo fora. Ciò che la neve cela, l’estate rivela. Primavera di febbraio reca sempre qualche guaio.

È in generale vero che le piante amano il sole, ma anche un angolo esposto a nord e con molta ombra può fiorire e regalarci grandi soddisfazioni. Ad esempio, le ortensie, le azalee, le peonie, sono tutte varietà che si adattano molto bene a ricevere poco sole. Senza poi dimenticare i piccoli ma coloratissimi impatiens da distribuire un po’ ovunque e che fioriscono per tutta la primavera e l’estate. Allo stesso tempo, pure un terrazzo molto assolato, dove in genere si hanno difficoltà, può accogliere piante quali la buganvillea, l’oleandro, la passiflora, l’ibisco, il gelsomino, la bignonia, la plumbago e tutte le piante succulente. Assai resistenti anche le tipiche essenze mediterranee quali il rosmarino o la lavanda. Ora quindi che è il momento di piantare, pensiamo anche a loro.

IL SOLE

Il 1° sorge alle 07.13 e tramonta alle 17.14.

L’11 sorge alle 07.02 e tramonta alle 17.27.

Il 21 sorge alle 06.48 e tramonta alle 17.40.

Le giornate si allungano. Il 1° si hanno 10 ore e 1 minuto di luce solare e il 28 si hanno 11 ore e 11 minuti: si guadagnano 70 minuti di luce.

LA LUNA

Il 1° tramonta alle 04.25 e sorge alle 13.08.

L’11 tramonta alle 09.37 e sorge alle 23.17.

Il 21 sorge alle 07.46 e tramonta alle 19.14.

Luna crescente dal 1° al 4 e dal 21 al 28.

Luna calante dal 6 al 19.

Luna Nuova il 20. Luna Piena il 5.

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SE HAI ½ GIORNATA FIORI E FRUTTI SUL BALCONE

» CINESINO

Occhi a mandorla e codino vi presento un cinesino, e che a dir la verità, gode molta autorità. Tutto giallo e odoroso tondo tondo, assai succoso, e, per dir la verità, è un esempio di bontà.

TEST 1

Osservate attentamente i sottostanti quattro insiemi di figure concentrandovi particolarmente sui loro colori e dite come vanno colorate, secondo un criterio logico da determinare, le tre figure bianche nell’insieme di figure contrassegnato dalla lettera d).

TEST 2

Osservate attentamente la seguente sequenza di sei parole e dite quale di essa, secondo un criterio logico da determinare, può essere considerata “intrusa”.

TEST 3

Osservate attentamente la sottostante figura e andate a pagina 96.

» INTERESSANTE, MA OMBROSA

È un tipo molto aperto, che dischiude il suo punto di vista a chi l’accosta; però si dà delle arie e qualche volta si mostra oscura per gelosia!

Soluzioni a pag. 96

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di
di Enrico Diglio
Giochi
Lionello e Favolino Stuzzica Cervello
7 2 8...
REBUS Lionello REBUS
Lionello ...6 11
INDOVINELLO Favolino
a) b) c) d)
INDOVINELLO BISENSO Favolino PESTO MATTO FASTO RAMO MUTO GATTO

bacheca

a cura della Redazione

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Relazioni personali

67enne pensionata, libera, residente a Padova. Sono molto giovanile, raffinata, di bella presenza, amante della vita, dei balli da sala, dei viaggi, e desiderosa conoscere la nostra bella Italia. Sono motivata a conoscere un distinto e serio signore, max 73enne e con i miei stessi requisiti - esclusivamente in Veneto -, per iniziare una conoscenza. Astenersi senza requisiti. Telefonare al 3318074881 (ore pasti).

50enne amante della natura e della psicologia conoscerebbe ragazza o signora per amicizia ed eventuale relazione.

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59enne celibe, solo, proprietario di una villa. Abito in Romagna, a Cesenatico; dicono che sono serio, buono, piacente e riservato. Conoscerei una donna, residente ovunque, seria, carina, semplice, tranquilla, benestante, per amicizia ed eventuale matrimonio. Anche più giovane di me e non italiana. Offro e richiedo massima serietà. No perditempo. Telefonare al 3348282660.

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69 anni, discretamente portati, molto credente, affettuosa, indipendente economicamente. Cerco un uomo pari requisiti, per amarci per il resto della vita, previa sincera conoscenza. Sono legata ai valori familiari, amo il mare, i viaggi, le gite in compagnia di amici sinceri. Solo persone veramente interessate. Sono di Avellino. Scrivere a: Fermo Posta Centrali di Avellino, C.I. CA99688KK.

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75enne pensionato, solo, residente in provincia di Como, conoscerebbe a scopo amicizia una signora 60/70enne di bella presenza, fisico gradevole ma soprattutto bel carattere, libera, per eventuale conoscenza. Non ho la macchina. Astenersi persone senza i requisiti richiesti.

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Soluzioni giochi

REBUS (7 2 8...)

S pera; R ed I rivi; VE re... = Sperare di rivivere... (...6 11)

...P re; ST osé; R e NA mente = ...presto, serenamente

Stuzzica cervello

TEST 1 - Le figure bianche presenti nell’insieme di figure fornito sono colorate nel seguente modo: il quadrato, posto nel cerchio centrale di colore verde, deve essere rosso (a), il triangolo, situato nell’anello interno di colore blu, deve essere verde (b) e il pentagono, posizionato nell’anello esterno di colore rosso, va colorato di blu (c) Esse, infatti, rispettano il criterio secondo il quale negli anelli o nei cerchi di colore rosso le figure interne sono di colore blu, negli anelli o nei cerchi di colore blu si trovano tutte figure di colore verde, mentre negli anelli o nei cerchi di colore verde le figure interne sono tutte di colore rosso.

TEST 2 - La parola che può essere considerata “intrusa” è MATTO. Essa, infatti, non rispetta il criterio logico valido per le altre cinque parole. Se in queste ultime, infatti, si sostituisce la prima vocale con una vocale diversa dalla seconda si ottengono altre cinque parole:

TEST 3 - Quanti alberi e quanti uccelli sono presenti nella figura prima vista?

PESTO PASTO RAMO REMO MUTO MITO GATTO GETTO FASTO FUSTO MATTO NO MOTTO C pentagono
a b quadrato
a) b) c)
GIOCHI IN VERSI INDOVINELLI Cinesino = Il mandarino Interessante, ma ombrosa = La persiana
blu nell’anello esterno rosso triangolo verde nell’anello interno blu
rosso nel cerchio centrale verde

BAZAR

SOCIETÀ

ANZIANI SEMPRE PIÙ SOLI IN ITALIA

Secondo l’Istat, negli ultimi dieci anni, l’aumento di coloro che vivono da soli è stato molto più accentuato tra le persone under 65 rispetto alle altre classi di età. Tuttavia, i dati per il mondo anziano rivelano un trend di certo non confortante: nel biennio 2020-2021, è emerso che a vivere da solo è stato il 21,6% della popolazione dei 65-74enni e il 3 9,7% di chi è nella classe over 75. Proprio in quest’ultima fascia di età sono soprattutto le donne a soffrire tale condizione: più di una su due, contro poco più di un coetaneo su cinque.

SALUTE

LA PALESTRE DELLA SALUTE IN PIEMONTE

Il Consiglio Regionale del Piemonte ha approvato la legge per istituire le cosiddette “Palestre della salute”, punto di riferimento importante per un invecchiamento attivo. Qui si potranno sv olgere, supervisionati da professionisti, esercizi fisici strutturati cioè basati su una diretta prescrizione medica. Ma soprattutto saranno impostati secondo programmi definiti ed effettuati in maniera individuale. Un’attività fisica adattata per favorire la socializzazione e promuovere stili di vita più corretti. www.regione.piemonte.it

Questo spazio offre informazioni, curiosità, notizie utili. Come ogni bazar, sarà luogo d’incontro e di scambio. Potete quindi inviarci le vostre segnalazioni e quesiti a: centrostudi@50epiu.it

ESSERE UTILI FA BENE AL CUORE

Secondo uno studio giapponese della Sapporo Medical University, gli anziani che sentono di aver perso un ruolo sociale tra amici e familiari corrono maggiori rischi di peggiorare i loro problemi di cuore. La solitudine e la sensazione di essere “inutili” possono i nfluire sulla salute, motivo per cui nelle cure è essenziale includere aspetti sociali. Partecipare ai lavori domestici e ad attività sociali come quelle di volontariato può migliorare la percezione del ruolo sociale, aiutando i pazienti anziani con insufficienza cardiaca a vivere più a lungo, in modo più sano e produttivo.

TECNOLOGIA

ITALIA SEMPRE PIÙ CONNESSA

MA NON GLI OVER 65 È un’Italia sempre più digitale quella del 5° Rapporto Auditel-Censis. Aumentano i dispositivi connessi, eppure gli over 65 restano fuori dal trend. L ’87,2% delle famiglie dispone nella propria abitazione di almeno un dispositivo connesso, al di là di una tv tradizionale o smart, vive in una zona coperta dalla Banda Larga il 61,7% delle famiglie, m entre circa il 60% dispone di una connessione mobile. Ma ancora oggi ci sono 2 milioni e 300.000 nuclei familiari, in cui vivono circa 3 milioni di individui: si tratta soprattutto di over 65 che non sono connessi.

AGLI OVER 55 PIACCIONO

I PAGAMENTI DIGITALI

Nel 2022 i pagamenti digitali sono aumentati del 17% rispetto al 2021 e del 128% in confronto al 2019. Secondo i dati emersi da un’indagine dell’Osservatorio Visa condotta con Ipsos, e ntro i prossimi quattro anni i pagamenti in Italia saranno soprattutto digitali. A sostenerlo è il 70% degli intervistati fra i 18 e i 64 anni. Fra gli over 55, il 67% del campione ritiene che il bancomat, la carta di credito e i pagamenti online siano comodi. Solo 3 su 10, ossia il 32%, resterebbero ancora legati all’impiego del contante.

FILM

MR. OVE regia di Hannes Holm Con R. Lassgård e B. Pars Svezia, 2015 116 minuti Il 59enne Ove è un uomo rigoroso che mal sopporta molte cose della vita. In breve tempo finisce col perdere i pochi punti di riferimento che gli sono rimasti nella vita: il suo ruolo di presidente dei condomini, il suo lavoro alla Saab in virtù della pensione. Inviso ormai a tutti a causa del suo carattere burbero e rigido, decide allora di togliersi la vita. I suoi piani però sono destinati a fallire per via di una serie di circostanze. Una fra queste l’arrivo di una nuov a vicina di origini iraniane, Parvaneh.

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febbraio 2023 |
a cura del Centro Studi 50&Più

Risponde Giovanna Vecchiotti Direttore responsabile 50&Più

LA VITA È LASTRICATA DI BEI SOGNI

Il segreto è non smettere mai di avere degli obiettivi. Che sia da bambini, da adulti o da anziani, dobbiamo continuare a lottare per ciò in cui crediamo

Cara Direttrice, sono un sognatore di natura - ed è stata la mia salvezza! Da sempre sostengo che per raggiungere una meta bisogna innanzitutto sognarla. Ho ottantadue anni, sono nato in un vicolo di Napoli e appartengo a quella generazione di vecchi che non sono stati mai bambini. Non si poteva essere bambini in quei terribili Anni ’40 vissuti in una Napoli distrutta dai bombardamenti, mortificata dalla fame e lacerata da migliaia di vittime.

Col passare degli anni ho iniziato a guardare oltre la siepe del mio piccolo giardino e ho cominciato a sognare quel Nuovo Anno capace di rinnovare tutte le coscienze. Continuare a sognare e sperare a ottantadue anni significa volere con testardaggine credere ancora nella capacità dell’essere umano di sapere trovare dentro di sé quelle spinte emozionali capaci di cambiare il destino del mondo. Non dispero e sogno, perché voglio continuare a credere che l’umanità riuscirà prima o poi a “spalancare le porte chiuse delle proprie limitazioni per raggiungere distese più vaste in cui i sogni più belli diventeranno realtà”. E sogno governanti impegnati a restituirci la dignità di persone perbene e laboriose. Donne e uomini determinati e capaci di combattere la massa di quei malfattori assetati di sporco potere che vanifica i sacrifici di tutti gli onesti e spero che il 2023 ci porti una classe dirigente capace di decapitare quella

malefica piovra che ha creato metastasi mortali nel tessuto sano del nostro Paese. Sogno che il desiderio di cultura diventi il nostro pane quotidiano e nessun essere umano debba mai più versare lacrime per colpa di una società ingiusta. Il mio sogno continua.

Diceva Oscar Wilde: «Un sognatore è colui che può trovare la sua strada al chiaro di luna e vedere l’alba prima del resto del mondo». La Storia è piena di sognatori, signor Raffaele, anzi spesso sono stati proprio i sognatori a fare la Storia. Uomini e donne che non si sono mai arresi, nonostante le avversità, persone in grado di vedere realizzato il loro sogno con gli occhi della mente ancor prima di intraprendere i primi passi per portarlo a compimento. C’è chi sogna un lavoro, chi di avere un figlio, chi di lasciare il proprio Paese per andare a vivere lontano. C’è chi sogna di vincere alla lotteria e chi un’umanità senza ingiustizie né disuguaglianze, chi invece sogna la pace nel mondo, e che tutti i bambini siano felici. Piccoli e grandi sogni ci accompagnano lungo l’arco della vita e guai se così non fosse. L’importante è continuare a sognare, anche a 82 anni. Perché, come affermava Nelson Mandela: «Il vincitore è un sognatore che non si è mai arreso».

PARLIAMONE...

Chi volesse scrivere a Giovanna Vecchiotti può farlo: per posta - C/O Redazione 50&Più Via del Melangolo, 26 - (RM) per fax - 066872597 per email - g.vecchiotti@50epiu.it

Lettere al direttore
www.spazio50.org | febbraio 2023 98
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