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LE TRE VERITÀ DI DANIELE CAVICCHIA: CINQUE RACCONTI UN PO’ MISTERIOSI, UN PO’ ONIRICO-VISIONARI, UN PO’ SAPIENZIALI, TRA KAFKA ED HESSE, dove il sogno ha l’aspetto lattiginoso di un universo in cui le persone si sfiorano e si perdono per poi riapparire silenziosamente, quando meno te l’aspetti. Cinque storie che ti trascinano in un mondo quasi impalpabile di voci e silenzi, apparizioni, fantasie, ricordi, incontri che sfumano e incontri che sono solo fantasie. Prendiamo il terzo racconto, quello che dà il titolo alla raccolta, il più intenso, assai abile nel suo meccanismo narrante. C’è una situazione che si ripete anche negli altri: un uomo che vive in un tunnel che è una specie di tana e di trappola e viene quasi trascinato ad indagare sul mondo che è fuori, dall’altra parte, tra la veglia e il sogno. Ognuno, in quel mondo e di quel mondo, racconta la sua storia di paternità, amori, tradimenti in un misterioso regime di complicità. Ma la storia continuamente si scompo-

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ne in più iridescenze. Sembra alludere ad un centro (una verità) che sfugge, a una pienezza di UNO SPAZIO METALETTERARIO + LE TRE VERITÀ RACCONTI ZETA 104 PAGINE 10 EURO Giudizio di 50&Più: senso che sfarina mentre le figure E INTIMO vanno e vengono, come su una scena con un improbabile buttafuori. Resta l’indagine sotto forma di interrogazio- Non sono certo racconti ne, l’assillo ad una con trama “classica”, qualsiasi verità ancora possibile/impossibile perché ma situazioni diverse e apparentemente non legate «l’uomo del tunnel tra loro, immerse sa di non avere nell’interiorità dell’autore molto tempo, ma sa anche che finché fa parte del tempo tutto può accadere». di Renato Minore Cavicchia è all’origine un poeta, un ottimo poeta IL PANE PERDUTO che ha avuto molti riconosci- Edith Bruck menti negli anni; qui si rad- La Nave di Teseo, 128 pagine doppia come narratore. Nel suo mondo narrato le figure s’inprezzo: 16 euro Giudizio di 50&Più: crociano secondo le infallibili Edith Bruck, nata novant’anni fa in un piccolo disposizioni del caso che pos- villaggio ungherese e deportata a tredici, ha sono lasciare intuire la attraversato sette campi di concentramento scia di una storia, e di sterminio. Ora con Il pane perduto, il suo intenso e quasi la luce di un incontro, anche il culmine di un dramma. scarnificato memoir, che punge e strazia senza il ricatto degli stilemi retorici abusati in simili storie, racconta non solo il “prima” dell’adolescenza felice, non solo l’“inferno” del genocidio e della macelleria concentrazionaria. Ma anche il “dopo”, con le sue angustie e le sue sorprese, il ”ritorno”, le ulteriori vicissitudini attraversate in altri luoghi, come ha fatto la Kluger in Vivere ancora. Quei ricordi sofferti di una vita intera fino a giungere ai giorni nostri, trascinati dalla «nostalgia dolorosa di me scalza, in corsa nella tiepida polvere della primavera sulla viuzza di Sei Case dove ero io, senza passato, solo futuro, una vita fa».

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